Periodico bimestrale · “Poste Italiane SpA - Spediz. abb. post. - 70% Aut.: CBPA-SUD/CS/240/2009” val. dal 21/07/09
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lavoro energia sistema costruttivo memoria dell’acqua Arte
n26
Anno 2013 Set-Ott
storia Speleologia Mab libri gastronomia
Rossano (CS) · Codex Purpureus Rossanensis
la copertina Codex Purpureus Rossanensis
Rossano (Cosenza) Il Codex Purpureus Rossanensis è un manoscritto onciale greco attribuito al VI secolo conservato nel Museo Diocesano di Arte Sacra di Rossano (CS) contenente un evangeliario con testi di Matteo e Marco.
Si tratta di un testo adespoto (se ne ignorano gli autori) e mutilo di cui rimangono 188 fogli degli originari 400.
Il Codex Purpureus Rossanensis è nell’elenco delle candidature per essere riconosciuto dall’Unesco fra i beni eccellenti del patrimonio artistico mondiale.
Il Codex Purpureus è di straordinario interesse dal punto di vista sia biblico e religioso, sia artistico, paleografico e storico, sia documentario. Il manoscritto riporta testi vergati in oro e argento su 188 fogli di pergamena lavorata e tinta in colore purpureo ed è impreziosito da 14 miniature che illustrano i momenti più significativi della vita e della predicazione di Gesù.
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editoriale Ferdinando Tarzia
Lavoro nero …non cercasi
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iù volte ci siamo interessati del lavoro nero (ed anche in questo numero a cura di Giovanni Russo), di quel mondo nel quale viene utilizzata manodopera a basso costo e senza il rispetto dei diritti sindacali e contributivi, che da noi fiorisce in larga parte tra le piccole e medie attività quasi come se tale condizione fosse una logica proiezione di difesa nelle difficoltà economiche che il sistema in generale produce. Abbiamo avuto modo di evidenziare anche la possibilità di rientrare nell’ordinarietà attraverso un percorso di riallineamento che le norme regionali consentono e che aiutano a sanare le posizioni abusive in un tempo ragionevole e senza aggravi di penalità. In pratica un atto di buona volontà della pubblica amministrazione, dolce e quasi raro rispetto al sistema strettamente sanzionatorio che in genere pervade il rapporto tra gli enti pubblici e i cittadini. L’attenzione al fenomeno non ha trovato sinora alcuno sbocco positivo, benchè minimo, tenuto conto dei risultati delle attività di controllo nel primo trimestre di quest’anno rese alla stampa dal Comitato emersione lavoro sommerso. Al di fuori dei dettagli operativi colpisce il rilievo che in una vigilanza serale nove esercizi pubblici su dieci sono risultati irregolari e che su 43 posizioni lavorative verificate la metà di esse è risultata totalmente in nero. In generale i dati ci portano a ritenere che il fenomeno riguarda circa un quinto del fabbisogno lavorativo della regione; da quì si apre il quadro di quanta povertà viene subita da chi presta la propria opera in condizioni abusive, con un potere di acquisto irrisorio che penalizza l’economia delle zone nelle quali il fenomeno si verifica. Un alibi a tale fenomeno viene offerto dalla frequente considerazione che “almeno si riesce a guadagnare qualcosa”, a fronte della difficoltà di trovare un lavoro regolare. La concorrenza sleale degli operatori che agiscono contro ogni regola e l’offesa alla dignità del lavoro e ai doveri sociali sono ingredienti che non nascono dalla crisi economica. Al contrario una presa di coscienza sulla negatività di quanto avviene e la pretesa di tutto il nostro mondo del lavoro che venga operata una ampia azione di controllo costituirebbero l’avvio di autonomi cenni di ripresa.
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lavoro
Tutela e vigilanza sul lavoro Una realtà caratterizzata dal mancato rispetto della normativa giuslavoristica
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a Direzione Territoriale del lavoro, erede Giovanni Russo * dei superati Ispettorati e Uffici provinciali del lavoro, ha pubblicato sul proprio sito internet il Report sulle attività istituzionali relative al 2012, volto a rendere pubblica e trasparente «l’attività svolta nell’ambito della comunicazione interna, esterna ed istituzionale, nella tutela e vigilanza sul lavoro, nelle politiche del lavoro e in tutte le altre competenze esercitate che concorrono alla realizzazione a livello periferico della mission del Dicastero del Lavoro». Il documento, molto completo, contiene alcuni dati sull’attività di vigilanza che meritano più di una riflessione, soprattutto se confrontati con quelli relativi all’anno precedente. Ad un occhio profano la lettura dei dati riportati provoca enorme incredulità: si legge che per quanto riguarda la vigilanza ordinaria «sono stati visitati n. 11 eventi e n. 99 aziende, delle quali n. 63 sono risultate irregolari, circa il 64%; su 352 lavoratori occupati, di cui 2 minori, 282 sono risultati irregolari (l’80%) e 77 totalmente in nero». Grande attenzione è stata dedicata alla lotta al lavoro nero nei settori più a rischio: «Nel corso dell’attività di vigilanza tecnico-amministrativa riguardante il 2012 sono state ispezionate n. 1.052 aziende edili di cui n. 838 (79,66%) sono risultate irregolari. I lavoratori risultati, totalmente, in “nero” sono stati n. 303 mentre per n. 924 si è riscontrata la loro irregolarità per altre cause». Si aggiunge che «con il sopraggiungere dell’attua-
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le crisi economica, si è notato un notevole aumento dei rapporti di lavoro non regolarmente dichiarati». Tali dati, ovviamente, sono inerenti ad un contesto socio-economico ben definito, ovvero quello relativo alla provincia di Cosenza, ma possono essere considerati anche una triste immagine in cui tutto il meridione può specchiarsi. Certo, la crisi attanaglia l’intero paese oramai da quasi sei anni, ma i suoi effetti negativi - a parere di chi scrive - inserendosi in una realtà già fortemente caratterizzata dal mancato rispetto della normativa giuslavoristica e da una significativa debolezza del tessuto imprenditoriale, hanno portato a degli effetti devastanti. I numeri d’altronde sono impietosi se, ad esempio, si considera che nell’80% circa (!!!) delle aziende edili ispezionate sono state riscontrate delle irregolarità. Ed allora è bene essere diretti ed espliciti: il mancato rispetto di tutta una serie di norme previste dallo Stato a tutela del lavoratore, della sua dignità e sicurezza sul luogo di lavoro, il più delle volte (nella provincia di Cosenza così come probabilmente in tutto il sud d’Italia) deriva da scelte solo aggravate dalla crisi economica, ma da questa non del tutto giustificate, con un palese nocumento, indiretto ma incontestabile, anche per quelle aziende che con grandi sacrifici vogliono e riescono a rispettare le prescrizioni di legge. * Avvocato in Cosenza
Né pauperismo né fanatismi Massimo Veltri *
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uattro fatti recenti, su scala e di rilievo differenti, hanno sottoposto alla nostra attenzione l’ultradecennale confronto-scontro fra sviluppo e ambiente, crescita e salute, ricchezza e sicurezza. Il primo fatto: l’Ipcc (International Panel of Climate Change, Gruppo intergovernativo che fa riferimento all’Onu) ha diffuso nelle scorse settimane il suo periodico rapporto nel quale, fra l’altro, si legge: “La temperatura media globale crescerà in misura compresa tra 0,3 e 4,8 gradi entro il 2100 rispetto alla media 19862005 e questo riscaldamento è dovuto con una sicurezza del 95 per cento a cause umane (contro il 90 del precedente rapporto). Le ondate di calore saranno più frequenti e dureranno più a lungo, nelle regioni umide pioverà di più e quelle secche diventeranno più aride”. Un rapporto elaborato da circa 10000 studiosi di tutto il mondo, con taglio altamente specialistico e interdisciplinare, che si inserisce lungo la scia tracciata da Aurelio Peccei, il Club di Roma, la loro esplicita sottolineatura dei ‘limiti dello sviluppo’, le conferenze e i protocolli di Rio, di Kyoto, la declinazione di paradigmi quali quelli della sostenibilità e così via. La spoliazione del pianeta e delle sue risorse come effetto del modello unico e di trend di vita massicciamente improntati al consumo indiscriminato avvalendosi anche di fonti energetiche inquinanti e aggressive non è, da tempo, una giaculatoria o un refrain di qualche guru ambientalista della prima ora. Capi di stato, importanti esponenti politici di tutto il mondo, economisti, uomini di scienza, finanche qualche pontefice, hanno a più ri-
