Lezione 12 (14 marzo 2007) Annuncio di conferenza: Prof. Carlo Natali (docente di Storia della filosofia antica all’università di Venezia) parlerà della ‘Definizione di virtù e le virtù in Aristotele’ martedì 20 marzo ore 14,30 in 1 Sant’Agostino Orario della settimana prossima: mercoledì 21, ore 16-17 in 6 Sant’Agostino giovedì 22, ore 14-15 in 7 Sant’Agostino venerdì 23, ore 13-14 in 7 Sant’Agostino (riprendendo dopo uova al cioccolato mercoledì 11 aprile, aula da fissarsi) Il problema del dèmone (della matrix) come annientacredenze Se esiste un dèmone (se sono dentro la matrix), qualunque credenza che io abbia mai formata e che dipenda da qualsiasi processo di produzione (causale o inferenziale) può essere falsa: egli (essa) è in grado di ingannarmi su tutte le cose su cui posso essere ingannato – se non so che non esista il dèmone (che io non sia dentro la matrix), non posso sapere se tutte le mie credenze che dipendono da processi di produzione (causale o inferenziale) possano essere false – se non posso sapere se tutte le mie credenze che dipendono da processi di produzione (causale o inferenziale) possano essere false, devo trattarle con sospetto – ciò che devo trattare con sospetto devo trattare come incerto – non posso essere certo di ciò che devo trattare come incerto – se non so che non esista il dèmone (che io non sia dentro la matrix) non posso essere certo di nessuna delle credenze che dipendano da processi di produzione (causale o inferenziale) La certezza come condizione necessaria per conoscenza – per sapere che p devo essere ragionevolmente certo che p – se non posso essere ragionevolemente certo che p, non posso sapere che p – non è una condizione sufficiente, perché ci possono essere proposizioni di cui sono ragionevolemnte certo ma che sono comunque false (anche la verità è una condizione necessaria ma non sufficiente per la conoscenza – altrimenti sarei onnisciente) Posso sapere che non esista il dèmone (che io non sia dentro la matrix)? – a differenza dell’autoconfutazione del relativismo, la correzione dei giudizi derivanti dai sensi con l’uso degli stessi sensi, l’implausibilità del ipotesi della pazzia e l’improponibilità dell’ipotesi del sogno, la risposta sembra essere: NO – tutti gli indizi che potrei usare per dimostrare l’inesistenza del dèmone (la mia estraneità alla matrix) sarebbero prodotti da qualche processo del tipo che il dèmone (la matrix) potrebbe imporre per ingannarmi
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Lezione 13 (15 marzo 2007) Dato che non posso sapere che non esista il dèmone (che io non sia dentro la matrix), non posso essere ragionevolmente certo di niente riguardo al quale egli (essa) potrebbe ingannarmi Due opzioni: (1) ‘empirismo’: vivere con l’incertezza e accettare la verità dello scetticismo (2) ‘razionalismo’: andare alla ricerca di verità riguardo alle quali nemmeno il dèmone (la matrix) potrebbe ingannarmi Una terza opzione: la scelta di Cypher Vantaggi di (1) – non richiede ulteriori sforzi epistemologici – posso rassegnarmi alle apparenze e non preoccuparmi della possibilità allarmante dell’inganno universale – rimango in possesso di uno strumento adatto a demolire le certezze dei dogmatici Svantaggi (speculari) di (1) – incoraggia l’indifferenza e la pigrizia – rimane in vigore una minaccia alla mia auto-immagine come uno che, per dirla con Neo, ‘gestice la priopria vita’ – se niente è ragionevolemente certo, tutte le opinioni hanno lo stesso valore (vicino a zero) L’approccio di Cartesio nell’adottare (2) – da sviluppare nei seminari della Dott.ssa Manzoni dopo Pasqua (A) Fase del rosicchiatore (interpretazione pacifica) (i) Scoprire una verità (Meditazioni II, disp. pp. 42-9) – si possono individuare alcune credenze che sembrano non dipendere da un processo di produzione né causale né inferenziale – tra queste, c’è la credenza secondo cui, se un dèmone (la matrix) mi sta ingannando, devo esistere per essere ingannato – il dèmone (la matrix) non può ingannarmi riguardo alla mia esistenza (disp. p. 45) – questa scoperta è nota come il ‘cogito’ (anche se la famosa formula ‘cogito ergo sum’ non appare nei testi scritti da Cartesio, ma solo nella traduzione latina del Discorso) – se si ricava il cogito senza un processo di produzione, nemmo il dèmone (la matrix) può ingannarmi in proposito (ii) Adottare una regola (Meditazioni III, non nella disp.) – si nota che la mia esistenza si presenta come una idea chiara e distinta – ‘chiaro’: la sua verità mi è del tutto evidente – ‘distinto’: non posso confondere questa verità con un’altra – supponiamo che ogni idea chiara e distinta sia tale per cui il dèmone (la matrix) non potrebbe ingannarmi in proposito e vediamo se possiamo giustificare una supposizione del genere (B1) Fase del divoratore (secondo l’interpretazione ortodossa) (iii) Scoprire un garante (Meditazioni III, non nella disp.) – si possono individuare certe idee che sono chiare e distinte che, insieme, portano al riconoscimento dell’idea di Dio come chiara e distinta – l’idea di Dio è l’idea di un essere che non mi permette di essere ingannato
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– se non sono ingannato, il dèmone non esiste (B2) Fase del rosicchiatore (secondo l’interpretazione Davies, vedi ‘Il dèmone e lo scienziato’ più sotto per dettagli) (iv) Scoprire un garante (Meditazioni III, non nella disp.) – si possono individuare certe idee che sono chiare e distinte che, insieme, portano al riconoscimento dell’idea di Dio come chiara e distinta – l’idea di Dio è l’idea di un essere che non mi permette di essere ingannato riguardo alle cose che Dio garantisce (cioè le idee chiare e distinte) – anche se Dio garantisce le idee chiare e distinte, il dèmone (la matrix) può ingannare riguardo a tutto il resto
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Lezione 14 (16 marzo 2007) Alcuni noti problemi con la procedura cartesiana (i) L’isolamento – rimango con una massa di credenze potenzialmente ingannevoli – sarebbe da pazzi cercare di disfarmene a favore unicamente delle credenze frutto della ricerca di idee chiare e distinte – non ho garanzia a priori che l’insieme delle idee chiare e distinte costituiranno una sufficienza per vivere – come posso gestire la differenza tra i due insiemi? (ii) La pochezza del cogito – anche se garantisce il fatto della mia esistenza, non mi dice che cosa sono – obiezione di Hume e Nietzsche: la mancanza di una sostanza percepita: Per parte mia, quando mi addentro più profondamente in ciò che chiamo me stesso, m’imbatto sempre in una particolare percezione: di caldo o di freddo, di luce o di oscurità, di amore o di odio, di dolore o di piacere. N on riesco mai a sorprendere me stess o senza una percezione e a cogliervi altro che la percezione. Quando per qualche tempo le mie percezioni s ono assenti, come nel sonno profondo, resto senza coscienza di me stesso, e si può dire che realmente, durante quel tempo, non es isto D. Hume, Trattato dell’intendimento umano (1739), I, iv, 6. Esso pensa: ma che questo ‘esso’ sia proprio quel famoso vecchio ‘io’ è, per dirlo in maniera blanda, soltanto una supposizione, un’affermazione, soprattutto