MARIANGELA LANDO Le fiabe teatrali e la ricezione di Carlo Gozzi nei Manuali e nelle Storie della letteratura italiana dell’Ottocento per l’insegnamento
In La letteratura degli italiani 4. I letterati e la scena, Atti del XVI Congresso Nazionale Adi, Sassari-Alghero, 19-22 settembre 2012, a cura di G. Baldassarri, V. Di Iasio, P. Pecci, E. Pietrobon e F. Tomasi, Roma, Adi editore, 2014 Isbn: 978-88-907905-2-2
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La letteratura degli italiani 4. I letterati e la scena
MARIANGELA LANDO Le fiabe teatrali e la ricezione di Carlo Gozzi nei Manuali e nelle Storie della letteratura italiana dell’Ottocento per l’insegnamento Di volta in volta uomo dalla fibra rivoluzionaria, retrivo, uomo d’ingegno, secondo l’autorevole giudizio di Francesco De Sanctis iniziatore delle basi della commedia popolana, Carlo Gozzi viene indicato nelle storie della letteratura italiana ottocentesche come l’autore perennemente in lotta e in opposizione alla commedia borghese. Nelle storie letterarie dell’Ottocen-to, in particolare quelle scolastiche, il confronto e la rivalità con Goldoni rappresenta il biglietto di presentazione dell’autore veneziano. Da Paolo Emiliani Giudici a Cantù, Zanella e Torraca, sino alle rivalutazioni tardo-ottocentesche del Masi, Carlo Gozzi è comunque uno dei protagonisti del Settecento veneziano. La fiaba più citata e analizzata è quella delle Tre melarance: mentre mescola mirabilmente la piacevolezza all’insegnamento morale, l’opera contiene infatti tutti gli elementi tipici fiabeschi.
Introduzione Per analizzare la ricezione di Carlo Gozzi e delle sue maggiori produzioni teatrali, il presente contributo intende prendere in esame alcune Storie della letteratura italiana e Manuali di letteratura italiana ottocenteschi destinati prevalentemente all’insegnamento. La scelta dei volumi parte dagli apprezzabili contributi emersi durante il convegno organizzato da Renzo Cremante dell’Università di Pavia e raccolti nel volume Il canone letterario nella scuola dell’Ottocento.1 Si aggiungono poi i preziosi contributi critici di Giovanni Getto,2 Ottavio Cecchi, Enrico Ghidetti3 e Remo Ceserani4 per gli elementi di raccolta dati e di analisi delle Storie della letteratura. La mia iniziale ricerca di Dottorato poi, ha permesso di esplorare e arricchire ulteriormente il panorama letterario ottocentesco per ciò che concerne gli aspetti sopraindicati. I percorsi di lettura interpretativa proposti sono: 1. Come viene presentata la Storia letteraria con le connesse modalità di descrizione o di racconto dei compilatori e, all’interno, come viene raccontato il letterato, personaggio e commediografo Carlo Gozzi; 2. La ricezione delle maggiori opere di Carlo Gozzi nelle Storie della letteratura e nei Manuali presi in esame; 3. Aspetti dell’opera di Carlo Gozzi attraverso l’occhio critico di alcuni autori nell’Ottocento: August Wilhem Schelgel, Ernesto Masi, Matilde Serao. 1. Il commediografo veneziano Carlo Gozzi Fratello minore di Gasparo Gozzi, appartenente ad una numerosa e nobile famiglia veneziana, Carlo Gozzi nasce nel 1720. Dagli ampi e recenti studi svolti da Fabio Soldini si possono trarre approfondite informazioni sulla biografia e sulla carriera scenico-teatrale e letteraria di Carlo Gozzi.5 Dalla lettura delle preziose carte autobiografiche dell’autore veneziano si intuiscono gli aspetti più rilevanti legati alla sua personalità: uomo di raffinato ingegno, originale, di
Il canone letterario nella scuola dell’Ottocento, a cura di R. Cremante e S. Santucci, Bologna, Cleub, 2009. G. GETTO, Storia delle storie letterarie, Firenze, Sansoni, 2001. 3 O. CECCHI - E. GHIDETTI, Fare storia della letteratura, Roma, Editori Riuniti, 1986. 4 R. CESERANI, Raccontare la letteratura, Torino, Bollati Boringhieri, 1990. 5 F. SOLDINI, Carlo Gozzi 1720-1806: stravaganze sceniche, letterarie battaglie,Venezia, Marsilio, 2006. 1 2
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carattere estroverso, considerato l’iniziatore delle basi della commedia popolana, Carlo Gozzi viene indicato nelle Storie della letteratura italiana ottocentesche come l’autore perennemente in lotta e in opposizione alla commedia borghese. Tenacemente attaccato ai valori tradizionali e buon rappresentante della sua antica e statica Venezia, Gozzi è visto come l’autore scenico più misoneista, ma allo stesso tempo originale del panorama veneziano del Settecento. Nelle Storie letterarie dell’Ottocento, in particolare nei Manuali scolastici che intendiamo qui analizzare, Carlo Gozzi viene posto a confronto con Goldoni e con Chiari. Mettendo in risalto la rivalità con i colleghi, questa avversione può essere considerata una sorta di “biglietto di presentazione” dell’autore veneziano. Già nel 1747, periodo della sua adesione all’Accademia dei Granelleschi, Carlo Gozzi assieme a diversi esponenti dell’adunanza letteraria, insisteva nel dilettarsi in stili burleschi con le varie derivazioni della parodia, della satira e dell’invettiva. Celebri sono infatti le sue battaglie letterarie combattute contro la riforma del teatro compiuta dal Goldoni. 2. Il teatro di Carlo Gozzi nelle storie letterarie e nei manuali ottocenteschi Le Storie della letteratura italiana dell’Ottocento nascono all’insegna della lezione di Girolamo Tiraboschi. I volumi editi nella prima metà dell’Ottocento continuano la tendenza enciclopedica dei volumi del Tiraboschi.6 Tra i più rilevanti sono da segnalare: Discorso sopra le vicende della letteratura di Carlo Denina, I secoli della letteratura italiana, volume a cura di Giovan Battista Corniani (1804-1813), proseguito da Camillo Ugoni (18201822), da Stefano Ticozzi (1832) e concluso da Francesco Predari (1854-1856). Pur mantenendo vivo il sigillo del Tiraboschi, Camillo Ugoni opererà un cambiamento significativo cercando nella sua Della letteratura italiana nella seconda metà del secolo XVIII7 di dare un’impronta più filosofica e meno enciclopedica al volume. I primi decenni dell’Ottocento sono anni di apertura all’Europa, in cui comincia a delinearsi una ricezione delle letterature straniere: in volumi quali l’Histoire littéraire d’Italie del francese Pier Louis Ginguené o dello svizzero Simonde de Sismondi, De la littérature du Midi de l’Europe, (1813-1829) la letteratura è intesa come espressione della società. In questo quadro piuttosto composito come si situa il pensiero letterario e teatrale del misoneista Carlo Gozzi? Camillo Ugoni nel III volume Della letteratura italiana nella