prese posto l’accento in termini argomentati e equilibrati sui panorami molto allarmanti che si prospettano per l’uomo e suoi habitat se non si mette un freno alla corsa forsennata che si agita incessantemente nel pianeta. All’interno di questa cornice, ecco in rapida rassegna gli altri tre fatti, cui si accennava. La vicenda dell’Ilva di Taranto, l’alluvione dei reperti archeologici di Sibari, lo svuotamento dei laghi Ampollino e Arvo sull’ altopiano silano. Guardare separatamente gli avvenimenti è utile esercizio in termini di approfondimento, collegarli – ove possibile – è indispensabile per cogliere coordinate e chiavi di lettura sistemiche. Lettura sistemica che può essere l’unico strumento che consente di leggere i processi, comprenderli, indurre a intervenire, con tutte le complessità, le contraddittorietà, le parzialità – se vogliamo -, che l’onestà intellettuale impone. Prendiamo appunto i fatti di Taranto. L’unione Europea ha aperto un procedimento d’infrazione verso il nostro paese perché non ha garantito i necessari livelli di sicurezza e di salute per gli stabilimenti dell’Ilva. Migliaia di posti di lavoro a forte rischio, condizioni ambientali estremamente precarie. Anni e anni di nessuna cura o misura, livelli di produzione portati avanti in spregio ai più elementari protocolli stabiliti e noti, in assenza per di più di qualsiasi forma di controllo da parte di organismi preposti. Che si fa, si chiude, si risana, si risana mentre si continua a lavorare? In tutto questo qualche commentatore ha
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chiamato in ballo l’aspetto relativo alla mano privata che detiene e gestisce gli impianti, individuando in ciò l’origine e la causa del male. Siamo certi che se la mano fosse stata pubblica le cose sarebbero andate diversamente? Sono andate diversamente per gli antichi resti di Sibari, abbandonati all’incuria più manifesta, lasciati marcire sotto cumuli di acqua e fango, tanto – come dire, e come pure è stato detto – non producono nulla, nessuna ricchezza? Salvo intenderci, ovviamente, sul significato di ricchezza. A Taranto la produzione, costi quel che costa, a Sibari la morte: tanto le antichità non valgono niente. Per arrivare ai laghi dell’altipiano silano. Da anni, ormai, non sono più proprietà dello stato: il processo che condusse alla nazionalizzazione e dalla Sme li portò nel portafogli dell’Enel ha invertito il suo verso di percorrenza. Questi laghi, artificiali, producono energia elettrica (pulita), oltre a fornire acqua per l’agricoltura, ad avere fini ricreativi e a esaltare le bellezze del paesaggio. Tecnica e buon senso, oltre che precise norme, vogliono che periodicamente si intervenga per manutenere e adeguare impianti e macchinari, dragare il fondo, aumentare il rendimento delle operazioni. Ovviamente il tutto da svolgersi secondo protocolli riguardanti durata dei lavori, best practices, minor impatto possibile e così via. Accade che non va bene: che non si deve fare niente, che il paesaggio non può deturparsi, che la fauna e la flora non possono subìre tale oltraggio. E tutto si ferma. Con qualcuno che, inoltre, attribuisce la responsabilità della vicenda al fatto che i laghi sono privati e non pubblici. Ora, una sintesi, per quanto schematica e grossolana – anche volutamente provocatoria - di quanto finora molto sommariamente esposto mi sento di sottoporla all’attenzione di chi ha avuto l’amabilità di leggere fin qui, pronto ovviamente a interloquire con quanti vorranno commentare e obiettare. Se l’ideologia pare uscita dalla porta, è pronta a entrare dalla finestra, in varie forme e con gradienti d’aggressività addirittura maggiori. La prima forma è quella del profitto monetario e del potere, che imperano su tutto e tutto vogliono piegare, a cominciare dalla salute e dalla sicurezza delle persone. L’altra è quella del massimalismo declamatorio e sloganistico che, simmetrico di fatto al massimalismo totalizzante del guadagno-a-tutti-i-costi, finisce in buona sostanza per contribuire a portare in alto i vessilli di chi vuole contrastare. Posso, per concludere, permettermi di suggerire due cose? Da una parte soffermarsi sui problemi con serenità e onestà intellettuale; dall’altra, quella più impegnativa e di lunga durata: una riflessione, un ripensamento, sul modello di sviluppo. Qualcuno dice che il pauperismo non è proponibile, ma non è certamente di questo che si tratta. * già presidente nazionale di associazione Idrotecnica Italiana, professore ordinario di Idraulica
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Lucia Stove
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Una stufa può cambiare il mondo dell’energia
Domenico Canino *
Lucia stove in azione
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uesta è una storia che merita di essere raccontata.
Nathaniel Mulcahy un americano di madre piemontese di Tortona, decide di fissare la propria dimora e laboratorio nella cittadina materna. Nathaniel è un inventore ed in quel di Tortona inventa una stufa (stove) che può cambiare il mondo dell’ energia, e la chiama Lucia, come la sua piccola cagnetta. Tutto ruota intorno a due parole chiave, la Pirolisi, che molto sinteticamente consiste in un procedimen-
to di degradazione di sostanze organiche provocata dal calore e la Gassificazione, ossia il procedimento per il quale è possibile ottenere gas da un materiale solido organico. Sono procedimenti noti da decenni, ma molto costosi da realizzare perché richiedono camere di gassificazione chiuse ermeticamente, e procedure complesse di controllo dei gas prodotti. Ma Nat ha una idea nuova e sconvolgente, riuscire a compiere la pirolisi a camera aperta, cioè in un oggetto economico che possa aumentare l’efficienza del processo e che sia disponibile per tutti, anche per i paesi del terzo mondo. Inventa una stufa in cui il flusso forzato dell’aria in una camera di gassificazione composta da due cilindri concentrici, può rimanere aperta, grazie ad una tappo di fiamma artificiale, creato da una particolare geometria dei fori di aerazione, che si rifà alla serie di Fibonacci, matematico del rinascimento. Detto fatto, Nat, realizza i primi prototipi, e la Lucia dimostra di funzionare benissimo, metti dentro del pellet o degli scarti vegetali, accendi e la stufa non brucia il pellet, ma lo gassifica e brucia il gas che è molto simile al gpl, pulito ed economico. I filmati della Lucia Stove disponibili in rete sono molto esplicativi, non servono molte parole. Insomma si può produrre il gas a basso costo in casa, per cucinare e riscaldare. Inoltre i resti del processo di combustione non sono ceneri, ma carbone vegetale di alta qualità, il cosiddetto Biochar, ottimo fertilizzante, che sequestra anidride carbonica dall’aria. Il prodotto industriale è a basso costo, produrla costa circa 50 euro a pezzo, ma Nat è un uomo buono, e decide che la prima serie di questi prodotti, invece che andare sul mercato deve andare nei paesi del terzo mondo, in Africa ed ad Haiti, dove collabora con numerosi progetti umanitari. E’ un successo, le famiglie che spendevano su due euro di reddito disponibili 1,80 euro di legna e 20 centesimi per il cibo, grazie alla enorme efficienza della Lucia Stove, che arriva al 93% contro il 18% di un fuoco normale, possono cucinare con soli 20 centesimi di legno e spendere di più per il cibo. Questo significa che molte famiglie possono cucinare oggi nel terzo mondo grazie alla stufa di Mulcahy. Con una tecnologia del genere usata su grande scala il costo dell’energia per molte aziende italiane si abbasserebbe molto ed esse diverrebbero più competitive, e si potrebbe così importare meno gas e petrolio, con grande sollievo economico per tutti. E’ l’ uovo di Colombo, e funziona benissimo, come dimostrano anche i test di certificazione, non ci resta che sperare che arrivi presto sul mercato.