non non è affatto una ‘certezza immediata’. E infine, già con questo ‘esso pensa’ si è fatto anche troppo: già con questo ‘esso’ contiente un’interpretazione del processo e non rientra nel processo stesso. F. Nietzsche, Al di là del bene e del male (1886), I, 17 (iii) L’incertezza del contenuto delle esperienze – il contenuto (l’oggetto) di un mio pensiero è determinato da ciò che l’ha causato – se non son mai stato in contatto con l’acqua (costituita da H 20), nessun mio pensiero può essere un pensiero riguardo all’acqua – se fossi stato in contatto solo con auqca (costituita da XYZ, ma con tutte le apparenze in comune con l’acqua) tutti i miei pensieri riguardo al liquido trasparente (ecc.) sarebbero pensieri di aucqa e non di acqua, nonostante la loro indiscernibiltà da pensieri di acqua – se non so se i miei pensieri sorgono da contatto con un mondo fisico, può darsi che non abbiano un mondo fisico come il loro oggetto (che io non abbia nemmeno il concetto che credo di avere di un mondo fisico) (iv) Il ‘Circolo’ (Antoine Arnauld, Obiezioni IV: proposto come uno ‘scrupolo’) – se si usano le idee chiare e distinte per stabilire l’esistenza di una garanzia della verità delle idee chiare e distinte non si ha una petitio principii? – cfr. ‘io so che quell’uomo è onesto perché me l’ha detto lui stesso ed è giusto credere alle parole di uomini onesti’
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possibile soluzione: distinguere tra l’irresistibilità delle idee chiare e distinte come traccia da seguire (regola di adozione) e l’affermazione della veridicità di Dio come essa stessa irresistibile (scoperta di un criterio)
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La lettura del seguente testo NON è ‘oggetto d’esame’, ma può essere di interesse per chi volesse sviluppare la questione dello scetticismo ‘trascendentale’ : In che misura i computer che generano la matrix sono simili a uno ‘scienziato pazzo’ anziché simili al dèmone cartesiano ? Se l’esistenza di Dio non serve a Cartesio da ‘divoratore’ dell’ipotesi demoniaca, quali sono le prospettive per l’empirismo ?
Il dèmone e lo scienziato
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Richard Davies Il punto di partenza del mio intervento è l’attenzione che è stata prestata nella filosofia analitica degli ultimi decenni alla questione dello scetticismo trascendentale, così come viene espressa nella figura del dèmone maligno delle Meditazioni metafisiche di Cartesio. Invece di invocare un essere collocabile in sistemi religiosi o superstiziosi, i filosofi recenti hanno espresso la sfida scettica in termini di un presunto scienziato maligno che sta manipolando un cervello – il mio – in una vasca per produrre stati di esperienza che non sono distinguibili dagli stati in cui mi troverei se io non fossi un cervello in una vasca. La prima parte della discussione è volta a rintracciare il diffondersi del topos dello scienziato al posto del dèmone, e a osservare i due effetti principali che questa riproposizione moderna della sfida cartesiana ha provocato tra i filosofi analitici. Il primo effetto è visibile in una serie di tentativi, più o meno consapevoli, di confutare l’apparente possibilità che io sia un cervello in una vasca manipolato da uno scienziato maligno. Il secondo effetto è stata la tendenza a presupporre un’equivalenza tra la situazione di un oggetto fisico – come un cervello – e l’oggetto che il narratore cartesiano sta indagando: la sua esperienza, della cui fisicità si dice all’oscuro. Procederò poi a rilevare come l’esegesi ortodossa nella filosofia anglofona degli ultimi decenni abbia attribuito a Cartesio qualche tentativo di confutare l’apparente possibilità che io sia la vittima di un dèmone maligno. L’ortodossia di questa attribuzione può essere causa o effetto della contemporanea tendenza a credere che sia necessario escludere l’apparente possibilità dello scienziato maligno, per eliminare la sfida alla conoscenza rappresentata dallo scetticismo trascendentale. Alla luce di una serie di osservazioni, che sottolineano come, nel testo e nel pensiero cartesiano, non è necessario escludere in toto il dèmone, concluderò suggerendo che la conoscenza alla ricerca della quale il progetto cartesiano era volto è di natura diversa da quella presunta conoscenza che, effettivamente, viene minacciata dal dèmone/scienziato: la conoscenza empirica. 1
Una versione inglese del testo è apparsa sulla rivista Epistemologia nel 2004 (pp. 299-318)
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Passo senz’altro al primo compito che vuole avere un valore che possiamo definire antropologico, cioè che si limita a constatare che la sostituzione tra il dèmone e lo scienziato ha un’origine più o meno databile e, precisamente, sembra essere apparsa per la prima volta a stampa nelle pagine iniziali del libro Ignorance di Peter Unger del 1975. Alla pagina 7 di quel libro troviamo la frase che traduco come segue e di cui l’originale è il primo brano sulla fotocopia: Se una persona sa che ci sono rocce, allora quella persona può sapere che non c’è uno scienziato 2 maligno che lo sta traendo in inganno inducendolo a credere falsamente che ci siano rocce
E, alla pagina seguente, Unger generalizza la forma di quel condizionale, aggiungendo la premessa che nessuno può mai sapere che non ci sia uno scienziato maligno, e desume che ‘nessuno 3
sa mai nulla riguardo al mondo esterno’ . Subito dopo, Unger sostiene che questo ragionamento ‘ha 4
la stessa forma del ragionamento del dèmone maligno nelle Meditazioni di Cartesio’ e aggiunge una nota a piè di pagina dicendo che sta cercando di essere ‘o di fare finta di essere un Cartesio dei 5
nostri giorni’ . Può darsi che Unger abbia preso la sua illustrazione della ‘forma’ del ragionamento cartesiano da un’altra fonte filosofica: e se è così, sarei grato se qualcuno riuscisse a rintracciarla. Ma non escluderei che l’immagine dello scienziato gli derivi da quei film e telefilm di fantascienza – come il popolarissimo Star Trek – antecedenti al 1975, in cui l’idea di un cervello artificialmente stimolato da alieni o da uno scienziato pazzo era abbastanza coumune: mi ricordo di essere stato colpito io stesso dall’idea quando ero giovane, e ancora innocente di filosofia. In generale, mi sembra che Unger abbia una comprensione giusta dello scienziato maligno come il corrispettivo moderno del dèmone cartesiano. Correggerei forse la sua tendenza a parlare in modo generico del non sapere nulla riguardo al mondo esterno e sostituirei la tesi secondo cui, se non posso sapere che non c’è uno scienziato maligno, allora non posso sapere nulla riguardo alle cose su cui lui potrebbe trarmi in inganno. Perché potrebbe essere che ci siano cose riguardo al mondo esterno che possiamo sapere indipendentemente dal fatto che non sappiamo se esista o meno uno
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‘If someone knows that there are rocks, then that person can know that there is no evil scientist deceiving him into falsely believing that there are rocks’, P. Unger, Ignorance, Clarendon Press, Oxford, 1975, p. 7. ‘Nobody ever knows anything about the external world’, op. cit. p. 8.
