Lezione 11 - La fotografia I mezzi di comunicazione tra tecnologia, cultura, società
Media è una parola entrata nel linguaggio comune italiano da una decina d’anni, ed ancora ci sono incertezze su cosa voglia dire esattamente. Cos’è esattamente un medium ? il medium è uno strumento che a differenza di quelli tecnici, che agiscono sulla materia inerte, agisce invece tra le persone ed è anche un modo di pensare; Pensiamo alla fotografia; è una tecnica, la scrittura per mezzo della luce, ma è anche un oggetto. Se diciamo la foto italiana dell’800 è un repertorio culturale. Tutte e tre le parole sono il significato reale del termine. La radio è un oggetto, una tecnica (quella di Marconi) ma anche una istituzione (la radio italiana dopo il ’75, con la riforma e la nuova legislazione). L’invenzione della foto e poi la decisone della Francia di acquistarne il brevetto e renderlo disponibile a livello internazionale, hanno cambiato l’intera storia della rappresentazione visiva. E’ il medium che permette, attraverso la luce e l’impronta che lascia su un supporto, di fissare l’immagine.
Il medium: uno strumento, un intermediario, un modo di pensare
Cosa vuol dire che la fotografia incide sulla nostra percezione del mondo ? La foto è un immagine che si presenta come qualcosa di più vero di qualunque ritratto pittorico, perché l’immagine è tracciata dalla luce stessa per mezzo della macchina. Perché essa ci sia, ci deve essere stato davanti alla macchina un oggetto da fotografare. Si possono creare molti più ritratti che in precedenza. È una grande novità, colta subito quando essa viene introdotta. Nel 1839 c’è il primo brevetto del dagherrotipo “Con il dagherrotipo, tutti potranno farsi fare un ritratto (un privilegio prima riservato ai potenti); e al tempo stesso, tutto viene fatto in modo da farci sembrare tutti eguali: cosicché, basterà un solo ritratto per tutti” (S. Kierkegaard, 1854): il danese Kierkegaard, si domanda se potrà mai una macchina produrre arte. E’ una democratizzazione del ritratto quella a cui ci si trovava di fronte, farsi fare un ritratto era più a buon mercato, questo fu uno dei grandi motori dello sviluppo della fotografia, accessibile anche ai ceti più bassi. La macchina standardizza, ha la potenza della produzione in serie, ma questa standardizzazione può essere anche un difetto. Un’amara e conservatrice constatazione quest’ultima, importante perché le ambivalenze della foto nella sua storia successiva sono fortemente legate a questo punto.
La fotografia: un’immagine fatta a macchina, un’immagine prospettica
Essa non è solo un’immagine fatta a macchina, ma anche un immagine dalle caratteristiche ben precise, è prospettica, rappresenta il mondo secondo le leggi della prospettiva. Trasforma la prospettiva da una tecnica pittorica ad una tecnologia incarnata dalla macchina stessa, fotografia come un’immagine che porta in sé l’idea di prospettiva, un’idea culturale ben precisa. Attraverso lenti viene imposta alla realtà quella rappresentazione che ll’occidente si era abituata a considerare vera grazie alla prospettiva. Il fotografo cinese cercava un obiettivo che riproducesse correttamente le immagini, secondo il suo punto di vista, così come erano abituati a concepire la realtà. Per i cinesi la foto rendeva la realtà lontana dalla loro cultura. Bisognava intervenire sull’immagine mediante una procedura falsante per noi, ma che per i cinesi aggiungeva verità, così che fossero leggibili come le immagini che essi erano abituati a vedere. “Se si permette alla fotografia di prendere il posto dell’arte in una qualunque delle sue funzioni, l’avrà ben presto soppiantata o corrotta del tutto, grazie all’alleanza naturale che troverà nella follia della moltitudine” (C. Baudelaire, 1859). Baudelaire temeva prendesse il posto dell’arte, che l’avrebbe soppiantata o corrotta del tutto; temeva inoltre la massificazione della foto, che proprio perché fatta a macchina potesse imporre una stessa visione a tutti e che la moltitudine ne fosse contenta; la criticava ma acconsentì al farsi fotografare. È una paura che ritornerà sempre, il timore che la macchina si allei con le grandi masse, contro la ricerca più avanzata e contro lo spirito.
Alle origini. “Uno specchio dotato di memoria”
La prima domanda era quella di avere tante fotografie che potessero dare alle persone la soddisfazione di essere ritratte, privilegio di cui in precedenza non potevano disporre, insieme a quello naturalmente di poterle regalare o scambiare. “La fotografia, presenza-feticcio universale del Ventesimo secolo, è il miglior surrogato della presenza reale: alter ego permanente, piccola presenza da tenere in tasca o in casa, splendida e tutelare. Le foto si possono accumulare, scambiare, conservare, riguardare” (E. Morin, 1956). Era un tipico regalo che nei ceti abbienti veniva fatto tra fidanzati, sostituendo quello tipico del periodo precedente, che era il piccolo contenitore contenente una ciocca di capelli del partner. In comune c’era un’immagine della persona che proveniva direttamente dal suo corpo, così come la ciocca nasceva direttamente da lei o da lui. La potenza della foto, come uno specchio la definiva Holmes, ma dotato di memoria. Quando gli studi fotografici incominciarono a produrre le carte da visita, la foto diventò qualcosa che si poteva scambiare, conservare e mantenere..
Diventarono strumenti d’identificazione, servivano ai fidanzati, ma diventavano anche la memoria pubblica delle istituzioni; di faccia e di profilo le persone arrestate. Diventa l’estensione della famiglia e delle persone (la nascita del primo figlio rappresenta il momento in cui si comprano più macchine o si scattano più foto), come nel caso del biglietto da visita; davanti abbiamo l’immagine del gruppo di famiglia e dietro il simbolo grafico dello studio che l’ha prodotta. Nasce così la fotografia come artigianato, come lavoro di qualcuno.
Tutti fotografi. “Tu premi il bottone, Kodak fa il resto”
Nel 1888 Eastman, un americano, lanciò le Kodak, una macchina dal nome strano che non significava niente, ma aveva solo un pregio, si poteva pronunciare in maniera identica in tantissime lingue. Fu una trovata di marketing assolutamente geniale, lo slogan era: “voi schiacciate il bottone, noi faremo il resto”. Quello che era un lavoro artigiano o un passatempo per dilettanti colti e danarosi, con studi di sviluppo casalingo, diventò un affare con nonché uno svago per gran parte della nazione. Si trattava di un consumo che si poteva estendere verso ceti sempre più larghi, se ne compravano molte di più; la tecnologia introdotta da Eastman era estremamente semplificata, basata sulla sostituzione della lastra di vetro con la pellicola. Senza di lui non ci sarebbe stato il cinema e neanche un’altra cosa fondamentale, l’istantanea, ovvero quella scattata sull’attimo. Ci furono conseguenze culturali e sociali. Le macchine fotografiche diventarono una delle chiavi del giornalismo moderno, affascinarono subito, già nella guerra di Crimea (1854-’55): la foto al servizio del Times di Londra. ma ci vollero mesi prima che gli inglesi le vedessero, ed ore per scattarle; occorreva un tempo di posa.
Dieci miliardi l’anno. La fotografia onnipresente
C’è poi la diffusione di massa della foto, all’interno della vita famigliare, non più un fatto quantitativo ma qualitativo. Non si usa più necessariamente solo x i ritratti con persone in posa, ferme, ma diventa uno strumento per rappresentare quella che sembra un verità più profonda, i comportamenti spontanei delle persone, quelli che il cinema ci ha insegnato ad osservare mentre avvengono in movimento. Benjamin, in uno studio sulla fotografia degli anni ’30: “State attenti, la foto vuole spontaneità”. Foto e cinema cercano l’inconscio ottico, cercano di carpire alle persone qualcosa che loro stessi non controllano, per mezzo della fissazione su pellicola: è l’inconsapevolezza ciò che cercano, in un secolo nel quale la maggior virtù è la spontaneità, l’autenticità, in cui il mettersi in posa è un termine negativo, appare sinonimo d’ipocrisia e falsità. Susan Sontag scrisse il galateo moderno, in cui si richiede sempre di far finta di non vedere che ti stanno fotografando.
Un click sul cellulare. Immagini fatte di bit
La foto digitale è diversa tecnicamente e culturalmente da tutte le fasi descritte fino ad ora, ma l’idea di foto che noi continuiamo ad usare è profondamente legata a quella radice. Tutti i media sono insieme oggetti, tecnologie, fatti culturali e modelli di percezione. Tutti, dai più antichi, parlando solo di quelli della civiltà industriale, ai più moderni, fissano in una serie di tecniche e fatti cultuali e attraverso quelle inquadrano e strutturano la nostra cultura.
Lezione 12 - Il telegrafo e i suoi figli In tempo reale: alla ricerca di una comunicazione istantanea
Telegrafo trasmette messaggi bidirezionali, tra diverse persone singole tramite linee punto a punto. 1839: Il telegrafo nasce nello stesso anno della fotografia, mentre il parlamento francese decide di acquistare il brevetto della foto, il congresso americano decide dare inizio ai lavori proposti da Samuel Morse, che certamente non è stato l’unico inventore del telegrafo: lui è quello che ha inventato un modello vincente. “Non occorrerà molto tempo prima che l'intera superficie di questo paese sia tutta attraversata da questi nervi che diffonderanno, alla velocità del pensiero, il sapere su tutto ciò che accade da un capo all'altro della nazione” (S. Morse, 1838). Si tratta di uno strumento non più a disposizione dello stato e del potere ma del pubblico, che necessita di una rete sicura per la trasmissione dei messaggi. Il primo media elettrico insomma, il sistema nervoso della nazione. Ha avuto implicazioni notevolissime sull’introduzione della rete di comunicazione elettrica; da sottolineare la cooperazione tra rete telegrafica e ferroviaria nell’imposizione di un orario unico alle nazioni, fino allo standard time, in inglese l’orario tipo, e alla nascita dei fusi orari. Tratteremo i dispacci di agenzia e il modo moderno di arrivare della notizia ai giornali e poi al grande pubblico.
Il grande legame degli spiriti: la posta diventa un bisogno sociale
Richiesta sociale del telegrafo perché si è sentito il bisogno di un sistema più efficace e a disposizione di tutti e non solo dei potenti, di trasferimento dei messaggi tra persone lontane. Gli antichissimi sistemi postali erano sistemi di privilegio del potere. 1839: nasce il francobollo, un medium non solo perché porta con se un messaggio, una scritta, ma anche perché serve a far circolare le immagini; con il sistema della raccolta, la rete postale diventa qualcosa di sicuro e funzionante
perché permette di far pagare la posta al mittente e solo al mittente, e perché permette di avere l’esatta certezza dell’introito che deriva per ogni lettera e cartolina. Con la nascita degli stati nazionali sarebbe diventato un autentico segno di appartenenza.Tutti pagano la stessa tariffa nello stesso paese.
Il telegrafo: il primo medium elettrico, il sistema nervoso della nazione
Il telegrafo è lo snodo che, per la prima volta, stacca il trasporto del messaggio da quello fisico degli oggetti. Prima gli stati, poi il mondo del commercio e del giornalismo, poi la popolazione sentono il bisogno di mandare messaggi istantanei o quasi. Nel passato (rivoluzione francese) c’era il telegrafo ottico dell’abate Claude Chappe, arrivato in Italia con Napoleone, le segnalazioni visive da una torre all’altra, con percorsi anche di centinaia di km, arrivava in 20 minuti da Parigi a Venezia, ma era impossibile da usare con la nebbia per esempio. Il telegrafo usa un canale, in assoluto il più veloce del mondo fisico, l’energia elettrica. Samuel Morse parlava di questo in quel messaggio del 1838 al Congresso americano, che favorì poi l’adozione del suo sistema e la creazione della linea Baltimora-Washington, che nel 1844 sancì l’inizio dell’era Morse. Assolutamente ottimistico sul futuro del media, fu il primo ad introdurre l’idea del telegrafo come legame di spiriti e non solo, come contatto continuo all’interno di un paese, con finalità politiche, statali, di affari ma anche personali: per darsi notizie in tempo reale a vicenda. Funzionava con un sistema di leve che permetteva di incidere, di punzonare, inviando degli impulsi elettrici che dall’altra parte funzionavano con la trascrizione, su un nastro di carta, dei segni corrispondenti ai messaggi. È basato sull’alfabeto Morse, un’idea rivoluzionaria di tradurre le lettere dell’alfabeto, che sono segni, in sistemi digitali basati sull’alternanza dell’impulso col mancato impulso, tra segni brevi e segni lunghi. Con una quarantina di segni diversi costruisce l’insieme di quelli necessari, lettere, numeri e interpunzioni. È il punto di partenza della comunicazione elettronica moderna, simultanea di quello che McLuhan avrebbe chiamato l’uomo elettrico. 1856: l’abate senese Giovanni Caselli avrebbe sviluppato l’invenzione del pantografo telegrafico o pantelegrafo: trasferisce le immagini, e nel 1857-‘58 trasferì il ritratto di Alessandro Volta. Introduce dunque il principio della scannerizzazione, della scansione delle immagini fatta con un sistema a pendolo che le leggeva come se fossero fatte di tante righe e di un’alternanza di bianchi e neri, tramite impulsi elettrici punto per punto. Il trasferimento dell’immagine poi con la telefonia, mediante il suono, rappresenta la continuazione diretta dell’idea della telegrafia.