Nathaniel Mulcahy e la lucia stove
energia economica e pulita
* Architetto
Test di laboratorio
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energia
IL POSSIBILE SVILUPPO DELLA FONTE ENERGETICA RINNOVABILE BASATA SULL’IDROELETTRICITà Giuseppe Frega *
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noto, ma non abbastanza rilevato attualmente, che fra le fonti rinnovabili di energia assume un ruolo preponderante la produzione idroelettrica. Ma negli ultimi decenni si è verificato un continuo rilevante aumento del ricorso a centrali di produzioni di energia che bruciano prodotti combustibili. Molto opportunamente il protocollo di Kyoto chiede di fissare dei limiti alla percentuale di produzione di energia elettrica da impianti che inquinano l’atmosfera e di favorire l’aumento della produzione proveniente da fonti pulite e rinnovabili. Tale ultima produzione, somma di quella idroelettrica, eolica e fotovoltaica è variabile nell’anno in conseguenza soprattutto della maggiore o minore idraulicità dell’anno. Considerato che l’energia ritraibile dalle altre fonti rinnovabili pulite non supera il 20% di quella ritraibile dall’idroelettrico, risulta immediatamente la rilevanza della fonte idroelettrica. Peraltro la produzione idroelettrica, in base agli studi ENEL, ha comunque il vantaggio di poter essere incrementata con nuovi impianti, ammodernamento e rifacimento di impianti esistenti o riattivazione di piccoli impianti. A fronte delle ideologiche difficoltà ambientali risalenti alla tragedia del Vajont, si può ritenere che gli impianti esistenti possono senz’altro essere ammodernati e rinnovati. Il vertice europeo sul clima del marzo 2007 ha posto come obiettivo per il 2020 che il contributo delle energie pulite debba attestarsi almeno intorno al 20% del totale. Certamente virtuoso quindi risulta ogni possibile aumento del contributo delle vere energie pulite rinnovabili e, in particolare di quella idroelettrica, nella logica del su richiamato vertice europeo sul clima. Le riserve di stampo ambientalista cominciano ad
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essere superate anche da parte di studiosi che superando una lunga diffidenza hanno finalmente riconosciuto che le utilizzazioni idroelettriche vanno considerate come opportune tecniche antiche per il futuro (Cfr. n.22 del 2013 della rivista telematica ALTRO NOVECENTO). E lo stesso prof. Giorgio Nebbia, noto assertore della necessità di rispettare l’ambiente, in una analisi riportata sulla Gazzetta del Mezzogiorno del 21.02.2013, rimarca il divario fra i 200 miliardi di kilowattora potenziali annui relativi a tutti i bacini idrografici italiani e i 40 – 50 miliardi annui attualmente ricavati secondo una recente ricerca del CNR. Senza spingersi al di là delle piccole centrali, il Nebbia spezza una lancia sulle utilizzazioni sparse sul territorio che non solo non provocano alterazioni delle valli, ma anzi stimolano la sistemazione dei versanti, facendo diminuire le frane ed attenuando i danni delle alluvioni. Accanto all’energia ritraibile direttamente da fiumi e torrenti, va prendendo piede ultimamente anche quella che può essere fornita da condotte acquedottistiche che nel loro percorso da monte a valle possono consentire importanti recuperi energetici. Significativi sono due esempi dell’Acquedotto Pugliese. Il primo è costituito dalla centralina idroelettrica di Villa Castelli (Brindisi), abbandonata nel 1971 e recentemente restaurata, dalla quale si ricavano 500 000 kilowattore annui. Il secondo riguarda la nuova centrale di Gioia del Colle (Bari) che produce alcune migliaia di kilowattore annui. Si può concludere che siamo di fronte davvero a vecchie tecniche per ottenere energia rinnovabile e non inquinante per il futuro, con benefici per il territorio e l’ambiente e stimoli a innovazioni, nuove imprese e nuove occasioni di lavoro. * Professore Emerito della Università della Calabria
Cosenza 1905-1908
buone pratiche in materia edilizia Una storia che diviene attuale nella sua essenza di costruzione
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Cosenza il Novecento si apre con esigenze precise che rispecchiano le condizioni sociali ed economiche Chiara Miceli * Raffaele Zinno ** italiane e continuano, sulle orme dell’esempio napoletano costituito dalla legge n. 2892 per il risanamento cittadino, una querelle, peraltro sempre attuale, su cosa salvare e cosa buttare. Migliorare la viabilità, bonificare i fiumi Crati e Busento e riorganizzare i quartieri Rivocati e Carmine sono i punti fondamentali del Piano di Ampliamento redatto dall’Ufficio Tecnico del Comune di Cosenza, nella persona dell’ingegnere capo Francesco Camposano. Città popolosissima, Cosenza già nel precedente Piano redatto dall’ingegnere Costanzo sul finire degli anni Ottanta del XIX secolo aveva mostrato i suoi “naturali” punti deboli costituiti, innanzitutto, dalle continue alluvioni. A questo annoso problema si pose rimedio con l’attuazione del Testo Unico n. 195 del 22 marzo 1900, figlio della Legge Baccarini del 1882, che regolamentava le attività di bonifica. In particolare, le valli del Crati e del Busento furono oggetto del risanamento a partire dal 1904, con molte interruzioni causate dal terremoto del 1905 e dalla costruzione dei nuovi collegamenti ferroviari. Il Piano di Ampliamento dell’ingegnere Camposano, dopo modifiche e aggiornamenti, sfociò nella legge n. 746 del 30 giugno 1912 e poi nel Regolamento edilizio approvato con R.D. del 21 ottobre 1913. Purtroppo, o per fortuna, si sfruttarono tutte le zone bo-
nificate dando vita alle nuove urbanizzazioni lungo i due fiumi cittadini. Iniziava un periodo di forte espansione per Cosenza che nel tempo di un trentennio avrebbe avuto più della metà della popolazione attuale, ma, contemporaneamente, sarebbe stata, suo malgrado, spettatrice inerme di rovine e miseria. La notte tra il 7 e l’8 settembre del 1905 un fortissimo terremoto di magnitudo 7.1 svegliò la Calabria e le regioni confinanti. Più di cinquecento morti e tanti, troppi, paesi distrutti, soprattutto nell’area meridionale della regione. La scossa venne avvertita fino in Puglia e in Campania e a partire dal 9 settembre i quotidiani nazionali promossero raccolte di viveri e denaro che coinvolsero intellettuali e politici pure stranieri. La testata «La Stampa» riporta alcune considerazioni sulla natura del terremoto e sulla “predisposizione” della nostra regione all’evento, sottolineando con intensità gli effetti devastanti sul popolo: il Paese è in fermento per la redenzione del Sud, oggi che tutti credono al disquilibrio sociale ed umano delle due Italie, ma 20.000 lire del Governo per il terremoto, in generosità delle sottoscrizioni o la vampata di carità per le vittime del disastro, a nulla varranno per l’avvenire. Dagli effetti, per quanto rovinosi, del disastro odierno la Calabria potrà rilevarsi fino a tornare ciò che era ieri, ciò che è sempre stata per secoli e secoli l’Italia meridionale. Contro i disastri dei terremoti, dei maremoti, delle tempeste, nessuna difesa può contrapporre l’uomo, ma gli uomini possono o devono organizzare le forze sane e vive affinché, dopo i disastri naturali, le genti sopravvissute trovino nella giustizia sociale la cagione del rifiorire della vita, della giustizia e del benessere umano1. Amare osservazioni che, dopo pochi mesi dalla catastrofe, sarebbero divenuti fatti tangibili vissuti dalle popolazioni colpite. Ma ad ogni distruzione segue una (ri)costruzione. Sua Maestà il Re d’Italia Vittorio Emanuele III di Savoia, profondamente colpito dal viaggio nei luoghi del disastro, destinò subito centomila lire ai terremotati che lo accolsero, tra i cadaveri e i calcinacci, a suon di Maestà! Perdemmo tutto, non abbiamo case, non abbiamo roba, non parenti. Voi solo ci restate e Dio! Aiutateci Voi2! 1
«La Stampa», 9 settembre 1905, p. 4.