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‘The same in form as the ‘evil demon’ argument in Descartes’ Meditations’, loc. cit.. ‘To pretend to be, a latter-day Descartes’, loc. cit. n. 2.
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scienziato maligno. Questo punto ha una certa importanza nella mia lettura di Cartesio e ci torneremo in sèguito. Ma per adesso voglio seguire le tracce etnografiche della consuetudine di invocare uno scienziato maligno al posto di un dèmone altrettanto maligno. Tra le persone ringraziate nel libro di Unger troviamo il nome di Hilary Putnam, da cui risaliamo direttamente o causalmente a Hilary Putnam stesso che, già nel 1977, assumeva il topos dello 6
scienziato pazzo come bersaglio polemico contro una versione dello scetticismo trascendentale . Quattro anni dopo, nel 1981, Putnam citava ancora il caso del cervello nella vasca stimolato dallo 7
scienziato maligno come ‘una possibilità fantascientifica discussa dai filosofi’ e nello stesso anno Robert Nozick identificava quasi naturalmente il problema dello scetticismo – quello trascendentale – con il caso del cervello nella vasca, a cui dedicava una cinquantina di pagine del suo libro 8
Spiegazioni filosofiche . Dal punto di vista etnografico, non è di poco conto che Putnam e Nozick fossero (fino alla morte di quest’ultimo qualche tempo fa) colleghi nel dipartimento di filosofia all’università di Harvard e che si ringrazino a vicenda per aver discusso o commentato in varia misura i reciproci lavori. A differenza di Unger, Putnam e Nozick interpretano l’apparente possibilità che siano cervelli in una vasca come una minaccia a cui devono rispondere. Mentre Unger accetta la conclusione che, se non so della non-esistenza dello scienziato, io non so nulla di tutte le cose su cui potrebbe trarmi in inganno, gli uomini di Harvard si sforzano di trovare una ragione per dimostrare che io non sono un cervello in una vasca stimolato ad aver credenze false da uno scienziato maligno. Per gli scopi di questo discorso, non è tanto importante esaminare in dettaglio come Putnam e Nozick hanno prospettato l’esclusione della possibilità fantascientifica, quanto il fatto che entrambi cerchino di escluderla. Basti per adesso dire che, per Putnam, la possibilità dello scienziato viene esclusa dal fatto che, se fossi un cervello nella vasca, il mio stato che sembrerebbe il pensiero che io sia un cervello nella vasca non avrebbe veramente il contenuto del pensiero che io sia un cervello nella vasca, e quindi, l’idea che lo sia non è coerentemente proponibile. Da canto suo, Nozick offre un ragionamento indiretto che sembra terminare con l’idea che, in effetti, io so (con enfasi
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H. Putnam ‘Realism and Reason’, Proceedings and Addresses of the American Philosophical Association, Vol 50, N° 6 (1977), pp. 483-98. 7 8
H. Putnam, Reason Truth and History, Cambridge University Press, Cambridge, 1981, p. 5. R. Nozick, Philosophical Explanations, Clarendon Press, Oxford, pp. 197-247.
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Mooreana) di non essere un cervello in una vasca perché, dopo tutto, io so, nell’esempio di Unger, che ci sono rocce. L’importante – anche se sono stato poco generoso con gli uomini di Harvard – è che entrambi condividono la seguente tesi: se la possibilità dello scienziato maligno e le sue vasche piene di cervelli non è esclusa, la conoscenza è in pericolo. Quindi, per rendere il mondo sicuro per la conoscenza, lo scienziato deve esser eliminato: bisogna, cioè, dimostrare o che non può esistere (Putnam) o che non esiste (Nozick). Dopo il 1981, cervelli-nella-vasca e scienziati maligni abbondano nella letteratura anglofona sulla teoria della conoscenza. E, riassumendo, osservo che ci sono tre tesi che sono ricorrenti e che sembrano formare un tutt’uno; queste tre tesi sono: (i) Le cose su cui uno scienziato maligno potrebbe trarrci in inganno sono oggetti potenziali di conoscenza, (ii) Almeno alcune di queste cose sono cose che possiamo conoscere o che effettivamente conosciamo, e (iii) Lo scienziato maligno non esiste o non può esistere
Se io fossi un vero etnografo, forse comincerei a sospettare la presenza di quello che gli antropologi chiamano un ‘cargo cult’. Con ‘cargo cult’ si riferisce all’abitudine, diffusa tra alcuni abitanti della Melanesia negli anni quaranta-cinquanta del novecento, di costruire strutture di rami e fogliame per terra che assomigliassero agli aeroplani degli americani, nella speranza così di accedere alle ricchezze degli americani stessi. La somiglianza superficiale tra le strutture primitive e gli aeroplani doveva comportare anche gli altri attributi degli americani, tra cui i beni materiali come la CocaCola e la musica swing. In questo senso, il ‘cargo cult’ filosofico ha fatto sì che, se i filosofi fanno, almeno in apparenza, ciò che si fa a Harvard, ciò comporterà diventare famosi e importanti come Putnam e Nozick. Perciò devono passare il tempo a costruire dei ragionamenti – o qualcosa che assomiglia a dei ragionamenti – per dimostrare che lo scienziato maligno non esiste o non può esistere, e che noi non siamo o non possiamo essere cervelli in una vasca. Mi soffermerò brevemente – agli scopi etnografici e anche per il massimo divertimento del maggior numero – su un paio di esempi dei modi in cui la possibilità dello scienziato maligno è stata adottata e discussa in modi più o meno consapevoli.