seconda metà del secolo XVIII spende ben 50 pagine nel delineare la personalità, il percorso artistico e le opere di Carlo Gozzi. Ugoni fa ampio riferimento alla cultura d’oltralpe, più aperta ad accogliere nuovi codici letterari teatrali, abbandonando l’antico fraseggiare pomposo e ritardato, variando e allargando le possibilità ad una nuova fase teatrale scenico-drammaturgica. L’unico in Italia, secondo il compilatore Camillo Ugoni, in grado di aprire un percorso del tutto nuovo, fantasioso e originale, fu per l’appunto Carlo Gozzi; Ugoni non teme perciò di azzardare un paragone con Schiller e Shakespeare. Egli individua lo spirito dell’antica commedia nella visione di una realtà che giungeva al successo soprattutto perché «non solamente il poeta discorreva con il pubblico, ma si mostrava pure a dito certi spettatori. Al comico è permesso d’inventare una favola ardita e fantastica: egli può renderla anche pazza e assurda purché voglia far risaltare i bizzarri caratteri e i ridicoli O. CECCHI - E. GHIDETTI, Fare storia della letteratura..., 19-21. C. UGONI, Della letteratura italiana nella seconda metà del secolo XVIII, Vol. IV, Milano Tipografia G. Bernardini di Gio, 1856, 78. 6 7
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stati della vita umana».8 Il segreto del notevole successo del commediografo in Italia sta, per Ugoni, nella mancanza del genere parodico nel nostro paese, rilevante per poter intraprendere un percorso nei teatri italiani di prestigio: parodia originale e fantastica attinta in primo luogo dalle Novelle arabe e persiane che ben si accomodano all’immagine italiana di Gozzi come poeta naturale. Secondo Camillo Ugoni la natura gozziana però «non è bella» e le commedie hanno successo soprattutto a seconda dei «tempi, del paese e del volgo veneto». Gli applausi ricevuti da C. Gozzi sono solo quelli popolari. Nonostante un accenno allo stile, considerato «vilissimo e insofferibile impasto», la conclusione dopo l’ampia digressione che il compilatore fa nel volume è piuttosto positiva e proiettata al futuro: «La penetrazione di un occhio intellettuale di un lettore filosofo ne considera con compiacenza il futuro germogliare e nei gran sepolti che aspettano i tiepidi fiati di primavera, vede il risveglio delle messi». Le opere del Gozzi hanno quindi «l’indole degli scritti del IX o del X secolo».9 Quelle proposte da Paolo Emiliani Giudici, nella sua Storia della letteratura italiana,10 sono Lezioni narrate con un occhio che privilegia il passato. Il volume preso in esame è l’edizione del 1865. La scelta è ricaduta su un’edizione che risulta essere maggiormente ampliata e corretta rispetto alla precedente del 1855. Paolo Emiliani Giudici qui conserva la propria mentalità classicista, il valore storico dell’intera opera si intuisce già dalla strutturazione dell’opera stessa: è attraverso una chiara rilettura del passato più arcaico che, secondo l’Emiliani, si colgono quegli elementi determinanti della nostra letteratura delle origini, necessari per la formazione di un canone nazionale letterario di riferimento. In questo «letterario viaggio, nel percorrere una via lunga, varia e scabra» cogliamo, dalle parole delle stesso compilatore, la volontà di uno studio che privilegia il progresso logico delle idee, lo studente potrà cogliere o «almeno trovare gli elementi d’onde cavare una serie di osservazioni e di principi generali che riusciranno importantissimi in tutto ciò che serve al ragionamento».11 Carlo Gozzi viene inserito nella Lezione decimoottava e l’autore vi dedica poco spazio. Secondo il giudizio critico di Paolo Emiliani Giudici, intervenendo nella commedia dell’arte, Carlo Gozzi la rianima come un angiolo salvatore. Le sue Fiabe teatrali con l’introduzione di personaggi fantastici e di soprannaturali incantagioni diventano avventure meravigliose. Tutto ciò che può piacere alla fantasia del popolo lo si ritrova nelle sue fiabe, create e considerate anche dal pubblico come satire in grado di appagare il gusto degli spettatori. È indubbio che la produzione teatrale del Gozzi abbia avuto un inaspettato successo e, secondo P. E. Giudici, sulla scia di un entusiasmo eccessivo, alcuni critici quali il Baretti parlarono del Gozzi come dell’uomo più straordinario che si sia veduto dopo Shakespeare. A me pare che il Gozzi sia uno di que’ geni nati a destare la meraviglia, l’ammirazione e l’entusiasmo. Egli è, a parer mio dopo Shakespeare, l’uomo più straordinario che si sia giammai veduto in verun secolo.12
Ivi, 130. Ibidem. 10 P. EMILIANI GIUDICI, Storia della letteratura italiana, Firenze, Le Monnier, 1855. 11 Ivi, 1. 12 Ivi, 313. 8 9
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Paolo Emiliani Giudici al termine della sua narrazione non esprime un giudizio positivo: Del giudizio datone dal Baretti, non terrò conto. […] Cotesto lodare il Gozzi a danno del Goldoni, oltre al fine letterario, ha un’altra più arcana ragione […] l’Italia lascia gli stranieri farneticare a loro modo e li ringrazia sempre che si occupano delle cose sue.13
Luigi Settembrini, professore di letteratura italiana alla cattedra di Bologna nel 1860, pubblica tra il 1866 e il 1872, le Lezioni di letteratura italiana14 con lo scopo di scrivere una Storia della letteratura per le «generazioni di giovani post risorgimentali». La narrazione dello svolgimento della nostra storia letteraria del Settembrini invita spesso alla riflessione con l’inserimento di frequenti interrogative inserite in chiusura dopo ogni autore o argomento proposto. Per introdurre Carlo Gozzi, considerato dai critici d’epoca il «pittore della natura», Settembrini pone alcuni interrogativi per invitare alla riflessione gli studenti: Il vero è soltanto nella natura? L’arte riflette soltanto questo vero, questa luce che vien dalla natura; o vi tramanda ancora un vero una luce refratta o rimutata, e però tutta sua? Vediamo.15
Il commediografo veneziano viene presentato da Settembrini come colui che ama la commedia improvvisa, come colui che si scaglia contro Goldoni: Perché voi applaudite Goldoni? perché dipinge con verità la natura? Ebbene io vi dipingerò cose che non sono in natura, vi farò vedere rappresentata sulla scena una fiaba una novella che la balia conta ai bimbi, vi farò udir parlar le corde, le porte, i cani, le statue, e voi applaudirete me più del Goldoni.16
