Capitolo XXIII
LE MISURE CAUTELAR! CIVILI
SOMMARIO: 1. Le misure cautelari e d'urgenza: principi generali alla luce della riforma del 2005. - 2. Le misure cautelari: profili processuali. - 3. I sequestri (conservativo, giudiziario e convenzionale). - 3.1. Il sequestro giudiziario. - 3.1.1. Il sequestro giudiziario di «beni mobili ». - 3.1.2. Il sequestro giudiziario di titoli di credito. 3.1.3. Il sequestro giudiziario della quota di partecipazione a società di persone. _ 3.1.4. Il sequestro giudiziario di azioni. - 3.1.5. Il sequestro giudiziario della quota di S.r.l. - 3.1.5.1. Iscrivibilità nel registro delle imprese degli atti costitutivi di vincoli reali (pegno, usufrutto, costituzione di fondi patrimoniali) e di vincoli obbligatori (pignoramenti e sequestri) sulle quote di S.r.l.- 3.1.6. Il sequestro giudiziario di azienda. - 3.1.7. Il sequestro giudiziario di prove. - 3.1.8. Il provvedimento. - 3.2. Il sequestro conservativo. - 3.2.1. Il sequestro conservativo di beni immobili. - 3.2.2. Il sequestro conservativo di beni mobili. - 3.2.3. Soggetti presso i quali può avvenire il sequestro conservativo. 3.2.4. Il sequestro conservativo dI CredItI. 3.2.4.1. Il sequestro di erediti in mani proprie. - 3.2.5. Sequestro di titoli di credito. - 3.2.6. Sequestro conservativo di azioni. - 3.2.7. Il sequestro conservativo di quota di S.r.l. 3.2.8. Sequestro conservativo dell'azienda. - 3.2.9. La revoca del sequestro conservativo su cauzione. - 3.2.10. L'esito del sequestro conservativo dopo il giudizio di merito. - 3.3. Il sequestro convenzionale. - 3.4. Il sequestro C.d. liberatorio. 4. L'esercizio dei diritti amministrativi e dei diritti patrimoniali connessi alle azioni sequestrate. - 4.1. Aumento gratuito ed azioni gravate da vincoli (usufrutto, pegno e sequestro). - 5. L'assoggettabilità a provvedimenti cautelari ed esecutivi della quota di società di persone. - 5.1. Modificazioni dell'atto costitutivo ed opponibilità al creditore particolare del socio. - 6. Le misure cautelari nel fallimento: premessa. 6.1. Sequestro giudiziario e fallimento. - 6.2. Sequestro conservativo e fallimento. 6.3. Sequestro giudiziario ed azione revocatoria fallimentare. - 7. I provvedimenti cautelari nel concordato preventivo e nell'amministrazione controllata. - 8. L'autorizzazione del Giudice delegato per l'esercizio dell'azione cautelare. - 9. Gli « opportuni provvedimenti provvisori» nel procedimento ex art. 2409 c.c. - 9.1. Se al provvedimento d'ispezione sia applicabile la normativa introdotta dalla 1.n. 353/1990 sui procedimenti cautelari. - 9.2. Se i provvedimenti cautelari pronunciati ex art. 2409 c.c. siano o meno riconducibili alle misure cautelari di cui all'art. 700 C.p.c.
1.
Le misure cautelari e d'urgenza: principi generali.
La disciplina dei procedimenti cautelari è dettata dal codice di procedura civile, nel libro IV, titolo I, intitolato « dei procedimenti sommari », i
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quali si distinguono dai procedimenti sommari in genere in ragione della loro strumentalità, ovvero « per la finalità di anticipare o conservare gli effetti giuridici che scaturiranno dalla decisione di merito, nonché dalla loro -En~r~O~vv~l~. S_QrietàJ:ssenchJLpr.owedimento cal1telare-destinato-a-.petder-e--ogt"lcl,-------effetto in seguito alla pronuncia della sentenza conclusiva del giudizio» (LEANZA,Le modzfiche ai procedimenti cautelari, in Il nuovo processo civile, Torino, 2006,83). Dettando questa disciplina generale, il legislatore del 1990 aveva voluto ricondurre ad unità i diversi procedimenti cautelari esistenti nel codice civile, nel codice di procedura civile e nelle leggi speciali. I caratteri informativi del processo cautelare (che comprende, come è noto, i sequestri, i procedimenti di denuncia di nuova opera e di danno temuto, i provvedimenti d'urgenza ed i procedimenti di istruzione preventiva) si potevano cosÌ schematicamente riassumere: l) il ricorso è lo strumento di richiesta del provvedimento cautelare, anche in corso di causa; 2) la competenza a ricevere, esaminare e decidere il ricorso, tanto ante quanto in corso di causa, è attribuito al giudice competente per il merito; 3) la trattazione del ricorso ha ricevuto finalmente una disciplina organica ed unitaria, con accentuazione dei principi del contraddittorio e di strumentalità della misura cautelare; 4) l'ordinanza è lo strumento per la decisione del ricorso, in ipotesi sia di accoglimento che di rigetto; in via eccezionale il giudice utilizza il decreto emesso inaudita altera parte, ma solo quando «la convocazione della con~ troparte potrebbe pregiudicare l'attuazione del provvedimento »; 5) il giudice di merito può modificare o revocare il provvedimento in presenza di mutamenti nelle circostanze in base alle quali fu emesso; 6) il debitore può ottenere la revoca del sequestro conservativo, prestando idonea cauzione per l'ammontare del credito e per le spese, commisurate al valore delle cose sequestrate; 7) è previsto il reclamo contro il provvedimento che ha concesso o ha rigettato l'istanza cautelare; 8) è stato eliminato il giudizio di convalida. Alla luce della riforma operata dal legislatore mediante le 1. n. 8012005 e n. 263/2005, il carattere della strumentalità, introdotto nel 1990 ed il quale caratterizzava il regime delle misure cautelari, è stato fortemente ridimensionato dalla disciplina attualmente vigente. TI processo cautelare uniforme è caratterizzato principalmente, dunque, da una cognizione sommaria che, solo ove necessario, verrà integrata da una limitata attività istruttoria; in tal modo la procedura diviene particolarmente celere ed informale. Secondo SALETI'I,il legislatore « nella prospettiva di ridurre il carico di
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lavoro dell'autorità giudiziaria, ha voluto concedere alle parti la possibilità di limitarsi - qualora ciò le soddisfi - a richiedere la sola tutela cautelare, senza dover necessariamente richiedere, per salvaguardarne gli effetti, quella di merito. Fino alla riforma, jnfa'" . ausa di merire-, entro il termine di legge, era indispensabile onde evitare che la misura cautelare divenisse inefficace, com'era indispensabile, sempre al fine di evitare detta sanzione, giungere alla sentenza che decidesse il merito» (SALElTI,Il nuovo regime delle misure cautelari e possessorie, in Appendice di aggiornamento a Il Processo cautelare, Padova, 2006, 7). La legge di riforma ha altresÌ stabilito, per determinate misure cautelari definite «a strumentalità adeguata », un rapporto diverso rispetto al giudizio di merito; con la vigente disciplina, non tutte le misure cautelari richiedono l'instaurazione del giudizio di merito per non perdere efficacia. Di conseguenza, « a seguito della riforma operata dalla 1. n. 80/2005, la disciplina del processo cautelare non è più unitaria, ma si differenzia a seconda delle misure cautelari, per quel che concerne il regime dell'inefficacia» (SALErn, Il nuovo regime delle misure cautelari e possessorie, in Appendice di aggiornamento a Il Processo cautelare, Padova, 2006, 8). Va infine rilevato che il ricorso cautelare si può proporre anche nel • l" r cl 'd e in . composIzIOne . . gIJJOIZ10 a" app~o;11' In questo caso la ",""orteeci co iiegiale; il reclamo contro i provvedimenti della Corte va proposto o ad altra sezione della Corte stessa, o, in mancanza di altra sezione, alla Corte d'appello più vicina. Se, invece, la Corte agisce come giudice di primo grado, il procedimento si deve svolgere con le forme previste per tale grado di giudizio e non con trattazione collegiale. TI ricorso va dunque proposto al consigliere istruttore ed il reclamo contro il provvedimento di questo va proposto al (e deciso dal) collegio, senza la partecipazione del consigliere istruttore. Scopo dei provvedimenti
cautelari.
A seconda degli scopi che intendono perseguire, i provvedimenti cautelari possono: a) prevenire il pericolo di inosservanza del diritto, mantenendo ferma una situazione per il tempo necessario ad accertare il diritto in via ordinaria e cosÌ per tutta la durata del giudizio di merito; b) prevenire il pericolo di aggravamento delle conseguenze dannose della lesione, anticipando gli effetti della (futura) condanna durante il tempo necessario ad accertare il diritto in sede ordinaria; c) prevenire il rischio che l'esecuzione della sentenza definitiva si riveli infruttuosa, attuando i mezzi idonei ad assicurarne la pratica efficacia.
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I provvedimenti sub a). Sono i prowedimenti di sospensione: - di delibere in materia di comunione, di condominio, di-soci.età. di associazione (artt. 1109, 1137,2287,2378 e 23 c.c.); - delle sentenze in pendenza dei giudizi di impugnazione (artt. 351, 283, 373 c.p.c.), revocazione o di opposizione di terzo (artt. 401 e 407 c.p.c.); - della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo (art. 649 c.p.c.) o del processo esecutivo per opposizione all'esecuzione (art. 624 c.p.c.).
l provvedimenti sub b). Sono i provvedimenti per la corresponsione dell' assegno alimentare provvisorio (art. 446 c.c.) e quelli riguardanti il coniuge e la prole (art. 708, comma 3, c.p.c.). Rientrano in questo gruppo anche: 1) lo speciale ricorso all' art. 700 C.p.c. previsto dall'art. 8 della legge sulla stampa per la pubblicazione di risposte e rettifiche (cfr. 1. 8 febbraio 1948, n. 47, modificata da))'art 42, della 1. 5 agosto 1981, n. 416); 2) i sequestri previsti dalla legislazione speciale in materia di invenzione, di marchio e di tutela del diritto d'autore. Hanno il duplice scopo di mantenere ferma la situazione nel tempo e di non aggravare le conseguenze dannose della lesione i prowedimenti volti a vietare la continuazione dell'opera (denuncia di nuova opera), quelli di denuncia di danno temuto, il sequestro giudiziario (art. 670 c.p.c.) ed il sequestro liberatorio (art. 687 c.p.c.).
I provvedimenti sub c). Sono i sequestri conservativi previsti dall'art. 671 C.p.c. e del comma 3, dell'art. 161 della legge di tutela del diritto d'autore.
I provvedimenti ex art. 700 c.p.c. Sono quelli che intervengono nei casi in cui non ricorrono i presupposti previsti per l'emissione di un provvedimento cautelare tipico e pur tuttavia è necessario intervenire con urgenza, ricorrendo il pericolo di inosservanza del diritto ed il rischio di vedere irrimediabilmente pregiudicata la futura soddisfazione dello stesso.
