Lavorare per progetti e gestione del progetto Roberto Lionetti, 2009
Cos’è un progetto (1) • Un progetto è un impegno a termine assunto per realizzare un prodotto o servizio irripetibile. • Si è soliti distinguere fra due tipi di lavoro: – operatività (basata sui processi e sull’organizzazione gerarchico-funzionale) – progetti
• Operatività e progetti differiscono soprattutto per il fatto che l’operatività è continua e ripetitiva, mentre i progetti sono – come si diceva – temporanei e unici.
Cos’è un progetto (2) • Oltre al carattere temporaneo e alla presenza di un obiettivo unico e specifico, possiamo ricordare come caratteristiche del progetto: – Complessità – Finalità di modifica, cambiamento di una situazione esistente – Costituzione attraverso più attività lavorative correlate – Incertezza – Risorse limitate – Organizzazione specifica
LAVORARE PER PROGETTI: dal project management al management by projects • Al concetto di progetto si legano due concetti divenuti di uso corrente nel linguaggio della progettazione: – Ciclo del progetto – Gestione del progetto (project management) • E’ a partire dalla disciplina del project management che si è sviluppata una dimensione del comportamento organizzativo che si è ormai soliti definire come lavorare per progetti. • In molti contesti, la gestione del progetto è diventata un approccio organizzativo alla gestione dell’operatività corrente, che tratta molti aspetti dell’operatività come progetti, per poter applicare ad essi i metodi del project management
LAVORARE PER PROGETTI: dal project management al management by projects • Questo passaggio dalla gestione del progetto al lavorare e gestire per progetti, trova la sua ragione profonda nei limiti stessi dell’organizzazione gerarchico-funzionale tradizionale, basata sui valori della specializzazione, differenziazione, funzione, efficienza, ecc. • Questi limiti, operativi e concettuali al tempo stesso, consistono in – – – – – – –
Chiusura organizzativa Autoreferenzialità Divaricazione degli obiettivi Conflitti interfunzionali Ricorso sistematico alla gerarchia per dirimere controversie Allungamento dei tempi Mancanza di reale controllo sui fluire dei processi operativi
Processo vs Progesso L’organizzazione per progetti si oppone per molti versi a quella fondata sui processi. Eccone i principali:
ORGANIZZAZIONE PER FUNZIONI
ORGANIZZAZIONE PER PROGETTI
Obiettivi e vincoli espliciti
Obiettivi e vincoli impliciti
Stabilità e permanenza
Temporaneità
Ripetitività e standardizzazione
Unicità
Prevedibilità
Indeterminatezza e incertezza
Sequenzialità
Iteratività
Attribuzione stabile di funzioni e compiti
Attribuzione temporanea di funzioni e compiti
Gerarchia
Ruoli-obiettivo
Specializzazione e disciplinarità
Multidisciplinarità e interdisciplinarità
Differenziazione
Integrazione
Efficienza per massimizzazione funzionale
Efficacia per ottimizzazione interfunzionale
Chiusura funzionale
Comunicazione ed interattività interfunzionale
Conflitto interfunzionale
Collaborazione interfunzionale
L’organizzazione a matrice L’organizzazione a matrice nasce come tentativo di far coesistere, nell’ambito dell’organizzazione gerarchico-funzionale, la dimensione verticale dell’organizzazione per funzioni con la dimensione orizzontale dell’organizzazione per progetti Nell’organizzazione a matrice, le persone che operano nell’ambito del project team vengono così ad avere due capi: il manager funzionale, ed il project manager, entrambi con funzioni di controllo e monitoraggio delle attività individuali.
LAVORARE PER PROGETTI: dal management tradizionale alla gestione partecipativa • Se nell’organizzazione per funzioni così come nella gestione del progetto più tradizionale i manager svolgono precise funzioni direttive e sono i soli responsabili del processo, l’affermarsi di un nuovo stile di lavoro, che oggi indichiamo come lavorare per progetti, ha posto al centro dell’attenzione l’importanza del team, la gestione partecipativa e condivisa del progetto, l’empowerment, la leadership. • Il lavorare per progetti nasce dall’interazione e dal coevolvere del project management con la nuova cultura aziendale dei processi.
