L'architettura di Vitruvio Vitruvius Pollio
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INDICE DELLE MATERIE CONTENUTE NEL IX. FASCICOLO DEL FITRUFJO LIBRO IX. Prefazione :. Pag. 3 Capo I. Ritrovato di Platone per misurare il campo .,, 7 Capo II. Della squadra secondo l'invenzione di Pittagora i} 9 Capo III. Come si possa riconoscere una porzione di argento mescolata con V oro ad opera finita „ 11 Capo IV. Delle regole gnomoniche} e del mondo e dei pianeti J} 20 Capo V. Del corso del Sole pei dodici segni dello Zodiaco ^ 3y Capo VI. Delle costellazioni che sono dalla parte settentrionale . ... M fio Capo VII. Delle costellazioni delle parti meridionali ....... M Capo Vili. Delle regole degli orologi e delle ombre detti gnomoni al tempo equinoziale in Roma ed in alcuni altri luoghi „ 52
DELL' ARCHITETTURA i. Ai famosi atleti vincitori nei giuochi Olimpici (i), Piti, Istmj Nemei (*) gli antichi Gre (i) Osserva il Filandro che in questo esordio Vitruvio. Imita il proemio del Panegirico d' Ippocratc, e che anche Aristotele nella sezione trentesima dei problemi ricerca il perchè siensi dagli antichi statuiti tanti onori per gli atleti, e nessuno per gli uomini che si distinguevano con le produzioni d' ingegno; e vi assegna due ragioni, che vengono riportate dallo Stratico nei comenti a questo Libro. La prima perchè si considerano degne di ammirazione e di premio quelle sole cose che si fanno per umano potere, e non quelle che 1' umano potere trova di già belle e formate; ed appunto la vittoria che riporta un atleta è frutto della sua forza e destrezza effettiva, dovechè le sottili scoperte dei matematici e dei filosofi non altro sono che un' esposizione di ciò eh' esisteva prima delle loro speculazioni, essendo indubitato che l'eguaglianza fra i tre angoli di un triangolo e due angoli retti avrebbe avuto luogo anche se niuno avesse dimostrato questo teorema. La seconda ragione sta nel1' esservi pochi uomini capaci di apprezzare le scoperte scientifiche, ed invece tutti poter decidere quali sieno gli eccel M. VITRUVIO POLLIONE LIBRO IX. PREFAZIONE
ci decretarono così grandi onori, che non solamente stando in mezzo alle adunanze con palma e corona fossero colmati di lodi, ma eziandio ritornando vittoriosi ai propri paesi trionfanti sulle quadrighe di città in città fossero trasportati alla patria, e vita durante godessero di pensioni sul pubblico erario assegnate. 2. Pensando io dunque a questo, mi maraviglio, che simili ed anco più grandi onori non lenti fra quelli che gareggiano nella lotta, nel corso od in altri esercizi. Le ragioni dello Stagirita sono giustissime, ed il fatto le comprova tutto giorno; poiebè in questo medesimo secolo, detto della filosofia, ed in cui le scienze sono portate ad un punto che non avevano toccato dapprima, si veggono raminghi gì' ingegni più riputati, ed in trionfo i mimi, cui si consacrano busti e statue, e ad impinguare i quali si profondono immensi tesori, che meglio sarebbero impiegati a sollievo dei miserabili, ad incoraggiamento delle arti utili, e specialmente dell' agricoltura, con che si eviterebbero tanti contagi, che poi spaventano terribilmeute, benché niuna cura siasi posta per impedirne la propagazione. (*) Queste quattro feste erano dai Greci celebrate in onore di Giove, di Apollo, di Palemone e di Archimoro, come nota il Filandro; ed i vincitori erano premiati con corone di ulivo selvatico, o di pomi, o di pino o di appio, come si ha da Archia nel primo libro degli epigrammi greci. Celebri sono le odi da Pindaro cantate in onore di quei li che vincevano a questi giuochi, ed in particolare l' inno quinto. I giuochi poi che si celebravano in queste feste erano di cinque sorta ( per cui i Greci dicevano Pentalli, ed i Latini Quinquerzj quelli che vincevano ), cioè il salto, il disco, il trar d' arco e la lotta, accennati da Simonide nel libro primo degli Epigrammi. Su questi giuochi si possono consultare Pausania, Sesto Pompeo, Giovanni Battista Pio, e sopra ogni altro Eduardo Corsini, il quale nel >747 pubblicò in Firenze quattro dissertazioni per determinare 1' origine dei medesimi, il tempo in cui seguivano, le leggi dietro le quali si dirigevano, i premj e gli onori che si decretava. no ai vincenti, ed i nomi dei più celebri che trionfarono. sieno tribu tati agli scrittori che in perpetuo prestano utilità infinite a tutte le genti. E questa sarebbe stata invero più nobile istituzione: perchè gli atleti riducono i corpi loro coli' esercizio più forti: gli scrittori non solamente perfezionano i propri sentimenti, ma ancora gli altrui, preparando coi libri i precetti per istruire ed agguzzare le menti. Qual bene ha fatto agli uomini Milone Crotoniate perchè fu invitto? od altri che nello stesso genere riuscirono vincitori? se non che mentre vissero conseguirono per se medesimi gloria fra i propri concittadini. Ma i precetti quotidiani di Pitagora, di Democrito, di Platone, d'Aristotele e di altri sapienti, con perpetua attenzione
coltivati, non solo ai propri cittadini, ma a tutte le genti producono recenti e floridi frutti; onde quelli che nella tenera età, dall'abbondanza delle dottrine si saziano, hanno i sensi di sapienza ottimamente informati ( i ), e istituiscono umanità di costumi, equi diritti e leggi nelle nazioni, senza di che alcuna città non potrebbe sussistere. 3. Se dunque tanti benefizj dalla prudenza degli scrittori e privatamente e pubblicamente fu.rono preparati ai mortali, io stimo non solo palme e corone doversi a sì fatti uomini tributare, alla ben anco decretarsi trionfi, e per pubblico giudizio fra le sedi degli Dei consecrarsi. Onde fi) Il testo: optimos habent sapienliae sensus. io delle loro invenzioni utili alle comodità della vita umana ne porrò alcune tra le molte a foggia di esempi ; i quali ben impressi negli uomini li faranno necessariamente confessare aver quelli il diritto di tali onori. E primieramente fra le molte utilissime raziocinazioni di Platone ne porrò una tal quale fu da lui stesso spiegata (i). (i) Se quelli che sono spinti dall' animo loro ad occupare la propria vita negli studj vantaggiosi e dilettevoli al genere umano avessero in mira soltanto le mercedi e gli onori sarebbero scoraggiati dal tristo esempio di tanti secoli che precedettero 1' età nostra. Gli scrittori delle opere più meditate e più faticose, nelle quali stanno riposti i veri utilissimi precetti del viver civile, sono, vivendo, non solamente inonorati e negletti, ma tenuti da meno dei vauerelli dipinti esternamente della vernice delle dottrine; e una carta volante di un bello spirito è più apprezzata e applaudita, che non i volumi di una mente aguzzata dalla meditazione e dall' esperienza. Ma il savio anche negletto e spreginto per 1' unico fine della saviezza e della virtù, e ritirato nell'oscurità e nel silenzio fa uso del privilegio concessogli dalla natura anco a benefizio della razza tanto spregiatrice ed ingrata che lo circonda. CAPO I. Bilrovato di Platone ( i ) per misurare il campo. 4- Se vi è un luogo, od un campo di quattro lati uguali, e lo si dee duplicare, perchè vi (1) Da Filandro in poi tutti gì' interpreti convennero essere stati i tre primi capitoli di questo libro malamente staccati dalla prefazione, e ciò non aver fatto Vitruvio. Ed invero le scoperte in essi iudicate devono stare a guisa d'esempio dell'eccellenza di quegl' ingegni che ne furono gl'inventori, come fece nelle altre prefazioni, perciocché nulla hanno che fare coli'argomento trattato in questo libro. L'Orsini diffatti saggiamente le riunì, come vuole la ragione. L' invenzion di Platone non è che una conseguenza del teorema pittagorico,poiché in un quadrato la diagonale essendo ipotenusa di un triangolo isoscele rettangolo, ne segue che il suo quadrato sarà doppio di quello di un cateto. Diffatti nel triangolo ABD, fig. 1. Tav. I^si ha BD~ AB^AD', ma AB —AD, dunque BDs -x AB* La dimostrazione poi riportata da Vitruvio (che, al dir del Galiani, è piuttosto pratica che geometrica) si ha geometricamente come segue. Il quadrato ABCD, diviso in due triangoli eguali dalla diagonale, il quadrato di questa diagonale, cioè ADEF, viene dalle due diagonali BE, DF diviso in quattro triangoli eguali fra loro, ed eguali a quelli in cui era diviso il primo quadrato. Diffatti per gli angoli retti e semirelti, che si hanno nei medesimi, si prova facilmente che i lati BG, CD del quadrato piccolo devono essere nella direzione delle diagonali del quadrato grande, e siccome queste diagonali si tagliano per metà, ne segue che tutti quei triangoli sono eguali, e siccome il piccolo quadrato ne contiene due, ed il grande ne contiene quattro, è chiaro che il secondo avrà un' area doppia di quella del primo. Non è questo però il solo metodo che serva alla duplicazione del quadrato; per esempio fra gli altri è quello di circoscrivere al quadrato proposto un circolo, ed a questo circolo un altro quadrato, per cui il secondo risulta doppio del primo, siccome mostrammo nel Lib. IV. pag. A. è necessaria una specie di numero che non si può trovare colle moltiplicazioni, si trova con accurate descrizioni di linee (i). Della qual cosa è questa la dimostrazione. Un luogo quadrato lungo e largo dieci piedi dà un' area di cento piedi; se dunque sarà d' uopo duplicare, e fare un' area di dugento piedi, parimente di lati uguali, si cercherà quale sia per essere la grandezza del lato di quel quadrato, affinchè da quello risulti un' area doppia di dugento piedi. Ma ciò non si' può trovare col numero: perchè se si stabilirà di quattordici, moltiplicando si avranno piedi cenlonovantasei, se quindici, piedi dugentoventicinque. 5. Poiché dunque non si dimostra ciò col numero, in quel quadrato lungo e largo dieci piedi si conduca una linea diagonale da angolo ad angolo, la quale lo divida in due triangoli di uguale grandezza di piedi cinquanta d'area per ciascuno, e secondo la lunghezza della linea diagonale si descriva uno spazio di quattro lati uguali: così di quella stessa grandezza di cinquanta piedi l'uno, che nel quadrato minore i due triangoli dalla linea diagonale furon descritti, faranno pure i quattro nel quadrato maggiore formati. Con questo metodo la duplicazione del quadrato fu da
(i) Imbarnzzatissimo è il testo; ma noi, seguendo la legione del Pontedera e dello Scbneicter, non possiamo errare .nel senso. Platone con geometriche ragioni spiegata, come sta nella sotto posta figura. CAPO n. Della squadra secondo l'invenzione di Pitagora. 6. Pitagora (i) ci mostrò similmente l'invenzione della squadra senza lavoro di artefice, e mentre con grande fatica i fabri stentano a ridurla a dovere, si apprende da' suoi precetti come con certe ragioni e metodi si possa farla perfetta. Onde se si prenderanno tre regole, una delle quali sia di tre piedi, un altra di quattro ed una terza di cinque, e queste regole saranno commesse in modo che 1' una si tocchi coli' altra per gli estremi capi figurando un triangolo, formeranno una squadra perfetta. Che se sopra le singole lunghezze delle regole si descriveranno altrettanti quadrati di lati eguali, il quadrato del lato di tre piedi avrà piedi nove, quello di quattro, sedici, quel di cinque, venticinque. Così quanto numero di piedi di area daranno i due quadrati col lato (i) Non v' è alcuno che non conosca il celebre ed utilissimo teorema di questo filosofo, cioè che in un triangolo rettangolo il quadrato del lato che si oppone all' angolo retto eguaglia in superficie la somma dei due quadrati costrutti sugli altri due lati; e che non ne abbia veduta la dimostrazione riportata da Euclide nel suo primo libro alla proposizione 47 della lunghezza di tre piedi, e con quello di quattro, tanto ne darà quel solo eh' è descritto sul lato di cinque piedi. Poiché ciò ebbe dimostrato Pitagora, persuaso che dalle Muse gli fosse stata ispirata questa invenzione, dicesi che in rendimento di grazie abbia loro sacrificato. 7. Siccome quella invenzione è utile per molte cose e misure, così è spediente per collocare a giusto livello i gradini delle scale negli edifizj. Onde se l'altezza ( 1 ) del palco dal tavolato superiore al piano di Sotto sia divisa in tre parti, cinque di quelle faranno la inclinazione delle sca(r) Il testo dice: ab stimma coaxatione ad imum Ubramentum, e lo Strafico nota: „ È chiaro che ciò significa dal „ piana del pavimento superiore a quello del pavimento in„ feriore. Si deve prima a ogni altra cosa stabilire l' altezza, ,, a cui si deve ascendere per mezzo delle scale, la quale „ senza dubbio viene determinata da quei due piani. Que„ sta deve dividersi in tre parti; indi fare che la distanza „, dal piede della scala alla direzione verticale sia di cinque „ di quelle parti contate orizzontalmente; il terzo lato poi „ formerà la lunghezza della scala, ossia degli scopi ai qua„ li le scale si appoggiano ", Qui però sembra che lo strafico non abbia inteso il lesto, ed a provarlo basti la seguente semplicissima spiegazione. Se s' immagina la sezione di una scala rappresentata da un triangolo rettangolo, di cui un cateto determini 1' altezza, l' altro la base, e 1' ipotenusa la lunghezza per la quale si deve ascendere, si dovranno questi tre lati proporzionare nel rapporto dei numeri 3, 4, 5. Così dunque nella fig. i. Tav. I. BC rappresenta l' altezza, AB la base, AA la lunghezza degli scapi. Gli stessi rapporti devono reggere anche nella formazione di ciascun gradino, sicché la pedata starà all' altezza, come quattro a tre. Queste proporzioni poi si riferiscono alle scale delle case, non già a quelle dei tempi, per le quali Vitruvio le stabilì diverse nel lib. III. Dalla stessa figura si conosce cosa siano gli scapi delle scale, vai a dire quei tronchi, o come li chiama il Galiani, quei cordoni che spalleggiauo gli scalini, e che sono in un certo modo i regolatori delle scalinate. le secondo la lunghezza degli scapi. Delle tre parti poi dell' altezza tra il palco e il pian terreno se ne prendano quattro recedendo dal perpendicolo, ed ivi si collochino i pedali inferiori degli scapi (i). Così saranno proporzionate le collocazioni tanto dei gradini, che delle scale. Di questa cosa sarà pure qui sotto disegnata la figura. CAPO III. Come si possa riconoscere una porzione di argento mescolata con l'oro ad opera finita. 8. Jb\a le molte maravigliose e varie invenzioni di Archimede, quella che son per esporre parmi manifestare un maggiore indicibile acume. Jerone elevato alla potestà reale in Siracusa, avendo pel successo prospero delle cose deliberato di collocare in un certo tempio una corona d' oro votiva agli Dei immortali, ne appaltò la fattura (2), e pesò 1' oro a sagoma (3) all'appaltatore. Costui
(1) Lo Schneider confermò l' opinione del Galiani, adottando, dietro la lettura di alcuni codici, inferiores in luogo d' interiores. (2) Stiamo col Filandro e col Pontedera, i quali concordano a rifiutare la lezione immani preiio, per accogliere manupretio, che significa fattura, che si fa per un prezzo determinato. (3) Il testo ad sacoma. Il vocabolo sacoma presso ì Greci ha il senso di contrappeso, ed e quel piombo che si appende all' asta della stadera per pesare. In fine il senso a tempo presentò al re 1' opera fatta con fino lavoro, e il peso della corona parve corrispondente alla sagoma. Ma poiché si ebbe indizio (i) che, sottrattovi dell' oro, fosse stato mescolato nella fattura della corona altrettanto d' argento, sdegnatosi Jerone di essere stato ingannato, né trovando dell' autore è, che Jerone ha pesato l'oro all'appaltatore, per assicurarsi, col ripesar la corona fatta, che l'appaltatore non gliene avesse rubato: il che prova anche coli'esperienza dei secoli dopo, quel che sono naturalmente gli appaltatori. Noi abbiamo ritenuto la voce "coma, perchè sacoma o sagoma è usato anche nei nostri vernacoli; però più che altro in significato di forma o figura di cose meccaniche, o di modello delle medesime. L' Orsini volgarizzò: consegnando lui a peso di stadera la massa dell' oro: e ciò spiega bene il senso di Vitruvio: ma più semplicemente ancora può volgarizzarsi: pesi, l' oro all' appaltatore. (i) Il latino: postquam indicium est factum. Il Galiani traduce V indicium per demenzia; l'Orsini indizio di sospetto. Filandro e Perrault ritengono che indicium venga da index, e che questo index significhi la pietra di paragone usata dagli orefici per riconoscere la integrità dell' oro. L'or- tiz sta col Galiani; il Newton spiega per segni; lo Stratico sta incerto fra tutti. Noi crediamo che il termine indicium sia da prendersi nel senso dei criminalisti, e che si conserva anche presentemente in italiano. GÌ' indizi sono cominciamento di prova, ma non fanno prova legale. Sotto questo aspetto ha ragione di dire il Galiani contro il Filandro, che se si avesse fatto il saggio colla pietra di paragone, sarebbe stato inutile il ricorrere ad Archimede, il quale fu invitato a somministrare la prova legale del furto. E ci conferma in questa interpretazione ciò che soggiunge Vitruvio, cioè che Jerone non sapeva di qual maniera comprovare il furto medesimo. Ci gode 1' animo, che questo vocabolo della lingua dei criminalisti ci porga occasione di testificare pubblicamente la nostra stima e la nostra da lungo tempo radicata amicizia al distintissimo ingegno e alla dottrina del dottore Francesco Foramiti, già professore di diritto civile nel Liceo di Udine, ed ora giureconsulto in Venezia, il quale, oltre a vari scritti' stampati in materie criminali e civili di scienza matura e profonda, trattò anche con mirabil ordine e raziocinio degl iadizj e della forza legale delle prove. la maniera di comprovare quel furto, pregò Archimede di prendersene egli stesso il pensiero. Avendosi egli allora assunto la cura di questa cosa, andò per caso in un bagno, ed ivi mentre discendea nella soglia (i) osservò che quanto del suo corpo tuffavasi dentro, tanto d'acqua n'esci-' va, onde avendo egli per sorte trovato il modo di spiegare quella cosa, non potè più trattenersi, ma scosso dall' allegrezza uscì d'Un salto dalla soglia, e correndo ignudo verso casa, annunziava ad alta voce d'aver trovato quel che cercava, nel correre tratto tratto gridando euveca eureca (2). Perciò si dice, che coli' esordio di quell' invenzione egli fece due masse di peso eguale a quello della corona, 1' una d'oro, l'altra d'argento. Ciò fatto riempi di acqua fino all' orlo un ampio vaso, nel quale immerse la massa d' argento, di modo che quanta si fu la grandezza depressa nel (1) Noi diremmo casca, mastello, ossia il recipiente dell' acqua, in cui può star o in piedi o sedersi o distendersi chi si lava o si bagna. Vanno errando gli eruditi in un pelago di etimologie, dalle quali trarre la voce latina solium, come significato di vase di legno, che si adoperava nelle celle dei bagni. Intendiamolo noi come derivante da solurn ( suolo), che per traslato si usa in senso di fondo. Da questo solium par certamente venuta la voce soglia italiana, perchè indicante il limite del suolo su cui poggiano gli stipiti della porta. Discendere nella soglia del bagno non è in fatti che calarsi fino al fondo della stanza dov' è riposto il vase a ciò destinato. Il Galiani e 1' Orsini lo fanno sinonimo di labrum ( labbro ). Intorno a questo vocabolo vedi la nostra nota nel libro V. cap. z. pag. p. (2) U O trovato, ho trovato, cioè go scoperto il modo di conoscere il furto dell' appaltatore. vaso, altrettanto d' acqua n' è uscita. Poscia estratta la massa, rifuse, misurando con un sestario (i) quel tanto d'acqua che vi mancava, talché, siccome prima, si adeguasse all' orlo. Cosi trovò come ad un dato peso di argento corrispondesse una data misura d'acqua. Ciò avendo sperimentato, depose similmente dentro un vaso pieno una massa di oro, ed estrattala colla stessa regola aggiuntavi la misura, trovò che non vi mancava tant' acqua, ma tanto di meno, quanto di minor grandezza di corpo era la massa di oro, pari di peso a quella d'argento. Indi riempiuto di nuovo il vaso, e depostavi nell' acqua la stessa corona, trovò che maggior copia d' acqua erasi versata per la corona che non per la massa d'oro di peso eguale: e così argomentando da quel di più che mancava
d' acqua per la corona che non per la massa, comprese la mescolanza dell' argento nell' oro, e il furto manifesto (2) dell' appaltatore. (1) La sesta parte del congio. (a) Questo problema, e tutti quelli di simil natura, col linguaggio algebrico si risolvono nella maniera seguente. Sia a il volume del miscuglio, b il suo peso, c sia il peso specifico di uno dei componenti, a quello dell' altro; sia x il volume del primo, ed y il volume del secondo. Ritenendo che il volume del composto eguagli la somma dei volumi dei componenti, si avrà 1' equazione x + y a; e considerato pure il peso dell' uno siccome eguale alla somma dei pesi degli altri, si otterrà l'altra equazione- ex + dy s b; j ,. ,. .... b — ad . 6— ac . , dalle quali equazioni risulta x S ed r; ;cioè c—dd —c il volume di una delle sostanze si eguaglia alla differenza fra il peso del miscuglio, ed il peso che avrebbe g. Trasportisi ora la mente alle invenzioni di Archita Tarentino e di Eratostcne Cireneo ( i ). F altra sostanza sotto un volume eguale a quello del misto, divisa per la differenza fra il peso specifico della sostanza, di cui si cerca il volume, e quello dell' altra. Si avverta però che si suppose il peso ed il volume del composto eguale ulta somma dei pesi e dei volumi dei componenti, per avere le suddette equazioni: la qual cosa però non ha sempre luogo, perciocché la combinazione chimica di più sostanze, alterando la maniera di aggregazione delle molecole, produce una massa di maggiore o minor densità di quelle dei componenti, e quindi il volume viene ad essere minore o maggiore della somma di quelli, similmente nella stessa combinazione talvolta si perdono alcune particelle delle sostanze che si commischiano, e quindi la massa risultante non può eguagliare la somma delle due che la produssero. Sicché per poter anche in questi casi ottenere la soluzione del problema, sarà necessario conoscere il rapporto del nuovo volume, e del nuovo peso ai volumi e pesi primitivi; per cui se supponiamo che il rapporto fra i volumi sia m, e quello fra i pesi sia n, l'equazioni sopra stabilite si cangeranno nel , , ■ . nb—mad le seguenti x+jrsma; cx+ay~nb; e quindi xza -r-i nb — mac c " a ?~ d~c" (t) Celebre fu in ogni tempo il problema deliaco della duplicazione del cubo, ricordato qui da Vitruvio; il quale può esprimersi così; dato il Iato di un cubo, trovare il lato di un altro cubo che sia doppio del primo; sicché detto a il primo, deve cercarsi un valore che sia radice cuba di a a 3, il quale sarà espresso per aV-i; ma siccome la radice del due è incommensurabile, ne segue che il calcolo numerico non può soddisfare a quella ricerca. Ed è perciò che si narra aver Platone impallidito alla proposta dell' Oracolo, conoscendo che le matematiche non erano ancora giunte a quel punto di poter esaurire la domanda del Dio. Nulladimeno tutti i matematici di quel tempo, ed anche i posteriori si occuparono di quella risoluzione. Alcuni attribuiscono a Platone, altri ad Ippocrate di Chio, 1' aver dimostrato che ciò si poteva conseguire qualora si fossero determinate due medie proporzionali continue fra il lato del cubo dato ed il suo doppio. La ricerca però di queste due medie fu tentata per varie strade. Archita, oome dice Vitruvio, si servì dei semicilindri, Eudosio dei flessi delle linee, ed altri altramenQuesti hanno pure trovato colle discipline matematiche molte cose gradevoli agli uomini. E se sono essi per tutte le altre invenzioni graditi, per le dispute di questa cosa sono massimamente ammirati perchè 1' uno e l'altro intese con metodo diverso a spiegare quel che Apollo negli Oracoli di Delo aveva ordinato, cioè che si duplicasse il numero di piedi quadrati, che aveva il suo altare, e così ne avverrebbe che in quell' isola sarebbero liberati dal castigo del cielo. Perciò Archita colle descrizioni dei semicilindri, Eratostene colla regola del mesolabio (2) spiegarono la stessa cosa. posteri conferiranno con Varrone intorno alla lirt* gua latina, e non meno parecchi filologi consultando molte cose coi filosofi della Grecia penseranno di tenere con essi particolare discorso: insomma le sentenze dei sapienti scrittori anche staccate dalle persone vieppiù col tempo fiorendo, quando s' introducono nei consigli e nelle dispu-' fazioni, hanno tutte maggiore autorità che non dei presenti. Onde io, o Cesare, munito di questi autori, usando dei loro sensi e consigli, ho scritto questi volumi. Nei sette primi degli edifizj, ri eli' ottavo delle acque; in questo dimostrerò come le regole gnomoniche sieno state trovate dalle ombre, che dietro i raggi solari lo gnomone segna nel mondo, e come queste si dilatino, o si contraggano.
10. Essendosi osservate si fatte cose con tan te; ma tutti però le determinarono con metodi diffìcili da applicarsi alla pratica. Eratostene invece immaginò uno stromento chiamato mesolabio. Chi volesse la dimostrazione secondo Archita, e la descrizione dello stromeuto di Eratoste11 e potrà leggere ciò che riporta il Filandro nell' edizione latina del Vitruvio, fatta in Udine, al tomo IV. par. I. pag. ig. e segg. Ora la soluzione del problema è resa semplicissima col mezzo della intersezione delle curve. Poiché dovendosi avere a:x::x:y ed x :y : :y: aa, si trova ay~ x»; laxzsy2 , per cui si vede che costrutte due parabole, l'una delle quali abbia per parametro a, e V altra aa il loro punto d' intersezione determinerà le coordinate x ed y; ovvero si può far uso di una parabola ed un cerchio, oppure di altre curve del secondo ordine. E con questo mezzo si trova non solo un cubo che sia doppio di un dato, ma ben anche che abbia col medesimo un qualunque determinato rapporto. (1) Lat. maxime sunt suspecli: Galiani si rendettero ammirabili; per traslato da auspicio ( guardare dal basso in alto J: Barbaro sono stati sospetti. Non si può ritenere il suspecti nel significato del Barbaro, quantunque il solo Vitruvio ci dia l' esempio di suspectus in senso di ammirato. (a) Mesolabio può chiamarsi qualunque stromento atto a trovare le due medie proporzionali. ta dilettazione delle dottrine; ed essendo noi spinti naturalmente ad amar le invenzioni* considerando di ciascheduna cosa gli effetti; nell' osservazione in cui io sono di molte cose ammiro anche i libri di Democrito sulla natura delle cose, ed il suo comentario che s' intitola chirotoneton ( 1 ), nel quale facea uso dell' anello per imprimere sulla cera miniata le cose da esso sperimentate. Le invenzioni adunque di quegli uomini non solo alla emendazione dei costumi, ma alla utilità generale son preparate: all' incontro le virtù degli atleti invecchiano coi loro corpi: perchè nè mentre sono vivamente fiorenti, nè in avvenire non possono costoro con ammaestramenti simili alle invenzioni dei filosofi giovare alla vita umana (2). Che se poi non si tributassero onori uè ai nobili costumi, nè agli ammaestramenti degli scrittori, le loro menti da per sè stesse affis (1) Equivale a libro impresso colla mano. (2) Alla fama degli antichi atleti corrisponde quella dei nostri attori e cantanti di scena. Immensi applausi mentre vivono: morti non li ricorda se non chi gli ha veduti ed uditi, e cui gode l'animo per finezza d' amor proprio di censurare il tempo presente coli' elogio di quel che passò. Il compenso dei personaggi scenici è però sì largo in vita, eh' è una vera giustizia il lasciarli morir tutti intieri nel sepolcro. Qual mai sublime ingegno nella filosofia e nelle lettere potè andar, vivendo, superbo di tanti trionfi, ed esser rimunerato con tanto oro, come un personaggio di scena? Che più? Non si vide forse effigiato dallo stesso scarpello, e collocato nello stesso momento in un Panteon con vicendevoli onori il simulacro di una distinta cantante vivente, e quello di uno de' maggiori poeti italiani di recente perduto? Chi ama con vero amore la virtù e la patria consideri quel che noi siamo. ViTBvrio, Lib. ìx. a sandosi in cose ancor più alte dell' aere, pei gradi delle memorie sollevatesi al cielo, hanno la forza di far noti in perpetuo (i) ai posteri non solo i propri pensieri, ma ben anco le proprie sembianze (2). 11. Quelli adunque che hanno le menti ammaestrate colle giocondità delle lettere non possono non avere consecrato ne' loro petti, come d'una divinità, il simulacro di Ennio poeta: e così coloro che assiduamente si dilettano dei versi d'Accio, credono sempre d'aver presente non solo il valore delle parole, ma ancora la sua sembianza. Parimente un gran numero di quelli che nasceranno dopo la nostra età stimeranno quasi di disputare sulla natura delle cose con Lucrezio, e sull'arte rettorica con Cicerone (3). Molti de' (1) Vegezio nel lib. II. 3. delle cose militari dice con eguale sentenza, che le cose prodotte dalla forza vivono una sola età, ma quelle che tornano a vantaggio della repubblica durano eternamente. E Cicerone nel II. Pini, parlando di Marco Giunio Bruto: mancava il corpo del liberatore, ma vi era presente la memoria della libertà, nella quale vedevasi V immagine di Bruto. Così lo Strafico. (a) Questo sdegnoso e sublime sentire è degno del cuor bollente di un antico romano. Chiunque non vi partecipa col proprio animo, rinunzi ali' uffizio di scrittore e vada a trattar quel mestiere che put» procacciargli in vita lode e denaro. I nostri tre maggiori Italiani ( non neghi Firenze all' Italia intera la partecipazione di cotanta gloria ) Dante, Machiavelli, Galileo, quantunque privi di onori, logorati dalla povertà e dalle persecuzioni, spinsero le loro menti divine ben più alto ( per usar la vilruviana espressione ) delle regioni dell' aria, dove dalle sedi dell' immortalità e della gloria splendono a perpetuo vantaggio della posterità. (3) Qui si deve osservare che Vitruvio dà il nome di benefattori del genere umano ad Ennio, ad Accio, a Lucre
zio, a Cicerone, a Varrone, considerando Accio ed Ennio come padri della lingua, che coli'espressione delle parole e delle figure dilatarono nel popolo romano i semi del vivere civile, Lucrezio come introduttore dei termini atti a spiegare ai Latini la filosofia naturale insegnata da Democrito e da Epicuro, Cicerone come maestro dello stile perfetto, Varrone come indagatore profondo della ragione delle parole. Si vede che Vitruvio non guardava le lettere che dal lato dell' utilità, e che venerati da lui non eran che i primi. Altra cosa da osservarsi è, che non nomina egli qui Virgilio nè Orazio, benché sieno questi i due che dettarono nobilissimi precetti alla posterità, 1' uno colla georgica, 1' altro colla Poetica. Questo è un lume più che bastante per farci conoscere il vero punto dell' età in cui scrisse Vitruvio già vecchio, vale a dire dopo Lucrezio, e prima di Virgilio e di Orazio. CAPO IV. .. '. ■ • ■ . >• i Delle regole gnomoniche, e del mondo e dei pianeti.