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2.
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Le misure cautelari: pro/ili processuali.
Com'è noto, la l. n. 353/1990 ha dettato una disciplina generale nuova dei procedimenti cautelari, con gli artt. 669-bis, 669-quaterdecies c.p.c. La legge precisa, tra l'altro, che ai giudizi pendenti fino al 30 aprile 1995, si applicavano le disposizioni anteriormente vigenti, ai sensi dell'art. 92 della l. n. 353/1990, come modificato, da ultimo, dall'art. 6, d.l. 7 ottobre 1994, n. 571, convertito, con modificazioni, con l. 6 dicembre 1994, n. 673. L'art. 4, comma 5, del suddetto decreto-legge ha disposto che le norme contenute in questi articoli si applicano, in quanto compatibili, ai giudizi pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto; mentre tutti i sequestri anteriormente autorizzati perdono la loro efficacia se con sentenza, anche non passata in giudicato, è stata rigettata l'istanza di convalida ovvero è stato dichiarato inesistente il diritto a cautela del quale erano stati concessI. Con riguardo all'art. 669-quaterdecies C.p.c., la Corte Costituzionale, con sentenza 7-16 maggio 2008, n. 144 (G. u., 21 maggio 2008, n. 22 - Prima serie speciale), ha dichiarato, tra l'altro, l'illegittimità dell'articolo, nella parte in cui non prevede la redamabilità del provvedimento di rigetto dell'istanza per l'assunzione preventiva dei mezzi di prova di cui agli artt. 692 e 696 C.p.c. Scrive PRaTo PISANI: « La tecnica della tutela cautelare consiste nel conferire alla parte il potere di chiedere al giudice l'emanazione di un provvedimento sommario a termine di un procedimento (o di un subprocedimento ove il provvedimento sia chiesto non prima dell'instaurazione, ma nel corso del giudizio a cognizione piena) egualmente sommario, sulla base della valutazione: a) del jumus honi iuris, cioè della probabile esistenza del diritto che costituirà (o già costituisce) oggetto del processo a cognizione piena; h) del periculum in mora, cioè della (probabile) sussistenza di un danno che può derivare all'attore dalla durata, o anche a causa della durata, del processo a cognizione piena ».
TI provvedimento cautelare può essere chiesto: A) prima della causa, nel qual caso la competenza a concederlo spetta in via generale, al giudice competente a conoscere la causa di merito. La legge prevede tre eccezioni: 1) se competente per la causa di merito è il giudice di pace, il provvedimento cautelare è chiesto al Tribunale; 2) se la controversia è devoluta ad arbitri (per effetto di clausola compromissoria o di compromesso) il provvedimento cautelare è chiesto al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito se non ci fosse stato il patto compromissorio;
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3) se la giurisdizione a conoscere nel merito appartiene ad un giudice straniero, la competenza ad emettere il provvedimento cautelare spetta al tribunale del luogo in cui esso deve essere eseguito; B).--12el corso-de11a causa di mer-ite,nt4--iJllille-ease-fa--àemancla-deve-es'~- ------sere proposta al giudice istruttore se già designato, o al presidente del tribunale, se il giudice istruttore non è stato ancora designato o il giudizio di merito è sospeso o interrotto (art. 669-quater, commi 1 e 2, c.p.c.). Se la causa pende davanti al giudice di pace, la domanda si propone al tribunale (art. 669-quater, comma 3, c.p.c.). Se la causa pende davanti ad un giudice straniero, bisogna distinguere i seguenti casi: 1) la giurisdizione appartiene esclusivamente al giudice straniero: in questo caso la richiesta di provvedimento cautelare va indirizzata al tribunale del luogo dove dovrà essere eseguito il detto provvedimento; 2) la giurisdizione appartiene anche al giudice italiano: in questo caso il provvedimento cautelare va chiesto al giudice italiano individuato secondo le ordinarie regole di competenza territoriale. In pendenza dei termini per proporre l'impugnazione, la domanda di sequestro si propone al giudice che ha pronunciato la sentenza (art. 669quater, comma 4, c.p.c.). Se pende giudizio arbitrale, la domanda si propone al giudice che sarebbe stato competente a conoscere del merito (art. 669-quinquies, c.p.c.). Questa disposizione è l'evidente parallelo (così VERDE)dell'art. 818 C.p.c. secondo cui gli arbitri «non possono concedere sequestri né altri provvedimenti cautelari salva diversa disposizione di legge ». Con le modifiche introdotte dall'art. 2, d.!. 14 marzo 2005, n. 35, convertito con modifiche in 1. 14 maggio 2005, n. 80 la disposizione surriportata riguarda non solamente l'arbitrato rituale, ma anche l'arbitrato irrituale, in pendenza dei quali la competenza ad emettere provvedimenti cautelari spetta solo al giudice ordinario che sarebbe stato competente per il merito. Con la nuova riforma, l'arbitrato irrituale viene paragonato a tutti gli effetti all'arbitrato rituale, lo stesso giudice ordinario è, quindi, competente (o, se si preferisce, ha giurisdizione) ad emettere provvedimenti cautelari in presenza di una clausola compromissoria o in pendenza di un giudizio per arbitrato irrituale. Voci in dottrina (FRUS,GUARNIERI, CECCHELLA, GRASSO, SASSANI, CHIARLONI),e indirizzi giurisprudenziali (Trib. Milano, 11 novembre 2003; Trib. Lanciano, 29 novembre 2001; Trib. Catania, 16 ottobre 2001, in Le Soc., 2002, 63 ss.; Trib. Roma, 24 luglio 1997; Trib. Roma, 7 agosto 1997; Trib. Torino, 31 ottobre 1996, in Giur. it., 1998,2070) ritenevano l'ammissibilità
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della tutela cautelare anche in presenza di una clausola per arbitrato irrituale, alla luce delle seguenti considerazioni: a) gli artt. 669-ter, quater e quinquies introducono il principio dell'ammissibilità della tutda----.ea.utelarein caso di carenza della~ne-suJ-----------merito (SASSANI, in Riv. arb., 1995,711); b) la devoluzione della controversia agli arbitri non rientra nelle ipotesi di difetto di giurisdizione previste dall'art. 37 C.p.c. e comunque il difetto di giurisdizione non è definitivo, ma temporaneo; c) la tutela cautelare, essendo costituzionalmente garantita, non è rinunciabile; ti) l'instaurazione dell'arbitrato irrituale, dopo la emissione del provvedimento cautelare, comporterebbe la sospensione dei termini di cui all' art. 669-novies, che inizierebbero a ridecorrere se, una volta emesso il lodo, questo non venisse eseguito spontaneamente, da cui la necessità di esperire la tutela ordinaria per ottenere l'esecuzione reattiva dello stesso. Questa opinione era egregiamente rappresentata da Trib. Catania, 16 ottobre 2001, in Le Società, 2002, 63 che merita di essere conosciuta in ex-
temo. (Omissis). « A fronte della richiesta di sequestro conservativo articolata dalla società ricorrente la difesa della resistente ha, in prima battuta, addotto l'improponibilità della domanda sulla base di una duplice considerazione: in primo luogo, per la presenza di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale inserita nel contratto posto a fondamento della pretesa; quindi, per la dedotta incompatibilità tra la tutela cautelare invocata e l'arbitrato libero chiamato a definire le controversie correlate al detto rapporto contrattuale. La contestazione, pur se fondata sul quasi monolitico orientamento espresso in materia dalla giurisprudenza (da ultimo confermato, pur senza particolari approfondimento, da Casso n. 15524/2000, in Giur. it., 2001, 1107), non convince non solo per le innovazioni che recentemente hanno caratterizzato il quadro normativo di riferimento ma anche in considerazione della stessa scelta interpretativa recentemente adottata dalla Corte regolatrice in punto alla natura dell'altra forma di arbitrato presente, nel nostro ordinamento, id est l'arbitrato rituale. E noto ad entrambi i contraddittori il punto di partenza del ragionamento logico giuridico che porta a ricostruire in termini di assoluta incompatibilità il rapporto tra arbitrato libero e tutela cautelare, comunemente individuato nella rinunzia alla giurisdizione, anche cautelare, sottesa alla sottoscrizione di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale. Viene, cioè, solitamente affermato il principio per il quale la rinunzia alla tutela giurisdizionale in funzione dell'affidamento a privati compositori della risoluzione della lite tra loro insorta implica, necessariamente, anche la rinunzia alla tutela giurisdizionale di natura cautelare che della prima costituisce parte integrante. Per contro, proprio sul presupposto della insussistenza della rinunzia alla giurisdizione nella, asseritamente, diversa ipotesi dell'arbitrato rituale, si è sempre pervenuti alla opposta conclusione della ~iena compati-
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bilità tra quest'ultima forma di arbitrato e la tutela cautelare giungendo, quindi, a rintracciare delle conferme di natura esegetica sul piano della tecnica processuale nel dato normativo fornito dalla disciplina del procedimento cautelare uniforme. Così, si è sostenuto che, in nome della strumentalità che lega indefettibilmente il procedimento cautelare-a:l giudizio di111erito, alla tutela cautelare non puorn-e-------raccordarsi una successiva o contestuale attività giurisdizionale evidentemente non ipotizzabile in ipotesi di arbitrato libero; ancora, che il disposto di cui all'art. 669quinquies, pur riferendosi tout court all'arbitrato senza ulteriori specificazioni, sarebbe ascrivibile esclusivamente all'esperienza dell'arbitrato rituale per la natura giurisdizionale del relativo procedimento; infine, che dall'ipotesi di inefficacia sancita dal comma 4, dell'art. 669-novies (omessa richiesta, nei termini previsti, dell'esecutorietà del lodo arbitrale) si ricaverebbe il principio della esclusiva compatibilità con il giudizio cautelare del solo arbitrato rituale, essendo il lodo irrituale insuscettibile di exequatur. Non una di tali argomentazioni consente di addivenire alla tesi propugnata dalla difesa della resistente. In primo luogo, proprio in punto alla compatibilità tra tutela cautelare e fenomeni arbitrali, appare del tutto irrilevante la distinzione tra arbitrato libero e rituale. Giova all'uopo rifarsi al recente arresto espresso dalla Corte regolatrice a Sezioni Unite in tema di esatta qualificazione della natura dell'arbitrato rituale (Cass., Sez. un., n. 527/2000, da ultimo pedissequamente ribadito da Casso n. 1403/2001) in occasione del quale la Corte, mostrandosi particolarmente sensibile alle spinte provenienti dalla dottrina moderna (volte ad un sostanziale accorCiamento