I principi del lavorare per progetti • Fra i principali temi/principi del lavoro per progetti ricordiamo – L’integrazione (come fattore comune alle diverse fasi del progetto, di un gruppo di lavoro multidisciplinare)
– La responsabilità (è proprio in un’organizzazione complessa ed incerta come quella dei progetti che il tema della r. assume un valore di assoluto rilievo)
– La leadership (al termine project manager oggi si preferisce anzi pr. leader) – La consapevolezza (caratterizza in primo luogo la figura del leader, e si riferisce alle numerose aree di attenzione richieste dalla gestione del progetto, alla “sensibilità politica” necessaria per gestire i diversi aspetti relazionali e conflittuali, e al tema della riflessività, intesa come capacità di riflessione nel corso dell’azione)
– La visibilità (un progetto necessita in ogni istante di visibilità del percorso
compiuto e da compiere, delle scadenze, delle reti organizzative del progetto – persone che a vario titolo vi lavorano e stakeholders - e dei risultati attesi di ciascuna fase del progetto)
– La ridondanza (duplicazione di ruoli, servizi, competenze, principio opposto a
quello della massimizzazione delle signole efficienze nell’organizzazione tradizionale: minore efficienza, ma grado maggiore di flessibilità del gruppo e disponibilità di risorse. Questa scorta di risorse è giudicata necessaria per introdurre innovazione)
– L’empowerment (valorizzazione delle persone più o meno direttamente coinvolte nella realizzazione del progetto)
La gestione del progetto
• Definire le FINALITA’ (obiettivo generale), cioè lo scopo per cui si fa il progetto. Si tratta di un obiettivo di alto livello, alla cui realizzazione il progetto contribuisce (ad es.: supportare il processo di pace, limitare la diffusione dell’AIDS in un paese) • Definire gli OBIETTIVI SPECIFICI. Tali obiettivi sono espressione di uno o più ambiti di intervento (geografico, professionale, ecc.) • Definire i RISULTATI (cioè gli obiettivi concreti da conseguire) A livello di risultati si collocano gli indicatori numerici e precisi riferimenti temporali. • Definire infine le ATTIVITA’ che permetteranno il raggiungimento dei risultati attesi
La valutazione • La valutazione è un confronto fra un oggetto di interesse e uno standard di accettabilità. • Possiamo utilizzare differenti tipi di standard: – – – – –
ARBITRARIO SCIENTIFICO STORICO NORMATIVO Oppure uno standard basato su un compromesso
• Nella valutazione di un progetto, lo STANDARD DI ACCETTABILITA’ definisce quando e in quale misura un cambiamento auspicato si sia realizzato
Cosa valutare Una valutazione può riguardare differenti aspetti: • VALUZIONE DI PROCESSO - Mira all’identificazione precoce dei problemi • VALUZIONE DI IMPATTO - Concerne gli effetti diretti, immediati di un’azione • VALUZIONE DI RISULTATO – Riguarda i rapporti causali fra uno specifico intervento e un problema generale
Il ciclo di vita del progetto • Tutti i progetti si sviluppano per fasi • In ogni progetto è sempre identificabile una sequenza di eventi attraverso cui il progetto di muove ed evolve: – Qualificazione: identificazione di obiettivi, ambito e risultati attesi, e analisi della fattibilità – Definizione: definizione e programmazione dettagliata di tutte le attività, con indicazione di durata, sequenza, responsabili, risultati ecc. – Realizzazione: attuazione di quanto previsto, operando se necessario opportune modifiche – Chiusura: fase conclusiva del progetto
Ciclo di vita del progetto e dispersione temporale • Per quanto concerne la dispersione temporale delle quattro fasi del ciclo di vita del progetto, la distribuzione più ricorrente prevede una ripartizione dello sforzo complessivo di progetto (espresso in giorni-uomo) secondo il seguente schema: – – – –
5% qualificazione 15% definizione 75% realizzazione 5% chiusura
1. La fase di qualificazione • Definizione, in forma scritta, di ambito • Verifica della fattibilità del progetto: consiste nella raccolta di un insieme di informazioni giudicato sufficiente per arrivare a una decisione sulla realizzazione o meno del progetto, con stima dell’impegno, dei costi, dei tempi e delle modalità operative. E ciò al fine di evitare che il progetto sia ad alto rischio di insuccesso. • Suddivisione dei principali risultati in sottocomponenti più piccole