ventate, e destano nei riguardanti grandissima meraviglia, stanteehè :l' ombra dello gnomone ( i ) equinoziale diversifica di grandezza in Atene, in Alessandria, in Roma, è non è la stessa in Piacenza (2) e negli altri luoghi dell' orbe terreno, perciò secondo le mutazioni dei luoghi differiscono grandemente le descrizioni degli orologi. i3. Perchè colle grandezze delle ombre equinoziali si disegnano le forme degli analemmi (3), (1) (Questa si assume per costante in ambedue gli emisferi nella descrizione delli gnomoni. La si osserva a mezzogiorno, e varia con la latitudine; cioè è nulla sotto l equatore, eguale allo stilo a 45", e più lunga ad una latitudine maggiore. Slrat. (o) È cosa singolare che Yitruvio nomini questa città, quando essa non era una metropoli, come le altre, ma bensì una colonia antica dei Romani, stabilita particolarmente per opporsi alle incursioni dei Galli. Se non fosse in altro luogo indicata la patria di Vilrnvio, si potrebbe sospettare che fosse stata Piacenza, e che perciò egli avesse voluto distinguerla; però si può invece congbiellurare che vi avesse dimorato in essa per lungo tempo quando era soprintendente alle macchine belliche, ovvero che là si trovasse quando scriveva questo libro, e che abbia addotto per esempio il luogo della sua dimora. Così lo Strafico. A noi sembra che poco possano servire alla critica simili indagini. (3) Queste parole, dice il Salmasio, non possono far conchiudere con lo Scaligero, che gli orologi degli antichi foscoi quali determinansi secondo la ragione dei luoghi e dell' ombre delli gnomoni, le descrizioni delle ore. Analemma è una regola determinata dal corso del sole, e dell' ombra crescente, scoperta dall'osservazione del bruma (r), per la quale coi metodi archilei tonici e colle descrizioni del compasso ne fu riconosciuto l'effetto nel mondo (2). Mondo poi è la primitiva concezione delle cose tutte naturali, e del cielo conformato di stelle: volvesi questo (3) continuamente dintorno alla terra e al mare pei cardini estremi dell' asse: perchè la potestà naturale architettò così questi luo Mro descritti dietro 1' osservazione della bruma. Primamente perchè analemma non significa orologio, anzi era affatto diverso, e serviva invece ad indicare la maniera, con la quale dovevano designarsi gli orologi. Su questo potrà vedersi dagli eruditi ciò eli' espone lo stesso Salmasio nelle sue esercitazioni alla pag. j3g. Qui solo osserveremo col Perrault e con lo Strafico, che la correzione da quello portata nel testo non basta a dilucidarne il senso, male intendendosi che. V ombra vada crescendo dal solstizio invernale all' estivo, perchè anzi accade tutto il contrario. Ma a noi sembra che il vero senso del testo sia: l' analemma è una norma stabilita dietro il corso del sole e la lunghezza dell' ombra, cominciando l'osservazione dalla bruma, cioè dal solstizio d'inverno, siccome da un punto fisso. Il nome di analemma non è escluso dalla moderna scienza astronomica, e significa una proiezione ortografica della sfera, e serve a risolvere questo problema generale: Data la declinazione del sole, e conoscendo una delle tre quantità, altezza, ora ed azimut, determinare le altre due. (1) Abbiamo usato bruma come nel latino. Altri traducono solstizio d' inverno. (2) Veggasi la Giunta II. a questo libro. (3) Gli antichi chiamavano etere la parte di cielo più pura, ed aria la parte nebulosa. Alcuni però suppongono
che il nome etere provenisse da due voci greche, che significano sempre corrente, ed altri da, altre due, che vogliono dire sempre riscaldante. ghi, collocando i cardini come centri l'uno di qua della terra e del mare alla sommità del mondo presso le stelle del settentrione; 1' altro al di là di contri sotto la terra (i) nelle parti meridionali: ivi poi all' intorno (2) di questi cardini formò certe girelle come ai centri di un torno (3), che (1) Il testo: alterimi trans contro sua terra, ed i cotnenlalori, fra cui il Pontedera, si affaticarono ad immaginare correzioni a questo passo, perché la maniera di dire non è tutta pura. Ma noi domanderemo qual sia quel classico, che nelle sue opere non abbia qualche periodo da non proporsi ad esempio di purezza. Ma questa non dev' essere tanto scrupolosamente cercata nei libri di scienza; in questi basta che il linguaggio sia esatto in quanto al valore dei termini, onde chiara emerga la sentenza dell' autore. E ciò appunto ha luogo in questo passo di Vitruvio. Ognuno qui comprende che il polo boreale sta nella parte superiore al di là delle stelle settentrionali, e che 1' australe è situato inferiormente nelle regioni meridionali. E come si abbia a concepire questa parte superiore ed inferiore, lo sa ogouno che conosca la posizione relativa della sfera, detta dagli astronomi obbliqua, perchè tutti quegli abitatori 'che si allontanano dall' equatore hanno il piano del loro orizzonte più o meno inclinato al piano dell' equatore stesso: e Vitruvio considerava la posizione della sfera celeste quale appariva in Roma, la cui latitudine geografica è di 4'° 53' 54" (a) Noi ci accordiamo nella interpretazione di questo passo col Galiani, il quale nota cosi: „È bastantemente „ oscuro questo passo, tanto che pare, che per orbiculos ab„ bia forse voluto intendere de' cerchi polari, ne' quali sono „ i poli dell'ellittica f vorrà il Galiani dire del mondo o del„ 1' equatore ), e intorno a' quali per conseguenza si raggi„ ra, diremo cosi, il cielo particolare dei pianeti: ma dal „ contesto piuttosto si ricava, che per orbiculos ha voluto „ materialmente intendere di due buchi, o sieno anelli, den„ tro i quali girassero le due estremità del figurato asse del „ mondo ". (3) Questa immagine materiale serve oltremodo a spiegare il principio fondamentale del sistema Tolommaico, ch'era seguito universalmente ai tempi di Vitruvio, e che supponeva essere la terra immobile nel centro dell' universo, intorpo 3 cui si giravano tutti gli astri, i quali dovevano nella in greco si chiamano poli, pei quali il cielo sempiternamente pervola: così stando in mezzo la terra col mare, è collocata naturalmente nel luogo del centro. i4- Disposte queste cose dalla natura in modo, che nella parte settentrionale il centro abbia 1' altezza più sollevata dalla terra, e nella parte meridiana, sottoposto ai luoghi inferiori, sia dalla terra oscurato (i), si passa pure per lo mezzo una zona trasversale a guisa di circolo inclinata a mezzogiorno, configurata di dodici segni (2), rivoluzione diurna essere dotati di una inconcepibile velocità assoluta. Questo sistema fu interamente distrutto da Copernico: nulladimeno si avverta, che nelle osservazioni anche odierne per determinare i fenomeni celesti, si suole seguire la maniera Tolommaica, siccome quella che si conforma alle apparenze ed ai nostri sensi; quindi si suppone sempre 1' osservatore nel centro della sfera celeste. Il calcolo poi sa modificare le apparenze in guisa che corrispondano alla realtà. (1) Ciò conferma quanto si disse stili' obbliquità della sfera considerata da Vitruvio, per cui dice che la terra si oscurava nelle parti meridionali. La qual cosa mostra, come osserva lo Stralico, quanto poco fosse conosciuto dagli antichi 1' emisfero australe. Tuttavia essi conoscevano gli antipodi, od almeno concepivano la possibilità della loro esistenza, come si può dedurre dalle parole di Plinio nel lib. II, cap. 64- 65. (a) Gli antichi astronomi, per amore di brevità, determinarono alcuni gruppi di stelle per mezzo di nomi, che dedussero dalla somiglianza che presentavano con alcuni oggetti ad essi più famigliari. Pochi però furono questi nomi nei primi principj, poiché Giobbe, Omero ed Esiodo non parlano che di sole sette costellazioni. Questo numero però andò successivamente aumentando, ed in particolarità nei tempi più recenti, in cui coli' ajuto dei telescopi o col mezzo della navigazione, si potè osservare una maggior quantità di stelle. Vitruvio ne descrive quarantotto come determinate ai suoi tempi, cioè - le dodici che formano lo zodiaco, le cui apparenze con certa disposizione di stelle in dodici eguali parti divise, si esprimono con immagini dipinte dalla natura: onde queste rilucendo col mondo, e coli' ornamento delle altre stelle pervolando all' intorno alla terra ed al mare, eseguiscono il loro corso a seconda della ritondezza del cielo. i5. Tutte queste cose poi visibili ed invisibili sono legate al necessario ordine delle stagioni, e se questi segni divagano col cielo sopra la terra, gli altri al di sotto di questa sono oscurati dalla sua ombra: però sempre sei fra questi stanno al di sopra: perchè quanto una parte dell'ultimo segno è forzata nell' abbassamento della sua circolazioue a nascondersi sotto terra, altrettanto dell' opposto segno sospinto dalla necessità della circolazione, roteando dai luoghi occulti ed oscuri esce alla luce. Perchè una stessa forza e nenessità 1' oriente e l'occidente nel
medesimo tempo produce. Essendo poi questi segni in numero di dodici, e possedendo ciascheduno una duodecima parte del mondo, e girando essi di contiventi che stanno nell' emisfero boreale, e sedici nell'australe. Canopo viene poi semplicemente nominato, perchè non è visibile in Europa. In questa descrizione segue Democrito, com' egli stesso lo dice nel cap. 7.; dal che si. conosce la ragione, per cui omette la chioma di Berenice. Parimente non nomina il cavallo miuore, siccome costellazione figurata dopo Democrito. Antinoo poi fu descritto e denominato dopo che fu Vitruvio Resta quindi ancora in dubbio, se ai tempi di Augusto si conoscesse il segno della Libra, come vogliono alcuni, stantechè Vitruvio accenna soltanto ciò che descrive Democrito. Strafico. nuo da oriente ad occidente, così questi segni con opposto corso la Luna, le stelle di Mercurio, di Venere, lo stesso Sole, e parimente Marte, Giove, Saturno (i), percorrendo come per ascensione di gradi, ognuno con diversa estensione di giro da occidente ad oriente (2) nel mondo si muove. 16. La Luna (3) in ventotto giorni e un'ora (1) Questi sono i sette pianeti conosciuti anticamente, i cui nomi furono dagli Egiziani attribuiti ai giorni della settimana, cinque dei quali si conservano tuttora, avendosi chiamato sabbato il giorno consacrato a Saturno, e domenica quello al Sole, per ordine dell' Imperator Costantino, secondo Niceforo, e secondo Bcda, di Papa Silvestro, alfine di ricordare due epoche importanti nella religione di Cristo, una del vecchio e 1' altra del nuovo Testamento. A questo passo il Filandro fa menzione di un libro di Teodoro Gaza sui mesi, tradotto dal greco da Giovanni Perdio, in cui si parla della corrispondenza fra le distanze reciproche dei pianeti e le note musicali. Noi abbiamo già accennata questa teoria nella Giunta III, lib. V. (2) I pianeti, oltre al moto comune a tutta la sfera celeste, per cui ( parlando sempre secondo il sistema di Tolommeo, ossia secondo le apparenze) si ravvolge intorno alla terra nel tempo di ventiquattr' ore, hanno un moto loro particolare, col quale descrivono alcune orbite più o meno grandi intorno alla terra in tempo proporzionale alle medesime, e che pel Sole è quello di un anno Avverte il Filandro in questo proposito, che anche Plinio dice aggirarsi i pianeti con moto proprio in, senso contrario al moto comune, cioè questo aver luogo verso destra, e quello verso sinistra; ove devesi intendere che gli antichi chiamavano sinistra la parte orientale, e destra 1' occidentale. (3) La rivoluzione periodica della Luna ( cioè il tempo che impiega a tornare allo stesso punto celeste ) si compie in 27S nh t e la rivoluzione sinodica ( cioè il tempo che passa fra due congiunzioni col Sole) in igS 12h 34' 2", 85. Plinio si approssima più che Vitruvio alle moderne osservazioui, dicendo nel lib. II. c. 9. che la rivoluzione della Luna si compie in ventisette giorni ed un terzo di giórno. circa di più, percorrendo il giro del cielo col ritornare allo stesso segno, da cui cominciò la sua mossa, termina il mese lunare. 17. Il Sole poi nel giro di un mese oltrepassa lo spazio di un segno, che è la duodecima parte del mondo: così in dodici mesi percorrendo gl'intervalli de'dodici segni, quando ritorna allo stesso segno, d' onde è partito, compisce lo spazio di un anno. Ond' è che quel circolo (1) che la Luna percorre tredici volte in dodici mesi, in quei medesimi mesi è una sola volta misurato dal Sole. 18. Ma le stelle di Mercurio (2) e di Venere all' intorno de' raggi del Sole coronando co' loro viaggi il Sole stesso a guisa di centro fanno i retrocedimenti e le ritardazioni (3). 19. Parimente per le stazioni cagionate da quella circolazione si formano negli spazi de' se ti) Se si considera la rivoluzione lunare di ventotto giorni, come stabilisce Vitruvio, si vede che a fare tredici rivoluzioni vi vogliono. 364 giorni, ossia quasi un anno solare. (2) Vedesi che Vitruvio riteneva aggirarsi Mercurio e Venere intorno al Sole, e unitamente a questo poi rivolgersi intorno alla terra, nello stesso modo che ora si sa girare un pianeta primario unitamente ai suoi secondar] intorno al Sole. Tale supposizione proveniva dall' essere quei due pianeti inferiori, cioè posti fra la terra ed il Sole. I fenomeni qui accennati dei medesimi sono relativi al così detto passaggio dei medesimi sul disco del Sole. (5) L' originale regrcssus et relardationes. Barb. ritorni e dimore. Gal. retrogradazioni e stazioni. Quest' ultimo si attenne più alle moderne denominazioni di questi fenomeni, per cui tali pianeti si dicono, in quei determinati tempi, avere moto retrogrado o stazionario. cni, e ciò si riconosce massimamente dalla stella di Venere, perchè seguendo ella il sole, dopo il tramonto di esso
apparendo nel cielo, e chiarissimamente lucendo, chiamasi Pesperugo (1); in altri tempi poi precorrendo e nascendo avanti la luce, chiamasi Lucifer. Così alcuna volta dimorano parecchi giorni in un segno, ed alcuna entrano più celeremente in un altro. Però, benché non consumino un egual numero di giorni in ciaschedun segno, pure quanto per lo innanzi hanno ritardato, altrettanto in appresso velocemente scorrendo, compiono giustamente il cammino. Da ciò avviene, che per quanto dimorino essi in alcuni segni, tuttavia quando si liberano dalla necessità dell'indugio, velocemente eseguiscono la giusta circolazione. 20. Parimente la stella di Mercurio (2) trasvola nel mondo in maniera, che in trecento sessanta giorni correndo per gli spazi de' segni, perviene a quello, da cui cominciò a fare la prima mossa della circolazione, onde il suo viaggio è talmente compartito, che in ciaschedun segno consuma all' incirca il numero di trenta giorni. 21. Venere poi, quando è liberata dall'impedimento de'raggi del Sole, in trenta giorni (3) (1) Si è ritenuto col Galiani il nome Ialino Vesperugo, e cosi Lucifer. (2) Secondo la lezione del Pontedera, che sanamente trae da un codice autorevolissimo item in cambio di iter. (3) Qui osserva lo Stratico, che da Perrault si vorrebbe leggere quaranta in vece di trenta, poiché diversamente, percorre lo spazio di un segno, e quanto di meno di quaranta giorni in ciascuno segno è tenuta, al tempo della stazione restituisce quella somma di numero fermandosi in un solo segno; onde misurata tutta la circuizione nel cielo in quattrocento ottantacinque giorni ritorna di nuovo a quel segno d'onde avea pria cominciato il suo viaggio. 22. Marte in seicento ottantatre giorni all' incirca vagando per gli spazi delle stelle giunge a quello, da cui avea principiato a fare il suo corso: e se in alcuni segni più celeremente percorre, al tempo della stazione riempie un numero eguale di giorni. 23. Giove (i) ascendendo con più placidi gradi non ammettendo che Venere impieghi più che quaranta giorni a percorrere ciascun segno dello zodiaco, non metterebbe quattrocento giorni a descrivere tutta 1' orbita, come dice poco dopo "Vitruvio, nel che si accorda pure il Newton. Questa correzione però viene rigettata dall' Ortiz, perchè Vitruvio intende di dire, che se il pianeta di Venere non fosse impedito dai raggi del Sole, descriverebbe la sua orbita in 56o giorni; ma poiché i raggi del Sole fanno che impieghi a percorrere un dato segno un tempo doppio di quello che farebbe movendosi liberamente, restano c'aggiungersi 125 giorni, sicché l' orbita viene percorsa in 485 giorni. (i) Galiani, seguendo la lezione del codice Vaticano, dice che Giove impiega 56o giorni a percorrere un segno dello zodiaco, sicché descrive 1' orbita sua in undici anni e 5l6 giorni, con che si avvicina al calcolo di Tolommeo; che se si assume 565 giorni per ciascun segno si ricava, che a descrivere 1' orbita intera vi vorrebbero dodici anni e ventidue giorni, ciò che non si approssima al calcolo di Tolommeo, nò produce il numero del testo di undici anni e 365 giorni. Ma, dietro 1' osservazione dell' Ortiz, Vitruvio dice, che Giove sta in un segno 565 giorni in circa, i quali però sono precisamente 564 giorni e venti ore; e che per ciò 1' orbita si contro la revoluzione del mondo, in trecento sessantacinque giorni in circa misura ciaschedun segno, e consuma anni undici e giorni trecento sessanlatre finché ritorna a quel segno, in cui era dodici anni prima. • • , 24. Saturno (1) in mesi (2) ventinove e pochi giorni, passando per lo spazio del segno in ventinove anni e giorni centosessanta in circa, si rastituisce dov'era trent'anni prima: onde quanto è meno distante dell'ultimo cielo, tanto maggiore circonferenza della ruota percorrendo, apparisce più tardo. « 25. Quelli poi (3) che fanno il viaggio al di ,' . .' ■ compie nel tempo indicato dal testo. La durata poi delle rivoluzioni dei pianeti indicata da Vitruvio non corrisponde a quella calcolata dai recenti astronomi; e perciò veggasi la Giunta II. a questo libro. (1) Era questo creduto il pianeta più distante dal Sole fino ai tenipi di Herschcl, da cui fu scoperto Urano, il qua5le dista dal Sole, in confronto di Saturno, nel rapporto di I96 : ilo. Vedi la Giunta IL (a) Non si può comprendere come il Galiani e 1' Orsini abbiano tradotto il latino undetriginta per trentauno; quando un semplice calcolo basta ad accertarsi che Vitruvio intese di dire ventinove. DilYntti se impiegasse Saturno più che trentaun mesi a percorrere un segno, dovrebbe stare più che trent.iun anni a descrivere l' intera orbita; ma Vitruvio dice che quesl' ultima si compie in poco più di ventinove anni, che corrisponde appunto a poco più di ventinove mesi per segno. (3) Lo Stratico cerca di dilucidare questo paragrafo cosi. Quei pianeti poi che compiono la sua orbita fuori dell'
orbita solare, quando si trovano particolarmente col Sole in un triangolo non progrediscono, ma retrocedono, e rimangono stazionari finché il Sole non passi da quello in un altro triangolo. La causa di ciò viene da taluni attribuita alla molta distanza dal Sole, per cui quei pianeti non essendo bastantemente illuminati, sono dall' oscurità impediti nel Iosopra della circolazione del Sole, massimamente quando sono nel triangolo da esso occupato, allora non progrediscono, ma retrocedendo indugiano, finché lo stesso Sole da quel triangolo faccia passaggio ad un altro segno. 26. Alcuni credono che ciò succeda per questa ragione: il Sole, dicono, allontanandosi per una certa distanza fa sì che gli astri errando per non illuminati sentieri, sieno dall' oscuro impediti: ma noi non siamo di questa opinione. Perchè lo splendore del Sole è perspicibile ( 1 ) e patente senza oscurazione alcuna per tutto il mondo, come apparisce anche a noi, quando quelle stelle fanno i loro regressi e le loro dimore. ro progresso; ma noi ( dice Vitruvio ) non siamo di questo avviso, perciocché lo splendore del Sole, senza oscurità, è chiaro per tutto il mondo, anche allorquando osserviamo i pianeti essere retrogradi e stazionari. Laonde se il nostro sguardo giunge fino a tale distanza, perchè vorremo supporre che apparisca oscuro ai pianeti? Quindi è da ritenersi che ( essendo proprietà del calore di attrarre a sè ogni cosa, siccome per esso dalla terra sorgono i frutti, e dai fonti le acque s' innalzano fino alle nubi ), il veemente calore dei raggi solari diffusi in forma triangolare attrae i pianeti che si succedono, e faccia ritardare ed arrestarsi quelli che precedono, e non li lasci progredire, ma li sforzi invece a retrocedere ed a fermarsi in un altro triangolo. - E così progredisce Io Strafico a sviluppare il testo vitruviano. Ma a noi sembra che invece doveva indicare di qual maniera ai nostri giorni si renda ragione della retrogradazione e stazione dei pianeti dopo il gran principio newtoniano dell' attrazione universale ed i calcoli sorprendenti di La-Place nella sua meccanica celeste. Veggasi la Giunta li. (1) Il testo perspicibiiis et patens. Ptrspicibile da perspicibilis sarà un latinismo, ma tollerabile al paro di patente da patens e di tantissimi altri. A noi sembra che difficilmente possa trovarsi vocabolo più espressivo. 27. Se dunque a tanti intervalli può questo la nostra vista discernere, perchè mai giudichiamo noi, che si possano frapporre oscurità ai divini splendori degli altri? Piuttosto noi vediamo in ciò la ragione; che siccome il fervore evoca ( 1 ) ed attrae a sè tutte le cose ( talché per mezzo del calore veggiamo anco i frutti sorgere ed alzarsi da terra, e non meno i vapori dell' acqua per l' azione dell' arco suscitarsi dai fonti alle nuvole ), così V impeto veemente del Sole spargendo a forma di triangolo i raggi, attrae a sè le seguaci stelle, e le percorrenti frenando e ritenendo non lascia avanzare, ma sforza a retrocedere a sè, ed entrare nel segno dell' altro triangolo. 28. Forse si desidererà di sapere perchè il Sole nel quinto segno dal suo, piuttosto ohe dal secondo o dal terzo, che gli son più vicini,-generi co' suoi fervori queste ritardazioni. Io dunque esporrò come ciò mi sembri avvenire. I suoi raggi si distendono nel mondo per linee, colla forma di un triangolo di lati uguali. Ciò accade nel quinto segno nè più nè meno dal suo. Perciò se i raggi diffusi circolarmente vagassero per tutto il mondo, nè dirittamente sporgendosi, non si delineassero in forma di triangolo, le cose più vicine arderebbono. E ciò sembra essere stato anco da Euripide, poeta greco, osservato, il quale così (i) Il testo evocai. scrive nella favola di Fetonte: Arde le pi lontane , le più vicine cose rattempera (i). Se dunque la cosa, la ragione e* la testimonianza di uu antico poeta lo dimostra, non istimo doversi diversamente giudicare da quello che sopra ciò abbiamo scritto di sopra. Giove poi correndo fra la circonferenza di Marte e di Saturno, fa un corso maggiore di Marte, e minore di Saturno: parimente le altre stelle di quanto maggiore spazio sono distanti dall' estremità del cielo, e quanto più vicina hanno la circonferenza dalla terra, con tanto maggiore celerità sembrano andare: e ciò perchè ciascheduno di essi^ facendo una circolazione minore spesso trapassa sotto a quello che gli è di sopra. 2Cj. Nella stessa maniera, che se nella ruota, di cui fanno uso i vasaj, fossero poste-sette formiche, ed altrettanti canali si facessero sul piano della ruota all' intorno del centro, e sempre crescenti fino all' estremità, ne'quali le formiche fossero costrette a fare il giro, mentre la ruota si Voi ve dalla parte contraria, sarebbe non di meno necessario eh' esse facessero a rincontro il loro cammino, e quella più vicina al centro andrebbe più velocemente, ma quella dell' estremo cerchio della ruota, ancorché cammini con eguale celerità, per la maggior ampiezza della circonferenza, (0 II Galiani tradusse all' opposto di quello che dice Vitruvio.
compirebbe molto più tardi il suo corso; cosi gli astri che spingonsi contro il corso del mondo coi loro viaggi compiscono il giro, ma dalla circolazione del cielo vengono trasportati indietro a fare il circolo quotidiano.' 30. Che delle stelle poi sienvi .alcune temperate, altre ferventi, altre ancor fredde, avviene perchè ogni fuoco ha la fiamma ai luoghi superiori ascendente. Onde il Sole ardendo co' suoi raggi fa rovente 1' etere che gli sta sopra; ne' quali luoghi fa il corso la stella di Marte, che dall' ardore del Sole diviene essa pure fervente. Ma Saturno perchè sta vicino all' estremità del mondo, e tocca le regioni congelate del cielo, è sommamente frigido: ond' è che Giove trascorrendo fra le circonferenze dell' uno e dell' altro, dalla refrigerazione e dal calore di quelli soffre nel mezzo convenienti e temperatissimi effetti. Fin qui ho esposto ciò che ho appreso dai precettori della zona dei dodici segni, dei sette astri e della loro contraria operazione e corso, con quali ragioni e numeri passino di segni in segni, e compiscano la loro circolazione: or parlerò del lume crescente e della diminuzione della Luna come dai maggiori ci è stato insegnato. 31. Beroso i partitosi dalla città, ossia na (i) Anche qui lo Stratico espone la teoria lunare di Brroso riferita da Vitruvio con altre parole, seoza dar nemmeno un indizio della verità che si potè dedurre dalle osservazioni degli astronomi posteriori. Vnnvrjo, Lib. ix. 3 zione de' Caldei diffuse anco in Asia la sua dottrina, ed insegnò la Luna essere una palla metà rovente, metà di colore ceruleo; e che quando nel corso del suo viaggio passb sotto 1' orbe del Sole, allora dai raggi e dall' impeto del calore è attratta, e diviene rovente per la sua proprietà di lume a lume: quando poi richiamata dall' orbe del Sole guarda al di sopra, allora quella parte che non è rovente per la sua somiglianza rassembra oscura: ma se sta perpendicolare ai raggi di lui ritiene tutto il suo lume alla faccia superiore, ed allora si chiama prima. Che se trapassando procede alle parti orientali vien meno sudi essa l'impeto del Sole, e 1' estrema parte di sua roventezza manda una sottilissima linea di splendor sulla terra: e da questo si chiama luna seconda. Così dal quotidiano rallentarsi del suo giro si numera la terza e la quarta luna. Nel settimo giorno, essendo il Sole all' occidente, e tenendo la Luna le parti medie del cielo fra oriente e occidente, distante essa dal Sole per lo spazio di una mezza parte di cielo, avrà parimente la metà della sua roventezza rivolta (i) alia terra. Essendovi poi fra il Sole e la Luna la distanza di tutto lo spazio del mondo, il Sole nel passare all' occidente retroguardando (a) 1' orbe della Luna nascente perchè (i) Noi ci accordiamo col Barbaro, col Perrault e con lo Strafico sul significato del verbo converti contro 1' opinione del Guliani.' (a) 11 lat. retrospiciens. Se aspicio si traduce guardare e riguardare, e se retrospicio si volta colle due voci guarsì trova essa lungamente distante dai raggi, ciò che avviene nel giorno decimoquarto, manda lo splendore dalla piena ruota di tutto 1' orbe, ed i residui giorni colla decrescenza (i) fino al compimento del mese lunare, colle revoluzioni (a) e col corso rivocata dal Sole ripassa sotto la ruota e i raggi di esso, e così compisce le fasi mestruali. 32. Or io esporrò le ragioni della sua varietà che Aristarco (3) Samio matematica ci lasciò scritte con grande ingegno (4) nelle sue discipline. Perchè si sa che la Luna non ha un lume suo proprio, ma che è a guisa di specchio, e ché riceve lo splendore dalla percussione del Sole. Inoltre la Luna di tutti i sette astri percorre il circolo minimo vicino alla terra. Onde in ciaschedun mese nel primo giorno, avanti di passare nascondendosi si oscura, e così essendo col Sole si chiama nuova; il giorno dopo che si dice seconda, oltrepassando il Sole, fa una debole mostra della sua-estrema rotondità. Allontanata per tre giorni dal sole cresce e vieppiù s'illumina: scodare indietro, perchè non si comporrà ad esempio del latino un solo verbo italiano, e non si dirà in senso proprio retroguardare? (il II latino decrescentia. In italiano vi è decrescere, ed anco crescenza- Usiamo dunque anche decrescenza. (a) Il testo versationibus. Galiani: giri intorno a sè medesima. (3) La teoria di Aristarco sulle fasi lunari è quasi consona alla moderna. (4) Il lat. vigore magno. Qui vigor sta in senso d' in.genium. standosi poi ogni giorno più, giunta al settimo giorno, distando dal Sol cadente circa una metà di cielo, risplende mezza, e la parte illuminata è quella che guarda il Sole. Nel quartodecimo giorno poi essendo in diametro distante dal Sole per lo spazio di tutto il mondo, si fa piena, e nasce quando il Sole è all' occaso, e ciò perchè distando per tutto lo spazio del mondo gli sta 'dirimpetto, e riceve in sè lo splendore di tutto 1' orbe del Sole ( i ) che la
percuote. Nel giorno decimosettimo quando nasce il Sole ella è presso (2) all'occidente: nel dì ventiunesimo, quando nasce il Sole, la Luna tiene all'incirca le ragioni medie del cielo, e la parte che guarda il Sole è lucente, il resto oscuro. Parimente ogni giorno avanzando il suo corso nel dì vigesimottavo all' incirca passa sotto ai raggi del Sole, e co(r) Il testo: et impelu solis totius orbis in se recipit splendorem. Il Perrault vorrebbe cangiare il latino respicit in rejicit, poiché in qualunque punto si trovi la luna riceve dal Sole in egual modo la luce, ma soltanto non la riflette verso la terra interamente se non quando dicesi piena. Ma tale correzione viene rigettata dal Galiani, perchè le parole totius orbis si devono riferire al disco lunare e non al solare. A noi però sembra che il modo d' intendere del Galiani sia sempre soggetto alla stessa obbiezione fatta dal Perrault, perchè devesi intendere della luce riflessa verso la terra, non già della luce ricevuta o riflessa assolutamente, la quale è sempre nella stessa quantità. La nostra traduzione si conforma forse meglio alla comune lezione ed al senso vitruviano. (a) Il latino pressa ad occidentem. Il Pontedera vuole che pressa significhi prossima, vicina, e che da questa voce sia venuta la voce italiana presso, appresso. La voce latina sta per inclinata, cioè che ha passato il meridiano, e che piega all' occidente; come difatti avviene dopo diciassette, giorni dal novilunio. sì riempie le sue fasi mestruali. Ora io dirò come ne' singoli mesi il Sole entrando nei segni accresca e diminuisca gli spazi dei giorni ( 1 ) e delle ore. CAPO V. Del corso del Sole per dodici segni dello Zodiaco. 33. Quando il Soleva) entra nel segno del# l'Ariete e ne percorre la ottava parte, fa l'equinozio di primavera: quando si avanza alla coda del Toro ed alla costellazione delle Vergilie, dalla quale sporge la metà della parte anteriore del Toro (3) trascorre uno spazio maggiore della me li) Gli antichi dividevano costantemente tanto il giorno che la notte in dodici parti, dette ore; per lo che si vede che la lunghezza di quest' ore variava di giorno in giorno a seconda del moto del Sole, ed a ciò tendevano tutti gli orologi descritti da Yitruvio. (2) In questo capo stabilisce i quattro punti principali del corso del Sole, cioè gli equinozi ed i solstizi. Gli equinozi si distinguono in equinozio di primavera ed in equinozio d'autunno; il primo ha luogo tra il giorno 20 ed il 21 di Marzo quando il Sole è in Ariete, ed il secondo fra il 22 ed il 23 di Settembre quando il Sole corrisponde alla Libra. I solstizi poi accadono al 21 di Giugno ed al 21 di Decem-. bre; il primo dicesi solstizio d' estate, ed ha luogo quando il Sole corrisponde alla costellazione del Cancro; il seconda dello solstizio d' inverno succede quando il Sole corrisponde alla costellazione di Capricorno. (3) Da questa descrizione, come osserva lo Straticc, si deduce che la costellazione del Toro era figurata dagli antichi diversamente da quello che lo è presentemenU- Plinio scrive che le sette stelle chiamale Vergilie eraDo collocate tà del mondo, procedendo alla parte settentrionale. Quando entra dal Toro nei Gemini al nascere delle Vergilie, cresce maggiormente sopra la terra ed allunga gli spazi dei giorni, indi quando dai Gemini ( i ) entra nel Cancro, il quale occupa un brevissimo spazio di cielo, giunto all' ottava parte (2) fa il tempo del solstizio, ed andan nella coda del Toro ( Lib. II. c. 42- )• O ra il Toro è rappresentato senza coda. (j) Gli astronomi antichi si accordano nel dire che le Vergilie, altramente dette Plèiadi, sorgono nel mattino quando il Sole si trova nella costellazione del Toro, e non già quando sta per entrare in quella dei Gemelli; ed i Latini dicono avvenir ciò nel giorno vigesimoterzo dopo che il Sole è entrato in Toro, come si ha da Pliuio, Columella, Varronc, e dalla tavola di Augusto, che viene seguita da Vitruvio, il quale stabilisce che gli equinozi ed i solstizi succedono quando il Sole tocca 1' ottava delle parti, in cui erano divisi i segni di Ariete, Libra, Cancro e Capricorno. Dietro questa osservazioue, ed altri ragionamenti, vuole il Pontedera che qui Vitruvio non abbia detto exorientibus Vergiliis, ma bensì apparentibus ovvero eminentibus Pergiliis. (?) Columella rende ragione del perchè gli antichi non segnavano i solstizj e gli equinozi all' ingresso che faceva il Sole nei singoli segni, ma invece quando entrava iiell' ottava parte; ed è perchè stavano attaccati ai giorni festivi in quei tempi istituiti, dietro 1' opinione di Eudosso, di Metone ed altri astronomi, che dicevano allora accadere gli equinozj ed i solstizi, benché avvengano quando il Sole incomincia a percorrere quei segni, come insegnò dopo di essi Ipparco. L' ottava parte poi di un segno significava l' ottavo giorno dacché il Sole era entrato nel medesimo, poiché essendo ogni segno diviso in trenta parti o gradi, dei quali il Sole ne percorre uno per ogni giorno, ne segue
che 1' ottava parte, secondo 1' ordine della numerazione, veniva ad essere l' ottavo grado, e quindi 1' ottavo giorno dacché il Sole era entrato, trascurando però la piccola frazione che vi dovrebb' essere, dipendente dal numero dei giorni che formano l' anno solare, il quale supera il numero dei gradi dello Zodiaco di cinque o sei. Plinio e Columella seguono gli astronomi precedenti ad Ipparco nello stabilire il principio do avanti giunge al capo ed al petto del Lione, perchè quelle parti sono attribuite al Cancro. Dal petto poi del Lione, e dai confini del Cancro uscito il Sole, percorrendo le altre parti del Lione diminuisce la grandezza del giorno e della circonferenza, e ritorna ad un corso eguale a quello de' Gemini. Allora dal Lione passando alla Vergine, e dirigendosi al seno della sua veste, abbrevia la circonferenza, e la uguaglia alla misura di quella del Toro. Dalla Vergine poi procedendo per lo seno, nel qual seno stanno le parti prime della Libra, va a fare nella ottava parte di essa Libra 1' equinozio autunnale, e con questo corso pareggia il giro fatto nel segno dell' Ariete. Quando poi il Sole al tramontare delle Vergilie entra nello Scorpione, procedendo alle parti meridiane accorcia la lunghezza dei giorni. Dallo Scorpione trapassando al Sagittario fra le cosce di quello fa ancor più ristretto il giro diurno. Cominciando poi dalle cosce del Sagittario, la delle quattro stagioni quando il Sole entrava nell' ottavo grado dei segni d' Ariete, Cancro, Libra, Capricorno; Ipparco però, come si disse, le stabiliva al principio di questi segni; Ippocrate, il medico, fissava il principio della primavera nel giorno ventesimoquinto di Marzo, dell' estate nel ventiquattresimo di Giugno, dell'autunno nel ventesimoquinto di Settembre, e dell' inverno nel primo di Gennajo. Sosigene invece al ventesimoquinto di ciascuno di questi mesi. Così lo Slratico. Devesi però osservare che nell' opinione di Sosigene vi dev' essere errore, e che si deve ritenere invece del 25 di Gennaio il 25 di Decembro. Noi abbiamo indicato superiormente i giorni, nei quali succedono gli cquinozj ed i solstizi dietro le osservazioni dei moderni astronomi. qual parte è attribuita al Capricorno, fino all'ottava parte, percorre un brevissimo spazio di cielo. Onde dalla brevità diurna vennero i nomi di bruma (i) e di giorni brumali. dal Capricorno passando all'Aquario aumenta ed uguaglia lo spazio del giorno alla lunghezza di quello del Sagittario. Dall' Aquario entrando ne' Pesci, quando soffia Favonio, fa il corso eguale a quello dello Scorpione. Cosi il Sole vagando per quei segni in certi tempi accresce e diminuisce gli spazi dei giorni e delle ore. Ora dirò delle altre costellazioni, che a destra e a sinistra della zona dei segni, cioè dalla parte meridiana e settentrionale del mondo sono disposte e figurate di stelle (2). CAPO VI. Delle costellazioni che sono dalla parte . settentrionale. 34. Il Settentrione (3), dai Greci chiamato Arcton ossia Elicen, tiene collocato dopo di sè il (1) Il Vossio desume l' etimologia di questa voce da brevis, da cui si ha brevissimus, brevimus, breumus, brumus', bruma; ed appunto perchè questo punto corrispondeva al solstizio iemale, in cui il giorno è il brevissimo dell' anno. (a) L' originale stellis disposila Jìgurataque. Il Galiani omette queste parole; e l'Orsini: disposte ed a foggia di figure immaginate. Spiegazione troppo ricercata. (3) Dice il Filandro che questo capitolo ed il seguente sono talmente deturpati, che non si può emendarli adequata niente. Egli però assicura di avere corretto tutto quello che le sue congbietturo ed i consigli degli uomini dotti gli custode: non lungi da questo è raffigurata la Vergine, sopra l'omero destro della quale si appoggia una lucidissima stella, nominata da' nostri Provindemiatore ( i )., dai Greci protrygetoìij perchè ha un aspetto più scintillante delle altre. Parimente un' altra stella colorata (2) -vi sta dirimpetto in mezzo alle ginocchia del custode dell' Orsa, che chiamasi Arturo (3). Ivi dalla parte del capo del settentrione attraverso dei piedi dei Gemini è figurato l'Auriga: nella sommità del corno sinistro del Toro (4) vi stanno i piedi dell'Auriga, e pa suggerirono, rimandando i lettori che volessero notizie più esatte sull'astronomia degli antichi alle opere di Arato, d'Igino, di Proclo, di Tolommeo e di altri. Riferisce però che dietro l' enumerazione di Ipparco, di Tolommeo e di Alfonso le stelle ascendevano al numero di milleduecento distinte 'in sei ordini di grandezza: di prima grandezza ne contavano quindici, quarantacinque di seconda, dueceulotto di terza, di quarta quattrocentosettantaquattro, di'quinta duecentododici, e sessantotto di sesta. Tutte poi erano raffigurate sotto quarantotto figure. Seguita il Filandro ad indicare il rapporto fra la grandezza delle stelle e dei pianeti e quella della terra; ma con la inesattezza de' suoi tempi, e supplendo colla immaginazione a ciò che non si può in alcun modo determinare. Veggasi la Giunta II.
(i) Il Pontedera primo di tutti vide la corruzione de'testi, in alcuni dei quali era scritto providentiam, in altri provindemiam majorem, ed in altri ancora provindemiam, majores Graeci. Colla sentenza del Pontedera si congiunge quella dello Schneider, che lesse parimente provindemiatorem, nome appunto che dal Latini davasi a quella stella. (?) Abbiamo seguito la lezione dello Schneider contro gli altri che leggono: candens species ejus est colorata. Item alia stella Egli invece.- colorata item alia stella. (3) Questo nome significa coda dell' Orsa, ed è così chiamata una stella di prima grandezza, perchè sta fra le gambe di Boote, od Orsa maggiore, e la seguita quasi custodendola, per cui appunto dicesi anche Custode. (4) Filandro ha corretto questo periodo dietro la leziorimente colla mano manca l' Auriga ( i ) tiene le stelle chiamate Capretti, e la Capra: sulla spalla sinistra, al di sopra del Toro e dell' Ariete, sta il Perseo, il quale a diritta, distendesi sotto la base delle Vergilie, a manca verso il capo dell' Ariete e colla mano destra appoggiandosi al simulacro di Cassiopea, e tenendo la sinistra sopra la Auriga prende il capo Gorgoneo, e lo sottopone ai piedi di Andromeda (2). Parimente i Pesci (3) ne di molti, ed il senso di ciò che voleva esporre vi. travio. (1) Galiani dice che se invece di Aurigam si leggesse Taurum, il senso risulterebbe chiaro, perciocché la sinistra di Perseo non cade sopra l' Auriga, ma bensì tiene la testa del Gorgone sopra il Tauro. Newton però osserva che ciò sarebbe vero se si considera col Galiani il polo settentrionale come parte superiore; ma poiché Perseo è posto coi piedi sopra l'Auriga, e con la testa verso occidente, cosi devesi considerare l'occidente come parte superiore, e quindi l'Auriga come ad esso inferiore: cosi giustamente può dirsi che Perseo tiene la testa del Gorgone sopra l' Auriga, e la correzione del Galiani è inutile. Stratico. (1) Il testo è confessato da tutti intricatissimo. Per onore di Vitruvio dee dirsi che sia qui stato sconvolto e mutilato in modo da non lasciar luogo a giusta composizione. Giacché si tratta di un sistema astronomico abbandonato iu forza delle osservazioni dei tempi posteriori, lascieremo di occuparci di nomi e di cose inveterate e di poca utilità per la letteratura e per la scienza. Però noi abbiamo voluto seguire la lezione de' filologi che sembrarono a noi i più dotti, fra' quali lo Schneider. (5) Galiani interpreta questo passo così: i Pesci sono sopra Andromeda ed il suo ventre, e sopra In spina del Cavallo. Lo stesso dicasi dell' Ortiz, il quale traduce: il Pesce aquilonare sta sopra il ventre di Andromeda, e 1' .lustrale sulla spina del Cavallo. AH' estremità poi del ventre del cavallo si trova una risplendentissima stella, che serve come di confine fra questa costellazione e quella di Andromeda. nelle quali configurazioni si accordano gli antichi coi moderni astronomi.
stanno sopra Andromeda, e sopra il ventre di lei e quello del Cavallo, le quali stelle stanno sopra la spina di quell' altro Cavallo, del quale la lucidissima stella del ventre, separa il ventre del primo, e il capo di Andromeda. La mano destra di Andromeda è posta sopra il simulacro di Cassiopea, la sinistra sopra il Pesce aquilonare. Pariinente l'Aquario sopra la testa del cavallo; le unghie (1) del Cavallo toccano Cassiopea (2): in mezzo alle ginocchia dell' Aquario sta il Capricorno; in alto soprastanno l'Aquila ed il Delfino; presso a questi v' è la Saetta: dietro ad essa l'Uccello, la cui destra penna tocca la mano di Ce« feo e lo scettro (3), la sinistra sporge al di sopra fi) Il testo: equiungulae atlingunt Ajjuarii genita. Lo Stralici) dice che il testo sarebbe in contraddizione se non si leggesse equiungulae atlingunt avis pennas; poiché poco dopo dice che i piedi del Cavallo sono sotto la coda del Cigno, come fu osservato dal Filandro e dal Perrault. Il Galvani non rigetta assolutamente questa correzione, ma però dice che sarebbe meglio leggere auriculae in vece di unguMe, stantechè le orecchie del Cavallo sono rivolte ai ginocchi dell' Aquario, ed il verbo attingunt non significa propriamente toccare, ma tendere ad una determinata parte. Al che aggiunge il Newton che Vittuvio dice essere i Pesci dietro al Cavallo. Prossimo ad essi poi nella linea dello Zodiaco vi è l' Aquario, e, come dice Vitruvio, alla testa del Cavallo; indi i piedi del Cavallo sono disegnati sotto le ali del Cigno; laonde in questa posizione non è possibile che le unghie del Cavallo giungano alle ginocchia dell'Aquario. A queste correzioni del Filandro, del Perrault e delGaliani aggiunge lo strafico quella di leggere gula invece di gcnua, e 1* Ortiz quel» la di leggere umani. Noi seguimmo la lezione dello Schneider. (1) Galiani, e dietro a lui Newton ed Ortiz, vorrebbero leggere Aquarii invece di Cassiopea. (3) Il Pontedcra vorrebbe leggere serpente invece di scettro.
di Cassiopea; sollo la coda dell' Uccello stanno i piedi del Cavallo (i). Indi il Sagittario, lo Scorpione, la Libra, e al di sopra il Serpente colla punta del becco tocca la Corona: in mezzo di esso 1' Olioco (2) tiene fra le mani il Serpente, calcando col piè sinistro in mezzo della fronte dello Scorpione. Non lungi dal capo dello Scorpione è posto il capo di quello che chiamasi l'Inginocchiato (3). Le sommità delle loro teste sono facili a riconoscersi, perchè sono formate di stelle non fosche. Il piede dell' Inginocchiato si appoggia alla tempia del capo di quel Serpente (4) che è fra le Orse ( che si chiamano settentrioni ) implicato: verso quelle piegasi un poco il Delfino (5). Dirimpetto al becco dell' Uccello è posta (1) Dalla descrizione del Cigno fatta qui da Yitruvio conchiudono Galiani ed Orliz, che la configurazione di questa costellazione fosse presso gli antichi affatto diversa dall' odierna, cioè che l'ala sinistra si figurasse ove segnasi ora la coda, e la coda dove ora sta 1' ala sinistra; nel qual modo soltanto V ala sinistra poteva guardare Cassiopea, e la coda coprire 1' upghie del Cavallo. (9) Il Serpentario. (3) Cioè Ercole, il quale viene raffigurato nell' attitudine di premere con un piede la testa del Drago. Si è seguita la emendazione dell' oro, fatta dietro un codice dell' Escuriale. (4) Si dovrebbe leggere Drago da quanto segue. (5) Il testo: parve per eos Jlectitur Delphinus. Galiani: si discosta un poco il Delfino. Barbaro: dove per la bocca si piega il delfino contro il rostro dell' Uccello, in conformità del Filandro che cangia parve per eos in equi pareri per eos L' Orsini: ben poco da' Cavalli distante piegasi il Delfino. Anche il Perrnult, seguendo il Filandro vorrebbe leggere equi parvi per eos, perché il Delfino sta alla fronte del piccolo Cavallo. Ma siccome Yitruvio non parla di questo Cavallo, cesi deve supporsi che ai suoi tempi non fosse la Lira. Fra le spalle del Custode e dell'Inginocchiato è accomodata la Corona. Ma nel cerchio settentionale stanno due Orse fra se congiunte coi dossi delle scapule, coi petti al contrario, la minore delle quali da' Greci chiamasi Cinosuraj la maggiore Etica: i loro capi sono costituiti colla guardatura al contrario ( 1 ): le code si figurano disposte, e voltate ciascheduna verso la testa dell' altra; e così queste code sollevandosi soprastanno all' una e all' altra testa. Per le code di queste si sporge il Serpente: e quella stella che chiamasi Polo splende vivissimamente intorno al capo del Settentrione maggiore (a): perchè quelcostituita questa costellazione, e quindi il Gnliani opina che non si debba alterare il testo, nulla essendovi d' altronde di assurdo nella lezione comune. Newton poi crede che invece di Delfino si debba leggere Antinoo, perchè la posizione di questa costellazione non è lontana dall' Ofiulso, di cui parla Vitruvio, tanto più che non viene da Vitruvio stesso indicata, benché sembri che nvesse voluto farlo quando accennò la costellazione che sta di contro al Delfino. strato (t) L' originale e capita interse despicìentia. Il Galiani ha tradotto: i loro capi guardano all' ingiù; cosi il Barbaro e 1' Orsini, da despicio, che si spiega appunto per guardare all' ingiù Ma se stiasi all' etimologia del verbo, despicio è l' opposto di spedo, che significa guardare, vedere: in conseguenza l' inter se despicientia vuol dire che le due teste sono collocate in modo che non si posson vedere, cioè V una al contrario dell' altra. (3) Qui sembra la lezione oscura e mancante; ma bisogna pensare che Vitruvio non va descrivendo le sole costellazioni, ma ben anche parecchie stelle singolari, e eh' egli non si propose di fare il catalogo di tutte le stelle e di tutte le costellazioni, ma di quelle sole che si vedono nel nostro emisfero a nascere ed a tramontare; quindi non è da fare le meraviglie se passa da un luogo ad un altro. Quindi, descritta questa parte del. Serpente che si stende alle code delle Orse, prima d'indicare quel Desso dello stesso Serpenla che è vicina al Dragone s' iuvolve d' intorno al capo di quello, poscia insieme si getta, e si piega intorno al capo della Cinosura, e si allunga fin presso a' suoi piedi: questa stella poi intona e ripiegata sollevandosi devia dalla testa dell' Orsa minore alla maggiore verso il rostro e la tempia destra del capo. Parimente sopra la coda della minore vi sono i piedi di Cefeo, ed ivi alla estrema cima stanno le stelle che formano un triangolo (i) di lati uguali sopra il segno dell' Ariete. Vi* sono poi molte stelle assembrate fra V Orsa minore, e l'immagine di Cassiopea (2). Fin qui parlai di quelle costellazioni che sono disposte in cielo tra la zona dei segni ed il settentrione. Ora ragionerò di quelle che sono distribuite dalla natura alla sinistra dell' oriente ed alle parti meridionali. CAPO VII. Delle Costellazioni delle parti meridionali. Mi. -Primieramente sotto il Capricorno vi è il Pesce austrino (3) che guarda la coda della Ba te, che chiama anche Draco, passa ad accennare due lucide
stelle che stanno nelF Orsa minore. 1 (1) Il triangolo che sta sopra all'Ariete viene da taluni riputato scaleno, da altri isoscele, il cui vertice sta ai piedi di Andromedala) Galiani ed Ofliz vorrebbero leggere Cefeo in luogo di Cassiopea. (3) Lat. austrinus. Australe" lena (i): da quello al Sagittario vi è un vacuo (2). Il Turibolo sta sotto l'aguglione (3) dello Scorpione. Le parti anteriori del Centauro (4) sono vicine alla Libra ed allo Scorpione, e tengono in mano quella figura che i periti degli astri nominano Bestia (5). Lungo la Vergine, il Leo- ne ed il Cancro, la Serpe spiegando una tortuosa schiera di stelle succinge la regione del Cancro, ergendo il becco al Leone, ed alla metà del corpo sostenendo il Cratere, mentre verso la mano della Vergine le distende la coda 411 cui stassì il Corvo. Le stelle poi che stanno sopra le scar pule (6) sono egualmente lucenti: nel di dentro del ventre della Serpe v' è sottoposto alla coda il (1) Chi legge Cephea e chi Ceti. Perrauh vorrebbe anche sostituirvi Centaurum. (2) Forse, dice lo Stratico, che le stelle, le quali trovandosi nel piede destro del Sagittario, anticamente si riferivano al Pesce australe, o fors' anche dai moderni ve ne saranno state aggiunte. (3) Lat aculeus. Il Barbaro artiglio. Galiani pungiglione. Orsini pungolo. (4) Due sono i Centauri, cioè il Sagittario, di cui si parlò, e quello che passa sotto la forma di Lupo. (5) Si è seguita la lezione del Perrault e di altri. (6) Qui Vilruvio non parla del segno della Vergine, e te il Perrault avesse a ciò posto mente non avrebbe fatto le meraviglie perchè non vi sono stelle lucide sulle scapole della Vergine. Ma qui si parla del serpente, ed ivi si veggono stelle rispleudenti. Cosi il Galiani. Ma il Newton discordando da ayibidue dice, che Vitruvio indica le scupole del Corvo poco prima nominato, sulle quali vi sono due stelle di eguale splendore, e tali che non si veggono nè sopra il Serpente nè sopra 1' Idra. Nè la voce scapole poteva applicarsi al corpo del Serpente; la qual cosa essendo stata preveduta dal Galiani, avverti che scapole si dovevano intendere per dorso. Strat. Centauro: presso al cratere ed al Leone la Nave che chiamasi Argo, la prora della quale è invisibile, ma apparisce eminente l'albero con tutte quelle parti che stanno intorno al timone. La stessa navicella colla poppa è congiunta alla estremità della coda del Cane (i). Il Cane minuscolo (2) poi segue i Gemini rimpetto al capo della Serpe (3): parimente il Cane maggiore segue il minore. Ma Orione è sottoposto traverso premuto dall' unghia del Toro (4), tenente nella sinistra la clava elevata verso dei Gemini (5). Sta alla sua base la Lepre (6): al Cane a picciolo (i) Costellazione chiamata Cane maggiore. La stella poi che viene a formare la bocca, e eh' è di prima grandezza si dice canicola ed anche Sirio. Igino però la chiama propriamente canicola, daudo il nome di Sirio ad Un'altra stella che sta sulla testa del Cane. (?) Ma ad una notabile distanza verso i Gemelli ed il Cancro. Questo Cane ha una stella di prima grandezza detta Procione. (3) I Latini davano il nome di anguis al serpente acquatico, detto dai Greci idra. (4) Tutti gì' interpreti si accordano nel leggere Tauri in luogo di Centauri, che si trova nella comune lezione. (5) Perrault invece del testo alteram ad Geminos tollens, vuol leggere eam ad Geminos tollens, intendendo d' indicare la sinistra, perchè Orione ( die' egli ) alza la clava verso i Gemelli con la mano sinistra e non con la destra. Ma questa correzione non si accorda con la vera figura della cosiellazione, come osserva Io stesso Galiani, il quale perciò crede che si debba intendere, che Orione tenga nella mano sinistra lo scudo, e colla destra alzi la clavf contro i Gemelli. Newton però nega la necessità di alcuna correzione purché si divida il periodo dopo il tenens, venendo Orione raffigurato siccome sostenentcsi la veste con la sinistra, e sollevante la clava verso i Gemelli con la destra. Strat. (6) Qui si è totalmente seguita la lezione proposta dal Pontedera. intervallo vien dietro la Lepre. All' Ariete ed ai Pesci è sottoposta la Balena, dalla cui cresta ordinatamente è disposta una leggiera striscia di stelle, detta in greco Harmedone: a grande intervallo al di dentro stringendosi il
nodo delle stelle serpeggianti ( r ) tocca la sommità della cresta della Balena. Un fiume di stelle, che somiglia in vista all'Eridano (2) scorre prendendo il* principio del fonte dal piede sinistro dell'Orione: quell' acqua poi, che si racconta essere versata dall' Aquario, scorre tra la testa del Pesce austrino e la coda della Balena. 36. Or io ho esposto le immagini figurate e formate delle stelle, che dalla natura e mente divina furono disegnate nel mondo, come opinò il filosofo Democrito: ma di quelle soltanto, delle quali possiamo vedere cogli occhi il nascimento c 1' occaso; perchè siccome le Orse rivolvendosi intorno il cardine dell' asse non tramontano, nè si nascondono sotterra; così pure all'intorno del car fi) Chi legge serpentis, chi serpentium, chi piscium. L' Orliz pensa che debba leggersi serpentium, ma che non vada inteso per nome sostantivo, ma per attributo di stellarum. Questa spiegazione, a parere dello Slratico, è giusta. Il Pontedera avea già preceduto 1' Ortiz nello spiegare per aggettivo la voce serpentium. (aj Gli astronomi egiziani dicevano che questo fiume era il Milo; i Greci un piccolo rivo di tal nome nell'Attica; i Francesi il Rodano; gli Spagnuoli il Guadalquivir, o la Guati iana, o lo Stretto d'Ercole. I Greci chiamarono Eridano anche il Po; e forse i Latini per equivoco, come mostra il 80chart, diedero al Po il nome di Eridano, onde far credere agli astronomi che fu trasferita iu cielo la figura di questo fiume. F/TEvrio, Lib. JX. 4 dine meridionale, che stante l'inclinazione del mondo rimane sotto la terra, le stelle giranti e latenti non hanno uscite orientali al di sopra: ond' è che a cagione dell' impedimento della terra ci sono ignote. L' indizio di questa cosa l' abbiamo dalla stella Canopo, la quale non è conosciuta in questi paesi; ma ce ne diedero raggUa• * glio i mercatanti che furono fino alle regioni estreme dell' Egitto, ed ai paesi contermini ai confini ultimi della terra. 37. Or io ho insegnato quale sia il prospetto (1) delle stelle del cielo erranti intorno alla terra, e la disposizione dei dodici segni alle parti settentrionale e meridionale; perchè da questa revoluzione del mondo, e dal contrario corso del Sole pei segni, e dalle ombre equinoziali delli gnomoni si trovano le descrizioni degli analemmi. 38. Le altre cose che appartengono all'astrologia, cioè quali effetti producono li dodici segni, i cinque astri, il Sole e la Luna per la regola della vita umana, deesi lasciare alla raziocinazione de' Caldei: perché è propria di loro la scienza della genetliologia (2) , affinchè possano coi (1) Secondo l' antica lezione perspectus rimessa dal Ponledera. Gli altri leggono ut sit perfectus affatto senza senso. (1) Era una razza d' uomini perniciosa, proveniente dai Caldei, che professava questa scienza, e la quale erasi propagata in Egitto, nell' Arabia, nella Grecia ecc. Tiberio li escluse da Roma, ma furono poi di nuovo accettati a patto che si astenessero dai vaticini. Quella poi era una scienza, per cui si faceva la natività alle persone predicendo gli e-calcoli degli astri spiegare le cose antefalte ( i ) e1 future. Le invenzioni poi che essi lasciarono scritte dimostrano di quale solerzia, di quale acutezza, e quanto grandi siano stati coloro, che uscirono fuori dalla stessa nazione caldea. E primieramente Beroso fermatosi nell' isola di Coo, ivi aprì scuola, poscia lo studente Antipatro, e parimente Achinapolo, il quale spiegò le ragioni della genetliologia non solo dalla nascita, ma eziandio dal concepimento. Talete Milesio poi, Anassagora Clazomenio, Pitagora Samio, Zenofonte Colofonio, e Democrito Abderite lasciarono i loro pensamenti sulle cose naturali, e sui principi dai quali si governa la natura, e come sono generati tutti gli effetti. Seguendo le invenzioni di questi uomini, Eudosso, Eudemone, Callisto, Melone, Filippo, Ipparco, Aralo ed altri dall'astrologia per mezzo delle discipline dei parapegmi (2) ritrovarono il nascere ed il tramontare delle stelle, e le vicende delle stagioni, e le lasciarono spiegate ai posteri. E in vero le scienze di questi filosofi de venti della lor vita, che è ciò che volgarmente si dice dai nostri leggere il pianeta. (1) Lat. antefacta. Se si usa antedetto, perchè non anche antefatto? (a) Salipasio dice eh' era questa una tavola di metallo, sulla quale stava disegnata la configurazione del cielo, ed indicato il nascere ed il tramontare degli astri, come pure i vari tempi dell' anno. Questo nome, di origine greca, significa una qualche cosa affissa in un determinato luogo, come sono gli editti; ed anche la connessione di più parti, il che si adatta all' idea degli strumenti matematici che servono da le osservazioni asuoagjnicjie. Strat. Vono essere ammirate dagli uomini, perchè furono fatte con tanta cura, che sembrano con mente divina presagire le vicende future delle stagioni. Onde queste cose debbono lasciarsi alle loro cure ed applicazioni.