delle ragioni di distanza, da sempre affermate, tra i due arbitrati), ha espressamente negato natura giurisdizionale alla specie dell' arbitrato rituale escludendone l'appartenenza alla sfera pubblicistica ed affermandone, di contro, la natura privata da riferire, quindi, anche al dictum che ne consegue. Risulta così definitivamente superata la petizione di principio in virtù della quale dalla diversità delle forme e degli effetti indiscutibilmente propria delle due figure di arbitrato si deve necessariamente e conseguenzialmente pervenire alla diversità della natura e della funzione (processuale nell'arbitrato rituale; negoziaI e in quello libero) esercitata dagli arbitri nelle due diverse ipotesi. Può invece evidenziarsi come la teoria che rawisa una differenza ontologica e funzionale tra l'arbitrato rituale e quello libero sembra ormai irrimediabilmente smentita sia dalla comune natura pattizia della fonte sia dalla innegabile identità della funzione che entrambi sono chiamati ad assolvere, in quanto nell'uno e nell'altro caso le parti, attraverso il patto compromissorio, rimettono agli arbitri il potere di definire la controversia con effetti immediati nella loro sfera giuridica (vedi in tal senso, in motivazione Casso n. 8046/1994). L'estensione, poi, all'arbitrato libero di principi e regole processuali proprie dell'arbitrato rituale (inizialmente invocati dalla sola dottrina e oggi richiamati anche dalla giurisprudenza) quali il rispetto del principio del contraddittorio (così CasSo n. 8046/1994), l'intervento del presidente del tribunale per la nomina coattiva degli arbitri ex art. 810 C.p.C. in caso di inerzia di una delle parti (Cass. n. 3189/1989) owero per la sostituzione nel corso del giudizio ex art. 811 c.p.c. (implicitamente desumibile dalla applicabilità dell'art. 810), la ricusazione degli arbitri (Trib. Venezia, 29 novembre 1989, in Giur. it., 1991, I, 2, 44), rende sempre più simili le due species in nome di quella processualizzazione del fenomeno arbitrale (tipizzata per il rituale; vedi tuttavia, per l'irrituale gli artt. 412.ter e qua-
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ter inseriti nel c.p.C. grazie al d.Igs. n. 80/1998) che la corte regolatrice, tuttavia,
chiaramente distingue dall'esercizio di poteri e funzioni giurisdizionali, rimanendo entrambi i fenomeni arbitrali nell'ambito dell'autonomia privata. La tradizionale distinzione tra le due figure di arbitrato, ricondotta e mante---~n.Hta sul piane-st-rtttt-uffle-neHa-associazione deH~rbimfto rituaiea
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volontà espressa dai contraenti tramite la scelta compromissoria giacché il loro comune intento non è certo quello di accettare supinamente l'inadempimento accompagnato da comportamenti (per la cautela di natura conservativa) atti a sminuire la garanzia patrimoniale offerta al momento del contratto rinunziando all'intervento
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offerto-daHa-giurisdizione;-l-mnro---ID-grado-di-garamire la effettiviLàcl'-'-i -------qualsiasi, successiva, tutela di merito. Del resto proprio sul piano tecnico processuale l'opzione ermeneutica qui favorita mostra di essere l'unica accettabile. Ed infatti, ragionando a contrario, ritenuta tout court l'incompatibilità della tutela cautelare sul presupposto della natura non giurisdizionale del potere decisorio affidato agli arbitri, rituali o liberi che siano, resterebbe del tutto incomprensibile la presenza nel nostro ordinamento di talune previsioni normative, dettate con riferimento al procedimento cautelare uniforme (cfr. l'art. 669-quinquies in particolare ma, anche l'oeties, ult. comma), che prendono in espressa considerazione l'ipotesi dell'arbitrato dettando regole processuali atte a regolamentare il rapporto tra il procedimento cautelare (ex art. 818 c.p.c. di pertinenza esclusiva dell'A.G.) e quello arbitrale. Piuttosto, la presenza di siffatte norme, in uno alla raggiunta consapevolezza della indifferenza tra ar:bitrato rituale e libero quanto alla insussistenza di poteri giurisdizionali, impongono la soluzione qui adottata della piena compatibilità tra qualsivoglia ipotesi di arbitrato e la tutela cautelare. Infine, sempre sul piano della compatibilità normativa tra l'arbitrato irrituale e la tutela cautelare, venuto meno l'ostacolo più serio alla scelta ermeneutica tracciata (id est il disposto di cui all'art. 669-novies C.p.c., la cui ipotesi di inefficacia della misura eautelare può oggi ritenersi implicitamente abrogata dalla 1. Il. 25/1994 che, novellando l'art. 825 C.p.c., ha abolito il termine perentorio previsto per la presentazione della domanda volta alla concessione dell' exequatur), resta da affrontare il tema legato alla individuazione del sistema di collegamento tra la tutela cautelare articolata ante causam, la presenza della clausola compromissoria per arbitrato irrituale o l'onere di proposizione di un giudizio di merito cui ancorare, a pena di inefficacia, il provvedimento provvisoriamente concesso (problema che non si pone per il rituale vista la previsione dell'ultimo comma dell'art. 669-oeties che può attagliarsi solo a siffatta forma, tipizzata processualmente, di arbitrato). TI problema, com'è noto, trova fondamento nel combinato disposto di cui all'art. 669-oeties C.p.c. (che indica il termine perentorio per l'instaurazione del giudizio di merito una volta concesso il provvedimento cautelare) ed il comma 1, del successivo art. 669-novies (che sancisce l'inefficacia della misura in ipotesi di omessa o intempestiva instaurazione del giudizio), dovendo l'interprete, in assenza di una precisa indicazione normativa (prevista per il rituale dall'ultimo comma dell'art. 669-oeties) individuare lo strumento di collegamento tra le due realtà processuali (privata e giurisdizionale) che consenta, al contraente che ha ottenuto la tutela anticipatori a o conservativa, di non incorrere nella sanzione dettata dal citato art. 669-novies. Pare, all'odierno giudicante, che, tra le diverse ipotesi suggerite dalla dottrina, merita maggiore attenzione (tanto da trovare riscontro nei pochi provvedimenti resi dai giudici di merito allontanatisi dall'orientamento consolidato qui superato: cfr. in particolare Trib. Roma, 24 luglio 1997, in Giur. it., 1998,2070) quella che assimila la situazione in esame alle ipotesi di diritto sostanziale che prima di poter venire dedotte nel giudizio di cognizione vengono fatte oggetto di tentativi di conciliazione o comunque di filtri di procedibilità aventi funzione conciliativa. Potrebbe, cioè, ri-
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costruirsi la situazione legata alla presenza di un compromesso per arbitrato irrituale alle ipotesi di C.d. tutela giurisdizionale condizionata (tipiche quelle apprestate in materia di previdenza e lavoro) ricostruendo il processo arbitrale proprio come un filtro preliminare funzionale al giudizio che, sulla base del lodo, la parte rimasta vittoriosa-ti0vr-à-eemtmque-esp per munirsi di un titolu-eseru-'ti'-v-o-. ----------------CosÌ, alla stregua di quanto accade nelle tutele giurisdizionali condizionate (laddove, all'ottenimento della misura cautelare non fa seguito l'instaurazione del giudizio di merito bensÌ l'atto destinato ad introdurre il filtro conciliativo pre-giudiziale), anche nell'ipotesi che ci interessa, il requisito della strumentalità cristallizzato nelle norme sopra citate sarebbe, temporaneamente, soddisfatto dalla instaurazione dell'arbitrato cui conseguirebbe una situazione di quiescenza destinata a venir meno al momento della emissione del lodo. Momento, questo, che finisce, al contempo, per rappresentare il punto di approdo della composizione negoziale e quello di partenza del termine di cui all'art. 669-octies, comma 2, funzionale alla instaurazione del giudizio volto a consentire la formazione di un provvedimento giudiziale che cristallizzi in un titolo esecutivo di formazione giudiziale la tutela del diritto del contraente leso dal comportamento inadempiente della controparte agli obblighi emersi in esito alla detta composizione negoziale. In ultimo non può non evidenziarsi che la validità della ricostruzione ora suggerita trova, oggi, una conferma rilevante nella previsione di cui all'art. 669-octies, comma 4, C.p.C. - introdotta dall'art. 31, d.lgs. n. 80/1998 e modificata dall'art. 19, d.lgs. n. 387/1998 - in forza della quale, per le controversie individuali relative a rapporti di lavoro alle dipendenze della .a., con esclusione di uelle di com etenza e glU Ice amministrativo, i termine di cui al comma 1, del medesimo articolo inizia a decorrere dal momento in cui la domanda è divenuta procedibile in esito all'espletamento del tentativo di conciliazione ex art. 412-bù C.p.C. o, in caso di mancata richiesta di espletamento del detto tentativo, decorsi trenta giorni. Ed infatti, a prescindere dalle problematiche di ordine applicativo legate ad una non perfetta intellegibilità del dato testuale, non può non sottolinearsi come siffatta norma, pur se riferita esplicitamente alle controversie individuali di lavoro nei confronti della p.a., svolge (al di là della peculiarità normativa speciale in ordine al relativo decorso dei termini) una funzione interpretativa che consente di espanderne gli effetti al di fuori dell' ambito indicato in favore di ogni ipotesi di tutela giurisdizionale condizionata ad un tentativo di conciliazione, canonizzando cosÌ il principio generale in forza del quale in tali ipotesi, ottenuta la tutela cautelare ante causam, il termine di efficacia di cui all'art. 669-octies comincia a decorrere dal momento in cui la domanda è divenuta procedibile in esito al detto tentativo. E, ad ulteriore conferma della bontà dell'assunto, della valenza espansiva di tale norma ha dato atto la Corte Costituzionale che, in un inciso contenuto in seno alla motivazione dell'ordinanza del 16 aprile 1999, n. 122, ha preso espressamente in considerazione il principio dettato dal novellato art. 669-octies ritenendolo astrattamente compatibile ad una ipotesi normativa (la procedibilità della domanda risarcitoria legata al decorso del termine di giorni sessanta previsto dall'art. 22 della l. n. 990/ 1969) certamente diversa da quella direttamente considerata dall'art. 669-octies. Alla luce delle superiori considerazioni deve quindi concludersi per l'astratta ammissibilità della tutela cautelare, risultando peraltro irrilevante, ai fini dell'odierno decidere, l'esatta qualificazione dell'arbitrato prescelto dalle parti in termini di arbitrato rituale o libero ».