1. La fase di qualificazione • I risultati attesi di un progetto, perché possano essere tali, devono avere le caratteristiche riassunte nell’acronimo SMART: – – – – –
Semplicità (simple) Misurabilità (measurable) Raggiungibilità (achievable) Realismo (realistic) Definizione temporale (time bounded)
• Per ogni risultato è importante esplicitare inoltre un fit criterion, una misura oggettiva che consenta di verificare se il prodotto ottenuto abbia raggiunto l’obiettivo atteso
2. La fase di definizione • Scomposizione del progetto in attività, suddivise in gruppi omogenei • Pianificazione nei dettagli delle attività, con determinazione dei relativi tempi di esecuzione • Individuazione e tempificazione delle risorse a disposizione per la realizzazione del progetto • Assegnazione delle responsabilità personali • Lo strumento classico di questa fase è la cosiddetta Work Breakdown Structure (struttura della ripartizione del lavoro)
Work Breakdown Structure
Work Breakdown Structure
Il diagramma di Gantt •
Il diagramma di Gantt è uno strumento di supporto alla gestione dei progetti, così chiamato in ricordo dell'ingegnere statunitense che si occupava di scienze sociali, che lo ideò nel 1917, Henry Laurence Gantt (1861 - 1919).
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Usato principalmente nelle attività di project management, il diagramma è costruito partendo da un asse orizzontale - a rappresentazione dell'arco temporale totale del progetto, suddiviso in fasi incrementali (ad esempio, giorni, settimane, mesi) - e da un asse verticale - a rappresentazione delle mansioni o attività che costituiscono il progetto. Barre orizzontali di lunghezza variabile rappresentano le sequenze, la durata e l'arco temporale di ogni singola attività del progetto (l'insieme di tutte le attività del progetto ne costituisce la Work Breakdown Structure). Queste barre possono sovrapporsi durante il medesimo arco temporale ad indicare la possibilità dello svolgimento in parallelo di alcune delle attività. Man mano che il progetto progredisce, delle barre secondarie, delle frecce o delle barre colorate possono essere aggiunte al diagramma, per indicare le attività sottostanti completate o una porzione completata di queste. Una linea verticale è utilizzata per indicare la data di riferimento.
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Il diagramma di Gantt (2)
Esempio di semplice diagramma di Gantt
PERT Project Evaluation and Review Technique • Un diagramma di Gantt permette dunque la rappresentazione grafica di un calendario di attività, utile al fine di pianificare, coordinare e tracciare specifiche attività in un progetto dando una chiara illustrazione dello stato d'avanzamento del progetto rappresentato; di contro, una delle cose non tenute in considerazione in questo tipo di diagrammazione è l'interdipendenza delle attività sottostanti, caratteristica invece della programmazione reticolare, cioè del diagramma PERT. Durata del progetto: 49,5 giorni (13+24+12,5) Esempio di diagramma PERT
• PERT, acronimo inglese che sta per Tecnica di valutazione e rassegna del Progetto, è una tecnica di project management sviluppata nel 1958 da una ditta di consulenza ingegneristica, per l'ufficio Progetti Speciali della Marina degli Stati Uniti. L’obiettivo era quello di ridurre i tempi ed i costi per la progettazione e la costruzione dei sottomarini nucleari armati con i missili Polaris, coordinando nel contempo diverse migliaia di fornitori e di subappaltatori. Con questa tecnica si tengono sotto controllo le attività di un progetto utilizzando una rappresentazione reticolare che tiene conto della interdipendenza tra tutte le attività necessarie al completamento del progetto.
PERT e CPM • CPM è l'acronimo di Critical Path Method, ovvero "metodo del percorso critico". È uno strumento di gestione progetti sviluppato nel 1957. Si tratta di una tecnica usata per individuare, nell'ambito di un diagramma a rete (del tipo PERT), la sequenza di attività più critica (massima durata) ai fini della realizzazione di un progetto. Individuato il percorso critico si tengono sotto stretto controllo le attività che lo compongono, in quanto un ritardo (maggiore durata del previsto) di una qualsiasi di queste comporta inevitabilmente un ritardo dell'intero progetto.