Carlo Gozzi realizza questa sua dichiarazione mettendo in scena L’amore delle tre melarance; per la sapiente mescolanza di satira e invenzione quest’opera appare al Settembrini un «capolavoro» della nostra letteratura, ma l’errore per Settembrini sta nell’aver creduto che la commedia improvvisa potesse essere migliore di quella scritta. Il compilatore, di tutta la produzione di Gozzi, salva solo L’amore delle tre melarance, mentre il giudizio sulle altre fiabe dal Corvo,alla Turandot, al Il re Cervo alla Zobeide è assai negativo perché sono produzioni teatrali realizzate con assenza di satira. Fintanto che si trattò di pungere il Chiari e il Goldoni, lo fece con libertà e con ardire, con buon successo; ma quando gli mancò l’ardire di un’altra satira, gli mancò anche l’arte, e non gli rimase che una fantasia tutta colori e bagliori, senza sostanza dentro.17
Luigi Settembrini accenna al successo estero delle produzioni del Gozzi e si interroga sul perché di questo fenomeno: Perché questi contrari giudizi? perché quelle fiabe hanno del buono e del cattivo e ciascuno le giudica riguardando soltanto la parte buona.18
Ibidem. L. SETTEMBRINI, Lezioni di letteratura italiana, Napoli, Morano, Vol. III, 1877. 15 Ivi, 156. 16 Ivi, 157. 17 Ivi, 163. 18 Ibidem. 13 14
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Un decisivo cambio di prospettiva avviene invece con Francesco De Sanctis. Nella sua Storia della letteratura italiana19 il racconto dello svolgimento della letteratura accoglie Carlo Gozzi nel capitolo dedicato a La nuova letteratura con un’apertura quasi sorprendente. Uomo dalla fibra rivoluzionaria, retrivo, uomo d’ingegno, Carlo Gozzi viene indicato come l’autore perennemente in lotta e in opposizione alla commedia borghese. Alcune maschere, cioè certi caratteri o caricature tipiche del popolo come Tartaglia, Pantalone, Truffaldino, Brighella Smeraldina, rimangono nella sua composizione come elementi di obbligo convenzionale. La base per Gozzi è il soprannaturale: miracolo, stregoneria, magia diventano un mondo dell’immaginazione tanto più vivo, quanto meno l’intelletto è sviluppato, base naturale della poesia popolana da cui nascono conte, novelle, romanzi, storie, commedie, farse. Rifare questo mondo nella sua ingenuità, drammatizzare la fiaba o la fola, cercare ivi il sangue giovine e nuovo della commedia a soggetto, questo osò Gozzi in presenza di una borghesia scettica e nel secolo de’ lumi, nel secolo degli spiriti forti e de’ belli spiriti.20
Gozzi contribuisce in qualche modo a svecchiare la letteratura, anche se ritrarre dal vero poteva significare per De Sanctis demolire l’eroico com’era concepito e praticato da noi. Il nuovo mondo letterario che si affacciava sui palcoscenici e sulle scene pareva a Gozzi alquanto singolare e stravagante. Tutto ciò non rientrava nei suoi canoni teatrali e gli sembrava, più che una riforma, una corruzione «non solo letteraria, ma religiosa, politica e civile». De Sanctis nel suo volume analizza il successo dei due antagonisti del Gozzi, Chiari e Goldoni. Per Chiari sostentare la vita significava entrare in sintonia con il pubblico e De Sanctis individua le ragioni del suo successo nel fatto che questo commediografo fosse capace di rappresentare con il suo teatro l’immagine sia della vecchia letteratura che era ormai destinata a sfiorire, sia della nuova che invece nasceva dalle sue ceneri. Anche Carlo Goldoni creava le commedie per servire e per compiacere al pubblico. De Sanctis sottolinea come tra i due contendenti Carlo Gozzi si fosse inserito a pieno titolo. Anche per De Sanctis, infatti, il successo di pubblico dell’opera teatrale del Gozzi è inconfutabile: egli riesce a ricreare un mondo fiabesco dando nuova linfa vitale alla commedia a soggetto e conquistando il pubblico. Il critico nella sua Storia della letteratura italiana arriva ad equiparare la riforma di Carlo Gozzi a quella di Goldoni: « e tutti e due erano una riforma della commedia ne’ suoi due aspetti, la commedia dotta e la commedia improvvisa: era l’apparizione della nuova letteratura». De Sanctis sottolinea però la difficoltà incontrata dal commediografo nel tentativo di imitazione dei grandi drammaturghi quali ad esempio Shakespeare: Ora l’arte non è un capriccio individuale, e perché Shakespeare ti piace, non ne viene che tu possa rifare Shakespeare, quando anche avessi forza di ciò. L’arte come religione e filosofia, come istituzioni politiche ed amministrative, è un fatto sociale, un risultato della cultura e della vita nazionale.21
Pur riconoscendo un’intelligenza e un’originalità innovative a Carlo Gozzi, la sua F. DE SANCTIS, Storia della letteratura italiana, Napoli, Morano, 1870. Ivi, 912. 21 Ivi, 913. 19 20
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proposta teatrale risulta pur sempre, per De Sanctis, un po’ contraddittoria: le sue idee astratte riescono «come fatto letterario e artificiale». A Gozzi manca, alla fine, uno stile teatrale di rilievo, l’espressività e la naturalezza proposte risultano piuttosto ingenue. Apprezzamenti per Gozzi arrivano da De Sanctis per ciò che concerne l’adesione del commediografo al movimento letterario e politico che andava crescendo nella Venezia del Settecento. Anche il volume di Nicolò Tommaseo Storia civile nella letteraria del 1872,22 prosegue la linea tracciata dal De Sanctis di una Storia letteraria “raccontata” ai lettori come svolgimento: viene narrata la biografia degli autori, la loro nascita e crescita culturale, il racconto è ricco di aneddoti ed episodi curiosi ed inediti, una narrazione che diventa, come nella Storia della letteratura di De Sanctis, espressione della società del tempo; una letteratura collegata alla storia in un vasto schema onnicomprensivo, una storia della letteratura che presuppone «una filosofia dell’arte, una storia della vita nazionale con annessi i pensieri, le opinioni, le passioni, i costumi, i caratteri, le tendenze, una storia della lingua e delle forme, una storia della critica e lavori parziali sulle diverse epoche e su’ diversi scrittori».23 Eccone un esempio nel seguente passo: Altr’uomo era Carlo: del quale ora dirò, rifacendomi dai Granelleschi. Circa il 1740 una brigatela d’omaccini dabbene, raccoltasi attorno a un Sacchellari prete scemo, si fece a ridere delle composizioni spropositate di lui. […]. E perché il Sacchellari prese un giorno a difendere il Chiari, come stato seco ne’ Gesuiti, ecco Tarcigranellone strapazzato in maniera men coperta del solito. Dei più accaniti all’assalto era Carlo Gozzi, che sin dal primo scrisse contro il Goldoni, e contro altri, ben cento sonetti urbanamente satirici, come a lui pareva, e ragione con li faceti capricci: “ma erano i più villanie. E perché vedeva nobili e donne e preti e cortigiani e plebe innamorati del Goldoni e del Chiari, a ciascuno di detti ordini si volge per screditare quegl’idoli”. Era tra’ Granelleschi il Baretti; che nella Frusta malediceva al Chiari insieme al Goldoni.24