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Nello stesso senso v. poi Trib. Milano, Il novembre 2003, in Banca, borsa e tit. cred., 2006, 2, 260, che ha chiaramente affermato che « a prescindere dalla qualificazione come arbitrato rituale o irrituale, il tribunale ~o~rdinario resta, com1mque, competente--in-Qt'-di.ne---all~omande-pr~te-ifl'-------~ via cautciare ». Prima di tale riforma, l'opinione assolutamente prevalente e preferibile, riteneva che la richiesta di provvedimento d'urgenza era improponibile e che il predetto giudice ordinario non aveva giurisdizione per provvedere (così, in dottrina, DINI, AITARDI,CARPI,GUARNIERI, OBERTOed, in giurisprudenza Trib. Verona, 18 ottobre 1993, in Giur. it., 1994, I, 2, 177; Trib. Milano, 29 settembre 1993, in N.G.c.c., 1994, I, 720; Trib. Bologna, 23 giugno 1997, in Foro it., 1997, I, 3020; Trib. Torino, 14 aprile 1997, in Giur. it., 1997, I, 2, 556; Cass., Sez. I, 25 novembre 1995, n. 12225; Cass., Sez. un., 9 dicembre 1986, n. 7315; Cass., 6 novembre 1984, n. 5601). r.:opinione era fondata sulle seguenti argomentazioni: 1) con la clausola compromissoria per arbitrato irrituale le parti manifestano la volontà di rinunziare alla giurisdizione ordinaria (e quindi anche alla tutela cautciare e d'urgenza che è parte di essa) per risolvere transattivamente ogni futura controversia sulla interpretazione ed esecuzione dci contratto tra esse concluso; in presenza di tale rinuncia conlJenzionale, la richiesta al G.O. di tutela cautelare o d'urgenza appare improponibile; 2) indici della volontà dci legislatore di precludere la tutela cautciare in presenza di una clausola per arbitrato irrituale sono: a) l'inapplicabilità in via analogica a questo tipo di arbitrato, degli artt. 669-quinquies, octies e novies C.p.c.; b) in particolare l'art. 669-nonies, comma 3, che prevedendo la perdita di efficacia dci provvedimento cautelare se entro trenta giorni (attualmente sessanta) dalla sua emanazione non è chiesta l'esecutorietà dci lodo, impedisce l'applicazione analogica dell'art. 818 C.p.c., dato che il lodo per arbitrato irrituale non può ottenere il decreto di esecutorietà. Per stabilire se la clausola compromissoria è di tipo rituale o irrituale, bisogna tener conto dei seguenti principi-guida formulati soprattutto dalla giurisprudenza: 1) le espressioni letterali della clausola; sono ritenute prova (secondo Cass., 20 marzo 1990, n. 2315) o indice (secondo Cass., 13 marzo 1989, n. 1253; Cass., 20 aprile 1985, n. 2611) di irritualità le parole «amichevoli compositori» e « obbligo delle parti di attenersi alla (loro) decisione inappellabile ». Sono invece ritenute indice di ritualità le seguenti locuzioni proprie del processo civile: « decidere », « giudizio », « pronuncia », « esonero degli arbitri dalle formalità di procedura» (così Cass., 20 marzo 1990, n. 2315;
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Cass., 10 novembre 1981, n. 5942; Cass., 18 febbraio 1988, n. 1738 per la quale tali espressioni dimostrano che le parti non si sono riferite all'elaborazione di elementi negoziali, ma hanno inteso l'attività degli arbitri come sostitutiva di quella del giudice: Trib. Milano-Ji)-.no~-.emb.re~.2BB~.Ju£zuJ:_~~~~~~~~~_ comm., 1990, II, 350, con riferimento ai termini «giudizio» e «pronuncia »; App. Milano, 29 settembre 1981, in Foro pad., 1982, I, 144 con riferimento ai termini « controversia », « deciderà », « giudizio »; contra, però, nel senso della irritualità Cass., 13 marzo 1989, n. 1253 e Cass., 20 aprile 1985, n. 2611 in base al rilievo che le formalità di rito dalle quali le parti intendono sottrarre gli arbitri sono quelle dettate dagli artt. 806 ss. c.p.c. in ordine all'arbitrato rituale); 2) l'effettiva volontà delle parti desumibile tanto dalle clausole contrattuali quanto dal comportamento da esse tenute in sede di esecuzione del contratto (Cass., 13 marzo 1989, n. 1253) ed in via ancor più sussidiaria, di quello tenuto nel giudizio arbitrale; 3) nell'incertezza sulla qualificazione giuridica dell'arbitrato deve prevalere la qualificazione di arbitrato irrt'tuale, data la natura eccezionale della deroga alla giurisdizione ordinaria che l'arbitrato rituale comporta (Cass., 20 marzo 1990, n. 2315; Cass., 28 settembre 1988, n. 5260; Cass., 11 maggio 1982, n 2945) Tali conclusioni sono state egregiamente ribadite da una pronuncia del Tribunale di Lecco che ha chiaramente affermato che « al fine dell'accertamento del carattere rituale o irrituale di un arbitrato non è vincolante la qualificazione attribuita dalle parti, le quali abbiano espressamente affermato nel compromesso che l'instaurando arbitrato è da intendersi irrituale, dovendo il giudice desumere l'effettiva volontà delle parti, le finalità perseguite ed i poteri attribuiti all'arbitro attraverso un'indagine di fatto e la diretta conoscenza della convenzione compromissoria, senza essere vincolato dalle espressioni letterali usate. L'arbitrato può essere qualificato rituale o irrituale secondo che le parti abbiano affidato all'arbitro una funzione di giudizio ovvero il mero potere di emettere una decisione sul piano negoziale comunque riconducibile alla volontà dei mandanti. Depongono per la sussistenza di una funzione decisoria degli arbitri: la devoluzione a questi ultimi del potere di decidere "ogni controversia avente ad oggetto la interpretazione ed esecuzione del contratto"; l'utilizzazione nel procedimento arbitrale di locuzioni proprie del processo civile; l'assenza di quesiti con assegnazione agli arbitri del potere di comporre la lite sostituendosi alla volontà dei contraenti; la necessità per gli arbitri di procedere ad una motivazione del provvedimento; la formulazione di domande volte ad ottenere decisioni costitutive; l'aver seguito un procedimento caratterizzato da facoltà proprie del giudizio civile; l'aver emesso gli arbitri un provvedimento del tutto con-
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forme ai requisiti di cui all'art. 823 C.p.c. » (Trib. Lecco, 7 giugno 2002, in Giur. milanese, 2002, 401). La domanda si propone con ricorso depositato nella cancelleria del ~g~j_udicecompetente;--esso-dev.e-indi<;ar~-P@Ba-èi-inafIltllfss-ibilità--il--dtritt-o----che si intende tutelare con la misura cautelare nonché il petitum, al fine di consentire al giudice: a) di verificare la propria giurisdizione e competenza; b) di accertare l'esistenza del jumus bani iuris; c) di emanare un provvedimento cautelare che attribuisca una tutela che non sia più ampia di quella ottenibile con la sentenza di merito. Depositato il ricorso in cancelleria il giudice ha due alternative: 1) provvedere solo dopo aver instaurato il contraddittorio; 2) provvedere inaudita altera parte. Se opta per la prima alternativa egli fisserà l'udienza di comparizione delle parti avanti a lui e disporrà la notifica alla controparte del ricorso e del provvedimento di convocazione (che non è impugnabile con regolamento di competenza) . TI giudice può provvedere inaudita altera parte solo quando « la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l'attuazione del provvedimento », e cioè solo quando: a) (secondo una corrente di pensiero) vengano allegate circostanze che dimostrino o facciano fondatamente presumere che la controparte possa compiere atti volti ad impedire l'esecuzione della invocata misura cautelare nel tempo intercorrente tra la notifica del decreto di comparizione e l'emanazione dell'ordinanza; b) (secondo altra opinione) l'urgenza di provvedere è tale da non consentire neppure quel minimo di dilazione necessaria alla convocazione della controparte (che, non si dimentichi, è la regola posta a garanzia del diritto al contraddittorio). L'emissione del provvedimento, inaudita altera parte, presuppone sempre l'accertamento del jumus bani iuris, da effettuarsi non esclusivamente sui fatti dedotti dalla parte ricorrente, ma su fatti eventualmente acquisiti a mezzo di necessarie informazioni. Quando il giudice concede la misura cautelare con decreto inaudita altera parte, deve fissare l'udienza di comparizione delle parti entro un termine non superiore a 15 giorni. TI ricorso ed il decreto debbono essere notificati dall'istante nel termine perentorio non superiore ad otto giorni decorrenti dalla data del deposito in cancelleria del decreto (secondo OLIVlERI) o dalla data della sua comunicazione (secondo FRUS). I termini sono triplicati se la notificazione deve essere compiuta all'estero. All'udienza di comparizione il giudice, dopo l'audizione delle parti,
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provvede sulla richiesta cautelare. Se ha provveduto con decreto inaudita altera parte, all'udienza di comparizione egli può confermare, modificare o revocare il provvedimento cautelare concesso. Ma il giudice può rigett.areJa_domanda--.Caute1are: 1) per ragioni di sola competenza; in questo caso, l'ordinanza di incompetenza non preclude la riproposizione della domanda, sia dinanzi al giudice indicato come competente, sia dinanzi allo stesso giudice che si è ritenuto incompetente. Avverso questa ordinanza non è esperibile il regolamento di competenza (Cass. n. 5316/2005; Casso n. 18680/2003; Casso n. 6009/1999). La pronuncia di incompetenza emessa dal giudice della cautela ante causam non vincola il giudice indicato come competente e quindi il procedimento cautelare non può essere riassunto avanti a questo ultimo, ai sensi e per gli effetti dell'art. 44 C.p.c. (Trib. Milano, 11 settembre 1995); 2) per ragioni di merito; in questo caso l'ordinanza di rigetto: a) è reclamabile ai sensi dell'art. 669-terdecies C.p.c.; b) è riproponibile: 1) quando si verifichino mutamenti delle circostanze, ossia sopravvengono nuovi fatti costitutivi del diritto o del periculum in mora; 2) quando si utilizzino nuove prove in ordine agli stessi fatti posti a fondamento del primo ricorso respinto (così PRaTOPISA."U); 3) quando vengano dedotte nuove ragioni di fatto odi diritto, ossia quando l'istanza si basi su fatti, anche non sopravvenuti ovvero su argomentazioni o prospettazioni giuridiche non utilizzate dalle parti o dal giudice nel primo procedimento. L'art. 669-sexies, comma 2, C.p.c. dispone che il giudice fissa «l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé entro un termine non superiore a quindici giorni assegnando all'istante un termine perentorio non superiore a otto giorni per la notificazione [c.p.c. 137] del ricorso e del decreto. A tale udienza il giudice, con ordinanza, conferma, modifica o revoca i provvedimenti emanati con decreto» (termini triplicati dal comma 3 per l'ipotesi di notificazione all'estero). La dottrina (CATALANO,Nota sulla revocabilità del decreto emanato inaudita altera parte, in Giur. it., 2007, 5) sottolinea che la disposizione, tuttavia' non chiarisce se il termine di quindici giorni abbia natura ordinatoria o perentoria, e quindi se il giudice possa o meno stabilirne uno superiore, in relazione al caso concreto sottoposto alla sua cognizione. Com'è noto, l'art. 152, comma 2, c.p.c., dispone in via generale che tutti i termini stabiliti dalla legge siano ordinatori, salvo che la legge stessa non li qualifichi espressamente come perentori (BRUNELLI, Sub art. 152 c.p.c., in Commentario breve al C.p.C.(e alle disposizioni sul processo societario), a cura di CARPIe TARUFFO, 5a ed., Padova, 2006, 449 S8.).