Rete telegrafica, rete ferroviaria, orario unificato
Perché diventi a disposizione di tutti ci vuole la presenza di uffici su tutto il territorio. Negli U.S. nasce dal Congresso ma diventa ben presto un sistema privato, perché si diffonde con le ferrovia che a sua volta lo erano, a differenza dell’Europa dove diventa un sistema pubblico, una continuazione di quello postale. Tra queste due reti c’è un rapporto profondo, quasi un bisogno reciproco senza l’attuazione del quale sarebbe stato molto difficile l’avvento del mondo moderno. E’ un mezzo veloce ma anche pericoloso la ferrovia. Un treno se viaggiasse unico nella rete non avrebbe problemi, ma quando ce ne sono due è gia un grande problema, come evitarlo dunque? Con qualcosa di più veloce del treno, il mezzo telegrafico. Ognuno dei grandi sistemi di trasporto moderni ha bisogno di un mezzo di comunicazione almeno altrettanto veloce, navi e radio, treni e telegrafi e soprattutto gli aerei, come rete di aviazione civile e militare, non sarebbero potuti nascere senza la radio. Man mano che si costruiva un rete ferroviaria si posava un palo telegrafico, che aiutava le ferrovie perché portava da un punto all’atro le informazioni necessarie per il transito senza pericoli dei treni, e le reti elettriche, comprese quelle sottomarine posate verso la metà dell’800 da Werner von Siemens tra gengiuzva e Sardegna, tutte queste reti hanno un livello di velocità che è quasi corrispondente alla simultaneità assoluta. A questo punto veniva reso possibile il senso di vivere nella stessa ora del giorno in luoghi lontani come Parigi e San Pietroburgo o addirittura New York, ma l’ora non era la stessa e dunque ci si pose il problema se fosse necessario un sistema di comparazione precisa delle ore in luoghi lontani. La rete ferroviaria era un sistema di trasporto veloce che richiedeva la puntualità, per cui aveva bisogno di un’ora nazionale unificata; così nacque il movimento per l’unificazione e la standardizzazione dell’orario. Da allora viviamo in un mondo che si sente unificato a livello planetario. La popolazione poco sapeva dei fusi orari, ma sapeva di aver bisogno di tanti uffici postali e telegrafici. La Western Union negli U.S. ebbe il monopolio della telegrafia, degli uffici sparsi sul territorio dai quali mandare telegrammi. Poi sarebbe stato risolto il problema col telefono. Si dovevano contare le parole perché il telegrafo introdusse anche una tariffa. Il mezzo interpersonale come la posta ad esempio, che si fa pagare dal mittente, deve stabilire un criterio con cui far pagare i msg, criterio basato sul peso della lettera e la distanza dalla quale proviene. Il telefono utilizza un criterio basato sull’orario mentre il telegrafo ne stabilisce uno che è quello delle parole. il telegrafista è una sorta di intermediario ulteriore tra le due persone che comunicano. C’è il messaggio, il mezzo telegrafico, la rete elettrica che lo trasporta e la telegrafista che conta le parole e dunque deve legger il messaggio. Uno dei grandi bisogni che i sistemi politici affrontano è la questione della riservatezza del messaggio. Interessa meno alla Russia degli zar, agli stati totalitari, ma molto alle crescenti democrazie, che hanno garantito una serie di libertà.
La riservatezza della posta è garantita dalla busta chiusa, mentre nel telegramma è garantita da un obbligo personale del telegrafista obbligato a non divulgare ciò che è scritto nella lettera. Il pubblico è un po’ diffidente ma diventa un problema fondamentale nell’ambito della legislazione sulla privacy.
I dispacci di agenzia e la nascita della notizia
Il telegrafista più veloce si vantava di esserlo Tomas Edison, prima di cominciare la sua nuova carriera. A lui è legata la storia del fonografo, del telefono e di successivi media come anche in parte il cinema, eppure cominciò come un semplicissimo telegrafista e si vantava della sua abilità pratica di telegrafare velocemente, perché si sosteneva fosse parte del suo prendere confidenza con l’elettricità.
A Wall Street (il tickertape, segno di una globalizzazione resa possibile dal telegrafo) si poteva comprare in tempo reale merci dalla borsa a Chicago e vendere poi alle borse europee, poi con le navi le merci sarebbero arrivate dopo mesi. “Uno dei modi per rendersi conto del passaggio dall'era meccanica all'era elettrica consiste nel notare la differenza d'impaginazione tra un giornale 'letterario' e un giornale 'telegrafico'. E' la differenza tra una serie di rubriche che espongono altrettanti punti di vista e un mosaico di frammenti senza alcun rapporto tra loro in un campo unificato da una data” (Marshall McLuhan, 1964). Il giornale acquisisce la sua struttura a mosaico di insieme di notizie, che avranno titoli da telegramma del tipo: “firmato accordo tra Russia ed America”. Diventa la forma della notizia e lo resterà per molto una volta sparito; il telegrafo parlante, ovvero il telefono, la telescrivente, gli strumenti meno costosi telematici sembreranno averlo sostituito del tutto.
Il telegramma: una tecnologia obsoleta, un medium che non muore
Il messaggio telegrafico sembrerà morto o superato, ma i media è difficile che muoiano del tutto. Il telegrafo come mezzo è obsoleto, oramai le poste usano le telescriventi o i computer, ma c’è ancora (l’Italia ha il primato nel loro traffico in Europa). Conserva la solennità, la drammaticità del suo arrivo; da strumento di comunicazione veloce e solenne ha cambiato finalità, anche se non in natura perché è diventato un mezzo di comunicazione legato ai riti come il matrimonio, il battesimo e le nascite.
Lezione 13 - Dal fonografo all’ MP3 Fermare i suoni: un sogno antico
Per millenni l’umanità non ha avuto a disposizione strumenti per fissare i suoni, le parole, la musica e il canto. Si è potuto solo introdurre la scrittura come modo per far corrispondere dei segni a dei suoni, che sarebbero stati in seguito pronunciati. Dalla scrittura alla notazione musicale, fissare i suoni che più si sarebbero potuti produrre attraverso uno strumento o cantare. “Prima, non ci era possibile ascoltare una certa musica all'ora che volevamo, e quando più ci aggradava. Per ascoltarla, dovevamo adattarci a un'occasione, un luogo, una data e un programma. Quante circostanze dovevano verificarsi tutte insieme!” (P. Valéry, 1928). La stenografia (inventata da Tirone, il liberto di Cicerone) è una tecnica per scrivere a velocità tale da poter riprodurre parola dopo parola quello che viene detto; ma solo parole dopo parole appunto, senza pause, intonazioni ecc. Anche la scrittura musicale non ci può dare un’idea di come un pezzo sia stato eseguito da un musicista scomparso.
“Mary aveva un agnellino”: il fonografo come strumento di lavoro e intrattenimento
Fotografia e fonografia, una sorta di fotografia della voce. Il primo ad arrivarci è il solito Edison. Era un po’ sordo, ma aveva una certa passione per la musica quando fece una sperimentazione finita del suo fonografo, fissando su di un cilindro di cera i suoni. La prima cosa che registrò fu la canzoncina “Mary aveva un agnellino”. Inizialmente pensava non dovesse servire per la musica, utilità frivola, bensì prima di tutto alla lettura di messaggi da parte di uomini d’affari o addirittura, occupandosi del telefono nello stesso periodo, pensava ad una specie di segreteria telefonica. Quando arrivò la domanda di musica registrata, fu ad un livello tale da sorprendere lo stesso Edison. Quasi nessuno si poteva permettere di averlo in casa, ma ebbe la geniale idea di metterlo nei bar, in modo che si potesse ascoltare con una monetina la canzone preferita.
Il disco: una nuova industria e un nuovo consumo
Coi suoi rulli ebbe un successo limitato, ma introdusse un cambiamento fondamentale. Il problema del cilindro era la difficoltà nel produrlo, e che si perdeva qualità. Berliner inventò poi il grammofono, diverso dal fonografo, leggeva le incisioni su un disco; nacque la possibilità di stampare il disco tramite matrice, nasceva la discografia, nuova forma di editoria che invece di riprodurre parole, riproduceva suoni. Rese possibile la riproduzione del suono anche in famiglie di reddito medio e fece del disco più che una semplice curiosità. Un problema fondamentale di tutte le tecnologie legate al suono è quello dell’ amplificazione. Era un’amplificazione meccanica, la tromba del grammofono era l’equivalente del megafono; poi dai primi anni del ‘900 arrivò la valvola, il triodo, un’ amplificatore elettronico: fu l’ingresso dell’elettronica nell’industria della comunicazione, avrebbe
cambiato tutto perché avrebbe permesso di regolare il volume del grammofono e successivamente della radio. Ci si pone il problema di non incidere tutto in una stessa sessione e di trovare un sistema più semplice ed operativo di registrazione dei suoni, che permetta non solo di fissarli ma anche di montarli. 1910: Paulsen, un danese, creò il magnetofono a filo di acciaio, la prima applicazione del magnetismo al suono (ci lavorava dal 1889); poi si introdussero i nastri, più simili alle pellicole cinematografiche. Arrivò in Italia nel ‘35 il nastro tedesco, fatto di acciaio e il cui montaggio era fatto col saldatore. Poi arrivarono dagli U.S. alcuni più semplici, col nastro plastico, più facile da tagliare, questo dopo la guerra. L’applicazione all’industria discografica richiederà del tempo. Facevano i 78 giri al minuto, questa è la formula; gira anche sul grammofono e contengono su ogni facciata 3, o 4 minuti di suoni. Grazie ai 78 e ai 45 arriva la lunghezza standard della canzone, una delle lunghezze standard delle culture di massa. I dischi si consumavano rapidamente, così come le puntine metalliche, ed anche la macchina si usurava rapidamente per la meccanica difettosa. Portò alcune abitudini come il cominciare a ballare in casa, introdusse l’industria discografica. Uno dei più grandi compositori del ‘900, B. Bartòk, faceva constatazioni amare, diceva sostanzialmente che il mercato dei dischi si stava dividendo in due, da una parte la musica leggera, fatta di canzoni e di ballabili e che serviva da intrattenimento fondamentalmente, e dall’atra quella classica; troppo riduttiva l’una, musica seria e colta l’altra, che nessuno osa chiamare pesante.
Nuovi suoni, nuove voci: il tempo del rock
Il mercato della musica leggera diventa relativamente autonomo, fatto di case discografiche, di produttori e soprattutto di cantanti. Abbiamo due novità profonde e radicali, la musica leggera diventa un moda, ha il ciclo di vita povero ma redditizio delle mode. Era cominciato già alla fine dell’800 con il ballo, e con la forma assai diffusa della canzonetta, ma col disco diventa una vera e propria industria; si pensi ai festival, che come le sfilate lanciano le nuove canzoni e i cantanti. Il cantante moderno non c’è più bisogno che abbia la voce impostata liricamente che si senta in tutto il teatro; col disco si ascolta da vicino la voce, anche non potente può essere piacevole da ascoltare. Già a partire dagli anni ‘30 è la scoperta che viene fatta quando il mercato lancia accanto ai dischi di Beniamino Gigli, quelli di cantanti meno famosi e meno potenti, come voci che diventeranno più famose ed importanti (De Sica, aveva una voce intonata ma non di grosso spessore, e portò al successo “Parlami d’amore Mariù”). La grande rivoluzione fatta da Elvis Presley , con la chitarra acustica (poi arrivò l’ elettrica, la Fender Stratocaster); egli fu il primo con “Love me tender” a far sentire non solo la sua voce come se fosse sussurrata, ma tutta la sua intensità fisica, che letteralmente si fa sentire come se stesse appoggiando il labbro all’orecchio che l’ascolta. È molto di più in quel modo di cantare che non nei suoi movimenti di fianchi questo elemento sensuale e quasi erotico del rock’n roll. La prima rivoluzione fu il rock, una musica che divideva tra loro le generazioni, si imponeva come ribelle e trasgressiva e che aveva bisogno del supporto del disco a microsolco per circolare. La voce assume una funzione di divismo più della stessa immagine, sebbene certi pubblicitari non se ne rendano conto. Il rock diventa motivo di preoccupazione per le generazioni più vecchie. Il disco portò con sé cambiamenti molto forti dal punto di vista del costume, anche nell’abbigliamento dei cambiamenti di stili innovativi. Poi arrivò anche la musica stereo, cioè la possibilità di ascoltare la canzone da 2 diverse casse, che si dividono il suono e danno l’impressione di essere in un ambiente che ci circonda completamente di suono. 1882: Clément Ader, un inventore francese, fornì l’idea di dare due microfoni su un palco e di mandarli in due cuffie diverse alle orecchie degli abbonati al tel. Le invenzioni non sono necessariamente nuove. Diventò di moda negli anni ’60, perché l’industria voleva lanciare un prodotto nuovo che conquistasse il mercato con lo stereo. La quadrifonia non è mai andata oltre lo stadio della vendita agli appassionati più estremi, mentre la stereofonia aveva quel fatto di riempire l’intero ambiente coi suoni, che colpì l’utenza del tempo. Con la potenza delle casse lo stereo riempie l’intero ambiente di musica. E’ l’imporsi della cultura nel mondo moderno, la musica non è più solo un messaggio che ci arriva da un parte, ma un qualcosa che possiamo sentire quando vogliamo ed entra a far parte dell’ambiente in cui viviamo, stiamo dentro la sua scia e non l’ascoltiamo semplicemente. La musica di massa in termini di numero va totalmente individualizzata in termini di consumo. Chi ne fruisce trasforma l’opera, perché può interromperla, abbassare il volume, alzarlo, trasforma la relazione con la musica da artistica in ambientale, non è più soltanto un’opera d’arte, ma ambiente stesso nel quale viviamo. Produzione e riproduzione della musica non sono più la stessa cosa. Prima erano basate sul fatto che un gruppo di persone eseguissero un opera davanti a uno o un gruppo di microfoni, eseguendo dal vivo e mettendola a disposizione del pubblico. Il multipiste del nastro magnetico da la possibilità di fissare la musica tramite l’opera di un montatore di suoni, che a partire da quello che l’individuo ha cantato o suonato, costruisce un prodotto finito. I primi ad usare massicciamente la tecnica sono i Beatles. I cosiddetti “5 Beatles”, perché George Martin, il loro arrangiatore e
compositore di fiducia sperimentò con loro queste tecniche tramite canzoni che contenevano una serie di effetti sonori . I dischi non sono più solo la traduzione in un supporto stabile, editoriale di qualche musica che è stata eseguita davanti a un microfono, ma un prodotto costruito in studio.
