Fausto Zevi – Ilaria Manzini
LE ISCRIZIONI DELLA PORTA ROMANA AD OSTIA: un riesame*
Riprendendo in mano, a distanza di tempo, il dossier delle iscrizioni della Porta Romana, che esaminai in dettaglio ormai dieci anni fa1, mi sorprende che testi di tale interesse abbiano suscitato una così scarsa eco presso storici e filologi: in fondo, non capita tutti i giorni (o, per meglio dire: non era mai capitato fino ad ora) di ritrovare un testo epigrafico che cita nell’ordine Cicerone e Clodio, e getta luci assolutamente inattese sull’operato del primo come console e del secondo nel suo anno di tribunato. Un’attenzione solo relativamente maggiore è stata riservata ai testi dagli archeologi, i quali peraltro si sono limitati a recepire la nuova data di costruzione delle mura di Ostia, fissata ora negli anni tra 63 (consolato di Cicerone) e 58 (tribunato di Clodio), anziché in età sillana come tradizionalmente si ripeteva: questo però senza accennare ai due protagonisti, dei quali si tace con la circospezione di chi percorre un terreno minato, laddove se si accetta la datazione si deve accettare anche l’attività ostiense dei due personaggi, attestata dal riconoscimento dei loro nomi sull’attico della Porta Romana. La ricerca archeologica, invece, dovrebbe prendere a cimentarsi, con * Il primo paragrafo è di F. Zevi, il secondo di I. Manzini; la trascrizione finale delle due epigrafi di entrambi gli autori. 1 Lo scritto di riferimento rimane F. Zevi, Costruttori eccellenti per le mura di Ostia, in RIASA, s. III, 19/20, 1996/97, pp. 61-112, anche se ho avuto occasione di tornare successivamente sull’argomento. Colgo l’occasione di questo omaggio a Silvio Panciera, per riportare qui, in grato ricordo, la lettera che un epigrafista e storico di altrettanta statura, Herbert Bloch, mi scrisse a proposito della iscrizione di Porta Romana: “October 14, 1999. Caro Fausto, Ti sono tanto grato per avermi inviato questi due articoli, che io ho letti con grande piacere e molto più che piacere. Mi perdonerai se continuo questa lettera in Inglese. But while I was, of corse, greatly interested in your article about the “Culti ‘Claudii’ a Ostia e a Roma” and have learned much from reading it, I must say that your other contribution left me stunned. I spent many hours studying it carefully, and with constantly increasing admiration. So, first of all, I offer you my heartfelt congratulations. For one who has walked hundreds of times in 66 years through Ostia’s Porta Romana, what you have achieved, both in your discoveries and your excellent
F. Zevi - I. Manzini 188 maggior consapevolezza, con le nuove tematiche di indagine che le si dischiudono: primo fra tutti, anche solo sul piano delle tecniche edilizie, il riesame dei monumenti repubblicani, di Ostia ma non solo, sulla base di questo nuovo caposaldo cronologico. La stessa architettura della porta, del resto, richiede un’analisi competente, rivolta in primo luogo a stabilire la validità o meno della vecchia, ma sempre impressionante, restituzione del Gismondi (fig. 5), che, come noto, sull’attico della fronte rivolta verso Roma disponeva ai lati della iscrizione, raddoppiandola simmetricamente in pendant, la magnifica statua di Minerva alata trovata nei pressi della porta stessa, e che recentemente, con provvida iniziativa, è stata restaurata e collocata, con il giusto risalto e al riparo dagli agenti atmosferici, nel Museo Ostiense. Ebbene, non ha avuto la necessaria evidenza la circostanza, davvero straordinaria, che, appena pochi mesi dopo la mia presentazione delle iscrizioni, e in modo affatto indipendente, H. von Hesberg ha riesaminato quella scultura concludendo per una datazione in età tardorepubblicana; il titolo del suo articolo, Minerva custos Urbis2, riprende una espressione di Cicerone che, come racconta Plutarco (Cic. 31, 5), disponendosi alla partenza da Roma per quello che sarebbe divenuto il suo esilio, era salito al tempio capitolino per dedicarvi una statuetta di Minerva, affidando così alla dea, in quei frangenti estremi, il compito di custode (phylax) della Città; la statua ostiense proverrebbe dunque da una precedente fase decorativa della Porta Romana, e sarebbe stata riutilizzata nel rifacimento imperiale – la nostra angolatura visuale ciceroniana non poteva trovare conferma migliore3. Ma, ancor più a monte di tutto questo, comincia appena a dischiudersi davanti ai nostri occhi la prospettiva di una Ostia grandiosamente ripianificata ad una scala molte volte più ampia rispetto alla città preesistente, di cui le indagini archeologiche hanno dimostrato, ancora sullo scorcio del II sec. a.C.,
presentation of them, is awe-inspiring, considering how small the hitherto not-used or newly-discovered fragments are. I am totally convinced by your reconstruction, and you have made it easy to come to this conclusion with your persuasive argumentation and with offering your readers so many useful illustrations. I also agree with your interpretation of the Lentulus letter. For me, your outstanding work has a special meaning. Although I have never published any scholarly work on Cicero and his period, he and his period began to fascinate me in my last high school years (in the late 20’s). To see him here in the year of his consulate as the highest official responsible for carrying out the decisions of the senatus populusque Romanus has been a moving experience. For I have always loved Cicero, and therefore I have always been deeply disturbed by his exile and his assassination. To see him here as the central figure in both inscriptions of this grandiose monument seems to be like a miracle, a miracle that we owe to you. Con i miei cordialissimi saluti anche ad Anna, Sempre tuo, Herbert”. 2 H. von Hesberg, Minerva custos Urbis. Zum Bildschmuck der Porta Romana in Ostia, in Imperium Romanum: Studien zu Geschichte und Rezeption. Festschrift fuer Karl Christ 75. Geburtstag (a cura di P. Kneiss V. Losemann), Stuttgart 1998, pp. 370-378. Va ricordato peraltro che alle conclusioni del von Hesberg sembra far ostacolo il marmo della statua, che indagini radiometriche hanno identificato come proconnesio, un marmo che non sembra entrare in uso a Roma prima dell’età flavia. 3 I confronti addotti dal von Hesberg con le sculture provenienti dal teatro e dai portici di Pompeo, in particolare le 14 personificazioni delle Nationes che Plinio (NH 36, 41) assegna ad uno scultore Coponius, mi hanno ricordato che nei dintorni di Ostia possedeva una villa, piccola ma con belle alberature (certamente da identificare con una di quelle della zona di Acilia-Dragoncello scavate da Angelo Pellegrino) il Coponius amico di Cicerone, probabilmente il pretore del 49 a.C.; lo scultore sarà stato un liberto o un peregrinus che per suo tramite aveva ottenuto la cittadinanza. Cfr. F. Zevi, Cicero and Ostia, in Ostia, Cicero, Gamala, Feasts and the Economy. Papers in memory of J.H.D’Arms (a cura di A. Gallina Zevi - J.H. Humphrey), JRA, Suppl. 57, Portsmouth 2004, pp. 15-31, spec. p. 30 s.