CAPO Vili. Delle regole degli orologi e delle ombre delli gnomoni al tempo equinoziale in Roma ed in alcuni altri luoghi. 3y. INloi però dobbiamo separare dai loro studj le regole degli orologi ( 1 ) e spiegare le brevità e lunghezze (2) mestruali dei giorni. Perchè il sole al tempo equinoziale aggirandosi in Ariefi) Veggnsi la Giurila HI. Tutti gli astronomi antichi tanto babilonesi che di Grecia stabilirono per le loro ricerche di dividere il giorno, in cui cadeva l equinozio, in dodici parti eguali. Nè si poteva al certo far altramente, finché non fosse determinato il nome e 1' uso delle ore. Dopo di che, inventati gli orologi, siccome le ore risultavano ora più. lunghe ora più brevi a seconda della stagione, gli astronomi ed i gnomonici, lasciando la stabilita distribuzione per gli usi civili, riferivano tutte le loro operazioni alle ore equinoziali; perciocché essendo gli orologi conformati dietro il corso del Sole, mostravano le ore per tutti i mesi, crescenti e decrescenti dietro la lunghezza delle ombre, quindi riferivano tutte le operazioni luatcmaliche e gnomoniche all' ombra dello gnomone equinoziale. E non solo la diversità della stagione, ma ben anche quella della posizione di un paese, fa variare la lunghezza delle ore; e perciò in ogni paese per istituire un orologio prendevano per norma 1' ombra equinoziale. Dal Salmnsio, Esercii, pag. t>4i. (2) Il testo depalaliones. Questa voce viene dal Perrault interpretala per proporzione dell' ombra equinoziale, ritenendo che drpalatio proveuga da palo, e significhi una cote ed in Libra delle nove parti che ha dallo gnomone ne fa otto di ombra nella declinazione del cielo ( i ) di Roma: parimente in Atene da quat• sa verticale, la .cui ombra varia ogni giorno. Turnebo e Baldo confessano di non sapere cosa possa intendere Vitruvio con quella voce. Il primo conglnettura che voglia dire rimovimento del palo, cioè quella cosa che indica di qual modo si abbia ad allungare o ad abbreviare la durata del giorno, il quale dipendeva dall' elevatezza o depressione del cono che chiudeva più o meno il foro, onde le ore risultassero più o meno lunghe. Il Baldo invece suppone che derivi dalla voce palar, che significa errare qua e là, quasi voglia indicare 1' ineguaglianza delle ombre che vanno crescendo o diminuendo dall' una o dall' altra parte. Il Galiani però osserva che nel codice vaticano si legge explanationes, la qual voce è nota, e propria a questo luogo. L' Ortiz invece dice che conoscendosi ciò che vuole significare Vitruvio con quella parola, è inutile il cercarne l'etimologia. Può forse derivare dal verbo dispalare o dispaiavi spesso usato dai Latini per indicare alcuni soldati dispersi e separati dall' esercito; ovvero con altri dal verbo depalo, che si trova in molte antiche iscrizioni. P. certo però che Vitruvio qui vuole indicare il crescere ed il decrescere dei giorni. Newton suppone che il nostro autore abbia voluto accennare la disuguale e varia divergenza delle linee che segnano le ore. Fin qui lo Stratico. Il Pontedera dice che l' architetto latino si propone di spiegare le brevità mensili dei giorni, e che perciò con la voce depalaliones deve intenderemo la lunghezza dei giorni, o la loro eguaglianza. A noi sembra che depalaliones indichi un'operazione fatta con un qualunque stromento, detto forse palo, nello slesso modo che da livello dicesi livellazione; e questo era un termine tecnico per indicare le operazioni che si facevano dietro l'ombra del palo o gnomone, oude fissare le linee orarie. Nulladimeno dopo le spiegazioni di tanti oomeutatori non si può ancora veramente accertarsi della natura del vocabolo, e pare doversi dire tuttavia che vi è errore nel testo. Ma essendovi errore si può facilmente correggere colla voce dilatationes, la quale non può non essere stata usata da Vitruvio, mentre al paragrafo 47"P. IX. di questo libro dice: sol dilatai contrahitque dies. La critica è figlia dell' intelletto e della libertà, e deve rompere i legami della pedanteria. (i) La declinazione del cielo, o del Sole, come vuole intendere qui Vitruvio, e come spiega lo Stratico, è 1' arco di tro parti dello gnomone ne vengono tre d'ombra: in Rodi da sette, cinque: a Taranto da undici, nove: in Alessandria da cinque, tre; e in tutti gli altri luoghi le ombre equinoziali» delli gnomoni secondo la diversità dei luoghi dalla natura si trovano diversificate. meridiano compreso fra il Sole e lo zenit dell' osservatore. Dietro questa spiegazione è chiaro che se la latitudine egrafica dell' osservatore è boreale, ed il Sole stia fra l'equatore ed il tropico del Cancro, la declinazione sarà eguale alla somma della latitudine geografica e della distanza del sole all' equatore; che se poi ritenendo la latitudine boreale, ed il Sole stia fra 1' equatore ed il tropico del Capricorno, la declinazione eguaglierà la differenza che passa fra la latitudine geografica e la distanza dal Sole all' equatore; e finalmente se il Sole sta sotto 1' equatore, come accade nei giorni degli equinozj, la declinazione sarà eguale alla latitudine geografica. Laonde 1' ombra meridiana equinoziale di Jtende dalla latitudine geografica del luogo; e quindi dietro e latitudini si potrà facilmente determinare la lunghezza dell' ombra meridiana equinoziale. Devesi però distinguere questa declinazione da quella che unita all' ascensione retta serve agli astronomi per
determinare la posizione di qualunque astro rispetto all' equatore. Quest' ultima declinazione è l'arco di quel circolo massimo, che passa pel polo dell' equatore e per I' astro, compreso fra 1' astro medesimo e l' equatore; per cui si distingue in positiva ed in negativa secondo che si conta dall' equatore verso il polo nord o verso il polo sud; e si determina quando sia data la latitudine geografica e la distanza meridiana dall' astro allo zenit dell'osservatore, poiché eguaglia la somma di queste due quantità se I' osservatore sta fra l'astro e l'equatore, ovvero la differenza se invece l'astro sta fra 1' equatore e 1' osservatore. Dalla qual maniera di calcolare la declinazione di un astro si vede eh' essa è zero quando 1' astro sta sotto 1' equatore. I rapporti poi stabiliti da Vitruvio fra l'altezza dello gnomone e la lunghezza dell' ombra non sono precisamente quelli che risulterebbero dal calcolo, ma la differenza è piccolissima, e si può ritenere, come osserva lo Stratico, che Vitruvio 1' abbia trascurata per tener conto de' numeri intieri. . 4°- Perciò in qualunque siasi luogo si *vogliano delineare orologi, ivi deve prendersi l'ombra equinoziale: e se ( come in Roma ) le parti dello gnomone saranno nove, ed otto dell'ombra, si descriva una linea nel piano (i), e nel mezzo (i) Ecco di qual maniera i comeotatori descrivono la figura qui indicata da Yitruvio. Si segni sul piano orizzontale una retta TB ( lig. 5. Tav. L), ad un' estremità B, della quale s' innalzi BA perpendicolare alla TB, la qual perpendicolare dicesi gnomone. Fatto centro nelF estremità superiore A col raggio AB si descriva un circolo, cui si darà il nome di meridiano. Si divida la AB in nove parti eguali; indi sulla linea orizzontale, contando da B, si segnino otto di quelle parti fino in C, di modo che BC sia 53 g AB; questa BC sarà la lunghezza dell' ombra equinoziale dello gnomone; si guidi la retta CA che indicherà la direzione del raggio solare negli equinozi. Pel centro si tiri la retta IAE, parallela alla TB, la quale dividerà il circolo in due semicircoli eguali, e che .dai matematici viene detta orizzontale. Si divida poi la circonferenza in quindici parti eguali, due delle quali sieno EH ed FG, contate dal punto F, in cui il raggio solare taglia il circolo. Pei punti G, H, così determinati, e pel centro si guidino le rette AGT, Alla, le quali rappresenteranno i raggi solari nei due solstizj estivo e jemale. Pei punti G ed H si guidino le GL, ed HK. parallele al diametro NAF determinato dal raggio equinoziale; l'inferiore di queste fisserà la parte oscurata nella state, e la superiore quella nell' inverno. Si dividano per metà le due corde GL ed HK, e pei punti di divisione, e quindi pel centro, si guidi una retta, che andrà a tagliare la circonlerenza nei punti P, Q, e che sarà perpendicolare al raggio equinoziale; questa viene dai matematici detta asse. Dai puniti M, o di divisione come centri, e coi raggi ML, OK si descrivano due semicircoli, uno per la stagione estiva, l' altro per l' invernale. Siano S, V i punti, in cui le due corde parallele tagliano la linea dell' orizzonte. Si guidi la retta GH alle estremità dei due semicircoli, la quale sarà parallela all' asse, e taglierà la linea equinoziale in X; il suo nome è lacotomo. Finalmente col centro X e col raggio XII si descriva il circolo dei mesi HGC, che dicesi monaco. Diviso poi il manaco in dodici parti eguali, si potrà col suo mezzo determinare 1' ombra meridiana dello gnomone si iflzi ima i ella ortogonale ( i ) in maniera clic stia a squadra, la quale chiamasi gnomone: e dalla linea del piano all' estremità dello gnomone col compasso si misurino nove spazi, ed al termine della nona parte si stabilisca il centro, nel quale siavi la lettera A: indi aperto il compasso, da quel centro alla linea del piano, dove sta la lettera A si descriva un circolo, che chiamasi meridiano: poi delle nove parti, che sono dal piano al centro dello gnomone, se ne prendano otto, e si segnino nella linea dove è la lettera C. Questa sarà l'ombra equinoziale dello gnomone. Da quel segno poi ov' è la lettera C si conduca una linea pel centro dov' è la lettera A, e qui sarà il raggio equinoziale del Sole. Allora dal centro condotto il compasso alla linea del piano si segni l' equidistanza a sinistra in E, e a destra in / liell' estreme linee della circonferenza, e si tiri progettata dal Sole in ciascun segno dello zodiaco: poiché segnati sulla linea GH, i punti i. i. 3. 4> col mezzo delle rette che passano per quelle divisioni, essi indicheranno la distanza del Sole dalla linea equinoziale in ciascun mese; per lo che guidate varie linee dal centro A dello gnomone per ciascuno di quei punti, e prodotte fino ad incontrare la retta TB, sarà determinata la Ifrtaghezzn dell' ombra meridiana per ciascun mese. Si osserva poi giustamente, che la prescrizione data da Yitruvio di dividere in quindici parti la circonferenza, per determinare con una di esse la distanza dall' equinozio al solstizio, prova che ai suoi tempi si calcolava 1' obbliquita dell' eulittica di a4J. Ora però questa obbliquita viene determinata di 93° 27' 43", 1 (T ) L' originale, sta scritto in greco: prò* ortas, cioè ad angoli retti; e da quelle voci grache i matematici hanno formata la sola voce italiana scientifica ortogonale. una linea pel centro in modo che sieno ugualmente divisi due semicerchi. Questa linea dai matematici si chiama orizzonte. Di poi si prenda la decimaquinta parte di tutta la circonferenza, e si collochi il centro del compasso nel luogo, in cui il raggio equinoziale taglia la linea della circonferenza della lettera F, e si segni a destra e a sinistra, dove sono le lettere GH. Indi da queste, pel centro, si tirino due linee fino alla linea del piano, dove sono le lettere
TR, e qui si avranno i raggi del Sole uno invernale, e 1' altro estivo. A fronte poi di E sarà la lettera I nel punto ove la circonferenza è tagliata dalla linea che passa pel centroC e rimpetto a G, H saranno le lettere K, L, e rimpetto a C, P, A la lettera N Allora si tirino i diametri da G ad L} e da H a K: l'inferiore sarà della parte estiva, il superiore dell' invernale. Questi diametri dovranno partirsi per mezzo dove saranno le lettere M } O ed ivi si segneranno i centri, e per que' segni e pel centro A si tiri una linea all' estrema circonferenza dove saranno le lettere PQ. Questa linea sarà ortogonale al raggio equinoziale, e la detta linea dalla lingua dei matematici chiamasi Axon. Da questi centri condotto il compasso fino agli estremi diametri si descrivano due semicircoli, 1' uno de' quali 1' estivo, l' altro sarà l'invernale. Di poi ne' luoghi dove le linee parallele tagliano la linea detta orizzonte alla parte destra siavi la lettera S a alla sinistra V, ed all'estremità del se
micerchio, ove è la lettera G si tiri una parallela all' assone ( i ) fino al semicerchio sinistro dove è la lettera H. Questa linea parallela si chiama lacotomo (2): e in fine si collochi il centro del compasso nel luogo, in cui il raggio equinoziale taglia la detta linea, dove sarà la lettera X t e si allarghi fino a quel luogo, nel quale il raggio estivo taglia la circonferenza, dove sarà la lettera H f e col centro equinoziale, e coli' intervallo estivo si tiri la circonferenza del cerchio mestruale, che chiamasi manaco (3). In tal modo si avrà la figura dell' analemma. 4i. Ciò dimostrato e spiegato, sia colle linee invernali, sia coli' estive, sia coli' equinoziali, od anche colle mestruali, in aggiunta si avranno dagli analemmi le misure delle ore, e si presenteranno molte varietà e generi di orologi con queste regole artifiziose descritti. Perchè di tutte quelle figure e descrizioni uno sarà sempre 1' effetto, cioè che il giorno equinoziale, brumale, e parimente solstiziale sia in dodici parti eguali diviso. Queste cose non pretermetto io qui intimorito dalla pigrizia, ma per non annoiare scrivendo troppo; solo dirò di quelli che hanno inventati i ge (1) Il testo parallela axoni. (a) Non si accordano i grammatici sulla derivazione di questa voce. Sembra però di origine greca, ed alcuni la fanno provenire da lachis, pezzo di qualunque cosa, e tortino, leccare, perchè viene a tagliare una parte del meridiano. (3) Questa voce si vuole derivante da man, mese. Scaligero dice che dalla medesima proviene almanacco. neri e le figure degli orologi. Che ora non posso io inventare nuovi generi; nè vantare per miei gli altrui. Adunque dirò da chi sono stati trovati quelli che ci sono trasmessi. CAPO IX. Della regola, uso ed invenzione degli orologi (1), e dei loro inventori. 42. Si narra che Beroso (2) Caldeo sia stato inventore del semicerchio scavato in un quadro, e tagliato ad enclima (3); della scafa (4) (1) Dice lo Stratico che oggidì si chiamano propriamente orologi quegli automi che si muovono in forza di un peso, o del moto dell' uomo che seco li trasporta. Non sappiamo però come il moto degli orologi, cosi detti da saccoccia, sia dallo Stratico attribuito al moto dell' uomo che seco li trasporta, quando invece dipende dall' elasticità della molla interna. Generalmente poi il nome di orologio conviene a tutto ciò che serve ad indicare le ripartizioni del tempo; e perciò orologi diconsi propriamente anche li gnomoni, e le depsidre. E vero che questi si determinano sempre con qualche aggiunto dicendoli orologi solari, orologi a sabbia, ad acqua ecc. . (2J Sembra che lo gnomone di Beroso fosse un pliuto inclinato ed equinoziale, che questo plinto di forma emisferica fosse incavato nella parte superiore rivolta a settentrione, e ebe dal fondo di questo emisfero sorgesse uno stilo rappresentante colla sua punta il centro della terra, di guisa che la sua ombra cadendo nella concavità indicasse le ore per quei luoghi che stanno fra i tropici, e non solo le ore, ma benanche le declinazioni del Sole per ciascun mese. (3) Abbiamo ritenuto la voce originale, stantechà si ritengono anche le altre che seguono, e che procedono dalla stessa fonte greca: e tanto più perchè enclima ha lo stesso significato di clima. • 14) Vitrtivio unisce qui le due voci scafe ed emisfero, Aristarco Samio; e così pure del disco nel piami (i): dell'amene (2) l'astrologo Eudosso: dicono altri Apollonio. Del plintio, ossia lacunare (3) ( come quello del Circo Flaminio ) Scopa Siracusano; del pros ta istorumena (4) Parmenione: del pros pan clima (5) Teodosio ed Andrea: del pelecino (6) Patroclo: del cono Dionisiodoro: della faretra (7) Apollonio: e di altri generi ancora i
soprascritti, e altri molti ci la per far conoscere che questo gnomone era sferico e concavo, non per mostrare che fosse ovale come taluni opinarono. Marziano Capella dice che li gnomoni erano chiamati scafi. nel Diario Italico dei Letterati, anno 1746 S. '4•> si trovano alcune notizie sugli orologi antichi esposte dal P. Boecovich, e particolarmente ad uno gnomone antico scavato nella terra di Toscolano. • Esso supplì al mancante stilo indicatore, e conghictturò, non senza ragione, che fosse questo il semicircolo di Beroso. Chi volesse conoscere la forma di questo semicircolo potrà leggere la dissertazione di Jacopo Zieglcro, riportata nell' ultimo volume nell' edizione vili uviana di Polcui e Stratico. (1) È chiaro che qui vuoisi indicare un orologio solare descritto sopra un piano orizzontale. (a) Dice lo Stratico che ciò era forse alcun che simile alla tela di ragno; ovvero a quegli, orologi che poco dopo descrive col nome di anaporici. (3) Galiaui osserva che diffidi cosa è il rintracciare 1' etimologia dei nomi dati ad orologi, di cui non si conosce la forma; e quindi non essere proprio di affaticarsi su tal proposito, particolarmente essendo variatissime le lezioni dei codici. • (4) Orologio universale da potersi usare in ogni parte del mondo. (5) Orologio che serviva per ogni clima. (6) Orologio fatto, a foggia di accetta. (7) Offrivano la forma di una faretra quegli orologi che essendo in un piano verticale segnano tanto verso oriente che verso occidente. sciarono le invenzioni, come del gonarca (i), dell'cngonato (2), dell' antiboreo (3). 4.3. Parimente, oltre questi generi, molti lasciarono scritto come si facessero i pensili da viaggio (4): nei libri dei quali potrà chiunque lo voglia trovarne 1' esposizione (5), purché sappia descrivere gli analemrni (6). Cosi pure dagli stessi scrittori furono ricercate le regole degli orologi d'acqua, e primo di tutti fu Ctesibio (7) Ales fi) Dal greco goni, angolo, perchè questo orologio conslava di più piani uniti ad angolo. (2) Degli altri nomi hanno cercato i comentatori d' indovinare l' etimologia, ma di questo non hanno potuto trovarne una nemmeno lontanissima per poterla applicare ad un orologio. Solo dicesi che potrebbe derivare dal verbo greco engonalizin, inginocchiarsi. (3) Orologio descritto nel piano dell' equatore, guardando al polo boreale. Orsini. (4) Corrispondevano questi, secondo lo Stratico, a ciò che ora dicesi anello astronomico. Si vede che anche allora cercarono di conoscere la divisione del tempo anche viaggiando, al che ora si provvide in maniera più comoda ed esatta con gli orologi da saccoccia. (5) 11 testo subjectiones. Traduce il Barbaro descrizioni. Il Galiani seguito dall' Orsini: può chi vuole applicarle a dati luoghi. Ci sembra che qui subjectio significhi una cosa posta propriamente sotto gli occhi, perchè sia subito intesa; e perciò il Barbaro, secondo noi, ne colpì il vero senso: se non che ci parve che esposizione sia ancora più espressivo di descrizione. (6) Da qui si vede più chiaro che analemma non altro significa presso Vitruvio che la teoria della gnomonica. (7) Gli orologi solari servivano soltanto quando il cielo era sereno, ed anche in questa circostanza non potevano essere giovevoli che di giorno; perciò s'immaginarono gli orologi ad acqua, i quali potessero accennare l' aumento o la diminuzione delle ore con eguale precisione dei solari. Plinio dice, eh' essendo incerte le ore quando il tempo era nubiloso, Scipione Nasica fu il primo a dividere le ore in parti eguali, tanto di giorno che di notte, col mezzo dell' acqua. sanclrhio, il quale scopri eziandio le cose spiritali e pneumatiche1 (i): ed è ben degno d'essere conosciuto dagli studiosi il modo, con cui furono fatte queste invenzioni. Ctesibio era nato in Alessandria da un padre barbiere: essendo Ctesibio per ingegno e per grande industria sopra tutti eccellente, è voce che si dilettasse di cose arlifiziose; perchè volendo egli appendere nella taverna di suo padre uno specchio in maniera che quando si abbassasse e si rialzasse, una cordicina celata dirigesse il peso, così compose l'ordigno. Affisse un canale di legno sotto una trave, ed ivi collocò alcune girelle: tirò la cordicina» pel canale fino all' angolo, dove costruì alcuni tubetti (2): in questi si studiò di far discendere per la cordicina una palla di piombo. In tal guisa il peso nel correre
per le angustie de' tubetti premendo la densità dell' aere, e colla veemenza del corso scacciando per le fauci all' aperta la quan E Censorino: „ Qualche tempo dopo, Nasica Censore fece „ con l' acqua un orario, il quale per la consuetudine che ,, si aveva di segnare le ore col nascere del Sole, fu da ,, principio detto solario ". Questi orologi ad acqua, non meno che i solari, essendo le ore più lunghe o più brevi, si accorciavano o si allungavano; i medesimi dividevano il giorno in dodici ore uguali come i solari, ma di più ripartivano in ugual modo anche la notte, ciò che nei solari non poteva aver luogo. Salmasio nelle sue Esercii, pag. 63j. (1) Collo Schueider, che legge spiritales invece di spiritus naturales. Gli stromenti pneumatici, che si conoscono come invenzione degli antichi, e descritti da Erone Alessandrino, mostrano quanto si occupassero perchè dall' equilibrio dell' aria e coli' ajuto della pressione e del calore si potesse ottenere il moto ed alcuni regolari fenomeni. (2) Lat. tubulo*. tità dell' aria dalla compressione assodata, coli' incontro e col contatto espresse un suono ben chiaro. Onde avendo Ctesibio considerato che dal contatto dell' aere e dall' espulsione nàscevano spiriti e voci, mettendo in pratica questi principi fa il primo ad inventare le macchine idrauliche. 44- Parimente inventò le automate(i) espressioni (2) di acque, macchine (3) a diritto ed a circolo, e molte altre dilettevoli cose, fra le quali fece anche preparazioni di orologi di acqua. E primieramente stabilì una cavità fatta neh" oro, o in una gemma trapanata, perchè queste cose nè si logorano dalla percussione dell' acqua, nè ricevono sordidezze, per cui si possan turare. Perciò l' acqua per entro questa cavità scorrendo, egualmente solleva uno scafio (4) rovescio ( che dagli artefici chiamasi sughero o timpano ), nel quale collocatavi una regola si fanno certi timpani ver (1) Qui il Pontedera scaglia fiere invettive contro quelli che deturparono il testo in modo da non potersi assolutamente correggere. Suppone però che invece della voce greca automatus debba stare 1' altra automatopiìtas, cioè formate a guisa di automi. {i) Il latino aquarum expressiones. Altri traducono giuochi d' acqua. Il vocabolo italiano mette espressione in senso traslato, perchè non farne uso anche in senso proprio, secondo la etimologia del verbo esprimo, .cioè premere o spinger fuori con forza? (3) Il latino: porrecti rotundationisque machinas. Galiani: macchine di vetti e di peritrochi. Barbaro: macchina tratte dalla ragione del diritto e del circolar movimento. Il vero senso spiegato coi termini scientifici è: macchine capaci di produrre moto progressivo e rotatorio. (4) Intorno a questa voce veda il lettore una nostra nota al cap. x. del lib. VIH. salili (t) a dentelli uguali: i quali dentelli spingendosi 1' un 1' altro fanno misuratamente i loro giri e mossioni. Parimente si mettono altre regole ed altri timpani allo stesso modo dentati, che spinti dallo stesso moto, co' loro rivolgimenti producono effetti vari di moti, ne' quali si muovono figurine, si aggirano le mete (2), si scagliano sassolini od uova. (3), suonano trombe, ed altri somiglianti artifizi (4); ed anco in questi, o sqpra una colonna, ovvero sopra un pilastro si descrivono le ore, che una figurina uscendo dal (1) Lat. versalilia; usiamo pure in italiano versatili, eh' è anche voce d' uso. (2) Opina 1' Orsini che mela significhi qui quel termine, che si poneva sopra alla mostra dell' orologio, non già che le mete o le piratuidettc si girassero, come hanno creduto gli interpreti, ma bensì che le figurine movendosi girassero unitamente alle mete. (3) Lo Stratico suppone che gli orologi di tal fatta mandassero un qualche rumore alto ad annunziare l' ora, e rigetta col Pontedera la lezione di ova invece di tona. Certo è però che Vitruvio qui mostra come al volgersi delle mete venivano gettati caladi aut tona; ora calculi corrisponde qui certamente a sassolini, i quali cadendo in qualche recipiente di metallo potevano indicare col suono il numero delle ore, come appunto nel lib. X. cap. i4dice parlando del modo di misurare la strada che si percorre; e perciò invece di questi sassolini vi poteva essere un meccanismo, per cui uscisse un certo suono che servisse allo stesso effetto. Tuttavia siamo sempre in dubbio se debba leggersi tona in luogo di ova, perchè il testo dice calculi aut tona: ora non vi è alcun rapporto di conformità fra sassolini e tuoni. E poi che modo di dire sarebbe mai projicere tona? All' incontro ova può essere detto per similitudine, intendendo che quei sassi scagliati sieno della forma e grandezza di un uovo. 11 Galiarii però traduce tona in senso di tuoni o romori che facciano i sassi cadendo in un vaso di rame.
(4) Il lat. parerga. Artificio che serve anche di ornamento 1* estremità di una verghetta indica per tutto il corso del giorno: 1' aggiunta poi o la levata (i) dei coni dee perfettamente segnare le brevità o crescenze delle ore. 45. Le preclusioni per regolare le acque si formano in questa maniera. Si fanno due mete, 1' una solida, l' altra concava, lavorate sul tornio con tal perfezione che una possa entrare e combaciare coli' altra; e col mezzo di una medesima riga il loro o allentamento o coartazione (2) produce o veemente o leggero il corso dell' acqua che scorre in que' vasi. Con queste regole, e con questo macchinismo (3) si compongono coli' acqua gli orologi per l'uso invernale (4). Che se colle aggiunte e colle dettrazioni non si avranno giustamente gli accorciamenti o gli allungamenti dei giorni, perchè i coni spessissimo diventano difettosi, si dovrà operare così. 46. Nella colonnetta (5) si descrivano le ore (1) Levare sta pure in senso di tor via. Può dunque nello stesso significato usarsi levata. (a) È latinismo, ma ci si conceda l'uso. (3) Ci pare che con questa voce si spieghi bene il latino machinatione. (4) Oltre alle clcpsidre, che servivano particolarmente nella stagione invernale, in cui il cielo è per la maggior parte nubiloso, avevano gli antichi altri orologi detti notturni. La costruzione poi degli orologi era allora di molta difficoltà per la ineguaglianza delle ore in ciascun giorno, stante la divisione in dodici parti eguali. A questo però si provvedeva con due artificii, i quali vengono descritti dal Pcrrault nei suoi conienti a Vitruvio. (5) Questa figura, ed il metodo per fare questa delineazione vengono esposti dal Pcrrault nel modo seguente. Sia Vnnvrio, Lib. JX. 5 attraverso agli arialemmi, e nella stessa si segnino le linee mensuali; la colonnetta si formi versatile, di modo che girando questa continuamente intorno alla figurina ed alla vergbetta ( della quale verghetta la uscente figurina addita le ore ) in ciascliedun mese faccia le abbreviazioni e gli accrescimenti delle ore. 47- Si fanno anche orologi invernali di un altro genere detti anaporici (i), e si formano in questa maniera. Si dispongono colla descrizione svolta la superficie della colonna in un rettangolo GGHH ( fig. 4- Tav. I. ). Il lato GG, eh' eguaglierà la circonferenza della colonna, si divida in dodici parti uguali. Le linee verticali AB, CD, che corrispondono alle ore dei giorni equinoziali, si dividano in ventiquattro parti pur uguali. Si segni il massimo numero delle ore che devono aver luogo in un giorno nel luogo, in cui si deve stabilire la clepsidra; e sia questo ad esempio sedici, e si contino da A sino ad R. Le linee GH, EF, corrispondenti ai giorni solstiziali, si dividano in modo che riesca ES = HI TZ. AR, le quali parti comprenderanno sedici ore, mentre le rimanenti iG, RB, GF ne comprenderanno otto. Si dividano poi le due ES, HI in dodici parti, uguali, come pure le due IG ed SF. Ripartita così la superficie la si ravvolga intorno alla colonnetta, la quale in virtù della clepsidra e delle ruote dentate poste internamente si vada innalzando con moto equabile per tutto il giorno, e ciascun giorno girando intorno all' asse, di guisa che da un indice fisso vengano indicate le ore, le quali saranno fra sè stesse eguali ogni giorno, ed ineguali se si confrontino quelle di un giorno con quelle di un altro successivo. (1) Voce che significa un oggetto che s' innalza, e dalla descrizione vitruviana si vede che questo nome conviene a quella specie di orologi. Baldo suppone che siano stati così chiamati dai segni dipinti sopra i medesimi, i quali si vanno successivamente alzando sopra l' orizzonte. Essi però si assomigliano all' Aracne Astrolabio, in cui lo zodiaco si rappresenta per mezzo di un circolo eccentrico dalla circonferenza della ruota che fa progredire l' Aracne. Strafico. dell' analemroa le ore con vergliette di metallo nella fronte partendo dal centro: la qual fronte è cinta di circoli, che finiscono gli spazi mensuali. Dietro a queste vergliette si collochi un timpano, nel quale sia descritto e dipinto il modo e il circolo signifero (i), e la descrizione sia figurata de' dodici segni celesti, dal cui centro si formi lo spazio di ciaschedun segno (2), uno maggiore, l'altro minore. Nella parte posteriore in mezzo al timpano va incassato un asse versatile, intorno a cui sia ravvolta ,una molle catena di metallo, da una parte della quale penda il sughero otimpano sollevantesi dall'acqua, dall'altra a giusto contrappeso del timpano una sacoma di savorra. Così quanto il timpano si solleva dall' acqua, altrettanto calando il peso della savorra fa girare l' asse, e 1' asse il timpano; il quale
girare del, timpano fa si che in un luogo la parte maggiore del timpano, in un altro la parte mi- more colla speciale rotazione segni a suo tempo le proprietà delle ore. Perchè nei. singoli segni -sono formate tante cavità quanto è il numero dei giorni di ciaschedun mese, la cui bolla (3), che negli orologi suol farsi- ad immagine del Sole, mo-stra gli spazj delle ore, e questa trasportandosi (1) Il tat. signifer. (a) Galiani interpretando il senso dell' autore: con tirare dal centro le linee, le quali segnano gli spazj di eiascun segno. a Gal. indice.
1 d' un foro nel foro del mese susseguente va a terminare il suo corso. Onde siccome il Sole andando per gli spazi dei segni dilata ( i ) e restringe i giorni e le ore, così la bolla negli orologi pei punti contrari a^ S'ro l^ e^ centro del timpano, trasportandolo quotidianamente in alcuni tempi agli spazi più larghi, in altri ai più angusti, col finire dei mesi finisce le immagini delle ore e dei giorni. 48. Per l'amministrazione dell'acqua (2), cioè per regolarla a dovere, si dovrà fare così. Dietro la fronte dell' orologio si collochi internamente un castello, nel quale per una fistola salga 1' acqua, e in fondo siavi una cavità, a cui sia affisso un timpano di bronzo con un foro, pel quale dal castello in esso entri l' acqua. In questo poi sia incluso un timpano minore coi cardini torniti, maschio e femmina, tra loro accoppiati, in modo che il minor timpano, a guisa di epistornio (3) menando intorno strettamente e lievemente si aggiri. Il labbro poi del timpano maggiore abbia segnati a giusti intervalli trecento sessantacinque punti; ma il girello minore abbia fissa neh" estrema circonferenza una linguella, la cui sommità si (1) Questa voce appoggia la nostra nota intorno alla voce dep al adone s, cap. 8. paragrafo 5i). (2) Gli orologi ad acqua sono antichissimi, poiché erano usati anche dagli Egizj, come si ha da Orapollo, lib. I. cap. 16. (3) Lat. epistomium: è quel turacciolo di legno che tura la buca, d' onde s' empie la botte; e che in italiano si chiama cocchiume, ed in veneziano cocon. diriga alle stazioni dei punti. Nello stesso girello siavi un foro proporzionato in maniera, che 1' aequa per esso scorra nel timpano, e regolarmente sia amministrata. £ poiché nel labbro del timpano maggiore vi sono le forme dei segni celesti, si faccia star questo immobile, ed alla sommità abbia figurato il segno del Cancro, in fondo del suo perpendicolo quello del Capricorno, a destra del riguardante la Libra, a sinistra l'Ariete. Gli altri segni pure sieno disegnati nei loro spazi, come si vedon nel cielo: onde quando il Sole sarà in Capricorno, la linguella del girello anco nella corrispondente parte del timpano maggiore toccando quotidianamente i singoli punti del Capricorno, ed avendo a perpendicolo il veemente peso dell' acqua corrente, con gran velocità pel foro del girello caccieralla nel vaso, e questo ricevendola ( perchè in breve si empie ) abbrevia e restringe gli spazi minori dei giorni e delle ore. Quando poi per la quotidiana revoluzione del timpano minore la linguella entra in Aquario, tutti i fori allora deviano dal perpendicolo, e 1' acqua nel suo corso frenata dee fare più tardamente il getto (i). Onde con quanto meno veloce corso il vaso riceve 1' acqua, dilata gli spazi delle ore. Nei punti poi dell' Aquario e dei Pesci, salendo pei gradi il foro del girello, e toccando 1' ottava (i) Lat. salientem. Si riveda la nostra nota su questa voce al cap. vii. del Lib. VUI. paragr. 47 parte dell'Ariete l'acqua dà regolarmente al getto le ore equinoziali. Dall' Ariete per gli spazi del Toro e dei Gemini il foro o timpano co' suoi giri ai punti superiori, andando all' ottava parte del Cancro, e di là ritornando alla maggior altezza s' estenua di forze, e così più tardamente scorrendo dilata colla dimora gli spazi e fa le ore solsliziali nel segno del Cancro. Dal Cancro quando declina, e va pel Leone e per la Vergine tornando ai punti dell' ottava parte di Libra, e gradatamente abbreviando gli spazi accorcia l' ore, e così arrivando ai punti della Libra, rende nuovamente 1' ore equinoziali. Per gli spazi poi dello Scorpione e del Sagittario più proclivemente deprimendosi il foro, e tornando col suo girare alla parte ottava del Capricorno, colla celerità del getto riconduce alle brevità brumali delle ore. Fin qui bo spiegato quanto più chiaramente ho potuto gli apparati e le regole degli orologi, e come questi sieno comodi all' uso. Resta ora di ragionare delle macchine e de' loro principi ; onde perchè riesca perfetto questo corpo dell' Architettura comincierò a scrivere delle medesime nel seguente volume. GIUNTE AL LIB. IX. DELL' ARCHITETTURA DI VITRUVIO
GIUNTA I. Delle scale. Dacché s'immaginò di costruire le abitazioni a più piani, si dovette pensare ai mezzi che dassero una facile comunicazione fra 1' inferiore ed i superiori; e da ciò ebbero origine le scale. Chiunque non sia architetto giudica semplicissima questa parte di un edifizio; ma gli uomini d' arte, che sovente sudano per collocarla convenientemente, s'accordano tutti nel considerarla quanto necessaria, altrettanto difficile. Gli scrittori d' architettura cercarono di dare alcuni precetti generali per diminuire questa difficoltà, ma sono tali che non sempre possono mettersi in pratica. Laonde si conchiude, che 1' architetto prima di compilare il progetto di un edifizio deve usare il più accurato esame nella collocazione di una scala, per non incorrere in gravissimi errori di convenienza o di comodità. Tuttavia cercheremo noi pure di esporre le leggi principali emanate su questo subbietto, e sancite dai più venerandi maestri, perchè quand' anche non possano ottenere piena esecuzione in qualche sin golo caso, servono per altro ad indicare il modo, con cui si deve procedere nella loro modificazione. Le scale prendono varia denominazione dalle loro forme, e perciò se ne hanno di spirali od a lumaca, di circolari, eliltiche, triangolari, e di tante altre maniere, nelle quali, più che in ogn' altra cosa, gli architetti, come dice il Milizia, si sono scapricciati. Ma siccome più che tutto in una scala deve cercarsi facilità di salire; così non ha bisogno di dimostrazione che la sua forma dev' essere rettangolare a preferenza d' ogni altra, quando però le circostanze lo permettano; ed è per questo che di una tal forma particolarmente noi palleremo.