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Prendiamo il libro del 1985, più volte ristampato e diffusamente adottato nelle università inglesi, 9
di Jonathan Dancy dal titolo Introduction to Contemporary Epistemology . A pagina 10, Dancy introduce l’ipotesi del cervello-nella-vasca e alla pagina seguente lo collega alle considerazioni delle Meditazioni cartesiane sulla possibilità che io stia sognando – una confusione che, di nuovo, lascerei alla discussione. Dancy prosegue quindi suggerendo che potrebbe essere possibile sostenere una posizione anti-realista, secondo cui non c’è differenza effettiva tra l’esistenza e attività dello scienziato e l’ipotesi standard (cioè, che non ci sia), ma concede a pagina 20, in una terminologia intrisa del thatcherismo di quegli anni, che forse non siamo in grado di comprarci una via d’uscita generalizzata dallo scetticismo nel 10 mercato anti-realista, il prezzo sarebbe troppo alto .
Morale: se i conti non tornano, dobbiamo semplicemente mettere lo scetticismo da parte e non entrare in quel mercato. Di nuovo, nel suo libro del 1991, Consciousness Explained, Daniel Dennett saggiamente – ma forse con una certa forzatura del testo cartesiano – osserva che ‘Cartesio fu saggio nell’attribuire al 11
suo supposto dèmone maligno un potere infinito di illudere’ , e desume dall’enorme capacità computazionale che sarebbe necessaria per gestire l’esplosione combinatoria di informazione che ‘non siamo cervelli nella vasca’. Il che a me sembra significare che, per esprimere lo scetticismo trascendentale delle Meditazioni cartesiane, è meglio non parlare di scienziati maligni ma di dèmoni. Ma Dennett non prende i dèmoni sul serio, senza spiegare perché no. In modo simile, David Owens, nel suo Reason without Freedom del 2000, suppone che la questione del suo essere o meno un cervello in una vasca sia una questione che possiamo semplicemente lasciar cadere ‘perché non c’è ragione sufficiente [...] per indagare questa 12
possibilità, visti gli ovvi limiti di [...] tempo e di risorse cognitive’ . E qui, la conclusione sarebbe che noi filosofi non abbiamo tempo per problemi filosofici, ciò che sembrerebbe una facilitazione notevole dei nostri compiti professionali.
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J. Dancy, Introduction to Contemporary Epistemology, Basil Blackwell, Oxford, 1985. 10
‘We may be unable to buy our way generally out of scepticism in the anti-realist market; the cost would be too high’, op. cit. p. 20 11
‘Descartes was wise to endow his imagined evil demon with infinite powers’, D. Dennett, Consciousness Explained, Penguin, Harmondsworth, 1991, p. 6, corsivo originale. 12
‘Because there is insufficient reason [...] to look into this possibility, given obvious limitations on [...] time and cognitive resources’, D. Owens, Reason without Freedom, Routledge, Londra, 2000, p. 63.
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Il motivo per cui ho citato questi brevi esempi è che, in vari modi, illustrano quella che si potrebbe sintetizzare come una tendenza a de-filosofizzare il problema che Unger estrapolò da Cartesio, e che poi tradusse nel caso fantascientifico dello scienziato maligno. Per ‘de-filosofizzare’ intendo quella tendenza a identificare una sfida filosofica con i termini in cui è diventato consuetudine esprimerla per poi attaccare quei termini, invece di esplorare la sfida stessa. Non nego, ovviamente, che ci possano essere casi in cui un esempio malcostruito indichi di fatto la debolezza di ragionamento che lo sottende. Ma Unger a modo suo, così come Putnam e Nozick, hanno capito non solo quale tipo di sfida venga presentata o rappresentata dallo scienziato maligno, ma anche che quella sfida non è una questione di prezzi del mercato, né di potenza computazionale, né del tempo che abbiamo a disposizione. La figura del dèmone o dello scienziato esemplifica di fatto, per Cartesio, Unger, Putnam e Nozick, la sfida filosofica dello scetticismo trascendentale incarnato però in epoche diverse da figure ritenute equivalenti nonostante le diversità: è ovvio che in epoca moderna l’appello al dèmone risuona come una superstizione. La sostituzione dei topoi ha però anche l’effetto di modificare radicalmente il luogo su cui si esercita l’inganno maligno: per lo scienziato si tratta del cervello come oggetto fisico. È in questo senso che Unger può parlare di una sfida cartesiana ‘dei nostri giorni’. Il rapporto tra lo scienziato e il contentuto della vasca può fungere, per chi creda che il sito dell’esperienza sia il cervello, da immagine appropriata della generazione dell’esperienza per mezzi ‘scientificamente’ accettabili. Ma il problema è che, per il narratore delle Meditazioni cartesiane, soprattutto nel momento in cui ipotizza il dèmone maligno, non è affatto chiaro quale sia la sede della sua esperienza. In quel senso, in quanto oggetto fisico, il cervello è esterno a ciò che il narratore sta indagando, perché l’oggetto della sua indagine è la sua esperienza: gli stati in cui si trova o gli stati che trova in se stesso. L’essere un cervello in una vasca è un po’ diverso dall’essere incarnato nel modo in cui io mi credo incarnato, in cui ho non solo un cervello (sulla cui presenza nella mia testa nutro ogni tanto dei dubbi) ma anche un paio di braccia, un paio di gambe nonché altre membra più o meno indescrivibili. La differenza tra l’essere un cervello in una vasca e l’essere incarnato nel modo in cui io mi credo incorporato è, comunque, una differenza che possiamo definire solo quantitativa. Nel primo caso, ho solo un cervello; nell’altro, ho anche una serie di altre membra e organi. È vero che, nel caso in cui io sia incarnato solo in un cervello, tante delle mie credenze sul resto del mio corpo risulteranno false. Ma a me sembra che ci sia una differenza qualitativa tra l’essere in questo o quell’altro modo incarnato e l’essere nelle condizioni in cui il meditatore cartesiano si trova, cioè la