189 una espansione molto limitata al difuori delle vecchie mura del c.d. castrum. Un recentissimo colloquio a St. Romain-en-Gal ha messo in evidenza come al sorgere delle nuove mura si accompagni, quasi come una esplosione subitanea, un’urbanizzazione che si stende di molto oltre i vecchi limiti della cittadella ostiense, con dimore di qualità che esibiscono belle decorazioni pittoriche di II stile: espressione di una nuova classe dirigente alla guida della città, la cui connotazione e collocazione nell’orizzonte politico del tempo attendono ancora di essere vagliate4. Non è tutto: né l’esigenza pressante di fornire risposte a quesiti puntuali può far dimenticare che l’espansione e la configurazione urbana prefigurata dalle nuove mura di Ostia debbono esser state funzione di un potenziamento del ruolo della città di cui archeologicamente non siamo ancora in grado di cogliere la realtà. Forse non a caso, non solo cioè per eccitare lo sdegno dei patres verso le malefatte di Clodio, Cicerone insiste più volte sul fatto che “il suo monumento”, turpemente insozzato da Clodio, era in realtà “un monumento del senato”, testimonianza cioè di una volontà dell’amplissimo consesso di cui l’oratore, nell’esercizio del suo consolato, era stato solo il diligente strumento. Se abbiamo ragione nel ritenere che l’espressione in esame si riferisca alle mura di Ostia da lui fatte costruire5, tornerà opportuno citare ancora quel passo del De Officiis (II 17, 60), una tarda opera che è apparsa quasi una sorta di testamento spirituale dell’oratore ormai non lontano dalla fine, in cui Cicerone ribadisce che, con buona pace di quanti, come Pompeo, avevano affidato la loro celebrità a theatra, porticus, nova templa, egli riteneva invece esser illae impensae meliores: muri, navalia, portus, aquarum ductus, omniaque quae ad usum reipublicae pertinent, dove se proprio i muri di città hanno il primo e maggior risalto, come avevo già avuto occasione di sottolineare6, mi era invece sfuggito che le opere indicate subito appresso, navalia e portus, potrebbero fare anch’esse pensare ad Ostia, dove non sarebbe affatto da escludere, pur in assenza di documenti (ma anche delle mura nulla si sapeva prima della ricomposizione della iscrizione di Porta Romana), che il considerevolissimo ampliamento della cinta muraria, che includeva ora un tratto ben più lungo della banchina fluviale, fosse stato accompagnato da un concomitante rifacimento delle installazioni portuali e forse anche dei navalia della colonia. In altre parole, è vero che le devastazioni operate dai pirati nel 67 a.C. a Ostia debbono esser state all’origine della decisione del senato di dotare la città di nuove mura, ma nella realizzazione dell’opera non si deve vedere più soltanto una misura di protezione, bensì una riprogrammazione su scala molto ampia del destino e delle funzioni di Ostia, in una parola un vero progetto urbano, certamente in collegamento con importanti gruppi di potere. Come è noto, l’iscrizione di Porta Romana venne in luce quasi un secolo fa, negli scavi Vaglieri del 1909/1910: nelle Notizie degli Scavi del 1910 il Vaglieri stesso presentò una prima disamina e una proposta di ricostruzione dei frammenti fino ad allora rinvenuti. Nuovi
le iscrizioni della porta romana ad ostia: un riesame
4 Villas, maisons, sanctuaires et tombeaux tardo-républicains, Actes coll. int. de St. Romain-en-Gal en l’honneur d’Anna Gallina Zevi, organisé par J.-M. Moret et Alii, Vienne février 2007 (a cura di B. Perrier), Roma 2007: cfr. spec. la prima sezione sulla Domus aux Bucranes d’Ostie, p. 11 ss. di Perrier, Morard, Bocherens et Alii, anche Ch. Bocherens - F. Zevi, La ‘Schola du Trajan’ et la domus du consul C. Fabius Agrippinus à Ostie, in Arch. Class., 58, 2007, pp. 257-271. 5 Zevi, Costruttori, cit., spec. p. 105 ss. 6 Zevi, Costruttori, cit., p. 109.
F. Zevi - I. Manzini 190 trovamenti confluirono nella presentazione successiva, molto ponderata e degna di ogni attenzione, approntata dal Wickert per il Supplementum Ostiense del CIL, XIV (1930), al nr. 4707. Nel sopra citato articolo, ho già discusso a lungo di questa ricomposizione, mettendone in luce i pregi (ma anche gli inconvenienti), e non fa bisogno di tornare sull’argomento: aggiungo solo che l’edizione Wickert ha costituito un punto di riferimento indiscusso per quasi settanta anni, sino alla revisione che ho iniziato negli anni ’70 e portato a compimento con lo studio del 1997. Vale la pena di ricordare alcune caratteristiche esteriori delle due monumentali iscrizioni. Originariamente posizionate sull’una e l’altra fronte dell’ attico della Porta Romana, recano entrambe lo stesso testo; l’altezza è di m 1,36, la larghezza totale, che nella sua ricostruzione il Vaglieri calcolava in soli m 2,36 (pari a 8 piedi), e in quella Wickert risultava di circa m 3,75, in realtà nella ricostruzione del 1997 raggiunge i m 5,30 (4,70 il campo epigrafico e 60 cm le cornici) e in quella attuale arriva ai m 5,32, pari a circa 18 piedi. Le due iscrizioni sono incise su varie lastre accostate, uguali per altezza, mentre la larghezza varia considerevolmente dall’una all’altra, e perciò non è ipotizzabile a priori; variano anche gli spessori, che si compensavano al momento dell’inserimento delle lastre nella muratura dell’arco. Si tratta quindi, come si intende, di iscrizioni particolarmente notevoli per dimensioni e peso del marmo, per sé difficili da esporre e di cui inoltre la frammentarietà accresce le difficoltà di ricollocazione e di presentazione. Quanto all’edificio della Porta Romana, poco ne sopravvive: se i superstiti basamenti dei piloni consentono di restituirne l’ingombro, almeno in pianta, dell’alzato rimane ben poco. In queste condizioni, la soluzione che venne a suo tempo adottata dai responsabili degli Scavi di Ostia era probabilmente la più semplice e plausibile: sul margine del Piazzale che si allarga immediatamente oltre la porta all’interno della città, vennero ricostruiti, in prossimità della porta stessa, due tratti di muro accuratamente intonacati, per inserirvi i frammenti delle due iscrizioni (fig. 1) secondo la presunta disposizione originaria, e, nella meglio conservata delle due, completando alcune parole con l’incidere nella malta cementizia le lettere mancanti così come suggerite nel supplemento del CIL, XIV; sulla destra, un terzo pannello ospitava, parimenti murati, i frammenti che il CIL considerava di incerta collocazione (sedis incertae). Questa sistemazione, di alto mestiere, ritengo debba risalire agli anni ’30, cioè gli anni della direzione del Calza (e del Gismondi), perché sostanzialmente segue le indicazioni testuali del CIL, anche se con qualche variante che direi prudenziale, ma che, specialmente per quanto riguarda la fine della prima riga, condiziona, come ho avuto occasione di sottolineare, il significato dell’intero testo7. Per effettuare la ricostruzione del 1997, fu necessario smurare alcuni frammenti, primi fra tutti quelli sedis incertae, poi altri, particolarmente quelli di minori dimensioni e di meno sicura
7 In particolare, la mancata restituzione, alla fine della prima riga, della lettera R, con cui il Wickert riteneva fosse abbreviata la parola R(omanus), ripristinava in qualche modo la vecchia lettura del Vaglieri, Senatus populusque coloniae Ostiensium, facendo cadere quella che della ricostruzione del CIL rappresentava la più acuta novità. Anche le parole muros dedit alla fine della seconda riga non sono state integrate, pur se i frammenti sono posizionati seguendo la disposizione del Wickert. Infine, due dei frammenti sedis incertae sono collocati nella seconda iscrizione, il pannello dei frammenti adespoti ne conteneva alcuni che con la iscrizione di Porta Romana non avevano a che fare – evidentemente trovati nei pressi – e tre frammenti, compresi nella edizione Wickert, non hanno trovato posto nella ricostruzione ed erano finiti tra i frammenti non numerati dei depositi, dove li ho ritrovati e identificati, insieme con altri cinque frammenti effettivamente inediti (fig. 2).