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Peraltro, la giurisprudenza maggioritaria sostiene che la perentorietà del termine, in difetto di espressa previsione, possa altresì desumersi dallo scopo e dalla funzione per i quali è fissato (Cass., 9 gennaio 2004, n. 138, in A~rch~~D.ili4 1353; Id, 10 novembre 2000, n. 14624,----in---rnro,---2OO1, 1591, con nota di G. CAPUTI; Id., 13 gennaio 1988, n. 177, in Fall., 1988, 341; contra, in dottrina, ANDRIOLI, Commento al C.p.C., 3 ed., I, Napoli, 1964,408). Probabilmente, proprio in ragione degli obiettivi perseguiti dalla disciplina della tutela cautelare inaudita altera parte, anche una minoranza di commentatori ritiene perentorio il termine per la fissazione dell'udienza di comparizione delle parti per la conferma, modifica o revoca del provvedimento cautelare concesso in assenza di contraddittorio. TI giudice può, tuttavia, rigettare il ricorso cautelare anche con decreto inaudita altera parte, sia per motivi di rito, sia per manifesta infondatezza, ove difettino i requisiti del jumus boni iuris o del periculum in mora (Trib. S. Maria Capua v., 18 marzo 2005, in Giur. merito, 2005, 12, 2652; Trib. Modena, 12 maggio 2004, in Giur. locale, 2004, 200). Se l'ordinanza di incompetenza o di rigetto è pronunciata prima dell'inizio della causa di merito, il giudice provvede sulle spese (anche compensandole In tutto od in parte) anche nd caso dì cessazione della materia del contendere. La condanna alle spese è immediatamente esecutiva e contro di essa l'interessato può fare opposizione nella forma della opposizione a decreto ingiuntivo, nel termine perentorio di giorni venti dalla pronuncia dell'ordinanza (se avvenuta in udienza) o dalla sua comunicazione (non è necessaria la notificazione a cura della controparte; Casson. 6892/2005). Avverso il provvedimento di condanna alle spese non è ammissibile ricorso per cassazione. Se la domanda di provvedimento cautelare viene accolta, il procedimento prosegue e deve essere collegato al processo sul merito; se questo non è ancora iniziato, deve essere promosso a cura della parte che ha ottenuto il provvedimento, nel termine perentorio fissato dal giudice di non oltre sessanta giorni o, se il giudice omette di stabilirlo, nel termine legale di trenta giorni (art. 669-octies). Se il giudice fissa un termine maggiore di sessanta giorni, trova applicazione la disposizione legale, con automatica riduzione del termine. L'inizio del giudizio di merito coincide con la notifica dell'atto di citazione, la quale deve essere fatta al convenuto nel suo domicilio reale e non al domicilio del procuratore da lui nominato nel procedimento cautelare (Cass. n. 2642/1993). Q
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In questa ultima ipotesi la notifica non è inesistente, ma nulla e, come tale, sanabile ex art. 291 C.p.c. L'efficacia del provvedimento cautelare è condizionata dall'esito del processo di merito, dato che il provvJ:JlimenlMaJalunzione di garantire.~i~J risultato di quel processo. Quanto alle spese della fase cautelare, il giudice, nell'ordinanza di accoglimento, non deve provvedere su di esse; la competenza a provvedere spetta al giudice del merito, ad eccezione dei casi in cui la causa di merito sia oggetto di compromesso o di clausola compromissoria o sia di competenza del giudice straniero (Trib. Palermo, 26 aprile 2004, in Giur. merito, 2005). Contro l'ordinanza del giudice della cautela che erroneamente pronunci sulle spese, è ammissibile l'opposizione ex art. 669-septies e non il ricorso per cassaZiOne. TI sequestro diventa inefficace: a) se il giudizio di merito non è instaurato nei termini perentori di cui all'art. 669-octies; b) se il giudizio di merito si estingua per qualsiasi causa (ad es. inattività delle parti o rinuncia agli atti del giudizio); c) se non sia stata versata o sia stata versata in modo difforme da quello imposto, la cauzione di cui all'art. 669-undecies, entro il termine perentorio fissato dal giudice; ti) se il diritto a tutela del quale la misura cautelare era stata concessa sia stato dichiarato inesistente con sentenza anche non passata in giudicato, ovvero con lodo arbitrale anche non depositato. Se la causa di merito è di competenza di un giudice straniero o è devoluta a un giudice arbitrale, il provvedimento cautelare perde efficacia se non è richiesta nel termine stabilito dalla legge l'esecutorietà della sentenza straniera o del lodo arbitrale; ovvero se la sentenza o il lodo dichiarasse l'inesistenza del diritto a garanzia del quale era stato emanato il provvedimento (art. 669-novies, ult. comma). Nei casi sub a) e b) il giudice che ha emesso il provvedimento, su ricorso della parte interessata, convocate le parti con decreto, in calce al ricorso, dichiara se non c'è contestazione con ordinanza avente efficacia esecutiva, che il provvedimento è divenuto inefficace e dà le disposizioni necessarie per ripristinare la situazione precedente (art. 669-novies, comma 1, parte I, c.p.c.). TI provvedimento di convocazione va comunicato al controinteressato, dalla cancelleria (secondo MERLIN), dal ricorrente (ad avviso di PRaTo PISANI).
Non v'è un termine minimo a comparire.
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Nell'ipotesi in cui il diritto cautdato sia riconosciuto esistente solo in parte, il provvedimento cautelare rimane caducato nella parte in cui non è stato riconosciuto il diritto cautelato (MERLIN,SASSANI; contra FRUS). L_a~d~o~tt.rina prevalente è orient.ata-a--cite-n~-4~-se--Hte-flZa-m&-ame-nt€ processuale, ossia di rigetto della causa di merito per ragioni di rito, determini l'estinzione immediata del provvedimento cautelare (AITARDI,PRaTO PISANI). Circa il procedimento per la dichiarazione di inefficacia, è dubbio se sia competente, lo stesso magistrato che ha istruito il provvedimento cautelare, ovvero l'organo giudiziario al quale egli appartiene (nel primo senso MERLIN,Pret. Torino, 22 dicembre 1993; nel secondo PRaTO PISANI). La pronuncia d'inefficacia dei provvedimenti che sono stati confermati in sede di reclamo, è emessa dal giudice che ha emanato l'ordinanza impugnata e confermata (MERLIN;contra AITARDIe CONSOLO),e tale competenza rimane ferma anche nell'ipotesi di provvedimento cautdare modificato in sede di reclamo (Pret. Roma, 20 febbraio 1997). La non contestazione deve provenire dalla parte costituita e non può essere desunta dalla mera contumacia della controparte. In caso di mancata contestazione, alla declaratoria di inefficacia non può segwre la condanna aIle spese (Trib. Roma, 25 marzo 1997). In caso di contestazione, l'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il provvedimento cautelare decide con sentenza provvisoriamente esecutiva, il termine di un processo a cognizione piena, nd corso del quale il giudice istruttore può revocare o modificare con ordinanza il provvedimento cautelare, ai sensi dell' art. 669-decies C.p.c. Il provvedimento cautelare, data la sua natura provvisoria, può essere revocato o modificato dal giudice istruttore nel corso dd procedimento anche nel caso che sia stato emanato anteriormente all'inizio della causa di merito. Se la causa pende davanti a giudice straniero, a giudice arbitrale o al giudice penale per l'esercizio dell'azione civile in quella sede, la revoca e la modifica del provvedimento possono essere chieste al giudice che ha emesso il provvedimento (art. 669-decies). Presupposti di legge per ottenere la revoca o la modifica della misura cautelare sono: l) la sopravvenienza di fatti nuovi inesistenti al momento della concessione della mistira cautelare; 2) l'allegazione di fatti anteriori di cui si è acquisita conoscenza successivamente al provvedimento cautelare. In tale caso, l'istante deve fornire la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza (art. 669-decies). Il potere del giudice della causa di merito di revocare o modificare il
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prowedimento cautelare non può essere attivato per far valere nullità processuali relative alla fase cautelare (Pret. Torino, 21 giugno 1995). Con il prowedimento di revoca o modifica, il giudice dà le disposizioni necessarie-p_eLIDil.difkarela-.SituazÌOIlqJrodottasi a seguito delJ~u~zione della cautela e quelle necessarie per il ripristino della situazione precedente. Si sostiene la non retroattività del prowedimento di revoca (MERLIN). La competenza a disporre la revoca e la modifica è del giudice istruttore anche se la misura cautelare è stata emanata prima dell'inizio della causa di merito. Tale potere è possibile, non solo per giudizi che si svolgono dinanzi al Tribunale, ma anche per quelli dinanzi alla Corte d'Appello, che pronuncerà ordinanza in sede collegiale (VERDE,DI NANNI,MERLIN). Non è proponibile l'istanza di revoca o modifica: a) prima dell'inizio della causa di merito, non essendovi alcuna istruttoria in corso; b) dopo l'iscrizione della causa a ruolo, ma prima della nomina del giudice istruttore della udienza di trattazione; c) durante la rimessione della causa al collegio essendosi esaurita l'istruttoria, cosÌ come nell'udienza di precisazione delle conclusioni nei processi dedsi dal giudice monocratico; d) durante il decorso del termine utile a proporre impugnazione. I prowedimenti cautelari confermati o modificati in sede di reclamo, possono essere modificati o revocati ai sensi dell'art. 669-decies in presenza di mutamenti nelle circostanze (TOMMASEO, PROTOPISANI). Poiché il reclamo ha natura di impugnazione, a critica libera e non vincolata (con il quale, dunque, è possibile denunciare genericamente l'ingiustizia della decisione del giudice reclamato), è deducibile, a fondamento dello stesso, qualunque errore in procedendo o in iudicando. Con la riforma dell'art. 669-terdecies C.p.c. ad opera della 1. 14 maggio 2005, n. 80, l'oggetto del reclamo non è più solamente l'ordinanza con il quale è stato concesso il prowedimento cautelare, ma anche quello che lo abbia negato. La portata innovativa della norma è senza dubbio relativa se si considera il fatto che non fa altro che recepire l'orientamento già imposto dalla Corte costituzionale, che nella sentenza lO maggio-23 giugno 1994, n. 253 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 669-terdecies, per contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui la norma non ammetteva il reclamo awerso l'ordinanza di rigetto della domanda di cautela, determinando un chiaro squilibrio tra chi propone e chi resiste al prowedimento cautelare. Awerso l'ordinanza che prowede sulla istanza di prowedimento cau-