I Non meno che in ogni altra parte di un edificio fa d' uopo in una scala soddisfare alle condizioni generali di comodità, solidità e bellezza. La comodità si trova in tutte quelle scale, che sono collocate in luogo proprio per dar facile comunicazione al resto della fabbrica, che hanno una buona proporzione tanto fra la base e 1' altezza totale, quanto fra quelle dei singoli gradini, che non continuano con una sola branca per molta altezza, e che sono bene illuminate. La solidità è propria di quelle .che hanno un beli' artifizio nella squadratura delle pietre, diligenza nella loro collocazione, precisione nelle commettiture, esattezza nelle volte. La bellezza dipende dalla stessa proporzione fra le sue parti ed il complesso della fabbrica, e dagli ornati che vi si adoperano. Veggiamo ora di qual maniera si possa adempire n tutte queste prescrizioni. I. La scala sarà bene situata quando non sia molto distante dall' ingresso. Gli antichi situavano le scale al di fuori dell' edilìzio; indi, conoscendone forse l'incomodità, le situarono ncll' interno, ed anzi nel centro dell' edifizio ; ma anche questa posizione non era la più propria, particolar mente perchè veniva a togliere 1' aspetto della corte e dei giardini, e perciò si convenne in seguito che» la situazione più comoda e più conveniente della scala sia in un dei lati del vestibolo È vero che il Milizia consiglia di porla anche di fronte all'ingresso, purché non sia impedito il libero-passaggio delle carrozze: ma noi crediamo che, oltre alla ragione suddetta, la buona distribuzione delle parti di un edifìzio qualunque, non meno che la comodità per quelli che entrano particolarmente con le carrozze, richieggano la scala sempre laterale all' ingresso. Ci accordiamo poi con lo stesso Milizia nel fare doppio il corpo della casa, ossia il padiglione di mezzo, per collocarvi in questo doppio la scala, ad oggetto di togliere 1' inconveniente che potrebbe accadere, cioè che la vantaggiosa situazione della scala impedisse la comunicazione fra le parti del piano nobile. La quale avvertenza non pare di quella oscurità, di cui fu tacciata da taluno, onde gli architetti trovino difficoltà insnpèra bili a ben intenderla; nò vi abbisogna assolutamente un disegno, perchè basta concepire che il corpo di mezzo sia bi- partito sopra una linea parallela alla facciata principale, per cui una parte guardi su questa facciata, e 1' altra sulla facciata opposta, e la scala stia in questo mezzo, onde metta capo al piano nobile in guisa che si si possa volgere all' una o all' altra di queste due parti senz' alcuno impedimento. La maggior parte degli architetti stabilirono siccome indifferente che la scala stia nel lato destro del vestibolo, o nel sinistro; nulladimeno noi conveniamo con quei pochi che sostengono essere più conveniente il collocarla a destra, sembrando che la comodità ci porti sempre a cercare a questa parte ciò che può soddisfare ai nostri bisogni. S' intende però che si devono avere tutte queste avvertenze ogni qual volta circostanze Speciali non obblighino a deviarne, come sarebbe il caso che l' esposizione dell' edilizio e la diversità dei suoi prospetti richiedessero di situare gli appartamenti di società in modo da poter godere un punto di vista che dalla parte opposta non si avrebbe. Fuori di questo caso è sempre da consigliarsi la posizione a destra, ed in modo che appena entrati si possa accorgersi della medesima. Ma la gran ricerca degli architetti rapporto alle scale sta nel bene proporzionarle. Tre sono le principali avvertenze che si devono avere in questa ricerca, cioè il rapporto della scala alla grandezza dell' edifizio, quello della base della medesima alla sua altezza, e quello della base all' altezza di ciascun gradino. In quanto alla prima, dice il Milizia che deve la scala proporzionarsi al pezzo principale dell' appartamento nobile, e stabilisce siccome limiti, che il perimetro della scala sia eguale alla larghezza del medesimo pezzo principale, e che 1' altezza di quella sia il doppio della larghezza di questo. In simili rapporti però vale molto meglio che ogui regola il sano giudizio dell' architetto, il quale deve nella sua mente concepire tutte le proporzioni dell' edilìzio ancora prima di calcolarle; ed ognuno conosce 1' assurdità rimarcata dal Milizia, cioè che dopo una grandiosa facciata ed un magnifico ingresso si trovasse una meschina scaletta che conducesse ad un maestoso appartamento, ovvero che un'ampia scala si collocasse in un edifizio di piccolissime dimensioni. Si osservi solo, che per grandezza di una scala deve intendersi lo spazio che occupa la sua gabbia, la lunghezza dei suoi gradini, ed il vuoto che si trova fra i suoi muri; perchè è bene di avvertire che in ogni genere di scale, destinate ad uso dei padroni, l' altezza dei gradini, la loro larghezza e quella degli appoggi delle balaustrate e delle branche devono essere dovunque le stesse. Sul rapporto poi fra la larghezza e 1' altezza di uu gradino molte sono le regole inventate dagli architetti. Vitruvio promette di delineare la forma delle scale; ma questa andò perduta con tutti gli altri suoi disegni; e solo ci restò che il rapporto fra quelle due dimensioni in ciascun gradino debba essere lo stesso che fra la larghezza e 1' altezza di
tutta la scala, cioè come 4;3> nulla però dicendo dei limiti, fra cui devono stare le dimensioni assolute; giacché il fissare, come fa parlando della costruzione dei tempi, che 1' altezza dei gradini possa superare un piede, e la larghezza giungere anche ai due, prova che doveva essere, per formare le scale dei tempi, una regola diversa da quella eh' esigevasi negli edifizj privati, essendo evidente che quelle dimensioni non potevano dirsi comode a salire cangiando gradino ad ogni alzata di piede. Per ammettere questa regola nelle scale delle case, bisognerebbe supporre che gli antichi muovessero due volte il piede sullo stesso gradino, e che ad ogni seconda mossa lo alzassero per montare sul gradino successivo. La qual cosa forse non sarebbe lontana dalla superstizione, che taluni suppongono aver avuto luogo presso gli antichi d' incominciare e terminare la salita delle gradinate sempre col piede destro; perchè in tal guisa avrebbero anzi con questo montato ogni gradino. Era perciò ragionevole che nella deficienza di precetti antichi gli architetti posteriori andassero in traccia di un rapporto dipendente dalla natura della cosa; e quindi cercassero di stabilire i limiti, fra i quali possa 1' uomo muovere il passo salendo comodamente. Si è perciò calcolata 1' ampiezza del passo umano ordinario, e si trovò che giunge naturalmente a due piedi ( met. 0,75 } movendosi in ua piano orizzontale; esaminata poi l' ampiezza dello stesso passo nella salita la si conobbe eguale alla metà della prima; quindi si stabilì la regola, seguita dalla maggior parte degli architetti, che debbasi nella formazione di un gradino aver di mira, che la sua larghezza unita al doppio dell' altezza costituisca sempre una somma equivalente all' ordinario passo orizzontale. Dietro questa regola il sig. Giuseppe Soli nelle sue aggiunte al Manuale di Architettura di Giovanni Branca stabilisce che l'altezza di un gradino debba stare fra nove e sei once di palmo romano, cioè fra metri 0,16725 e metri o, IIS5; e trova che per l'altezza di nove once il suo rapporto alla larghezza sarà di 1:2, per otto once di 2:5, per once sette di 1 : 3, per once sei di 1 : 4- U Milizia invece seguendo la stessa regola, e, come die' egli, l'esperienza, prefigge che per una comoda salita 1' altezza del gradino non deve mai sorpassare sei pollici di piede parigino ( metri o, 1625 ), nè essere minore di quattro pollici ( metri o, 08125 ); per cui la larghezza starà fra i dodici e sedici pollici, ossia fra metri o, 325 e metri o, 40625. Non è pertanto da rimproverare gran fatto al Galiani di avere nei suoi conienti a Yitruvio assegnata ai gradini una larghezza doppia della loro altezza, prima perchè dice essere tale la pratica dei suoi tempi, e poscia perchè il minimo dell' altezza fissato tanto dal Branca, quanto dal Soli e dallo slesso Milizia è sempre sudduplo della corrispondente lunghezza. Avremmo qui taccia di negligenza se non riportassimo Ja nuova regola immaginata dal professore di architettura in Palermo, il signor Giuseppe Venanzio Murvuglia, con la quale si cerca di stabilire un rapporto generale fra quelle due dimensioni per tutte le specie di gradini. Ecco le sue parole: Riflettendo sulla maggiore agevolezza delle scale, osservo che in gran parte dipende dalla ragion che passa tra la pedata ed alzata del gradino, o sia tra la larghezza e 1' altezza del medesimo. Laonde, a mio parere, si deve stabilire una regola generale, che determini tutte le specie possibili de' gradini fra i due estremi della comodità, cioè fra il massimo comodo e il minimo incomodo possibile. Tale è il pròhlcma che io mi propongo di risolvere, sottomettendolo al giudizio del pubblico, e massime degli esperti professori. Vitruvio per formare una scala applica la regola di Pittagora ( lib. IX. c. ?. ) adoprata per la formazione della squadra ( dipendente dalla proposiz. 47- del lib. I. d' Euclide ), per cui descrive egli un triangolo composto di tre linee ineguali in progressione aritmetica, che constano una di tre parti, 1' altra di quattro, e 1' ultima di cinque, situando questo triangolo in guisa che la prima linea sia verticale, la seconda orizzontale, e la terza diagonale. I gradiui che si disporranno a norma di questa riusciranno a suo parere proporzionati. Egli però tralascia di determinare la quantità delle due dimensioni necessarie al gradino. Ma il Galiaui osserva con ragione che da quanto qui scrive 1' autore si ricava dover essere la larghezza dello scalino all'altezza come 4 : 3; e soggiunge: „ ma questo sarà stato „ per le case; atteso che per i tempii ha date al lib. III. „ cap. 5. proporzioni diverse"; ed assicura con franchezza che oggi regolarmente si fanno gli scalini larghi il doppio dell' altezza. Vitruvio stima che 1' altezza del gradino non debba essere maggiore di once io, nè minore di once 9 (cosi il Galiaui traduce le parole dextans e dodrans adoperate da Vitruvio J; e la larghezza del piano del gradino non minore di un piede e mezzo, cioè once 18, nò maggiore di due, cioè once ?4: ma Galiani afferma che questa proporzione è un poco diversa dalla nostra solida. Io non so indurmi noli' animo come un perito architetto possa mai restar soddisfatto di queste regole insegnate dagli ammaestramenti di Vitruvio, e dalle osservazioni del Galiani per valersene in tutte le occorrenze nella formazione delle scale. Dappoiché la proporzione assegnata ai gradini de' tempii sembra destinata più alla maestà del prospetto, che alla comodità della scala, riguardandosi piuttosto come tante fasce a guisa di plinti, che formano il basamento sopra di cui si eleva il grande e magnifico edifizio, che una scala fatta per comodamente salire. Intorno poi alla regola pitagorica della squadra, potrà al più riguardarsi come la determinazione d' un caso
particolare, e non già come una regola generale diretta alla maggiore comodità, od alla minore incomodità possibile secondo il proposto problema da risolversi, per cui non ho tralasciato di consultare altri autori classici, tra' quali altro non ho ritrovato che degli avvertimenti vaghi e indetcrmiuati. Sulla necessità dunque di dare la soluzione del problema ho rivolto le mie prime riflessioni al movimento progressivo dell' uomo di giusta statura, col quale comunemente si sa, che più agevolmente cammina in un piano orizzontale, che in un piano inclinato. Anzi si accresce l' incomodo avanzandosi l' inclinatione del medesimo: ove si osserva che ]' estensione moderata del passo umano non eccede i palmi tre romani all' incirca { met. o, gjS ). E perchè alzandosi il piede per salire, si minora 1' estcnsione del passo, perciò la massima larghezza dev' essere un poco meno dei palmi tre. Ho osservato inoltre, che nel primo passo rimanendo fermo il piede sinistro, siccome la tibia del piede destro resta quasi in linea retta col femore, descrive un arco, o sia un segmento dì circolo, e che non si eleva più di once sei in circa ( met. o, IÓ25 ) dal pianterreno: onde 1' estensione del passo umano può fissarsi quasi a palmi due e mezzo, cioè once trenta ( met. o, 8iv5 ). Queste dunque sono le misure, che ho stimato fissare per la larghezza e 1' altezza del gradino, sul cui piano dee comodamente riposare il piede posto in movimento. Da ciò ne segue che la ragione più comoda possibile del gradino è di once 3o di pedata sopra once sei di alzata, lo che può facilmente confermarsi dall' esperienza. Ed ecco fissato il primo estremo. L' altra ragione poi della pedata ed alzata dei gradini, che sieno i meno incomodi possibili, stabilendo la pedata del gradino non minore della lunghezza del piede dell' uomo, che è la misura estrema del minimo incomodo possibile, riuovo che corrisponde a poi. i, once 3, cioè once quindici (i) (a) Non fa d' uopo avvertire, che resta iu arbitrio dell' architetto in casi di urgentissima necessità il poter minorare la misura della pedata di once l5, salve le leggi della gravila ecc., lo che è fuori del problema. incirca ( met. «>, 4<>6l5 ), a cui 1' alzata, che vi dee corrispondere, non potendo essere uguale, nè minore di quella del primo estremo, cioè d' once 6, per le ragioni di sopra enunciate, deve necessariamente essere maggiore. Quindi fissando una proporzione inversa, istituisco questa analogia: se alla pedata di once So conviene l'alzata di once 6, alla pedata di once i5 qual è l' alzata che le corrisponde? E con la regola del tre inversa moltiplico il primo termine 3o per il secondo 6, ed ho il prodotto 180, che diviso per i.i terzo termine, il quoziente ia sarà il quarto termine, che domando. Ed ecco così trovato l' altro estremo del gradino meno incomodo possibile in ragione di once i5 di pedata ad once il di alzata. Avendo fatto poi riflessione che essendo il prodotto di 3o per 6, pedata ed alzata del maggior comodo possibile, uguale al prodotto di 15 per n pedata ed alzata del minore possibile incomodo, cioè once iSo quadrato; conchiudo che nell' uno e ncll' altro caso le dimensioni si possono considerare come lati di rettangoli di ugual superficie. Dunque in tutti i gradini intermedi possibili fra i due estremi già ritrovati, la ragione della pedata all'alzata dev'essere in maniera, che le due dimensioni producano necessai Milieu le once 180. Ora se questo numero si divide per qualunque numero tra le once 3o e le i5, che voglio stabilire per pedata, il quoziente sarà 1' alzata che le corrisponde. Se però si divida per un numero qualunque fra le once 6 e le io, che voglio fissar per alzata, il quoziente sarà la sua corrispondente pedata. Con questo metodo ho ritrovato la regola generale, che si può seguitare: e cosi resta aritmeticamente sciolto il problema. Affinchè però si schivassero le noiose operazioni del calcolo con gì' inviluppi delle frazioni necessarie che ne risultano, come pure per renderle la pratica più facile in ogni caso particolare, ho stimato opportuno di risolvere il problema anche geometricamente. Tra i diversi metodi, che avrei potuto abbracciare, tra le figure geometriche, e specialmente quella del triangolo, ^10 giudicato un mezzo più spedito il prevalermi di quella del circolo, che si ritrova negli elementi di Euclide ( prop, 35. lib. 5. ) della seguente maniera. Sul diametro AB ( Tav. I. fig. 5. ) di once 56 di palmo rom. descrivasi un circolo, indi dividasi detto diametro in C, in maniera che AC sia once 5o; sarà CB once 6, ora fatto centro in C col raggio CD uguale a once i5, limite della nostra pedata di minimo incomodo, o da una parte o dall' altra, s' intersechi la circonferenza in D, e si
produca DC in G, e sarà CG V alzata corrispondente di once 12. Tutte le linee Cd intermedie fra- A e D, ovvero D' superiormente alla perpendicolare FE dimostrano le possibili pedate fra gli estremi prescritti, le quali prodotte alla parte opposta tra B e G ovvero G' daranno inferiormente le alzate corrispondenti Cg. Le linee punteggiate, che si possono tirare per e tra G (S o tra G' e D, sono quelle che oltrepassano il nostro limite della minore incomodità: allorché la pedata FG si vuole uguale all' alzata CE, la retta CF sarà perpendicolare nel punto C al diametro: e volendosi ritrovare in numeri sarà la radice sorda di iSo, che equivale a poco più di once i3 e 4 decimi ( metri o, 363 ). La dimostrazione è manifesta dal citato teorema di Euclide, perchè i rettangoli fatti dai segmenti delle corde che s'intersecano nel punto C sono tutti fra di loro uguali. — Fin qui il Marvuglia. Questo metodo ha la bellezza matematica; ma non si sa però se corrisponda sempre all' esperienza la legge stabilita, cioè che quanto minore è la pedata, tanto maggiore debba essere 1' alzata. Certo è che molti sperimenti enunciati da parecchi scrittori d' architettura e specialmente francesi, fecero conchiudere che il passo orizzontale è sempre doppio del passo verticale; e quindi non pare da spregiarsi la regola sopra enunciata, cioè che la larghezza unita al doppio dell' altezza debba produrre l'ampiezza del passo ordinario orizzontale; e quindi divisa quest'ampiezza in ventiquattro parti, se di queste una costituirà l'altezza del gradino, la sua larghezza sarà di ventidue} se due formano la Viritvrio, Lib. IX, 6 prima, venti costituiranno la seconda, e così di seguito. Da ciò si vede che giusta questa regola ad una pedata di venti corrisponde un' alzata di due, mentre secondo il signor Marvuglia vi corrisponderebbe un' alzata di quattro. Noi non vogliamo rifiutare il metodo di questo professore, che può benissimo essere adottato, ma ci sembra che la regola comune sia più semplice, e che stia più fra i limiti della comodità. Questa comodità esige altresì, come dicemmo, che la scala non continui con una sola branca per molta altezza. Siccome il moto verticale è per natura faticoso, cosi è necessario che ad ogni qual tratto si si possa arrestare per qualche, benché minimo, istante; ed è perciò che furono immaginati quei ripiani, o, come altrìmente si dicono, riposi, dai quali viene ripartita la lunghezza di una scala. Questi però non devono mai farsi lungo una stessa branca, come consigliarono alcuni architetti, e specialmente Giuseppe Soli nelle sue giunte al Branca; ma debbono sempre essere nel passaggio da un braccio all' altro di scala; quei riposi lungo una stessa branca devono assolutamente riprovarsi, come pericolosi specialmente nella discesa riuscendo molte volte inaspettati. Il numero poi degli scalini, che devono •omporre un braccio di scala, sarà fra il quindici ed il venti, perché un maggior numero riesce incomodo, un numero minore fa cadere nell' inconveniente delle scale circolari. Una scala non dovrebbe condurre che al primo piano; ma per lo più la si fa mettere a due piani; devesi però assolutamente evitare d' innalzarla maggiormente, essendo più proprio il costruire scale particolari per giungere ai piani superiori, a meno che la scala non debba avere alcuni usi particolari, in cui si richiegga l' economia, come sarebbero quelle destinate da darsi a pigione. Dal piano terreno al primo piano la scala dev' essere formata a due sole branche nè più nè meno. Finalmente tutti i gradini di una stessa scala devono avere le medesime dimensioni. Per ultimo a rendere comoda una scala si richiede che sia bene illuminata; e lo sarà ogni qual volta la luce si diffonda uniformemente per le branche e pei ripari della medesima; e ciò non si potrà conseguire quando si faccia entrare la luce da un sol lato, perchè le braccia di scala opposte alla luce restano sempre oscure. Affine di evitare ogni inconveniente, che l'introduzione della luce potrebbe recare o alla comodità o alla bellezza esterna dell' edifizio, sarà sempre sano consiglio di situare la scala, come si disse, nel mezzo del corpo principale della fabbrica, e d' illuminarla dall' alto per via di una lanterna; e così la luce batterà sopra ogni branca uniformemente, si vedrà tutta la scala dal primo fino all' ultimo gradino, i ripari non presenteranno alcun impedimento, compariranno leggere, ispireranno una certa allegrezza invitando quasi a salirle, e saranno di singolare bellezza. Per tutto ciò non si raccomanderà mai abbastanza questa maniera di situare e d'illuminare le scale in ogni edifizio, che riebiegga proprietà e convenienza. II. La solidità è la parte più importante d' ogni opera d'architettura, e specialmente di una scala: quindi nella loro costruzione si deve por mente che la bellezza dev' essere relativa all' uso delle parti, nelle quali la si vuole impiegare. Quelli che hanno da frequentare una scala devono avere una sicurezza nel salire e nel discendere, senza però che si abbia a trascurare la grazia nelle curve che compongono le sue volte. E non v' ha parte di un edifizio che riebiegga più di questa 1' assodamento della teoria alla pratica, onde ottenere una solidità reale ed apparente. In ciò devono essere una stessa cosa I' arte ed il mestiere; 1' architetto, l'esecutore, l'ornatista devono concorrere in tutto; sulla essendo in un edifizio proprio ad appagare l' osservatore quanto una scala; e nulla mostrando la incapacità di Ma architetto che la mancanza di ciò che fu indicato per la ■sua situazione, forma, c ruzione ed
ornamenti. Ora le condizioni necessarie alla solidità reale ed apparente di una scala sono, come si disse, l'eleganza nelle volte, 1' artifizio nel taglio delle pietre, la proprietà delle modanature e dei riquadri, la precisione delle giunture. La sicurezza inoltre di chi sale e scende una scala non permette che i gradini sieno di marmo levigato; anzi qualunque ne sia la materia, la parte della pedata dovrà sempre farsi alquanto scabra. Le scale di legno non saranno che secondarie, ed anche queste, come consiglia il Milizia, si potrà ano coprire di sottili lastre di pietra affine di evitare il remore. La solidità poi, semplicità e leggerezza della costruzione delle scale dipende in gran parte dalla qualità dei materiali; più proprie a ciò sono le pietre micacee calcari, che si estraggono particolarmente nelle Alpi, grosse al più metri o, 35, lunghe fino ai tre metri, e larghe met. i.5o. Servono poi a meraviglia per costruire quelle scale vote, le quali si veggono in tutta la loro altezza fino dal primo gradino; e si pougono in opera internando una testa degli scalini per circa met. o, j5 nei muri della gabbia, ed all' altra testa impiombandovi la ringhiera di ferro che serve di riparo. In questa specie di costruzione si vede che non occorrono volte, e che le scale riescono sorprendenti per la loro leggerezza, senza che si rechi alcun danno alla solidità. III, La bellezza delle scale risulta per la maggior parte dal porre ad effetto le prescrizioni riguardanti la comodità e la solidità; poiché il bello è sempre relativo all' uso, cui 1' opera deve servire; ed in ispecialità dalla simmetria e dall' euritmia. Gli .ornamenti non possono mai aggiungere punto alla vera bellezza; questi palesano soltanto la ricchezza, nel modo stesso, come dicemmo più volte, che gli abbigliamenti accrescono grazia ma non bellezza ad una douzella. Quindi deve regnare in generale la semplicità; e la dolcezza delle branche, la lunghezza dei gradini, 1' ampiezza della gabbia, e I' esattezza nell' esecuzione devono costituire il maggiore ornamento, onde vi sia una sensibile progressione fra la magnificeuza di questa parte dell' edilìzio, e quella degli appartamenti, ciascuno dei quali dev' essere adornato a norma dell' uso a cui si destina. Gli architetti più reputati si accordano nell' escludere la pittura siccome ornamento di una scala, i muri della quale devono conservarsi per lo più bianchi, o di una tinta leggera, perchè la luce si perda il meno che sia possibile. Permettono solo che si possano dipingere le volte ed il ciclo della lanterna quando i muri della gabbia sono incrostati di marmo; ma questa è magnificenza propria per la sovranità. Più convenienti però si considerano le scolture; ed affatto si escludono gli ordini architettonici ed i balaustri, non potendo questi ornati convenientemente adattarsi all'inclinazione della branca di una scala. Il Milizia dice che dei medesimi si potrebbero ornare i piani orizzontali, e nelle branche usare un subasamento ornato di riquadri e di cornici rampanti che si accordino regolarmente con gli ordini dei ripiani; ma osserva giustamente il professor Anlolini, che in questo modo nascerebbe, per un medesimo fine e in uno stesso luogo, una sconcordanza imperdonabile, e soggiunge: „ quando l' uso dei balaustri innalzati sopra agli scalini si „ giudica difettoso, qualunque altro parapetto che sostituir „ si voglia, dee farsi sui rampanti e sui pianerottoli eguale: „ ma i balaustri belli si adattano benissimo anche ai ram„ panli, ed in generale i buoni architetti li preferiscono ad „ ogni altro modo pei parapetti delle scale magnifiche, per„ chè sono più architettonici dei parapetti di ferro, e più „ eleganti e leggeri dei subasamenti a quadri ". Conchiudiamo. La verisimiglianza deve lasciare la sua impronta su tutto ciò che può produrre 1' ingegno più ferace; per lo che è indispensabile che l' architetto presieda a tutto ciò che si eseguisce in un edilìzio, dovendo supporsi eh' egli abbia cognizioni sufficienti in ogni arte sussidiaria all' arie di fabbricare.
86 ffozioni principali intorno al sistema mondiale. li astronomia considerata nel suo complesso è il più bel monumento dello spirito umano, la più nobile prova della sua intelligenza. Questo carattere delineato da un celebre filosofo (a) bastar dovrebbe a togliere il pregiudizio radicato nella maggior parte degl' ingegneri, cioè che 1' astronomia è scieuza inutile alla loro professione; perciocché non v' è persona colta in qualsivoglia scientifica disciplina, la quale possa lodevolmente trascurar di conoscere la misura della iutelligenza dell' uomo, ed il punto eh' egli può raggiungere col tempo e coli' ingegno. Ma questo motivo, che riguarda generalmente tutti, non è il solo che deve spingere l' ingegnere allo studio di quella scienza. Purché egli volga il pensiero alle applicazioni che ne furono fatte in tutti i secoli, conoscerà quanto riesci utile agli usi civili, alla geografia, alla navigazione, alla giusta ripartizione del tempo, ed ultimamente col bellissimo sistema dei pesi e misure che rese comune a tutte le nazioni: e queste discipline appartengono certamente all' uffizio dell' ingegnere, quando non lo si voglia affatto diverso da quello che noi definimmo fin dal principio di questi studj. Noi pertanto, persuasi della comune e particolare utilità, di questa scienza, tenteremo, se pur le forze non ci abbandonano, di ridurre a brevi concetti le nozioni generali che la riguardano, e di accennarne le applicazioni speciali che più c' interessano. f (1) Bailly. Hlstoire de l' astronomie ancienne et moderne. Sarebbe però vano lo scorrere pei diversi sistemi che si succedettero a vicenda sulla distribuzione nella vòlta celeste di quegl' innumerevoli corpi che si presentano al nostro sguardo. Basti sapere che 1' uomo prima di scoprire la verità dovette scorrere per sentieri affatto sconosciuti, e quindi cadere di errore in errore, di assurdità in assurdità, e progredire e rctrodere e fermarsi con poco o niun compenso alle sue fatiche; dovette abbattere la prepotenza della superstizione, la caparbietà dell' ignoranza, 1' astuzia dell'interesse; dovette infine nego fede ai propri sensi, fuggire le sue naturali tendenze, rinunziare all'amor proprio. In questa maniera potè diradare la densa nube, in cui era involto il sistema del mondo, e togliendo tutta la nobiltà al proprio pianeta, con riconoscerlo un punto quasi impercettibile, innalzar il suo spirito ad una inconcepibile sublimità. Non deve quindi recar meraviglia, non diremo già di vedere collocata la terra nel centro dell' universo ( perchè a considerarla diversamente fa d' uopo il massimo sforzo della mente umana ), ma nemmeno se, nei tempi d' ignoranza in fatto d' astronomia, si credeva che il Sole fosse una massa di fuoco, la quale si estinguesse alla sera per riaccendersi alla mattina susseguente, se lo si considerava di un volume alquanto maggiore di tutto il Peloponneso, se lo si voleva più prossimo alla terra di quello che sia la Luna, e-tante altre opinioni egualmente fallaci. La sola successione continuata delle osservazioni, la insufficienza dei metodi a spiegare ,i fenomeni, e la comparsa di un ingegno straordinario che sappia tutto riunire sotto un solo punto di vista, possono dissipare gli errori, e mettere in piena luce la verità contro la forza dei pregiudizi e delle illusioni. Adunque lungi dal tessere una storia dell' astronomia, ciò che mal per noi si farebbe, nò altri potrebbe forse aggiungere cosa importante a quanto seppe raccogliere su questo proposito il chiarissimo Bailly, ci contenteremo di accennare la verità quale fu negli ultimi tempi dimostrata, in modo che possa da ognuno essere concepita. Ed a ciò siamo indotti particolarmente dal conoscere, che la maggior parte dei giovani ingegneri (la quale anziché oltrepassare coi proprj studj le ristrettissime lezioni che si danno in un corso ordinario, si arresta spesso alla metà della via J non distingue con prove certe se la verità stia pel sistema Tolommaico o pel. Copernicano; e ciò in causa delle due parti in cui ti divide la scienza, e che ora siamo per indicare. L' astronomo suole, anzi deve, contemplare il cielo in due maniere affatto diverse, cioè: come appare ai nostri sensi, e come la nostra mente può concepirlo. Nel primo caso non è che osservatore, nel secondo è veramente astronomo. Ma senza essere il primo, o almeno senza prevalersi delle altrui osservazioni, non può conseguire il secondo nome. Perciò da questo vario modo di considerare gli astri venne la scienza astronomica divisa in due parti, cioè sferica e teorica. La prima esamina il cielo tal quale si presenta ai nostri occhi; e perciò non diversifica dalle comuni osservazioni praticate in ogni tempo ed in ogni sistema, se non in quanto che i mezzi a ciò necessari si andarono sempre più perfezionando, specialmente dal punto in cui Galileo v' introdusse 1' uso dei telescopi; quindi ritiene sempre che una grande sfera circondi il nostro globo, e che i corpi sparsi nella immensità dei cieli descrivano col loro moto alcuni cerchi particolari della medesima; quindi si serve ella degli stessi cerchj anticamente immaginati, divide il cielo in determinate regioni, assegna il posto alle stelle fisse, attribuisce al sole i due moti annuo e diurno, determina le stagioni e le retrogradazioni dei pianeti, calcola le paratassi; in una parola
espone tutto ciò che accade nel cielo in successivi periodi. L' astronomia teorica invece sviluppa la vera struttura e disposizione del cielo e dei corpi che in esso si aggirano, e rende ragione dei fenomeni che dalla sferica furono soltanto enunciati. Ma questa pure per due diversi uffizj, a cui si consacra, assume due diversi nomi, cioè geometrica e fisica. L' astronomia teorica geometrica spiega le diverse apparenze e fenomeni che si osservano nel moto degli astri, insegna a calcolarne le eclissi, a spiegare le stazioni, le direzioni e le retrogradazioni dei pianeti, ad indicare di qual maniera succedano i moti apparenti di questi e dei loro satelliti, a sviluppare la teoria delle comete, a calcolare la diStanze reciproche dei corpi celesti, a determinare la orbite, entro alle quali si aggirano, in somma ad esporre tutto quello che può essere soggetto di calcolo. La fisica invece è quella che, più sublime d' ogni altra parte, s' innalza ad esaminare le cause dei moti osservati e calcolati nei corpi celesti, ed il perchè sieno questi trattenuti nelle loro orbite, e spiega 1' azione eli' esercitano reciprocamente gli uni sugli altri. La prima parte dell' astronomia teorica non è forse figlia puramente delle moderne cognizioni; anzi Bailly prova con forti argomenti, che quanto ci rimase dell' astronomia più antica in luogo di essere i primi elementi d'ella scienza sono invece gli avanzi delle scoperte di un popolo anteriore a tutti quelli, dei quali ci resta memoria; fa vedere che questo popolo nel render ragione dei fenomeni celesti doveva essere pervenuto ad un grado non inferiore a quello, cui siamo giunti presentemente; e ritiene persino eli e possedesse qualche mezzo capace d' ingrandire gli oggetti a simiglianza dei moderni telescopi. E ne sono prova specialmente quei metodi spesso esatti, ma per lo più seguiti ciecamente senza principi dai Caldei, dai Chinesi, dagl' Indiani e da tutti i popoli più celebri e più antichi dell' Asia; e non meno i nomi e l' ordine dei sette pianeti tuttora conservati nei giorni della settimana, e precisamente uniformi fra gli Egiziani, gì' Indiani ed i Chinesi: nè si può supporre che il caso abbia fatto si che quelle tre nazioni separatamente attribuissero ai giorni della settimana gli stessi nomi dei sette pianeti, e li disponessero col medesimo ordine, il quale sembra affatto arbitrario, od almeno sconosciuto, non essendo quello della distanza, nè della grandezza, nè dello splendore. Al che si aggiunga 1' idea che si aveva sul moto della terra, ma che sembrava ereditata puramente per tradizione, benché si trovasse nella maggior parte di quei popoli antichissimi, dai quali la trasse lo stesso Pittagora, che la insegnava senza renderne ragione, e solo perchè la sua, mente perspicace trovava più proprio ad ammettere il moto che la quiete di questo pianeta. Ma la parte fisica dell' astronomia teorica sembra tutta, degli ultimi tempi; almeno fra gli antichi non se ne scoperse alcuna tra.cc.ia, benché iQUWuisoùnaj e noi delibiamo riteucre che Newton ne sia assolutamente il creatore. -È vero che Keplero, spiegando 1' aziorje della Luna sulla Terra e viceversa, e cercando di penetrare nell' essenzialità del moto, fu il primo a dar l idea della gran teoria newtoniana; ed è vero che dopo di lui Descartes tentò di spiegare le medesime cause; ma Keplero non fece che spargere un raggio di luce, ed il sistema di Descartes non si accordava con la maggior parte dei fenomeni; e perciò si dovette adottare quello che propose e sviluppò in seguito il filosofo inglese, e che fu portato al massimo dell' evidenza dal celebre LaPlace; sistema, che, spiegando lodevolmente i fenomeni osservati, conferma a meraviglia le leggi stesse determinate dall' astronomia geometrica. Si giunse pertanto con quest' ultima parte, che si può giustamente chiamare astronomia sublime, a ridurre la scienza non a pure ipotesi, non a sole probabilità, ma a dimostrazioni esatte, quanto sono esatti i principi delle scienze sussidiarie, cioè la geometria, l' algebra, la meccanica. Che se pure vi rimanesse qualche piccolo errore, non è questo dovuto alla teoria, ma solo all' esecuzione degli stromenti necessari all' osservazione, i quali dipendendo dalle arti meccaniche non possono mai giungere all' esattezza matematica. Ora tale essendo 1' ordine, con cui si è formata la scienza astronomica, è ben certo che il metodo più naturale per trattarla e per isludiarla è quello di seguire l'ordine slesso; cioè osservare pi ima i fenomeni, e possa dedurne le conseguenze. Nulladimeno essendo il metodo analitico in ogni scienza molto lunghi, e venendo perciò spesso abbandonato per appigliarsi al sistematico, quando peraltro sia bene comprovato, non sarebbe improprio l' adoprarlo anche nell' insegnare l' astronomia, con islabilire le sue proposizioni generali, ed andare di mano in mano dimostrandole, onde -{ioter così giovare maggiormente a quelli che debbono Servirsi dei vantaggi che porta 1' astronomia, anziché applicarsi a rintracciarne di nuovi. Ed a questo mirò l'astronomo Francoeur nella prima parte della sua Uranografìa, in cui appunto egli cerca di sbarazzare ■ movimenti reali dei corpi celesti da una folla di apparenze più o meno ingannatrici; e dopo di ciò egli esamina le apparenze stesse, e ne trae molte conseguenze utili alla risoluzione di non pochi problemi.' Ma lasciando scegliere il metodo d' insegnamento a chi viene per questo destinato, noi diremo finalmente di qual modo si debba concepire la costituzione dell' universo (i). I.