191 collocazione, per verificare dal vivo, per così dire, ipotesi e possibilità. Si era tuttavia evitato di distaccare i frammenti maggiori, e quelli dei quali più ampiamente erano state integrate le lacune nella muratura – un’opera, questa, che ai nostri tempi risulterebbe difficile e costoso ripristinare, e di cui pertanto si cercava, per quanto possibile, di evitare o rimandare la distruzione; anche se ormai appariva chiaro che la identificazione nei depositi ostiensi di alcuni altri frammenti delle due iscrizioni, e i nuovi attacchi che si andavano effettuando, modificavano sostanzialmente la disposizione dei pezzi e avrebbero comunque reso necessario un nuovo allestimento. D’altro canto, un approccio metodologico fondamentale che ha consentito la ricostruzione del 1997 è consistito nell’esame minuzioso degli spessori delle lastre e del trattamento del loro rovescio, talora lavorato a subbia, talora liscio (a seconda, possiamo oggi meglio precisare, che le lastre conservassero o meno la superficie originaria del blocco da cui erano state segate), elementi che, combinati tra di loro e integrati con altri, in molti casi hanno consentito di fissare con sicurezza la appartenenza o meno dei frammenti ad una o ad altra lastra. La verifica dei rovesci diveniva quindi importante; per questo tutt’intorno ai frammenti rimasti in posto e quindi non direttamente visibili, si era cercato di praticare nel muro profonde incavature che consentissero di ispezionare al tatto le fratture del marmo e eventualmente di riconoscere le caratteristiche del retro della lastra. A suo tempo, la ricomposizione del testo richiese un impegno intenso e prolungato, i cui risultati, presentati nella giornata ostiense dell’XI Convegno Internazionale di Epigrafia Greca e Latina (Settembre 1997), sono stati pubblicati subito dopo con ampio corredo di disegni e di immagini fotografiche8; considero questo come il lavoro di riferimento, anche se, in seguito, mi è accaduto di tornare sull’argomento con qualche ulteriore considerazione9. La Année Epigraphique10 ha pienamente accettato (con alcuni pochi suggerimenti, più che emendamenti, di cui diremo più avanti), la ricomposizione e interpretazione proposta. Dopo questo riconoscimento scientifico, si poneva il problema del restauro delle iscrizioni e della loro definitiva presentazione al pubblico, operazione non semplice né indolore, date le dimensioni dei due testi e le difficoltà e i costi per l’assemblaggio dei pezzi superstiti e le integrazioni delle lacune. Era perciò necessario un accurato controllo preliminare del materiale esistente, per assicurarsi che non esistessero altri frammenti sfuggiti alla ricerca a suo tempo compiuta: occasione opportuna anche per un riesame generale della mia ricomposizione, al fine di verificare possibili soluzioni migliorative. A questo compito si sono accinte con particolare impegno due giovani epigrafiste, C. Caruso e C. Papi11. Il primo risultato da loro ottenuto è la constatazione che nei magazzini di Ostia non vi sono altri frammenti pertinenti alle nostre iscrizioni12: in pari tempo, si è verificata la effettiva appartenenza
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Cfr. nt. 1. In particolare in Zevi, Cicero, cit. 10 AE 1997, 253 (G. Di Vita Evrard). 11 C. Caruso - C. Papi, L’iscrizione di Porta Romana a Ostia: verifiche e proposte, in Arch. Class., 66, 2005, pp. 461-469. 12 Resto dubbioso sulla possibile appartenenza alle nostre iscrizioni del frammento individuato nella raccolta epigrafica del Chiostro di S. Paolo (Caruso - Papi, Iscrizione, cit., p. 465 fig. 5), la cui provenienza ostiense non è sicura. Per quanto fino ad ora si sa, nessun frammento delle iscrizioni ha lasciato Ostia. 9
F. Zevi - I. Manzini 192 alle iscrizioni della Porta Romana di tutti i frammenti che avevo riconosciuto e assemblato. Al termine di questa operazione, le due studiose hanno proceduto a ricontrollare e riaffermare la validità degli accostamenti da me suggeriti (e quindi della lettura che ne consegue), indicando peraltro possibilità di spostamenti per alcuni frammenti minori e fornendo proposte di integrazione per la disastrata ultima riga, in cui avevo preferito lasciare dei vuoti anziché avventurarmi in completamenti privi di supporti sicuri. Due anni addietro, ritenendo completata l’indagine conoscitiva, la Soprintendenza ha approntato un progetto di restauro delle due iscrizioni, destinate ad una presentazione nel Museo Ostiense, cui giustamente le assegna la ormai riconosciuta importanza storica del loro contenuto. Questa decisione ha comportato in primo luogo l’abbandono di ogni remora circa l’asportazione dei frammenti marmorei dal supporto murario in cui erano alloggiati: i pezzi sono stati dunque trasportati in magazzino, ripuliti con cura nelle superfici e nei rovesci, e quindi analizzati nelle migliori condizioni di visibilità e di illuminazione, come non era stato possibile in passato. In altre parole, diveniva indispensabile, nel momento in cui ci si accingeva a presentarlo in una disposizione definitiva, una revisione finale di tutto il complesso, delicato e impegnativo compito di cui è stato dato incarico alla dott. I. Manzini che, tengo a dire, ha lavorato in assoluta autonomia, e solo alla fine i procedimenti seguiti e i risultati ottenuti sono stati vagliati uno ad uno da chi scrive e poi, indipendentemente, da M.L. Caldelli – incontrando il pieno consenso di entrambi. L’indagine ha riconfermato, in primo luogo, la pertinenza di tutti i frammenti selezionati; ha proceduto poi a ricontrollare gli attacchi proposti e, quel che più conta, ha ribadito la sostanziale esattezza dei principali accostamenti e ricongiungimenti a suo tempo realizzati: particolarmente degno di nota è quello tra i frammenti I/5 e 30’, che costituiscono il fulcro della ricostruzione proposta, il cui attacco non si era potuto in precedenza verificare fisicamente. Di più, gli spostamenti che la Manzini ha effettuato tra i frammenti minori e che lei stessa descrive nella seconda parte del presente articolo, hanno portato a risolvere la quasi totalità dei dubbi residui, solo in uno o due casi lasciando incertezza o possibilità alternative. Tali nuovi e ormai definitivi posizionamenti hanno reso necessario un nuovo rilievo e un disegno ricostruttivo, affidati, come già è stato per la prima elaborazione, all’abilissima mano e alla impareggiabile esperienza di M. Antonietta Ricciardi, e che qui pubblichiamo grazie al consenso della Soprintendenza di Ostia13, ponendo a confronto la versione grafica precedentemente edita, onde mettere in grado il lettore di effettuare le debite comparazioni e rendersi conto delle modifiche (figg. 3-4). Come il lettore avvertirà subito, la variazione di maggior conseguenza per il testo è, nella terza riga, la sostituzione del verbo locavit, invece di curavit, nella coppia di verbi fecit locavitque che indicano l’azione compiuta da Cicerone come console, quando provvide ai lavori, e al relativo appalto, delle nuove mura della colonia ostiense. Per vero, nell’articolo del 1997, avevo sempre esplicitamente presentato in alternativa le due possibilità per la fine
13 Cui esprimiamo la nostra gratitudine nelle persone della dott. Margherita Bedello, Responsabile del Procedimento e direttore scientifico del restauro in corso, e della Sig.ra Laura Spada, direttore del lavoro, eseguito con competenza dai membri della cooperativa TECNICON S.r.l.