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telare è previsto, quindi, anche uno speciale reclamo, che può essere proposto nel breve termine di quindici giorni e nelle forme stabilite per i procedimenti in camera di consiglio: con tale novella il legislatore mette fine ai lunghi dibattiti dottrinalL~~iurisprudenzialiln::lema di redamo..~ Sulla scia del vecchio dettato normativo, che rinviava al secondo comma dell'art. 739 C.p.c., la dottrina maggioritaria riteneva che il termine di dieci giorni previsto da tale norma decorresse dalla notificazione ad istanza di parte (MANDRIOLI; CECCHELLA). Dello stesso indirizzo la giurisprudenza maggioritaria (Trib. Trapani, 12 gennaio 2004; Trib. Torino, 9 gennaio 2004; Trib. Milano, 25 novembre 2002; Trib. Salerno, 8 aprile 1995; Trib. Roma, 8 marzo 1995). Non mancava tuttavia, chi riteneva preferibile far decorrere il termine dalla comunicazione del provvedimento da parte della cancelleria, in considerazione del fatto che in tal caso si è in presenza di una vera e propria notificazione e non una semplice comunicazione (SALEITI,377): tesi condivisa da altra parte della giurisprudenza (Trib. Rimini, 13 dicembre 1995; Trib. Biella, 23 luglio 1994; Trib. Brescia, 9 dicembre 1993). La nuova disposizione prevede espressamente, non lasciando cosÌ adito ad alcun dubbio, che il reclamo deve essere proposto nel « termine perentorio di 15 giorni dalla pronuncia in udienza ovvero dalla notificazione se è anteriore ». Qual'è il giudice competente per il reclamo? A) Contro il provvedimento del giudice singolo del Tribunale, il reclamo si propone al collegio dello stesso Tribunale (nonché della stessa sezione cui è assegnato il giudice del provvedimento cautelare; cosÌ PRaTO PISANI)del quale non può fare parte il primo giudice. B) Contro i provvedimenti collegiali della Corte d'Appello, il reclamo si propone ad altra sezione della stessa Corte d'Appello o, in mancanza, alla Corte d'Appello più vicina. C) Contro il provvedimento emesso dal Consigliere istruttore della Corte d'Appello, nel caso di giudizio di merito in unico grado, competente a decidere sul reclamo è una sezione di Corte d'Appello diversa da quella cui appartiene il magistrato istruttore o, in mancanza di più sezioni, la Corte d'Appello più vicina. D) Contro il provvedimento emesso dal Tribunale collegialmente, il reclamo si propone ad altra sezione dello stesso Tribunale o, in mancanza, al Tribunale più vicino (TARSIA, AITARDI,MANDRIOLI, contra, nel senso che la competenza è della Corte d'Appello del distretto di appartenenza del Tribunale, SALEITI,VERDE,DI NANNI,OLIVIERI). TI reclamo si propone con ricorso depositato in cancelleria e tale deposito è sufficiente ai fini del rispetto del termine perentorio di quindici giorni
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(Trib. Napoli, 14 febbraio 1997; Trib. Napoli, 8 gennaio 1996). La giurisprudenza di merito dominante ritiene conforme ai principi di economia dei giudizi che, in caso di reciproca soccombenza in ordine alla pronuncia cautelare di p-rimo~raclQJuttLi reclami awers.o il medesimo---PWw.ediment-O-----------siano decisi in un solo giudizio, anche al fine di evitare decisioni contraddittorie, con la conseguenza che è ammissibile il reclamo incidentale proposto dal ricorrente nei confronti dell'ordinanza di parziale accoglimento dell'istanza (Trib. Napoli, 13 novembre 1997; Trib. Parma, 11 giugno 1997; Trib. Bergamo, lO settembre 1994; contra Trib. Torino, 4 luglio 1994). Circa il termine per la proposizione del reclamo incidentale è stato sostenuto da alcuni che, in ipotesi di mancata notificazione del provvedimento cautelare, il reclamo incidentale sarà proponibile con la comparsa di costituzione che può esser depositata fino all'udienza fissata per la comparizione delle parti innanzi al Collegio (Trib. Trani, 6 novembre 1996; Trib. Roma, Il giugno 1997); da altri che il suddetto termine decorre dalla notifica del reclamo principale (Trib. Bergamo, lO settembre 1994; Trib. Roma, 17 giugno 1998). TI litisconsorte, inciso da provvedimento cautelare, che è rimasto estraneo al contraddittorio in prime cure per mancata notifica del ricorso introduttivo e della relativa ordinanza, è legittimato a proporre reclamo in qualsiasi momento (Trib. Torino, 3 gennaio 1994), mentre l'interveruente ade sivo dipendente non è legittimato a ciò (Trib. Camerino, 30 agosto 1993). È legittimato, altresì, il terzo che sia direttamente ed effettivamente leso dal provvedimento cautelare reso inter alios, a condizione che lo stesso si sia trovato nell'impossibilità di intervenire nel procedimento per far valere le sue pretese e che per effetto del provvedimento cautelare subisca un pregiudizio immediato e diretto di una situazione soggettiva tutelata dall' ordinamento (Trib. S. Maria Capua Vetere, 6 febbraio 2004; Trib. Rovigo, 25 settembre 2000). La dottrina ritiene che esso abbia luogo attraverso la notificazione del ricorso, per il quale non è necessaria una nuova procura alle liti (TARZIA; nello stesso senso Trib. Ravenna, 9 giugno 1997). TI reclamante ha l'onere di indicare dettagliatamente i motivi del reclamo, pena la declaratoria di inammissibilità del reclamo stesso (Trib. Termini Imerese, 12 febbraio 2001). Nel giudizio di reclamo il giudice è libero di scegliere lo strumento di convocazione che ritenga più idoneo (Trib. Roma, 23 agosto 1994), in quanto la norma non richiede affatto il rispetto rigoroso delle formalità prescritte per l'instaurazione del procedimento ordinario (Trib. Milano, 12 luglio 1997). La costituzione del destinatario sana, con effetto ex tune, ogni vizio della notifica (Trib. Roma, 2 dicembre 1998). L'omesso rispetto del termine fissato, con decreto in calce al ricorso,
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per la notifica alla controparte della data fissata per la trattazione camerale del reclamo non comporta né l'estinzione del procedimento, né l'inammissibilità del reclamo. In senso contrario è stato ritenuto inammissibile il ricorso, senza Rossibilità di assegnaziQoe-dLun-ru.lffiTO termine-Per la notifica-------(Trib. Trani, 6 settembre 1995). Qualora il giudice del reclamo rilevi la nullità del provvedimento cautelare per difetto o omissione di motivazione, non può limitarsi a dichiarare la nullità, ma deve pronunciare nel merito (Trib. Roma, 11 gennaio 1997), mentre, per il principio del doppio grado di merito, il giudice del reclamo, che riforma la pronuncia di incompetenza di primo grado, deve rimettere la causa all'organo della prima fase (Trib. Bologna, 30 luglio 1998). Quanto ai poteri istruttori in capo al giudice del reclamo l'art. 669-terdecies, così come riformulato dalla 1. 14 maggio 2005, n. 80 che ricopia interamente l'art. 23, comma 5, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5, prevede che il «Tribunale può sempre assumere informazioni e acquisire nuovi documenti. Non è consentita la remissione al primo giudice ». In dottrina si ritiene che la disposizione contenuta nell'art. 23, comma 5, d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 non abbia carattere innovativo, ma si limiterebbe ad esplicitare quanto già doveva considerarsi disposto in forza del rinvio all'art 738 c p c (SUEITI, La rt/orma delle società, in SASSANI (8 cura di), Il processo, Torino, 2003, 228). Pertanto, il giudice del reclamo, svolgendo la sua attività istruttoria nella stessa forma prevista dal giudice di primo grado, non si limiterà al solo controllo degli errori in procedendo o in iudicando, ma riesaminerà il provvedimento impugnato anche in riferimento agli elementi di fatto e di diritto non considerati in prime cure. TI procedimento si svolge in camera di consiglio, cioè senza pubblica udienza. Prima di pronunciare, il collegio deve sempre sentire le parti. Qualora in sede di decisione sul reclamo sia revocata la cautela concessa dal primo giudice ante causam, sulle spese dell'intero provvedimento cautelare deve provvedere il giudice della controversia di merito, nel frattempo introdotta (Trib. Napoli, 18 novembre 1998). La pronuncia avviene sempre con ordinanza. L'ordinanza emessa in sede di reclamo è priva del carattere di decisorietà e non è pertanto ricorribile in Cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., non solo quando confermi, modifichi o revochi le determinazioni adottate dal primo giudice, ma anche quando risolva la questione della competenza in ordine alla domanda cautelare, oppure un' altra questione pregiudiziale relativa alla sua ammissibilità o proponibilità; non è neppure impugnabile con regolamento ai sensi dell'art. 42 C.p.c. quando risolva una questione di competenza, non potendo configurarsi come atto decisorio suscettibile di
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assumere, in difetto di impugnazione autorità vincolante circa la relativa questione (Cass., Sez. un., 8 marzo 2006, n. 4915; per un'ampia rassegna giurisprudenziale sul punto v. F. IOGHÀ, Sub art. 669-terdecies, in Codice di
procedura cit'i1e ipertestuale,--a-c-ur~ di
COMOGLIO e VAGGARELLA,--l'-m'-inQ,~, -------------
2006). È, altresì inammissibile l'istanza di regolamento di competenza n. 3060/1997, n. 7541/1997).
(Cass.
Massimario sugli arti. da 669-bis a 669-terdecies C.p.C. LA tutela cautelare. 1. Natura e funzioni. Cassazione Civile, Sez. un. -
Sento 215 del 9 gennaio 1995.
Il procedimento cautelare ed il provvedimento che lo conclude sono connotati non già da una generica funzione di preservazione dei diritti di colui che richiede il provvedimento, funzione che viene svolta da qualsivoglia azione, bensì da quella specifica di assicurare, in via prO\1visoria e di strwnentantà ipotetica, che gli accadi1IJenti che possono ve!ifica! si dO!ante il tempo necessario per lo svolgimento del processo ordinario, non si risolvano in un danno per colui che, al termine di esso, risulterà vittorioso; è priva del suddetto carattere di strumentalità l'opposizione a decreto ingiuntivo, che introduce un ordinario giudizio di cognizione ed è disciplinata in un titolo diverso del codice di rito rispetto a quello che fissa la disciplina dei procedimenti cautelari, e pertanto non rientra tra i procedimenti « cautelativi» che, ai sensi dell'art. 51, della 1. 22 maggio 1971, n. 349 (di approvazione dello statuto della Regione Puglia) il presidente della regione può promuovere autonomamente « salvo riferire alla giunta ». Cassazione Civile, Sez. II -
Sento 8426 del 10 agosto 1995.