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Le “Norme” regolano tutti gli aspetti relativi alla riparazione e alle nuove costruzioni: scelta del luogo, larghezza delle strade, fondazioni, divieto assoluto dell’utilizzo di pietrame fluviale non adeguatamente dimensionato, di terra cruda e paglia. L’altezza massima degli edifici potrà essere di due piani per le costruzioni in mattoni e tre piani per quelli eseguiti con razionali metodi speciali, ossia baraccate, in cemento armato e simili. Sono vietate le costruzioni in aggetto o sbalzo, fatta eccezione per i balconi e i cornicioni, e i tetti dovranno essere sempre leggeri ad incavallature complete con la catena o corda prolungata fino alla facciata esterna dei muri, gli edifici gravemente danneggiati dovranno essere demoliti e i muri lesionati opportunamente risarciti. Ma un altro terremoto, nel 1908, rallenta e blocca la fase di ricostruzione, fino all’emanazione delle nuove “Norme tecniche ed igieniche obbligatorie per le riparazioni, ricostruzioni e nuove costruzioni degli edifici pubblici e privati nei luoghi colpiti dal terremoto del 28 dicembre1908” (Regio Decreto n. 193 del 18 aprile 1909), approvate nel 1912. Il secondo decennio del XIX secolo, come detto sopra, corrisponde all’attuazione del Piano Camposano e, quindi, alla moderna configurazione di Cosenza “nuova” che si completerà negli anni Quaranta. Il buon esempio non può che nascere dai tecnici del Comune, come si evince dalla relazione tecnica allegata al progetto per la costruzione dei nuovi edifici scolastici nel quartiere Rivocati: Locandina del Convegno internazionale del 4 e 5 novembre 2013, che si terrà a Cosenza a Villa Rendano ed a Rende presso l’Università della Calabria, in cui si discuterà fra l’altro dell’argomento di questo articolo
Un anno esatto dopo il terremoto il Re approverà le “Norme per le costruzioni, ricostruzioni e riparazioni degli edifici privati, pubblici e di uso pubblico nella regione Calabrese e nei Comuni della provincia di Messina danneggiati dal terremoto” (Decreto Reale n. 511 del 16 settembre 1906). La provincia di Cosenza è molto danneggiata dal sisma del 1905, necessita di particolari interventi tecnici che devono rispettare perfettamente le prescrizioni del decreto reale. In città i danni non sono gravissimi e, soprattutto, interessano solo alcune aree periferiche. Ancora una volta, lo spoglio dei quotidiani ci aiuta a comprendere il quadro generale: Si sono avuti danni rilevanti, in seguito al terremoto, nelle frazioni di Torzano e Campagnano di Cosenza. Le abitazioni pericolano. Alcune sono rimaste totalmente distrutte3. Torzano, oggi denominato Borgo Partenope, nel 1905 aveva alle spalle una storia sismica importante che più volte aveva messo a dura prova il suo territorio. Campagnano, oggi collegamento spontaneo tra i comuni di Cosenza e Rende, era una zona rurale mediamente abitata. Pochi danni, dunque, nel centro urbano che però si dota immediatamente dello strumento normativo, dando origine a una totale, quanto incredibile, aderenza allo stesso. «La Stampa», 12 settembre 1905, p. 1. vedi nota 1 4 Archivio di Stato di Cosenza, Genio Civile, Edifici scolastici, b. 24, 1924 2 3
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Ho adottato modalità costruttive rispondenti alle norme in vigore per le costruzioni in paesi terremotati. Ogni edificio, a due piani, alto metri 10 e col pavimento dei locali del pianterreno sopraelevato in media di metri 0,80 sul livello della strada, è costituito da un’ossatura a sé stante in cemento armato formata dal collegamento di telai verticali inquadranti i muri e di correnti orizzontali inquadranti i ripiani. I telai verticali verranno incastrati in una platea a telaio di cemento armato sottostante ai muri e che ne ripartirà la pressione sulla fondazione di calcestruzzo cementizio ordinario. In cemento armato saranno anche gli stipiti e gli architravi delle porte e finestre, incastrandosi i primi ai correnti orizzontali di collegamento dei pilastri. Con apposito studio dell’ossatura di cemento armato, ho determinato la sezione di calcestruzzo e del ferro delle varie membrature tenendo presente l’identica costruzione del palazzo postale in Cosenza, che si esegue a cura e spese dello Stato4. Certamente non è un caso che gli edifici costruiti almeno fino agli anni Cinquanta non abbiano subito gravi danni in seguito agli eventi sismici, tanto che ci vollero i bombardamenti del 1943 per fare di Cosenza un colabrodo. In sostanza, si stava meglio quando si stava peggio. O no? * dottoranda di ricerca SmartLab Unical * professore associato di Scienza delle Costruzioni Unical (Per la foto si ringrazia il gruppo Facebook “Il senso del tempo, il valore di un posto. Cosenza”)
teoria della memoria dell’acqua L’attività di ricerca è ancora all’inizio Luigi Maxmilian Caligiuri *
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ome noto, l’acqua costituisce il principale componente di ogni organismo vivente, la sua presenza (circa il 99 % di tutte le molecole presenti in un organismo vivente è costituito da acqua) rende possibile i processi biologici essenziali allo sviluppo ed al mantenimento dell’organismo stesso. Eppure fino a pochi anni fa il ruolo dell’acqua era stato relegato al mero ruolo di solvente, attribuendo invece le interazioni elettrostatiche e le reazioni chimiche proprie dei processi biologici della materia vivente all’1% delle molecole presenti nella soluzione. Inoltre, la maggior parte delle straordinarie proprietà dell’acqua (tra cui, in primis, il suo aumento di volume durante la solidificazione) non hanno trovato a tutt’oggi spiegazione adeguata all’interno del quadro teorico comunemente accettato. Come si spiega tutto ciò ? Qual’è il reale ruolo dell’acqua ? Qualche anno fa un gruppo di scienziati impegnati a lavorare sulla teoria della coerenza elettrodinamica quantistica si rese conto che questa, se applicata all’acqua, non solo era in grado di spiegare alcune delle sue proprietà più note, ma prevedeva nuove ed incredibili proprietà mai considerate prima, tra cui, in particolare, una specialissima caratteristica oggi nota come “memoria dell’acqua”, ossia la capacità di quest’ultima di interagire in maniera non locale, attraverso processi di natura quantistica, con l’ambiente circostante modificando la propria struttura interna coerente in funzione degli “stimoli” esterni, memorizzandone così, di fatto, gli effetti. Nel 1999 un ricercatore giapponese, Masaru Emoto, si chiese allora quale potesse essere l’effetto sull’acqua di particolari stati psichici positivi e negativi quali, in particolare, la preghiera. Egli mise a punto allora una metodologia per fotografare la struttura cristallina presente nell’acqua in seguito all’esposizione all’agente psichico
considerato. I risultati ottenuti furono stupefacenti e mostrarono che in presenza di tali stimoli l’acqua reagisce formando delle strutture cristalline di spettacolare bellezza ed armonia, cosa che non accade nella medesima acqua non esposta agli stessi stimoli. Da allora Emoto ha realizzato centinaia di foto di cristalli d’acqua in contesti particolarmente armonici e positivi. Nei mesi scorsi, per la prima volta in Italia, abbiamo riprodotto, nell’ambito di un’attività di ricerca in campo internazionale da me coordinata sullo sviluppo teorico e sulle applicazioni sperimentali dell’elettrodinamica quantistica coerente, l’esperimento di Emoto su campioni d’acqua prelevati presso il santuario di San Francesco di Paola, ottenendo risultati stupefacenti: l’acqua prelevata dalla fontana della Cucchiarella e dal torrente Isca all’interno del santuario, esposta agli stimoli positivi e di preghiera della moltitudine di fedeli che frequentano la struttura ma anche ad una ampia varietà di altri fattori ambientali di diversa natura, ha evidenziato una struttura cristallina particolarmente simmetrica e coerente, sovrapponibile ai risultati trovati dal ricercatore giapponese in luoghi e momenti diversi. L’attività di ricerca è soltanto all’inizio e numerose nuove indagini saranno eseguite nei prossimi mesi ma i risultati finora ottenuti possono essere considerati già estremamente positivi ed importanti. Questi costituiscono un passo fondamentale nella conferma della teoria della memoria dell’acqua e verso una concezione della realtà in cui mente e materia non rappresentano più concetti antitetici ma aspetti complementari ed interdipendenti dell’essere.