• Un progetto consiste, essenzialmente, di una serie di attività interdipendenti che devono essere eseguite con una precisa sequenza. Con la tecnica PERT/CPM si rappresenta il flusso logico delle attività mediante un reticolo. Il tipo di reticolo più adottato è quello cosiddetto "ad arco“, formato da: – frecce, che rappresentano le attività – nodi, punti di inizio/fine delle attività, che rappresentano eventi nel tempo
• Il primo nodo è sempre quello di inizio progetto; l'ultimo è sempre quello di fine progetto. Questo tipo di reticolo è molto adatto ad essere trattato con soluzioni informatiche. I nodi possono essere identificati con un numero e le attività con la coppia dei numeri corrispondenti ai nodi di inizio e fine. Naturalmente a queste informazioni vengono collegate le descrizioni e, nel caso delle attività, anche le durate. I percorsi sono identificati mediante la lista dei nodi attraversati ed assumono, come durata (minima - intermedie - massima) la somma dei tempi delle attività comprese nel percorso.
Partecipazione • I primi riferimenti alla partecipazione dei beneficiari negli interventi di sviluppo risalgono alla metà degli anni '50. • Tuttavia, solo negli anni '70 il riconoscimento dei fallimenti delle strategie di sviluppo top-down portate avanti fino a quel momento, che escludevano un coinvolgimento reale delle popolazioni interessate, ha portato all'emergere di "partecipazione" e "sviluppo partecipativo" come concetti chiave nelle politiche di sviluppo. • Oggi l'approccio partecipativo, conosciuto anche come bottom-up, accomuna apparentemente tutte le agenzie, dalla Banca Mondiale, ai governi, alle organizzazioni non governative, ma non sempre gli si attribuisce un significato univoco. • L'idea di fondo è che le agenzie di sviluppo devono coinvolgere le popolazioni beneficiarie in ogni fase del ciclo di progetto (dall'individuazione dei bisogni, all'esecuzione delle attività, fino alla valutazione dei risultati) per migliorare il funzionamento e l'impatto degli interventi.
Perché partecipazione? Le ragioni principali per cui un approccio “dal basso” si dimostra efficace nel migliorare la qualità dei progetti di sviluppo locale sono di due tipi: • Un’attività di diagnosi strategica orientata ad un sistema territoriale circoscritto non può prescindere, sia nella fase di analisi che in quella di decisione strategica, dalla raccolta e dal confronto di elementi conoscitivi detenuti esclusivamente dai diversi gruppi di attori locali che operano nell’ambito di quel sistema. Si tratta quindi di suscitare la condivisione di informazioni, percezioni, esigenze, visioni e, più in generale, conoscenze implicite ed esplicite per farle diventare “patrimonio di progetto”. • È necessario creare un senso di appartenenza al progetto tra gli attori che saranno mobilitati in fase di implementazione e, in questo, nulla è più efficace del dare evidenza di un uso convinto del bottom-up. Questo processo, che nelle concezioni meno illuminate viene interpretato come un’attività propagandistica di “costruzione del consenso”, implica in realtà un’evoluta capacità di ascolto ed animazione per compiere il percorso che porta da un primo “allineamento delle visioni” ad una vera progettazione partecipativa delle strategie di intervento.
Vantaggi della partecipazione Vantaggi derivanti dalla partecipazione dei beneficiari: – L’efficienza nell'uso delle risorse del progetto migliora attraverso una riduzione dei costi di investimento e di gestione dovuta al contributo materiale della comunità, in termini di lavoro volontario e di risorse finanziarie e in natura; – l‘efficacia aumenta utilizzando le informazioni e la conoscenza locale per identificare bisogni e problemi e per evitare conflitti e incomprensioni; – la copertura degli interventi può essere estesa a un maggior numero di beneficiari; – la sostenibilità del progetto migliora se i beneficiari sentono di esserne "proprietari" e si fanno carico della manutenzione e del funzionamento delle realizzazioni del progetto dopo la sua conclusione, nel lungo periodo – l'autoresponsabilità e la fiducia in se stessi vengono promosse contribuendo a sconfiggere la mentalità della dipendenza e inducendo la gente a prendere l'iniziativa e ad individuare soluzioni per i propri problemi (empowerment). Per questo l’approccio partecipativo viene spesso interpretato come un importante fattore di democrazia locale.