Un muro di suoni: la cassetta e il walkman
Altre cose sono cambiate, vi è l’introduzione della musicassetta, prodotto altrettanto semplice, la semplificazione dell’uso del nastro magnetico. Ci dice qualcosa sull’aspetto della “user friendly”. Perché si diffonde di più del vecchio nastro aperto? Ci volevano operazioni complesse per il vecchio; la cassetta invece viene appoggiata e poi tutte le strade che segue sono già previste dalla macchina. È la semplificazione dell’uso, la musicassetta diventa standard di certe case e bisogna avere la licenza da queste per produrre. Viene lanciato i walkman, il lettore di cassette mobile, parallelamente alla radio a transistor, è ciò che rende possibile ascoltare la musica in giro, è una sorta di bolla che ci avvolge mentre camminiamo: vuol dire che l’ambiente dove viene messa siamo noi stessi, ovvero il piccolo mondo che ci circonda, non solo strumento di condivisione sociale, ma anche di autodifesa ed isolamento.
Suoni digitali, suoni simulati: dal CD alla rete
Ad un certo punto cominciano ad apparire superati, perché analogici, basati sulla pura e semplice cattura dal mondo reale di impulsi e poi sul trasferimento su supporto. Con la diffusone di massa dell’informatica è possibile introdurre qualcos’altro. È il primo meccanismo digitale, non è un caso che si sia cominciato dalla musica; si tratta di prodotto tradotto in un codice numerico, che viene letto ed interpretato da un computer, inserito in una macchina ricevitrice, cioè può essere letto solo dalla macchina. In quest’epoca ogni apparecchio che ci fa leggere un segnale è un computer che traduce un linguaggio. Il CD completa l’opera. Il lettore di compact disc ha modificato radicalmente la nostra relazione con i suoni, perché ci ha insegnato che uno stesso supporto può contenere anche dati, siamo in un’epoca in cui la musica viene letta dalla stessa macchina che legge altri tipi di messaggi; questi diventano intercambiabili con altri. La musica non solo può essere scaricata massicciamente dalla rete, ma può anche essere ampliata direttamente dall’ascoltatore, il quale può modificare elettronicamente le fonti in entrata, creando effetti mai visti, può campionare la vecchia per crearne nuova. Ne nasce non solo il problema a giuridico di evitare la pirateria, ma anche quello di concepire diversamente il messaggio musicale, che cambia ogni volta che lo si ascolta. Dal fissare dunque i suoni, al potere dell’ascoltatore.
Lezione 14 - Il telefono 1968: primo saggio di sociologia sul telefono.
Il telegrafo parlante: dagli uffici alle case
La sua storia comincia con una battaglia legale, il primo ad arrivarci fu Meucci, che ottenne un prebrevetto, ovvero una dichiarazione che poi non ebbe i soldi per rinnovare. A differenza di ore si presentarono due altri personaggi e il secondo di questi si fece riconoscere come inventore del telefono, da cui poi prese nome: Alexander Graham Bell. Si chiama Bell la prima grande rete telefonica americana, con il nome del suo inventore o presunto tale. Un telegrafo, che comunicava con la parola detta e non solo scritta. Commutazione è un concetto chiave della rete telefonica, si tratta della possibilità di raggiungere da uno tanti apparecchi diversi tramite un centralino.
Galateo telefonico: un medium invadente
Galateo telefonico: anche nei libri di buona educazione venne elevato questo apparecchio, che portava direttamente gli altri in casa. La vicinanza della voce ma l’assenza della persona in carne ed ossa. I cambiamenti sistema tra gli anni ‘60 e i ’70, con la moltiplicazione degli apparecchi e l’aggiunta del fax, della segreteria telefonica fino al PC. Con la rete cellulare abbiamo un’identità personale che corrisponde ad un numero telefonico. Oggi il telefono e il computer sono due strumenti intercambiabili, il nostro tel. è un computer e tutti gli apparecchi sono di telecomunicazione e apparecchi telefonici. In un documento del 1878 Bell spiegava agli azionisti della Bell Telephone Company le potenzialità dell’apparecchio appena brevettato; riteneva che occorresse per trasmetterla un apparato articolato e complesso, come i cavi che percorrevano la città. La rete elettrica fu la prima delle reti moderne, che arrivavano non solo nelle città ma anche nelle case degli abbonati. Poteva essere usato soprattutto come collegamento ai servizi significativi e non solo per le conversazioni private. All’inizio la sua compagnia ebbe l’idea di far pagare un canone una volta per tutte e non le telefonate per quantità di tempo. L’idea era che il tel. si dovesse avere o non avere. Poi con la tariffa le compagnie hanno cercato di far
sviluppare al massimo le conversazioni; perché da una casa all’altra avessero una funzionalità e fossero redditizie ci vollero diversi passaggi. In primis dal collegamento fra due apparecchi telefonici si passò all’idea di una centrale telefonica. Assomigliava più a un citofono il primo tel. In secondo luogo si pensò di creare apparecchi un po’ più amichevoli per l’utente. I primi avevano un apparecchio acustico e un microfono separato inventato da Edison e non da Bell. Questo apparecchio diede poi vita a quelli compatti ed unitari, la cornetta telefonica, che è un terminale telefonico che contiene sia il microfono sia il ricevitore, sono posti nello stesso oggetto fisico e posti ad una distanza pensata per poter andare uno vicino alla bocca e l’altro all’orecchio.
La commutazione: tutti connessi
La commutazione è stata un’altra grande rivoluzione negli anni ’30. Come funzionava all’epoca della centralinista ? Un signore chiede la linea, una signora/ina attraverso un jack connette manualmente l’apparecchio a quello cui desidera essere collegato l’utente ed attraverso una piccola scarica elettrica si produce il tipico effetto dello squillo. In questo modo noi abbiamo la possibilità di collegare tanti apparecchi a tanti altri diversi, ma rimane per molti decenni manuale e sono necessari i centralinisti che devono non solo parlare con chi vuole la comunicazione e dare un numero, ma devono anche ascoltare per qualche attimo la conversazione per vedere se è andata a buon fine. Il problema essenziale fu quello della riservatezza; come garantire in una rete complicata, a rischio continuo di interferenze, che non venisse violata la riservatezza di chi telefonava, molto più essenziale di quella del telegramma ? Al tel. si fanno conversazioni molto più compromettenti per la loro immediatezza. 1893: l’americano Strowger inventa la commutazione automatica attuale.
Un apparecchio per ciascuno, tanti apparecchi per una presa
Fu abbastanza lento il processo, come quello del cellulare all’inizio, che riuscì ad imporsi solo nei giornali e nelle case dell’alta borghesia. Il telefono è un grande lusso. Integrazione dell’attività della rete elettrica con quella della rete telefonica, l’abajour e il telefono arrivano insieme nelle case, abbiamo con loro una casa collegata da e connessa a queste reti fondamentali. Le forme d’energia dunque, come l’acqua, il gas (che prima serviva ad illuminare e poi a riscaldare), l’elettricità (che servì prima ad illuminare e poi diventò strumento per tutti gli elettrodomestici) e accanto a loro il telefono, che diventava la connessione della casa con il mondo. Fu un modello che si diffuse tuttavia con lentezza all’inizio. Solo in seguito uno dei più grandi studiosi di comunicazione telefonica, si presentava alle elezioni con un tel. e diceva: “chi è il cretino che ha comprato il primo telefono ?” Ha senso solo se collegato con altri apparecchi infatti. Già negli anni ‘20 del ‘900, perfino nelle zone rurali degli Usa. In Europa si è diffuso in modo diseguale, solo Germania ed Inghilterra erano paragonabili agli Usa. Negli anni ‘30 lì era un lusso, i film in cui apparivano gli apparecchi bianchi parlavano di altissima borghesia. In Italia si diffusero negli anni ‘50 e ‘60 e in Francia ancora dopo, solo negli anni ’70; in Europa orientale e nel Terzo mondo paradossalmente il cellulare si è diffuso prima di quello fisso, perché la rete da installare era meno costosa.
A distanza di voce
Dopo aver combattuto l’uso privato le compagnie si resero conto che era il caso di incoraggiare l’uso personale; lo fecero prima la Bell e poi le atre compagnie europee, spingendo per un uso massiccio dell’apparecchio (Marlene Dietrich, si faceva rappresentare nella sua soffitta preferita, sdraiata sul letto a telefonare). Non più telegrafo parlante ma apparecchio della vita privata, strumento intimo, che ci mette in comunicazione per via vocale. Ci sentiamo anche più liberi di dire ciò che abbiamo in mente, è un forma peculiare d’intimità privata; dalla parte fondamentale del rapporto il vedersi, il potersi toccare è favorito dalla deresponsabilizzazione. Il telefono non è solo un mezzo di comunicazione ma un tramite di relazione, che tra l’altro abbatte barriere tradizionalmente molto solide e forti. Intere reti di persone tenute insieme più dagli apparecchi che dalla frequentazione “de visu”, queste comunità hanno sempre una sorta di sospetto, di artificialità, insicurezza, mancanza di un fondamento che è solo immaginario. Con la moltiplicazione dei telefoni e delle loro funzioni, soprattutto con l’avvento del cellulare, si moltiplicherà questa sensazione. Per le comunità giovanili il cellulare ha una funzione maggiore dei computer. Nasce il problema di che ruolo abbia, nella vita delle istituzioni, il linguaggio del telefono. La diffusione di mezzi come questi, gli sms e la posta elettronica, pare abbia creato una disintermediazione, abbia connesso più rapidamente le persone, permettendo loro di saltare la mediazione delle istituzioni, è una sorta di rivoluzione democratica. Adorno, il grande critico della cultura di massa e delle potenzialità dittatoriali dei moderni media, diceva che il tel. è più liberale della radio, ma bisogna essere più critici. Di certo crea quella che si chiama una rete bidirezionale ed orizzontale, mette in relazione attraverso la possibilità di scambiarsi messaggi, ma la disintermediazione può creare lo sviluppo di canali più autoritari e manipolatori di quelli di prima, possono prestarsi a forme di autoritarismo
moderno altrettanto pernicioso. “Il telefono, la telescrivente e il telegrafo resero possibile che ordini da più alti livelli venissero impartiti direttamente ai più bassi livelli. A causa dell’assoluta autorità alle loro spalle, essi erano eseguiti acriticamente. Prima, le dittature avevano bisogno di collaboratori di alta qualità anche ai livelli bassi della dirigenza. Nell’era della tecnica si sviluppa un nuovo tipo di uomo: l’acritico ricevitore di ordini.” (A. Speer, Processo di Norimberga, 1945).