Acqua piovana
Cucchiarella
Isca
* Fisico Teorico - FoPRC Foundation of Physics Research Center e MIUR - Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca Scientifica
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turismo
Borsa del turismo religioso
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er il secondo anno consecutivo il Santuario di San Francesco di Paola è stato sede, dal 24 ottobre, dell’ottava edizione della Borsa del Turismo Religioso e delle aree protette “Aurea”, promossa dalla Regione Calabria in collaborazione con la Cei (Conferenza Episcopale Italiana) e con l’Enit (Agenzia Nazionale del Turismo), avendo come motivazione principale la promozione dell’offerta turistica calabrese mettendo in vetrina tutto il grande patrimonio religioso, storico, culturale e naturalistico della Calabria. Anche questa volta, come l’edizione dello scorso anno, gli ambienti religiosi e i grandi saloni del Santuario sono stati frequentati da tanti visitatori, ospiti e soprattutto da una cinquantina di buyer nazionali ed internazionali turistici, oltre che da giornalisti della stampa specializzata, appositamente invitati per scoprire i luoghi sacri della nostra regione portandoli a conoscere il meraviglioso ambiente naturale e luoghi sacri, ricchi di storia, quali: l’Abbazia Florense, collocata al centro del Parco Nazionale della Sila, candidato Unesco per il Progetto MaB; la Certosa di Serra San Bruno; la Cattolica di Stilo e la Cattedrale di Gerace, per finire a Reggio Calabria, sede dei Bronzi di Riace, ed altri ancora. Un evento che ha trovato, per quanto riguarda il Santuario di San Francesco di Paola, momenti di intensa emozione ricordando la coincidenza del quinto centenario della beatificazione del Santo della Carità, come il venticinquesimo anniversario del riconoscimento delle Virtù Eroiche, ad opera del beato Papa Giovanni Paolo II, di uno dei figli del santo paolano, componente dell’Ordine dei Minimi, Padre Bernardo Maria Clausi (1789-1849), avendo in prospettiva il sesto centenario della nascita di San Francesco che cade il 27 marzo 2016. Occorrerà prepararsi in tempo per celebrare al meglio tale ricorrenza, sia nell’accoglienza dei tanti fedeli sparsi nel mondo, pensando ai venti milioni di calabresi di cui si parla, e sia dei tanti turisti interessati a scoprire e vivere l’ esperienze degli itinerari turistici religiosi in fase di crescita nel nostro Paese. La Regione Calabria, nell’ottica di una specifica strategia promozionale dell’offerta turistica, nella circostanza, ha reso noto di aver posto in atto tutte le misure necessarie a fornire, a quanti impegnati in tale settore, gli strumenti per elevare l’offerta e la qualità dei servizi infrastrutturali e dell’ospitalità. Una buona organizzazione di accoglienza e di servizi di qualità, dovrà rappresentare il punto di forza del sistema turistico calabrese, sapendo di avere una natura incantevole, monumenti e luoghi religiosi storicamente importanti tra cui in primo piano il nostro Santo della Charitas, quale simbolo universale sul piano dei valori umani per il giusto equilibrio di una convivenza pacifica tra le persone e la società. C’è un gran lavoro da fare che deve investire anche le famiglie, la scuola, le università, i media e la stessa società nelle forme che gli competono.
Franco Bartucci *
* Giornalista
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storia
Vincenzo Padula e “Il Bruzio” Inchieste giornalistiche nei tempi dell’800
Franco Michele Greco *
Acri (CS) - Palazzo Padula
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incenzo Padula, calabrese dai forti interessi letterari e giornalistici, l’Ariosto delle Calabrie, come la critica dell’epoca amò definirlo, aveva “osato” con le sue idee liberali mettere in discussione il potere dei grandi proprietari terrieri, subendo una serie di processi
politici e inquisitori. Venne picchiato, ricercato dalla polizia e incarcerato: costretto a spostarsi continuamente da un luogo all’altro, senza poter svolgere la sua professione di insegnante. Svolgere con dedizione l’attività giornalistica in Calabria al tempo di Padula, era un’impresa ardua. Anche quando il Regno d’Italia estese a tutto il Paese la legge sulla stampa che Carlo Alberto aveva concesso al Piemonte nel marzo del 1848, gli abusi esercitati dalla polizia continuarono a inasprire la vita a giornalisti e periodici, i quali erano sottoposti a soppressioni e sequestri. Inoltre, il tasso di analfabetismo continuava a rimanere alto e nel Mezzogiorno toccava punte altissime (oltre l’80% della popolazione firmava con il segno di croce). Ma il Padula non si scoraggiò. Nel 1864, a Cosenza, fondò “Il Bruzio”, un bisettimanale politico letterario, i cui articoli giudicati da Benedetto Croce “stupendi di pensiero e di forma”, affrontavano i problemi, vivamente sentiti del sottosviluppo meridionale. L’abate di Acri ne individuava le motivazioni profonde nella permanenza di una struttura sociale ancora legata al latifondo e in una classe priva di spirito democratico qual era la borghesia agraria del tempo. Nei due anni di vita del giornale (dal marzo 1864 al luglio 1865), Padula denunciò la drammatica situazione dei braccianti calabresi e lottò energicamente contro le usurpazioni demaniali. Il vasto ciclo dello “Stato delle persone in Calabria” (18 articoli in 25 puntate) delineò le condizioni di vita degli strati più bassi della popolazione calabrese, attraverso un appassionato e
Il Bruzio (1864)
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Scena di brigantaggio, argomento discusso nelle pagine de Il Bruzio
coinvolgente discorso folcloristico sulle espressioni culturali del mondo popolare, con descrizioni di attività lavorative, modi di dire, canzoni tradizionali. Da dove scaturiscono questi articoli, se non dal viaggio dentro il “ventre ammalato” della terra di Calabria? Un percorso che era iniziato, nel 1850, con Antonello capobrigante calabrese, un dramma che rappresentava una forma di indiretta polemica socio-politica e che venne pubblicato in appendice al “Bruzio”, nel 1864, ossia in un periodo in cui erano accese in Calabria le problematiche relative al latifondo, alle terre demaniali e al brigantaggio. Sorretto da una particolare carica censoria, “Il Bruzio” fu soprattutto il “megafono” delle numerose voci inascoltate, delle miserie, delle angherie che il popolo era costretto a subire ogni giorno. Dalla politica all’antropologia, dalla religione al folclore, dalla storia all’economia, non c’è aspetto della vita della Calabria e del Mezzogiorno che il Padula non sia riuscito ad approfondire in un’opera in cui seppe dare il meglio di se stesso. Le pagine del giornale costituirono la prima inchiesta sociale dell’Italia postunitaria; un’ inchiesta condotta da un solo uomo e con mezzi propri, ma per certi aspetti migliore di quelle pubbliche che vennero effettuate in seguito. Trovo interessante riportare un esempio della scrupolosa e accorata prosa giornalistica di Vincenzo Padula: “La classe più numerosa e più miserabile è quella dei braccianti. Fino a otto anni il fanciullo calabrese va dietro all’asino, alla pecora, alla troia, a nove anni il padre gli pone in mano la zappa e la pala, in spalla la corba, lo conduce seco al lavo-
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ro…Lasciate di contemplare le piaghe di un Cristo di legno: io vi predico la vera religione, e vi mostro un Cristo di carne, il bracciante”. Il giudizio della critica più attenta e autorevole, considera le prose del “Bruzio” come il momento più alto della vena creativa di Vincenzo Padula. L’acutezza dell’analisi storica ed economico-sociale; i molteplici e puntuali riferimenti alla realtà della Calabria, frutto di esperienze vissute e di lucide intuizioni degne delle migliori ricerche antropologiche ed etnologiche; l’amore per la sua terra e la sua gente, che lo annoverano tra i primi e più convinti meridionalisti, fanno delle pagine del “Bruzio” l’espressione più significativa e geniale della letteratura calabrese dell’Ottocento. Per quale motivo “Il Bruzio”, autentica opera d’arte, che sta a sé nella produzione letteraria paduliana, s’impose, su tutti i giornali calabresi del tempo, allo sguardo attento e alla simpatia dei lettori, tornando a rivivere oggi? A questa domanda ha dato una risposta Giuseppe Julia, in un saggio di grande interesse sull’aspetto giornalistico del Padula, vero antesignano del rinnovamento letterario calabrese. Scrive Julia: “Secondo me, tutto il merito di ciò va dato a quella forma linguistica, che egli seppe mediare, sapientemente e misuratamente, dal nostro popolo, o per meglio dire a quel suo vocabolario personale, che si era fatto a poco a poco”. In definitiva, Padula fece suo il concetto manzoniano tanto caro agli scrittori romantici meridionali:“la storia non è solo quella dei grandi, ma anche e più quella dei poveri”.