La stessa scelta del Tommaseo di narrare le vicende di Carlo Gozzi nel capitolo dedicato al Chiari, P. Chiari, la moralità del suo tempo, ci fa intuire la decisione del compilatore di seguire una linea narrativa includendo Gozzi nel contesto sociale e morale del tempo, soffermandosi sugli elementi di contrasto con altri commediografi quali per l’appunto il Chiari. Tommaseo intravede propositi nuovi di educazione, ma osserva anche, sempre sulla linea del De Sanctis, l’estrema difficoltà del riformare un’intera nazione perché la stessa non era ancora «pronta». Anche Nicolò Tommaseo puntualizza infine l’adesione positiva di Carlo Gozzi alla vita culturale e letteraria fecondissima a Venezia dal 1730 al 1770. Giacomo Zanella nella sua Storia della letteratura italiana25 inserisce invece Carlo Gozzi nel capitolo intitolato Costumi – Accademie - Università – Teatro – Giornali e lo concepisce come terzo antagonista tra C. Goldoni e il Chiari sottolineando, in primo luogo, la sua forte e libera immaginazione. Questo volume presenta un’ampia introduzione iniziale dedicata alla letteratura francese, inglese e tedesca. Il ritratto che Zanella fa del nostro autore è ricco di epiteti descrittivi: «taciturno, collerico, irrequieto, amante delle novità
N. TOMMASEO, Storia civile nella letteraria Studi, Roma, Torino, Firenze, E. Loescher, 1872. F. DE SANCTIS, Storia della letteratura italiana..., XVII. 24 N. TOMMASEO, Storia civile nella letteraria, cit., 283-284. 25 G. ZANELLA, Storia della letteratura italiana, dalla metà del Settecento ai giorni nostri, Milano, Vallardi, 1880. 22 23
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letterarie quanto aborrente dalle politiche del tempo». La linea biografica del Gozzi è tracciata sulla base delle Memorie inutili le quali, se «scritte con più grazia di stile per singolarità dei casi pareggerebbero quelle del Cennini» per lo scrittore vicentino. Di carattere differente ed estroso rispetto al fratello Gaspare, lo «stizzoso Granelleschi pose in un fascio il Goldoni e il Chiari, li bistrattò con lunghi poemi berneschi» mostrando che la vera commedia italiana era la commedia a soggetto, e fece l’apologia delle maschere. Secondo Giacomo Zanella, dopo il clamoroso successo della messa in scena delle prime commedie, Gozzi stabilisce il canone dell’arte «nell’aggredire la folla», tanto che Goldoni, stanco e annoiato, di carattere più mansueto e docile, preferirà andare a Parigi. Zanella prende in considerazione anche il declino del Gozzi il quale, scioltasi la compagnia Sacchi, vide spopolarsi a poco a poco il suo teatro e le sue Fiabe tornare «alla loro prima destinazione di lusingare il sonno ai fanciulli». Il giudizio di Giacomo Zanella non appare quindi lusinghiero: nonostante l’apprezzamento di autori stranieri quali Schiller che tradusse Turandot, o di altri autori che paragonarono alcune commedie del Gozzi a quelle di Aristofane, o delle Università tedesche che celebrarono e commentarono pubblicamente le commedie gozziane, fermandosi al valore letterario italiano, il successo di Gozzi fu quindi soltanto popolare e Zanella lamenta il fatto che il popolo italiano abbia avuto il demerito in fatto di letteratura, di basarsi sempre sul giudizio altrui. Francesco Torraca, allievo di Luigi Settembrini, nel suo Manuale della letteratura italiana26 organizza una Storia della letteratura suddivisa per macro capitoli dedicati ai grandi secoli della letteratura. Ogni capitolo termina con gli studi storici, filosofici e le notizie complementari che includono i cosiddetti autori minori. Una letteratura che unisce il criterio estetico con quello storico, pagine in cui il compilatore è attento a non interferire, ma descrive, analizza e critica con estremo equilibrio.27 Nel capitolo dedicato al teatro, La commedia e tragedia nel secolo XVIII, Carlo Gozzi è descritto come un autore dalle innumerabili prose e innumerabili poesie volanti; scrittore di lunghi poemi, si inserisce nella fervente contesa tra goldonisti e chiaristi scrivendo contro l’uno e contro l’altro. Per mostrare al Goldoni che qualunque novità, anche la più sciocca, è utile per attirare gente a teatro e che egli con una fiaba qualsiasi avrebbe ottenuto risultati clamorosi e successi di pubblico, e per venire incontro alla compagnia del Sacchi, scrisse il primo canovaccio L’amore delle tre melarance . Un elemento che va a favore delle produzioni teatrali del Gozzi nel Manuale del Torraca è legato alla sottolineatura delle parti scritte in versi e in prosa e alle fonti utilizzate dal Gozzi come riferimenti chiave: oltre a Cunto dei Cunti, Carlo Gozzi attinge, secondo il compilatore, dalla Posilecheata del Sarnelli, dalle novelle arabe, persiane, cinesi, della Biblioteca dei Geni. Una serie di volumi di grande diffusione editoriale e di successo destinati alle scuole secondarie sono i Manuali di letteratura italiana di Alessandro D’Ancona e Orazio Bacci28 considerati la nuova prosecuzione del vecchio manuale di Federico Ambrosoli. I due autori aprono i loro manuali scolastici dedicando una parte alla descrizione delle notizie storiche e letterarie del secolo preso in esame: in particolare i compilatori F. TORRACA, Manuale della letteratura italiana, ad uso delle scuole secondarie, Firenze, Sansoni, 1891. Si veda il contributo di Rossana Melis Tra filologia e opera d’arte: il «Manuale della letteratura italiana» di Francesco Torraca, in Il canone letterario nella scuola dell’Ottocento..., 279-329. 28 A. D’ANCONA - O. BACCI, Manuale di letteratura italiana, Firenze, Barbera, 1906. 26 27