Il numero d’identità
Il telefono si diffonde maggiormente nell’Europa occidentale, dagli anni ‘70 diventa un sistema elettronico, nascono centraline capaci di portare messaggi e servizi di diverso genere (informazioni sull’elenco degli abbonati, ma anche su dove andare a cena). Con la rete elettronica è tutto il sistema dei collegamenti telefonici che si articola in modo maggiore. È una rete ancora a stella, c’è una centrale fondamentale che poi manda e riceve i suoi segnali da centraline più periferiche fino all’ultimo miglio, che porta i messaggi alle case degli abbonati. Questo è un tipo di rete dove l’informatizzazione diventa sempre meno importante. Ognuna delle microcentraline può diventare un apparecchio in grado di gestire da solo un numero elevato di messaggi più di una vecchia centralina. Si usa per liberare dalla vulnerabilità di un sistema troppo centralizzato ed è un metodo inventato durante la guerra fredda. In un sistema autonomo, ognuno dei sui nodi può diventare centro della rete.
Scrivere al telefono, parlare al computer
L’uso è cambiato progressivamente nel corso degli anni, è diventato una macchina sempre più personale, intima, di relazione rispetto alla prima fase del telegrafo. Il telefono non ci serve più soltanto per parlare ma anche per tenerci in contatto, e questo è tanto più evidente se si prende in considerazione il cellulare, un apparecchio che ci accompagna in ogni momento fino a diventare troppo invadente; è un computer che ci permette non solo di ricevere e mandare messaggi vocali, ma anche scritti ed immagini, una serie di filmini che amplificano enormemente la vecchia idea di telefono. L’onnipresenza degli altri nella vita delle persone causa problemi di riservatezza. La rete telefonica è diventata un connettore universale; parliamo dei tel. cellulari perché il celo sopra di noi si divide in tante celle che ci permettono di collegarci continuamente con gli altri, siamo sempre connessi assieme, siamo sempre al telefono anche quando non ce ne rendiamo conto.
Lezione 15 - Il cinema E’ il mezzo di comunicazione del ‘900.
Dal cinetoscopio al cinema
Siamo abituati a collegarlo con la presenza dello schermo, ma questo fu solo un passaggio; nasce come pura e semplice fotografia in movimento. Una volta nata la Kodak, alla portata di tutti ed a un prezzo relativamente basso, si può utilizzare la pellicola come base per registrare le immagini. È la nascita delle pellicole che permette di coltivare un sogno antico, quello della fotografia in movimento. Diversi fotografi avevano dato vita alla cronofotografia o al “fucile fotografico”, che servivano ad effettuare riprese di immagine a ripetizione, a poca distanza l’una dall’altra. Con le istantanee al di sotto del decimo di secondo, il tempo minimo necessario all’occhio umano per fissare immagini nella continuità del movimento, ad opera di un gallese. Su questa base si fonda l’idea di una fotografia che appunto si muove. Il primo concetto del mondo del cinema è che se noi effettuiamo una serie di scatti a distanza sufficientemente rapida da illudere l’occhio umano della continuità, allora sarebbe possibile creare la foto in movimento. È l’intuizione che porta ad inventarla. Era pensato come uno strumento di documentazione della realtà. 1898: un polacco pubblicò un opuscolo sulla “fotografia animata come documento potenziato, una nuova fonte della storia”, che poi diventerà la macchina dei sogni attraverso una serie di passaggi. L’americano Edison, che aveva inventato la lampadina, il fonografo e diversi elementi del telefono, pensò subito di attribuire una funzione di intrattenimento a questa macchina basata sulla produzione della realtà. L’idea gli venne dall’esperienza fatta col fonografo, all’inizio essenzialmente industriale e commerciale, poi si accorse che moltissime persone che andavano nei bar e nei drugstore passavano volentieri il tempo ad ascoltare in cuffia la musica. Poteva fare lo stesso col cinetoscopio, inventò una pellicola che scorreva ad un ritmo regolare e che poi poteva girare analogamente, una volta sviluppata dentro le macchinette nei drugstore oppure negli arcades, particolari saloni come le sale x videogiochi attuali in Usa e nel resto del mondo, anche al giorno d’oggi. Lo scopo era di attirare i ragazzini a mettere una monetina negli apparecchi per vedere dei film. All’inizio ebbe un certo successo ma restava il fatto che la gente si stancava abbastanza presto, perché l’aggeggio non permetteva di stare seduti a bere bibite, bensì era necessario stare appiccicati con gli occhi alla macchina. 1895: i fratelli Lumière inventano una tecnica di immagini in movimento che chiamano cinematografo. Questo dispositivo ha la differenza essenziale di essere basato sull’idea di proiettare il film quale spettacolo pubblico. La proiezione poteva avvenire anche all’aperto, attirando gli operai non tanto in vere e proprie sale quanto nelle fiere e in luoghi del genere. Ebbe subito un grande successo, una grande capacità di attrattiva sul pubblico, perché si
trattava di una macchina capace di richiamare tante persone insieme a vedere uno spettacolo. Quando diventò cinema, era fatto di veri e propri racconti. 1909: passati 14 anni dall’invenzione dei Lumière, esistono i nichelodeon, dove si poteva guardare un film per 5 centesimi e da qui il nome per il materiale con cui queste erano fatte. Si trattava della macchinetta che aveva cambiato forma, divenendo proiezione collettiva, a differenza di quella inventata da Edison. Il cinema come divertimento sociale e grande elemento di attrazione per i giovani. Botteghe che vendono sogni e sottolinea anche che il desiderio di cinema non è solo di evasione ma anche di un mondo di illusione che ci stacchi dallo squallore della quotidianità, è luogo altro rispetto ad essa, dove si sogna una vita diversa.
“1+1=3”. Il montaggio, l’illusione, il racconto
In molti altri paesi nasce simultaneamente, in Francia e in Italia ad esempio. È una macchina che s’impone in tutto il mondo grazie al fatto che aveva familiarità col linguaggio avuto in precedenza. Anche gli intellettuali di avanguardia origineranno mediante esso innovative produzioni. Da la possibilità di allargare e prolungare insieme le potenzialità conoscitive dell’occhio umano, ma perché succeda è necessario un passaggio in più: 1+1=3. I teorici del cinema capiscono presto che è capace non solo di dare l’illusione del movimento, ma anche di costruire il racconto attraverso l’accostamento di immagini diverse. Il montaggio ci da l’impressione forte che due immagini siano accostate tra di loro; il collegamento lo fa il nostro cervello grazie alle due immagini giustapposte, permette di stabilire nella nostra mente una continuità narrativa costituita dalla successione di materiali eterogenei tra di loro. Il sesto senso, il senso del tempo; è anche questo, non solo gli occhi, ad essere ingannato. Costruisce con l’accostamento il racconto, ma nel contempo ci inganna e noi ne siamo consapevoli, però si basa sulla nostra convinzione che quello che ci mostra in qualche luogo e in qualche modo deve essere successo davanti alla macchina da presa. Il cinema come mezzo realistico che inventa e proietta illusioni, mettendo in atto una vera e propria scienza della magia, realismo ed illusione, ci inganna regolarmente.
Le fabbriche dei sogni: da Hollywood a Bollywood
“Il pittore lavora con il pennello, lo scrittore con la penna o la macchina da scrivere. Il cineasta lavora con un esercito.” (O. Welles). Su questa macchina, ma anche su questo piacere che la macchina da, si costruisce molto presto una vera e propria industria che ha sede inizialmente negli Usa a New York, con Edison, per poi trasferirsi grazie a nomi come Chaplin e Griffit in California, alla grande mecca del cinema.
Andare al cinema
Dagli anni ‘20 in Usa ed in Europa è il passatempo preferito di milioni di uomini e soprattutto donne, che si sentono più libere di potersi abbandonare alle emozioni insieme al piacere di guardare, che va al di là del controllo sociale su di loro. La locandina provocava piaceri tipici, code davanti al cinematografo, l’elemento di polarità profonda del mezzo. Il piacere che da rimane unico, almeno fino all’avvento delle Tv nelle società di massa, non è solo un divertimento ma un’occasione sociale, il modo di rendere speciale anche un serata normale. Nelle grandi città prima del cinema ci potevano essere teatri che raccoglievano un pubblico limitato, non mandando i loro spettacoli tutte le sere. Si poteva andare a vedere una ventina di spettacoli per ogni stagione e solo i più ricchi potevano. Andare a cinema diventa un abitudine settimanale o bisettimanale per gran parte delle famiglie medie e povere del tempo. Cercano di andarci tutti, si crea un sistema differenziato di sale, quelle di prima visione, con biglietto costoso ma comunque meno del teatro, di seconda visione, dove il film arrivava rovinato e già visto dai più abbienti e di terza visione, dove era in condizioni peggiori ed era già passato, ma lo si andava a rivedere perché sotto casa o a buon mercato. All’epoca, fino all’affermazione della Tv, aveva quasi la funzione di suo sostituto; senza sapere che film ci fosse si entrava a scatola chiusa, a qualunque punto fosse il film, si guardava un pezzo e poi i trailers, i documentari, la pubblicità e a rotazione il pezzo che ci si era persi. Era un flusso continuativo in cui ci si inseriva a piacimento, perché era il massimo dei piaceri spettacolari per la grande maggioranza del pubblico. Si valorizza il pubblico del teatro, che dunque non perde il proprio pubblico. In Usa i grandi attori cinematografici recitano a teatro, a Broadway e si pagano molti soldi per poterli vedere in carne ed ossa. Si teme assuefazione, la creazione di un mondo illusorio che distragga troppo dalla realtà. Ad ogni modo diventa letteralmente l’arte di massa del ’900, legata alle innovazioni tecnologiche che ne fanno un secolo diverso dagli altri, ma anche arte di massa, che tramite il doppiaggio e la sottotitolatura è possibile diffondere in tutto il mondo con una velocità ed un successo impensabile per il romanzo, che pure è un genere fortemente internazionale. Nascono grandi centri di produzione per la richiesta di grandi professionalità e grandi tecnologie. Il cinema come arte sociale che richiede la compresenza di decine di persone, ognuna con il proprio compito. Il regista fa si che si attui questa convergenza di capacità creative. Film come Ben Hur di William Wyler del 1959 o Sinuhe l’egiziano di Michael Curtiz del 1954 hanno richiesto sceneggiature faticosissime.
Le metamorfosi di un medium: dal colore al DVD
La potenza del cinema sta nel fatto che coniuga l’illusione di realtà con la capacità di evocare sogni; è un divertimento e piacere sociale, è un arte ed è le prima nata da una tecnologia. però possiamo dire anche una cosa fondamentale, è prima di tutto una macchina dell’emozione, deve la sua potenza al fatto che più degli altri media è
in grado di evocare sentimenti anche molto forti di simpatia, odio, amore, si piange molto più avanti della Tv e molto più del teatro. “Lo spettatore nel buio della sala è soggetto passivo allo stato puro. Non può nulla, non ha nulla da dare, neppure il suo applauso. Tutto avviene molto lontano, fuori della sua portata. Contemporaneamente e improvvisamente tutto avviene in lui, alla confluenza tra i suoi sensi e la sua psiche. Quando i canali dell’azione sono bloccati, s’aprono allora le chiuse del mito, del sogno, della magia.” (E. Morin, 1956). E. Morin, ci dice in sostanza che la potenza del mezzo sta anche nella sua capacità di renderci impotenti. Il buio in sala ci sovraccarica la mente, le orecchie con le sue immagini e i suoi suoni, è suono quanto immagine, in altri momenti più uno dell’altro, ma nel suo insieme colpisce e monopolizza tutti e due questi sensi. Abbiamo il buio perché è l’unico modo per far si che si veda solo quello che è sullo schermo. Il cinema funziona nel fatto che siamo fisicamente del tutto passivi, assorbiamo le emozioni che ci da e l’unica reazione che possiamo avere è emotiva. Nel ‘700 si ebbe la discussione tra gli illuministi e Rousseau; quest’ultimo diceva che il teatro è un mezzo che rende passive le persone, le fa sentire tutte buone ma non le mette in grado di agire, la festa si e il teatro no, da qui nacquero le feste rivoluzionarie della rivoluzione francese. Diderot rispose che il pubblico al teatro è fermo ed immobile ma dentro gli succede di tutto. L’attore si muove e salta ma dentro forse è totalmente indifferente”. La Tv è la vera seconda visione, subito dopo il cinema un film lo cominciamo a vedere in Dvd, sul satellitare e poi via etere; dall’avvento della Tv il cinema non è stato cancellato ma ulteriormente rivitalizzato perché è la macchina dei racconti, mentre la Tv quando vuole raccogliere grande pubblico davanti ad una grossa tensione narrativa fa fiction o propone un film. Il cinematografo ha inventato un modello di racconto che poi sarà quello chiave nel ‘900.
L’occhio del Novecento
Il cinema produce un modello nuovo di racconto, che va oltre il mezzo cinematografico e contemporaneamente, una volta superato quello del romanzo, si basa su una diversa modalità del nostro sguardo; impariamo a seguire le storie non semplicemente come flusso degli eventi, ma come successione di punti di vista differenti che danno luogo ad un racconto costruito più dalla nostra mente che non dal film in quanto tale.