Cominciamo dal considerare ciò che più da presso ci tocca. Il Sole, astro a tutti benefico, si vede collocalo nella immensità dei cieli, e si presenta ai nostri sensi siccome inesausta sorgente di calore e di luce, e causa principale della vita. Trasportiamoci con la immaginazione di mezzo allo spazio fuori d' ogni pianeta. Di là vedremo il Sole animato soltanto di un moto di rotazione da occidente verso oriente, come intorno ad un asse che lo attraversi: del resto appare immobile nello spazio. Gli fanno però corona diversi globi sferoidici opachi, e visibili puramente per la loro proprietà di riflettere la luce eh' egli versa incessantemente sopra di essi. Sono poi quelli animati da due moti contemporanci, l' uno di rotazione non diverso da quello del Sole, 1' altro loro proprio di traslazione, che li obbliga a descrivere una via curvilinea d' intorno a questo. Alcuni di essi, chiamati pianeti ( fra i quali si conta pure quello da noi abitato ) hanno il loro movimento diretto costantemente da occidente verso oriente; e può considerarsi come il prodotto di due forze, 1' una di centrifuga o di proiezione, quasi che a principio del moto abbiano in direzione eccentrica a ciascuno ricevuto un unico impulso, il quale siasi ripartito su di essi proporzionalmente alle loro masse, al loro stato iniziale, o ad altre circostanze primitive, in virtù di cui essi avrebbero percorse vie rettilinee nello spazio; l'altra centripeta residente nella massa solare, che li obbliga a deviar continuamente dalla loro primiera direzione, e a descrivere orbite ellittiche, che stanno tutte quasi nel medesimo piano, (1) Il sistema seguilo da Vitruvio fu da noi contentato nelle note poste a piè di pagina del Lil>. IX. Qui poi esponiamo il sistema planetario secondo i più sani principi ; indi enumereremo le principali costellazioni registrate dai moderni astronomi. e di ciascuna delle quali il Sole occupa un foco. La legge, con cui questa forza di attrazione agisce sopra quei globi, è proporzionale direttamente alla loro massa ed inversamente al quadrato della loro distanza dal centro comune; e perciò li trattiene in quelle orbite accelerando il loro movimento quando si trovano nel perielio, rallentandolo nell' afelio, e comunicando una velocità in ragione inversa dell' ampiezza della loro orbita. Quella forza attraente non è però soltanto raccolta nel Sole, ma bensì sparsa su tutti questi pianeti proporzionalmente alla lor massa; per cui alcuno dei medesimi regge altri corpi ( chiamati satelliti ), che si aggirano intorno ad esso in orbite ellittiche, di cui il pianeta occupa un foco, seguendo le stesse leggi, dietro cui questo rauovesi intorno del Sole. Da una tale composizione di forze, per cui i pianeti si attraggono a vicenda, e trasportando seco loro i proprj satelliti sono attratti tutti dal Sole, procedono alcune alterazioni nelle singole velocità e negli elementi delle loro orbite, per cui variano le durate delle rivoluzioni, si cangia la posizione delle absidi, le quali girano lentamente d' intorno al foco, i nodi retrocedono continuamente, si alterano le inclinazioni, oscillando intorno ad uno stato medio. Infine lo stesso Sole è fuoco di ellissi allungatissim» percorse da altri corpi opachi che si muovono in tutti i sensi ed in tutte le direzioni, chiamati con nome speciale comete. Queste in causa della forma particolare delle loro orbite non sono da noi visibili, che in alcuni periodi determinati ; poiché quando si trovano ad una sorprendente distanza da noi, la luce solare che le rischiara non è di tala intensità da poter rendersi sensibile ai nostri occhi per mezzo della riflessione; lo che conviene soltanto nelle vicinanze del perielio, ove la grande prossimità del Sole fa loro provare un' eccessiva temperatura, che le penetra ed evaporizza in modo di far ad esse assumere quei vari aspetti, sotto ai quali ci si presentano, e che vanno perdendo di mano in mano che tornano ad allontanarsi. Al di là di questi globi più non appare movimento sensibile; solamente si vede nello spazio disseminato un numero infinito di puuti più a nieag vivamente seiuliliauti, che si
chiamano stelle. Se si ritenga adunque il cielo stellato siccome assolutamente immobile, indi si vengano segnando le orbite dei pianeti, che variano in ampiezza, perchè quei corpi sono inegualmente distanti dal Sole, si consideri in questi i due moti rotatorio e progressivo, e finalmente si stabilisca il Sole come foco di tutte quelle ellissi animato dal solo moto rotatorio, si avrà con la massima semplicità l' idea del sistema solare, detto sistema copernicano, dal nome di quello che seppe svilupparlo completamente. Diciamo svilupparlo, perciocché esso non è affatto nuovo in quanto ai due moti della terra. Tuttavia, come osserva il Bailly, Copernico espone le sue idee con quella sicurezza che mostra la fiducia di un ingegno sublime, e le concepisce con quella forza di mente che fa conoscere esser quelle sue proprie; e se anche non avessero avuto vita prima di lui, egli le avrebbe inventate, poiché imprime ad esse un carattere originale. Questo sistema, soggiunge il citato storico-astronomo, non ha più alcun oppositore; tuttavia fa d'uopo conoscere > motivi, pei quali venne abbracciato, e si stabili come verità fondamentale dell' astronomia. E noi pure crediamo di riferire gli stessi suoi argomenti. Esaminando il moto diurno, si vede che se la terra vuoisi in quiete, e che per conseguenza il cielo si volga d' intorno ad essa nel corso di ventiquattr' ore, sarà necessario che si muova una sorprendente moltitudine di stelle, e che queste conservino tra loro le medesime distanze; e malgrado questo moto perenne nulla sensibilmente siasi cangiato nella loro posizione reciproca dall' esistenza del mondo in poi. L' immaginazione si spaventa all' idea della rapidità necessaria a questo movimento; qualunque sia la distanza delle stelle da noi, è però grandissima, e devesi concepire una sfera di tal raggio che si muova per lo meno con la velocità di cinquantacinque mille miglia per ogni minuto, mentre che la Terra farebbe apparire gli stessi fenomeni con la sola celerità di circa ventitré miglia per secondo. Gli antichi non potendo concepire sì grande velocità congiunta a tal precisione, avevano attaccate le stelle ad una sfera di cristallo che le trasportava tutte ad un tempo sena' alterare le loro distanze reciproche. Qucst' assurdità, come pure tante altre, non aveva per oggeto che di lasciar riposare un grano di sabbia io uu angolo dell'universo: dovechè si evitano tutte, facendo muovere quotidianamente questo grano di sabbia intorno a sè stesso. Non è poi inutile 1' osservare, che quelli, i quali volessero negar questo moto, non possono provarne la non esistenza: le apparenze sono assolutamente le stesse, sia che muovasi il cielo intorno al nostro globo, sia che il nostro globo si aggiri intorno a sè stesso; per lo che la scelta è per lo meno libera fra queste due supposizioni; ma non è più tale quando deve aver luogo fra l'assurdità e la impossibilità da una parte, e la semplicità e verosimiglianza dall' altra. Tali sono i motivi che indussero Copernico ed i suoi seguaci ad ammettere i due moti della terra; ma i progressi della scienza non lasciarono quel sistema entro i limiti della verosimiglianza; tutte le successive scoperte non contribuirono che a dargli maggior evidenza; lo schiacciamento della terra, l' accorciamento del pendolo, la velocità della luce, l' aberrazione delle stelle sono tutti effetti del doppio moto della terra. La gran prova però del moto annuo del nostro pianeta sta nella teoria dell' attrazione universale, leo.ria eh' è il legame di tutte le verità fisiche, e che tutte le umane cognizioni in questo ramo di scienze obbligano di adottare. Ma lasciando le molte altre prove che addur si potrebbero a favore di questa maniera di concepir 1' universo, ormai per consenso universale dei dotti indubitata, veniamo a dire alcune particolarità dell' enunciato sistema planetario. i. Fissato il Sole qual centro immobile, animato soltanto da un moto di rotazione intorno al proprio asse, si cercò di esaminarne la costituzione fisica. Ma da questo esame non risultarono che mere ipotesi. L' osservazione potè apprendere soltanto che il suo disco è in parte offuscato da diverse macchie, alcune delle quali si calcolarono grandi circa quattro o cinque volte l' area del nostro globo. Esse non sono però fisse, ma alcune appariscono e dispariscono regolarmente impiegando circa venlotto giorni prima di corrispondere al medesimo punto, altre scompaiono tutto ad un tratto, altre si formano improvvisamente. Si narra che verso T anno 535 la luce del Sole diminuì sensibilmeqte pel corso di quattordici mesi, che nel 626 la metà del suo disco fu oscurata per tutta la state. Quindi La-Place suppose che sia esso, una massa infiammata sottoposta ad immense eruzioni; ed Ilei schei che sia un corpo solido circondato da un atmosfera di nubi infiammate, che talvolta aprendosi lasciano apparire il nucleo oscuro. Altri lo supposero in perpetua combustione, e per isciogliere l' opposizione sulla diminuzione del suo volume, che dovrebbe in tal caso aver luogo, si calcolò che attesa la immensità della massa, se anche il suo diametro si diminuisse di due piedi per giorno, dovrebbero scorrere tremila anni prima che potesse apparire di 1'' mi- nore di quello che si presenta al giorno d' oggi; la qual diminuzione non sarebbe sensibile nemmeno cogli stromenli più esatti. In una parola non si può meglio definire quest' astro che dicendolo: una massa sferica, la quale ha una rotazione intorno ad un asse centrale inclinato al piano dell' orbita terrestre di 7° 19' a3", che si compie in giorni Q5, O H, eh' è una sorgente inesausta di luce, di calore e di vita, e che in esso risiede il centro di quella forza
che anima tutti i corpi che d' intorno a lui si ravvolgono. 2. Più presso al Sole che ogni altro pianeta si aggira Mercurio. La sua piccolezza, la sua distanza da noi, e la sua molta prossimità al Sole, per cui è spesso immerso nei raggi solari, hanno reso difficilissime le osservazioni per determinare gli elementi del suo moto. Tuttavia si potè con- chiudere che esso è un corpo opaco, perchè va soggetto a fasi simili a quelle della Luna, presentando nelle sue qua* drature sempre la parte luminosa rivolta verso il Sole; che si ravvolge attorno ad un asse nello spazio di giorni i,oo38a; che descrive intorno al Sole un' ellisse poco estesa, molto eccentrica, e sempre interna a quella percorsa dalla Terra, e ciò in giorni 87, 96926. Ha un diametro apparente di 7"; il suo equatore fa un grande angolo col piano della sua orbita; la variazione delle stagioni si ritiene molto sensibile; lo si suppone circondato da un' atmosfera densissima; si calcola che l'intensità della luce e del calore sia settupla di quello che sia sul nostro globo nella stagione d'estate; e si ritiene the le sue montagne »' umalziao anche più di otto miglia. 3. L' orbita di Mercurio è compresa dentro quella dì Venere. Questo pianeta presenta gli stessi fenomeni di Mercurio, avendo però le fasi molto più sensibili. La sua luce è più viva di quella di ogni altro corpo celeste ( esclusi i due principali ), e tale alle volte da potersi vedere di pieno giorno, calcolandosi di una intensità eguale a quella che manderebbero venti stelle riunite di prima grandezza. Essa è visibile per tre o quattro ore alla mattina prima che s' alzi il Sole, od alla sera dopo il suo tramonto. Il suo splendore più vivo è quando trovasi nelle quadrature, perchè è più distante dai raggi solari ed a noi più vicina d! quando è piena. La sua parte oscura conserva un barlume, che ha fatto supporre essere la sua materia fosforescente. La sua orbita è pur compresa entro quella della Terra; ed a questa inclinata di 3° a4'. L' intensità del calore della luce è doppia della nostra. Il raggio del suo globo è quasi eguale a quello della Terra, ed il volume non differisce da questa che di una nona parte. La durata della sua rivoluzione siderale è di giorni 22^1 70082; e quella della rotazione-intorno al proprio asse di giorni o, g73i5. Dalle variazioni che presentano i corni di questo pianeta nelle sue fasi, hanno fatto conchiudere 1' esistenza in esso di altissime montagne; tuttavia devesi riguardare siccome esagerata oltremodo I' asserzione di quelli che le fanno ascendere al quadruplo delle più alte che sieno sul nostro globo, se non si potè ancora determinare con certezza quanta sia 1' elevazione di quelle della Luna, che è un corpo molto più vicino alla Terra, e molto più facile ad essere osservato. Non si può calcolare nel globo di Venere alcuno schiacciamento sensibile. Schroeter esaminando la legge con cui va diminuendo la luce riflessa da questo pianeta, ha pensato che esso sia cinto da un' atmosfera simile alla nostra. I due pianeti di Mercurio e di Venere, che sono più presso al Sole che non è la terra, furono chiamati pianeti inferiori; e si dissero superiori quegli altri che hanno il nostro globo collocato tra essi ed il Sole. 4. La Terra è il terzo pianeta che si conta partendo dal Sole in rapporto alla loro distanza da questo astro. Essa ruota intorno ad un asse in un tempo siderale di giorsi 0,99727, ossia in ventiquatlr' ore comuni,. e col suo moto di traslazione percorre un' ellisse detta eclittica, di cui il Sole occupa un foco, nello spazio di un anno, ossia in giorni 365,3.56384. Da questi due moti dipendono tutte le apparenze che noi attribuiamo al Sole; poiché non accorgendoci di questo movimento dobbiamo necessariamente riferirlo agli oggetti circostanti, nella stessa guisa che, scorrendo in un battelletto la superficie tranquilla del mare, il nostro sguardo rivolto alla spiaggia giudica che gli fugga d'innanzi insieme a tutti gli oggetti eh' essa sostiene. Quindi dal moto rotatorio ha luogo il fenomeno del giorno e della notte, e dal progressivo quello delle stagioni, ritenendosi che quest' ultimo si effettui in modo che 1' asse rimanga sempre parallelo a sè stesso. Questo globo è stato lo scopo delle più accurate indagini degli .ultimi tempi. Quindi si cominciò ad esaminarne la figura. Sparirono le colonne d' Ercole, e si conobbe che la Terra non aveva confini. Fu prima la ragione che persuase a considerarla pressoché sferica; le osservazioui poi ed i viaggi confermarono tale opinione, e si conchiuse essere la Terra un globo isolato nello spazio e recinto d' ogni parte dal ciclo. Ma queste osservazioni non bastarono a determinarne la figura esatta ; spettava all' astronomia di pervenirvi; nel cielo dovevamo leggere la forma della nostra Terra. I fenomeni celesti non si osservano ad uno stesso tempo da tutti i suoi abitanti: ecco il fondamento di questa ricerca; venne in soccorso la geometria, e la si trovò precisamente sferoidica, schiacciata ai poli ed elevata all' equatore. La differenza però dei due raggi è piccolissima, e perciò comunemente la si considera non diversa da una sfera. Finalmente, fatta astrazione dalle ineguaglianze che s'incontrano sulla sua superficie, le quali sono minime in confronto dell' intera massa (i) ( e tali che Biot le considera relativamente molto" minori delle scabrosità presentate dalla superficie di un arancio ) Sr*trovò che la curvatura della sezione che si otterrebbe facendo passare un piano pei poli e pel centro della Terra non differiva da quella di (ij La sommità più elerata del nostro globo è il ilecimoiniarlo fico dell' Himalaya ni Tilirt, il quale giunge a poco più di quattro migjjj. FiTRvno, Lib. ix. 7
un' ellisse, e perciò si credè proprio di considerarla coni» un' ellissoide di rivoluzione intorno all'asse minore che passa pei poli, determinando il rapporto fra il raggio di curvatura sotto 1' equatore, e quello ai poli come x : o, 9967. Da queste osservazioni e misure si trovò che il semiasse maggiore di questa ellissoide è di 3444 miglia geografiche od italiane; il semiasse minore di 5431.63; il semidiametro alla latitudine di quarantacinque gradi di 3438-48; il suo schiacciamento di 11.37; ^ a lunghezza di un grado del meridiano rettificato di 60; e la quarta parte del primo meridiano che passa per Parigi di 5400.72. La sua distanza dal Sole si calcola di 12048 diametri terrestri, i quali moltiplicati per 6876, numero medio delle miglia geografiche che si comprendono in un diametro, si avrà per questa distanza calcolata in miglia circa ottantadue milioni ed ottocento mille miglia. Dice il Francoeur, che per aver un' idea di questa smisurata distanza basta considerare che una palla di cannone da ventiquattro con una carica di sedici libbre di polvere, percorre per ogni minuto secondo miglia o, 44QI» ciò che vale miglia i5gi circa per ora, e 58184 per giorno; e tuttavia questo proiettile conservando quella velocità costante dovrebbe impiegare sei anni per giungere fino al Sole. La terra viene seguita da un satellite, detto Luna. Questa, più vicina a noi che ogni altro corpo celeste, è un globo sferico ed opaco, che ci riflette la luce solare, da cui viene illuminato. Molte sono le prove della opacità e sfericità della Luna, ma la più convincente la si trae dalle sue fasi. Quando la Luna sta fra la terra ed il Sole, non è da noi visibile, perchè la parte illuminata riflette la luce verso il Sole medesimo, ed allora dicesi Luna nuova, o neomenìa. Allontanandosi da quella posizione, parte della faccia illuminata si volge verso la Terra, e si presenta a noi sotto forma di Un sottilissimo arco lucido, che sparisce poco dopo il Tramontar del Sole. Di mano in mano che per la composizione del suo moto con quello della Terra si va trasportando fuori di quella direzione, e che perciò ritarda il suo tramonto, quell' arco si va ampliando, ritenendo però sempre il convesso rivolto verso il Sole. Dopo circa sette giorni dalla sua prima apparizione trovasi al meridiano nel momento che il Sole tramonta, ed allora dalla Terra si vede la metà della parte illuminata, cioè una quarta parte del suo gloho ci riesce oscura, ed un' altra quarta parte rischiarata, la quale proiettata apparisce sotto forma di un mezzo cerchio, ed .è il primo quarto. In seguito si va sempre più aumentando la parte luminosa rispetto a noi, finché dopo quattordici giorni trovandosi la Terra fra la Luna ed il Sole, la faccia rivolta a noi è la stessa che quella rivolta al Sole, e perciò si vede tutta la parte illuminata, che apparisce sotto forma di un disco, e la Luna dicesi piena: essa nasce nel punto che il Sole tramonta. Continua poi a muoversi nello stesso senso, e perciò va nascondendo alla Terra parte del suo disco illuminato, finché passa pel meridiano quando il Sole nasce, e si presenta di nuovo sotto forma di un semicerchio, ma tale che ha la convessità rivolta olla parte opposta di quando era net primo quarto, cioè verso oriente; ed allora si ha 1' ultimo quarto. Finalmente la fase continua a restringersi, finché torna ad apparire sotto la figura di un arco sottile che si perde nei raggi del Sole nascente, e cessa di apparire: e si ha in quel punto di nuovo la neomenia. Dopo due giorni torna a mostrarsi la sera verso occidente per ricominciare nello stesso modo le sue fasi. Tuttociò si rileva facilmente dalla fig. i. Tav. II., considerando le posizioni della Luna secondo i numeri progressivi in essa marcati. Nel novilunio la Luna nasce e tramonta col Sole; nel primo quarto nasce la Luna quando il Sole passa pel meridiano superiore; nel plenilunio si presenta ad oriente quando il Sole sta ad occidente; nell' ultimo quarto nasce quando il Sole tocca il meridiano inferiore. Questi fenomeni però non si corrispondono con tutta precisione, e gli astronomi calcolano le piccole modificazioni dipendenti dall' inclinazione dell' orbita lunare all' eclittica, la quale è di 5° g'. Si sa che quando la Luna sta fra la Terra ed il Sole «essa dicesi in congiunzione con qnest' astro, e quando invece la terra sta fra la Luna ed il Sole dicesi in opposizione. La congiunzione significa che le longitudini del Sole e della Luna sono eguali; « se «onUmpoiaujuunsnlc sono eguali anche le latitudini, cioè se la Terra, la Luna ed il Sole statino sulla medesima retta, si ha l'eclissi solare: nell'opposizione invece le longitudini differiscono fra loro di 1800, e se tutti e tre quei corpi si trovano pure sulla stessa linea succede l' eclissi di Luna. Ciò si vede .chiaro dalla succitata figura, quando si supponga che le posizioni 1. e 2. della Luna sieoo nello stesso piano della Terra e del Sole. La rivoluzione siderale di questo satellite è di giorni 27, 52i58 muovendosi da occidente verso oriente con una velocità di miglia 33.6 per ogni minuto, cioè circa la ventesimanoua parte della velocità della Terra, la quale si calcola di
La Luna osservata con forti telescopi presenta una massa arida; essa è ricoperta di montagne, di piani e di cavità profonde; alla sua superficie tutto è solido; essa non è cinta da alcuna atmosfera sensibile; quindi non vi ha nè aria, uè acqua, nè nubi, nè pioggie, nè alcuna delle meteore che si formano nella nostra atmosfera; e perciò potrebbero abitarla soltanto esseri di una costituzione affatto diversa dalla nostra. Si crede di aver osservato alcuni accidenti simili alle eruzioni dei vulcani; e La-Place attribuisce a questi la caduta degli aeroliti, osria di quelle *piclre che cadono talvolta dal cielo, e ciò dietro il calcolo che non essendovi atmosfera, la quale diminuisca la velocità di quei proiettili, basterebbe una forza quadrupla di quella della polvere da cannone per vincere l' attrazione lunare e giungere nella sfera d' attrazione terrestre. 5. Marte comprende nella sua orbita le tre precedenti; esso è il più vicino a noi di tutti i pianeti superiori. Stando in questo pianeta il diametro del Sole deve apparire circa un terzo di quello che apparisce a noi, e la sua superficie non più che i g. La luce ed il calore devono essere rapporto a quelli della Terra come i numeri 4 : 95 il suo volume non giunge ad una sesta parte del nostro globo, ed è circa triplo di quello di Mercurio. La sua distanza media dal Sole corrisponde ad una volta e mezza il raggio medio dell' eclittica; la sua orbita è molto eccentrica, e viene da esso descritta in un tempo quasi doppio di quello che impiega la Terra a descrivere la sua, cioè in giorni G86, QJ(j6i, ravvolgendosi come gli altri pianeti da occidente verso oriente intorno ad un asse inclinato al piano della sua orbita di tiro 33' in un tempo quasi eguale a quello della rotazione terrestre, cioè in giorni 1,02733. La sua distanza media da noi eguaglia la media che passa fra noi ed il Sole. Quando si accosta a quest' astro presenta fasi come la Luna, ma non sono però della stessa figura, cioè convesse da una parie e concave dall' altra, ma bensì presentano una forma ovale più o meno allungata; ciò avviene per la sua maggior distanza dal Sole, poiché è chiaro che quanto più i pianeti si allontanano da questo astro, tanto le loro fasi debbono essere meno pronunciate; ed al crescere della distanza essi devono apparire sempre pienamente illuminati. Ed appunto Giove, Saturno ed Urano non presentano per quella ragione alcuna fase. La luce che riflette Marte è oscura •e rossastra, lo che fa supporre che sia circondato da una densa atmosfera. Vi si riscontrano pure sul suo disco alcune macchie, che spariscono poi irregolarmente. 6. Tutti gli astronomi fino a Keplero non considerare mo dopo Marte altro pianeta che Giove; ma il sapientissimo «astronomo di Virtemberga, che in forza del suo spirito filolofico seppe riunire 1' ottica all' astronomia, e da quest' ucione ricavare quella dell' astronomia alla fisica generale, considerando la natura come un tutto, di cui il complesso e le singole parti hanno un' origine comune, verità feconda d'innumerevoli applicazioni; questo sapientissimo filosofo tanto benemerito dell' astronomia, precursore dell' immortale Newton, esaminando le distanze dei vari pianeti dal centro del Sole, trovò che vi esisteva una legge determinata, mancante però di un termino fra le di&tanze di Marte e di Gio» ve: e siccome egli era dominato dal principio che in tutto il creato vi fosse armonia, conchiuse che fra Marte e Giove doveva esistere un pianeta sconosciuto. Niuna supposizione fu forse fatta con dati minori; tuttavia era riservato agli astronomi che comparvero due secoli dappoi il mostrare col fatto la verità preveduta dall' ingegno di Keplero. Piazzi nel i8ot scopri un piccolo pianeta eh' egli denominò Cerere. Esso descrive un' orbita appunto compresa fra quelle di Marte e di Giove, e la sua distanza dal centro del Sole dà il termine preciso che mancava nella serie fissata da Keplero. Ciò che si potè fino ad ora determinare intorno a questo piccolissimo pianeta si è: che la sua rivoluzione compiesi in giorni 1460.2, che ha un'orbita inclinata a quella dell' eclittica di io" 07' a5". 2, il semiasse maggiore della quale corrisponde a quello dell' eclittica nel rapporto di uno a "2, 767245; che il suo diametro non è maggiore di un grado del meridiano terrestre; che il volume è appena un quarto di quello della Luna; e che apparisco sotto la forma di una nebulosa circondata da nebbie molto variabili. Singolar cosa è poi che nelle osservazioni praticate per riconoscere gli elementi dell' orbita di questo pianeta se ne siano scoperti altri tre, il primo da Olbers nel 1801, denominato Pallade, la cui orbita ha con 1' eclittica un' inclinazione di 34° 37' 3o", cioè la maggiore di tutte le orbite planetarie, e la sua- media distanza dal Sole è di a, 76826 confrontata con quella della Terra; il secondo da Harding nel 1804, di cui l' orbita ha il semiasse maggiore corrispondente a 2, 67035, e 1' inclinazione di i3° 4' 3o", chiamato Giunone; ed il terzo dallo stesso Olbers nel 1807, dello Vesta, con un' orbita inclinata di 70 8' e di semiasse maggiore eguale a 2, 67035 di quello dell' eclittica. Quello che più sorprende in questi quattro pianeti quasi impercettibili, il cui volume ha con quello di Mercurio lo stesso rapporto che ha questo con quello di Giove, è: che tutti quattro sono compresi fra le orbite di Marte e di Giove, e che hanno una distanza quasi uguale dal centro del Sole, sicché tutti e quattro possono supplire al termine mancante nella serie di Keplero» di più che le loro rivoluzioni differiscono pochissimo una dall' altra, e che le orbite s' intersecano tutle quasi sopra una stessa linea. Le quali circostanze fecero supporre ad Olbers, dopo eh' ebbe scoperta Pallade, che* questa e Cerere fossero i frammenti di un pianeta primario, spezzato per qualche esplosione od altra circostanza particolare; ed in forza di questa ipotesi si andò esaminando
so ve ne esistessero altri, per cui si scoprirono in seguito Giunone e Vesta. 7. Giove, il più grande di tutti i pianeti, il coi volume ha con quello della Terra il rapporto di 12S0, 9 ad uno, abbraccia con la sua orbita tutte quelle dei pianeti sopra enunciati. La sua gran distanza dal Sole che arriva a centoventicinquemila Ireccutosessantasettc semidiametri terrestri, e la piccolezza dei pianeti eh' egli abbraccia, deve far sì che questi siano in esso appena perspicibili, e che nelle congiunzioni, quando stanno sulla stessa linea con Giove e col Sole, anziché produrre un' eclisse, si mostrino come punti neri proiettati sul disco solare, nello stesso modo che vegliamo noi Mercurio. L' area poi di questo disco deve apparire la ventisettesima parte di quella che apparisce a noi, e per ciò essere la luce ed il calore ventisette volte meno intense. La sua orbita è inclinata all' eclittica poco più di un grado, e viene da esso percorsa in giorni 4-332.5gG3i, cioè quasi dodici anni, ruotando intorno ad un asse quasi perpendicolare al piano dell' orbita nello spazio di circa dieci ore, ossicno giorni o, 4>353; rotazione che fu calcolata per mezzo di alcune macchie che si osservano sul suo disco e di alcune fascie vicinissime fra loro e parallele al suo equatore. Molte altre macchie irregolari si osservano in Giove, le quali ora si allargano, ora si restringono e finalmente spariscono. L'ipotesi su queste macchie è la stessa che su quelle degli altri pianeti, cioè che vi sieno nubi folte che i venti trasportino con diverse velocità in un' atmosfera agitatissima. Giove presenta uno schiacciamento ai suoi poli molto sensibile essendo fra il suo asse maggiore ed il minore il rapporto di uno a o, 9^87; e ciò dipende dalla grandissima celerità, con cui si ravvolge intorno al suo asse, per cui le molecole che sono sotto all' equatore provano una graudisr sima forza centrifuga. Fra i quattro pianeti che si aggirano più presso del Sole vedemmo che la Terra soltanto viene accompagnata da un satellite,* e questo era il solo che si conoscesse dagli antichi. Ma la invenzione dei telescopi fece si, che poterono osservarsi intorno a Giove quattro piccoli globi, che si aggirano in orbite determinate ubbidendo alle stesse leggi, dietro alle quali la Luna segue la ' Terra. Benché la scoperta di questi satelliti sia stata contrastala al Galileo da Simone Mario, pure convengono tutti che a quel grande italiano sia dovuta tutta la gloria; perchè fu il primo a pubblicare le sue osservazioni, a determinare i tempi approssimati del loro moto, ed a mostrarne 1' utilità nella determinazione delle longitudini geografiche. Le continuate osservazioni hanno potuto, benché difficilmente, stabilire gli elementi principali delle loro orbite, e formare delle tavole dei loro moti, per cui si dedusse quanto segue. Esaminando tutte le apparenze, si deve ritenere che si avvolgono in orbite pressoché circolari, vicinissime tra loro, poco discoste dall' equatore di Giove, e pochissimo inclinate u\ piano dell' eclittica; anzi calcolandosi che il primo stia precisamente in quel piano, il secondo devii soltanto di 6''. 4, il terzo di 5' i'\ 68, ed il quarto di a4' 33" i5. Il fenomeno più importante che presentano questi satelliti, e per mezzo di cui si potè più facilmente che in altro modo determinare la loro teoria, sono gli eclissi, i quali succedono spessissimo in causa della poca inclinazione delle loro orbite a quella di Giove, per cui non si sollevano mai tanto da potersi disimpegnare dal cono ombroso che lascia dietro di sé il globo del pianeta. Il primo satellite si eclissa regolarmente ad ogni 28' 48''» restando eclissato per a* i5' 44"; l' eclisse del secondo succede ad ogni 85'" 18', e dura 2'' 521 6"; quella del terzo dopo sette giorni e quattr' ore durando tre ore, trentatrè primi e quaranta secondi; e finalmente quella del quarto ad ogni diciassette giorni per quattr' ore, quarantaquattro primi e cinquanta secondi. Si riconobbe che si aggirano presentando a Giove sempre la medesima faccia, come fa la Luna verso la Terra. Finalmente la rivoluzione del primo dura giorni 1 . 769, quella del secondo giorni 3 . 554, del terzo giorni 7 . 166, e del quar .to giorni 16,753ritornando poi tutti alla medesima posi sizionc relativa ogni 4^7 giorni. E chiaro che questi quattro satelliti per le loro fasi, eclissi e posizioni relative, devono presentare a Giove variatissimi aspetti, potendo alzarsi o tramontare contemporaneamente, a giungere al meridiano l'uno accanto dell' altro, od uno superiore e 1' altro inferiore. 8. Saturno è il pianeta più distante dal Sole che conoscessero gli antichi, il raggio della sua orbita essendo più che nove raggi e mezzo dell' eclittica, dal cui piano devia con un angolo di i° 3o'; esso la percorre iu veutinove anni e mezzo circa, oppure in 10759 giorni meno qualche minuto. Come gli altri pianeti primarj ruota intorno ad un asse da occidente ad oriente, impiegando in questa rotazione, secondo i calcoli di Herschel, circa dieci ore ed un quarto. Il calcolo e 1' osservazione fecero conchiudere, che Saturno sia schiacciato ai poli ed elevato all' equatore col rapporto fra i due semiassi di 10: 11. La sua lontananza dal Sole produce che quest' astro debba apparire, veduto da Saturno, di un' area eguale ad un novantesimo di quella clic apparisce a noi, e la luce ed il calore essere novanta volte meno intensi. Benché il suo volume sia 974 volte quello della Terra, pure in causa della sua distanza ci riflette una luce pallida e biancastra. La sua superficie è segnata da alcune fasce parallele al suo equatore simili a quelle che si veggono sul disco di Marte e di Giove. Ma la singolarità che presenta Saturno a differenza di ogni altro pianeta, è quella di essere circondato da un corpo opaco circolare esaminato particolarmente da Huygens, detto 1' anello di Saturno, illuminato dal Sole, largo
apparentemente di 1", ciò che calcolato alla distanza da noi dà approssimativamente 36oo miglia, cioè poco diverso da ut» raggio terrestre, e circa un terzo del raggio di Saturno, molto sottile, e quasi piano, talmente situato che il suo prolungamento passerebbe pel centro del pianeta, ed inclinato all' eclittica di 38° 4°'- Esso è isolato, e tra questo e il pianeta vi resta uno spazio vuoto, a traverso del quale si possono vedere le stelle; la distanza dall'anello al pianeta è uguale alla larghezza dell' anello medesimo. Gira questo anello intorno allo stesso asse e nel medesimo tempo del pianeta; o. apparisce a noj s,ottp I4 forma di ua'eJUsse, che, va sempre più restringendosi finche scompare totalmente, e solo con fortissimi canocchiali se ne vede una traccia luminosa; le quali apparenze dipendono dalla posizione relativa del sole, della Terra e di Saturno. Queste apparenze si rinuovano in un periodo di circa quindici anni; in quest'anno l'anello non si vede, come non si vedrà nel 1848, nel 1862, e così di seguito. Questo stesso anello appare come formato da due anelli concentrici che girano assieme, e separati da uno spazio vuoto che ci si presenta sotto la forma di una linea nera e circolare; anzi Short dice di avere osservato parecchie di queste linee, ciò che farebbe supporre, dice il Francoeur, che questo corpo risultasse da diverse corone staccate. Non basta che Saturno sia illuminato da questo anello, più o meno, secondo la maggiore o minore latitudine saturnale, perchè esso è anche seguitato da sette satelliti, sei dei quali si muovono quasi nel prolungamento del piano dell' anello, ed il settimo vi si allontana con una inclinazione di 5°. Il primo ed il secondo non possono vedersi che col mezzo di fortissimi telescopi; con gli ordinari appena si scorgono il terzo ed il quarto; quelli però che si possono osservare facilmente, e per lo più durante la loro intera rivoluzione, sono il quinto ed il sesto; finalmente il settimo, eh' è uno dei più grandi, ed il più distante dal centro di Saturno, si osserva benissimo quando è ad occidente del pianeta, e riesce quasi invisibile allorché trovasi ad oriente. Più difficili ad osservarsi che non sono i satelliti di Giove, più difficilmente si potè anche determinare gli elementi delle loro orbite; tuttavia con assidue osservazioni si potè dedurre una .grandissima analogia, e specialmente quella della rotazione intorno ad un asse di durata eguale a quella della rivoluzione intorno al pianeta ; per cui anzi fu conchiuso che questa sia legge comune a tutti i satelliti. 9. A Saturno terminava, per così dire, l'impero del nostro Sole, prima che venisse Herschel ad aumentarlo, aggiungendovi nel 1781 un altro pianeta, che portò da principio il nome dello scopritore, e che fu poi denominato Urano. E questo il più distante dal centro comune, calcolandosi il raggio medio della sua orbita più che diciannove raggi dell'eclittica, per cui abbraccia con la medesima tutte le altre orbite planetarie, descrivendola in un piano meno inclinato di ogni altro a quello dell' eclittica. L' analogia, più che le osservazioni, servì a stabilire la teoria del suo movimento; e perciò si ritiene, benché non vi sia nessuna prova diretta, che sia esso un corpo opaco ravvolgentesi intorno ad un asse conformemente agli altri pianeti. Siccome non si ebbe ancora alcun dato su questa rotazione, così non si potè determinarne la durata. Ciò che diede il calcolo approssimato si riduce a quanto segue. Urano impiegherà circa ottantaquattr' anni a compiere ].i sua intera rivoluzione siderale; sicché devono seorrere ancora trentatrè anni prima eh' esso ritorni a quella posizione, nella quale fu per la prima volta veduto da Herschel. Il Sole deve apparire in mano la quattrocentesima parte di quello che si osserva da noi. Il suo volume corrisponde ad 81 . 26 di quello della Terra, e la sua massa ad 1 . 6904 della nostra. L' analogia stessa ha portato lo scopritore del pianeta a supporre che intorno ad esso vi si aggirassero alcuni satelliti; e difatti dopo inutili ricerche, procurando al suo telescopio una maggior quantità di luce con sopprimervi lo specchio minore, pervenne nel 1787 a scoprirne due; poscia duo altri ne osservò nel 1790; e finalmente altri due nel 1794. Ritiensi pertanto che Urano sia circondato da sei satelliti, i quali, dietro quanto espose Herschel ( il solo che li abbia finora osservati ), si aggirano in orbite quasi circolari e perpendicolari al piano dell' eclittica. Le durate delle loro rivoluzioni furono direttamente osservate dall' astronomo inglese pel secondo e pel quarto satellite; le altre furono dedotte dalle leggi di Keplero, leggi che 1' osservazione riscontrò vere in tutti gli altri satelliti non meno che nei pianeti pnmarj. Finalmente qucll' osservatore credè di rimarcare in Urano uno schiacciamento, e di vederlo cinto da uno o più anelli, come pure da un' atmosfera molto densa. 10. Questi sono i soli corpi che fino ad ora si osservarono aggirarsi d' intorno al Sole con leggi uniformi e con apparizioni regolari. Ve ne hanno però degli altri, che devono comprendersi nel numero dei pianeti, e che formano parte del nostro sistema, i quali per la loro forma ordinaria furono chiamati comete. L' apparizione di questi corpi essendo affatto irregolare e per tempo e per forma e per direzione, ha destato sempre lo spavento, particolarmente nei secoli d' ignoranza, nei quali, anziché pensare che 1' unico mezzo di conoscere la natura era quello d' interrogarla con l' osservazione e col calcolo, si attribuiva alle cause Quali tutto ciò che accadeva regolarmente, al caso quanto non presentava un ordine determinato, ed alla vendetta celeste quello eh' era straordinario o che sembrava contrario all' ordine naturale. Si pretendeva che le comete dovessero apportare od annunziare gravissimi disastri; per cui sotto il papa Calisto, al momento che i Turchi stavano per rovesciare l'
impero greco, essendo apparsa la cometa che porta il nome dell' astronomo Halley, furono ordinate pubbliche preci, con le quali si scongiurava la cometa ed i Turchi. Ma le scienze, e la quasi niuna corrispondenza tra le predizioni e gli avvenimenti, hanno finalmente sbanditi questi terrori. Ve ne introdussero peraltro di più ragionevoli, benché di una lontanissima probabilità, cioè P urto che una cometa può dare nel suo corso alla Terra. Quali ne sarebbero allora gli effetti, ce li dipinge La-Place (a) con le seguenti parole. „ Cangiarsi P asse ed il moto di rotazione; i mari ab„ baudonare la loro posizione per precipitarsi verso il nuo„ vo equatore; una gran parte d' uomini e d' animali anne„ gali in questo diluvio universale, o distrutti dalla scossa „ violenta impressa al globo terrestre; intere specie annien„ tate; tutti i monumenti dell' umana industria rovesciati; „ ecco i disastri che ha dovuto produrre P urto di una co„ meta contro la Terra. Vedesi quindi come l' oceano abbia „ ricoperte le più alte montagne lasciando tracce incontcsta„ bili del suo soggiorno; si vede come gli animali e le pian„ te del mezzogiorno abbiano potuto allignare nei climi del „ nord, ove si trovano le loro spoglie e le loro impronte; „ finalmente si spiega la giovinezza del mondo morale, i cui „ monumenti non risalgono al di là di cinque mille anni. La (i) Sjst. du Monde. IV. 4. „ specie umana ridotta ad un piccolo numero d'individui e „ ad uno stato il più deplorabile, occupati unicamente per „ lunghissimo tempo del modo di conservarsi, ha dovuto „ perdere interamente la memoria delle scienze e delle arti; „ e quando i progressi della civiltà ne hanno fatto sentire „ nuovamente i bisogni, si dovette ricominciar tutto, come „ la prima volta, in cui gli uomini fossero stati posti sulla „ terra". Alle quali osservazioni si aggiunge il calcolo fatto sulla cometa di Newton, cioè eh' essa compie sette rivoluzioni in 4°*8 anni, per cui dev1 essersi avvicinata alla terra 334<) anni prima di Cristo, epoca a cui si rapporta il diluvio, di Mosè. Questa specie di pianeti però non si assoggettò generalmente all' esattezza dei calcoli, per la variazione della loro figura, e per le orbite estesissime eh' essi descrivono. Le comete sono per lo più seguite da una coda vaporosa, attraverso della quale si possono osservare anche le stelle; talune sono cinte da una specie di atmosfera che manda una luce torbida della barba o chioma; altre volte non presentano alcuna di queste apparenze. Si osservarono delle fasi, e si concliiuse che sono corpi opachi composti di un nucleo uccompaguato da una striscia vaporosa più o meno densa, più o meno estesa. La coda è sempre diretta in senso opposto al Sole; essa non apparisce quando la cometa è lontana da quest' astro, ed ha le maggiori dimensioni quando è presso al perielio. Quindi si conchiuse che la loro prossimità al Sole faccia sì che vengano dal calore di questo riscaldate ed evaporizzatc; difatti quella del 1680 essendosi approssimata al Sole cenlotrentasei volte più di quello che noi non siamo, doveva provare un calore ventotto mille volte più intenso di noi, cioè un grado parecchie mille volte maggiore di quello del ferro in fusione. Non solo la forma, ma benanche la diversità del moto fanno distinguere le comete dai pianeti Poche sono quelle che abbiano una direzione costante da occidente verso oriente, un' orbita poco inclinata all' eclittica, e poco eccentrica; avendo in generale uua direzione in qualunque senso, descrivendo ellissi allungatissime, le quali, pel motivo che la cometa non ci è visibile se non quando è vicina al perielio, possono considerarsi siccome parabole, od iperbole. La difficoltà di calcolare gli elementi dell' orbite di una cometa è tale, che di centoventidue comete, delle quali si cercò di dedeterminare la rivoluzione, una sola è, della quale si possono predire con certezza le riapparizioni, ed è quella di Hallcy, la cui rivoluzione si calcola di circa settantacinque anni e mezzo, e che si aspetta di rivedere nel i855. E certo però che il Sole occupa il foco di ciascuna di queste orbite. La massa delle comete è piccolissima, e tale ebe per quanto si sieno avvicinate alla Terra non hanno prodotto alcun' alterazione. Quella del 1770, che più d' ogni altra vi si è approssimata, si calcolò che fosse appena la cinquemillesima parte del nostro globo, e forse era ancora molto più piccola, perchè passò tra Giove e i suoi satelliti senza esercitare su di essi alcuna influenza. Le apparizioni di questi corpi non durano più che sei mesi; una di quelle che si mostrarono più a lungo fu nel 181 r, la quale invece di recare danno alcuno è stata anzi seguita da abbondantissimi raccolti. Ecco tutto quello che si può dire generalmente del nostro sistema planetario, e quanto di più certo hanno potuto stabilire le osservazioni e la mente d' ingegni straordinarj. Per concepire poi meglio le accennate disposizioni si osservi la Tav. IL fig. O., in cui si vede in S il Sole come centro del sistema, ed intorno ad esso le orbite dei pianeti e dei loro satelliti nell' ordine sopra indicato. In questa figura si veggono conservati soltanto i rapporti approssimati fra i raggi delle singole orbite; ma la mente deve concepire che l' orbita della terra stia nel piano della tavola slessa, e che quelle degli altri pianeti abbiano col medesimo l'inclinazione accennata, e di più che sieno tutte ellittiche, anziché circolari, benché non molto vi differiscano, essendo pochissimo eccentriche, e potendoci nelle più comuni