I provvedimenti d'urgenza, avuto riguardo alla loro intrinseca provvisorità esauriscono la loro funzione una volta che sul diritto che essi tendono ad assicurare sia pronunciata la decisione di merito, dalla quale restano a seconda dei casi assorbiti o travolti, indipendentemente da ogni rilievo in ordine alla relativa legittimità sotto il profilo della sussistenza dei requisiti per la loro adozione ovvero dell'osservanza delle norme disciplinanti il procedimento prodromico alla loro pronuncia.
Regolamento preventivo di giurisdizione. Ammissibilità. Cassazione Civile, Sez. un. -
Sento 6228 del 9 luglio 1997.
La proposizione del regolamento di giurisdizione non è preclusa dalla circostanza che il giudice adito per il merito abbia provveduto su una richiesta di provvedimento cautelare,
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Se sia impugnabile per cassazione o con regolamento di competenza l'ordinanza emessa ex art. 669-terdecies c.p.c. Cassazione Civile, Sez. un. -
Sent. 9337 del 25 ottobre 1996.
A seguito dell'entrata in vigore della 1. n. 353/1990 (provvedimenti urgenti per il processo civile) e successive modjficazioni, è inammissibile il ricorso per regolamento di competenza avverso l'ordinanza emessa dal Tribunale in sede di reclamo, ai sensi dell'art. 669-terdecies C.p.c. (nella specie, le Sezioni unite della S.c. hanno dichiarato inammissibile il ricorso per regolamento di competenza proposto avverso l'ordinanza con la quale il Tribunale aveva respinto il reclamo contro un provvedimento di reintegrazione di un lavoratore nel posto di lavoro, che il pretore aveva emesso ai sensi dell'art. 700 C.p.c., respingendo un'eccezione di incompetenza per territorio del giudice adito). Cassazione Civile, Sez. 1-
Sento 8178 del 9 settembre
1996.
L'ordinanza resa dal Tribunale, ai sensi dell'art. 669-terdecies C.p.c., sul reclamo contro le determinazioni adottate dal pretore, dal giudice istruttore o dal giudice designato sull'istanza di misura cautelare, è priva di decisorietà, non soltanto quando confermi, modifichi o revochi tali determinazioni, in ragione della strumentalità e provvisorietà del provvedimento positivo, nonché della riproponibilità di quell'istanza in caso di provvedimento negativo, ma anche quando risolva la questione della competenza sulla domanda cautelare, oppure altra questione pregiudiziale inerente alla sua ammissibilità o proponibilità, dato che la definizione della connessa problematica, pur coinvolgendo diritti rocessuali, non uò avere la se arata consistenza di statuizione sui . 'tti stessi, suscettibile di assumere autorità vincolante di giudicato, perché inserita in un atto non decisorio sul rapporto sostanziale. Detta ordinanza, pertanto, anche con riferimento alle indicate questioni, non è impugnabile, né con il ricorso di cui all'art. 111, comma 2, Cost., né con il ricorso per regolamento di competenza. Cassazione Civile, Sez. lavo-
Sent. 6851 del 30 luglio 1996.
L'ordinanza emessa a norma dell'art. 669-terdecies C.p.c. sul reclamò proposto avverso il provvedimento che abbia provveduto in ordine alla richiesta di una misura cautelare, non è impugnabile con ricorso per cassazione a norma dell'art. 111 Cost., avendo i caratteri di provvisorietà e non decisorietà propri del provvedimento impugnato, anche nel caso in cui (come nella specie) provveda nel senso della revoca di un provvedimento concessivo.
3.
I sequestri (conservativo) giud£Ziario e convenzionale).
Com'è noto il sequestro è un mezzo di difesa preventiva del diritto; ha lo scopo di garantire la conservazione e l'indisponibilità di determinati beni per il periodo necessario alla soluzione della controversia, o al conseguimento dei diritti dell'attore. TIsequestro può essere: giud£Ziario; conservativo; libera/orio.
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3.1.
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Il sequestro giudiziario.
TI sequestro giudiziario è caratterizzato da un rapporto di strumentalità con l'emanazione del provvedimento definitivo di merito, per assicur.are,, sw piano pratico e in via preventiva e cautelare, la concreta efficacia del futuro provvedimento giurisdizionale relativo a situazioni di proprietà e di possesso dei beni tutte le volte in cui, non solo, vi sia il rischio di distruzione, alterazione o deterioramento del bene oggetto del giudizio o, comunque, un pregiudizio attuale e concreto da compromettere l'effettività della decisione, ma anche, e riprendendo la motivazione della decisione in commento, «lo stato di fatto esistente comporti la mera possibilità, sia pure astratta, che si determinino situazioni tali da pregiudicare l'attuazione del diritto controverso» (CALVOSA, voce Sequestro giudiziario, in Noviss. dig., XVII, Torino, 1970, 66). TI giudice può autorizzare il sequestro giudiziario: l) di beni mobili o immobili, aziende o altre universalità di beni, quando ne è controversa la proprietà o il possesso ed è opportuno provvedere alla loro custodia o alla loro gestione temporanea. Questo tipo di sequestro è destinato a produrre i suoi effetti nella fase della esecuzione che deve avvenire con le forme della consegna o del rilaseio ex artt. 605 55. C.p.C. (Cass., 23 novembre 1991, n. 12595) in quanto applicabile, omessa la notificazione del precetto per consegna o rilascio nonché la comunicazione di cui all' art. 608, comma l; il legislatore ha infatti privilegiato il momento « sorpresa» per permettere al sequestro di ottenere il maggior effetto utile. Secondo la Corte di Cassazione, il termine «possesso» è da intendersi nel senso di comprendere anche la detenzione (Cass. n. 9645/1994 e Casso n. 1989/ 1989); 2) di libri, registri, documenti, modelli, campioni e di ogni altra cosa da cui si pretende desumere elementi di prova quando è controverso il diritto alla esibizione o alla comunicazione, ed è opportuno provvedere alla loro custodia temporanea. Esso è diretto, in linea generale, a garantire un preteso diritto (reale o di obbligazione) su una cosa oggetto di controversia. Per l'ammissibilità del sequestro di cui al n. 1 devono sussistere i seguenti presupposti: a) il c.d.jumus boni iuris, consistente nell'esistenza di una controversia sulla proprietà o sw possesso: a tal fine, non è necessario che si tratti di azioni di rivendica, di reintegra o di manutenzione (e che cioè si discuta tra le parti dell'esistenza di un ius in re), in quanto si ravvisa una controversia di tal genere anche quando sia promossa un'azione contrattuale, che importi una statuizione sulla proprietà (v. ad esempio Cass., 3 agosto 1988, n. 4807), e comunque quando vi sia una lite fra due soggetti
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che vantino diritti incompatibili sulla stessa cosa. La giurisprudenza si è ormai consolidata nel ritenere che i termini « proprietà» e « possesso» non devono essere intesi in senso letterale, ma devono ricomprendersi nella fattispecie anche azion4;>er-sonali aventi per-eggeue-l.H---r-est-ituziene-deHa---eosa>------------da altri detenuta (Trib. Monza, 13 dicembre 2004, in Corr. merito, 2005, 269). Tali termini devono essere quindi intesi in senso più ampio e atecnico, che permetta di ricomprendere nel concetto di possesso anche quello di detenzione. Da ciò consegue che il sequestro giudiziario può essere concesso anche a tutela delle azioni di annullamento, nullità, rescissione, risoluzione di negozi giuridici che siano afferenti a beni e che abbiano l'effetto di determinare il possibile « spostamento » di un bene da un soggetto ad un altro; b) il c.d. periculum in mora, consistente nell'opportunità della custodia o della gestione temporanea della cosa da sequestrare al fine di evitare che questa possa deteriorarsi (pericolo di danno) o possa essere sottratta dall'attuale possessore (così vanificando l'eventuale pronuncia favorevole di merito) o al fine di adeguare tempestivamente la situazione di fatto a quanto prospettato dal ricorrente. 3.1.1.
ti sequestro gzudzzzarzo dz «benz mobili
».
Oggetto del sequestro giudiziario di cui all'art. 670, n. 1, c.p.c. sono« i beni mobili» purché specificati, quando ne sia controversa la proprietà, il possesso o anche la detenzione. Ne consegue che non sono assoggettabili al sequestro in esame: i beni fungibili, le somme di denaro, i diritti di credito verso terzi; « qualora sia controverso tra due o più persone a che spetti la titolarità di un credito verso terzi e si voglia impedire al debitore di -pagare ad una di esse e di pregiudicare così le eventuali ragioni degli altri contendenti, tale risultato può essere raggiunto non con il sequestro giudiziario, ma mediante un provvedimento ex art. 700 C.p.c., che importi il divieto giudiziale al terzo di pagare e, quindi, la temporanea indisponibilità del diritto di credito» (CANTILLO-CANTURANI).
3.1.2.
Il sequestro giudiziario di titoli di credito.