Lezione 16 - La Radio Senza i fili
Guglielmo Marconi, inventore della radio, pensò di farne un telegrafo per comunicare segnali Morse senza bisogno di fili per l’appunto. Dunque un’invenzione inizialmente a carattere militare e finalizzata ai trasporti, alla comunicazione tra loro di navi e veicoli che si muovevano nel cielo; fanno parte di quest’epoca infatti i primi dirigibili. 1903: comparvero gli aeroplani dei fratelli Wright, quindi si sviluppò su strade fino ad allora impensabili: è l’esigenza di una trasmissione a distanza senza bisogno di supporti materiali che replichino i msg, gia telegrafo e telefono lo avevano fatto, ma la radio fa di più, libera dall’ultimo elemento di fisicità, ovvero dai fili, veloce come la luce ed immateriale come nessun altro.
Diffusione circolare: un’idea che era nell’aria
1885: Parlando col marchese Solari, suo principale collaboratore in quel periodo, Marconi si rese conto che la direzione circolare era il vero destino della radio, quello dunque di far captare decine, centinaia, migliaia di msg ad altre persone. Il broadcasting è un termine anglosassone che letteralmente significa “seminare con un movimento ampio delle braccia”; e arriva con la radio perché si tratta del primo mezzo in grado di inviare in simultanea lo stesso msg a terminali sparsi su un territorio amplissimo. Con la nascita del tel. prima in Ungheria e poi in altri paesi nacque la telefonia circolare, che rappresentava un primo tentativo. Si alzava la cornetta del tel. e si sentiva ad una certa ora il giornale radio, si tratta di un sistema che precede la Tv via cavo e prima ancora la filodiffusione. Era possibile cerare una sorta di comunità ideale in territori amplissimi, non necessitanti di collegamenti fisici, di conseguenze creare un senso di comunità vastissima. Il broadcasting nasce un po’ per caso. In Usa è in seguito alla pressione delle compagnie fabbricanti apparecchi elettrici che si di da vita ad alcune stazioni, con economie basate su pubblicità, che possono inviare msg, musica ed appunto pubblicità simultaneamente. In Europa la cosa nasce nello stesso paese che aveva per primo sperimentato la radio come mezzo militare, l’Inghilterra, a cui Marconi si era rivolto poco dopo aver dato vita all’invenzione per svilupparla, a partire dalla fine dell’800. Dopo la prima guerra mondiale l’Inghilterra ha un sistema di radiofonia avanzato di cui non ha bisogno e da il via ad un servizio radiofonico per i cittadini, prima in alcune città e poi sotto l’etichetta della British Broadcasting Company poi divenuta Corporation (Bbc). L’esempio viene seguito in Italia, le varie compagnie vengono unificate nell’Unione Radio Italiana che poi sarebbe diventata l’Eia, controllata tra il ‘27 e il ‘45 dal potentissimo sistema fascista. La comunicazione di massa passava attraverso le copie, col broadcasting scompare questa necessità e i diversi utenti si raggiungono simultaneamente con la possibilità della diretta, ancora sconosciuta alla stampa. L’idea di radio per molto tempo si connetterà solo al broadcasting, ad utenti che usano dapprima apparecchi costruiti da loro stessi (radioamatori) ed in seguito acquistati sul mercato. Solo molti anni dopo ci renderemo conto della potenzialità che
Il mondo e l’orecchio
Nel 1902 veniva annunciata dalla rivista americana “Century” che si può realizzare il telefono cellulare. La radio sarà il solo mezzo di massa o bidirezionale, punto a punto, attraverso apparati molto complessi di servizio, quelli sulle navi ad esempio. Negli anni ‘90 il cellulare sarebbe divenuto un fenomeno di massa. In Usa si regge sulla pubblicità, in Inghilterra questa invece è vietata e si basa dunque sul canone. In Italia esistono forme intermedie. 1926: viene introdotta nell’Uri la pubblicità e da allora ci sarebbe stato un sistema misto basato su entrambi i metodi per trarre sovvenzioni. “Se i radioamatori verranno costretti ad ascoltare gli annunci inventati da qualche pubblicitario, avranno tutte le ragioni di protestare. E l'irritazione del pubblico si indirizzerà non solo contro l'emittente, ma anche contro le aziende che si pubblicizzano in questa maniera. Nessuno dovrebbe essere costretto a subire réclame che non desiderano” (da “Printer Ink”, rivista dell’associazione pubblicitari americana, 1923). C’è scetticismo inizialmente, la pubblicità radiofonica era temuta in quanto ritenuta controproducente dagli stessi pubblicitari; si trattava di un errore di prospettiva; nasce come imposizione mentre ascoltiamo un programma, ma questa costrizione ne fa un’abitudine. La radio è un mezzo che cattura le folle, impone i suoi msg a milioni di persone, il pubblico radiofonico è da considerare come folla domestica ed addomesticata, meno imprevedibile delle folle vere, quelle delle piazze. “Organizza il mondo per l’orecchio” sostenne Rudolf Arnheim; le avanguardie artistiche e musicali si interrogano sulle potenzialità di questo mezzo, fa esplodere negli intellettuali un’attesa suscitata, con altri risultati, dal cinema. 1933: La radia: Masnada e Marinetti per contrapporsi ad un uso poco inventivo del mezzo inventano i dettami e le regole dell’arte radiofonica futurista, che si sarebbe realizzata solo in piccola parte. La radio si presenta come un mezzo libero dallo spazio e dal tempo. La radio diventa prima di tutto un’abitudine, uno strumento che si usa per farci compagnia nella vita domestica, che non sembra prestarsi all’innovazione come può essere per un mezzo come il cinema, eccezionale ed assai più spettacolare. È uno strumento potentissimo di tipo politico; consideriamo ad esempio un manifesto fascista della radio, in cui il mezzo viene associato alla parola d’ordine classica libro e moschetto. La radio diventa l’anello di congiunzione; il fascismo la impone ed attraverso investimenti consistenti impone il mezzo radiofonico come strumento d’ascolto non solo individuale ma collettivo, un’abitudine che si può diffondere a macchia d’olio. Queste avevano la funzione di portare la voce del regime ogni giorno nelle case, dunque la radio si presenta negli anni ‘30 come un mezzo potenzialmente totalitario; eppure pochi anni dopo il regime si sarebbe trovato a dover fare i conti con la radio come potenziale nemico. Già nel 1939, prima ancora che l’Italia dichiarasse guerra, si può notare come gli italiani ascoltassero massicciamente la radio inglese, che trasmetteva in lingua italiana. Si trattava di altre voci per poter capire l’attendibilità di quello che diceva la radio italiana. 1934: Marconi fonda Radio Vaticana, che dava la possibilità di sentire una voce difforme da quella del regime. È un paradosso ad esempio pensare come la radio, il mezzo autoritario che diffondeva la voce del duce, fosse l’equivalente per Hitler di quello che la stampa era stata per Lutero; la radio è un mezzo più pluralista della stampa, poteva cambiare le coscienze, si poteva impedire fisicamente di entrare in Italia, ma le onde diffuse nell’etere non si potevano limitare, le note di Radio Londra, ecco che la radio diviene un’arma a doppio taglio: le persone inglesi non entravano e le onde radio si invece. Questo paradosso si riverbera anche sulle caratteristiche comunicative della radio.
Un medium al seguito
L’americano Orson Welles, prima di diventare regista ottenne grande successo personale con un programma radiofonico chiamato “La guerra dei mondi”, dove metteva in scena un’invasione marziana cosi realistica che gli ascoltatori credettero fosse vera. “Ero felice alla radio. E’ talmente... privata. Tra i lavori a pagamento non ce n’è nessuno che si avvicini di più alla grande gioia privata di cantare nella vasca da bagno. Il microfono è un amico, capisci. La macchina da presa è un critico” (O. Welles, 1968). La radio è un mezzo che si presta a creare momenti di mobilitazione forte nella popolazione a cui si rivolge, pensiamo all’uso che ne venne fatto nelle guerre civili di Serbia e Rwanda per istigare alla pulizia etnica ed ai massacri, si presta anche a questo. E’ un mezzo che per la sua relativa leggerezza ed informalità si presta ad un uso appunto più leggero, si riscontra tutta la doppiezza della comunicazione di massa del ‘900; è un autentico tamburo triviale, come la chiamava McLuhan, che può raggiungere migliaia di persone con ridondanza, ma che si comporta anche da mezzo privato che aiuta a crearci un bolla nella quale ci immergiamo e ci sentiamo separati dal resto del mondo. L’ambivalenza della radio è sinonimo della dicotomia tra tendenza massificante ed individualizzante di tutte le tecnologie, essenziale naturalmente per capire questo mezzo e tutti gli atri presi singolarmente. Trova spesso nella donna la sua principale ascoltatrice, ben presto, dopo l’arrivo della Tv, altro mezzo più concreto e potente che sembra sloggiarla dai luoghi di ritrovo preferiti dalle famiglie, i salotti. “La nostra povera sorella cieca”, questo
dicevano della radio i dirigenti Tv in quegli anni, augurandosi che sparisse con il definitivo avvento del tubo catodico: ma la radio non muore bensì comincia a muoversi, diventa portatile. Dalla sua forma mobile iniziale, quale quella di radiogrammofono o di altri grandi apparecchi, diventa portatile nel senso addirittura di tascabile, si sposta con le persone e le loro attività; inoltre di rilievo è il piacere di ballare che esplode negli anni ‘50 grazie alle nuove forme di musica giovanile. Ad un certo punto smette di essere legata alla casa: siamo nell’epoca del nomadismo dei media, esempi ne sono il cellulare, i laptop, gli ipod; ma il primo mezzo è stato proprio la radio, che può venire a spasso con noi e normalmente lo fa.
Un ambiente sonoro
Tony Schwartz, regista radiofonico, ha scritto: “Quando chiedete alle persone se ascoltano la radio è facile che rispondano ‘no’. Quando poi chiedete loro se, mentre sono in macchina, tengono la radio accesa rispondono ‘sì’. Il fatto è che non ascoltiamo la radio, ci stiamo seduti dentro” (T. Schwartz, 1988). Nella sua apparente radicalità ed ironia, ci dice un profonda verità che ha accompagnato tutta la storia di questo mezzo, dai grandi apparecchi alla loro miniaturizzazione: si tratta della storia di un media che più che non farci partecipi delle cose è diventato ben presto elemento della nostra esistenza, mezzo che permea la nostra vita più di quanto non la bombardi esplicitamente di msg. Un paradosso per cui risulta invisibile pur essendo uno dei mezzi più potenti del nostro tempo. L’Istat ha tolto l’autoradio dal paniere dei consumi perché tutte le nuove auto ce l’hanno di serie, ma nelle case ci sono cinque apparecchi radio, non c’è più solo una radio dal momento che ce ne sono tante diverse. Ciò ci ricorda che molto spesso i media più significativi e potenti sono quelli che non si fanno troppo notare. In cosa si è specializzata? Nel suono, organizza il mondo per l’orecchio, fa comuni attraverso tutte le forme di segnali acustici esistenti, usa la musica come la parola parlata. Noi non compriamo infatti dischi di parole, ci da anche suoni d’ambiente che non compriamo, ma tramite essa li ascoltiamo e diamo loro un senso. Organizza il nostro tempo, è un medium tipicamente centrato su questo perché accompagna i ritmi del quotidiano e contemporaneamente li scandisce e li fabbrica. È’ uno dei più potenti orologi sociali. Prima della radio l’ora si regolava in base ai campanili; dal momento della sua nascita l’abbiamo regolata su di essa.
Lezione 17 - La rivista e il rotocalco Il mondo illustrato è un termine che potrebbe designare l’intera storia della rivista - parleremo di come la stampa sia diventata uno dei primi media a raggiungere milioni di persone rispetto a quando il libro era un mezzo d’elité - il piacere di sfogliare, i fatti da guardare - la capacità che ha di suddividere il pubblico e di raggiungere il segmento che più interessa anche con l’inserzione pubblicitaria – la varietà dei forme che utilizza, dal gossip al pettegolezzo, a cui molte riviste si sono specializzate - infine “accanto alla cassa” ovvero di come era il luogo tipico dell’opinione pubblica ed è diventata un consumo impulsivo, come le lamette da barba, i chewingam e le caramelle.
Una lunga abitudine
La storia del periodico da consumare, non solo di informazione ma di intrattenimento, di svago, per una famiglia che sa leggere, comincia da molti anni fa, sicuramente dal ‘700. Una delle prime grandi riviste che hanno fatto opinione pubblica, misterioso concetto che fa da perno, è lo Spectator, di uno scrittore e giornalista britannico, Addison, che diceva:“Voglio che il mio Spectator arrivi a casa vostra la mattina, sul vostro tavolo insieme con il tè e con il burro”. Impressionante affermazione del 1720, che contiene un programma che va al di la dei contenuti stessi della rivista, in gran parte polemiche e qualche informazione. Nel primo numero parla di questo ma anche di quello che era il suo vero programma, farlo diventare un’abitudine, entrare nella casa delle persone puntualmente come lo era la prima colazione. Il quotidiano rimarrà essenzialmente per lungo periodo rivolto ai maschi, da leggere al club, al bar, nella coffe house o tea house, o nella bottega del caffè come la chiamavano a Venezia. E’ uno dei motori della socialità maschile, mentre la rivista si presenta anche alle donne e poi diventa un organo rivolto ai diversi membri della famiglia, per sesso e per età. Nel corso dell’800 la rivista si distribuiva per abbonamenti, il modo in cui si diffondeva era per posta, al massimo la trovavi nelle librerie perché le edicole sarebbero arrivate poi, nella seconda metà dell’800.