ricerche ritenerle come tali. Per dare poi un' idea delle orbite delle comete se ne segnarono due; la prima appartiene alla cometa di Hallcy, comparsa nel 1739, e che si conosce più precisamente di ogn' altra; e la seconda viene descritta dalla cometa del 1680, cioè di quella che più di tutte si ò. avvicinata al Sole. La fig. 5. in ultimo dà un' idea del rapporto che passa fra i semidiametri dei pianeti, cominciando dal minore che si potè determinare precisamente, eh' è quello della Luna fino al massimo, eh' è quello di Giove, il quale però non è che la decima parte del raggio solare. Ma si chiederà: questo sistema è assolutamente completo? Niuno vi può rispondere. Prima di Ilcrschel non si conosceva Urano per la sua gran lontananza; prima di Piazzi, di Olbers e di Harding non si conoscevano Cerere, Palladc, Giunone e Vesta per la loro estrema piccolezza. E chi potrebbe accertare che fra le orbite ora conosciute non ve ne sicno comprese delle altre, ovvero che tutte queste non sieno comprese da orbite più vaste? Lo spazio non ha limiti; ed i mezzi che finóra abbiamo per esaminarlo possono essere sommamente imperfetti affine di giungere a queste scoperte. È vero che la legge di Keplero sulle distanze dei pianeti dal Sole, così precisamente verificata dalle scoperte, a lui posteriori di più secoli, sembra renderci sicuri che non vi esistano pianeti intermedi a quelli che finora si conoscono, e che solo questa legge potrebbe estendersi co' suoi termini sopra pianeti ancora più lontani dal centro comune: ma la particolarità dei quattro ultimi scoperti ad una eguale distanza media dal Sole non potrebbe esistere anche presso, qualche altro pianeta principiale, e quegli atomi, che nuotano nello spazio, non poter per la loro picciolezza raccogliere dal Sole tanta luce che riflessa basti a far impressione sui nostri sensi? Tutto ciò spetta alle future generazioni. E impossibile di fissar un limite dove non ve n' esiste. Ma non è egualmente impossibile alla mente umana di trasportarsi ove meglio le aggrada, e perciò usciamo per poco dal nostro sistema planetario, come prima ci siamo sollevati dal nostro pianeta. Il Il Sole è veramente immobile nello spazio, corno lo ab» biamo sino ad ora considerato? Ecco una nuova questione, a cui pure non si può rispondere adequatamente. Certo è però che fuori del nostro sistema, deve presentarsi non diverso da quei puMii scintillami CJJLC ai cjuawano stelle, Fisr siamo le idee sulla disposizione di queste, e poscia diremo ciò che sembra più plausibile sulla loro natura (i). Dopo lo spettacolo d un bel giorno, il più sorprendente è quello di una notte, che ci discopre i piani azzurri del cielo senza nubi, nei quali sembra che 1' oro frammischi il suo splendore ai diamanti, di cui sono disseminati. Come ricco e pomposo è il manto della notte! Così riguardala essa non ha cosa alcuna di spaventevole: anzi è una divinità, che trapassando versa uua rugiada benefica rianimatrice dei fiori, delle foglie e delle piante disseccate dagli ardori del giorno, e mantiene Dell' atmosfera quella dolce umidità tanto necessaria alla vegetazione. Essa è quasi la misura del sonno della natura, stendendo un velo sugli uomini e sugli animali durante il loro riposo, eh' essa circonda d' un maestoso silenzio: AH' ombra delle sue ali tutto ciò che respira •ulla terra, nell' aria, nelle acque si rinfranca dalle fatiche del giorno, o gode i piaceri dall' amore. Le sue tenebre non sono quelle del caos, perchè ha la sua luce, il suo ordine, la sua armonia ammirabile, che non cede a quella del giorno. Non v' è no quello splendore abbagliante del Sole che tutto fa scomparire nei cieli, per dominar solo, e tutto ci discopre sulla terra; poiché invece la notte ci nasconde la terra, e non ci occupa che dello spettacolo dei cieli, i cui astri brillanti senza di essa ci resterebbero sconosciuti. Così c' introduce un profondo filosofo (2) a contemplare il cielo, ed a leggere in esso la storia religiosa dei primi uomini. Noi però ammirando tanta bellezza e tanta filosofia, ci limiteremo a seguare le vie più sicure che si devono percorrere in cielo. Siccome era impossibile di attribuire un nome a ciascuna stella per causa del loro indeterminalo numero, così gli astronomi fin da tempi remotissimi pensarono di classificar-, le per gruppi, dando ai medesimi denoniiuazioni affatto arbitrarie in quanto alla corrispondenza fra il nome e la forma del gruppo, ma non però in quanto al significato, desumenti Qui estuiamo 1' ordine, la forma e le denominazioni delle principali costellazioni, affine di seguire il nostro autore, modificandolo in Ab ilie fu meglio determinato dai moderni astronomi. (2) Denuis. Oiig. des Cultes. doli o dalla religione o dalla storia, o dalle produzioni naturali, o dalle operazioni campestri che si eseguivano, allorché uno di quei gruppi si trovava in una determinata posizione relativa agli altri corpi celesti, e specialmente al Sole. Questi gruppi furono poi con nome generico chiamati costellazioni od asterismi. Dato il nome ad una costellazione, si distinsero con una lettera o con una cifra le singole stelle che la componevano. Finamente si classificarono anche in rapporto al loro splendore, e si dissero stelle di prima, seconda, terza, quarta, quinta e sesta grandezza, al di là della quale le stelle non sono visibili senza telescopio. Per poter riconoscere queste costellazioni sarà necessario di fissarne una ben nota, e dalla posizione relativa di
questa si potranno facilmente distinguere le altre. La posizione più favorevole pel nostro emisfero è quella di volgersi con la faccia a settentrione. Si avrà allora di fronte una stella di seconda grandezza, la quale appare immobile e quasi collocata in quel punto, a cui si riferisce 1' estremità dell'asse di rotazione della terra; punto che chiamasi polo, e per cui la stella medesima dicesi polare. Il metodo accennato da Vitruvio per la classificazione di questi asterismi, è seguito tuttora, e vengono distinti in boreali, zodiacali ed australi. Eccone i loro nomi. Costellazioni boreali. » x. L' Orsa maggiore, od il Carro. È questa una delle costellazioni che non tramontano mai. risulta principalmente di sette stelle, sei delle quali sono secondarie ed una terziaria. La sua forma e quella delle susseguenti si veggono nella Tavola III. Ognuno può riconoscerla. a. L' Orsa minore, od il piccolo Carro ha la stessa forma dell' Orsa maggiore, ma collocata in senso opposto, come vedesi nella suddetta tavola. Essa è però più presso al polo, e la stella che termina la sua coda è la polare. Questa stella che deve dirigere nelle osservazioni del cielo, si trova facilmente quando si conosca l'Orsa maggiore; poiché basta prolungare la linea che unisce le due stelle posteriori del gran carro, e si giungerà alla polare. yIT sur io, Lib. JX. 8 3. Cassiopea, od il trono. Fissato il polo, questa costellazione sta dalla parte opposta rispetto a!i' Orsa maggiore. Facile è il riconoscerla per la sua forma simile a quella di una Y. 4 Cefeo è formata di tre stelle terziarie disposte ad arco, il cui centro si può supporre nella più brillante stella di Cassiopea. Essa ha una posizione intermedia fra il polo e Cassiopea. La linea che serve a determinare la polare prolungata giunge ad una estremità di quesl' arco. 5. Pegaso sta dalla parte opposta del polo rispetto all' Orsa maggiore inferiormente a Cassiopea; ed è formata di quattro stelle secondarie disposte in un quadrilatero consimile a quello formato dalle quattro ruote del gran carro. Uno di questi due quadrilateri passa al meridiano circa dodici ore dopo dell' altro. 6. Andromeda. La diagonale di Pegaso prolungata dalla parte di Cassiopea passa per tre stelle equidistanti disposte in forma di una curva dolce, le quali formano la ce* stcllazione di Andromeda. 7. Il Dragone è facilissimo a riconoscersi per una successione di stelle che vanno a formare una curva a doppia curvatura. La sua coda separa le due Orse; e la testa è formata di quattro stelle terziarie disposte in forma di trapezio. 8. Perseo sta a sinistra di Cassiopea. Tre stelle, una secondaria in mezzo a due terziarie, formano un arco che volge la sua concavità verso 1' Orsa maggiore. Dalla terza, contando da Cassiopea, partono due file di stelle, una continua 1' arco primitivo, e 1' altra si piega verso mezzogiorno, formando una curvatura inversa della prima. 9. L' Auriga è formato da un pentagono irregolare, di cui le tre stelle più brillanti formano un triangolo isoscele. Quella di prima grandezza dicesi Capra. 10. Il triangolo boreale risulta da tre stelle poste inferiormente ad Andromeda. In Boote. Comprende questa una stella di prima grandezza, chiamata Arturo, che sta sul prolungamento delle due che formano ¥ estremità della coda dell' Orsa maggiore. Al nord-est di Arturo vi è upa specie di pentagono; e fra quer sto pentagono e la coda dell' Orsa vi sono diverse stelle quartane, che formano la mano superiore di Boote. lì. La Chioma di Berenice viene rappresentata da un gruppo di piccolissime stelle molto vicine fra loro, e situate al sud-ovest di Arturo in modo che verrebbero comprese dal concavo dell' arco formato dalla coda e da una ruota del gran carro. 13. La Corona boreale sta ad oriente di Boote, e risulta da sei o sette stelle disposte in semicerchio rivolto con la concavità verso la testa del Dragone. Fra queste stelle ve n' ha una secondaria, che sarebbe incontrata dal prolungamento della diagonale che comprende la stella terziaria dell' Orsa maggiore: questa dicesi la gemma della corona. A. La Lira. Al sud-est del Dragone sta la Lira, detta anche Avvoltoio piombante. Essa ha una bellissima stella primaria chiamata Wega, la quale forma con la polare e con Arturo un gran triangolo rettangolo in Wega. Rispetto al polo è opposta alla Capra, di guisa che quando una è al zenit, 1' altra è all' orizzonte. Comprende altre tre stelle
terziarie disposte in triangolo. 15. Il Cigno o la Croce è all' oriente della Lira, e forma una gran croce nella via lattea. Questa croce ha nella sommità verso nord una stella secondaria, le altre quattro sono terziarie. 16. L' Aquila è a mezzogiorno del Cigno e della Lira. Vi sono in essa tre stelle disposte in linea obbliqua, la media è di prima grandezza, e le altre due terziarie. jy. Jnlinoo o Ganimede sta a mezzogiorno dell' Aquila, ed è un quadrilatero di quattro terziarie ( Vcggasi la Tav. IV. ). t8. Il Delfino è precisamente/ a mezzogiorno della più lucida del Cigno, e risulta da quattro terziarie molto vicine formanti una specie di rombo, inferiormente alle quali ve AI' è una quinta della stessa grandezza. 19. Il piccolo Cavallo verrebbe incontrato da una litica che andasse dalla Lira al Delfino. È questo un trapezio di quattro stelle di quarta grandezza. 10. L' Ofiuco ed il Serpente sono due costellazioni di. abbracciano un gran tratto di cielo. La prima- è circondata dalla seconda. Inferiormente alla Corona sta la testa del Serpente simile ad nn V obbliquo, la coda del quale si prolunga in una fila di stelle terziarie che oltrepassa di molto 1' equatore. La testa di Ofiuco "o Serpentario, le sue due spalle, e la testa di Ercole che gli sta sopra formano un trapezio, alla cui estremità meridionale trovasi un gruppo di piccole stelle molto prossime tra loro. L' Ofiuco forma un trapezio con una stella secondaria, due terziarie ed una quartana. La coda del serpente sta fra questo trapezio e quello di Antinoo. Vcggasi la Tav. IV. •ÌI. Ercole ossia 1' inginoccliiato forma pure un trapezio di quattro terziarie superiore all' Ofiuco, del quale la diagonale che si dirige verso mezzogiorno prolungata va ad incontrare un' altra terziaria, che dicesi la testa di Ercole, e che serve a compiere il trapezio dell' Ofiuco. Costellazioni zodiacali. i. L' Ariete. Questa è formata da due stelle terziarie vicinissime poste sulla linea che va a nord-est sopra l'Auriga; sotto alla più occidentale ve ne ha una quartaria. E questa posta inferiormente ad Andromeda. La figura di questa e delle seguenti costellazioni si osserva nella Tav. IV. a. Il Toro. Presso a questa costellazione vi sono le Pieiadi e le ladi; queste ultime stanno propriamente sul dosso del Toro. Una stella primaria alquanto rossastra forma l'occhio del Toro, detta ariche Aldebarano, e posta sopra una linea che partendo dal polo passa fra la Capra e Perseo senza incontrare altra stella rimarcabile. La stella inferiore del pentagono che forma 1' Auriga corrisponde al corno boreale del Toro. 3. I Gemelli. All' est del Toro stanno i Gemelli rappresentanti quasi un parallelogrammo, tre angoli del quale vengono segnati da tre stelle vivissime di prima o seconda grandezza, formano una specie di triangolo isoscele, al di cui vertice sta la Capra ( Tav. IV. e Tav. III. ). 4- Il Cancro. Poco visibile è questa costellazione, poiché risulta di quattro quartane aventi fra di esse un gruppo di piccolissime stelle. 5. Il Lione. La linea che serve a determinare la polare prolungata in senso opposto attraversa un trapezio formato da quattro stelle, che comprendono la costellazione del Lione. Le due che formano la base inferiore sono di prima graudezza; di cui quella che sta verso il Cancro dicesi il cuore di Regolo, e 1' altra la coda del Lione. Il lato che guarda verso il Cancro serve di base ad un triangolo, superiormente al quale si vede un altro trapezio più piccolo che ha un vertice comune col primo. 6. La vergine. Il prolungamento della maggior diagonale del quadrilatero dell' Orsa maggiore va ad incontrare una stella di prima grandezza, detta la spica della Vergine, che compie un grande triangolo con Arturo e con la coda del Lione. Conduceudo poi una retta dalla coda del Lione alla spica si attraversa un angolo retto formato da cinque stelle terziarie, il cui lato inferiore segue quasi 1' andamento dell' eclittica, e prolungata giungerebbe fino al cuore di Regolo. 7. La Libra sta all' est della Vergine. Essa comprende un quadrilatero, "a due angoli del quale si veggono due stelle di seconda grandezza, e che si fingono raffigurare i due piatti. 8. Lo Scorpione ha la seguente figura. Si vede un arco convesso verso la Libra formato da quattro o cinque stelle, una delle quali, detta la fronte dello Scorpione, è secondaria; nel concavo di quesl' arco vi è una stella bellissima detta Antareo od anche il cuore dello Scorpione, e sta sul prolungamento della linea che va da Regolo
alla Spica; inferiormente a questa sta la coda formata da una fila di stelle terziarie e quartane disposte in una curva che volge il convesso all' orizzonte, e che torna a ripiegarsi verso Aula reo. 9. Il Sagittario è alquanto ad oriente di Antareo, e seguita la direzione dell' eclittica risultando di un trapezio obbliquo, dinanzi al quale si vede un arco simigliatile a quello di una freccia volgente il convesso dalla parte dello Scorpione. Poco sopra a quel trapezio se ne vede un altro piccolissimo' che forma la testa del Sagittario. 10. Il Capricorno. Questa, costellazione rispetto all'echitica è dalla parte opposta del Sagittario. La testa del Capricorno è formata da due terziarie, una delle quali sta in linea retta con due secondarie e con altre due terziarie, che appartengono all' Aquario. 11. L' Aquario. Se si guida una linea dalla Lira al Delfino si viene ad attraversare l' Aquario, nella quale costellazioue si osserva un triangolo ottusangolo formato da tre terziarie, due delle quali stanno in linea retta con la superiore della testa del Capricorno. Da questo triangolo parte una linea serpeggiante che si stende sino al Pesce australe e che rappresenta l' acqua. 12. I Pesci. Risulta questa costellazione da due linee di stelle alquanto tortuose che concorrono in un punto, detto il nodo, in cui vi è una terziaria posta sul prolungamento della linea che va dal piede di Andromeda alla testa dell'Ariete. Queste due file di stelle sono poco apparenti; partendo dal nodo una si dirige verso nord fino ad Andromeda, 1' altra verso ovest sotto al quadrilatero di Pegaso. Costellazioni australi (i).' i. La Balena. Questa risulta di tre trapezi diversi di grandezza, uno dei quali sta sotto all' Ariete, 1' altro, eh' è il maggiore, sotto ai Pesci, ed il terzo più piccolo a sinistra di quest' ultimo; finalmente alquanto inferiormente alla sinistra del trapezio maggiore si trova una secondaria che forma la coda. ■a. Il Pesce australe sta sotto all' Aquario; comprende una bella stella di prima grandezza, detta Fomalhaut, che costituisce la bocca del Pesce. 3. Orione è la più bella fra tutte le costellazioni e per la sua estensione e pel numero delle stelle brillanti che la compongono. Si vede in essa un gran quadrilatero, di cui una diagonale risulta di due stelle primarie, e l'altra di due secondarie: nell' interno del quadrilatero vi sono tre secondarie molto prossime e disposte in linea obbliqua, la qual (ì) Le figure di queste costellazioni si reggono alla Tav. IV. linea prolungala giungerebbe ad Aldcbarano verso nord-ovest, ed a Sirio verso sud-est; al di sotto di queste se ne veggono tre altre terziarie che costituiscono la spada; fra il quadrilatero ed Aldebarano si scorge una fila di piccole stelle disposte in linea curva con la convessità verso Aldebarano, ebe forma lo scudo. 4. Il gran Cane sta al sud-est di Orione. Comprende la più bella fra tutte le stelle, cioè Sirio che forma 1' angolo superiore orientale di un quadrilatero, la cui base iute - riorc è adiacente ad un triangolo. Tutte le stelle che concorrono a formare questa costellazione sono secondarie, ad eccezione di Sirio eh' è, come si disse, di prima grandezza e la più risplendente di tutte. 5. Il piccolo Cane. Inferiormente al Gemelli ed all' est deli' angolo superiore del quadrilatero di Orione si trova una stella di seconda grandezza chiamata Procione, presso «alla quale vedesi una terziaria. 6. L' Eridano. È questa formata da una serie di stelle terziarie e quartane disposte in linea serpeggiante, che ha principio all' angolo inferiore occidentale del quadrilatero d' Orione, e termina sotto all' orizzonte in una bella stella primaria distante 3i° dal polo australe. 7. La Lepre. Al di sotto di Orione e ad ovest del gran Cane si trovano quattro terziarie disposte in un quadrilatero, che formano la costellazione della Lepre. Più inferiormente sta una stella secondaria detta la Colomba. , 8. L' Idra è una lunga costellazione che occupa una quarta parte dell'orizzonte. La sua testa è a sinistra di Procione formata di quattro stelle di quarta grandezza al di sotto del Cancro e sul prolungamento della linea che va dalla stella primaria superiore di Orione a Procione. Il lato occidentale del trapezio del Lione prolungato giungerebbe al cuore dell' Idra, eh' è una primaria, o secondaria come altri vogliono. Una serie poi di dieci stelle forma la ripiegatura dell' Idra, la quale porta sul suo dosso le due seguenti costellazioni. i). La Coppa sta presso alla piegatura dell' Idra non molto distante dal cuore, e risulta da sei quartane disposte in
semicerchio. io. Il Corvo è poco lungi della Coppa al sud-est della medesima, ed a mezzogiorno della Vergine. Esso comprende quattro terziarie disposte in un trapezio, una delle quali sta sulla linea flessuosa dell' Idra. Sul lato occidentale poi si trova un' altra stella pure terziaria. n. Il Vascello è ad oriente del gran Cane. Comprende tre terziarie, dopo le quali se ne veggono altre tre a sinistra che formano l' alberatura. Il resto di questa costellazione, fra cui trovasi la più bella stella dopo Sirio, detta Canopo, non sorge sopra il nostro orizzonte. 13. Il Liocorno sta fra il piccolo Cane ed Orione, e comprende diverse quartane disposte in forma di un V molto obbliquo, il cui ramo superiore si ripiega sulla linea retta che forma i piedi dei Gemelli. i3. Il Centauro sta sotto la coda dell'Idra; appare poco sopra il nostro orizzonte. Vi si distingue una secondaria avente a destra una terziaria, e superiormente quattro piccole stelle che formano la testa del Centauro; continua poi questa costellazione verso sud con diverse belle stelle, fra le quali si contano due primarie; e fra le gambe del Centauro sta la Croce meridionale risultante da quattro secondarie a noi sempre invisibili. i4- Il Lupo trovasi al sud-ovest di Anlarco, disegnato da diverse piccole stelle. Si rappresenta questo animale come ferito da una lancia che tiene in mauo il Centauro. 15. Il Solitario è una piccola costellazione posta sotto al bacino australe della Libra, e nella quale si rimarca una sola terziaria che fu staccata dallo Scorpione. 16. 11 Telescopio è formato da due quartane situate sotto la freccia del Sagittario ed a sinistra della coda dello Scorpione (i). Queste sono le principali costellazioni disegnate dagli astronomi, ina non le sole: poiché fra le boreali si contano altresì: la giraffa che fu formata nel 1679 da alcune stelle poco sensibili che occupano lo spazio intermedio alle costellazioni delle due Orse, di Cassiopea, di Perseo e del ti) Chi VOLESSE vedere più distintamente la configurazione delle più belle costellazioni esamini la Tar. V, l' Auriga: la Lince fra l' Auriga e I' Orsa maggiore: il piecolo. Lione, posto sotto il gran Lione, e che uuito ai due Levrieri e ad altre stelle disperse formava la costellazione detta un tempo Giordano; la Volpe e l'Oca tra la Freccia ed il Cigno; lo Scudo di Sobieski all' occidente di Antinoo; la Lucertola ad oriente del Cigno, ed alcune altre verso il polo; le quali tutte si possono diffìcilmente discernere. Parimente fra le australi trovasi 1' Altare, la Corona australe, la Gru, la Fenice, il Pavone, il Triangolo australe, il Pesce volante, l' orata, V Indiano, la mosca australe, l' Idra maschio, il Camaleonte ecc., le quali non compariscono mai od appena sopra il nostro orizzonte. Ma oltre alle costellazioni determinate, quante migliaia di milioni di stelle non vi esistono sparse per l' universo, che appena possiamo discernere coi più forti telescopi ? E quante altre non vi saranno che ci restano affatto sconosciute? Quella fascia irregolare e biancastra, che si scorge in una notte serena in cui nou risplenda la Luna, che attraversa il cielo intersecando l'eclittica verso i due solstizj; che dalla Coda dello Scorpione dividesi in due rami, uno dei quali si dirige a nord-est verso il Sagittario, l' Aquila e la Freccia, 1' altro a settentrione passando sulla spaila orientale d' Olioco, ricongiungendosi al primo ove incontra la coda del Cigno, e progredendo poi uniti sopra Cassiopea e Perseo, sui piedi dei Gemelli, sulla Croce del sud, ritornano alla coda dello Scorpione d' onde avevano avuto origine; questa fascia comunemente detta la via lattea, che alcuni teologi pagani la credevano formata dal latte di Giunone eh' Ercole lasciò uscire dalla sua bocca, altri dall' abbruciamento prodotto in cielo da Fetonte, ed altri ancora che fosse la via che conduceva il palazzo di Giove; questa fascia fu esaminata, e si riconobbe risultare dall' ammasso di stella invisibili ad occhio nudo ed appena rese sensibili coi migliori stronfienti, indeterminabili di numero, poiché Herschel scorrendone un tratto lungo soli li''. largo 2° potè numerarne fino a cinquantamila. E parimente quelle nubi biancastre e tenuissime che si scorgono sparse nei cieli, eh'Herschel fa ascendere a quasi mille, e che si osservano priucipahnente sopra lo scudo di Orione, presso all' angolo inforiorc della Lira, nella < in tu IVI di Andromeda, presso gli angoli inferiori del quadrilatero dell' Orsa maggiore, fra Auto. noo ed Olìoco, nella costellazione del Sagittario ecc. non sou esse che riunioni di stelle impercettibili, poiché se ne marcarono fino a trentasei nella nebulosa-del Cancro. Che corpi sono adunque le stelle, ed a che servon esse? L' uomo orgoglioso per la potenza della sua mente vorrebbe che tutto fosse creato per lui. Ma a qual prò gli torna l' esistenza di ciò eh' egli non può disceruere? La ragione però, la sana filosofia, e le molte osservazioni indussero a ritenere le stelle quai corpi luminosi per luce
propria, non altramente che il Sole; e fu forza concimili e re che siculi come quest' astro sorgenti inesauste di luce e di calore. Ed ecco per questa semplice idea moltiplicarsi i mondi a dismisura, e con essi la potenza e la grandezza di chi li produsse. Tutto adunque concorre a mostrarci le stelle siccome tanti soli, ciascuno dei quali illumina, riscalda, anima e dirige un determinato numero di pianeti, che si aggirano, forse con molti satelliti, d' intorno ad esso. Ampliata la sfera del nostro modo di concepire cotesto universo, facil cosa è 1' applicare a tutto una legge universale Un pianeta dirige il moto de' suoi satelliti; il Sole quello di tutti i pianeti; una forza ignota, ma che deve avere il suo centro nel Sole, e eh' è ripartita proporzionalmente su tutti i corpi che lo circondano, agisce reciprocamente su tutte quelle masse. E perchè il nostro sistema intero non può avere il suo centro di moto in qualche altro punto dello spazio, e tutti gl' infiniti sistemi che hanno il loro centro in ciascuna stella attrarsi reciprocamente tendendo a quel centro comune, nel quale deve resiedere quella causa primaria di tutto, che ogni nazione denominò Dio, e che appunto con la sua potenza si trova presente sin nella più piccola molecola della sua materia? Qual vasta pittura del creato! Eppure un essere impercettibile sa concepirla; I' ammirazione n' è la conseguenza (i). fi) Questa maniera di concepire l' unirerso non è solo parto delli immaginmioiie degli astronomi, ma fu risvegliata da molti fenomeni che si osservarono c da forti argomenti che si dedussero. Il moto proprio di alcune stelle, che Tana per ciascuna in direzione cj in grandezza, la relazione di altre intorno ad un centro comune, la variazione nello aplendore di parecchie, l' aumento costante nella vivezza di altre, la comparsa di nuove, e la loro successiva scomparsa, e finalmente I' approssimarsi che fa il Sole con tutto il suo sistema verso d di Ercole, prova che le stelle non cono assolutamente immobili nello spazio. Se le variazioni poi sono rare e non bastanti a decidere la quistione assolutamente, dipende dall' immensità della reciproca distanza di questi sistemi. Certo è che il nostro sistema planetario cangia di posizione, e lo deve necessariamente, perchè la rotazione del Sole intorno al proprio asse simile a quella dei pianeti dev' essere stata prodotta da una forza d'impulsione eccentrica, dalla quale necessariamente deve risultare un moto di traslazione eh' essa poi comunica a tutti i pianeti.
Sulle applicazioni più importanti dell' Astronomia. Il bisogno condusse 1' uomo all' osservazione precisa dei fenomeni celesti; e le apparenze osservate gli tornarono di non poco-giovamento. Ma col volgere dei secoli si conobbe che 1' ordine, dietro al quale succedevano, non era assolutamente costante, e se ne cercarono per lungo tempo le cause. Alla fine 1' umana mente disimpegnatasi dalle appatenze s' inalzò alla primaria sorgente, e discoprendo la costituzione reale dell' universo, insegnò che quanto accade sotto ai nostri sensi non è che illusione (i). Tuttavia per soddisfare gli stessi bisogni fu necessario di seguire le stesse apparenze, liberate però dagli errori che le rendevano inesatte, e che non potevansi togliere senza conoscere le cause, da cui provenivano. Quindi fu d' uopo nelle applicazioni considerare i fenomeni celesti quali si presentano ai nostri sensi. Si dovette ritenere che la terra sia immobile nello spazio; che il cielo intero, su cui sembrano fissati innumerevoli punti scintillanti si aggiri d' intorno alla Terra con moto precisamente uniforme da oriente verso occidente in ?5A 56' 4 "> 1 calcolate in tempo medio; che il Sole, i pianeti, le comete facciano lo stesso giro, benché siano contemporaneamente animati da un moto proprio, per cui non conservano come le stelle una medesima distanza relativa; che questo moto proprio, del quale non si può avvedersi che dopo qualche giorno, e talvolta anche dopo qualche mese, sia ora più ed ora meno celere, per le quali variazio
tai essi sembrano talora muoversi direttamente talora in senso retrogrado, e spesso anche appariscono stazionar); che il Sole impieghi più tempo delle stelle fisse a compiere la sua rivoluzione diurna, in causa che si trasporta ogni giorno di un grado verso oriente. Bisognò immaginare nel cielo diversi cerchj, alcuni costanti per grandezza e per posizione, ed altri variabili; dei quali i più importanti a determinarsi sono i due stabili denominati Equatore ed Eclittica. Il primo viene tracciato dal prolungamento di un piano che si suppone passare pel centro della Terra in direzione parallela al moto diurno degli astri; e V altro è quello che sembra essere percorso dal Sole col suo moto proprio da occidente verso oriente in 365* 6'1 9' 11'' 58. Questi due circoli, od i piani, sui quali stanno servono egualmente a determinare la posizione di un astro qualunque col mezzo di due coordinale, una delle quali si conta sopra il primo od il secondo di quei due circoli, partendo da un punto di loro intersezione, e 1' altra sopra un circolo che passa per P astro perpendicolarmente al loro piano. Ciascuno di quei due circoli è situato rispetto a due punti opposti, in guisa, che la distanza da uno di questi punti alla sua circonferenza contata sopra archi ad essi perpendicolari sia costantemente di go°. Quei punti si chiamano poli dell' equatore, e poli dell' eclittica. La distanza fra un polo dell' equatore ed uno dell' eclittica situati nel medesimo emisfero è di circa a3° 18', la quale distanza, essendo determinata dall' angolo che fanno i due piani tra loro, viene detta obbliquità dell' eclittica. • 1 Le coordinate di un astro riferito all' equatore si chiamano ascensione retta e declinazione; la declinazione è un arco intercetto fra P astro contato sopra un circolo che passa pel polo dell' equatore e per 1' astro, e che chiamasi circolo di declinazione; P ascensione retta è P arco di equatore compreso fra quel punto, in cui s' interseca con l' eclittica, detto punto degli equinozi di primavera, e P incontro del circolo di declinazione. Nello stesso modo si determinano le coordinate rispetto all'eclittica; soltanto si cangiano i loro nomi, dicendosi latitudine l' arco compreso fra P astro e P eclittica, e longitudine l' arco di eclittica compreso fra lo stesso punto degli equinozi e P incontro del circolo di latitudine (i). Devesi poi immaginare un asse che passi pel centro della sfera e per P osservatore, e che prodotto incontri da ambe le parti il cielo stellato, indi perpendicolarmente a quest' asse guidato un piano pel centro stesso della sfera; questo piano ed il circolo che traccerebbe col suo prolungamento dicesi orizzonte, i punti opposti dell' asse si dicono i suoi poli, dei quali il superiore chiamasi zenit e 1' inferiore nadir. Dall' indicata determinazione di questo piano si vede che la sua posizione varia con quella dell' osservatore. Tuttavia il piano stesso unito a quello che passerebbe pel scio polo e per un astro qualunque, detto verticale, serve a fissare la posizione dell' astro ad ogni istante, ossia la sua elevazione sopra l'orizzonte; le coordinate a ciò necessarie si chiamano altezza ed azimut, la prima viene espressa dall' arco di verticale compreso fra 1' astro e P orizzonte, la seconda è P arco di orizzonte compreso fra l'incontro del verticale ed il meridiano partendo dal sud, essendo il meridiano uu circolo che passa contemporaneamente pei poli dell' equatore e per quelli dell' orizzonte (2). Queste brevi indicazioni devono bastare a ben intendere quanto siamo per dire. GNOMONICA. La più importante e ad un tempo la più antica applicazione dell' astronomia agli usi civili fu certamente la misura del tempo. .Questa misura si trova solo nel moto, non potendosi determinare l'intervallo fra due istanti successivi,
(1) Nella fig. 1. Tov. VI. il punto Y rappresenta il punto degli equinozi di primavera. YAP un arco di equatore, e P il suo polo; YCZ uu arco di eclittica, ed E il suo polo; S un astro qualunque, EA la quarta parte del circolo di declinazione, EC la quarta parte del circolo di latitudine; YA l' ascensione retta dell' astro, GA la sua declinazione; PC la longitudine, GC la latitudine. (a) nella fig. a. Tav. VI. ZN è l' asse, BAD V orizzonte, Z lo zenit, N il nadir, P il polo nord dell' equatore, S un astro qualunque, Io il verticale, su 1' altezza, BA 1' azimut. che mediante alcuni spazj percorsi; ma perchè la misura sia precisa è chiaro che il termine di confronto dev' essere costante, e questo non trovasi naturalmente che negli astri. „ Se gli astri, dice Bailly, non avessero avuto un movimcn,, to, o che questo non fosse stato osservato nello stato di „ società, noi non avremmo alcuna idea del tempo e della ,, durata; queste cognizioni, che sarebbero di poca utilità „ all' uomo solitario e selvaggio, sono il frutto della sua in„ dustria, ma ad un tempo la prova della sua dipendenza; „ l' uomo sociale ha bisogno di tutta la natura, e perciò egli „ tolse dall' astronomia la misura del tempo ". È chiaro che l' uomo, appena che gli è concesso di far uso dei propri sensi e di giudicare degli oggetti che lo circondano, deve accorgersi del moto del Sole, e tosto che gli fu d' uopo di misurare un intervallo fra le sue operazioni di qualsiasi natura, dovette segnar quello che scorre da un apparire all' altro di quest' astro sull' orizzonte, intervallo che fu detta giorno; quindi i primi uomini cominciarono a contare il tempo per giorni, di che ne assicura non solo la ragione, ma benanche il fatto che riscontrò ai nostri tempi in America, ove alcuni popoli selvaggi contavano tuttora per Soli. Dopo il Sole, il corpo che più colpisce i nostri sensi à la Luna, e per la rapidità del suo movimento e per la varietà dei suoi aspetti che regolarmente si rinnovano nel corso di circa ventotto giorni solari; e perciò molti popoli contarono per mesi, che ripartirono poi in quattro intervalli dietro le quattro fasi lunari, ciascuno di sette giorni, che dissero settimane. Finalmente si osservò che le stagioni si riproducevano pure in intervalli sensibilmente eguali, e quindi si contò per stagioni o per anni. Queste furono le principali divisioni del tempo. I primi bisogni della più piccola divisione eh' era il giorno obbligarono di ascendere alla più grande che si potesse facilmente, osservare, cioè all' anno; ma moltiplicatisi questi bisogni, si dovette retrocedere, ed il giorno che sembrava il minimo intervallo che fosse necessario di fissare, divenne troppo lungo, e si cercò di dividerlo in varie parti, la qual cosa non fu difficile a conseguirsi tenendo dietro al moto del Sole, cl
occidente si considerino quei piani numerati da i fino a 15, con che si giungerà alla sua parte inferiore, e continuando a numerare gli stessi piani si segnino pure dall' 1 fino al 13, contando dal meridiano inferiore, con che si tornerà al superiore. In questa maniera si viene a stabilire per un determinato luogo un sistema, detto sistema dei piani o cerchi orari ; per* che sembrando il Sole descrivere un parallelo all' equatore con moto uniforme, cioè percorrere uua circonferenza divisa in 36o°, è chiaro che dividendo il tempo di questa rivoluzione in a4 parti, che si chiamano ore, quell' astro impie* gherà un' ora a descrivere un arco di i5°, cioè a passare dall' uno all' altro di quei piani. Quindi cominciando a con* tare dal passaggio del Sole pel meridiano superiore, quando esso si troverà sul piano segnalo 10 si dirà che sono dieci ore della sera o della mattina, secondo che sarà dalla parte occidentale o dalla orientale. Se ora s' immagina trasversalmente a quei piani condotta una qualunque superficie, che supporremo pur piana, la quale passi pel centro della terra, questa superficie verrebbe dai piani orari tagliata secondo dodici linee, che riterremo segnate con gli stessi numeri dei piani. Fiualraenle supponendo che di tutto ciò vi rimanga soltanto la superficie con quelle dodici linee, e 1' asse terrestre in forma di uno stilo opaco, l' ombra di questo stilo si proietterebbe sulla superficie, e si troverebbe sulle linee in questa tracciate alle ore indicate dalle medesime; sicché per esempio a dieci ore 1* ombra si confonderebbe con la linea marcata numero 10. Così si avrà un orologio solare situato nel centro della terra, di cui 1' asse del globo sarà lo stilo indicatore, e le linee orarie saranno le intersezioni dei piani feriremo le cose più importanti secondo i principi delle scienze moderne, «avendo già contentato il testo vilnniauo a piò di pagina ai cap. 8. e 9. VlTRUriO, Lib. IX. g orari con la suddetta superficie. E siccome le dimensioni del globo terrestre sono nulle in confronto della sua distanza dal Sole, ne segue che trasportando quella superficie e qucll' asse in qualunque luogo della terra, però sotto lo stesso meridiano, ed in modo che restino sempre paralleli a sè stessi, si avrà l' orologio solare per quel luogo. Ecco le conseguenze che si deducono da questa costruzione: i.° Ogni orologio solare proprio per un luogo determinato può trasportarsi in un altro luogo sotto lo stesso meridiano, purché sia disposto in una direzione parallela a quella che avea. a.° Lo stilo indicatore è parallelo all' asse terrestre, che si suppone l' asse del moto diurno; quindi esso è situato nella direzione del meridiano, ed inclinato come l'asse terrestre all'orizzonte, la quale inclinazione eguaglia sempre la latitudine geografica ossia l'altezza di polo. Così a Parigi sarà lo stilo inclinato all' orizzonte di 48" 5o' l4"> a Padova di 45° a4* perpendicolare sotto il Polo; orizzontale sotto l'equatore. 3.° Le linee orarie sono le sezioni della superficie dell'orologio fatta da dodici piani rispettivamente inclinati di quindici in quindici gradi, i quali incontrano tutti lo stilo etendo dal meridiano che è un piano verticale condotto per 1' asse. 4° Se la superficie sarà piana, le linee orarie saranno tante rette che concorreranno con lo stilo in uno stesso punto della linea meridiana; e se l' orologio viene descritto sopra un muro verticale, la linea del mezzogiorno sarà pure verticale, poiché il meridiano eh' è altresì un piano verticale taglia quel muro nella direzione della linea meridiana. Adunque per la costruzione di un orologio solare fa d' uopo conoscere di qual modo si possa segnar la linea meridiana, e come determinare la latitudine del luogo, in cui lo si vuole stabilire. Parecchi sono i metodi per determinare la linea meridiana, cioè la sezione di una superficie qualunque fatta per mezzo del meridiano. Il più semplice però è quello, in cui si fa uso delle altezze corrispondenti del Sole (i); ed è fon ti) Si può anche servirsi della bussola, o ilei passaggio al meridiano della stella polare, o delle altezze corrispondenti di qualunque stella; ma questi metodi o sono inesatti o difficili a praticarsi. dato sul principio che elevandosi quesl' astro sopra 1' orizzonte sino ad avere la massima altezza sul meridiano, e poscia abbassandosi dalla {'arte opposta per gli stessi gradi pei quali si era innalzato, esso dev' esser egualmente diStante dal meridiano quando abbia la medesima altezza sopra 1' orizzonte, ossia quando le ombre di uno stesso corpo, che intercetta i suoi raggi, sieno eguali. Ecco di qual maniera si procede a questa determinazione. Si stabilisca un piano orizzontale, e su questo si descriva un circolo ABCD ( fig, 3. Tav. VI. ), nel cui centro O sia collocato verticalmente uno stilo, o gnomone, oP di tal lunghezza, che la sua ombra possa entrare nella circonferenza. Si osservi l'ombra che manda quello stilo sul piano quando il Sole sta dalla parte d' oriente, e la si segua finché la sua estremità stando per entrare nel circolo tocca^ la periferia, per esempio nel punto B. Elevatosi il Sole fino al meridiano, e volgendosi verso 1' occidente, l' ombra dello gnomone sarà diretta in parte opposta ed allungandosi successivamente torcerà a toccare la circonferenza in un punto per esempio C, in cui starà per uscire
dal circolo. Siccome il moto del Sole è uniforme, ne segue che diviso l' arco BC per metà in E, e dal punto E pel centro guidato un diametro EF, questo rappresenterà la cercata sezione, ed ogni giorno quando il Sole sarà sul meridiano, lo gnomone coprirà con la sua ombra la linea OE: un piano verticale eretto sopra questa linea rappresenterà lo stesso meridiano. Per maggior esattezza si suole descrivere diversi circoli concentrici bc, Ve', b"c'' ecc., e tali che 1' ombra dello stilo possa entrare nel più piccolo dei medesimi; e sopra ciascuno si ripete la medesima osservazione. È certo che se le delerminazioui delle rispettive metà degli archi sono esatte, queste metà devono stare tutte sopra una stessa linea; cioè le direzioni della meridiana per ciascun circolo devono tutte coincidere. È utile questo metodo dei circoli concentrici, potendosi con essi evitare le osservazioni pomeridiane, perchè la curva che unisce i punti B, b,b'...c',c, C è un'iperhola, la quale tracciata che sia va a tagliare i circoli dalla parte opposta in punti che presi a due a due con quelli segnati prima del mezzogiorno, risultano equidistanti dalla meridiana. Invece dello stilo si suole adoperare aneli e un perpendicolo, che corrisponda precisamente sul centro del circolo, e lungo il quale si' colloca una piccola palla, il eui centro corrisponde all' estremità indicatrice P dello gnomone. Finalmente si può adoperare un' asta di qualunque forma, la quale termini in un disco avente un piccolo foro per dar passaggio ai raggi solari, che vanno a disegnare sul piano orizzontale un ovale, di cui si fissa il centro; il foro dev'essere poi collocato verticalmente sul centro dei circoli concentrici. Resta solo d' avvertire quelli che esigessero la massima esattezza in questa determinazione, eh' essa viene fatta nell' ipotesi che il Sole descriva precisamente col suo moto diurno un circolo parallelo all' equatore, ciò che difatti non ha luogo in causa del suo moto proprio, per cui si allontana da questo piano ogni giorno, percorrendo un arco di eclittica di circa un grado. La massima esattezza avrebbe luogo nel giorno dei solslizj, nel quale il moto del Sole in declinazione è zero; ma siccome il più grande moto in declinazione neh" intervallo fra i due solstizi non porta mai una variazione maggiore di un minuto di tempo per ora, così si può trascurare questo piccolo errore. Determinata la meridiana in un piano orizzontale, nulla più facile riesce che il segnarla sopra un muro verticale. Si collochi dinanzi a questo muro un disco di metallo che abbia nel suo centro un foro circolare n ( fig. 4- Tav. VI. ), pel quale possano passare i raggi solari, ovvero si fissi nel muro slesso un gnomone qualunque. Quando un orologio comune ben regolato, od una meridiana in un piano orizzontale ben costrutta, segna mezzogiorno preciso, si osservi 1' ombra che manda sul muro un filo a piombo np, che si farà pendere dal foro circolare, e si segni l' ombra stessa Bulla superficie del muro; ovvero si marchi sul muro l'immagine del foro circolare, e dal suo centro si conduca AB parallela al filo a piombo; o finalmente se si adopera uno stilo, dall' estremità dell' ombra di questo s' innalzi la verticale AB. La linea così tracciata sarà la meridiana richiesta. Premesse queste nozioni generali diremo chiamarsi orolegio solare quella superficie, sulla quale si veggono disegnate alcune linee disposte in modo che l' ombra d' uno stilo, od un raggio solare passante per un foro che tiene luogo dell' estremità dello stilo stesso, cade sopra quelle linee ad ore determinate. Questi orologi pòi assumono di* versi nomi dalla diversa posizione dei piani e dalla varia figura delle superficie su cui si descrivono, e si dicono equinoziali, orizzontali, verticali, polari, diretti, declinanti, inclinanti, reclinanti, cilindrici, sferici ecc. Noi indicheremo soltanto la costruzione dei tre primi, come i più interessanti e i più comuni, premettendo le seguenti definizioni. Centro del mondo si considera 1' estremità dello stilo, attesa la gran distanza dalla terra al Sole, per cui un qualunque punto della sua superficie può supporsi nel centro. Centro dell' orologio è il punto d' incontro della sua superficie con una linea condotta per 1' estremità dello stilo parallelamente all'asse del mondo; nello slesso punto concorrono tutte le linee orarie, le quali sono le intersezioni dei circoli orari col piano dell' orologio. Questo centro non esiste, in quegli orologi, il cui piano sia parallelo all' asse del mondo; diconsi allora orologi senza centro. Sostilarc è la proiezione ortografica della suddetta linea sul piano dell' orologio. verticale dell' orologio è la linea condotta dall' estremità dello stilo perpendicolarmente al piano. Piede dello gnomone è il punto d' incontro di questa linea col piano. linea equinoziale è 1' intersezione del piano dell' orologio col piano dell' equatore, ed è sempre normale alla soStilare. Orologio solare equinoziale. Quando un piano obbliquo all' orizzonte s' inclina dalla parte del polo facendo con l' orizzonte stesso un angolo acuto, quel piano dicesi inclinante; e se volgendosi fa un angolo ottuso dicesi reclinante. Posta poi la