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condizione in cui l’oggetto della sua indagine non deve essere incarnato né in un cervello né in qualsiasi altro oggetto fisico. Nell’illustrazione che Unger offre della condizione cartesiana per far capire ai moderni l’estensione del dubbio trascendentale, rimane almeno una credenza non scalfita dalla possibilità che io sia un cervello – o qualche altro oggetto fisico – vittima di uno scienziato maligno. E questa sarebbe la credenza che qualche oggetto fisico stia subendo stimolazione per produrre le mie esperienze. Anzi, anche se il ragionamento di Putnam fosse condivisibile, e il rapporto causale con oggetti fisici fosse condizione necessaria del contenuto di un pensiero, il pensiero ‘qualche oggetto fisico sta subendo stimolazione’ sarebbe un pensiero con contenuto, e il contenuto sarebbe fornito dal fatto che il cervello nella vasca venga stimolato. In questo senso, l’ipotesi del cervello nella vasca e l’invocazione dello scienziato maligno non cattura appieno ciò che Cartesio dice, in parole chiarissime, sia l’oggetto del suo dubbio. Dice, in Meditazioni I, che, con un ragionamento analogo a quello sui sogni, anche le cose generali come gli 13
occhi, la testa, le mani e così via potrebbero essere immaginarie ; poi afferma, all’inizio di Meditazioni II, di essersi persuaso che non ci fosse assolutamente niente nel mondo: niente cielo, 14
niente terra, nessun[’altr]a mente e nessun corpo . E ancora più avanti, dice che eliminerà dai suoi pensieri tutte le immagini di cose corporee derivanti dai sensi [o] le reputerà vuote e false, senza 15
significato . Così, il narratore cartesiano non presuppone che la sua esperienza debba essere generata in un oggetto fisico, neanche in un cervello dentro o fuori da una vasca. Perciò, se il dèmone interferisce sul contenuto della sua esperienza, non deve necessariamente utilizzare i mezzi scientificamente accettabili di fili, elettrodi e computer, perché l’oggetto della sua interferenza potrebbe non essere un oggetto a cui sia possibile connettere direttamente quegli oggetti fisici. Potrei fermarmi qui, dicendo semplicemente che chi vuole capire l’ampiezza del dubbio cartesiano troverà che la sua illustrazione nei termini di uno scienziato maligno è restrittiva rispetto a ciò che ha in mente Cartesio: lo scetticismo veramente trascendentale si estende all’esistenza stessa dei corpi fisici e include cervelli e scienziati. Ma se mi fermassi, tralascerei un aspetto 13
‘Nec dispari ratione, quamvis etiam generali hæc, oculi, caput, manus et similia, immaginaria esse possent’, R. Cartesio, Meditationes de Prima Philosophia (1641), I, in Adam, C., and Tannery P., (a cura di) Œuvres de Descartes (12 voll, Parigi, Léopold Cerf, 1897 - 1913) edizione corretta con aggiunte di J. Beaude, P. Costabel et al., Vrin, Parigi, 1964-76 [AT], VII p. 20. 14
‘Mihi persuasi plane esse in mundo, nullum cœlum, nullam terram, nullas mentes, nulla corpora’, op. cit., II, AT VII p. 25. 15
‘Avocabo omnes sensus imagines etiam rerum corporalium omnes vel ex cogitatione mea delebo [vel] illas ut inanes et falsa nihili pendam’, op. cit., III, AT VII p. 34.
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importante dell’operato di coloro che, come Putnam e Nozick, hanno tentato di eliminare lo scienziato, inteso come surrogato del dèmone. Potrei invece proseguire offrendovi i miei sospetti su tutta la dinamica delle Meditazioni. Ma questo richiederebbe più tempo di quanto mi è concesso. Come compromesso, rilancio il discorso con un paio di commenti molto dogmatici sulle ipotesi scettiche nelle Meditazioni, per poi arrivare ad un nodo cruciale che, a mio avviso, è stato frainteso da una buona parte dei maggiori commentatori anglofoni (e non solo) degli ultimi decenni. Il primo commento dogmatico è il seguente. Nella terza meditazione, Cartesio interpreta l’ipotesi del dèmone come una minaccia più seria alla conoscenza rispetto all’ipotesi dei sogni. Il campo 16
d’azione del dèmone si estende anche alle cose più semplici dell’aritmetica e della geometria , che non sono state messe in dubbio dall’ipotesi del sogno. Questo significa che l’ipotesi del dèmone è una ragione per dubitare anche delle cose chiare e distinte per cui ho ogni altra ragione di non dubitare. L’altro commento dogmatico riguarda l’uscita di scena del dèmone nella seconda metà delle Meditazioni. Cartesio sembra convocarlo un’ultima volta quando parla di una forza potente e maligna che spesso riesce a illuderlo, anche se la definisce una ‘ragione molto tenua e per cosi dire 17
metafisica per dubitare’ . Ma, nel contesto della ricerca cartesiana, una ragione, pur tenue e metafisica, per dubitare, rimane una ragione per sospendere il giudizio sulle cose su cui l’ipotesi del dèmone suscita dubbi. Dopo di che, il dèmone scompare; cioè l’ipotesi della sua attività rimane inconfutata, a differenza di quanto avviene, anche se in modi fallimentari, per l’ipotesi dei sogni. Nonostante la loro dogmaticità, queste osservazioni ci propongono una visione molto sconcertante dell’operato di Cartesio. Se (i) l’ipotesi del dèmone è più forte dell’ipotesi dei sogni in quanto mette più credenze in dubbio; e (ii) l’ipotesi del dèmone rimane comunque vigente, allora l’esito sembra essere una vittoria totale per lo scetticismo trascendentale. E, sin dal seicento, come 18
documenta Richard Popkin , c’è stata un’interpretazione di Cartesio come ‘scettico suo malgrado’, come perdente nella battaglia per rendere il mondo sicuro per la conoscenza. Come dobbiamo reagire al fatto che Cartesio non faccia più riferimento all’ipotesi del dèmone dopo l’inizio di Meditazioni III? Ci sono fondamentalmente due modi di interpretare questo fatto. 16
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‘Cum circa res Arithmeticas vel Geometricas aliquid valde simplex et facile considerabam, ut quod duo et tria simul juncta sint quinque, vel similia, nunquid saltem illa satis perspicue intuebar, ut vera essere affirmarem?’, op. cit., III, AT VII pp. 35-6. ‘Valde tenuis et, ut ita loquar, Metaphysica dubitandi ratio’, op. cit. VII p. 36.
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R. Popkin, History of Scepticism, University of California Press, Berkeley CAL, (1960), aggiornato 1979, cap. X: ‘Sceptique malgré lui’ (titolo del capitolo).