È dubbio se sia configurabile una controversia sulla proprietà o sul possesso relativamente a titolo di credito. Sul punto la dottrina è divisa. Secondo una corrente di pensiero, non è configurabile, neL caso di specie, una controversia su un bene mobile, in quanto essa attiene non al diritto sul titolo, ma al diritto menzionato nel titolo. Siccome la cambiale ha
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una propria legge di circolazione che non può essere modificata da interferenze giudiziali (salvo il caso dell'ammortamento), il possesso del documento deve seguire le norme che disciplinano la vita del titolo fino al momento in cui non esamisce, col pagame-nt-G,la-stla--f-l:lflziene~e---eonsegue che, secondo questa opinione, l'emittente non può, esercitando diritti derivanti dal rapporto causale, incidere sulla legge di circolazione del titolo, facendo valere eccezioni che non attengono al diritto sul titolo, ma al diritto menzionato nel titolo. L'emittente, dunque, una volta rilasciata la cambiale, subisce il rischio relativo alla sua utilizzazione da parte del prenditore, secondo la funzione specifica che la legge le attribuisce (CANTILLO-CANTURANI, Il sequestro giudiziario e conservativo, 20 e ss.; SATI'A,Commentario al C.p.c., IV, 1, Milano, 1968, 162). Un recente orientamento giurisprudenziale esclude l'assoggettabilità dei titoli di credito a sequestro giudiziario, sul presupposto che i titoli di credito hanno una propria legge di circolazione che accorda al traente determinate e specifiche tutele. CosÌ ha ribadito anche Trib. Terni, 14 settembre 2006 (ord.): partendo dal presupposto dell'assenza di una posizione unitaria della dottrina e della giurisprudenza, afferma chiaramente che se il sequestro fosse ammissibile E( ne risulterebbero compromesse le regole connesse alla disciplina della circolazione dei titoli di credito, perché nella legge assegni e dalla legge cambiaria non è contemplato alcun diritto alla restituzione del titolo ». Riteniamo che queste argomentazioni siano persuasivamente oppugnate dall'altra corrente di pensiero che reputa ammissibile il sequestro giudiziario dei titoli cambiari, in base alle seguenti considerazioni: l'emittente, oltre a poter opporre al prenditore tutte le eccezioni basate sul rapporto sottostante, deve poter ottenere il sequestro della cambiale (emessa senza causa o quando la causa è cessata) affinché il titolo non sia messo in circolazione con effetti per lui dannosi. In questo caso si ha una controversia sulla proprietà o sul possesso del titolo (BIGIAVI, Sequestro giudiziario di cambiale per evitare la girata, in Riv. dir. civ., 1955,498; CHIOMENTI, Il titolo di credito. Fattispecie e disciplina, Milano, 1978, 492 ss.; CAMPOBASSO, La cambiale, Milano, 1998, 1140 e ss. Nello stesso senso era anche la giurisprudenza formatasi in relazione ai codici previgenti, la quale accordava il sequestro giudiziario non solo a tutela di un diritto reale, ma anche di un semplice jus ad rem, cioè a tutela di un diritto di credito avente ad oggetto uno o più beni determinati). Infatti, il presunto debitore, sostenendo di non essere tale in base al rapporto sottostante, mira ad un mero accertamento dell'inesistenza del credito, come mezzo al fine di ottenere la restituzione del titolo, poiché, se
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questo fosse trasferito a terzi di buona fede, il presunto debitore sarebbe tenuto a pagare costoro, pur nell'inesistenza totale o parziale del credito portato dal titolo. Vi è quindi un interesse essenziale ad ottenere un provvedimento di consegna del titolo, in attesa del quale può disporsi il sequestro giudiziario. Nello stesso solco si pongono altri Autori (PAVONE, LA ROSA, PELLIZZI, ZUMPANO, SANTULLI) i quali ammettono il sequestro giudiziario della càmbiale nel solo caso in cui si controverta della titolarità del diritto cartolare: questo presupposto si configura nel momento in cui l'obbligato cambiario, che rivesta anche la qualità di parte di un contratto traslativo, contesti la validità del rapporto di trasmissione del titolo e, quindi, azioni (ovvero si propone di azionare con il futuro giudizio di merito) una pretesa finalizzata a sottrarre a detto rapporto l'efficacia vincolante (che le è ordinariamente propria) e indirizzata a conseguire la restituzione del documento, allo scopo di evitare che esso pervenga, in virtù della successiva circolazione, in possesso di terzi ai quali - come visto - non sarebbero opponibili le doglianze attinenti all'invalidità o all'intervenuta estinzione del pregresso rapporto traslativo (e per la stessa ragione è stata asserita l'applicabilità del rimedio in questione a vantaggio del debitore adempiente che, nonostante il pagamento, si sia visto rifiutate ingiustificamente la restituzione del titolo, e ciò per non incorrere nell'eventualità dell'esposizione ad un ulteriore pagamento). È sicuramente inammissibile il sequestro giudiziario di cambiali che, a seguito di una serie continua di girate, siano in possesso di persone diverse dal contraente di chi richiede il sequestro, in quanto, ai sensi dell' art. 1994 c.c., il terzo portatore di un titolo di credito in conformità delle norme che ne disciplinano la circolazione non è soggetto a rivendicazione, e nei suoi confronti non può essere invocato quello ius ad rem che riposa soltanto su un rapporto diretto sottostante all'emissione o al trasferimento e che costituisce il presupposto della misura cautelare, fondata sulla possibilità di una controversia sulla proprietà o sul possesso (Cass., 25 maggio 1973, n. 1536, in Rep. Giust. civ., 1973; Cass., 17 gennaio 1985, n. 106, in Rep. Giust. civ., 1985; Trib. Milano, 21 febbraio 1991, in Banca) borsa e tit. cred., 1992, II, 498). Una consolidata giurisprudenza di merito ammette il sequestro giudiziario di un assegno bancario quando sia domandato nei confronti del primo prenditore (Trib. Torino, 14 agosto 2002), quando la causa del rapporto sottostante manchi o sia successivamente caducata, venendo in considerazione in tale ipotesi un diritto alla restituzione del titolo (Trib. Foggia, lO febbraio 2004). In ogni caso, il sequestro giudiziario di titoli di credito va revocato in
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assenza di una controversia sulla proprietà o sul possesso dei titoli o volta a far valere un diritto alla restituzione del titolo (ius ad rem) per mancanza originaria o sopravvenuta della causa del trasferimento (Trib. Arezzo, 6
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TI terzo di buona fede può far valere i suoi diritti inerenti alla cambiale, anche nel caso che questa sia stata assoggettata a sequestro penale, per fatti estranei alla sua sfera giuridica, in quanto egli può avvalersi della copia autentica che ha ugualmente valore di titolo esecutivo, ai sensi dell'art. 2715 c.c. (Cass., l° dicembre 1978, n. 5690). 3.1.3.
Il sequestro giudiziario della quota di partecipazione a società di persone.
Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità « Le quote sociali, anche nelle società di persone, costituiscono beni nel senso dell'art. 810 c.c. in quanto suscettibili di formare oggetto di diritti e vanno ascritte residualmente alla categoria dei beni mobili a norma del successivo art. 812, ult. comma, atteso che alla quota fanno capo (insieme con i relativi doveri) tutti i diritti nei quali si compendia lo status di socio, non ridueibjlj a mere posizioni crt1ditorie. Ne deriva che, allorquando ne sia controversa la titolarità, anche le quote di una società di persone possono essere assoggettate a sequestro giudiziario, senza che a ciò sia d'ostacolo la riferibilità, nel suddetto tipo societario, della vita della società ai soci nel loro insieme, poiché proprio la possibilità per il singolo socio di influenzare e condizionare con l'esercizio dei poteri riconosciutigli dalla legge, l' andamento della compagine sociale può rendere opportuno che in attesa della definizione della controversia sulla titolarità della quota tali poteri siano esercitati da un gestore imparziale e disinteressato, conformemente alla previsione dell'art. 670, n. 1, c.p.c., il quale, nella considerazione che oggetto del sequestro possa essere anche un' entità dinamica di cui assicurare una corretta e imparziale amministrazione, prevede accanto allo strumento della custodia anche quello della gestione temporanea» (Cass., 30 gennaio 1997, n. 934, in Foro it., 1997, I, 2172; in Giur. comm., 1997, I, 2177; in Giur. comm., 1998, li, 23; coni Casso n. 12087/1992; Casso n. 2324/1994; Trib. Napoli, 6 aprile 1987, in Giur. merito, 1987, 847; Trib. Prato, 3 settembre 1986, in Foro il., 1987, I, 591; Trib. Napoli, 29 gennaio 1982, in Banca, borsa e til. cred., 1982, II, 307; Trib. Napoli, 18 maggio 1981, in Giur. comm., 1982, II, 364; Trib. Cassino, 24 ottobre 1997, in Le Soc., 1998,329; contra, Santini e Rivolta e Trib. Benevento, 24 settembre 1991, in Dir. giur., 1993,343).
Nello stesso solco si pone Trib. Monza, Sez. Desio, 29 gennaio 2001, Est. Galletti, che cosÌ motiva la sua adesione all'opinione della S.c.: « (Omissis). - Ritiene questo Giudice che l'istanza sia meritevole di accoglimento quanto alle quote sociali; sussistono in effetti entrambi i presupposti dell'art.
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670, n. 1, c.p.c., ossia la controversia sulla titolarità e l'opportunità di accedere alla custodia e gestione temporanea; - la particolare natura del bene oggetto della misura non può destare preoccupazioni, atteso che la quota sociale, nei vari tipi sociali, costituisce sul piano ----------e"'stCFe'Tu"l"o;-re:larivo-m rapporti negozlall~ene vero e proprio, cui è estensibile in via residuale la disciplina dei mobili ex art. 813, ultima frase, c.c.; - tale qualificazione consente, ad avviso del giudicante, di pervenire altresÌ all'applicazione del sequestro giudiziario, alla luce di un'interpretazione estensiva della relativa disciplina, e della consapevolezza per cui l'attuazione della misura, che certo non può essere condotta secondo le modalità tipiche di cui agli artt. 677 ss. C.p.c., è oggetto di definizione ad opera del giudice, applicando la norma di cui al. l'art. 669-duodecies C.p.C.,espressione di un principio generale; - su tale punto è concorde la giurisprudenza del S.c. (Cass. n. 943/1997), benché una recente ed acuta dottrina abbia messo in discussione l'applicabilità dell'art. 670 C.p.C.ai beni non "materiali": il risultato ermeneutico tuttavia non appare appagante, posto che così facendo si "consegna" all'art. 700 C.p.c. (ed alla ricognizione dei rigorosi limiti operativi di cui alla norma) proprio le esigenze di "custodia" relative ai beni a carattere e vocazione economica, che necessitano cioè in mi. sura superiore ed esponenziale di tutela; 4) Sull'integrazione dei requisiti in concreto - sussiste ed è in atto una controversia sulla titolarità delle quote; ed infatti alla scrittura preliminare è subentrata, al momento della scadenza del termine previsto per la stipula del rogito, una di. versa struttura negoziaIe che pare possibile qualificare come contratto definitivo di alienazione delle quote; 5) Sulla specificazione delle modalità attuative - questo Giudice reputa non condivisibile l'orientamento, pur molto rappresentato soprattutto in giurisprudenza, per cui il sequestro giudiziario delle quote sociali non rappresentate da azioni dovrebbe essere eseguito con le forme dell'espropriazione "presso terzi" (artt. 543 ss. c.p.c.), posto che, come si è recentemente sottolineato in dottrina, quel rito asseconda un'esigenza di certezza sulla titolarità dei beni aggrediti che è funzionale a rendere più efficiente l'espropriazione, diminuendo il rischio di insoddisfazione del creditore procedente; - l'esigenza non si pone negli stessi termini in sede cautelare, nemmeno per il sequestro conservativo, ove infatti l'indefettibilità dell'accertamento dell'obbligo del terzo è attenuata dall'art. 678 c.p.c.; - ma certamente l'attivazione del procedimento ex artt. 543 ss. C.p.C.sa. rebbe ultroneo per il sequestro giudiziario, che non mira alla soddisfazione coatta di un credito, bensì alla "gestione" temporanea di un bene affinché lo stesso non subisca pregiudizio; e specie in un giudizio ove tutti i soci o pretesi tali sono presenti, e non vi è dubbio sulla titolarità apparente, che coinvolge l'intero capitale oggetto della disputa; - e questo a prescindere dall'ovvia constatazione, ormai acquisita nella ri. flessione teorica, per cui la quota di società, in tutti i tipi societari, non ha natura di credito, né il socio è titolare in quanto tale di crediti verso la società, ove i rapporti obbligatori fra socio ed ente hanno natura incidentale, eventuale e si "distaccano" dall'organizzazione appena sorti, senza alcun carattere di certezza, periodicità e finanche di condizionalità; - nel determinare ex art. 669-duodecies C.p.c.le modalità di attuazione, questo G.p.c. reputa necessario e sufficiente, al fine di ottenere il coinvolgimento della