reclinazione eguale al complemento della latitudine del luogo, il piano proposto si trova nel piano dell' equatore, e 1' orologio descritto sul medesimo dicesi equinoziale. Gli orologi equinoziali si distinguono comunemente in superiori, cioè rivolti verso lo zenit, ed inferiori verso il nadir. E siccome il Sole non rischiara che una sola superficie di un piano equinoziale superiore pel nostro emisfero, indicherà le ore soltanto in primavera ed in estate, e l'inferiore in autunno ed inverno; laonde perchè un orologio equinoziale possa servire tutto l' anno, bisogna riunire il superiore e l' inferiore, cioè disegnarlo su tutte due le faccie opposte del piano. Questa specie di orologi solari deve preferirsi ad ogni altra, perchè più comoda e più naturale; e se non è molto usi tata dipende dalla necessità di doverli far doppj. Nulladimeno deve conoscersi la loro costruzione perchè serve a meglio intendere quella delle altre specie di orologi solari, ed offre un metodo per la loro più facile esecuzione. Si prenda pertanto un piano qualunque ABCD ( fig. 4Tav. VI. ) e su di esso descrivasi un circolo, nel centro o del quale sia infisso uno stilo perpendicolare al piano che lo passi parte per parte. Si divida poi la circonferenza in ventiquattro parti eguali; i raggi che andranno a ciascun punto di divisione saranno fra loro inclinati di quindici gradi, e rappresenteranno le linee orarie. Due dei diametri che risulteranno da questa divisione fra loro perpendicolari, serviranno a segnare 1' uno, per es. GH la meridiana, e I' altro EF la linea detta delle sei ore. Dalla parto opposta del piano si delineerà la medesima figura, in guisa che questi due orologi coincidano perfettamente quando il piano sia diafano. Fatta questa semplicissima costruzione non resta che a collocarsi il piano convenientemente; ciò che chiamasi orientare l'orologio; e consiste nel disporre lo stilo che è perpendicolare al piano, parallelamente all' asse terrestre, e nel situare la GH sul piano del meridiano. A tal effetto si formi un triangolo PQR rettangolo in P, di cui 1' angolo il sia eguale alla latitudine del luogo, ossia all' elevazione del polo; e lo si collochi verticalmente con l'ipotenusa diretta secondo una linea meridiana orizzontale che dev' essere di già tracciata. Si applichi poscia il piano dell' orologio al lato PQ, di guisa che lo stilo vada a combaciare col lato QR e la linea del mezzogiorno GH col lato PQ (i). Dalle date definizioni e dall' indicata costruzione si vede che il piano dell' orologio stara nel piano dell' equatore, e che il Sole rischiarerà per sei mesi la faccia superiore, e per altri sei mesi l'inferiore; e che nel passaggio che fa dall'uno all' altro emisfero, cioè nei giorni degli equinozj non segnerà alcuna ora nè da una parte nè dall' altra, perchè i suoi raggi caderauno direttamente sull' orlo del piano descrivendo esso in quei giorni l' equatore; ed affinchè l' orologio possa tornar utile anche in quei giorni, si dovrà cingere il piano con una fascia ad esso perpendicolare, che possa ricevere l' ombra. Orologio solare orizzontale. Si chiama orizzontale quell' orologio che viene descritto sopra un piano parallelo all' orizzonte; e siccome il Sole può rischiarare un piano orizzontale ogni giorno pel tempo, in cui egli sta sopra 1' orizzonte, così questa specie di orologi è la più comoda perchè indica tutte le ore del giorno per tutto l' anno. Ecco la sua costruzione. Si fissi la linea meridiana, la quale sia CB ( fjg. 5. Tav. VI. ), indi in un piano sollevato su questa linea perpendicolarmente a quello dell' orologio si formi un angolo BCP eguale alla latitudine del paese, sarà CP l'indice orario quando sia disposto parallelamente all'asse terrestre. Per determinar poi le linee orarie s'innalzi da qualunque punto della CP una perpendicolare, per esempio HB, la quale incontri io B la meridiana, e per questo punto si conduca EB perpendicolare alla CB. Indi s' immagini nello spazio un piano che passi per lo stilo CP, e che intersechi lungo qualunque linea il piano dell' orologio; 1' inclinazione del piano ora ira i (>) Evvi un altro metodo di orientare qucsl' orologio indipendente dalla latitudine e dalla meridiana, facendo oscillare il piano finché la lunghezza dell'ombra rimanga costante per tutto il giorno; ma questo non può essere esatto che verso i solstizi, perchè la declinazione del Sole, da cui dipende la lunghezza dell' omhia, varia in uno stesso giorno. ìnaginato ( che sarà il piano orario ) con quello del meridiano, determinerà l' ora indicata dalla linea d' intersezione; sicché se 1' ioclinazione sarà di i5°, 1' intersezione sarà la linea di un' ora, se sarà di 45° sarà quella di tre ore, e così di seguito; che se si vogliano le linee delle mezze-ore, 1' inclinazione dei piani dovrà progredire di j° 3o'. La maniera poi per determinare quella inclinazione è la seguente. Si considerino innalzate dal punto H due perpendicolari allo stilo CP, una 611 nel piano del meridiano, e 1' altra nel piano orario che sia ad esempio HE; è chiaro che 1' angolo EHB compreso da queste due perpendicolari determinerà l' inclinazione dei due piani; e siccome il meridiano è perpendicolare al piano dell' orologio, così la BE sarà perpendicolare a tutte le linee innalzate da B nel piano del meridiano; quindi la BE potrà rappresentare la tangente dell' angolo EHB quando si prenda 13H per raggio. Si vede pertanto che le tangenti dei diversi angoli
formati in H dalle perpendicolari innalzate dallo stesso punto nel meridiano e nei piani orari, si conteranno tutte sulla linea MN partendo da B; quindi conoscendo queste tangenti si determinerà con un loro estremo un punto della linea d'intersezione del piano orario coli' orizzonte, la quale ha un altro punto comune a tutte in C, e perciò si saprà tracciare la linea oraria. Fa d' uopo pertanto prepararsi una tavola delle tangenti degli angoli di quindici in quindici gradi ( ovvero di sette e mezzo in sette e mezzo se si vogliano le mezze ore, oppure ad ogni 3° 4^ pei quarti, e così di seguito ), e portarle successivamente sulla linea MN, da ambe le parti della meridiana CB, per determinare i loro estremi, i quali congiunti col punto C daranno le linee cercate. Per evitare anche il piccolo calcolo necessario a determinare quelle tangenti, si può ridurre la costruzione puramente grafica con far centro in B, e con un raggio uguale a BH descrivere un circolo, dividere la sua periferia di quindici in quindici gradi, od altramente, condurre i raggi ai punti di divisione e prolungarli fino che incontrino la MN, da questi punti d' incontro guidare le rette al centro C dell' orologio e si avranno le linee orarie, come si vede nella succitata figura. Sapendosi che le tangenti degli angoli maggiori di 45° crescono rapidissimamente, ne segue che la determinazione delle linee orarie sarà comoda per le quattro ore prima e dopo mezzogiorno; ed i metodi ordinari non serviranno a segnare la quinta e la settima. La sesta però che corrisponde ali1 angolo retto si segnerà parallela alla linea EB, e sarà la AD ( che dicesi appunto la linea delle sei ore }, poiché in tal caso la tangente è infinita. Per evitare questo inconveniente si suole calcolare gli angoli che le linee orarie far debbono al centro C con la linea meridiana; questi però variano con la latitudine, e non si può stabilire pei medesimi una tavola generale. È inutile avvertire che il piano debba essere perfettamente orizzontale, ciò che potrà determinarsi con una livelletta a bolla d' aria ben rettificata ; e che le linee superiori a quelle delle sei ore non sono che il prolungamento delle inferiori corrispondenti al medesimo numero, e che gli angoli formati dalle linee orarie colla meridiana sono corrispondentemente eguali d' ambe le parti della medesima; e che perciò basta in un orologio solare costruire un quadrante semplicemente. Questi orologi possono costruirsi sul luogo dove debbono essere collocati, ed allora devesi determinare la meridiana; ma se si eseguiscono fuori del sito, bisogna saperli mettere nella posizione necessaria, e ciò si ottiene cercando che 1' indice segni un' ora precisamente nota per qualche altro mezzo, e meglio che ogni altra quella del mezzogiorno, al che si perverrà segnando una meridiana orizzontale nel luogo stesso. Questo metodo è il più semplice; si può per altro orientarli servendosi della declinazione del Sole al momento dell' operazione; che so si volesse far ciò nel giorno degli equinozj, basta avvertire che la declinazione del Sole essendo zero, 1' ombra dell' estremità dello stilo descrive una linea perpendicolare alla meridiana. Dall' osservazione poi che abbiamo fatta, cioè che un orologio solare costruito in un paese può servire per qualunque altro, purché si conservi il parallelismo fra lo stilo e 1' asse della terra, ne segue che un orologio orizzontale stabilito sotto una data latitudine geografica trasportato che. sia sotto un' altra latitudine non potrà più restare orizzontale, ma dovrà formare con l' orizzonte un angolo eguale alla differenza fra le due latitudini. Orologio solare verticale. Dal nome stesso si deduce che gli orologi di questa specie sono descritti in un piano perpendicolare all' orizzonte, cioè nel piano di un circolo verticale, il quale passa pello zenit dell'osservatore. Dalla posizione poi del verticale che si sceglie dipende la costruzione deli' orologio. I verticali però che si fissano più comunemente sono quei due che guardano verso i quattro punti cardinali, cioè il meridiano che ha le sue faccie 1' una rivolta ad oriente e 1' altra ad occidente, ed il cosi detto primo verticale che riesce perpendicolare al meridiano, e che si volge da una parte al nord e dall' altra al sud. Dal punto perciò, a cui è rivolta la faccia di questi due piani, su cui è descritto l' orologio, dipende la denominazione di questo, cioè settentrionale, meridionale, orientale, occidentale. Se poi si sceglie un altro verticale, che formi per conseguenza un angolo col meridiano, l' orologio descritto sul medesimo si dice declinante. Vi esistono metodi particolari per descrivere ciascuno di questi orologi. Noi però indicheremo quello che li abbraccia tutti, insegnando a descrivere un orologio solare sopra qualunque superficie. „ Si orienti esattamente dinanzi alla superficie proposta „ un orologio equinoziale od orizzontale, il quale chiamasi „ ausiliario; dovendo lo stilo essere in qualunque orologio „ solare sempre parallelo all' asse terrestre, ne segue che il „ suo prolungamento prodotto sino alla suddetta superficie „ servirà d' indice al nuovó orologio che si vuol costruire. „ I piani orari passano, come si è detto, per lo stilo sc„ guendo ciascuno di essi una delle linee tracciate sull' orologio ausiliario; quindi conoscendo la loro posizione non „ resta che a segnare le linee d'intersezione che il loro pro„ lungamento forma colla stabilita superficie; ed a tal effet„ to devesi aspettare che 1'
ombra dello stilo si trovi sopra i, una linea oraria dell' ausiliario, e tracciare 1' ombra ch'es„ so manda sulla superficie di cui si tratta. Ma siccome que„ sto metodo riesce penoso, si fa uso di un cerino (i) acce„ so durante la notte, dirigendolo in maniera che faccia pro- „ jettare 1' ombra rjello stilo sopra le linee dell' orologio au„ siliario, e si segna la traccia dell' ombra stessa che si di,, pinge sulla superficie proposta ". Dopo le nozioni superiormente indicate non fa d' uopo dimostrare l' esattezza di questo metodo, il quale serve per ogni superficie curva o piana che sia. Ma siccome ordinariamente si delineano questi orologi sopra un piano, così si può rendere più semplice la costruzione, osservando che in tal caso le intersezioni dei piani orari con la superficie sono tutte linee rette, per segnare le quali basta conoscere la posizione di due dei loro punti. Uno di questi è comune a tutte nel centro dell' orologio; 1' altro poi si determina prolungando le linee orarie dell' ausiliario fino al piano proposto. Chi volesse poi conoscere la parte teorica sviluppata di queste costruzioni, o gli altri metodi grafici che si possono adoperare, e la declinazione delle altre specie di orologi solari dovrà ricorrere ai trattati completi di gnomonica, od anche ai trattati di astronomia nella parte delle applicazioni di questa scienza. I limiti che noi ci abbiamo prefissi non permettono di estenderci maggiormente. E solo termineremo questi cenni sopra una delle più belle ed utili applicazioni astronomiche, osservando che gli orologi senza centro, il cui piano è parallelo all' asse del mondo, ovvero così poco inclinato che il punto d' incontro sia ad una grandissima distanza dal luogo stabilito, servono per quei paesi che sono molto prossimi all' equatore od ai poli; nei primi si avranno orologi orizzontali senza centro, e nei secondi orologi verticali senza centro. Questi si possono tracciare avendo due orologi orizzontali ausiliarii, e determinata la verticale condurre sul piano fissato due linee orizzontali regolate dai due ausiliarii; con ciò si vengono a fissare due punti di ciascuna liuea orari», e perciò si potranno segnare anche Ma fi) Se si adopera cero per candela grande di cera, perchè non si adoprerà il diminutivo cerino, eh' è pur -voce di uso? za avere il punto del loro incontro quand' anche non sieno parallele. Inoltre si osservi che seguendo le curve descritte ogni giorno dell' estremità dello stilo sulla superficie dell' orologio, si possono fissare quelle che corrispondono ai giorni più importanti dell' anno; e così si veggono in alcuni orologi segnate quelle dei segni zodiacali. Di più siccome 1' ora indicata da un orologio solare, che misura il tempo vero, -non si accorda perfettamente con quella che segnano gli orologi a macchina, i quali sono ordinariamente regolati sul tempo medio; questa differenza può indicarsi sopra un orologio solare di grandi dimensioni segnando le linee orarie di due primi in due primi, od almeno di quattro in quattro primi; e le curve dei segni di cinque in cinque giorni nel primo caso, e. di dieci in dieci giorni nel secondo: se gl'intervalli saranno più piccoli tanto più riescirà comoda 1' operazione. Indi si segneranno sopra ogni curva i punti del mezzogiorno medio per ciascun giorno dell' anno ( il quale viene indicato, dai calcoli che offrono l' equazione del tempo ); i punti di quelle diverse curve così segnate, quando sieno congiunti con un tratto continuo presentano uua curva particolare che ha la forma di un 8 ristretto, e che chiamasi la curva meridiana del tempo medio. Questa curva giunge da un tropico all' altro, e viene tagliata dalla meridiana dell' orologio in quattro punti, nelle epoche, in cui il tempo vero combina col tempo medio; due dei quali sono però cosi prossimi che sembrano quasi combaciarsi. Ogni volta che 1' ombra dello stilo perviene a questa curva nel ramo che corrisponde al segno attuale, dicesi mezzogiorno medio. Finalmente diremo che vi sono alcune specie di questi orologi, i quali servono anche durante la notte, in cui si legge 1' ora col mezzo del lume di Luna, per cui si dicono lunari, o col mezzo delle stelle, detti siderali. La Luna anzi può servire a segnare le ore anche sopra un orologio solare, quando si abbia una tavola che indichi per ciascun giorno l' ora, in cui la Luna passa pel meridiano, poiché basterà aggiungere all' ora del passaggio della luna pel meridiano quella che segna l' ombra da questo satellite projettata lull' orologio solare, e si avrà l' ora cercata, purché si av-> verta di sottrarre dodici ore quando la somma da un numero maggiore. Questo risultato però non è preciso in causa del moto proprio della Luna, per cui si allontana dal Sole verso oriente per due minuti primi di tempo ad ogni ora; quindi lo si correggerà in questo modo si sottri a' per ora contando da quella che segna l' ombra fino alle dodici, se la Luna non è giunta al meridiano; ovvero si aggiunga per ogni ora a' se lo ha passato. Questi sono i mezzi che si considerarono fino dalla più remota antichità siccome inalterabili per la misura del tempo. Ma non potendo gli stessi riescile di una perenne utilità in causa della diurna rotazione terrestre, e delle vicende atmosferiche, si cercò di supplire con mezzi meccanici; e perciò si videro le clepsidre a sabbia e ad acqua, fra le quali ebbe rinomanza quella di Ctesihio, come ci narra lo stesso Vilruvio (1). Col progresso però delle scienze e delle osservazioni si conobbero in natura alcune forze che potevano servire utilmente a misurare il
tempo con un moto uniforme; e fra queste si prescelsero la gravità e l' elasticità, per cui si ebbero a poco a poco quegli orologi che giungono al massimo dell' esattezza e della comodità. Il discorso sulla misura del tempo porterebbe naturalmente a dire alcun che su queste macchine; ma siccome esse appartengono ad uu altro ramo delle matematiche che non è l' astronomia, e quindi sono quasi estranee a questa giunta, e siccome verremmo in tal guisa ad uscire di troppo dai limiti prefìssi in quest' opera, cosi ci restringeremo ad alcuni brevissimi cenni. Agli orologi solari ed alle clepsidre succedettero per la misura del tempo quelle macchine aulomate, in cui il moto si comunica per mezzo di ruote dentate, la velociti si regola da un bilanciere, 1' impulsione proviene da un peso, ed il tempo è indicato sopra una mostra, divisa circolarmente in dodici parti eguali ( e ciascuna di queste in altre quattro ) per mezzo di un indice sostenuto dall'asse di una ruota, la quale fa l' intero giro in dodici ore, cioè fa due rivoluzioni da un passaggio all' altro del Sole pel meridiano su
pcriorc. Gli orologi di questa specie furono però da prima modellati sulla clepsidra di Ctesibio, la quale constava pure di varie ruote dentate e di rocchetti, posti in moto per l'azione dell' acqua; tuttavia una invenzione tanto bella non ebbe alcun incremento per molti secoli. Si nominano solo gli orologi di Trimalcione, di Boezio e di Gassiodoro; e quello regalato dal papa Paolo I. a Pipino nel 760, e 1' altro dal califfo Raschild verso 1' anuo 807 a Carlomagno destarono la meraviglia, e furono tosto imitati dagl'Italiani. L' uso però dei medesimi non risale oltre al decimo secolo, nel quale si cominciò a collocarli sui campanili. Tosto gli artefici intelligenti pensarono ad aggiungervi un meccanismo perchè la macchina potesse indicare le ore col suono. Dagli orologi in grande si passò ad alcuni più piccoli, per collo* carli nelle stanze, e da questi ad altri minori portatili senza alcun incomodo. Gli orologi però da saccoccia furono inventati soltanto verso la metà del diciassettesimo secolo, in cui si trovò il mezzo di sostituire al peso motore una spira elastica. L' esattezza di questi automi molto superiore a quella delle clepsidre, giunse al suo massimo grado dopo il 1647, in cui si applicò ai medesimi il pendolo per opera di Huygens, o come altri vogliono di Galileo; ed in grazia della grande precisione con cui il pendolo segna le divisioni del tempo si giunse a fissare le più piccole parti di un giorno, per cui l' intervallo fra due passaggi successivi del Sole al meridiano fu diviso in 86400 parti, nominate secondi, che si possono agevolmente numerare. Siccome spesso accade nelle umane invenzioni, le quali quando incominciano a perfezionarsi vi progrediscono di gran passi, il meccanismo degli orologi si ridusse sempre più utile, per cui queste macchine non si limitarono solo ad indicare con esattezza le parti, in cui si divide il tempo diurno, ma benanche il giorno del mese e della settimana, gli anni, l' età e le fasi della Luna, il nascere ed il tramontare del Sole, gli anni bisestili ecc. Si videro gli svegliarini, le ripetizioni, e persino gli orologi ad equazione, cioè tali da indicare le differenze fra il tempo vero ed il tempo medio; e finalmente dagli stessi principi ebbero nasciraento le sfere mobili, per cui si concepisce il moto dei pianeti intorno al Sole, rappresentando con la massima precisione il nostro sistema mondiale. Dal che si conosce che la costruzione degli orologi non è un' arte puramente pratica, ma che esige bensì molte cognizioni scientifiche, quali sono le leggi del moto, la geometria, la meccanica, la fisica, i principi fondamentali dell'astronomia, il calcolo, e sopra tutto un ingegno che snppia penetrare nello spirito dei principi e giustamente applicarli. Per costruire poi gli orologi praticamente gli artefici si dividono in varie classi, dedicandosi ciascuno alla formazione di un pezzo particolare; e perciò vi sono quelli che formano le ruote, i dentelli, i rocchetti, avvertendo che i denti sieno di una uniforme grossezza, equidistanti fra loro, e delle determinate forme e curvature; altri danno il compimento a questi pezzi; altri iàbbricano le molle, per le quali si deve far uso del migliore acciaio, ben temprato, d' una durezza tale che non possa perdere la sua elasticità né spezzarsi; chi fa le spirali, la cui bontà è essenziale negli orologi da saccoccia, e nelle quali si deve pur usare dell' ottimo acciaio e perfettamente temprato, onde restituisca tutta o quasi tutta la quantità di moto che riceve; chi forma i pesi per dar moto ai pendali, e le frecce d' acciaio ; chi pulisce ciò che altri ha dirozzato; e così tutti attenti a costruire il proprio pezzo offrono perfetto con maggior esattezza quanto può dare 1' arte materiale. Tocca poi al conoscitore della scienza di giudicare sulla perfezione di tali lavori, e di dirigere la riunione dei pezzi, onde si possa ottenere l'effetto ricercato. Questa parte delle scienze matematiche è una delle importanti per la civile comodità, e fu causa di bellissime scoperte e di esattissime osservazioni, per cui dovrei)!)' essere con tanto amore studiata da chi vuole tornar utile alla società colle applicazioni delle scienze esatte. CRONOLOGIA. L' esatta rivoluzione dei corpi celesti serve oltremodo a fissare le epoche più oscure della storia. Difatti quando
si conosce il periodo di una rivoluzione celeste, e quando la storia ci accenna un fenomeno della medesima, si può con precisione stabilire il tempo, a cui deve riferirsi il fatto contemporaneo a quel fenomeno. Da quest' applicazione dell' astronomia derivarono molte scoperte curiose ed importanti; anzi si potè leggere nel cielo la storia tutta di tempi antichissimi, le origini delle religioni, l' età dei monumenti, ed il grado a cui pervennero i primi uomini nello studio delle scienze. Che se 1' ignoranza, il fanatismo e la superstizione non avessero alterato i segni naturali, si potrebbe senza dubbio dire che il cielo è il codice storico più completo, come è il più antico. Celebri sono i due zodiachi che si trovano dipinti nel soffitto dei tempi di Denderah e di Esnè in Egitto ultimamente scoperti. Il signor Fourier fu quello che diede l' interpretazione di quei dipinti spiegando il significato delle dodici figure, e mostrando di qual maniera gli Egiziani rendevano perpetua la memoria degli eventi, e ne stabilivano 1' epoca del loro avvenimento. Tutto mostra in quelli che si trovano nel tempio di Denderah che il Sole era in Cancro al momento del levare eliaco di Sirio, e che il solstizio accadeva verso la terza parte circa di quella costellazione, per cui si potè conchiudere che la retrogradazione da oggi a quel tempo in causa della precessione degli equinozi è di circa 4»°j e per ciò che la costruzione del tempio risale a circa dodici secoli prima dell' era cristiana. Così pure dallo zodiaco che si vede nel maggior tempio di Esnè potè dedursi che il solstizio accadeva allora nella costellazione della Vergine, ma siccome dalle scolture non si può ben precisare il punto di questa costellazione occupato dal Sole, così si stabilì che prendendo un' estremità della medesima, la retrogradazione dovuta alla precessione degli equinozi ammonta ad 8i°, ciò che fa considerare l' età di quel monumento di 58oo anni per lo meno, poiché prendendo l' altra estremità la si porterebbe ad 8000 anni. Lo studio dell'astronomia ha fatto conoscere non solo l'antichità dei popoli, ma benanche le loro opinioni filosofiche e religiose. Chi volesse vedere la spiegazione delle varie costellazioni e delle favole che vi si riferiscono dovrà leggere l'origine dei culti del celebre numi, e le sue memorie inserite negli atti dell' accademia del 1785, nel giornale dei saggi del 1788, e quella stampata nel 1806 intorno allo zodiaco. Il sistema di questo professore immaginato in forza di quella perspicacia, figlia sempre di un sommò ingegno, la quale sa desumere dai fatti e dagl' indizj meno calcolati le verità più luminose ed interessanti, è sostenuto da valide prove e da saggie interpretazioni, le quali tutte si accordano mirabilmente nei risultati. Ma il completo trionfo di questo sistema si trovò nelle relazioni che ci diedero i viaggiatori in Egitto venticinque anni dopo eh' esso fu pubblicato, accompagnale da documenti comprovanti l' opinione di Dupuis sull' origine dello zodiaco. Che se talvolta qualche interpretazione non ha tutta la verosimiglianza, si deve attribuire alla densa oscurità, da cui ci pervennero circondati alcuni simboli, ed alle indefinite alterazioni, a cui soggiacquero le favole che a quelli si rapportano, dui momento che si credettero significare tuli'altra idea di quella che fu ad esse da principio attaccata. E però indubitato che le principali finzioni sodo fondate sull' astronomia. Gli antichissimi fra gli uomini raccomandavano al cielo di conservare la memoria delle loro imprese ed opinioni; né il loro desiderio andò pienamente fallito a fronte delle immense rivoluzioni fisiche e morali, a cui andò soggetto il nostro globo. Una sola tradizione appoggiata a fenomeni immutabili basta all' uomo d' ingegno pei* leggervi la verità. Queste ricerche però, dice il Franco'eur, bisogna che sieno fatte in Oriente, studiando gli usi civili e religiosi, i fenomeni naturali, i tempi consacrati all' agricoltura ecc., e da ciò egli conchiude che gli Egiziani- furono gl' inventori dello zodiaco e delle favole fondate sugli aspetti del cielo, poiché ad essi soli appartiene, dovendosi considerare come opera di un popolo ciò che spetta- ad esso c VnRvrio, Lib. ix. io non ad altri, e ciò che per esso ha un significato ad un' epoca determinata senz' averlo per alcun' altra nazione a verun' epoca. E questa circostanza particolare agli Egiziani è l' inondazione periodica del Nilo, la di cui somma importanza per la prosperità dell' Egitto fece sì che si rendesse un culto a quel fiume. ■ . Non possiamo a meno di delineare il quadro del siste* ma zodiacale di Dupuis. Questo filosofo ammette che nei tempi più remoti il Sole si trovasse nella costellazione di Capricorno, allorquando accadeva il solstizio d' estate ; e perciò essendo quell' astro allora nel più alto punto del suo corso, si rassomigliava alle capre che si dilettano delle altezze; difatti il Capricorno si rappresenta nell' attitudine del riposo che si conviene al solstizio, e la sua coda di pesce si riferisce all' inondazione che vi susseguita, cioè verso la metà di Luglio. L' Aquario è il simbolo della inondazione già avvenuta nel mese di Agosto; e siccome il Nilo !non giunge alla massima elevazione che in Settembre, così i Pesci indicano che le acque ricoprono tutta la superficie dell' Egitto. L' Ariete si conveniva al mese di Ottobre, in - cui le acque ritiratesi lasciano abbondante pascolo alle greggie dopo essere state per gran tempo racchiuse. I lavori campestri nel1' Egitto si fanno in Novembre, in cui la terra è ancora molle e coperta della belletta che vi hanno depositata le acque, e perciò quest' epoca è indicata dal Toro, qual animale che solo in quel paese si presta a tal uopo. I Gemelli, simbolo della giovinezza e della fecondità, annunziano le nuove produzioni, e 1' epoca della germinazione, che in Egitto giunge in Dicembre. Il Cancro segna il solstizio d' inverno, annunziando col suo passo lento e retrogrado il mese di Gennaio, in cui il Sole ritorna verso i segni superiori. La vegetazione è
la più attiva in Febbrajo perchè il Sole riprende la sua forza, ed è perciò simboleggiato dal Leone, il quale uBcendo a quel tempo dai deserti sembra ricondurre i cuori. Le messi, rappresentate dalla Vergine e dalla sua tipica, indicano che in Egitto si raccoglie nel mese di Marzo. L' equinozio, ossia 1' eguaglianza dei giorni e delle notti, che ha luogo al principio di Aprile, viene indicato dalla Libra. Durante il mese di Maggio si sviluppano in quelle regioni le malattie contagiose per gli eccessivi calori, e pei venti che spirano dall' Etiopia; sono rappresentati dallo Scorpione. L' anno si compie in Giugno col simbolo del Sagittario che perseguita lo Scorpione, ed indica i venti del nord precursori del solstizio e della inondazione. Da questa esposizione si vede che il Cancro ed il Capricorno devono necessariamente indicare i solstizj, avendo il primo un andamento pigro e retrogrado, ed il secondo rappresentando il riposo sopra una sommità dirupata; nè la Libra può certamente rappresentare altro che 1' equinozio; e non si può supporre che il Cancro appartenesse allora all'estate, e la Libra all' autunno; ma si deve ritenere che il Cancro si riferisse all' inverno, la Libra alla primavera, ed il Capricorno alla state; ed allora gli altri nove segni avendo significati naturali dei fenomeni fisici che si succedono regolarmente fra quei punti fissi del corso annuale, comprovano vieppiù la fatta supposizione. Al che si aggiunga col Francoeur, che gli Egiziani hanno tre stagioni, ciascuna di quattro mesi, cominciando 1' inondazione in Luglio, i lavori in Novembre, e la mietitura in Marzo. In origine, secondo il sistema del Dupuis, queste stagioni dovevano corrispondere al Capricorno, al Toro ed alla Vergine, e questa osservazione viene comprovata dalle costellazioni circonvicine; poiché 1' Aquila, simbolo del Sole, col suo levare eliaco al solstizio dell'estate, accennava la elevazione di quest' astro quando era in Capricorno, il Toro era presso all' Auriga, che armato di una sferza sembrava spronarlo al lavoro; e Boote collocato fra la Vergine e l'Orsa rappresenta un bifolco cou una falce da mietitore, avente dietro di sè il carro carico di messi, e non lungi la chioma di Berenice, che un tempo rappresentava un covone di frumento; ma ora in causa della precessione l' Aquila, l' Auriga ed il Bifolco giungono in Febbraio, Giugno ed Ottobre, e quindi non possono più rappresentare le tre stagioni egiziane (1). (1) Crediamo di far cosa grata ai nostri lettori traducendo a questo proposito una nota del Francoeur posta in calce alla sua TJranagrafìa, pag. 391, la quale suona come segue.' Raige, uno degli orientalisti che componevano la spedizione d'Egit Noi non riporteremo tutti gli argomenti che i filosofi dei nostri secoli riunirono per sostenere questo sistemo, e solo ci contenteremo di confessare che siamo della stessa opinione. È vero che ci sarà qui fatta una domanda sull' utili. lo, a noi rapito dalla morte sul fior degli anni, alle prove di già conosciute ne aggiunse una tratta dalla lingua egizia. F. vero che quella lingua è per noi affatto morta; tuttavia se ne trovano alcune tracce nell'.aralia, nell' ebraica e nella cofta. Ed appunto confrontando queste tre lingue potè quel dotto assicurarsi che i nomi dei dodici mesi dell' anno erano gli Slessi che quelli delle dodici costellazioni zodiacali, nomi che
1. MESSORI, Aquarius, vas aquae, pmdatim lac suwn redtlchs, emulsit qni/lqnid esxct in ubere. E questo il mese dell' Aquario, allora il secondo dell' estate, e perciò corrispondente al nostro Agosto. Le signifieaziom si riferiscono molto bene all' inondazione che va ognor più crescendo; 1'aequa del Nilo che feconda la terra è paragonala al latte che nutre l' infanzia. ,, ,' 5. TOTH, Pisces, ambulatio piscis, opplevit puleunt. Nel mese dei Pesci l'abbondanza delle acque permette a questi animali .di scortole il suolo dell' Egitto: tutti i bassi fondi sono riempiuti di acqua.' Non v' ha cosa più propria a designare il mese di Settembre, in cui 1' inondazione è al suo massimo, ed in cui le dighe si aprono per celebrile le feste d'Iside. 4- FAOFI, Ilaedus velox, vox qua greges increpanlur. Si perviene all' equinozio di autunno, ora nel mese di Ottobre, ed allora in tà che da ciò posta provanire all' ingegnere. Al che rispondiamo essere a questo più che ad ogni altro necessario di conoscere la verità delle cose per le utili applicazioni ch'egli è in caso di fare. Di più queste scoperte sono frutto di quello dell' Ariete. Le acque del Nilo si ritirano, e 1' ariete riconduce •1 pascolo le pecorelle. 5. ATIIIR, Tuurus, aravit lerram. In Novembre la terra è bastantemente assodala perchè si possano eseguire i lavori; ed è per ciò che quel mese fu chiamato il mese del Toro. 6. COTAK, amora JUigruntes, opprimi Veneris. Questi amanti, • cui i Greci sostituirono i Gemini, Didimoi, sono i simboli della germinazione, che in Egitto ha luogo sul finir dell' autunno. 7. TYBT, amovil, avertiL La retrogradazione del gambero o Con-, ero caratterizza il cammino del Sole in Gennaio. Al principiar dell' interno quest' astro risale verso i segni superiori. 8. MECHIR, Leo, college, e segelis, prolulil Jrontles, nel mese di Febbraio, no tempo nel segno di Leone, la terra egizia è coperta di frutti ; ed una parte dei prodotti è matura. 9. FAMENOTH, mulier Joecunda et pulchra, nuae pendii frumentum. Marzo è il tempo delle messi. I Greci ad una donna feconda sostituirono una Vergine, Partenos, dimentichi che qui la bellezza • una qualità accessoria. Le antiche sfere presentavano un neonato iu In/accio a questa donna. _ 1 10. FARMOUTHI, Libra, mentura tèmporis, memurnvit. La Bilancia è qui l' immagine dell' equinozio di primavera. 11. PACHON, scorpio, venenum, acuto", scorpioni», voce coniposta di mtibia e Icrror. In Maggio il caldo fa uscire le bestie velenose, e sviluppa i contagi simboleggiali dallo Scorpione. za. PAYNI, sagittaria!, nvmen equi, extremitas sacculi, propnllator. Il Sagittario è il nome di un cavallo; esso chiude il cammino spingendo dinanzi a sé tutti gli animali; è l' emblema del seguo che compie l' anno solare, e si riferisce benissimo alla figura che viene ad esso attribuita. Questo estrallo della Memoria di Raige basta pendii si possano valutare le conseguenze eh' egli ne deduce. Le epoche dei fenomeni fisici e dei lavori campestri sono immutabili; però non si accordano più ron le costellazioni, benché i nomi di queste indichino tuttora gli alti eli' esse rappresentavano. Concludiamo da ciò 1. I dodici nomi delle costellazioni indicauo i mesi, gli animali ed i lavori che sono loro propri ; 3. Il nostro zodiaco è d' origine egizia, poicKn 1' Egitto solo presenta la serie dei fenomeni eh' esso rappresenta; 3. Questo si riferisce all'anno solare e non all'anno vago; il Capricorno lo incomincia nel solstizio d' estate, ed il Sagittario lo termina; 4* Finalmente i nomi delle costellazioni zodiacali possono esser* slati F opera dei dotti di quel!' epoca; ma il popolo gli ha adottati in una lingua sua propria, facendo loro significare ad un tempo e 1' aniscienze eh' egli deve coltivare; quindi qual maggior piacere che quello di conoscere quanto gli studi da lui coltivati tornarono, e tornar possono vantaggiosi alla comodità della sua specie non solo, ma a nobilitarla dando ad essa un' origine molto anteriore a quella che le si attribuisce comunemente? Poiché se taluno acquista venerazione talvolta per sola antichità di casato, molto più sarà da stimarsi l' intera specie, conoscendo che altra volta essa fu ad un puuto bastantemente elevato nella via della perfettibilità, e che per forza propria può raggiungerlo quand' anche per istraordinaric rivoluzioni sia costretta a retrocedere fino al principio della mossa. E tanto più sono a lui necessarie queste prove, in 'quanto che si collegano con altri rami scientifici di sua pertinenza, quali sono la geologia, la
geografia, e tutto ciò che si rapporta alla costituzione del nostro globo. GÌ' interrimenti dei fiumi e del mare; le cave di marmi; i terreni volcanici, e tutte le altre osservazioni si accordano nell' assegnare alla terra un' antichità senza limiti, la quale dev' esaere conosciuta e studiata da tutti quelli che amano di esaminare la verità dovunque si trovi, e fra questi non ultimo dev' essere certamente l' ingegnere. GEODESIA £ GEOGRAFIA. Se vi ha applicazione delle scienze esatte che debba interessare l'ingegnere, essa è certamente quella che si fece alla geodesia. Questa parte delle matematiche, che dalla sua origine, e secondo 1' etimologia del nome, non altro significa che ripartizione della terra, e per cui si riduceva un tempo all' arte di dividere una figura qualunque in un determinato numero di parti, fu dai moderni considerata generalmente siccome la scienza pratica per misurare i terreni tanto in perimetro che in superficie, dal che assume altresì il nome di agrimensura. In questo senso essa non è che la geometrale e r azione tla lui simboleggiata. Non si può quindi ammettere che queste denominasioni sieno state inventate con Io scopo e ingannare e di attribuire alla nazione una falsa antichità. Un popolo intero non acconsente sì di leggieri • cangiare i propri usi e l'indole della sua linfa t per una speculaiione si poco fondata. GIUSTA 111. l5l tri a pratica, e comprende tutte le operazioni geometriche e trigonometriche necessarie alla redazione di una carta topografica, corografica o geografica; e sotto questo aspetto furono dette geodetiche quelle operazioni che servono a determinare le misure itinerarie, ossia la distanza fra due punti qualunque della superficie terrestre, ed a rappresentare la figura e l' area occupata da un qualsivoglia paese. Da quoti attributi si riconosce che la geodesia forma una parte integrante della geografia, scienza antichissima per origine, ma tutta moderna per perfezione, e tutta propria degl' ingegneri. La sua perfezione però è dovuta a quelli che seppero giovarla delle osservazioni astronomiche, per le quali acquietò semplicità nelle operazioni e precisione nei risultati (i). L' stronomia serve a precisare direttamente la posizione di un punto qualunque. Così fissando quali stelle passino allo zenit di alcuni punti terrestri ad un istante determinato, ovvero quali punti terrestri abbiano al loro zenit alcune stelle fissate per quelP istante, si perviene a conoscere la reciproca posizione di quei punti, quando sia nota quella del (l) Qual maggior semplicità per determinare la distanza fra due luoghi, di cui ai conoscano le latitudini e le longitudini, di quella che offre il metodo seguente? S' immagini che APB ( fig. 6. ) rappresenti un meridiano, ed AEFB I' equatore, il cui polo sia in P, e vogliasi In distanza fra i punti C, D, cioè la lunghezza dell' arco del circolo massimo che intercettano. Saranno CE, DE le latitudini dei punti stessi, ed EF rappresenterà la differenza delle loro longitudini. Quindi nel triangolo CDP si conoscono i due lati PC, PD complementi delle latitudini, e l'angolo compreso P misurato dall' arco EF eh' è alla disiali za di 90° dt> P; e perciò dalle formolo della trigonometria sferica, chiar. mate J, e I' le latitudini, si arra eoa. CD = sen \ sen cos.y^ coa,^' cos. P, la quale posto coL^' cos. P s col. f diviene cos.CD =: 8e"X co *'a n sen. y foratola che calcolata logaritmicamente ci dà tosto la distanza cercata. Si deve però avvertire che fatto il calcolo si avrà 1' ultimo risultato in gradi, minuti e secondi, i quali dovranno ridursi in linea retta. A ciò serve il rapporto che passa fra il grado di un circolo massimo terrestre c la misura itineraria dei diversi paesi. Il più comodo ed il più esatto è quello fra il grado ed il miglio italiano, detto anche miglio geografico, poiché questo eguaglia un minuto primo di arco. Le leghe francesi sono di due sorta, ili venti e di venticinque per grado; le tedesche sono miglia di quindici al grado. Non si deve poi ommcltcre di aggiungere albi calcolata distanza la sua quinta parte, quando si voglia tener conto delle deviazioni prodotte dalle montagne, dai fiumi, o da altri ostacoli. le stelle. Se ti vuole sapere la latitudine geografica di un paese basta determinare la distanza dallo zenit dell'osservatore ad un astro qualunque che si trovi sai meridiano, e la declinazione di quest' astro, cioè la sua distanza dall' equatore; poiché la latitudine geografica, o 1' altezza del polo che le è uguale, si avrà dalla distanza zenitale più o meno la declinazione dell' astro, ovvero dalla declinazione meno la distanza zenitale, secondo la reciproca posizione dell' astro e dell' osservatore rispetto all' equatore, come si vede dalla fig. io., in cui EQ rappresenta l' equatore, S'S'' il meridiano, Z lo zenit dell' osservatore, S, S', S'' la diversa posizione di un astro rispetto a quest' ultimo. Nel che fare però si ponga mente alla necessaria correzione della rifrazione, e se 1' astro osservato fosse il Sole o la Luna anche a quelle di paratasse e del diametro apparente. Quando le misure sieno precise, ed accurate le correzioni, la media fra più osservazioni darà una lodevole esattezza.
La maggior utilità che porta 1' astronomia a questo ramo è nella formazione delle carte geografiche, necessaria ad ogni ingegnere che voglia per poco uscire dalla sfera degli agrimensori e degli architetti presi nel più ristretto senso; per cui noi ne faremo qualche cenno. Carta geografica non significa che una figura piana rappresentante la superficie sviluppata della terra, o di una sua parte, dietro le leggi della prospettiva; quindi rappresenta projettate le figure e le dimensioni, od almeno le posizioni delle città, dei fiumi,delle montagne ecc. Si distinguono poi le carte generali dalle speciali; le prime rappresentano i due emisferi, e si dicono mappamondi, od un emisfero-sollanto, c prendono il nome di planisferi; le seconde abbracciano soltanto alcune provincie od alcuni paesi particolari, od anche una parte dei medesimi. L' esattezza di una carta geografica (ij consiste i.° nel1' avere tutti i luoghi segnati nella loro posizione naturale (i) Carte geografiche o terrestri sono precisamente quelle che rappresentano il continente: idrografiche o marine quelle che ci danno la figura dei mari, delle isole e delle spiaggie; celesti quelle che offrono la prelezione della volta celeste. riguardo ai principali circoli della terra, quali sono il meridiano, 1' equatore, i paralleli ecc.; che le estensioni dei paesi abbiano sulla carta le dimensioni proporzionali a quelle che hanno in realtà sulla superficie terrestre; 5.° che con* servino la proporzione fra le reciproche distanze. La natura della sfera però non permette che possano adempiersi tutte queste condizioni, perche la sua superficie non si può sviluppare in un piano come alcuni altri solidi curvi; e perciò la superficie terrestre è rappresentata sopra di un piano dietro le leggi, come si disse, della prospettiva. Ma siccome queste leggi variano con la posizione dell' osservatore, e con la maniera di progettare un corpo, così s» dovrà scegliere nella formazione di una carta quella projezione che sia più facile e che ad un tempo alteri il meno che sia possibile la figura, la superficie e lé reciproche distanze dei luoghi. . . , '• Le proiezioni, secondo le quali suolsi rappresentare comunemente il nostro globo, sono due, cioè la ortografica, che si ha quando da tutti gli estremi della figura proposta si abbassano tante perpendicolari sul piano, su cui la si vuole determinare; e la stereografica, eh' è la projezipne di uu emisfero sopra il piano di un circolo massimo quando 1' oecbio sia situato nel polo opposto, o lungo l' asse. Nella ortografica si trova che la proiezione di un circolo è un' ellisse, il cui semiasse maggiore è il raggio del cir. colo, ed il minore è il raggio slesso moltiplicato pel coseno dell' angolo che fa il circolo proiettato col piano di projezione (i); e cosi la proiezione ortografica di un emisiero sopra il circolo che gli serve di base non è che la superficie del circolo medesimo; per lo che la superficie dell'equatore sarà la proiezione dell' emisfero boreale, il suo centro sarà la projezione del polo, il suo raggio quella della quarta parte del meridiano, ed un parallelo avrà per proiezione uu circolo concentrico all' equatore di raggio eguale al seno della distanza dal parallelo al polo. Si vede pertanto che facilissima riesce la proiezione ortografica della sfera su qualunque piano.
I piani principali, su cui si suole projettare la sfera, sono quelli dell' equatore, del meridiano, e del coluro dei solstizj. Quest' ultimo però serve alle carte celesti anziché alle geografiche, ed ha il vantaggio di dare prontamente la longitudine e la latitudine di un astro quando se ne conosca l'ascensione retta ella declinazione, e viceversa. Noi per dare un' idea di questa specie di proiezione indicheremo quella fatta sul meridiano, come la più comune per le carte geografiche. Sia PEP'Q il meridiano ( fig. 7. ), EQ l' equatore; la PP' perpendicolare all' equatore ne rappresenterà 1' asse, P, P' ne saranno i poli; dividendo i quadranti del meridiano in gradi contando o" dall' equatore, e guidando le corde da una divisione di un quadrante alla corrispondente dell' altro quadrante dalla medesima parte dell' equatore, quelle corde rappresenteranno i paralleli corrispondenti alla latitudine indicata dai gradi del meridiano, pei quali passano, come si vede dalla figura. Per aver poi la proiezione dei diversi meridiani corrispondenti ad una data longitudine geografica, bisogna avvertire che questi saranno tante ellissi, il cui semiasse minore è il coseno della longitudine geografica, ovvero il seno del suo complemento; e siccome tanto il meridiano che T equatore sono circoli massimi della stessa sfera, cosi questi seni si avranno dalla figura succitata prendendo per questi le linee che rappresentano la metà del parallelo corrispondente ad una latitudine eguale alla longitudine, cui deve corrispondere il meridiano da projettarsi. Cosi nella figura la mezza ellisse PniP' rappresenta il meridiano che passa pel 3o° di longitudine, ed ha per semiasse minore Cm s a 5o° s alla metà del parallelo che passa pel 3o°* di latitudine. Dividendo con queste regole la carta di grado in grado tanto in latitudine che in longitudine, si avrà una rete di piccoli spazi, i quali rappresenteranno l' eStensionc di un grado di longitudine ad una determinata latitudine.