Il mondo illustrato
All’inizio del secolo invece la rivista acquisisce l’uso massiccio dell’illustrazione, non è soltanto una serie di parole in fila delle più svariate, del quotidiano o del libro, perché si affiancano narrativa, commenti ecc. Si accompagna con le immagini ed è una funzione fondamentale, intorno al 1830-‘40 nascono riviste di moda che diffondono le novità sull’abbigliamento proposte dalle grandi maison di sartoria parigine, che fanno moda in tutto il mondo. Il suo vero motore economico è l’inserzione pubblicitaria, ma perché questo termine? Perché la pubblicità è qualcosa che viene inserita nelle pagine del giornale sotto la forma abbastanza fredda di puro annuncio. Nel ‘700 e fino a prima del ‘900 è un annuncio economico, ma nel settimanale, essendo questo illustrato con più lunghi termini di preparazione, con cura e tecniche più lente, permette alla pubblicità di inserirsi nella rivista anche con l’immagine; e per essa l’immagine, come il suono nel caso della radio, è fondamentale. Ridotta a sole parole perde la sua efficacia, ma non chiede di crederle bensì essenzialmente di essere guardata, ammirata ed associata al nome di un prodotto. Il suono di una pubblicità radiofonica ci chiede non di essere creduto ad esempio un jingle musicale, ma di essere associato a un bisogno, vedi la caramella associata ad un jingle. Il mondo illustrato delle riviste ottocentesche comincia a scoprire questa possibilità che diventerà ancora più forte quando si potranno stampare le fotografie o anche, quando si potrà affiancare anche l’immagine fotografica di personaggi attraenti. Saranno infatti le riviste più che i quotidiani a
costruire i divi, i personaggi di fascino. Leo Loewenthal, uno studioso, scrisse un saggio sulle biografie popolari cha apparivano sui quotidiani, in cui nota come si sia passati dagli eroi della produzione a quelli che chiama eroi del consumo. Nell’800 il genere dominante di tipo biografico era la vita dei generali o dei capitani, dei capi d’industria o degli inventori. Nel ‘900 abbiamo cantanti, attori del cinema, che arrivano agli onori della cronaca rosa non tanto per quello che fanno, ma delle persone alle quali si accostano. La fotografia è il modo in cui ritroviamo le persone ascoltate al cinema o in radio e possiamo vedere e ritagliare il loro ritratto; nella rivista si possono vedere sempre più massicciamente i beni di consumo.
Un milione di copie
Si tratta di una rivista femminile, perché la rivista femminile insieme a quella per ragazzi e poi a quella sportiva sarà la prima forma di specializzazione forte di questo media. La prima fu il “giornale della casa delle signore”, titolo assai piatto che nasconde un giornale di grande lucidità commerciale. Si racconta che Curtis abbia detto ad un gruppo di pubblicitari che loro non pensavano alle donne americane facendo il giornale, bensì ai prodotti con le quali volevano raggiungerle. Quello che i mass media vendono non è il msg al pubblico bensì il pubblico ai pubblicitari: lucida consapevolezza di quello che diventerà il target. “Il pubblico che ci interessa è costituito dalle famiglie con reddito tra i 1.200 e i 2.500 dollari annui. La classe con reddito fino, diciamo, ai 5.000 dollari annui la curiamo un po' marginalmente. I ceti con redditi ancora superiori sono numericamente troppo ristretti per meritare specifica attenzione” (E. Bok, direttore del Ladies’Home Journal, 1918). Se ci pensiamo bene si tratta di una chiarezza cristallina, si rivolgono ad una specifica fascia di reddito e la vendono ai pubblicitari; quelli al di sotto del reddito invece fanno parte della massa, non interessa il pubblico d’elite, che non sa che farsene di una rivista media. Il progetto di Bok è datato dalla fine dell’800 all’inizio del ‘900, periodo nel quale mantiene questa promessa con grande lucidità.
Segmentare il pubblico
Un giornale, il New Yorker Illustrateur Weekly, ebbe un efficacia tale da imporre il rosso all’abito di Babbo Natale, l’ideatore fu Thomas Nast, che decise di vestirlo con i colori della Coca Cola per una campagna pubblicitaria di grande successo. Questo giornale pubblicava consigli pratici ed anche molto tecnici; in Italia poi lo avrebbe fatto Vanity Fair. Molti consigli di galateo ma anche di ordine economico, perché questa fascia vuole vestirsi in modo raffinato ed elegante, ma vuole farlo senza spendere troppo. Pensiamo alla “duchessa fotografata ai fornelli”, di come fa i piatti quella duchessa, con una spesa minore a quella che si suppone fosse realmente. Una serie di altre specializzazioni si difenderanno e il consumo si sarebbe sviluppato nei quartieri popolari, man mano che anche l’alfabetizzazione si sarebbe diffusa. Obiettivo quello di mantenere un basso costo d’acquisto, produrne uno impulsivo dunque, di modo che ciò che non si guadagna dalle vendite lo si ricava dalla pubblicità. Nel saggio degli orrori da 1 Penny del 1938 si parla dei giornali per i ragazzini sul mondo della scuola e le avventure che sognavano. Orwell inizia l’articolo descrivendo la presenza delle riviste nelle edicole dei quartieri popolari londinesi. Sono giornali popolari che cercano di attirare col colore, altro vantaggio strategico, poi a partire dai ‘30 avranno anche gli interni colorati. Quello che coglie con finezza è la varietà delle riviste; per moltissimo tempo e ancora oggi il periodico è il medium più vario che ci sia. Pensiamo ad un’edicola degli anni ‘30 in Germania e al venditore ambulante di riviste e periodiche; una varietà di periodici, ogni paese ne conosce un numero che è nettamente superiore al numero di giornali e delle emittenti radio e Tv, se pur moltiplicatesi ultimamente. E’ la forma di comunicazione di massa più variegata e dai più svariati pubblici. Chi produce prodotti per giardinaggio farà di tanto in tanto pubblicità sui quotidiani per un prodotto che fa presa, ma chi produce bagni lo farà su riviste di arredamento dedicate ai bagni. La varietà è un altro aspetto della com. di massa che trascuriamo perché pensiamo solo ai grandi numeri. Essa non è solo fatta di grandi msg ma anche di msg dal contenuto povero che arrivano a milioni di persone simultaneamente; la massa non è fatta di persone tutte identiche ma in ogni momento queste sono legate ad un’identità in parti diverse, apparteniamo ad un sesso, abbiamo una certa istruzione, tifiamo per una certa squadra, abbiamo un hobby e facciamo parte di un certo territorio. La grande stampa e la Tv sembrano rivolgersi a ciò che unisce tutti questi aspetti; le riviste ed anche internet e le radio, cercano di attingere a ciascuna di queste identità, di darci quello che ci interessa quando siamo vicini alla nostra squadra, agli interessi specifici del nostro sesso, quando vogliamo fare del giardinaggio. Anche se queste specializzazioni cominciano molto presto, vedi le riviste per ragazzi, diventa insieme con la radio un mezzo guida della rivoluzione dei media degli anni ’30, in cui la fotografia era già presente sui periodici ma assume una funzione nuova da quando vengono introdotte nuove tecniche di stampa come il rotocalco, che permettono di stampare sui periodici settimanali o mensili delle immagini e della pubblicità in quantità superiore al periodo precedente. Si possono stampare parte di queste riviste a colori, con una qualità per l’epoca buona, e dedicare immagini di grande presa anche ad eventi d’attualità. Nel ‘35 era cominciato dalla stampa americana, il progetto X di Henry Hughes, fondatore di “Life” che era stata la prima rivista a poter pubblicare pagine intere su carta patinata a qualità eccezionale. Il rotocalco è anche lo strumento per portare l’informazione nelle case accompagnata da immagini forti. Una delle idee portanti, ma molto persuasiva e sbagliata, è che un’immagine vale più di 100 parole: non è vero sono su due livelli di comunicazione molto diversi, è vero che spesso ti può rimanere in mente più di un discorso e prenderne il posto, perché si possono sfogliare le riviste, possono essere non lette per intero ma anche sfogliate e guardate. È sulle riviste che nei ‘50 e ’60, dopo la rivoluzione del rotocalco, arriveranno innovazioni importanti.
Commenti e nudità, approfondimenti e gossip
Le riviste portano con se nuove mode ed abitudini, usando il mezzo fotografico con efficienza superiore, recuperano le differenze tra pubblici di generi diversi e portano insieme qualcosa che nessuno si aspettava: su di esse cominciano per la prima volta le immagini di nudità ed atti sessuali che prima erano legate allo scandalo e che poi si sarebbero
sviluppate anche su altri media come cinema e Tv. La pornografia è antica, nasce con i primi libri e le prime foto, nonché con il cinema nascono i primi film porno. Non nasce sulle riviste solo in quegli anni ma è nelle riviste, su alcune come Playboy, che venne pubblicata una celebre foto di Marilyn Monroe nuda. Non si propone la rivista a tutti i pubblici simultaneamente ma è con l’esplosione della rivista pornografica che una serie di tabù secolari cadono nel giro di 10-15 anni senza nessun contraccolpo, eccezion fatta per alcuni processi senza alcuna condanna. La pornografia comincia a diventare pubblica, esce dagli spazi ristretti della vendita sottobanco, clandestina e si diffonde nelle edicole, in un luogo pubblico ma anche diversificato. “Un pensiero ci turba, ed è l’irriverenza, è lo scandalo a cui la nostra fanciullezza, la nostra gioventù sono così gravemente esposte, a causa della stampa immorale, che esibisce con procace licenza, un po’ dappertutto ci dicono, le immagini impressionanti e le storie eccitanti della pornografia e del vizio” (Papa Paolo VI, 1968) Lo fa con molta durezza, come è tipico dei discorsi della chiesa cattolica, mette in guardia del pericolo che viene dalla stampa, e dal veicolo più tipico ovvero la rivista, portatrice di alcune fratture non solo sul tema del vizio, ma anche dell’ateismo e dunque della religione. Il quotidiano è troppo legato all’autorità per ospitare sfide così forti nei confronti dei valori dominanti, mentre la rivista si presenta come uno spazio potenzialmente più sperimentale, per tenerla in vita bastano poche centinaia o migliaia di persone. Ma ormai i giochi sono fatti, sono nelle edicole, le occuperanno in modo così evidente da essere sotto gli occhi di tutti, poi sarebbero tornate sottobanco di nuovo, quando ormai il fenomeno si era diffuso nel sistema di tutti i mezzi di comunicazione. I giudizi su di essa sono spaccati, bisogna capirne la dinamica che è partita da media non generalisti ma solo specializzati. È solo un aspetto di questo modello, ad esempio Life ci fa vedere la vita dei divi presentandoli come modelli di comportamenti e vestiario, come lenti di fascino, ci presenta miti del ballo ed è la rivista intesa come spettacolo teatrale. Sostanzialmente abbiamo il rotocalco come mezzo di comunicazione di massa poco impegnativo, diffuso e considerato particolarmente gradevole al pubblico che lo consuma.
Accanto alla cassa Gli altri mezzi erano legati a singole invenzioni, mentre la rivista ci porta attraverso tre secoli di storia e contemporaneamente si trasforma in modo profondo anche attraverso le tecnologie, ma mantiene caratteristiche di fondo che restano, come quella di arrivare nelle case col tea e col burro, il piacere di sfogliarle solamente, il diversificarsi a seconda delle varie identità che ci piace assumere. La storia dei media non è solo la storia della successione del loro avvento, non solo la storia dei cambiamenti che hanno con il loro arrivo l’uno dopo l’altro, ma la storia degli adattamenti progressivi, nel senso darwiniano del termine, che un medium può attraversare nel corso della sua storia. La rivista non si trasforma per innovazioni ma rimane funzionale alla propria logica, che rimane sempre la stessa. Fa propria la fotografia ma anche i possibili modelli identitari che si avvicendano, si adatta alla logica del pettegolezzo, inteso come prolungamento diretto della vita dei salotti, mentre oggi lo si fa su persone che non si conoscono o si pensa di non conoscere e si seguono nella loro vita privata. Questo medium si è adattato ai cambiamenti, li ha precorsi e fabbricati, per mantenere la sua funzione di compagnia fatta di carta ai nostri momenti di vuoto, ad esempio nelle sale d’aspetto dei dentisti, fatti del piacere di sfogliare con superficialità; in un certo modo rende tutto illustrabile, è un medium, il periodico, che ci aiuta a capire anche tutti gli altri grazie al suo lungo respiro storico e alla sua assoluta fragilità di contenuti, si butta via e si risfoglia assai facilmente, accompagna e scandisce tutta la storia dei media moderni e se ne fa un eco apparentemente leggero, ma assolutamente persistente.