• Oggi la partecipazione, così come la prospettiva di genere, è ormai diventata uno slogan alla moda presso i donatori e le agenzie di sviluppo e questi concetti sono diventati ricorrenti in qualsiasi documento sulle politiche dello sviluppo, dai rapporti delle istituzioni multilaterali ai documenti di progetto delle ONG. • Tuttavia, al di là dell'apparente consenso su questi concetti, appare evidente una diversità di interpretazione e soprattutto un divario impressionante tra la retorica e la pratica. • Innanzitutto, come altri termini e concetti utilizzati nel campo dello sviluppo, anche "partecipazione" è caratterizzata da una ambiguità semantica: una connotazione positiva unanimemente condivisa nasconde nella pratica un significato che dipende da valori etici, orientamento politico e interessi materiali dei soggetti che lo utilizzano.
Quale partecipazione? • In funzione dell'approccio utilizzato e del rapporto instaurato tra agenzia di sviluppo e beneficiari, la partecipazione può realizzarsi a diversi livelli di intensità: – semplice informazione dei beneficiari sugli obiettivi e le modalità di realizzazione del progetto; – consultazione dei beneficiari per utilizzare le loro conoscenze e capacità; – partecipazione dei beneficiari al processo decisionale; – iniziative di sviluppo promosse direttamente dai beneficiari.
Schematizzando, sono possibili 2 distinti approcci alla partecipazione: •
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Il primo può essere definito un approccio strumentale che vede il coinvolgimento della popolazione locale come mezzo per raggiungere gli obiettivi del progetto nella maniera più efficiente, efficace e sostenibile. La partecipazione può essere una sorta di "condizione" imposta dall'alto o il risultato di una mobilitazione "volontaria" che punta all'ottenimento dei benefici materiali offerti dal progetto. Il secondo approccio vede la partecipazione come un fine in sé, mirante al rafforzamento del potere delle persone (empowerment) nei processi decisionali che le riguardano, accrescendo il loro controllo sulla propria esistenza e sulle scelte relative ai processi di sviluppo. Nuove capacità, fiducia e stima di sé acquisite attraverso il processo partecipativo stimolano un ruolo attivo e dinamico degli individui e della comunità, che si espande oltre i confini di un progetto particolare e investe processi di trasformazione sociale di più vasta portata. Mentre il primo approccio privilegia le strutture e i risultati della partecipazione, il secondo si concentra su un processo che non ha necessariamente un obiettivo preciso ma che può stimolare cambiamenti più profondi nella struttura sociale.
Partecipazione limitata Tutti i documenti di progetto affermano di promuovere un approccio partecipativo e l'empowerment dei beneficiari, ma in realtà, nella grandissima maggioranza degli interventi, questo si concretizza solo in maniera parziale.
Nella maggior parte dei casi, prevale un'accezione funzionale e
strumentale della partecipazione, che si riflette in pratiche dove questa è solo un mezzo per raggiungere un fine determinato. Infatti, la maggior parte dei progetti di sviluppo sono promossi dall'esterno (dal governo, da una organizzazione internazionale o da una ONG) e ai beneficiari viene chiesto di partecipare ad un intervento già fortemente strutturato nelle sue logiche di fondo, negli obiettivi e nelle metodologie, sul quale essi non hanno in realtà il potere di incidere.
La popolazione locale partecipa per accedere ai benefici materiali del programma di sviluppo, ma rimane sostanzialmente subalterna a decisioni prese da altri. In questo contesto anche il presunto processo di empowerment si limita all'acquisizione di abilità personali e collettive, e di capacità gestionali a livello locale, compatibili con un uso strumentale della partecipazione. Infatti in moltissimi casi questa pratica riduttiva di partecipazione finisce per essere funzionale al trasferimento di costi e di responsabilità di investimento e di gestione sulle comunità nell'ambito di politiche di aggiustamento strutturale che mirano a ridurre il ruolo dello stato nel settore sociale e più in generale nell'economia.