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Da un lato, c’è l’interpretazione secondo cui ciò che Cartesio fa tra l’annuncio della ragione tenue e metafisica per dubitare a AT VII p. 36 e la fine dell’opera dimostra, tra le altre cose, che il dèmone – identificabile con la ragione di dubitare – non esiste. Chiamiamo questa posizione ‘incompatibilista’. Dall’altro, c’è l’interpretazione secondo cui ciò che Cartesio fa tra pagina 36 di AT VII e la fine dell’opera significa che la conoscenza è possibile anche se il dèmone esiste. E chiamiamo questa posizione ‘compatibilista’. Sostenere l’interpretazione incompatibilista corrisponde ad accettare che la reazione di quelli come Putnam e Nozick sia la reazione giusta alla minaccia rappresentata dal dèmone o dallo scienziato maligno. Se la reazione giusta alla minaccia del dèmone è quella di cercare di dimostrare che non esiste o che non può esistere, sembrerebbe caritatevole nei confronti di Cartesio attribuirgli una posizione incompatibilista per ciò che dice tra pagine 36 di AT VII e la fine dell’opera. Così, nel volume del 1952, New Studies in the Philosophy of Descartes Norman Kemp Smith scriveva che, questa ipotesi del dèmone maligno è stata dimostrata incompatibile con ciò che l’esperienza 19 immediata ci rivela, cioè l’esistenza e natura di Dio . L’anno seguente, Martial Gueroult pubblicava il suo Descartes selon l’ordre des raisons, uno dei pochi libri francesi di commento cartesiano ad essere tradotto in inglese (nel 1984), e ad aver 20
riscosso un grande successo tra gli studiosi anglofoni . Al momento chiave del testo, Gueroult parlava della ‘dimostrazione della veridicità divina distruggendo l’ipotesi del dèmone maligno alle 21
sue radici’ . Analogamente, Anthony Kenny nel suo agile volume del 1968 introduceva le sue considerazioni sulla coerenza dell’ipotesi del dèmone riferendosi alla ‘ragione che più avanti Cartesio offrirà per la sua confutazione, vale a dire, il fatto che sia incompatibile con l’esistenza di 22
un Dio veridico, benevolo e onnipotente’ .
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‘This hypothesis of an evil Genius has been shown to be inconsistent with what immediate experience discloses to us viz. the existence and nature of God’, N.K. Smith, New Studies in the Philosophy of Descartes, Macmillan, Londra, 1952, p. 289. Ad esempio, M. Grene imposta il suo libro Descartes, (Harvester, Brighton, 1985) sulla sua rilettura di Cartesio ispirata precisamente a Gueroult (lodato ad es. a p. 4) ‘La démonstration de la véracité divine, détruisant à sa racine l’hypothèse du Malin Génie’, M. Gueroult, Descartes selon l’ordre des raisons, (1953) (2 vols) 2nd ed., Aubier-Montaigne, Parigi, 1968, I, p. 287. ‘The reason Descartes later offers for its refutation, namely, that it is incompatible with the existence of a veracious, benevolent and omnipotent God’, A.J.P. Kenny, Descartes: a Study of his Philosophy, Random House, New York, 1968, p. 36.
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Alcuni commentatori, a partire da Lewis Beck, nel suo Metaphysics of Descartes del 1965
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e
poi Harry Frankfurt hanno identificato l’incompatibilità nell’idea che non potrebbero esistere due esseri onnipotenti, e ne deducono che ‘la dimostrazione dell’esistenza di Dio preclude l’esistenza 24
del Dèmone’ . Altri invece, come Bernard Williams, credono che la prova dell’inesistenza del dèmone consegua dal fatto che Dio non è ingannatore, per cui ‘il dèmone maligno che era suggerito 25
come causa universale dell’errore non esiste’ . Allo stesso modo, l’ex-allievo di Williams, Jorge Secada racconta come Cartesio esige che venga dimostrato, prima di qualsiasi pretesa alla conoscenza, che in effetti ci sia un vero Dio e non un onnipotente dèmone maligno, o almeno che il supposto ingannatore 26 non può esistere e che, quindi, la storia dello scettico è una fantasia incoerente Come vediamo, non c’è consenso totale tra gli incompatibilisti sul come Cartesio operi al fine di 27
precludere, confutare, escludere o distruggere l’ipotesi del dèmone maligno . E non sorprende che nessuno dei passi appena citati porti un rimando preciso al testo cartesiano per localizzare il momento della preclusione, confutazione, esclusione o distruzione. Ma resta un forte consenso sull’incompatibilità e purtroppo sembra un consenso tra saggi. Può anche darsi che ci siano delle incompatibilità tra l’esistenza del tipo di Dio per la cui esistenza Cartesio argomenta nella terza e nella quinta meditazione e l’esistenza di un dèmone maligno del tipo ipotizzato nella prima e nella seconda. Ma né nelle Meditazioni, né in qualsiasi altro testo pubblicato in AT troviamo un passo in cui Cartesio stesso offra una ragione per credere che i due esseri siano incompatibili. La mia proposta, forse un po’ provocatoria, è allora quella di provare a interpretare Cartesio in chiave compatibilista, sulla scorta di una serie di motivi che sottopongo alla vostra discussione.
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L.J. Beck, The Metaphysics of Descartes, Oxford University Press, Oxford, 1965, p. 142. 24
‘The proof that God exists precludes the existence of a Demon’, H.G. Frankfurt, Demons, Dreamers and Madmen, Bobbs-Merrill, Indianapolis, 1970, p. 175. 25
‘The malicious demon who was suggested as a universal cause of error does not exist’, B. Williams, Descartes: The Project of Pure Enquiry, Penguin, Harmondsworth, 1978, p. 163. 26
‘Descartes demands that it be proven, prior to any claims to knowledge, that in fact there is a true God and not an allpowerful malignant demon, or at the very least that the supposed deceiver cannot exist and that, therefore, the sceptic’s story is an incoherent fantasy’, J. Secada, Cartesian Metaphysics, Cambridge University Press, Cambridge, 2000, pp. 44-5. 27
Cfr. ‘the relation between God and the demon has been the subject of much scholarly controversy’, E. Curley (che sostiene la posizione di Kenny) in Descartes against the Skeptics, Basil Blackwell, Oxford, 1980, nota a p. 42.