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lamentano una scarsa attenzione e uno studio superficiale del secolo decimoottavo e ne individuano la ragione nella tendenza dei loro colleghi a dare più risalto al passato rispetto all’epoca contemporanea; ed è con questo proposito di rivalutazione storica, ma soprattutto letteraria, con un notevole ampliamento del canone letterario,29 che si colgono gli elementi più significativi dei loro manuali destinati alle scuole secondarie.30 Dopo l’accenno all’impegno di Carlo Gozzi nell’Accademia dei Granelleschi con una sottolineatura della sua partecipazione piuttosto pedante e accettata con poca serietà di forme più per mantenere le tradizioni letterarie, si racconta di come il commediografo cominciò a prendere parte ai contrasti in materia teatrale che allora appassionavano i veneziani, divisi in fautori del Chiari e del Goldoni. Sottolineano, i due professori, come Gozzi non parteggiasse né per l’uno, né per l’altro, anzi li combattesse tenacemente «accusando il primo di vacua ampollosità e di ignoranza e l’altro di indulgenza a quelle novità filosofiche», che mal si accompagnavano alla politica del tempo, la cosiddetta Vecchia Repubblica da Gozzi amata e celebrata con ardore e dedizione filiale. Quello che puntualizzano i compilatori è che Gozzi rimproverava al Goldoni di distruggere «la forma tutta italiana e non priva di gloria, della commedia a soggetto di maschere». La novità proposta dal Gozzi era quella di provare, come guanto di sfida, che qualsiasi novità che riuscisse a far ridere spassosamente il pubblico, poteva essere di gran lunga migliore delle proposte teatrali goldoniane, e con questo spirito Gozzi si accinse ad inventare una nuova commedia basata su una rappresentazione scenica fiabesca. I due professori salvano dalla produzione teatrale di Carlo Gozzi, le fiabe, una proposta di forma popolare e di commedia dell’arte, di allegoria morale e di satira personale, di enti soprannaturali e di maschere teatrali; la critica di A. D’Ancona e O. Bacci va ancora una volta allo stile del Gozzi «pedestre, diffuso, sciacquato e goffo» e questo rappresenta una spia fortemente indicativa di quanto questi difetti nuocessero in generale per i compilatori all’arte teatrale. I due autori non tacciono il successo estero delle commedie del Gozzi. Tradotte subito in Germania dal Wertes (Berna, 1777-79), in Francia dal Royer (Paris, Lévy, 1865) ebbero favorevoli i critici e gli scrittori tedeschi, iniziando da Goethe, Schiller, da Tieck, da Schegel a Hoffmann, fino ad arrivare a Wagner e a Schopenhauer, cui si affiancarono in Francia la Staél, e lo svizzero Simonde de Sismondi. 3. Le fiabe teatrali La fiaba teatrale più citata nelle Storie della letteratura italiana e nei Manuali ottocenteschi sopraindicati è L’amore delle tre melarance, messa in scena per la prima volta a Venezia al teatro S. Samuele il 21 gennaio del 1761. La fiaba, mentre mescola mirabilmente la piacevolezza all’insegnamento morale, contiene tutti gli elementi tipici fiabeschi. Trama. Un re di un immaginario reame ha un figlio principe che soffre di ipocondria; per cercare di riportare la spensieratezza al giovine e per guarirlo il re ordina feste di palazzo e giochi; fa addirittura costruire due fontane zampillanti di olio e vino. Tutto sembra inutile, quando la caduta improvvisa di una vecchia riesce a far riportare l’allegria al principe e a guarirlo. In realtà, sotto le sembianze della vecchietta, si 29 Si veda il contributo di Guido Lucchini Per la storia del «Manuale» di D’Ancona – Bacci, in Il canone letterario nella scuola dell’Ottocento..., 239-277. 30 Ivi, 19.
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nasconde una fata assai cattiva: questa lancia una maledizione che lega indissolubilmente la felicità e la vita futura del principe al ritrovamento di tre melarance. Il principe parte con alcuni compagni alla ricerca dei frutti e dopo una serie di ostacoli da superare riesce a trovarli. Nel viaggio di ritorno da una delle melarance esce una bella fanciulla, il principe se ne innamora, sta per annunciare il matrimonio quando una giovane donna mora conficca uno spillone nel capo della promessa sposa la quale si trasforma in una colomba. Riacquisterà le sembianze di bella fanciulla grazie all’intervento di un servitore di corte e quindi gli elementi magici aiuteranno l’eroe più comico che eroico, nella risoluzione del caso e in conclusione il lieto fine con la celebrazione delle nozze. Nella sua Analisi riflessiva Gozzi sottolinea alcuni elementi importanti della fiaba: L’amore delle tre melarance è innanzitutto un racconto per l’infanzia trasformato in un testo teatrale, ma è soprattutto una parodia estremamente buffa delle opere del Chiari e del Goldoni. L’antagonismo scenico e reale tra Carlo Goldoni e il Chiari è ben rappresentato dalla straordinaria e originale invenzione dei due personaggi della Fata Morgana (caricatura del Chiari) e del Mago Celio (caricatura del Goldoni). Questa rivalità viene abilmente e ironicamente portata sulla scena trasformando il teatro in una rappresentazione delle battaglie teatrali dei due commediografi. I passi teatrali riportati nelle Storie letterarie sono principalmente quelli che mettono in scena proprio la Fata Morgana e Celio Mago. Nella Storia letteraria di C. Ugoni è rappresentato il divertente dialogo finale del III Atto de L’amore delle tre melarance che vede il mago Celio e la fata Morgana discutere con ironia e concitatamente prima delle nozze. Nel volume del Settembrini vengono riportati i riassunti delle introduzioni agli Atti I, II e III dell’intera fiaba: l’autore celebra i dialoghi tra i personaggi della fiaba in versi martelliani. Uno degli elementi rilevanti e didatticamente efficaci è il considerare, come ha ben sottolineato Edoardo Sanguineti,31 l’identificazione di “maschera” (da commedia dell’arte) e di “funzione” da morfologia proppiana della fiaba teatrale proposta da Carlo Gozzi: Portando la fiaba sopra un palcoscenico, sceneggiandone l’impianto, Gozzi sperimenta quella che Propp potrà descrivere come «l’ambivalenza della favola: la sua sorprendente varietà, la sua pittoresca eterogeneità, da un lato, la sua non meno sorprendente uniformità e ripetibilità dall’altro. […] Perché egli scopre che teatralizzare la fiaba, nei modi indicati, significa necessariamente, nel pieno significato della parola, comicizzarla. La fiaba spezza così, una volta per tutte, la sua radice mitica. Assai meglio dei suoi avversari, Gozzi sente che l’universo fiabesco poteva funzionare come solenne paradigma iniziatico finché era in opera una vera e propria direzione tradizionale, nella trasmissione culturale e civile.32
Francesco De Sanctis sceglie di riportare nel suo volume un passo tratto dalla Tartana degl’influssi che puntualizza sarcasticamente la caricatura dei due commediografi Goldoni e Chiari: Il primo si chiamava « Originale» e il secondo «Saccheggio» s’appella. I partigiani ogni giorno crescevano, chi vuole Originale e chi Saccheggio; 31 E. SANGUINETI, L’amore delle tre melarance: un travestimento fiabesco del canovaccio di Carlo Gozzi, Genova, Il Melangolo, 2001, 9-10. 32 Ivi, 11.