193 della terza riga: “[---]fec[it curav]itqu[e] o [locav]itqu[e] o altro verbo)”, così concludendo per la restituzione dell’intera riga: “M. Tullius Cicero cos. fecit curavitque (o locavitque o altro verbo simile)”14; nella restituzione grafica, dovendo scegliere per uno dei due verbi, mi ero orientato per curavit, che sembrava avesse maggiori confronti in epigrafia. Ora, la revisione dei frammenti testé effettuata porta invece a preferire locavit, perché, come ha rilevato I. Manzini, all’estremità superiore del frammento nr. 2115, se lo si posiziona correttamente, dovrebbe rilevarsi qualche traccia della C iniziale di curavit, laddove nella pietra nulla se ne ravvisa: mentre nessuna difficoltà incontra la restituzione della L di locavit, quindi senza dubbio da preferire. Va ripetuto a questo punto che Cicerone, in vari luoghi, ma soprattutto nella famosa lettera a Lentulus Spinther del 54 a.C. (Fam. I 9, 15), parlando del suo monumentum che la pusillanimità del senato aveva permesso venisse corrotto e addirittura lordato di sangue con la iscrizione del nome di Clodio, precisa che invero si trattava di un monumento del senato piuttosto che suo, dal momento che non era stato eretto con sue manubiae, ma che egli ne aveva soltanto effettuato l’appalto: ...non meum monumentum (non enim illae manubiae meae, sed operis locatio mea fuerat), monumentum vero senatus... etc., dove il verbo locavit, che abbiamo restituito, sembra corrispondere con fedeltà anche terminologica alla locatio operis ricordata in questo passo. Ho già discusso questo punto nel lavoro più volte citato, e non voglio ritornarci su, se non per ribadire il mio convincimento, ora più fermo che in passato, che le mura di Ostia fossero effettivamente per Cicerone il suo monumentum, l’edificio cioè cui era affidata la “memoria monumentale” di un consolato, come il suo, trascorso interamente nell’Urbe e che non aveva comportato vittorie militari e relative manubiae. In effetti, il tema del monumentum ciceroniano andrebbe ripreso in sede competente. Può sembrare strano, a prima vista, che le mura della colonia ostiense potessero fregiarsi di questo appellativo, e si tratta di una sensazione spesso condivisa. E tuttavia, allo stato delle conoscenze, è una soluzione che appare quasi obbligata; sia perché quel che si congetturava prima della nostra analisi della iscrizione di Porta Romana dava luogo ad ipotesi assolutamente inaccettabili, se non addirittura grottesche (come l’idea di un monumento per la repressione della congiura di Catilina, di cui nessuna fonte parla, e su cui proprio non arrivo a capire come Clodio avrebbe potuto desiderare di apporre il suo nome); e perché, se il monumentum fosse stato altra cosa dalle mura di Ostia, avremmo avuto non un solo caso di indebita appropriazione dell’intitolazione da parte di Clodio, ma probabilmente due, identici nella procedura ma riguardanti monumenti diversi, cosa che sicuramente Cicerone non avrebbe mancato di segnalare. Resta aperta tuttavia un’altra questione cui accenno brevemente; vale dire, in virtù di quale legge fu dato a Clodio di intervenire sulle mura di Ostia apponendovi infine il suo nome. Ho creduto, nei miei precedenti lavori, che si trattasse della lex Clodia frumentaria (o annonaria), che aveva attribuito al tribuno poteri amplissimi, forse estesi senza limitazioni anche alle infrastrutture della città portuale dell’Urbe. Ma, come ha fatto osservare Ph. Moreau, stando alla lettera della testimonianza ciceroniana, con la lex Clodia frumen
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Zevi, Costruttori, cit., p. 95. La numerazione dei frammenti è quella proposta in Zevi, Costruttori, cit., tav. I.