* Studioso di storia e antropologia
Cavità artificiali in Località San Demetrio - Colle della Chiesa, Petilia Policastro (KR)
Grotte e cavità artificiali della calabria Catasto della Società Speleologica Italiana
Luigi Manna *
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a Calabria possiede un importante e cospicuo patrimonio di grotte e cavità artificiali diffuso in tutto il territorio regionale e che ancora è poco conosciuto. Le due tipologie sono entrambe situate nel sottosuolo ma hanno origini diverse; le grotte si formano attraverso un processo naturale, mentre le cavità artificiali sono realizzate dall’uomo per scopi diversi e rivestono un grande interesse da un punto di vista storico, artistico sociale e antropologico, nonché speleologico.
Grotta S. Paolo, Morano Calabro (CS)
Una commissione nazionale di studi della Società Speleologica Italiana, che è la maggiore nel settore, ha classificato questi manufatti in base alla loro tipologia d’uso, quali luogo di culto,opera di captazione delle acque,opera militare o altro, ed ai fini della raccolta e conservazione dei dati ha promosso la nascita di organismi regionali denominati “catasti delle cavità artificiali”. In Calabria tale organismo è stato istituito nel 2006 e riconosciuto con legge regionale del 2 maggio 2013 nell’ambito della “Tutela e valorizzazione del patrimonio geologico e speleologico”. Sinora sono stati censiti e catalogati quaranta siti costituiti da una o più cavità contigue, di diverse tipologie. Tra i più noti e importanti figurano la Chiesa di Sotterra a Paola (CS), gli insediamenti rupestri del crotonese, la Chiesa di Piedigrotta a Pizzo (VV), la cripta della Consolazione a Cosenza e l’insediamento rupestre e l’ipogeo romano di Zungri (VV). L’esplorazione e la documentazione delle cavità artificiali sono attività compiute dagli speleologi che collaborano con il catasto e condividono con esso i dati e le informazioni emerse durante le loro attività.
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Gli speleologi che collaborano vogliono attribuire al nostro patrimonio ipogeo artificiale un ruolo che vada oltre l’interesse speleologico e che consenta a tutti i calabresi di riappropriarsi di una parte del territorio e della sua antica storia, e in tal senso cercano di promuovere il più possibile le loro attività e insieme la conoscenza del sottosuolo attraverso manifestazioni culturali, corsi, pubblicazioni e collaborazioni con enti e istituzioni. Essi sono convinti che la memoria storica sia fondamentale per il rafforzamento dell’identità culturale e che le attività di esplorazione, documentazione e di studio siano un prezioso servizio offerto alle comunità locali, poiché la conoscenza del territorio è indispensabile per la sua valorizzazione. In tale ambito la collaborazione di persone interessate al settore diviene utile a fornire agli speleologi informazioni in loro possesso. * Curatore Catasto Cav. Art. Cal. Soc. Speleologica Italiana
Il catasto a sua volta mette a disposizione i propri archivi, quale strumento di conoscenza del territorio rivolto alle amministrazioni locali, agli enti pubblici e privati, al mondo accademico ed a tutti i cittadini che hanno interesse verso il patrimonio storico custodito dal territorio della regione.
Chiesetta ipogea di Piedigrotta, Pizzo (VV)
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Email :
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Entrambe le foto si riferiscono ad una cavità artificiale denominata “Cunicolo delle Canossiane”, nel sottosuolo del centro storico di Cosenza.
MAB
Man and the Biosfere
Il Parco Nazionale della Sila candidato a diventare
Riserva della Biosfera
con il riconoscimento dell’Unesco
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on la presentazione di un ricco dossier presso il Ministero dell’Ambiente, il Parco Nazionale della Sila ha completato l’iter necessario a diventare “Riserva della Biosfera” per come prevede il Programma MAB, sotto l’egida prestigiosa dell’Unesco. E’ il primo passo strategico per l’inserimento del Parco Nazionale della Sila nell’elenco dell’Unesco quale patrimonio dell’umanità. Il MAB – Man and the Biosfere - è un programma intergovernativo multilaterale le cui finalità rientrano tra la promozione della cooperazione scientifica sui temi di tutela delle risorse naturali, di gestione degli ecosistemi naturali e urbani, l’istituzione di parchi, riserve e aree naturali protette, nel quadro di un rapporto equilibrato tra gli uomini e l’ambiente circostante. La rete mondiale è stata disegnata per favorire l’integrazione tra comunità locali e della natura per raggiungere obiettivi di sviluppo sostenibile attraverso lo scambio di conoscenze, il miglioramento delle condizioni di vita, il rispetto di valori culturali e della capacità di adattamento delle società. La rete rappresenta uno dei principali strumenti internazionali per sviluppare e attuare strategie di sostenibilità nel novero dei numerosi fini perseguiti nell’agenda ambientale globale attraverso collaborazioni tra siti di diversi Paesi e la creazione di partnership tematiche e di reti subregionali. Con l’adesione al programma il Parco Nazionale della Sila allarga i suoi confini fino a raggiungere una estensione di circa 355 mila ettari di terreno. Ai diciotto comuni storici e tradiziona-
li del Parco, si sono aggiunti ben 48 comuni esterni confinanti; essi fanno parte di questo programma come soggetti di partneriato, oltre ai soggetti istituzionali, associazioni ed Enti. Il riconoscimento da parte dell’Unesco costituirebbe per il territorio del Parco Nazionale della Sila un evento storico di straordinaria importanza, collegato alle opportunità di attrarre finanziamenti attraverso la programmazione dei Por 2013-2020. E’ opportuno, quindi, entrare nella logica di fare rete tra i vari soggetti coinvolti ed interessati a tale progetto anche perché per essere mantenuto nel tempo ci sarà da parte dell’Unesco una valutazione periodica sullo stato di sviluppo e crescita. Il riconoscimento del Parco da parte dell’Unesco quale patrimonio dell’umanità, verrebbe a costituire un decisivo vantaggio per le comunità residenti nei comuni della nuova vasta area del Parco per valorizzare i loro patrimoni culturali ed enogastronomici, nonché le tradizioni storiche e religiose. Si tratterà di dare un senso di partecipazione attiva all’intera comunità gravitante nell’area per preparare un futuro di reale crescita e sviluppo vissuto nel modo più responsabile secondo criteri previsti dall’Unesco. F.B.