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tutto il paese a romore mettevano. 33
Nel racconto letterario di De Sanctis dell’opera Marfisa bizzarra emerge il desiderio di Carlo Gozzi di una caricatura dei nuovi romanzi, con i protagonisti Goldoni e Chiari portati sulla scena dal Gozzi come: Carlomagno e i suoi paladini i quali diventano oziosi e vagabondi, Bradamante una spigolosa casalinga, Marfisa l’eroina, guats de’ libri nuovi, vaporosa, sentimentale, isterica, bizzarra, e finisce tisica e pinzochera.34
Giacomo Zanella parla de L’amore delle tre melarance come di una rappresentazione teatrale scritta appositamente a conferma del pensiero di Gozzi, delle sue teorie antigoldoniane e misoneiste per eccellenza, è una «commedia desunta dai racconti delle balie in cui un re ammalato che non può ridere parla in versi martelliani, ed hanno parola i cani, le funi, le porte». Zanella sottolinea come questa fiaba teatrale sia in assoluto la «vendetta del bando che gli aveva inflitto Goldoni». Francesco Torraca, nel suo Manuale della letteratura italiana, dopo la citazione del clamoroso successo riportato dalla rappresentazione de L’amore delle tre melarance, sceglie di celebrare un’altra fiaba di C. Gozzi, L’augellino belverde, che viene considerata la continuazione del racconto fiabesco sopracitato. Viene narrato integralmente nel Manuale l’Atto IV, scena decima, con l’episodio di Barbarina e Smeraldina. L’Augellin belverde riporta in scena alcuni personaggi de L’amore delle tre melarance. La trama è di nuovo in pieno stile fiabesco. Pantalone spiega che una vecchia regina, Tartagliona, assai avida nei confronti del figlio e sull’intero reame, approfittando della lunga assenza del re Tartaglia (ben 18 anni), ordinando l’uccisione della sua fragile regina Ninetta, crudelmente aveva ordinato pure di seppellirla viva! Ma anche i due gemelli Renzo e Barbarina avrebbero incontrato un destino di morte, se Pantalone stesso non li avesse affidati alle cure di Smeraldina e Truffaldino i quali, accettando di prendersi cura dei due gemelli, non avevano mai rivelato loro la verità. I due giovani sono infatti i protagonisti di questa fiaba; la narrazione prende una svolta diversa appena i due fratelli vengono inaspettatamente a sapere dei loro genitori adottivi. Questo provocherà molte incomprensioni soprattutto tra Smeraldina e Barbarina. Si tratta per Gozzi di mettere in scena una fiaba teatrale a sfondo filosofico.35 Francesco Torraca sceglie di inserire una scena di dialogo tra le due donne; interessanti sono i versi in cui Barbarina, sentendosi responsabile per alcune avversità accadute a Renzo, pensa che egli sia perito o addirittura morto, si rimprovera di non aver dato retta alla ragione e di essere stata troppo vanitosa. La fanciulla arriva a detestarsi e a svilirsi. Ecco alcuni versi in cui lei si rivolge a Smeraldina: Lasciami, Smeraldina; io più non merito Soccorso da nessun. Più, che degli altri, Merito l’odio tuo. Povera donna! Tu pietosa alla morte mi togliesti, Tu m’allevasti, e in semplici parole Mi dipignesti amor, timor, dovere D’una vita mortale; io t’ho derisa, E negli studi miei stolti e fallaci. F. DE SANCTIS, Storia della letteratura italiana..., 902. Ivi, 907. 35 A. BENISCELLI, La finzione del fiabesco, Casale Monferrato, Marietti, 1986. 33 34
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Quella ragion, dal Ciel, moderatrice D’umane passion, posta in noi tutti. M’assuefeci a disprezzare, ed empia. Impossente ridussi, onde in tumulto Posi le brame, insaziabil torma; Schiava d’esse divenni. Io ben conosco, Ma tardi, gli error miei. Ragione, amica. Non è in me spenta, e nel funesto caso. Come suol avvenire a tutti gli empi. M’apre lo sguardo al vero. In me contemplo Un schifo oggetto. Vanità mi rese Favola al mondo; agli occhi delle stelle Tizzon d’inferno. In me tormento è solo Quella ragion, che ne’ più saggi è calma.36
Il percorso di autocoscienza, di pentimento e riconsiderazione del sé di Barbarina è probabilmente quello che interessa di più a Francesco Torraca; l’utilizzo di elementi fiabeschi per rappresentare caratteri e sentimenti umani è un elemento didatticamente valido di proposta agli studenti. La fiaba immette lo studente in un mondo parallelo al reale in cui possono essere captati messaggi ideologici, morali e in cui ognuno può trovare anche risoluzioni ai propri conflitti attraverso il filtro di una narrazione fantastica: La fiaba può partire subito, può muoversi in parallelo con i momenti di dichiarato impegno «filosofico». Anzi deve agire subito, per sorreggere con la propria misura fantastica il pronunciamento ideologico, per trasformare, attraverso il filtro della narrazione favolosa, l’intenzionalità didattico-morale in eventi, figurazioni, immagini esemplari.37
Anche nei Manuali della letteratura italiana di Alessandro D’Ancona e Orazio Bacci c’è l’accenno positivo alla fiaba Augellin belverde con un auspicio di rivalorizzazione dell’opera, ma viene considerata come migliore, tra le dieci fiabe proposte da Carlo Gozzi, Il Corvo. Per l’analisi di questa fiaba i due compilatori rinviano al giudizio critico di Ernesto Masi il quale, analizzando la fiaba, parla di scene potenti ed efficaci, tanto da ipotizzare un intervento sulla stesura del fratello Gasparo. La chiusura della parte dedicata a Gozzi è affidata ad un passo tratto dalle Memorie inutili38 del commediografo. In questo brano il percorso autobiografico di Carlo Gozzi si caratterizza per i continui scambi di persona subiti dallo stesso autore, quelli che curiosamente Gozzi definisce «stravaganze e contrattempi quasi giornalieri». Che si tratti del suo caritatevole «padrone, il veneto patrizio Paruta», o di Michele dell’Agata, noto impresario all’epoca, o di Daniele Zanchi, o del mercante Costantino Zucalà, questi episodi divertono per primo lo stesso commediografo. Una chiave di lettura interpretativa sulla scelta antologica di collocare un passo tratto dalle Memorie inutili può essere ricercata nel valore didascalico del genere autobiografico e in questo caso assai comico del protagonista, come suggerisce il recente saggio di Ilaria Crotti, Le Memorie inutili di Carlo Gozzi.39