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Una partecipazione autentica implica una concezione e una pratica dello sviluppo alternative a quelle dominanti, dove le persone assumono un ruolo centrale. La condizione di povertà e di esclusione sociale di centinaia di milioni di persone non deriva solamente dalla privazione di beni materiali e dalla impossibilità di accedere alle risorse, ma anche dalla mancanza di potere, cioè dalla impossibilità di intervenire sulle dinamiche economiche e sociali che plasmano le loro condizioni di vita. In questo contesto, la partecipazione non è una questione di coinvolgimento più o meno sostanziale nel singolo progetto di sviluppo, ma riguarda il raggiungimento del potere di influenzare i processi che condizionano la propria esistenza. In questa prospettiva, un approccio autenticamente partecipativo deve porsi come obiettivo fondamentale quello di stimolare un processo di empowerment che produca mutamenti nelle relazioni di potere a vari livelli: tra diversi gruppi di una comunità, tra la popolazione beneficiaria e l'agenzia di sviluppo e più in generale nella società. Questo implica il riconoscimento della politicità degli interventi di sviluppo. Infatti, a prescindere dalla loro natura, dal loro obiettivo, dal contesto e dal settore in cui hanno luogo, questi interventi non sono mai neutrali. Essi vanno inevitabilmente ad interagire con dinamiche politiche, economiche, sociali e istituzionali nella situazione locale e ad interferire con i rapporti di potere esistenti. Il mito della comunità come soggetto unitario e omogeneo nasconde una realtà fatta di contraddizioni e conflitti tra gruppi diversi: poveri e ricchi, donne e uomini, etc.
• Una reale partecipazione delle popolazioni richiede quindi strategie e metodologie alternative negli interventi, perché essi siano non solo un mezzo per rispondere ai bisogni dei beneficiari e per migliorare le loro condizioni di vita, ma anche il veicolo di un processo di trasformazione sociale più ampio. In questo modo la partecipazione non potrà ridursi ad un mezzo per una maggiore efficienza ed efficacia delle strategie di sviluppo convenzionali, ma diventerà un fine in sé, in un processo di autentico empowerment delle persone, basato sull'appropriazione da parte di donne e uomini della libertà, della conoscenza e del potere necessari per esercitare un maggiore controllo sulla propria esistenza e scegliere il proprio percorso di sviluppo.
• L'agenzia di sviluppo con la sua azione prende inevitabilmente parte, ha la responsabilità di scegliere, di favorire certi interessi e priorità piuttosto che altri. • Un autentico processo di empowerment, deve quindi necessariamente passare per una messa in discussione da parte dell'agenzia di sviluppo del proprio ruolo e del potere che le deriva dall'essere portatrice di un modello di sviluppo che incorpora un sapere e una conoscenza tecnica ritenuti presuntuosamente superiori. • Respingendo l'idea di empowerment come un processo attraverso il quale un agente esterno può dare il potere ad altri soggetti, l'agenzia di sviluppo può giocare un ruolo di "facilitatore" di un percorso autonomo, individuale e/o collettivo, che parte dalla presa di coscienza della propria condizione e delle proprie potenzialità da parte delle persone coinvolte nell'intervento (self-empowerment).
• In anni recenti, si è sviluppata una serie di metodologie partecipative, come l'azione-ricerca partecipativa (ispirata al lavoro del pedagogista brasiliano Paulo Freire), la Participatory Rural Appraisal (PRA), l’antropologia sociale applicata. • Queste metodologie si sono dimostrate un mezzo efficace per fare emergere le realtà e le priorità dei diversi gruppi all'interno delle comunità. Tuttavia, le metodologie partecipative possono mettere in discussione radicalmente il modello dominante di interventi di sviluppo solo se sono collocate in una prospettiva di trasformazione sociale che si espande oltre i confini dell'intervento specifico.