Lezione 18 - La televisione Radiovisione: preistoria della Tv
1954: in Italia arriva la TV, e si impone con una rapidità straordinaria. E’ il solo presente in oltre il 96% delle case degli italiani, il più diffuso in assoluto. E’ nata come radiovisione. Fase iniziale: tutta in diretta perché mancavano le tecnologie di registrazione magnetica. Con le nuove tecnologie diventa come la radio, un mezzo capace di scandire gli orari e sistemare nei suoi programmi i vari generi, diventa il medium nazionale per eccellenza e sostanzialmente quello che conquista la massa apparentemente in forma di persona, che statisticamente viene presentata come la gente. Anni ’70: diventò a colori e poi contemporaneamente la neotelevisione, un modello di programmazione diverso dal passato. 1898: su un giornale francese, “Le Temps”, si parlava già di Tv. Così anche da 15 anni prima, quando lo scrittore e disegnatore francese (Romida ?), amico e concorrente di Gil Verne, pubblicò nel suo libro la previsione di una serie di innovazioni e scoperte come un curioso apparecchio, il telefonoscopio e il monoscopio, l’audiovisivo a distanza, che doveva servire a due scopi, quello di trasmettere le notizie in diretta nelle case e di permettere alle persone di parlare non solo con la voce, ma anche faccia a faccia con gli amici lontani. La televisione ci presentava la sintesi della Tv come la pensiamo oggi, il videotelefono, come la sintesi di tutte le possibilità di guardare lontano. Ma perché se ne è parlato poi in modo ristretto? Assomigliano in maniera inquietante agli apparecchi radiofonici gli schermi dei primi anni come la radiovisione, la radio con le immagini ma attraverso le onde nell’etere. Con Marconi vi era l’idea, impossibile, di realizzare tecnicamente ciò.
Con la radio era nata l’idea di un orario, di un palinsesto di trasmissione, un mezzo che regolava la vita delle persone diffondendo trasmissioni diverse nei diversi orari della giornata. Anche dal punto di vista istituzionale le compagnie radiofoniche danno vita a quelle televisive. Nessuno si aspettava la rapidità dell’affermazione dell’apparecchio.
Vedere lontano: gli anni della diretta
Anni ’30: molte compagnie radiofoniche europee e statunitensi la sperimentano, fanno anche delle prime trasmissioni cosiddette regolari, ma il numero e le dimensioni limitate degli apparecchi fanno si che ben poco si veda in quel periodo. Germania ’35, Inghilterra ’36, Italia ‘38 ed Usa ’39, questa la successione cronologica, perché le compagnie private in Usa volevano sviluppare prima la radio, poi si fermarono con la guerra perché le industrie belliche avevano bisogno che le fabbriche si mettessero a sfornare apparecchiature regolatrici di aerei e cannoni, nonché il radar, strumento fondamentale anche in tempi di pace. Dopo la guerra, l’industria, priva di sbocchi pacifici, troverà nella Tv il suo naturale prodotto per conquistare le masse. Entra nelle case della gente perché è facile accoglierla. In Italia la Tv viene proposta come il nuovo focolare domestico; entra nelle abitudini ma senza aspetti impegnativi, come la propaganda nella radio e il dover uscire e pagare per andare a cinema. Nel ’54, da completamente assente, in 7 anni si sviluppa a macchia d’olio in Usa; entra in tutte le case in Italia dal ‘54 al ‘61-‘62. Joanne Woodward”, ora che fa TV le dicono “quella è una che conosco”. Nella Tv il personaggio fa perno sull’attore e viceversa, al cinema succede il contrario. Sono due forme di divismo completamente diverse e ci fanno capire altrettante forme di comunicazione completamente diverse. “Il successo di un personaggio televisivo dipende dalla sua capacità di trovare uno stile di presentazione a pressione bassa” (Marshall McLuhan, 1964) McLuhan faceva notare che questo si estendeva anche ad altri settori come la politica. La Tv ci porta il mondo in casa, ma ce lo riduce tutto alle dimensioni della casa, ci da famigliarità, tende a ridurre la quantità di informazioni che ci trasmette, in modo da rendercela accettabile. E così anche per l’audio televisivo, molto più impreciso ed indecifrabile; su di un CD sarebbero più nitide le parole del professore, ma la Tv la vogliamo che non imponga la sua presenza, bensì si adatti alla casa.
Palinsesto: il sistema dei generi
1956: introdotto il nastro magnetico, che poi 15 anni dopo sarebbe diventato la videocassetta, penetrando nelle nostre case. Con esso la Tv può produrre regolarmente tutti i tipi programmazione, creare dei palinsesti organici, vuol dire programmi. Palinsesto è una parola antica, significa qualcosa che viene riscritto (in Rai venivano scritti per i propri addetti sistematicamente su dei grandi fogli dattiloscritti a matita e cancellati ogni volta) e diviene il simbolo delle nuove trasmissioni.
Simbolicamente, essendo diventata la Tv un flusso ininterrotto in cui si introduceva di tutto nella sua logica, l’informazione è l’ingrediente fondamentale; quindi i film, che inizialmente i produttori cinematografici non vogliono dare, temendola come peggiore concorrente del cinema. Quindi lo sport.
Il medium nazionale alla conquista dell’”uomo medio”
Sarebbe diventata la forma di comunicazione più onnipresente, più equamente diffusa nel nostro paese, mentre negli altri campi c’è un divario consistente sul piano dei consumi, dal momento che le Tv sono sostanzialmente uguali per qualità e quantità. Diventa un flusso ininterrotto e man mano si adatta alle diverse funzioni di cinema dietro compagnia, soprattutto quando assume le sembianze di una specie di salotto permanente in cui si accostano una serie di ospiti, in un chiacchiericcio ininterrotto che non si ferma mai. Il reality diventa la macchina che trasforma tutte le case in un luogo aperto allo sguardo di tutti gli altri. E’ programmata ma apparentemente spontanea. La TV è programmata spesso da persone che, non vedendo neanche gli apparecchi, la decidono. Essa è anche messa in scena, la realtà che sembra rappresentata così com’è ha dietro un macchina del tutto invisibile, una macchina di regia. La Tv ha la capacità di farci sembrare che ciò che vediamo con l’occhio della telecamera sia il diretto prolungamento del nostro occhio. E’ così ad un livello profondo, quasi inconsapevole, ma in realtà non è così. La forza della Tv sta insieme nella sua non intrusività ed in questa sua semplicissima credibilità; essa non ci dice “devi credere a quello che dico”, ma un cosa più sottile, ovvero “devi identificare i tuo sguardo e il tuo udito col mio, devi pensare che io ti sostituisca come occhio sul mondo”. Il mio msg te lo porta Baudo e non Hitler, una persona che non senti come nazista e superiore. Ecco il divismo televisivo; Eco disse che il successo di Mike Buongiorno è dovuto al fatto che nessuno ha paura di lui. Non è una falsificazione ma una costruzione che è la verità della televisione; non bisogna dunque sentire la Tv ma capirne la logica.
Televisione a colori, nuova televisione
Anni ’70: in Italia arriva la TV a colori tramite un vicenda complicata e ricca di contrasti. Essa illumina ed insieme mostra, è una sorta di grande lampada che ci proietta delle immagini a colori che non sono naturali, bensì sono colori altri, che siolo l’elettronica può produrre. Nella realtà non li vedremo mai perché sono autocolorati, mentre la realtà è fatta di cose colorate illuminate dall’esterno. LaTv è diventata nel contempo più vera e più falsa di prima. più vera perché la realtà è a colori e non in b/n. Più falsa perché la verità è fatta di colori diversi, questo è il mondo più
profondamente fantastico che si possa immaginare, sembra aderire in tutto e per tutto alla realtà, ma è insieme un altro mondo. Con la TV a colori sono arrivati nuovi modi di fare Tv, è diventata ancora più quotidiana, domestica e casalinga che nel passato una presenza assolutamente parallela alla vostra esistenza ed a tutti i suoi momenti”: è la neotelevisione o la nuova televisione. “Oggi la televisione, più che un elettrodomestico, è un animale domestico con cui spesso si gioca, e di cui è sufficiente la presenza insieme a noi. Del resto, non è un caso che per molti anziani soli la compagnia sia rappresentata da un animale e da un televisore” (F. Casetti, 1988). La Tv come animale domestico: la sua presenza è valorizzata dal fatto che ci fa compagnia e non tanto che ci dice qualcosa, scorre come l’acqua in cucina, Orson Welles ci ha suggerito che viene accesa come la luce nel bagno, è un elemento quasi dell’arredo.
Piccoli schermi crescono: dalla tv al digitale
Si parla di telecrazia e videocrazia come di qualcosa di onnipotente soprattutto sulla mente dei bimbi, ossessione mai scomparsa da una generazione all’altra. Fa bene o fa male in se è una domanda mal posta; la Tv è un pezzo essenziale della vita moderna. Inizialmente sta nella casa, i tentativi di farla mobile sono tutti falliti, e d’altra parte è un mezzo profondamente nazionale; possiamo vedere lo stesso telefilm o la stessa telenovelas che vedono in Francia, ma non possiamo amare gli stessi conduttori, perché in ogni paese il flusso Tv ha stili e facce diverse. Si è radicato nella nostra vita quotidiana, nella nostra realtà apparentemente più banale perché le scorre parallela, costruisce il nostro quotidiano, che è quello della casa: la Tv la reinterpreta e ne ispira le abitudini. È stata fondamentale nel definire le ore dei pasti degli italiani, soprattutto in base all’ora del Tg delle reti ammiraglie, il Tg1 e il Tg5, ora intorno a cui si concentra l’abitudine domestica fondamentale, quella della tavola; diventa un interlocutore della famiglia, non uccide la conversazione famigliare bensì la si fa con essa, perché a volte diventa il vero motore dell’interlocuzione.
Lezione 19 - La macchina versatile: metamorfosi del computer La penultima lezione è dedicata ad una macchina che non è solo di comunicazione, ma ha sconvolto questo mondo più di ogni altra, anche se in un modo che solo adesso comprendiamo parzialmente e non solo, ma anche ogni aspetto della nostra esistenza.
Uno strumento di terza generazione
Negli anni ’50, un computer è una sola grande macchina ed occupava più di una stanza, lo si doveva refrigerare di continuo perché si surriscaldava. E’ una macchina versatile di terza generazione. L’umanità ha sempre usato strumenti, anche nella preistoria. Gli utensili sono i più antichi, usati e guidati mediante gli arti, non solo mossi dunque, ma viene dato loro un impulso per funzionare, vedi il martello; mosso nella direzione giusta espleta la sua funzione, quella di applicare un chiodo. Una prima netta spaccatura dall’uso degli strumenti a quello sistematico delle macchine, complessi dispositivi caratterizzati dalla presenza di più strumenti in una stessa apparecchiatura, mossi da un’energia idraulica o dal vapore, dunque non da un arto umano. Le macchine moderne, oltre ad avere un’energia propria, hanno un altra fondamentale caratteristica, ovvero quella di contenere delle regole al loro interno e funzionare con degli automatismi, indipendentemente dalla presenza o meno dell’essere umano. Doveva avere sistemi di istruzioni non legate necessariamente al corpo fisico della macchina stessa. La ferramenta hardware non è più vincolante per il loro funzionamento ultimo, si introduce il software, ovvero un’apparecchiatura meno pesante fisicamente (ma sempre di attrezzatura si tratta), che fa funzionare la macchina in diversi modi. Il computer è una macchina che assolve a tutte insieme queste funzioni. Inizialmente era una macchina da calcolo, occupava un intera parete, era costituito da valvole, dei circuiti di grandi dimensioni. 1946: il transistor venne scoperto dall’ex premio nobel W. Shockley, che scriveva su come il telefono fosse stato una delle basi dell’invenzione dell’informatica. Il transistor era già nelle radio miniaturizzate, progressivamente venne introdotto nelle macchine, per renderle realmente efficienti. È la storia di una progressiva miniaturizzazione la storia del computer. Nei ‘50-‘60 comincia a crescere con velocità impressionante la miniaturizzazione da un parte, la potenza di calcolo dall’altra (sono ancora considerati calcolatori). 1965: prima enunciazione della legge di Moore: “La complessità dei circuiti integrati è andata raddoppiando all'incirca ogni anno da quando sono stati introdotti. Nel frattempo la resa dei sistemi è cresciuta enormemente. E' probabile che per la fine di questo decennio si avrà un raddoppio della potenza di calcolo ogni due anni”. Dal ‘65 in poi si è verificata ogni anno e 9 mesi, la potenza del computer continua a crescere con questa rapidità, è una macchina versatile ed in continuo progresso tecnologico.