TORRACA, Manuale...., 245. BENISCELLI, L’augellin belverde, in La finzione del fiabesco..., 135-136. 38 C. GOZZI, Memorie inutili, Vol. III, Bari, Laterza, 1934, 187. 39 I. CROTTI, Le Memorie inutili di Carlo Gozzi, Roma, Bulzoni, 2011. 36 37
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4. Alcune letture critiche nell’Ottocento Nel suo ormai celebre Corso di letteratura drammatica40 A. W. Schlegel puntualizzava come Gozzi fosse l’unico commediografo italiano a dare una forma drammatica alle narrazioni fiabesche unendo abilmente la parte più «seria e poetica con quella grottesca ove tutte le maschere avevano il loro pieno sviluppo», unico esperimento simile in Italia per Schelgel: Simili commedie sono d’un effetto il più grande che mai. Sono esse ordite con estremo ardimento; 1’invenzione è piuttosto originale che romantica, e tuttavia sono in Italia le sole composizioni drammatiche ove regnino i sentimenti dell’onore e dell’amore.41
Ciò che incuriosisce il critico tedesco, è il ritratto eccentrico, stravagante, nascosto sotto sembianze di travestimento dei caratteri umani, volubile rappresentazione della vita umana: Nelle prime opere del Gozzi, a riscontro, il meraviglioso della stregoneria faceva un sorprendente contrasto col maraviglioso della natura umana, cioè a dire colla bizzarra follia de’ differenti caratteri, così fortemente ritratta dalle maschere. Finalmente questa capricciosa imitazione della vita, o ne mostrasse il lato ridicolo, o vero il lato serio, oltrepassava la realtà in tutti i versi. Gozzi aveva trovato una miniera assai più ricca ch’ egli stesso non credeva, e per avventura non sentì tutto quello che racchiudevano le sue proprie invenzioni.42
Le sue maschere burlesche rappresentano, per il critico, quella parte prosaica dell’umana natura che mette in ridicolo la parte poetica, e sono una personificazione dell’ironia, vista da Schlegel come «la confessione più o meno espressa dell’eccessiva preponderanza accordata». Gli italiani per Schlegel non sono in grado di cogliere tutto il profitto che si può ricavare da questo doppio aspetto della vita e questo, secondo l’autore, rimane un grosso limite. Una rilettura positive delle fiabe di C. Gozzi viene compiuta anche da Ernesto Masi nel volume Le fiabe di Carlo Gozzi del 1880. Nella prefazione al volume sottolineando l’«ingiusto oblio», a cui era stato sottoposto Carlo Gozzi, Masi chiama in causa i Romantici, i quali «non furono a lui favorevoli soprattutto per la capricciosa e ardita libertà» di Carlo Gozzi, non seppero perciò apprezzare la teatralità delle fiabe proposte, non rendendosi conto che le stesse, viste sotto questo aspetto, rappresentavano l’ultima forma della Commedia dell’arte e dell’antica Commedia popolare: Le fiabe rappresentano il passato che lotta ancora e si contrappone alla commedia realistica del Goldoni, perché sono la forma ultima della nostra Commedia dell’arte e dell’antica commedia popolare perché nel più vivo di un moto filosofico, il quale armato di tutte le superbie della ragione umana, mirava a cambiare l’intero assetto morale della vecchia società europea esse formano un episodio di letteratura fantastica che, per alcuni anni acquista una tale popolarità da mettere in forse, si direbbe perfino le cagioni e gli effetti della riforma goldoniana.43
SCHLEGEL, Corso di letteratura drammatica, traduzione italiana con note di Giovanni Gherardini, Tomo II, Milano, P. E. Giusti, 1817. 41 Ivi, 30. 42 Ivi, 31. 43 E. MASI, Le fiabe di Carlo Gozzi, Bologna, Zanichelli, 1885, 22. 40
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Apprezzabili infine le considerazioni di un’autrice estremamente sensibile come Matilde Serao44 pronunciate in una conferenza del 1895. L’apporto personale dato da Carlo Gozzi alla commedia teatrale si rileva, per l’autrice, nella straordinaria rappresentazione, per mezzo di intreccio, di dramma, di personaggi, dialoghi e scene, di un mondo meraviglioso, ma anche estremamente «vivo, creato su vecchi elementi» una teatralità scenica che, per l’autrice, ha un indiscusso valore. Tutto accade: tutto, cioè quello che è strano, ma anche quello che è impossibile, viaggi di migliaia di miglio in poche ore, risurrezione di morti, ringiovanimento di vegliardi, palazzi sorti in una notte e crollati in un minuto, battaglie combattute in un attimo e in meno di un attimo perdute o vinte. Attraverso questi paesaggi stupefacenti, questi mondi disorganizzati e folli, questi prodigi impensati e inauditi, questi sentimenti escogitati e contraddittori, gli eroi e le eroine di Carlo Gozzi seguitano la loro terribile vita di tormenti, affrontando tutti gli ostacoli e sopportando tutte le pene, agonizzando di dolore di stanchezza, invocando il cielo, imprecando.45
Conclusione Tratteggiato come un personaggio non comune nell’ambito teatrale settecentesco italiano, dotato di brio e di originalità innata del carattere, il commediografo veneziano, secondo tutti i compilatori dei volumi sopraindicati, ha il merito di aver creato uno spazio originale e autonomo rispetto alla commedia dell’arte proposta da Carlo Goldoni: credendo nella diffusione e nella ricezione della commedia popolare, Carlo Gozzi ha saputo porre le basi di un teatro cosiddetto popolano, sempre in opposizione alla commedia borghese. Il suo collocarsi costantemente in diatriba, in antitesi, in opposizione a C. Goldoni e P. Chiari diventa un suo biglietto di presentazione necessario: per Gozzi, Goldoni è colpevole nelle sue commedie borghesi, di aver ritratto con eccessivo fervore realistico gli ambienti e le psicologie logorate dei personaggi; figure esemplari, quali Pantalone e Arlecchino ad esempio, costretti a prestare la voce a gesti e personaggi di bassa e realistica estrazione sociale (ruffiani, adulatori, frequentatori di taverne) finivano per fungere da spalla ai turbamenti dei protagonisti delle commedie borghesi goldoniane, e il Chiari è accusato a sua volta di trasferire «ogni patetismo ed ogni degradazione in intrecci tragici e complicati al punto da apparire