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libri
IL BACIO DEL PANE
Recensione
di Giovanna Baglione
Carmine Abate Arnoldo Mondadori Editore, Milano, agosto 2013
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l bacio del pane, un gesto semplice, quotidiano, eppur pregno di significato e di valori antichi. Così come questo ultimo romanzo di Carmine Abate, che, sin dalla copertina, con quel papavero solitario svettante su un campo di grano, sembra anticipare l’essenza profonda della vicenda. Storia semplice, che si dipana in luoghi familiari, un piccolo paese, il mare, il fiume ed il bosco. Paesaggi solari, che diventano protagonisti, assieme ai due giovani e all’estate, che li accoglie e li accompagna, nel dipanarsi della loro storia d’amore. Francesco e Marta, una comitiva di amici in vacanza, liberi in continuo contatto con l’ambiente circostante; lunghe passeggiate, una natura rigogliosa che li accoglie in un intimo abbraccio, sfiancandoli in estenuanti passeggiate lungo la fiumara e rifocillandoli con l’ombra dei lecci e l’acqua gelida della cascata del Giglietto. Giornate intense, giornate di svago, giornate di rivelazioni. Incontrarsi, riconoscersi, amarsi. Condividere emozioni e segreti. Ed è proprio questa condivisione, oltre alla naturale attrazione fisica, che unirà le vite dei protagonisti.
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Durante una delle sue passeggiate solitarie, alla ricerca di nuove sensazioni visive e uditive, immerso nei profumi e nei colori della vegetazione, Francesco è attratto da un rumore insolito; la curiosità è più forte del timore, e lui non si ferma, si fa largo fra i rami e davanti le macerie di un vecchio mulino abbandonato vede un uomo, lacero ed emaciato, con lo sguardo perso nel tempo. Dopo questo incontro la sua vita non sarà più la stessa, la vacanza spensierata si trasformerà in una nuova ricerca, fuori e dentro di sé, per scoprire verità nascoste e capire il vero senso della vita e dell’amore. Marta gli sarà accanto, curiosa ed audace, accompagnandolo nel suo percorso, alla ricerca dei valori, nella vita e nell’amore. Da autentico uomo della sua Terra, Abate conosce e riconosce il positivo ed il negativo della Calabria; è innamorato della sua bellezza e incantato dai suoi scenari, così vari e sublimi, che con parole semplici e sapienti riesce a ricreare, persino nelle sfumature dei colori; percepisce, intensa, la forza delle radici che sanno trasmettergli valori e identità; ma al contempo avverte la malinconia dell’abbandono che l’emigrante è costretto a subire; ed è consapevole dell’atavica piovra che, con i suoi viscidi e tenaci tentacoli, si è adagiata su questa regione rischiando di soffocarla.
arte
“OTTONOVECENTO”
AL MAON DI RENDE
Roberto Sottile *
Prima mostra sull’arte in Calabria (1850 - 1950), dopo cento anni dalla storica mostra di Alfonso Frangipane del 1912
A
cura di Tonino Sicoli, sabato 26 ottobre 2013 presso il MAON, Museo d’Arte dell’Otto e Novecento è stata inaugurata la mostra “OTTONOVECENTO Arte in Calabria nelle collezioni private”. Aperta al pubblico fino al 31 dicembre 2013, la mostra, il cui allestimento è stato curato dal Prof. Luigi Magli, docente presso l’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, propone, at-
traverso dipinti e sculture provenienti da collezioni private italiane, alcune delle quali inedite al grande pubblico, una carrellata dei nomi più significativi dell’arte calabrese a cavallo tra il 1850 e il 1950. Il progetto cofinanziato con fondi POR CALABRIA FESR 2007/2013, si inserisce nella scia delle Mostre annuali del Centro per l’arte e la cultura Achille Capizzano. La rassegna, che gode del partenariato del Comune di Rende, del Corso di Laurea Magistrale in Storia dell’arte dell’Università della Calabria nello specifico con la collaborazione dei docenti Giovanna Capitelli e Leonardo Passarelli, della Direzione Regione per i Beni Culturali e Paesaggistici della Calabria diretta dal Dott. Francesco Prosperetti, della Soprintendenza BSAE della Calabria diretta dal Dott. Fabio De Chirico, del Conservatorio Musicale “S. Giacomantonio” di Cosenza, della Società Dante Alighieri, del Club Unesco “B. Telesio è la prima
Momenti della serata inaugurale, Roberto Sottile, Marcello Lattari, Sandro Principe
Giuseppe Renda, Estasi, bronzo h 24,5 cm collezione privata
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mostra sull’arte in Calabria (1850 1950), dopo cento anni dalla storica mostra di Alfonso Frangipane del 1912. Volutamente escluse le Avanguardie storiche, la mostra presenta le opere di Antonio Cannata, Andrea Alfano, Luigi Amato, Giuseppe Benassai, Achille Capizzano, Andrea Cefaly, Andrea Cefaly (junior), Domenico Colao, Giuseppe Cosenza, Gaele Covelli, Guglielmo de Martino, Salvatore Falbo, Rocco Ferrari, Edoardo Fiore, Garibaldi Gariani, Maria Grandinetti Mancuso, Michele Guerrisi, Francesco Jerace, Gaetano Jerace, Vincenzo Jerace, Francis La Monaca, Achille Martelli, Angelo Mazzia, Antonio Migliaccio, Rocco Milanesi, Vincenzo Morani, Giuseppe Pesa, Salvatore Petruolo, Giuseppe Renda, Mario Ridola, Giuseppe Rito, Domenico Russo, Enrico Salfi, Rosalbino Santoro, Rubens Santoro, Carlo Lindo-
Eduardo Fiore, Gruppo di Famiglia, olio su tela cm 50x60, collezione privata
ro Santoro, Francesco R. Santoro, GiovanBattista Santoro, Achille Talarico, Eugenio Tano, Federico Tarallo. La Calabria artistica a cavallo di quello che potremmo definire il
“secolo di mezzo” 1850-1950 è rappresentata attraverso i suoi principali protagonisti, tramite una carrellata di opere pittoriche e scultoree che mantengono integra la poetica del sentimento della natura, per il gusto del paesaggio e la quotidianità delle vicende umane tipiche del meridione d’Italia. La complessità artistica di fine Ottocento, l’intreccio di poetiche così variegate, il rapporto con la propria terra, il senso di appartenenza ad una identità regionale si riversano nel Novecento segnando una stagione artistica vivace, anche in una regione come la Calabria distante dai centri nevralgici dell’arte come Roma, Firenze, Milano, Venezia, Napoli, ma attraverso i suoi artisti migliori traccia un percorso importante, che nella mostra viene presentato con chiarezza per una ricostruzione della storia dell’arte nella Calabria tra fine Otto e inizio Novecento. Orario apertura al pubblico: dal Martedì al Sabato dalle ore 10.00/13.30 e 15.30/19.00
Andrea Cefaly, Insegna della Scuola di Cortale, 1862, olio su tavola cm. 87x90
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* Critico d’Arte
Iniziativa di un’associazione onlus che investe amore nell’aiutare i bambini cardiopatici
CUORE DI NEVE
Uno spettacolo che racconta frammenti di vita di un bambino