• Il campo principale di applicazione dei sistemi partecipativi è quello della progettazione, nell’ambito del quale esistono diverse categorie di “metodologie partecipative” (dalle attività in piccoli gruppi in forma di focus o metaplan, alle tecniche di consultazione su più ampia scala). Tuttavia, se opportunamente utilizzati, i metodi partecipativi si rivelano utili in tutti i casi in cui è necessario sviluppare nuove conoscenze a supporto di decisioni, comprese, naturalmente, le attività di valutazione.
Perché è utile l’approccio dal basso? Sono due le principali ragioni per cui un approccio “dal basso” si dimostra efficace nel migliorare la qualità dei progetti di sviluppo locale: • Un’attività di diagnosi strategica orientata ad un sistema territoriale circoscritto non può prescindere, sia nella fase di analisi che in quella di decisione strategica, dalla raccolta e dal confronto di elementi conoscitivi detenuti esclusivamente dai diversi gruppi di attori locali che operano nell’ambito di quel sistema. Questa constatazione rappresenta il “principio operativo” del bottom-up: si tratta quindi di suscitare la condivisione di informazioni, percezioni, esigenze, visioni e, più in generale, conoscenze implicite ed esplicite per farle diventare “patrimonio di progetto”. • È necessario creare un senso di appartenenza al progetto tra gli attori che saranno mobilitati in fase di implementazione e, in questo, nulla è più efficace del dare evidenza di un uso convinto del bottom-up. Questo processo, che nelle concezioni meno illuminate viene interpretato come un’attività propagandistica di “costruzione del consenso”, implica in realtà un’evoluta capacità di ascolto ed animazione per compiere il percorso che porta da un primo “allineamento delle visioni” ad una vera progettazione partecipativa delle strategie di intervento.
Metodologia dell'approccio partecipativo «Se il nostro solo strumento è un martello, ogni problema assomiglierà ad un chiodo da battere».
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PCM (Project Cycle Management) AQL (Approccio del quadro logico) GOPP (Goal oriented project planning) OST (Open Space Technology)
Open Space Technology (Harrison Owen) Le regole fondamentali dell'open space : 4 principi ed una legge.. •
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Chiunque venga, è la persona giusta; le decisioni che vengono prese durante il lavoro sono opera di coloro che sono presenti. Non serve quindi pensare a chi sarebbe potuto intervenire. La partecipazione all’OST deve essere sempre volontaria: solo chi ha davvero a cuore il tema si impegnerà a fondo, sia nell’affrontarlo che nelle fasi di implementazione del progetto. Qualsiasi cosa accada è l’unica che poteva accadere; in una particolare situazione, con determinate persone e discutendo di un certo tema, il risultato che si otterrà è l’unico risultato possibile. Le sinergie e gli effetti che possono nascere dall’incontro di quelle persone sono imprevedibili ed irripetibili, per questo chi conduce un Open Space Technology deve rinunciare ad avere il controllo della situazione: tentare di imporre un risultato o un programma di lavoro è controproducente. Chi facilita un convegno Open Space deve avere totale fiducia nelle capacità del gruppo. In qualsiasi momento cominci, è il momento giusto. È chiaro che dovranno esserci un inizio ed una fine, ma i processi di apprendimento creativo che avvengono all’interno del gruppo non possono seguire uno schema temporale predefinito. Decidere ad es. di fare una pausa ad un certo orario può impedire ad un dialogo di avere termine, perdendo così informazioni o idee fondamentali alla realizzazione del progetto. Quando è finita è finita; se certe volte serve più tempo di quello previsto, altre accade il contrario. Se si hanno a disposizione due ore per trattare un certo argomento, ma la discussione si esaurisce più velocemente del previsto, è inutile continuare a ripetersi, molto meglio dedicare il nostro tempo ad altro. Mentre l’unica legge che regola l’Open Space Technology è la legge dei due piedi. Tutti hanno due piedi e devono essere pronti ad usarli. Se una persona si trova a conversare di un argomento e non ritiene di poter essere utile, oppure non è interessata, è molto meglio che si alzi e si sposti in un altro gruppo dove può essere più utile. Questo atteggiamento non va interpretato come una mancanza di educazione!