F. Zevi - I. Manzini 194 taria il tribuno aveva intitolato ad operare il suo fedele adepto Sex. Cloelius/ Clodius16; se fosse stata violata la lex Licinia et Aebutia, che vietava al rogator di una legge di esser colui cui era demandato di renderla operativa, Cicerone non avrebbe mancato di rilevarlo. Accetto l’osservazione, pur rilevando che in realtà Cicerone si adopera a mettere in evidenza tutte le illegalità del tribuno non in generale, ma quelle contenute nei provvedimenti specificamente rivolti contro di lui17. Se non si tratta dunque della lex frumentaria, non può trattarsi che della lex de exilio Ciceronis, di cui lo stesso Moreau ha effettuato una ricostruzione particolarmente convincente18. Quella legge, tra l’altro, conferiva al tribuno un potere di intervento assoluto sui beni e sugli immobili di proprietà dell’oratore e del fratello Quinto (ma anche su monumenti pubblici come il portico di Catulo) (De domo 43, 114: cum is tribunus plebis ...tuum monumentum...everteret) in un vero programma di damnatio della memoria dei due Ciceroni che comprendeva anche il sovvertimento dei loro monumenta, sì che la sequenza ciceroniana in De har. responsis 27, 58: qui (= Clodius)... imperatorum monumenta evertit, inimicorum domus disturbavit, vestris monumentis suum nomen inscripsit, verrebbe esattamente a corrispondere nell’ordine a: la distruzione della porticus Catuli, quella delle case sua e del fratello, e infine la intitolazione al proprio nome delle mura della colonia che, come l’oratore più volte ribadisce, dovevano considerarsi un vero monumento del senato (vestris monumentis suum nomen inscripsit). Cosa sia avvenuto sull’attico della Porta Romana dopo il rientro di Cicerone dall’esilio e la fine di Clodio non sappiamo; ma è anche possibile che il nome di Cicerone non vi avesse mai trovato posto, visto che l’opera non era ancora ultimata e collaudata, sì che, letteralmente, non c’era nulla da ripristinare; certo è che dalla epistola a Lentulo, scritta quattro anni più tardi (54 a.C.), sembra che il suo monumentum in realtà recasse ancora allora il nome di Clodio, e solo quello, senza menzionare né Cicerone né il senato, vero autore dell’opera. Sì che la versione del testo epigrafico che ci è pervenuta, che risale, come abbiamo visto, alla fine del I secolo d.C., riprendesse essa o meno un testo precedente, appare improntata al desiderio di restituire la verità storica degli avvenimenti, citando come primo agente proprio il Senato e il popolo Romano (Senatus populusque Romanus coloniae Ostiensium muros et portas dedit); quindi il console che, nella sua autorità di massimo magistrato della repubblica, aveva realizzato secondo le debite procedure quanto il senato aveva deliberato (M. Tullius Cicero co(n)s(ul) fecit locavitque), senza omettere peraltro la ultimazione dei lavori e il collaudo effettuati da Clodio, evidentemente perché regolarmente investito dalla legge dei debiti poteri, e il cui nome dovette perciò restare iscritto sulla porta ostiense (P. Clodius Pulcher tr(ibunus) pl(ebis) consummavit et probavit: il riassetto grafico
16 Così anche, recentemente, L. Fezzi, La legge tribunizia di P. Clodio Pulcro (58 a.C.) e la ricerca del consenso a Roma, in SCO, 47, 1, 2000, pp. 245-341, spec. p. 260. 17 Ma nella recente letteratura, e mi riferisco in particolare al libro di W.J. Tatum, The Patrician Tribune. P. Clodius Pulcher, Chapel Hill-London 1999, spec. p. 123 s., si ritiene impensabile che a Sex. Cloelius, un semplice scriba, potesse esser stato conferito un tale potere, e che invece, dopo aver fatto passare la lex frumentaria, fosse responsabilità del tribuno “to implement it”: lo scriba non sarebbe stato che un suo delegato, e la presunta cura annonae di Cloelius sarebbe una espressione da imputare alla retorica ciceroniana. 18 Ph. Moreau, La lex Clodia sur le bannissement de Cicéron, in Athenaeum, 75, 1987, pp. 465-492; cfr. anche Id., in Roman Statutes (a cura di M. Crawford), II, 1996, pp. 773 ss.
195 operato da M. Antonietta Ricciardi ha ora consentito senza difficoltà l’inserimento in questa penultima riga anche della congiunzione et che rende più accettabile tutta la frase). Spiace che le lacune del testo impediscano una soddisfacente restituzione dell’ultima riga, che commemorava il rifacimento della porta verso la fine del I secolo d.C., conseguente al rialzamento dei livelli stradali (ma dovuta, si specifica, alla vetustas, che significava anche inadeguatezza ai canoni decorativi del tempo), un’opera di notevole entità che deve aver avuto a protagonisti forze locali, probabilmente la città stessa coi suoi magistrati, meno verosimilmente evergeti importanti. Nell’incertezza, ho eliminato dall’ultima ricostruzione grafica il termine Ostienses che, inserito a puntinato nella versione del 1997, intendeva proporsi, più che come una restituzione testuale, come indicazione del soggetto dell’ultima azione riportata nel testo. Come sottolinea I. Manzini nelle pagine che seguono, importante al riguardo è stato lo spostamento in altra collocazione del frammento nr. 24 (come già suggerito da Caruso e Papi, ma con diverso esito), perché elimina, nell’ultima riga, una sequenza di lettere che condizionava la restituzione, lasciando così il campo aperto anche ad altre possibilità. Ma la restituzione dell’ultima riga rimane problematica e ogni suggerimento sarà benvenuto.
le iscrizioni della porta romana ad ostia: un riesame
****** La presente nota nasce dall’incarico di riesaminare i frammenti dell’iscrizione di Porta Romana nell’ambito di un più ampio progetto di restauro e rimontaggio dell’iscrizione, deciso dalla Soprintendenza di Ostia Antica19. Il progetto, avviato nel novembre del 2007 con il prelievo dei frammenti dell’iscrizione dai tre riquadri di muratura moderna a ridosso della porta stessa, nei quali essi erano murati secondo una sistemazione risalente agli anni ’30, prevedeva il rimontaggio dei frammenti20 sulla base della ricostruzione di F. Zevi, presentata in occasione dell’XI Congresso Internazionale di Epigrafia Greca e Latina del 1997 e pubblicata nello stesso anno21 (fig. 3). Preventivamente a questa operazione è stata decisa, da parte della Soprintendenza, una verifica della ricostruzione stessa, per assicurarne la correttezza anche alla luce dei nuovi dati tecnici emersi dai frammenti, finalmente osservabili nelle loro tre dimensioni. L’operazione ha infatti fornito un’occasione nuova, oltre che irripetibile, per l’osservazione dei rovesci e degli spessori: dati fondamentali per la ricostruzione dell’iscri19 Per il riesame, qui proposto, della ricostruzione dell’iscrizione di Porta Romana sono debitrice al prof. F. Zevi per la fiducia accordatami e per aver seguito le varie fasi del lavoro, con consigli e suggerimenti sempre preziosi. Desidero ugualmente ringraziare la prof.ssa M.L. Caldelli e la dott.ssa A. Gallina Zevi, per la disponibilità sempre dimostrata nei miei confronti. Per la loro costante collaborazione ringrazio i funzionari e i tecnici della Soprintendenza di Ostia Antica, particolarmente nelle persone della dott.ssa M. Bedello e della sig. ra L. Spada. 20 Il risultato del progetto di montaggio dei frammenti è in qualche modo anticipato dall’esposizione, nella sala I del Museo Ostiense, di due cartelloni recanti la riproduzione di entrambe le iscrizioni, in scala 1:1. I cartelloni erano stati realizzati per la presentazione della ricostruzione Zevi nel corso dell’XI Congresso Internazionale di Epigrafia Greca e Latina del 1997. 21 Zevi, Costruttori, cit., pp. 61-112. Per l’inquadramento topografico della Porta Romana e per la storia degli studi si rimanda a Zevi, ibidem., pp. 61-71 e 71-78 rispettivamente.
F. Zevi - I. Manzini 196 zione, precedentemente non visibili per i frammenti murati e destinati ad essere nuovamente obliterati dal rimontaggio dell’iscrizione. La ricostruzione di F. Zevi, fondamentale anche per le sue implicazioni storiche e prosopografiche, era stata precedentemente oggetto di due sole verifiche, la prima ad opera di G. Di Vita Evrard nel volume dell’Année Épigraphique del 199722, la seconda a cura di C. Caruso e C. Papi in Archeologia Classica del 200523. Alcuni suggerimenti avanzati in entrambi i contributi sono stati qui accolti. Il riesame dell’iscrizione, i cui risultati sono qui proposti, ha confermato la validità della ricostruzione del 1997 nella sua globalità, suggerendo alcune modifiche nella lettura e lo spostamento di alcuni frammenti. Tali cambiamenti, resisi necessari alla luce dei nuovi dati tecnici emersi, interessano quasi esclusivamente frammenti di poche lettere; in un numero estremamente ridotto di casi la collocazione rimane, almeno in parte, ipotetica, com’è inevitabile per un’iscrizione tanto frammentaria. Il frutto di questo riesame è, quindi, una ricostruzione che riconferma i risultati ottenuti nel 1997, rafforzandoli attraverso una verifica complessiva e alcune modifiche puntuali.