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na donna dal cuore d’oro, Madre Teresa di Calcutta, diceva: “Non importa quanto doniamo, ma quanto amore mettiamo in quello che doniamo”. Voglio presentare l’Associazione Onlus Mattia Facciolla Bambini Cardiopatici. Un’associazione che investe amore e costanza nell’aiutare il prossimo. L’obiettivo? Un impegno di vita per una vita migliore. L’Associazione nasce tre anni fà grazie ad una meravigliosa iniziativa dei genitori di Mattia, nato con una cardiopatia congenita e prematuramente scomparso a soli tredici anni d’età. Avendo vissuto in prima persona l’esperienza di avere un figlio portatore di cardiopatia congenita, si propongono, attraverso la neonata Associazione, l’obiettivo di costituire un significativo riferimento per tutti quei bambini e quelle famiglie che già vivono, o si accingono ad affrontare, questa dolorosa esperienza. Se per i genitori di Mattia veder crescere il proprio figlio è stato un sogno, mediante il supporto socio-medico, vorrebbero che per altri questo rappresentasse realtà. Da qui, il motivo della nascita dell’Associazione, dei consigli utili ed indispensabili, di un appoggio spontaneo per affrontare questa situazione, con l’auspicio di vincerla. L’associazione ha molteplici obiettivi degni di attenzione. Si propone principalmente di prestare assistenza sociale e sanitaria ai bambini e ragazzi affetti da malattie cardiache, favorire e promuovere la ricerca oltre che iniziative e attività connesse agli obiettivi di assistenza e riabilitazione. Tra le manifestazioni e le iniziative dell’associazione, mi piace ricordare lo spettacolo “Cuore di neve”, scritto e diretto da Veruska Rossi e Guido Governale, fondatori della compagnia “Piccoli per caso”. La Presidente dell’associazione, Teresa Intrieri, guardando su RAI2 il promo dello spettacolo, che si teneva a Roma, ha pensato alla straordinaria coincidenza con la storia del suo bambino ed ha contattato l’autore. C’era una vera e propria analogia tra suo figlio e il protagonista di “Cuore di neve”. Entrambi avevano 12 anni, avevano la
Denise Ubbriaco *
stessa malattia, ad entrambi piacevano la neve e la cioccolata e portavano il nome Mattia. Da qui la decisione di portare al Teatro Rendano lo spettacolo, che racconta: E’ il giorno di Natale e Mattia riceve in dono dai suoi genitori una slitta da neve. Soddisfatto del suo regalo, chiede al padre di accompagnarlo fuori, anche solo per poco tempo, ma la risposta non tarda ad arrivare ed è sempre la stessa: “non si può”. Il padre, la madre, il fratello più piccolo Giacomino e la sorella Lavinia sono la sua famiglia a cui si aggiungono l’amico del cuore, Filippo, e la bambina di cui è perdutamente innamorato, Camilla. Loro sono i punti di “forza” nella vita del piccolo Mattia. Le giornate trascorrono nell’apparente normalità tra: giochi, coccole, risate e compiti da fare. La malattia e, soprattutto, la paura della sofferenza aumentano di giorno in giorno. Una notte, appare nei sogni di Mattia una creatura misteriosa, che dice di chiamarsi Zenorol, un angelo bambino “in missione” che gli pone delle domande sulla vita terrestre. Tra Mattia e Zenorol nasce un rapporto speciale, di parole sentite e silenzi compresi, di intensi dialoghi a “cuore aperto”. Due realtà che si incontrano, il cielo e la terra, si osservano e poi si raccontano. “Cuore di neve” vanta un cast eccezionale di quindici giovanissimi attori tra gli 8 e i 14 anni ed è dedicato al mondo dei bambini, al loro linguaggio, ai loro silenzi, a quella semplicità di sguardi ed emozioni senza filtri. I testimonial dell’evento sono stati Paolo Bonolis e Bianca Guaccero. Lo spettacolo ha riscontrato un successo eccezionale, suscitando la commozione e l’ammirazione nei confronti di chi, sebbene con molta fatica, riesce ad affrontare questo percorso difficoltoso e cercare conforto nell’aiutare il prossimo. Un aiuto che viene dal cuore. http://www.onlusmattiafacciolla.it/ * Iscritta al corso di laurea magistrale di Giurisprudenza
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La ‘Nduja è uno dei più famosi prodotti alimentari tipici calabresi
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un salame tipico di consistenza morbida dell’altipiano del Monte Poro in provincia di Vibo Valentia, ed in particolare del piccolo comune di Spilinga, a pochi chilometri da Tropea e Capo Vaticano. La sua notorietà ha superato da tempo i confini regionali ed ha incontrato il gusto di una sempre crescente vastità di estimatori, tanto da diventare un simbolo della gastronomia calabrese che comunque offre sapori forti e intensi. La ‘Nduja viene prodotta da sempre seguendo precise regole,legate al potere di conservazione del peperoncino ed alla altitudine collinare dei luoghi che si affacciano sulla costa. Viene preparata utilizzando piccoli pezzi di grasso e di carne di maiale, tritati unitamente ad abbondante peperoncino rosso calabrese e alcuni aromi, sì da ottenere un impasto che viene curato in una fase di stagionatura e poi insaccato in un particolare budello naturale di maiale detto orba, di varie dimensioni; successivamente il salame, stretto con lo spago, viene sottoposto ad una fase di affumicatura in am-
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biente con la combustione di legni indicati dalla tradizione. La qualità del peperoncino influenza la caratteristica del prodotto finito; nella zona vi sono vaste coltivazioni di peperoncino dolce dalla forma tondeggiante e di quello molto piccante di colore rosso vivo e di forma allungata, dalla cui sapiente e tradizionale combinazione dipende il sapore. La ‘Nduja di Spilinga ha un profumo tipico, è piccantissima, spalmabile sul pane e si presta quale gustoso condimento per la pasta, in particolare “i fileja” tipici della zona. Nella produzione si uniscono altri centri rurali limitrofi quali Ricadi, Zungri, Rombiolo, Joppolo, Zaccanapoli, Brattirò e altri. Il nome ‘Nduja è quello più usato ma in alcune zone del territorio diviene Anduja o anche Anduglia. Si vuole che il nome derivi dal francese Andouille, salsiccia, durante la dominazione napoleonica dei primi del 1800, con Gioacchino Murat Vicerè di Napoli e cognato di Napoleone, il quale dispose la distribuzione gratuita del salame per ingraziarsi la popolazione.
CALABRIA DAY Una grande kermesse dedicata alla Calabria in positivo
È
stata un’edizione del Calabria Day improntata alle parole d’ordine “cambiamento”, “partecipazione”, “positività”, quella che si è svolta sabato scorso a Castrovillari. Una edizione, la terza della kermesse,che riunisce sotto la comune bandiera della “Calabria in positivo” più di 100 partner, che ha messo in luce i tanti esempi di buone pratiche e di attitudine all’innovazione presenti in Calabria. Esempi che, attraverso questo progetto, si pongono l’obiettivo di essere pionieri di un radicale sovvertimento del modello di sviluppo della regione. E in una giornata ricca di contenuti, salutata con favore anche dalla cospicua partecipazione di studenti e cittadini, si sono susseguiti dal mattino fino a tarda sera, senza soluzione di continuità, momenti di riflessione e passaggi dedicati all’arte e allo spettacolo mentre, nei suggestivi chiostri del Protoconvento francescano, l’artigiano e le produzioni tipiche l’hanno fatta da padrone. “Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo”: la celebre citazione gandhiana che ha dato il titolo alla Prima estemporanea di pittura del Calabria Day, ulteriore evento nel’evento, si presta ad essere la migliore sintesi del significato e degli stimoli offerti dall’intera giornata, caratterizzata, su tutto, dalle testimonianze di chi in Calabria ha scelto di non arrendersi e di credere nel cambiamento. Come ha detto Anna Laura Orrico, presidente dell’Associazione “Io resto in Calabria”, in apertura della giornata: “La Calabria cambia se noi la cambiamo, perché ciascun cittadino calabrese può essere il protagonista del cambiamento. Solo così può nascere una nuova classe dirigente che prenda in mano il futuro della regione per agganciarla al resto dell’Italia e dell’Europa. È arrivato il momento di ribaltare la situazione e cambiare punto di vista”. Al suo fianco sul palco del teatro Sybaris un folto pantheon di aziende, cooperative, associazioni ed enti pubblici aderenti al Calabria Day. Anche gli altri partner presenti hanno potuto giocare un ruolo attivo grazie alle sessioni di discussione che si sono svolte nell’arco della mattinata in tre diverse sale e incentrate su tre diverse tematiche: “Cooperare e partecipare”; “Condividere e progettare”; “Osservare e agire”. Associazione Io resto in Calabria
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