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Primo motivo. L’esistenza del Diavolo era ed è una credenza – anzi una dottrina – che viene almeno presupposta in più di quaranta passi del Nuovo Testamento. Appare all’esordio del Vecchio Testamento e mette in moto la parte interessante della storia umana. Questo tema biblico è stato poi elaborato dalla Chiesa Cattolica in vari modi per spiegare la presenza del male e del peccato nel mondo. All’epoca dello stesso Cartesio, possiamo citare non solo la popolarità delle prime versioni tedesche e inglesi del mitema di Faust o il Paradiso perduto di John Milton (1667), ma anche lo studio accademico della demonologia all’interno delle facoltà di teologia e pubblicazioni come il Compendium maleficarum di Francesco Maria Guaccio, del 1626, che cercano di offrire una scienza dei vari tipi di dèmoni. Secondo motivo. Nonostante ciò che dicono Dennett, Beck e Frankfurt, non è chiaro che, nell’immaginare il suo dèmone, Cartesio ipotizzi un essere davvero onnipotente. Ricorre al superlativo quando parla di ‘qualche genio maligno di somma potenza e furbizia che mette tutta la 28
sua industria ad ingannarlo’ . Ma la somma potenza – anche la somma potenza computazionale – può essere somma senza necessariamente essere infinita. Penso a Bill Gates ad esempio. Dopo tutto, come appare nell’intervista con Burman del 1648, la malizia del dèmone risulta incompatibile con la sua infinita potenza (AT V p. 147). Di nuovo Bill Gates. Terzo motivo. Anche senza attribuire a Cartesio una forma di manicheismo, secondo cui ci sarebbe nel mondo un principio dell’oscurità pari al suo Dio veridico e benevolo, basterebbe un agente di sufficiente potenza e furbizia per ingannare una creatura così debole e credula come il narratore delle Meditazioni. Quarto motivo. Supponiamo che esista un ragionamento, del tipo formulato da Putnam o Nozick, che ci induce a credere che il dèmone non esista o non possa esistere. Ma un ragionamento simile sembra essere esattamente un mezzo adatto a trarmi in inganno. Se c’è la minima possibilità che un dèmone possa intervenire sulla mia ricezione dei ragionamenti e far sì che io formi una credenza falsa (ad esempio che ci siano rocce), Putnam e Nozick fanno il lavoro del diavolo nel cercare di convincerci dei loro ragionamenti. Anche il senso comune ci insegna che il più grande successo del diavolo è di averci convinti della sua inesistenza. Ma il motivo più elaborato ci è offerto dallo stesso Cartesio e dall’impianto logico delle Meditazioni.
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‘Supponam [...] genium aliquam malignum, eundemque summe potentem et callidum, omnem suam industriam in eo posuisse, ut me falleret’, R. Cartesio, Meditazioni, I, AT VII p. 22.
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Per togliersi ogni motivo di dubitare delle cose apparentemente chiare e distinte (come le cose facili e semplici di aritmetica e geometria), il narratore delle Meditazioni si promette di esaminare al 29
più presto la domanda, ‘se ci sia un Dio e, se c’è, se Egli possa essere un ingannatore’ . E si sa che procede in Meditazioni III cercando di stabilire due tesi: (A) Dio esiste; e (B) Dio non è un ingannatore Se Cartesio sia più o meno riuscito a stabilire queste due tesi è da tempo materia di un dibattito acceso e ancora aperto. La mia modesta opinione è che fallisca clamorosamente per quanto riguarda (A), ma che forse abbia ragione per quanto riguarda (B) con una formulazione condizionale del tipo ‘se Dio esiste, Egli non è un ingannatore’. Ma questo non è il punto. Il punto è che quelli che vogliono difendere l’incompatibilità tra l’esistenza di Dio e l’esistenza di un dèmone ingannatore devono trovare, o nelle Meditazioni o altrove negli scritti cartesiani, qualche sostegno per attribuire a Cartesio una terza tesi: (C) Non esiste un ingannatore. Ma dopo aver stabilito, in modi che ritiene soddisfacenti, le tesi (A) e (B), il narratore cartesiano non procede ad argomentare che ci sia qualche incompatibilità tra l’esistenza di Dio e l’esistenza del dèmone. Sarebbe inutile dire che (A) e (B) stabiliscono (C) perché, semplicemente, (A) e (B) non implicano (C); (C) non segue da (A) e (B); (A) e (B) lasciano aperta la domanda su (C), nello stesso modo in cui il fatto che io non sia francese lascia aperta la possibilità che esistano dei francesi. Non è caritatevole attribuire a Cartesio la tesi (C) in base al fatto che il ragionamento di Meditazioni III miri a stabilire (A) e (B) perché non è caritatevole attribuire ragionamenti ovviamente invalidi a meno che si abbiano forti ragioni per farlo. Nello stesso modo, sarebbe poco caritatevole attribuire alla mia compagna la credenza che non esistano francesi in base al fatto che io non sia francese; avrei bisogno di una forte ragione per una tale attribuzione. Nel caso cartesiano, non ho ancora visto una ragione forte – e neanche una debole – per farlo. In breve, se dobbiamo credere che Cartesio desumesse l’inesistenza del dèmone dall’esistenza di un Dio che non può essere ingannatore, sarebbe un non sequitur così sbalorditivo da giustificare quasi l’abbandono dello studio di Cartesio. Ma, a me sembra che Cartesio stesso non parli più del 29
‘Ut autem etiam illa [sc. ratio dubitandi] tollatur, quamprimum occurret occasio, examinar an sit Deus, et, si sit, an possit esse deceptor’, R. Cartesio, Meditazioni, III, AT VII p. 36.
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dèmone per un motivo molto elementare: e cioè che il dèmone non è più una minaccia alla conoscenza che conta veramente e a cui mira il suo progetto di ricerca, ossia come dice Cartesio all’inizio di Meditazioni I, alla conoscenza necessaria per ‘stabilire qualcosa di fermo e di durevole 30
nelle scienze’ . La conoscenza che conta per questi scopi è la conoscenza che viene garantita dal Dio veridico e benevolo. Il fatto che il Dio di Cartesio non m’inganna non significa che non posso essere ingannato, ma solo che Egli non m’inganna. Comunque, posso venire ingannato in tutte le credenze che non sono garantite dalla veridicità di Dio. Il problema per i commentatori analitici e i filosofi che si occupano del dèmone o dello scienziato maligno è che la classe delle credenze che, secondo Cartesio, sono garantite dalla veridicità di Dio non coincide con la classe delle credenze che quei commentatori e filosofi vorrebbero oggetto di conoscenza. La classe delle credenze che Cartesio individua come oggetti di conoscenza che conta viene definita in vari modi. Ma prendendo le formulazioni sparse negli scritti cartesiani possiamo dire che le credenze che Dio garantisce devono avere come minimo le seguenti caratteristiche. Sono le credenze costituite da idee chiare e distinte, che sono nozioni comuni o verità eterne, che io percepisco chiaramente e distintamente in un’intuizione o in un unico moto di cognizione, da cui fluisce una grande luce nell’intelletto, e a cui io liberamente e spontaneamente dò il mio assenso quando percepisco la loro chiarezza e distinzione. Credenze con queste caratteristiche sono abbastanza rare. E forse la classe è pressoché vuota. Ovviamente, Cartesio stesso credeva che, attraverso l’intuizione e quella che chiama la deduzione, questa classe potesse espandersi gradatamente. Ma nello stesso tempo, tutte le altre credenze, tra cui tutte quelle che mi provengono mediante qualsiasi processo non garantito da Dio, e perciò esposto all’interferenza del dèmone, sono tali per cui il dèmone potrebbe ingannarmi, e, se non so che non c’è un dèmone, non so neanche se egli m’inganni in proposito o meno. E, come abbiamo visto, non posso desumere l’inesistenza del dèmone dall’esistenza di un dio veridico e benevolo. Quindi non so se un dèmone m’inganni in proposito o meno. Di conseguenza non dovrei dipendere su tali credenze per stabilire qualcosa di stabile e di durevole nelle scienze. Traggo velocemente una morale che riguarda sia coloro tra i filosofi analitici che interpretano Cartesio come un loro antenato (‘il padre della filosofia moderna’) sia coloro che cercano di contrastare lo scetticismo trascendentale. Se una certa tradizione interpretativa ha sostenuto che Cartesio doveva aver escluso l’esistenza del dèmone per rendere il mondo sicuro per la conoscenza, la reazione giusta alla sfida cartesiana dei nostri giorni (proposta da Unger) non poteva che essere di 30
‘Aliquando firmum et mansurum [...] in scientias’, R. Cartesio, Meditazioni I, AT VII p. 17.