Comunicare con la macchina e attraverso la macchina
Inizialmente solo degli ingegneri specializzati riuscivano a parlare coi computer attraverso dei sistemi tipo le schede perforate, e ci voleva un codice di grande complessità; poi si è sviluppata una serie di innovazioni che servivano a semplificare il rapporto con l’utente. Interfaccia è lo strumento per comunicare in quanto, simulando l’uso di un linguaggio normale, ci permette di parlare con esso. Questo siamo diventati capaci di farlo anche attraverso di esso, per trasmettere i nostri messaggi, conservarli e da un certo momento in poi rielaborarli. Un modo semplice per vedere
i progressi è ragionare sulla tastiera. Poi ci sono tanti strumenti tipo il comando vocale, la penna ottica, ma usiamo la tastiera perché è la più amichevole. Anche interfacce apparentemente non amichevoli, ma radicate nell’uso sono più logiche di cose che sono semplici, ma ci sembrano astruse. I nostri telefonini sono dei computer, li abbiamo modellati sul modello delle nostre tastiere; è una macchina che diventa non solo tutto quello che vuoi, pianoforte, macchina fotografica, telefono naturalmente, ma inoltre il entra (sarebbe meglio dire che un chip viene introdotto) dentro una serie di altre macchine come la nostra lavatrice, il microonde, naturalmente il CD player, il cellulare se è digitale (come ormai lo sono tutti).
Digitale: che c’entrano le dita?
Il computer media tutte le forme di comunicazione ed è tutte le forme di comunicazione. Digitale viene dalla parola inglese digit e vuol dire cifra. Hanno ragione i francesi traducendo con “numeric” la stessa espressione, sarebbe più chiaro e talvolta fanno bene ad avere il protezionismo linguistico, ma qualcosa le dita comunque c’entrano. I numeri sono un estensione delle mani; McLuhan ha affermato che se noi non avessimo le dita, non solo non avremmo il sistema decimale ma non conteremmo come facciamo da milioni di anni, in quanto le dita ci fanno stabilire anche quel rapporto tattile con le cose che è fondamentale per il calcolo. Attraverso la tastiere, la digitalizzazione o numerizzazione, il computer diventa una macchina versatile per tutti i tipi di comunicazione e ben presto alla portata dei singoli.
Dal mainframe al personal
anni ’70-’80: da uno strumento delle organizzazioni diventa uno strumento delle persone. Non è solo una questione di costo, ma anche di logica; il mainframe, grande sistema di calcolo, era espressione di un’organizzazione di grandi dimensioni, teneva insieme e non era il prolungamento di ciascuna di esse. Col PC diventa il prolungamento di ogni singolo. Un giradischi, un grammofono o un fonografo riproducono fisicamente i suoni originari in analogico. Le cose cambiano con il lettore di CD traduce un codice: nei tanti microscopici pezzetti nei Cd ci sono tante informazioni numerizzate, tradotte in cifre; il nostro lettore deve tradurre quelle informazioni in suoni, abbiamo bisogno di una macchina informatica all’inizio e alla fine di ogni processo. La digitalizzazione invece avviene grazie a macchine che parlano con altre macchine e alla fine ci fanno il piacere di simulare i nostri suoni, le nostre voci ed immagini, nonché un’enorme varietà di altri dati ed informazioni.
Presi nella rete
Noi diamo del cretino al nostro computer non solo perché non risponde ai nostri comandi in fretta, ma anche perché abbiamo l’impressione che lui dia a noi continuamente degli idioti, stabilisce delle regole a cui noi ci dobbiamo attenere. Questo processo media tutte le forme di comunicazione, ci dice come dobbiamo scrivere, ascoltare, guardare le immagini (vedi con Photoshop, che se l’immagine non è perfetta ci sembra una colpa morale). Non solo è un mezzo di d’istruzione, nel senso più pieno (vedi le nostre lezioni), lo è in rete, perché la cosa fondamentale è che da alcuni decenni è entrato nelle reti globali attraverso internet e in quelle locali naturalmente, ed è una macchina sempre connessa con altre macchine e persone. “Le tecnologie culturali della società industriali – il cinema e la moda – ci chiedevano di identificarci con l'immagine fisica di qualcun altro. I media interattivi ci chiedono di identificarci con la struttura mentale di qualcun altro” (L. Manovich, 2001): è interattivo perché ci chiede di agire con lui e scambiare informazioni con lui, dialogare con la macchina ed accettarne le strutture mentali, un set di istruzioni valide anche con noi. Wikipedia è un miglioramento delle enciclopedie? E’ in realtà un’altra cosa. Ad esse chiedevamo di assicurarci la comprensione di un termine o di un concetto attraverso un principio di capacità conoscitiva; la rete non può farlo, perché è aperta, ma comunque può contribuirvi ciascuno di noi, magari anche scrivendo delle sciocchezze. Il nostro computer diventa un televisore ma non solo, dal momento che sta assorbendo moltissime funzioni simultaneamente. I software e le tecnologie devono esser parte di un decisione democratica sul futuro dell’informazione.
Lezione 20 - La rivoluzione digitale La storia è la scienza del passato e di tutti i processi di trasformazione e mancata trasformazione che riguardano l’umanità. La rivoluzione digitale è un fatto storico e nella storia. Oggi dovremo trovare una serie di strumenti per capirla ed orientarci attraverso di essa Cerchiamo di rispondere ad una serie di domande e di interrogativi, in tutto sette grandi domande.
L’attuale velocità di sviluppo è destinata a durare?
La legge di Moore fu enunciata nel ‘65, non è una legge scientifica ma una sorta di assioma, enunciato da uno scienziato ed operatore dell’informatica che prevedeva già allora che nell’arco di un anno e mezzo, due anni, ci fosse necessariamente per tutto il corso degli anni a venire un raddoppiamento dei processori di calcolo informatici. Raddoppierà la potenza dei nostri computer dunque. Nel ‘65 non c’erano ancora i PC, ma solo quelle macchine
gigantesche di cui abbiamo parlato nella lezione precedente, ma già allora ha previsto qualcosa che sarebbe successo negli anni a venire.. La progressione geometrica è una delle potenze più forti e spaventose della matematica, ed oggi siamo di fronte alla progr. geometrica della potenza delle macchine con cui lavoriamo. Ciò ha implicato il fatto che viviamo da lungo tempo con un’innovazione programmata ed inesorabile, non dipende dal caso e dalla genialità del singolo; tutto ciò rimane, ma si aggiunge l’inesorabilità di questo raddoppio di potenza che porta con sé un cambiamento continuo delle tecnologie. Questo aumento così spaventosamente rapido è destinato a durare? Alcuni sostengono di si, in quanto grazie ai nuovi possibili sviluppi delle nanotecnologie odierne si sta andando nella giusta direzione; altri dicono di no, per ora, se dovesse durare quello che sta succedendo, ovvero che i contenuti e la gestione mentale di queste tecnologie corrono dietro a dei cambiamenti che esse stesse sembrano imporre.
L’egemonia statunitense resterà imbattibile?
Da quando è cominciata la storia recente delle vicende dei media, ogni innovazione radicale che sia nata in Usa o altrove ha trovato in essi la sua massima espressione; ogni rivoluzione dei media ha comportato un rafforzamento della loro egemonia mondiale. Si può spiegare ciò politicamente e facendo ricorso al capitalismo, di cui sono la maggiore potenza del pianeta. Questa è una tesi rispettabile, ma si scontra col fatto che è cominciata in epoche in cui essi non contavano così tanto nelle politiche internazionali. Una risposta parziale è che tecnologicamente sono egemoni, ma nella chimica no per esempio. Alcuni aspetti della storia di questo paese ci fanno luce; essi hanno dato sempre alla comunicazione un’attenzione particolare, sono un popolo che divora lo spazio, lo considerano come una risorsa più che un’identità alla quale restare attaccati. attraverso il trasporto e le comunicazioni conquistano gli spazi, sviluppano le reti e diventano egemoni in esse, soprattutto nella rete internet. Inoltre è una cultura multinazionale per definizione, sono tutti immigrati ed i nativi sono pochissimi (dal momento che sono stati sterminati), vive di tutte le culture ed in qualche modo è in grado di esportare verso tutte le culture del paese. Per tutto il ‘900 è rimasta imbattuta, nuove compagnie digitali si sono aggiunte alle altre come la Microsoft e la Time Warner, ha fatto nascere anche grandi compagnie europee, nel frattempo già fallite, dunque solo le statunitensi o le giapponesi sono le uniche che hanno tratto profitto dalla rivoluzione industriale. Alcune potenze asiatiche stanno facendo una loro politica delle comunicazioni, la Cina ha un gran numero di tel. e cellulari e nessuno la potrà raggiungere fra 5 anni. Il capitalismo americano presenta numerose contraddizioni, ma oggi la loro egemonia non sembra trovare alternative immediate nel campo dei media; quello europeo soffre del problema fondamentale dell’esistenza di una pluralità di lingue, alcune parlate da 100 milioni di persone, altre da meno, in ogni caso questo è un vincolo per l’industria culturale.
Comunicazione di massa, comunicazione personale: ancora due mondi distinti?
Fin dall’origine abbiamo distinto la com. di massa, dedicata ad un numero N di persone da quella personale, interpersonale, protetta da forme di riservatezza e destinata a legare di volta in volta singoli individui. Questa distinzione è rimasta per oltre un secolo; oggi le cose stanno notevolmente cambiando. Tutte le grandi barriere storiche appaiono in discussione perché la stessa digitalizzazione, il tradurre ogni discorso in bit, unità d’informazione informatiche e trasmissibili sulle stesse reti, è una tendenza che sopprime apparentemente le distinzioni. Oggi sulla stessa rete internet possono circolare msg letti da milioni di persone contemporaneamente nei momenti di maggiore tensione politica, e reti di msg individuali simili a quelli classici. Nessuno vuole che la sua e-mail sia di massa. La personalizzazione del msg sta diventando parte della stessa com. di massa che ce lo fa arrivare. Tutti vogliamo esser individui e nessuno mai da solo nella società contemporanea. Essere parte di una massa è essenziale in molti aspetti della vita sociale, essere padroni della propria vita privata è parte della nostra identità anche personale. La frontiera dunque resta, anche se in parte ha cambiato logica; non è più la differenza tra due sistemi radicalmente differenti, ma tra due modi differenti di utilizzarli. Quando lo vogliamo fare individualmente cerchiamo degli strumenti diversi da quelli di quando vogliamo connetterci al resto del mondo, la possibilità di modelli misti si moltiplicherà dando sempre vita a nuovi paradigmi di comunicazione.
Quante lingue moriranno ogni anno?
Si calcola, che negli ultimi 20 anni siano morte nel mondo alcune lingue (approssimativamente 110), perché l’attrazione esercitata dalla vita urbana sulle popolazioni rurali in alcune aree, nonché la penetrazione di modi di vita moderni in aree una volta remote dell’umanità ha chiosato l’assimilazione culturale di decine, centinaia di piccoli gruppi di persone in precedenza vissuti non nel totale, ma nel parziale isolamento. morte delle lingue dunque, non solo di interi vocabolari ma spesso di intere strutture grammaticali e dunque modi di pensare. E’ un fenomeno agghiacciante che riduce la cosa più feconda della vita umana, la diversità dei modi di pensare delle culture. L’impossibilità di confrontare il proprio punto di vista ha effetti di impoverimento culturale e di instupidimento personale. È probabile che il processo di distruzione non possa essere del tutto fermato, è possibile preservarlo in laboratorio attraverso registrazioni sonore e riprese video, che oggi come non nell’800 ci fanno raccogliere interi patrimoni prima che scompaiano dall’uso. Esiste una tendenza ai grandi numeri che comporta una spinta all’omogeneizzazione, anche se ci sono delle contro spinte moto forti nelle culture generazionali e nelle forme di ribellione culturale, man mano che si producono i media stessi. Questo è uno dei grandi temi politici della società dell’informazione e della rivoluzione digitale a venire, ovvero il consentire da parte del sistema queste controtendenze.
Viviamo veramente nella civiltà dell’immagine?
Se ne parla per dire della pura apparenza più che della sostanza; è quindi un giudizio etico più che sociologico e storico sulla cultura dei media da noi studiata. Oppure si dice che sia una civiltà attenta più alla dimensione visiva che alle altre dimensioni sensoriali. Parlare di civiltà dell’ immagine comporta l’idea dell’egemonia del visivo sugli altri sensi. Gli ultimi anni sono andati in una dimensione diversa, vedi la sensibilità al suono dopo l’invenzione proprio di media sonori molto più complessi; la loro forma di cattura del suono ha accentuato la nostra sensibilità acustica, ed ha reso significativi anche msg sonori diversi dalla parola e dalla musica. Vedi i rumori. L’avanguardia oggi va verso la plurisensorialità per aggiungere l’elemento tattile, ed anche quello olfattivo e gustativo. Semmai è una civiltà più plurisensoriale di molte altre civiltà del passato recente.
Viviamo veramente in un mondo interattivo?
Qualcosa di simile si può dire riguardo un altro luogo comune, quello secondo il quale viviamo in un mondo di interattività…
Esistono ancora i media?