Osservazioni generali. Si richiamano qui in forma abbreviata alcuni dati relativi all’iscrizione di Porta Romana, per quanto essi siano ampiamente trattati nel citato articolo di F. Zevi, che costituisce la base del presente riesame. L’iscrizione è costituita da una coppia di epigrafi in marmo pario, collocate sui due lati dell’attico della porta che segnava l’ingresso nella colonia ostiense per i visitatori provenienti da Roma. Le due iscrizioni sono uguali nel testo, ma non identiche nella spaziatura tra le lettere nelle varie righe. Le monumentali dimensioni delle due epigrafi, giustificate dalla loro funzione e dall’altezza alla quale erano in origine collocate, hanno un loro ovvio riflesso nella suddivisione delle iscrizioni in diverse lastre: finora si ipotizzavano 5 lastre per la prima iscrizione (indicate con le lettere A-E) e 6 per la seconda (indicate con le lettere F-M), per una lunghezza totale di 5,30 metri e un’altezza di 1,36 metri circa. Di due iscrizioni di tale monumentalità si sono conservati in tutto 30 frammenti, dei quali 25 già noti al Wickert e pubblicati in CIL, 5 invece identificati come pertinenti all’iscrizione da parte di F. Zevi, in seguito a un pluriennale riesame del materiale epigrafico conservato nel Lapidario Ostiense24. Nella numerazione dei frammenti si è seguita quella proposta nel lavoro citato25, nella quale con i numeri compresi tra I/1 e I/10 si indicano i frammenti che, secondo la ricostruzione proposta da Wickert in CIL, XIV 4707, sono pertinenti all’exemplar I; con i numeri II/11-II/17 i frammenti attribuiti in CIL all’exemplar II; con i numeri 18-25 gli 8 frammenti che Wickert lasciava incertae sedis e segnava con le lettere a-h; infine, i frammenti da 26’ a 30’ corrispondono ai 5 frammenti aggiunti all’iscrizione da Zevi, precedentemente inediti (fig. 2). Questa numerazione, qui mantenuta per omogeneità 22
AE 1997, 253. Caruso - Papi, Iscrizione, cit., pp. 461-469. 24 Zevi, Costruttori, cit., pp. 81-82. 25 Zevi, Costruttori, cit., p. 84. 23
197 con la storia degli studi, non riflette però la posizione attuale dei frammenti, che già nel 1997 avevano in molti casi ricevuto una sistemazione diversa da quella proposta in CIL. Nella numerazione dei frammenti, la semplice indicazione di un numero in cifre arabe comprese tra 1 e 30 è univoca e sufficiente ad individuare uno e un solo frammento.
le iscrizioni della porta romana ad ostia: un riesame
Dati tecnici particolari. Lo studio di un’iscrizione tanto frammentaria doveva necessariamente basarsi su un metodo che coniugasse alla ricostruzione del testo un attento esame dei dati esterni dell’iscrizione, secondo il procedimento già seguito nella ricomposizione del 199726. Questi dati sono fondamentalmente di tre tipi: la presenza o assenza di margini originari, utili per determinare l’estensione delle lastre; gli spessori dei frammenti; la lavorazione del rovescio. Le diverse lastre in cui l’iscrizione è realizzata sono infatti caratterizzate da spessori molto variabili (tra un minimo di 4,6 e un massimo di 15 cm) e anche la lavorazione del retro permette di distinguere lastre a rovescio liscio e lastre con rovescio lavorato a subbia27. Questo metodo di lavoro ha permesso di individuare, preliminarmente alla lettura del testo, una serie circoscritta di possibilità per la collocazione dei frammenti e ha fornito una chiave di verifica per la lettura stessa. Come si è detto in precedenza, per alcuni frammenti questi dati non erano disponibili fino a pochi mesi fa, essendo essi murati presso la Porta Romana; la maggior parte delle osservazioni oggetto del presente articolo è emersa dalla considerazione attenta di questi dati, oltre che da un riesame di alcuni frammenti già precedentemente studiati in tutti i loro aspetti. Le modifiche apportate alla ricostruzione delle due iscrizioni sono qui esposte procedendo in ordine progressivo di lastra, dalla A alla M. La lastra A include il frammento I/1, che conserva, almeno parzialmente, la prima lettera di ciascuna delle 5 righe di cui è composto il testo (elemento, questo, che ha permesso di stabilire l’altezza delle lettere di ciascuna riga)28. Il frammento, rotto in due parti, rientra nel numero di pezzi smurati in occasione del presente studio; esso ha rivelato uno spessore notevole, tra i 13,3 e i 14,5 cm, e il rovescio liscio. Nella parte inferiore del frammento il rovescio reca una lavorazione a cornice appena sbozzata, sotto quadro rispetto al piano della superficie. Più che a una traccia di riuso del frammento, si potrebbe pensare a una prima lavorazione, forse in cava, successivamente oggetto di un ripensamento cui conseguì l’uso della lastra sul lato opposto. La presenza del margine della contigua lastra B aveva fatto supporre una larghezza
26
Zevi, Costruttori, cit., pp. 84-85. Le differenze nel rovescio delle lastre devono evidentemente riflettere le modalità di lavorazione dei blocchi di marmo per la realizzazione delle lastre. Le lastre a retro liscio devono essere quelle provenienti dal centro del blocco, ricavate segando il blocco in corrispondenza di entrambe le facce della lastra; come risultato della lavorazione a sega, anche il rovescio della lastra si presenta liscio. Le lastre a rovescio lavorato a subbia devono essere invece quelle alle estremità del blocco, per ricavare le quali era sufficiente segare il blocco in corrispondenza di un solo lato, il quale sarebbe diventato il dritto della lastra. Il rovescio restava solo sbozzato, senza subire un’ulteriore lavorazione. 28 Tale altezza corrisponde a cm 21,5 per la riga 1; cm 16,2 per la riga 2; cm 14,7 per la riga 3; cm 12,7-13 per la riga 4; cm 10 per la riga 5. 27
F. Zevi - I. Manzini 198 notevole per la lastra A: circa 130 cm, una misura superiore a quella di tutte le altre lastre dell’iscrizione. Già nel 1997 si pensava alla possibilità di dividere la lastra A in due lastre di circa cm 65 di larghezza29. Questa possibilità è confermata dallo spostamento di un frammento, il n. 24, dalla lastra L dell’iscrizione II alla iscrizione I. Il frammento conserva una lettera M di riga 5, con la traccia dell’apicatura dell’asta verticale di una lettera della riga superiore; in esse si propone di riconoscere la M del termine portam, in apertura della riga 5, sormontata dall’apicatura della lettera D di Clodius30; i due termini diverrebbero dunque p[orta]m e Cl[o]d[ius]. Il frammento conserva il margine sinistro di lastra; pertanto la lastra A andrebbe suddivisa in 2 lastre, A1 (larghezza 68 cm circa, spessore 13,3-14,5 cm, rovescio liscio) e A2 (larghezza 62 cm circa, spessore 4,7-5,2 cm, rovescio liscio). Questa suddivisione ha l’ulteriore implicazione di ristabilire un identico numero di lastre per entrambe le iscrizioni.