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una forma analoga: eliminare lo scienziato maligno. Ma ciò è avvenuto senza un Dio o qualche altra garanzia sicura. A mio avviso, un tentativo del genere è fallimentare in partenza – e forse lo è anche se uno cerca, come fece Cartesio, di passare attraverso un appello ad un Dio. E la ragione per cui è fallimentare è che la maggior parte dei filosofi analitici non sentono l’ossimoro nella frase ‘conoscenza empirica’: tutto ciò che è empirico può essere ingannevole; ma tutto ciò che è conoscenza non può esserlo. Se non è possibile precludere, confutare, escludere o distruggere l’ipotesi del dèmone maligno e neanche quella dello scienziato maligno, dobbiamo ammettere che lo scetticismo sia una dottrina vera per quanto riguarda la conoscenza empirica. Per questo, l’empirismo, come dottrina epistemologica, presenta una storia abbastanza scoraggiante di tentativi fallimentari di ‘confutare lo scettico’. Lo scettico si confuta da solo, ma questo non salva la conoscenza empirica. Concludo con una riflessione che sorge dall’asserzione di Immanuel Kant secondo cui rimane uno scandalo per la filosofia [...] che l’esistenza delle cose al di fuori di noi [...] deve essere accettata solo come fede, e che, se capita a qualcuno di dubitare della loro eistenza, non 31 siamo in grado di rispondere ai suoi dubbi con una prova soddisfacente
Confesso che la mia reazione a questa asserzione è di domandarmi perché si tratta di uno scandalo? La mancanza di una prova soddisfacente dell’esistenza delle cose al di fuori di noi non mi sembra un fatto più scandaloso di, ad esempio, la mancanza di una macchina per moto perpetuo, o l’introvabilità di un caffé assolutamente puro, o l’impossibilità di contare tutta la serie dei numeri cardinali a ritroso per arrivare a 3,2,1,0. In questi casi, abbiamo una fantasia non del tutto coerente di ciò che sarebbe una macchina per moto perpetuo, un caffé assolutamente puro o contare a partire dall’infinità. Il fatto che queste fantasie non saranno mai soddisfatta non mi sembra un buon motivo per essere scandalizzati. Riconosco che tentare di soddisfarle può produrre effetti collaterali, come la ruota di ruolette, o Nescafé, o la matematica transcardinale, che possono essere più o meno benefici. Nel caso dello scandalo kantiano, i tentativi di fornire una prova soddisfacente dell’esistenza delle cose al di fuori di noi – e penso nello specifico a quello di Moore nel suo ‘Proof of an External World’, che parte precisamente dal brano kantiano appena citato – non hanno prodotto benefici collaterali. Anzi, a mio avviso, sono serviti a nascondere il fatto basilare che
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‘So bleibt es immer ein Skandal der Philosophie [...], das Dasein der Dinge ausser uns [...] bloss auf Glauben annehmen zu müssen, und wenn es jemand einfällt es zu bezweifeln, ihm keinen genugtuenden Beweis entgegenstellen zu können’, I. Kant, Kritik der Reinen Vernunft, seconda edizione, J.F. Hartnock, Riga, 1787, p. xxxix, nota a.
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nessuna percezione porta su se stessa una garanzia di non essere stata manipolata dal dèmone cartesiano. E concludo con una domanda: perché mai dobbiamo aspettarci che le credenze che raccogliamo attraverso processi, come la percezione sensoriale, che sono esposti all’interferenza di un eventuale dèmone, debbano essere sicure nel modo in cui Cartesio esigeva che fossero i punti di partenza per la sua scienza? Quale garanzia abbiamo che il mondo sia sicuro per la conoscenza?
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Rimandi bibliografici L.J. Beck, The Metaphysics of Descartes, Oxford University Press, Oxford, 1965. R. Cartesio, Meditationes de Prima Philosophia (1641), in Adam, C., Tannery P., (a cura di) Œuvres de Descartes (12 voll., Léopold Cerf, Parigi, 1897 - 1913) edizione corretta con aggiunte di J. Beaude, P. Costabel et al., Vrin, Parigi, 1964-76 [AT]. E. Curley Descartes against the Skeptics, Basil Blackwell, Oxford, 1980. J. Dancy, Introduction to Contemporary Epistemology, Basil Blackwell, Oxford, 1985. D. Dennett, Consciousness Explained, Penguin, Harmondsworth, 1991. H.G. Frankfurt,. Demons, Dreamers and Madmen, Bobbs-Merrill, Indianapolis, 1970, M. Gueroult, Descartes selon l’ordre des raisons, (1953) (2 voll.) 2nd ed., Aubier-Montaigne, Parigi, 1968. I. Kant, Kritik der Reinen Vernunft, seconda edizione, J.F. Hartnock, Riga, 1787. A.J.P. Kenny, Descartes: a Study of his Philosophy, Random House, New York, 1968. G.E. Moore, ‘Proof of an External World’ (1939) ristampato nel suo Philosophical Papers, Allen & Unwin, Londra, 1959, pp. 127-50. R. Nozick, Philosophical Explanations, Clarendon Press, Oxford. D. Owens, Reason without Freedom, Routledge, Londra, 2000 R. Popkin, History of Scepticism, University of California Press, Berkeley CAL, (1960), aggiornato 1979 H. Putnam ‘Realism and Reason’, Proceedings and Addresses of the American Philosophical Association, Vol 50, N° 6 (1977), pp. 483-98. H. Putnam, Reason, Truth and History, Cambridge University Press, Cambridge, 1981. J. Secada, Cartesian Metaphysics, Cambridge University Press, Cambridge, 2000. N.K. Smith, New Studies in the Philosophy of Descartes, Macmillan, Londra, 1952, P. Unger, Ignorance, Clarendon Press, Oxford, 1975. B. Williams, Descartes: The Project of Pure Enquiry, Penguin, Harmondsworth, 1978.
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