paradossalmente inverosimili».46 Carlo Gozzi è tra i letterati, nel periodo tra fine Settecento e inizio Ottocento, che riscuote un clamoroso successo in Germania: le Fiabe escono in traduzione tedesca a Berna nel 1777 e il 1779, Ludwig Tieck, riadattando la Zobeide nell’opera teatrale Bluabart, dà vita alla Gozzische Manier; la traduzione schilleriana dell’opera Turandot, del 1802, sarà messa in scena con la regia di Goethe. La rappresentazione scenica di quest’opera influenzerà la fortuna teatrale di Carlo Gozzi in terra germanica trascinando positivamente altri teorici della poetica romantica quali Friedrich e Schlegel, a scrivere recensioni assai positive sul commediografo Gozzi. In Italia invece si registra una costante ostilità da parte dei critici letterari del tempo: Cesarotti, Foscolo, Salfi, Gherardini sono tra i giudici più agguerriti.47 E sono gli stessi autori dei volumi sopraindicati, ad eccezione di Camillo Ugoni, a M. SERAO, Carlo Gozzi e la fiaba, in La vita italiana nel Settecento, Milano, Treves, 1895. Ivi, 245. 46 A. BENISCELLI, Fiabe teatrali, Milano, Garzanti, 2004, XIII. 47 BENISCELLI, La critica, in Gozzi Fiabe teatrali..., XXX-XXXI. 44 45
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mettere semplicemente in nota, o in fondo come chiusa, o solo come accenno, il grande successo estero e la ricezione con altre traduzioni significative: la Stael, Ginguené e Sismondi lodano le fiabe come drammi veramente originali, alcune sue commedie hanno un successo incredibile all’estero. Come si spiega la poca importanza data alla ricezione assai positiva e al successo estero di Carlo Gozzi? Una chiave di lettura proponibile potrebbe essere il tentativo, da parte dei compilatori dell’Ottocento, di leggere ogni componimento della nostra letteratura come un importante contributo di crescita e sviluppo di un’identità nazionale che stava nascendo e ampliandosi dopo soprattutto l’Unità. Non a caso le Storie letterarie di Camillo Ugoni che valorizzano in parte il successo estero, nascono prima. La storiografia proposta da De Sanctis e dai compilatori successivi, tende ad individuare le linee portanti di una nuova letteratura proiettata all’impegno, allo spirito civile, una letteratura capace di parlare concretamente con il popolo. Carlo Gozzi propone invece un’arte legata al disimpegno, al passato che non risponde certo alla nuova chiamata. A questo va aggiunto l’atteggiamento sempre poco diplomatico e i commenti ironici, quasi sarcastici che lo stesso Gozzi ha nei confronti di Goldoni uomo e di Goldoni commediografo: Gozzi sembra lanciare spesso un guanto di sfida non solo al collega-rivale ma anche a tutto l’ambiente teatrale settecentesco. Lo stile delle commedie di Carlo Gozzi infine è recepito in modo negativo da quasi tutti i compilatori. A infastidire probabilmente più che lo stile è la mescidanza degli stili: i personaggi, nelle fiabe rappresentate, parlano in versi, discutono in prosa, dialogano in dialetto, ed è questo particolare connubio, a “disturbare”. I compilatori sottolineano infatti che si tratta di un «composto capriccioso di reale e di fantastico, di forme popolari e di commedia dell’arte, di allegoria morale e di satira personale di enti sopranaturali e di maschere teatrali, il tutto in uno stile pedestre, diffuso, sciacquato e goffo, audace mescolanza di elementi disformi».48 Partire da un testo scritto come quello di Gozzi in versi martelliani già dal prologo, con forte intento provocatorio richiede una rappresentazione in teatro fortemente stilizzata e una particolare organizzazione del linguaggio teatrale. La stilizzazione è imposta dai versi e dalle rime e dai problemi di recitazione che questi comportino. Stilizzare non significa allontanarsi dalla concretezza, ma solo esprimerla con un po’ più di artificio. E proprio questa artificialità chiama direttamente in causa l’arte del teatro, che tende a fare della realtà un gioco. Il gioco è il versante artificiale dell’arte.49 Inserire poi le parti di spiegazione nella chiusa di ogni Atto e l’introduzione a inizio di ogni atto sempre in prosa, per riprendere il racconto cadenzato in versi roboanti, prevede quindi una particolare abilità sia organizzativa che di messa in scena e sono probabilmente questi elementi a non trovare troppi consensi tra i critici del tempo. La fortuna estera di Carlo Gozzi nel Novecento è stata ampiamente confermata dagli studi successivi all’epoca che abbiamo presa in esame. Lo stesso Benedetto Croce definisce «teatralmente eccellente» lo svolgimento dei testi fiabeschi di Carlo Gozzi. Tra i critici del Novecento che ne rivalutano lo stile va segnalato Ludovico Zorzi che sottolinea l’elemento morfologicamente rilevante di connubio tra commedia dell’arte e racconto fiabesco. Nicola Mangini e Gérard Luciani puntualizzano proprio la pluristilistica contaminazione di comico e fiabesco mentre Edoardo Sanguineti e Angelo Fabrizi descrivono lo
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D’ANCONA - BACCI, Manuale..., 390. BESSON, La comicità è una cosa seria..., 138-139.
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stile di Gozzi facendo riferimento all’«intelligente alchimia di forme letterarie e drammatiche».50 Una «luce di verità» splende sempre nelle fiabe di Carlo Gozzi, come ha ben evidenziato Matilde Serao: Gozzi è osservato dall’autrice come il restauratore del meraviglioso nell’arte teatrale, un uomo che con la propria fervida immaginazione ha saputo vivere la contemporaneità rimanendo anteriore al proprio tempo. Un piccolo lumicino brilla sempre in fondo alla foresta, come nella gentil fiaba puerile del Petit Poucet, come in tutte le istorie meravigliose. Questo fioco lume, vedete, è la tenue, quasi disperata speranza, diciamo cosi, che è alla fine di tutte le torture estreme dei personaggi di Carlo Gozzi, è il filo intorno al quale si tesse tutta la trama della fiaba.51
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BENISCELLI, La critica, in Gozzi Fiabe teatrali...., XXX-XXXII. SERAO, Carlo Gozzi e la fiaba..., 245-246.
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