La lastra B (larghezza calcolabile in 118 cm, grazie alla presenza del margine sinistro e del margine della contigua lastra C; spessore 8-8,5 cm, retro lavorato a subbia) include 3 frammenti: II/13, rotto in 3 pezzi; II/15; 19. Un quarto frammento, II/14, precedentemente incluso nella lastra, non è compatibile con essa né per spessore (pari a 15 cm circa) né per caratteristiche del retro (liscio). Esso è stato dunque spostato dalla lastra B alla lastra L, nella quale rimane isolato come unico frammento grazie allo spostamento del frammento 24. Lo spessore notevole di II/14 non è d’altronde compatibile con quello di nessuna altra lastra, ad eccezione della lastra A, nella quale però non può essere incluso per ragioni di lettura del testo. Si tratta infatti di un tratto di una lettera curva di riga 1 (O, Q). La lastra C (larghezza ricostruibile in 90 cm, data la presenza del margine sinistro nel frammento II/16 e del margine destro nel frammento 25; spessore 9-10 cm; retro liscio) include 4 frammenti: II/16; I/4; I/7; 25. Un quinto frammento, II/17, presenta uno spessore inferiore, rispetto agli altri frammenti della stessa lastra, di circa 2,2 cm. Tale differenza, di per sé non eccessiva, è resa però significativa dalla vicinanza con il frammento adiacente, I/4, il cui spessore è di 10 cm circa contro i 7,7-7,8 cm del frammento II/17; è pertanto preferibile spostare II/17 nella lastra adiacente, D. La lastra D (larghezza ricostruibile in cm 94 circa, data l’estensione del testo e la presenza dei margini destro e sinistro delle lastra contigue; spessore 4,5-7,8 cm; retro liscio) include 3 frammenti: II/17, qui spostato dalla lastra adiacente C; 28’; 22. La presenza di II/17, spesso circa 7,7-7,8 cm, fa di D una lastra in scivolo dall’alto verso il basso, come conferma il frammento 28’, situato a metà altezza della lastra, il cui spessore è intermedio tra i due estremi (tra 5,8 e 6,3 cm). 29
Zevi, Costruttori, cit., p. 85. Questo spostamento è suggerito anche da Caruso - Papi, Iscrizione, cit., p. 464. Le autrici suggeriscono però di includere nella lastra A della prima iscrizione anche il fr. II/12, che, oltre a non essere compatibile per spessore con la suddetta lastra, comporterebbe per l’adiacente lastra B una larghezza di appena cm 40 circa, troppo esigua rispetto alle misure standard delle lastre: per queste si osservano infatti tre ordini di grandezza (cm 112-118 circa; cm 88-98 circa; cm 62-77 circa), nessuno dei quali così ridotto. 30
199 Una ulteriore osservazione riguarda la lettura del frammento 22, che costituisce un grave problema per l’integrazione della riga 5, del resto molto frammentaria. Le due lettere del frammento sono lette in CIL come -fe- di un verbo quale refecit, indicando oltretutto la porzione del tratto orizzontale della seconda lettera maggiormente conservato rispetto a quanto esso non sia attualmente; la lettura è stata mantenuta nella ricostruzione del 1997. Questa integrazione suscita però qualche perplessità, perché l’eventuale rottura che si dovrebbe immaginare sopravvenuta dopo il 1930 avrebbe interessato una parte minima del frammento; piuttosto si potrebbe immaginare una integrazione leggermente abbondante da parte del CIL, secondo una tendenza dalla quale Wickert in più di un caso non sembra immune: i punti da emendare nella lettura riproposta in CIL sono pochi, ma esistono31, e permettono di ipotizzare che tale lettura non rifletta sempre necessariamente uno stato di conservazione dei frammenti migliore rispetto all’attuale. Di conseguenza sembra possibile suggerire, per questo frammento, una lettura differente per la seconda lettera conservata: ripetuti calchi e confronti con altre lettere conservate nella stessa riga ci hanno resi persuasi del fatto che possa trattarsi anche di una lettera R, non necessariamente di una E o F. Questa eventualità ristabilirebbe l’identica successione delle lettere nella riga 5 tra la I e la II iscrizione, dove invece si era finora costretti a leggere -fe- di fecerunt? contro -re a- di una formula quale (forse) [ope]re a[mpliato]. La nuova lettura del frammento 22 consentirebbe di integrare nella II iscrizione -er[e a], secondo la stessa successione riscontrata nell’iscrizione I. Problematica resta però l’integrazione delle lettere precedenti a -er?- del frammento 22, perché davanti a -E- sembra essere conservato uno spazio vuoto superiore alla distanza ipotizzabile tra due lettere della stessa parola (a meno che non si pensi a lettere con una gamba orizzontale o obliqua, quali A, L, R; le quali rendono però molto difficoltosa la lettura). Ci limitiamo quindi a segnalare questa osservazione come elemento aggiuntivo per una possibile risoluzione futura della problematica lettura della riga 5 dell’iscrizione.
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Le lastre E (ultima dell’iscrizione I) ed F (prima dell’iscrizione II) non sono state oggetto di modifiche o spostamenti rispetto alla ricostruzione Zevi del 1997. La lastra E include 3 frammenti: I/9, I/10, 23. La larghezza è di cm 98 circa, comprese la cornice e la fascia liscia di bordura; lo spessore tra i 7,3 e gli 8 cm; il retro lavorato a subbia. La lastra F, la prima della seconda iscrizione, conta 2 frammenti: II/12 e II/11. La presenza, sul lato destro del frammento II/12, del margine della lastra permette di ricostruirne la larghezza in cm 88 circa. Spessori inclusi tra 6,3 e 6,8 cm; rovescio liscio. 31 Il più vistoso è relativo al frammento II/16, nel quale Wickert integra alla sinistra delle lettere -LVuna ulteriore -V-, che tuttavia non poteva trovare qui posto, essendo conservato subito a sinistra della -L- il margine sinistro della lastra. La lettura del CIL si discosta da quella attuale anche in altri 4 casi: nel frammento II/13 non si conserva traccia del tratto orizzontale della -E- di riga 2, invece riportato in CIL; nel frammento II/14 il tratto conservato della 2a lettera è oggi molto più ridotto in larghezza, includendo esso solo parte del solco di una lettera con un tratto verticale o leggermente obliquo (come le M della presente iscrizione, il cui tratto sinistro tende quasi alla verticale; qui integriamo infatti questa lettera come M in luogo di P). Infine il frammento 24 (= frammento g del CIL, adespoto) conserva attualmente solo un tratto dell’apicatura della lettera di riga 4, e non il tratto verticale annotato da CIL. L’unico caso nel quale si può ipotizzare con relativa sicurezza una rottura del frammento (avvenuta nel lasso di tempo intercorso tra l’edizione del Supplementum ostiense di CIL, XIV e la sistemazione dell’iscrizione presso la Porta Romana) è il frammento I/8, per il quale Wickert integra 2 lettere di riga 2 (-RO- di m[u]ro[s]) delle quali resta oggi solo una debole traccia della lettera -O-.
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La lastra G (larghezza 62 cm circa, per differenza tra le lastre adiacenti; spessore 7-9,3 cm, retro lavorato a subbia) è ricomposta sulla base di 3 frammenti: 26’; 18; I/3. Il frammento I/2, precedentemente incluso in questa lastra, per una leggera differenza di spessore rispetto ai frammenti immediatamente sottostanti (7,6 contro 9-9,3 cm) va preferibilmente spostato dalla lastra G. Un riesame delle due lettere conservate ha suggerito la possibilità di riconoscervi una -V- e una -E- di riga 3, capovolgendo quindi il frammento, che potrebbe essere collocato nella lastra M della stessa iscrizione, andando a costituire parte dell’enclitica -que del verbo locavitque. Anche l’analisi degli spessori e delle caratteristiche del retro risulta convincente in questo senso. Un’osservazione può essere avanzata anche sul frammento 26’, nel quale si conservano la parte inferiore di una lettera V di riga 1 e il tratto superiore del solco di una lettera della riga sottostante. L’integrazione di questa lettera, dubbia già nel 1997, fu allora a favore di una lettera curva (O?, C?) di riga 2. Occorre rilevare che il tratto conservato potrebbe però appartenere anche a una lettera con tratto superiore orizzontale o in parte orizzontale, abraso (D, E, F, P?, T, Z); in questo caso il frammento andrebbe spostato dalla sua sede attuale, ma il ricollocamento risulterebbe molto difficoltoso. L’ampia incertezza di questa osservazione ha suggerito di lasciare inalterata la collocazione attuale. La lastra H non presenta novità nel numero e nella collocazione dei frammenti. È la lastra più completa e l’unica per la quale la larghezza è certa, grazie alla presenza dei margini destro e sinistro della lastra: larghezza 116 cm, spessori tra cm 7,2 sx. e 13,5 dx., rovescio lavorato a subbia. Essa conta 4 frammenti: I/6, rotto in 3 parti; 30’; I/5; 27’. Una volta smurati i frammenti di maggiori dimensioni, è stato possibile verificarne gli attacchi (ben conservati tra i frammenti 27’ e I/5 e tra i frammenti 30’ e I/6; l’attacco tra I/5 e 30’ è molto abraso, ma comunque confermato dalle identiche caratteristiche di lavorazione del rovescio e di andamento degli spessori, in scivolo da destra verso sinistra). La lastra I non presenta spostamenti, ma per uno dei frammenti che ne fanno parte (il nr. 21) si segnala una imprecisione nella restituzione grafica precedente. La lastra (larghezza 109 cm circa, spessori tra 5,5 e 7,5 cm, rovescio liscio) include 3 frammenti: I/8 (per il quale si segnalava già nel 1997 l’avvenuta rottura di una parte, contenente due lettere di riga 2, riportate in CIL ma già allora mancanti); 29’, che attacca con il precedente; 21, che conserva il margine destro della lastra. Una considerazione fondamentale riguarda la lettura del testo di quest’ultimo frammento: rispetto alla ricostruzione grafica fornita nel 1997, esso risulta infatti conservato per un’altezza maggiore, in modo tale da escludere la presenza di una lettera di riga 3 in corrispondenza della parte alta del frammento, dove invece si ricostruiva una lettera -C-. Questa osservazione apre contemporaneamente il campo alla possibilità di integrare diversamente il verbo, nella parte finale della suddetta riga, rispetto al curavit precedentemente immaginato32. 32 Già nel 1997 si lasciava aperta la possibilità di un’integrazione con il verbo locavit, che è fortemente preferito a curavit anche da G. Di Vita Evrard nel suo commento a AE 1997, 253.
201 La lastra L e l’adiacente lastra M risultano di larghezza non determinabile, data l’assenza di margini laterali nei frammenti che ne fanno parte. Piuttosto arbitrariamente (ma mantenendo le misure entro quelle standard per la larghezza delle lastre) si è deciso di suddividerle in 2 lastre di cm 78 e cm 76 rispettivamente. La lastra L (spessore 15 cm) include il solo frammento II/14, spostato qui dalla sua precedente collocazione nella lastra B dell’iscrizione I. Il frammento 24, che precedentemente era l’unico appartenente alla lastra, è stato ricollocato - per incompatibilità di spessore con II/14 - nella lastra A2 della prima iscrizione.
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La lastra M (spessori tra 7,6 e 8,4 cm circa; retro lavorato a subbia, con scalpellature anche molto profonde) include 2 frammenti: il n. 20, con le lettere -AV- di riga 4 e la coda di una Q di riga 3; e il frammento I/2, qui aggiunto in seguito allo spostamento dalla lastra G dove era precedentemente collocato. Questo spostamento non comporta modifiche di lettura. Aggiungo che in sede di studio dei frammenti si era immaginata la possibilità di includere nella riga 4 la congiunzione et tra i due verbi consummavit probavit, precedentemente collegati per asindoto. La ricostruzione grafica (fig. 4) ha confermato questa possibilità, grazie ad una modifica molto limitata della lunghezza dell’iscrizione, che è passata da m 5,30 a m.5,32. La nuova restituzione conserva una delle caratteristiche più evidenti già nella ricostruzione del 1997, ossia l’impaginato che alterna righe con lettere molto condensate a righe con lettere più distanziate tra di loro, con margini in rientro rispetto alle prime; una caratteristica, questa, che è stata anche d’aiuto nella ricomposizione delle varie righe. ****** A chiusura, trascriviamo il testo delle due iscrizioni con le ultime modifiche: Iscrizione I: Se[nat]us Po[pu]lus[que R]o[manus] | C[oloniae O]sti[ensi]u[m mu]r[os et port]as dedi[t]. | M(arcus) [Tulliu]s C[icer]o c[o(n)s(ul) fecit loca]vitqu[e]. | P(ublius) Cl[o]d[ius] Pul[cher tr(ibunus) pl(ebis) co]nsumm[avit et pro]ba[vit]. | P[orta]m [vetustate corruptam - - -]er[- - -]ru[- - -]. Iscrizione II: [Se]n[at]u[s P]opulu[sque R]o[manus] | Co[loniae] O[stie]nsium m[u]ro[s et portas dedit]. | M(arcus) [Tull]iu[s] Ci[ce]ro c[o(n)s(ul)] fec[it locavit]que. | [P(ublius) Clodi]us P[u]lcher tr(ibunus) p[l(ebis) consu]mmav[it et prob]av[it]. | [Portam vetus]tate [c]orrupta[m - - -]re a[- - -ru- - -].
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1. Ostia. Le due iscrizioni dell’attico della Porta Romana nella risistemazione degli anni ’30 sul piazzale della Vittoria.
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2. Ostia. Numerazione dei frammenti delle due iscrizioni di Porta Romana (da Zevi 1997).
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3. Ostia. Porta Romana: iscrizioni I e II (ricostruzione Zevi 1997).
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4. Ostia. Porta Romana: iscrizioni I e II, secondo la ricostruzione proposta nel presente lavoro. I numeri indicano i frammenti spostati e la loro attuale collocazione.
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5. Ostia. Ricostruzione della Porta Romana del Gismondi.