Ciò fatto si dovrà segnare sulla carta i vari punti della superficie terrestre nello spazio che corrisponde alla loro longitudine e latitudine naturale, ciò che si deve desumere dai relativi cataloghi. Se si volesse poi segnare in quella carta 1' eclittica, ba
sterebbe prendere da E verso P un arco eguale alla sua obliquità, cioè di a3° Q8', e dal suo estremo guidare un diametro MN; questo rappresenterà 1' intersezione dell' eclittica col meridiano. Per avere finalmente 1' orizzonte corrispondente ad un dato punto terrestre, si dovrà determinare lo zenit di quel punto, cioè fissare 1' arco EZ che dà la sua latitudine geografica, guidare il diametro ZZ' che sarà l'asse dell' orizzonte, Indi OR perpendicolare all' asse che rappresenterà l' orizzonte medesimo. La maggior ampiezza della carta e la maggior esaltezza, con cui sarà costrutta, aggiungerà maggior precisione alle ricerche che si devono istituire sulla medesima. Delle projezioni stereografiche ' noi sceglieremo pure la più usi tata per la costruzione dei mappamondi, cioè la equatoriale, la quale, benché più difficile, è però più esatta, più naturale e più comoda delle altre. In questa si suppone la terra divisa in due emisferi da un meridiano, che ordinariamente è il primo, e si rappresentano separatamente i due emisferi, fissando che il piano di proiezione sia quello del primo meridiano, e che 1' occhio sia situato nel piano dell' equatore in un punto distante di 90° dal meridiano stesso. Con tale proiezione 1' equatore sarà rappresentato da una linea retta, come pure il meridiano distante 90° dal primo; gli altri meridiani poi, i paralleli e 1' eclittica saranno archi di cerchio. Per costruire queste carte si descriva •un circolo dell' ampiezza che si vuol dare alle medesime, il quale rappresenti il primo meridiano che passa per o° di longitudine, e che sarà pur quello che passa pei 180°; sia PP' 1' asse dell' equatore ( fìg. 8. Tav. VI. J, quindi sieno P, P' i poli; il diametro BO perpendicolare a PP' rappresenterà 1' equatore, e PP' stesso sarà la projezione del meridiano che dista dal primo di 90°. Si dividano i quadranti BP, PC, DP', P'B io go° per ciascuno, che rappresenteranno i gradi di latitudine, e 1' equatore in 1800, che saranno quelli di longitudine ( poiché il diametro BD non rappresenta in fatto che la metà dell' equatore J; ciò posto si guidino i paralleli pei gradi di latitudine segnati sul meridiano, il raggio di ciascuno dei quali si eguaglierà hlla tangente della distanza dal parallelo al polo, ovvero alla cotangente della latitudine; ed i paralleli avranno il loro centro sul prolungamento della PI", cioè i boreali al di sopra di P, e gli australi al disotto di P I meridiani poi avranno il loro centro sul prolungamento di BD al di là di a od al di là di D, secondo che la loro longitudine, per cui passano, sarà minore o maggiore di go°; ed i loro centri saranno distanti da C di una quantità uguale alla tangente della longitudine. .' i . >i- «• Per segnare in queste carte 1' eclittico, bisogna determinare la sua posizione rapporto al piano di proiezione. Se per esempio le sue intersezioni con 1' equatore corrispondono perpendicolarmente al centro C, la sua proiezione sarà una retta rappresentata dal diametro che passa per C e pel punto corrispondente a aó" a8' contati da B verso P, cioè dal diametro EF. Se si volesse poi segnare i suoi paralleli, ed i circoli di latitudine basterà guidare una perpendicolare alla EF, che sarà 1' asse dell' eclittica, e determinerà i suoi poli; indi dividere i quadranti determinati da questi due diametri perpendicolari io go", e la EF in i8o°; i primi rappresenteranno i gradi di latitudine, ed., i secondi quelli di longitudine, e la delineazione si farà con lo stesso metodo stabilito per segnare i paralleli all' equatore ed i meridiani. Se poi le intersezioni dell' eclittica con, l'equatore corrispondessero ai puuti li, D, allora basterà sognare il punto d'intersezione del tropico del Cancro col meridiano PP' e si avranno tre punti, pei quali deve passare il circolo rappresentante 1' eclittica, cioè si potrà tracciare sulla carta 1' arco corrispondente. Fatta la costruzione di questa maniera, e stabilite le divisioni di grado in grado, si cercheranno nelle tavole le longitudini e le latitudini dei diversi luoghi della superfìcie terrestre per disegnarli nella situazione corrispondente della carta, contando la longitudine sull' equatore dal primo meridiano sino al meridiano che passa pel luogo da disegnarsi, e la latitudine sul meridiano stesso. Si potrebbe rappresentare quasi tutto il globo su questa specie di carte, quando si prendesse per piano di proiezione un circolo minore parallelo al primo meridiano, e molto prossimo all'occhio; ma siccome di tal maniera riescirebbc la carta mollo confusa, si segue quasi sempre il metodo di rappresentare separatamente t due emisferi. I vantaggi di questa projezione consistono nel presentare ch'essa fa più esattamente della altre le longitudini e le latitudini dei luoghi e la loro posizione rispetto all'equatore ed al primo meridiano; ma non conserva i gradi dell' equatore nella proporzione naturale, divenendo maggiori Dell'avvicinarsi alle estremità del diametro BD; per lo che alcuni spazi ineguali in natura sono rappresentali siccome eguali, e reciprocamente; ed inoltre non possono ben determinarsi in esse le distanze dei luoghi e le loro reciproche posizioni. • " -.il, . 1
Se poi si dovesse rappresentare una sola porzione della terra compresa fra determinati gradi di longitudine e di latitudine, le carte allora nssumono il titolo di carie speciali. Se queste offrono una grande estensione, come l' Europa 0 l' Asia, la proiezione si la secondo le regole stabilite per le carte generali; ma se si limitano a semplici piovincic o paesi si eseguiscono con metodi più semplici, e tali che ligurino il meno possibile la conformazione delle superficie naturali. Molti ve ne sono di tali metodi, ma vi si distinguono 1.° quello, per cui tanto i meridiani che i paralleli si tracciano con linee rette, onde le curie si ilicouo rettilinee; 2.0 quello di Flamsteed, col quale i paralleli si conservano rettilinei e si dividono in gradi della lunghezza corrispondente alla loro latitudine, ed i meridiani risultano dalle linee che passano per tutti i punti corrispondenti ili divisione di ciascun parallelo; 3.° quello di de 1' Isle, che ritiene i meridiani rettilinei convergenti ad un punto, e segna i paralleli con archi di circolo aventi tutti il centro nel punto di concorso dei meridiani, detto il polo della, carta, dei quali paralleli due equidistanti fra loro e dagli estremi della carta conservano il: rapporto esatto nella lunghezza dei loro gradi con quelli in natura; 4 ° quello che dà le carte dette a sviluppo conico modificate da Donne e generalmente adottate, in cui si considera IR superficie di una zona sferica non molto grande si considera come eguale a quella di un tronco di cono cipcoscrllto alla medesima. Vi si aggiunge quello di Murdoch e molti altri, che si possono vedere nell' opera di Tobia Maycr intitolata: Indicazione per la costruzione delle carte terrestri, marine e celesti (i). Noi però non ci dilungheremo maggiormente su questo proposito, e solo indicheremo la costruzione delle carte spociali rettilinee, le quali, benché più antiche delle altre, e non di quella perfezione, cui possono giungere queste, sono pure vantaggiose per la loro semplicità, specialmente nella formazione della mappa di una provincia o di un regno, nelle quali estensioni gli errori, cui vanno soggette, non sono molto sensibili. Per costruire queste carte devonsi stabilire i limiti, entro i quali hanno d' essere comprese, cioè i gradi di latitudine e di longitudine, entro cui sta la porzione di globo da delinearsi. Indi si tira sulla carta una linea che serve a rappresentare il meridiano medio della medesima. Si fissi la lunghezza che deve corrispondere ad un grado di meridiano, e si divida la linea stabilita in tante parti eguali a questa unità di misura quanti sono i gradi di latitudine che deve abbracciare la carta; poi per ciascun punto di divisione si guidino tante perpendicolari alla medesima, le quali rappresenteranno la direzione dei paralleli. Ciò fatto si determini la grandezza dei gradi del primo e dell' ultimo parallelo, che conterminano la carta dai lati nord e sud, e ciò moltiplicando pel coseno della latitudine, a cui appartiene r. unità di misura stabilita per un grado di meridiano; indi contando dal meridiano medio si porti la lunghezza così trovata per ciascun parallelo di qua e di là tante volte quant' è la metà dei gradi di longitudine che deve contenere la carta; e dalle estremità di questi paralleli si guidino due rette che serviranno a determinare l'ampiezza della carta da oriente e da occidente; per fine da ciascun punto di divisione del primo a ciascuno corrispondente dell'ultimo si guidino tante linee, le quali rappresenteranno i meridiani per ogni grado di longitudine, e divideranno la carta in tanti trapezi, entro i quali si disegneranno i paesi a norma della loro latitudine e longitudine. La forma di queste carte si vede nella fig. 9. Tav. VI.. (1) Anwcisung «ur Verft'rtigung dcr Land-see-und-Himmelscharten tic - Erlangen 1815. Dalla stessa costruzione però si desume che i gradi dei paralleli intermedi non hanno un rapporto esatto con quelli in natura; e si trova che il massimo errore corrisponde alla massima distanza dagli estremi. Tuttavia se anche la carta abbraccia un' estensione da io" a i5° in latitudine, questo errore non si rende gran fatto sensibile; e perchè riesca il minimo possibile, rimanendo costante 1' estensione della carta, si seguirà l' avvertenza del signor Mayer di far corrispondere alle dimensioni naturali non i due paralleli estremi, ma bensì due che stieno fra loro e fra gli estremi della carta ad una eguale distanza. ■ NÀUTICA. Per cause affatto sconosciute ai filosofi ed ai geognoslici, questo globo che ci produsse è per la massima parte ricoperto dalle acque, le quali intersecano e cingono per ogni dove quelle porzioni solide che noi abitiamo, e che sembrano sporgere di mezzo a quelle, come in un mare speciale sorge un' isoletta. A questa naturale costituzione, per quanto le osservazioni possono istruirci, si aggiunsero straordinarie rivoluzioni prodotte da forze intrinseche del pianeta, o dall' azione di altri corpi sul medesimo, per le quali viepiù si suddivise la parte solida che soprastava alle acque. La nostra specie, che non può vivere che su quest' ultima, da cui ha sostegno e nutrimento, ebbe dalla natura due tendenze affatto opposte, ma che mirano allo stesso fine, cioè al pieno e tranquillo soddisfacimento dei suoi
bisogni, e sono: di riunire per ogni guisa i suoi individui finché concorrono al comune benessere, e di fare che reciprocamente si distraggano tosto che gli uni nuocono agi' interessi degli altri. Ed è per ciò che si formarono, e si formeranno sempre particolari riunioni, chiamate popoli o nazioni, le quali durano indissolute e crescono in potenza finché sono in istato di abbattersi a vicenda; ma tosto che una di queste non trova alcuna nazione esterna da opprimere o da respingere, si rivolge contro sé stessa, e cade per massa sovrabbondante, o si scioglie per indebolita attrazione. Sembra peraltro che ciò sia indispensabile alla nostra costituzione, non potendo percorrere la strada della perfettibilità, per la quale tutti siamo spinti senza le molle potentissime dell' emulazione e dell' odio, la quale ci facciano sorgere dall' inerzia, a cui per una singolare contraddizione siam trascinali. La speranza pertanto o la certezza di ritrovare, nelle parti di questo globo abitale da altri individui, i mezzi di soddisfare ad alcuni bisogni, indusse gli uomini a visitarsi reciprocamente, ed a cambiare fra loro i prodotti del proprio suolo o della propria industria; dal che nacque il commercio. Ma le difficoltà dei trasporti e la interposizione fra i popoli di molte acque obbligarono la mente umana a cercare la maniera di attraversare quest' ultime; ed ecco 1' origine della navigazione. I vantaggi che questo mezzo di comunicazione apportò alle nazioni sono cosi universalmente riconosciuti che sarebbe affatto vano il comprovarli. Basta dire che la navigazione fece del mare un legame sociale fra tutti i popoli, diffondendo in ogni luogo la comodità e l'abbondanza; che si praticò (ino da tempi remotissimi; eh' era fdorida presso i Fenici ed i Tirji che fu talvolta impedita e molestata dalle vicende politiche delle nazioni; che risorse presso gli Europei fin dal secolo XV; che superando tutti gli ostacoli della barbarie e dell' ignoranza si pervenne con essa a discoprire terre sconosciute agli antichi, o dimentico te fin dai loro antichissimi antenati che ne furono disgiunti per tìsiche rivoluzioni; e ohe salì ad un grado, il quale può quasi dirsi il massimo della perfezione per celerità e per sicurezza in questi ultimi tempi. Noi non ricorderemo qui gli sforzi ed il coraggio dei portoghesi Vasco de Gama, Magellano, e Pindes Piato, né 1' ingegno straordinario del Genovese e del Fiorentino, uè le conquiste bruttate da crudeltà e da rapine inconcepibili eseguite dagli spagnuoli Cortes c Pizaro. Ci basta di mostrare come le scienze esatte, ed io ispccialità 1' astronomia, contiibuirono alla sicurezza e perfezione della navigazione. La navigazione nella massima generalità del termine comprende tre parti distinte, cioè 1' arte di costruire ì navigli, quella di caricarli, e quella di condurli sul mare. Qutst' ultima però è la navigazione propriamente delta. Non si può eseguire una navigazione in alto mare senza conoscere i principj dell' astronomia, e senza possedere le carte marittime, e gli stromenti necessari Per 'e osservazioni astronomiche. Gli elementi della navigazione sono quattro, dati due dei quali si può calcolare il valore degli altri due per mezzo di apposite tavole, e sono: la latitudine, la longitudine, il cammino percorso, ed il rombo di vento, sotto cui si naviga, dai quali elementi la sola lunghezza del cammino si può determinare senza il soccorso dell' astronomia. È vero che queste cognizioni non sono di stretta pertinenza dell' ingegnere terrestre, poiché formano un ramo distinto delle matematiche applicate sotto il nome di nautica; ma siccome tutto ciò che sa di matematica ha con esso un qualche legame, così non sr^possono nemmeno dire affatto estranee ai suoi studi. Tocca poi ad esso il consecrarsi a quella parte delle sue istituzioni che crede più consona alla propria inclinazione od alle sue circostanze peculiari; ma non deve ignorare alcuno dei principj fondamentali della sua professione. Chi volesse istruirsi di tutto ciò che risguarda la nautica potrà ricorrere alle opere di Bezout, di Brunacci e di altri insigni matematici. Noi non ne faremo che qualche cenno per non mancare allo scopo propostoci. La determinazione della latitudine del vascello non presenta alcuna difficoltà, e la si ottiene coi metodi ordinar] che servono a stabilire la latitudine di un qualunque punto terrestre. Quando si abbia un esatto cronometro a compensazione, o come altramente dicesi, un orologio nautico, il cui movimento proviene da una molla, ed è sospeso intorno ad un asse orizzontale dentro una cassetta in modo che non venga il suo moto alterato dall' agitazione del vascello, e quando si abbia determinata 1' equazione dell' orologio, ossia il suo errore per mezzo dell' altezza apparente di un astro ben conosciuto, si osserverà il passaggio di un astro pel meridiano e si calcolerà la sua distanza meridiana dallo zenit, per mezzo della quale e della sua declinazione si avrà la latitudine geografica del naviglio. La determinazione delle longitudini fu invece un proyiTRUFIO, Lib. IX. II blema difficilissimo a risolversi fino agli ultimi tempi, e tatti i metodi a tal fine adoperati non giungevano ad una lodevole esattezza. Ma i progressi dell' astronomia, e la perfezione a cui si ridussero le tavole lunari e quelle dei satelliti di Giove, poterono al giorno d' oggi ridurre questo calcolo ad una massima approssimazione. Il metodo ora più comunemente adoperato è appunto quello dipendente dalle distanze della Luna dal Sole o dalle stelle fisse;
poichù osservata dal vascello la distanza apparente dal Sole o da una stella, dedotta la distanza vera veduta dal centro della terra col tempo che contavasi al meridiano del vascello, e col mezzo delle tavole calcolato il tempo in cui ebbe luogo quella distanza vera sotto un altro determinato meridiano, la differenza dei due tempi darà la differenza delle longitudini dei due merìdiaui. Ma il metouo più spedito, e che dà risultati sufficientemente esatti, è quello dipendente dagli orologi a compensazione, i quali sono cronometri cosi perfetti, che il loro moto non viene sensibilmente alterato da qualunque variazione di temperatura. Ecco di qual maniera si adoperano questi stromenti. ,, Quando partesi (i) da un por„ to conosciuto si regoli il cronometro sul tempo medio del „ primo meridiano, od in generale di un meridiano qualun„ que che assumesi a termine di confronto. Allora questo „ cronometro segnerà o* o' o" tutte le volte che il Sole ,, medio passerà pel primo merdiano, e le altre ore del giorno „ lette in quest' orologio saranno al medesimo relative. In ,, qualunque luogo venga trasportato l'orologio col naviglio, „ si osservi 1' altezza del Sole o di qualunque altro astro „ ben determinato che trovisi nelle vicinanze del primo ver„ ticale. Quindi si calcoli il tempo vero che al meridiano del „ bastimento si contava nel momento dell' osservazione, e ,, convertasi in tempo medio; questo tempo confrontato con ,, quello indicato dall' orologio ridotto in gradi a ragione di ,, i5° per ogui ora darà la longitudine cercata ". L' esattezza di questi cronometri è dovuta ai signori Berthoud, Emery, le pone, Barwisc, Arnauld ed altri celebri orologi». Il cammino poi che percorre un vascello si misura per (1) Santini, Elementi di Astronomia § fóo. mezzo del loche, il quale è un pezzo di legno lungo circa ventiquattro centimetri, per lo più tagliato in forma di un tronco di piramide triangolare, alla cui base minore si attacca un po' di piombo, perchè possa fermarsi nel punto in cui si getta, ma tale che vi possa galleggiare." Alla base superiore porta un anello di ferro, a cui si ferma una fune, che ha diversi nodi ad eguali distanze, detta linea del loche, o secondo alcuni trecciuola ed anche sagola, lunga circa tredici metri. Si getta il loche nell' acqua anteriormente al naviglio, si aspetta che cessi il movimento, indi si conta il numero dei nodi svolti dalla trecciuola per un dato tempo, i quali segnando una determinata distanza dall'uno all'altro daranno lo spazio percorso dalla nave in quel determinato tempo, e notando il numero delle ore, duranti le quali la forza del vento e la sua direzione rimangono costanti, si avrà la strada fatta per le ore stesse con una semplice proporzione diretta. I naviganti hanno una tabella, detta la tabella del loche, divisa in cinque colonne, nella quale si registrano le osservazioni di ciascun giorno. Nella prima colonna si segnano le ore di due in due, nella seconda il rombo di vento o la direzione del vascello, nella terza il numero dei nodi svolti dalla trecciuola, nella quarta il vento dominante, nella quinta le osservazioni sulle variazioni dell' ago magnetico. Il loche però serve soltanto a stimare la celerità assoluta del naviglio; ma per istimare il viaggio da questo percorso tanto in latitudine che in longitudine è necessario di conoscere anche la sua direzione Cuchè la posizione e la forza del vento rimangono costanti. Questa direzione, che in tale caso resta sempre la stessa, traccia una curva particolare detta dai nautici loxodrimia, la quale ha la proprietà di tagliare tutti i successivi meridiani sotto uno stesso angolo; per lo che, quando si conosca quest' angolo, si conosce anche la direzione medesima. L'angolo della loxodrimia si determina con la bussola nautica, la quale non è che una bussola ordinaria equilibrata in una cassa apposita, e situata in modo che 1' agitazione della nave non turbi la direzione dell' ago. La sua circonferenza interna si divide secondo i rombi di vento, oppure in gradi; e concentrico a questa, sopra il cristallo che cuopre 1' ago, si colloca un altro circolo mobile intorno al suo centro, e munito di un traguardo per determinare la posizione degli oggetti lontani rispetto al meridiano magnetico; sicché guardando la traccia delle onde rotte dal naviglio si determina l' angolo che 1» direzione di questo fa col meridiano magnetico, e confrontando quest'angolo con quello che il meridiano magnetico fa col meridiano terrestre, si conoscerà la direzione del corso rispetto a quest' ultimo. Qui devesi però avvertire di fare le correzioni dipendenti dalla declinazione magnetica, la quale non è la stessa nè in ogni tempo, nè in ogni luogo (ì). Vi sono poi alcune tavole Ioxodrimicbe ad uso dei navigatori, nelle quali si trova registrato per ogni rombo di vento il viaggio percorso contando dall' equatore, e la variazione in longitudine calcolando le variazioni in latitudine di dieci in dieci minuti. Finalmente è necessario, come dicemmo, di conoscere il rombo di vento, nel quale trovasi il naviglio. Aubin definisce il rombo di vento per una linea segnata sul globo terrestre, o sopra una carta marittima, affine di rappresentare uno dei trentadue venti che possono spingere un vascello. In altri termini si direbbe che questo è un circolo verticale qualunque corrispondente ad un punto determinato, ovvero 1' intersezione di questo cerchio con 1' orizzonte, per cui i diversi rombi corrispondono ai diversi punti dell'orizzonte; ed è per ciò che un vento qualunque spirando da (i) La loxoilrimia è una curva simile alla spirale logaritmica, aggirandosi intorno' al polo terrestre, siccome quest'
ultima attorno al suo centro. Una parte qualunque della loxoilrimia ha sempre lo stesso rapporto colla parte corrispondente del meridiano. L' equazione di questa da curva è ———— = h, in cui z rappresenta F arco compreso fra il polo ed un punto della loxodrimia, du 1' elemento infinitesimo della longitudine, per cui du . sen. z rappresenta la parte di parallelo corrispondente, e b è il rapporto costante fra quei due elementi. Per integrare di quest' equazione basta fare scu. z = x, per cui si avrà bdu m x p, a , or e posto x sa — sarà - bdu s y * l » Ja cui C'"1)U = ,06'( r2'J. un determinato punto, si dà al rombo corrispondente a qtid pnnto il nome stesso del vento. Il rombo pertanto viene determinato dall'angolo che fa l.i loxodrimia col meridiano (i). Noi non aggiungeremo altro su questo proposito se non se l' avvertenza che vi sono tre specie di navigazione, ossia tre metodi per dirigere un naviglio, cioè la navigazione piana, la circolare, e quella di Mercatore. Alla piana servono le carte piane, nelle quali i meridiani ed i paralleli sono rappresentati per mezzo di linee fra loro parallele. Queste sono utili nei viaggi brevi; ma presentano gravi errori quando sieno di una grande estensione. Nella circolare si fa uso di cerchi massimi; ma ora non è adottata, perché è poca comoda alla pratica, benché segni la via più breve. La più usitata però è quella di Mercatore, nella quale si adoprano le cosi dette carte ridotte, o carte di Mercatore (2). In queste i meridiani ed i paralleli sono rappresentali con linee rette parallele, ma i gradi dei meridiani sono ineguali, e crescono dall' equatore ai poli nel medesimo rapporto, con cui diminuiscono sul globo i gradi dei paralleli; per lo che conservano tra loro la proporzione che hanno sul globo. Noi crediamo in questa Giunta di aver detto quanto basta per mostrare che lo studio dell' astronomia non è studio ozioso e di puro lusso per l' ingegnere. (1) Chi Tolette avere cognizioni estese su questo ramo importantissimo delle matematiche applicate, potrà ricorrere agli scrittori sopra citati ; e se volesse una qualche idea fondamentale potrà consultare i pochi paragrafi a ciò dedicati dal chiarissimo professore Santini nei suoi Elementi di Astronomia, Tom. IL "P. IX. (2) Queste carte portano il nome dell' autore che fu il primo a proporle ed a costruirle. Però Mercatore non fu il primo ad immaginarle, perchè Tolommeo si aveva pensato quindici secoli prima; nò quello, a cui si della la loro perfezione, perchè il signor Whrighl fu il primo ad insegnare e a dimostrare una maniera facile di costruirle sviluppando la linea meridiana per mezzo dell' aggiunta continua delle, secanti.
Emende da farsi al Lib. IX. Vitruviano. lin. 7 agguzzare - leggi aguzzare » 24 faranno - leggi saranno • 19 demcnzia - leggi denunzia • 19 casca - leggi Tasca • 5 del bruma - leggi della bruma • 3i ellittica - leggi eclittica • 4 a''r' " leggi astri » 3 settculionale - leggi settentrionale > 18 Ofiulso - leggi Ofiuco • 17-18 trovandosi - leggi troTayansi a 18 quadrato - leggi quadrate » 7 retrodere - leggi retrocedere > 24 l' una di centrifuga - leggi l' una centrifuga > 20 che riscontrò - leggi che si riscontrò ■ 3a della più piccola - leggi dalla più piccola > 4 equinoziale superiore - leggi equinoziale, il superiore » 34 condurre - leggi conducendo a 22 AMAI - leggi AMAT > 19-20 figurino - leggi sfigurino ■ 36 in cui si considera la - leggi in cui la > 39 si distraggano - leggi si distruggano
DI VITRUVIO TRADOTTA IN ITALIANO DA QUIRICO VIVIANI . ILLUSTRATA. CON NOTE CRITICHE ED AMPLIATA DI AGGIUNTE INTORNO AD OGNI GENERE DI COSTRUZIONE ANTICA E MODERNA CON TAVOLE IN RAME • PER OPERA DEL TRADUTTORE E DELL'INGEGNERE ARCHITETTO VINCENZO TUZZI L1B. X. UDINE PEI FRATELLI MATTIUZZI i83a TIPOGRAIIA CECILE
DELLE M/iTERlE CONTENUTE NEL X. FASCICOLO DEL VITRUVIO LIBRO X. Prefazione Pag. 3 Cap. I. Della macchina, della sua differenza dall' organo, e della sua origine e necessitct 9 Cap- IL Delle macchine trattorie pei sacri edifizjj e per le altre opere pub-. Miche ,, 17 Cap. III. Dei diversi nomi delle macchine, ed in che modo si erigano . „ 19. Cap. IV. Di un altra macchine simile alla sopra descritta 21 Cap. V. Altro genere di macchina trattoria , . ,, aa Cap. VI. Maniera ingegnosa di Ctesifonte per trasportare oggetti di grosso peso ,, 26 Cap. VII. Della scoperta di una petraja, da cui fu costrutto il tempio di Diana Efesia ,, 3 2 Cap. Vili. Del moto retto e 'circolare delle macchine per levare i pesi . ,, 33 Cap. IX. Dei varj generi degli organi per attignere f acqua . . . . . ,, 4a
Cap. X. Delle ruote e dei timpani per macinar la farina ....... Pag. 45 Cap. X//. Della macchina di Ctesibio, che solleva ad un punto altissimo t'acqua „ So Cap. XIII. Delle macchine idrauliche, colle quali si perfezionano gli organi ,, 54 Cap. XIV. Regola per misurare il viaggio fatto in cocchio od in nave. . 5g Cap. XV. Delle catapulte e degli scor pioni . . . . . . . . . ,, 64 Cap. XVI. Delle baliste ,,70 Cap. • XVII. Delle proporzioni delle baliste „ 71 Cap. XVIII. Del modo di caricare e di tendere le catapulte e le baliste ,, 76 Cap. XIX. Delle macchine oppugnatone 77 Cap. XX. Della testuggine pel riempi mento deJ fossi . .' 83 Cap. XXI Delle altre testuggini . . 85 Cap. XXII. Delle difese . .' . . . „ 90 GIUNTE AL LIBRO X. Giunta I. Sui, principi fondamentali di Meccanica „ 101 Giunta II. Delle macchine in generale3 e specialmente delle macchine a va' pore 127 Giunta III. Delle macchine militari antiche e moderne j>*62 DELL' ARCHITETTURA DI M. VITRUVIO POLLIONE LIBRO X.
DELL' ARCHITETTURA DI . M. VITRUVIO POLLIONE LIBRO X. PREFAZIONE I. In Efeso, nobile ed ampia città de' Grecit si dice che dai maggiori fosse stata creata anticamente una legge portante una condizione dura sì, non per altro ingiusta; perchè quando un architetto assumeva la direzione di un' opera pubblica, assicurava *( 1 ) prima quanta fosse per essere la spesa della fattura: consegnatane la stima, si obbligavano al magistrato i suoi beni, (ino al compimento dell'opera: compita questa, se la spesa corrispondeva al detto, egli era ornato di decreti e di onori. Parimente, se consumava solo un quarto di più neh' opera, aggiungeva^ questo al (i) 11 lat- poìlicelur: cioè faceva la polizza: polizia appunto, eh' è la nota delle spese, a nostro parere, trae la sua origine dal latino pelliccor. la stima, e si compensava dal pubblico, nè era tenuto ad alcuna pena: quando poi nell' opera consumavasi più del quarto, esigevasi da'suoi beni il danaro per terminarla. 2. Oh! avessero pur fatto gli Dei immortali che questa legge anco pel popolo romano, non solo pei pubblici, ma pur pei privati edifizj fosse ordinata (1): perchè così gl'ignoranti non as (1) Galiani nota a questo passo: „ Se Vilruvio deside„ rava a' suoi tempi questa santissima legge, che dovrebbe„ 10 dir oggi i nostri poveri Napoletani, de' quali non v' è „ nessuno di qualunque grado, che messosi a fabbricare, al fin de' conti non si trovi ingannato non che per un quarto o „ metà, ma fino al doppio e al quadruplo, se occorre?" Ma noi soggiungeremo: e chi può salvarsi dall' inganno? Se l'espositore di un progetto vuole ingannare, può fare ascendere l' importo ad una somma doppia di quella che deve costare elfeltivauicnte la costruzione; nello stesso modo che può far" conoscere essere stata la spesa doppia di quella che aveva calcolata E sarebbe appunto qui da chiedersi con lo Straltco, perchè la legge riferita da Vilruvio fosse stata adoltata dai soli abitanti di Efeso, e perchè se era veramente utile fu trascurata dagli antichi e dai moderni legislatori? Ma si osservi che Vilruvio attribuisce ad imperizia quegli errori; ora se questa imperizia include la buona fede, e se 1' opera eseguita vale realmente più di quello che fu calcolato, non c' è luogo all' inganno, e l'architelto, non essendo colpevole, non dev' essere sottomesso ad alcuna pena. Si aggiunga poi col Newton che questi errori hanno luogo do. vuuque, ed evvi la massima probabilità che la spesa effettiva per la costruzione di un edifizio ecceda la stima stabilita per quanta esattezza si abbia usato nel redigerla, non essendo possibile di prevedere tutti i casi, tutti gli errori, luite le negligenze, ove si deve impiegare un gran numero di lavoratori, uè quelle alterazioni, che lo stesso ingegno del dirigente può stimar utili nel corso dell'opera. E questa velila era in parte conosciuta dagli stessi; Etesii quando non attribuivano a colpa se la spesa superava la stima di una quarta parte. Noi non vogliamo con ciò assolvere gì' ingannatori dalle pene che sono loro dovute, ma' beusì non includere nel sassinerebbéro impunemente; ma i soli divenuti prudenti per la sottigliezza delle dottrine senza dubbio professerebbero 1' architettura; nè i padri di famiglia sarebbero indotti ad infinite profusioni di spese a segno d' essere espulsi dai loro beni j e gli stessi architetti dal timor della pena frenati, calcolando con più diligenza, la nota presenterebbero delle spese; sicché i padri di famiglia con quel che avessero apparecchiato, o aggiungendo alcun poco di più, terminerebbero i loro edifizj. Perchè coloro, che per un' opera hanno potuto apparecchiar quattrocento, se aggiungono cento, se ne compiacciono per la speranza del perfezionamento: quelli poi, che sono caricati( di una metà ed ancor più della spesa, perduta la speranza e gettata la spesa, rovinate le cose e gli animi, sono costretti a desistere. 3. Nè soltanto è questo difetto negli edifizj, ma eziandio nei divertimenti, che dai magistrati si danno, nel foro di gladiatori, e nel teatro di giuochi scenici, pei quali non si concede nè indugio, nè aspettazione, ma la necessità costringe a terminare entro il tempo prefisso, come sono i sedili (i) degli spettatori, le disposizioni delle ten loro numero gì' innocenti, e solo osserviamo che la frode di fare la stima minore di quello che può importare un'
opera sta soltanto nell' indurre un padrone a farla erigere sulla fiducia di poca spesa; ciò che non avrebbe fatto se la spesa reale fosse stata da lui conosciuta. Ma pochi sono poi cosi stolti da lasciarsi ingannare fino al quadruplo senza chièdere prima un cousiglio sull' importo approssimativo. (i) Perrault traduce anfiteatri, hepchè questi non fosde, e tutto ciò che secondo i costumi scenici col sero in uso al tempo di Vilruvio, e benché in Plinio, al dir di Lipsio, si debba leggere teatro di Pompeo e non anfiteatro, e ciò solo perchè questa voce serve oggi ad indicare il luogo degli spettacoli. £ soggiunge che presso gli antichi vi erano tre specie di teatri, cioè di legname, di pietra e di pietra e legname ad un tempo, siccome quello di Bordeaux, il cui recinto era di muro, ed i sedili si collocavano al momento di legname. Qui Vitruvio intende parlare di questi sedili, nominando eziandio i velarti, le quali opere erano appaltate allorquando si stabiliva di dare gli spettacoli. Però si osservi che quei velarti in parte servivano a difendere gli spettatori dai raggi solari, e parte a coprire le scene, distinti col nome di siparii. 11 Newton invece ritiene che per quel setlcs spectaculorum di Vitruvio si debba intendere le tavole, od i piuiuaci i, od altre cose simili, di cui si coprivano i gradini del teatro ogni qual volta si dovevano dare gli spettacoli, e che venivano somministrati dagli operai dietro una stima. Che però Vitruvio voglia indicare sedili temporarj, si desume dall' aver egli nominate anche le tele, che servivano a coprire gli spettatori, e le quali erano cenameli» le temporarie. E si potrebbe col Galiani riferire ciò ai teatri temporarj che si costruivano tutti di legname, od ai gradini che si erigevano nel loro al tempo degli spettacoli; poiché Vitruvio confronta questa specie di lavoro con gli edifìzj, redigendosi io entrambi i casi errouee minute di stima. Al n,omento che fu scoperto il teatro di Ercolauo si trovò che i gradini erano coperti di tavole, se si deve prestar icde al Marchese Venuti, il quale soggiunge che quelle tavole erano collegate in forma di scale, ma aventi gradini troppo alti per servire a quelP uso. .Lasciate le quistioni sul tempo in cui fiorì Vitruvio, e ritenendo che ciò l'osse al tempo di Augusto, risovvenendosi altresì che Vitruvio scrisse UOQ esservi teatri marmorei in Roma, si vede che le sedi 'degli spettacoli qui nominate non possono significare altro che quei teatri lemporarj che si erigevano per una determinata circostanza, e si coprivano con tele. 11 Newton poi non 0111rnette alcuna occasione -per mostrare che Vitruvio viveva ai tempi di Vespasiano. — Ma piuttosto quello che sembra più diilìcile a spiegarsi si è che Vitruvio abbia tratto motivo da ciò di parlare siili' utilità e siili' importanza delle macchine. Sin qui lo Strafico. Noi pure ci accordiamo nell' opinione del Galiani iu forza del senso che si deve dare a questo pa*so vilruvi.iuo, -soggiungendo appunto il nostro autore che in simili opere macchinismo ( i ) si prepara _ al popolo per gli spettacoli (2). In queste cose poi v è d' uopo di castigata prudenza e dell' intendimento di dottissimo ingegno; perchè alcuna di esse non si perfeziona senza meccanica (3), e senza vario e solerle vigore di studj. CAP. ]. 4. Essendo dunque così queste cose passate in tradizione ed in uso, sembra non esser fuor di proposito, prima d'intraprendere le opere^con somma cautela e diligenza il pesare le loro ragioni. Che, se non avvi legge, od alcuna stabilita usanza che a questo possa obbligare, quantunque ogn' anno i pretori e gli edili debbano preparare le macchine per l' esercizio dei giuochi, mi parve, o Imperatore, non fuor di materia, poiché negli antecedenti volumi ho ragionato degli edifizj, in questo, che costituisce il fine di tutto il corpo dell' opera, 1' insegnare i principi per ordinare le macchine. per gli spettacoli fa d' uopo diligente prudenza ed ingegno dottissimo; ciò che certamente non abbisogna per disporre semplici sedili, o per ricoprirli di piumacci od altro. A non maravigliarsi poi con lo Stratico, perchè Vitruvio dalla costruzione dei teatri momentanei tragga partito per parlare di meccanica, basta avvertire che questi teatri erano allora una delle opere più importanti ned' architettura civile, ed in cui si dovevano adoperare certamente molte macchine che non abbisognavano per la costruzione degli acquidotti, delle cloache e delle Strade. (1) 11 testo per machinalionem. Galiani artificiosamente. Barbaro con fattura. Orsini per via di macchine. Noi osiamo adoperare la voce macchinismo, (1) Il testo ad spectationes. Veramente spectatio significa l'atto del guardare una cosa, non impedito da veruu ostacolo. (3) Il latino sine ntachinatione. Noi. abbiamo seguito il Galiaui e l' Orsini. Della macchina, della sua differenza dall'organo, e della sua origine e necessità. acchina è una soda congiunzione di materia (i) avente grandissima forza per muovere i pesi. Si muove artifiziosamente per giri di circoli, che i Greci chiamano crclic'en cinesin. Son (i) Questa definizione sembra imperfetta al persa", in quanto che le macchine non solo possono farsi di legname,
ma ben anche di metallo, ed oltre a ciò abbisognano per lo più di funi. Ma ciò deve intendersi nel senso più ampio, dice lo Stiatico, in quanto che le macchine proprie per gli edifizi sono per la maggior parte formate di legno. Noi non vediamo il perchè materia latino debbasi tradurre sempre per legno: anzi crediamo che per materia debba intendersi ciò che anche al giorno d' oggi s' intende nel linguaggio fisico. È pur d' avvertirsi che i Latini fanno una distinzione fra materies e materia, e colla prima voce intendono veramente il legno, colla seconda qualunque oggetto materiale; ciò che dimostra il Vossio ( Etymol. ) dietro l'autorità di Plinio, e dello stesso Vitruvio, il quale nel libro II. cap. 9. dice, parlando del legno, materies caedenda. Ma qui dice non ex materie, ma ex materia. Il difetto però della definizione vitruviana sta, secondo alcuni, nelle parole maximal ad onerum molus habens virtutes, restrigendosi così 1' operazione della macchina solo al muovere dei pesi: ma, soggiunge il Galiani, all'incontro poco prima, e poco dopo egli chiama macchina anche le scalinate, o sieno i sedili fatti di legno.per qualche spettacolo straordinario; e per rimediare » ciò quel conientatore credette che la vera lettura fosse stata maxime non maxi mas; nel che fu seguito dall' Orsini che traduce principalmente al muovere de' pesi, comprendendo così nella definizione anche le macchine scansorie. Oltre a ciò lo Stratico vuole che le parole vitruvianc habens virtutes possano indurre il volgo a credere che la forza per superate gli ostacoli e per muovere i pesi sia ine
/ ao LIBRO z di tre generi: il primo scansorio (i), in greco acrobaticon: il secondo spiritale, in greco pneumaticon: il terso traltorio, e questo da'Greci si chiama hartdeon. Scansorio (2) è quando le mac rcnte alla macchina stessa; dovechè le macchine non possono esercitare altra forza che quella che viene alle medesime applicata, ed anzi non tutta s' impiega a superare P ostacolo, ma la massima parto serve a produrre moti inutili al fine della macchina, ma però necessari, ed altri moti inutili e non necessarj. Ma noi diremo con un adagio comune che questo è un cercane inutilmente il pelo nell'uovo. E chi è mai così róvzcH e volgare, il quale possa credere che la virtù motrice sia propria della macchina? e tale essendo, che jnrparla se il crede? Questi non sarà mai atto a trar profitlo dalle arti e dalle scienze. Noi riteniamo che la definizione di Yitruvio non sia per alcun conto erronea, perchè 1' oggetto di una macchina è quello di vincere facilmente una resistenza, la quale può essere sempre rappresentata da un peso, come sa ognuno che abbia studiato alcun che di meccanica. .1, (i) Il Galiani chiama le tre seguenti specie di macchine, la prima salito? la seconda spiritale, la terza trauma. (a) Il testo dice che queste macchine souo tali, per cui sine periculo scandalur ad apparatus spectationem; ed il Barbaro, il Perrault ed il Newton convengono nell' opinione del Turnebo, cioè essere destinate le macchine stesse ad osservar dall' alto le operazioni belliche del nimico; il Galiani però e 1' Orliz seguono il Baldo, considerandole siccome gradinale per potersi vedere dalle medesime gli spettacoli ed i pubblici giuochi, sostenendo che non è probabile che qui Jtarli Vitruvio di macchine militari, non indicandolo le paroe del testo, n'è la voce apparalus significando il lavoro dei «miei, ma ogni specie di spettacolo. Lo Stratico dice che quesl ultima opinione non è probabile, perchè non può credersi ohe i teatri degli antichi constassero di macchine formale'con travi collegate con traversi, onde si potesse ascendervi senza, pericolo, quando invece per mezzo di questa specie di macchine poteva salire qualche soldato per fare le osservazioni dall' alto delle mura; tanto più che uel cap. 19 di questo libro nomina una macchina bellica detta ascendente, che portava gli uomini sulla sommità delle mura nemiche. Ed aggiunge che la descrizione di Vegezio della macchina da lui chiamata tofieno, fatta per quest' uso, e quella chine sono collocate in modo, che sopra collegati legni diritti e trasversali si possa senza pericolo salire in alto alla veduta dell' apparato. Spiritale (i), quando dallo spirito scacciato dalle presdi Apollodoro ed Erone ( nel trattato delle macchine ) per guardare dentro delle mura nemiche, concordano colla descrizione vilruviaun. Dal che conchiude essere pki probabile 1' opinione del Turntbo che quella del baldo; aggiungendosi che se servir doveva per gradinata in un teatro, non avrebbe soggiunto Vitruvio che la macchina scansuiia ha più vanto di audacia che di artifizio: che se la costruzione di una macchina dev' essere fatta in modo di non presentare alcun pericolo di rovina, questa non può essere prevenuta da alcuna audacia; la qual audacia però si richiede nel- l' uomo che viene innalzalo dalla macchina stessa, onde non venga spaventate dall' altezza e dai pericoli che si potessero presentare alla sua immaginazione. Chi volesse bilanciare queste ragioni dovrebbe restare indeciso per quale delle due opinioni dichiararsi; nulladimeno noi vorremmo dichiararci per la prima. DiUatti la voce latina scansorium e la greca corrispondente acrobaticon significano una cosa, per la quale si può ascendere, non già una cosa che porti in allo; inoltre il pericolo può aver luogo dove siavi una calca, non già dove ha da ascendere un solo uomo od ai più due, per innalzare i quali una leva o poche carrucole possono bastare anziché travi stabili collegate con . traversi, e beu concatenate, e doppiamente congiunte, e con isperoni soffolte. E quell' audacia, che forma la gloria di questa macchina, come si può rivolgere agli uomini che vi si affidavano per salir sulle mura, quando «ra già/ costrutta in modo da nou presentare alcun pericolo? Audacia è qui posta figuratamente per indicare I' altezza, u cui si poteva salire con questo mezzo; la qual- cosa appunto desta meraviglia senza esigere grande artifizio, purché vi sia assicurata la solidità con le indicate concatenazioni e sostegni Ad ogni modo però, traducendo spectationem per veduta, ossia prospetto, e ritenendo la voce apparato, nou si contraddice né all' una, uè all' altra sentenza. (i) Ognuno qui deve intendere macchine pneumatiche, cioè tali eh' esprimano orgauicamente per mezzo dell' aria e suoni e voci, poiché spiritus presso gli antichi, e specialmente presso Vitruvio significa aria, fiato, gas, od in una sioni si esprimono organicamente e tuoni e voci. Trattorio, quando i pesi si tirano colle macchine, e sollevati in alto si pongono a segno.
6. La scansoria non d'arte, ma d' ardimento si gloria: si regge con catenature, con legamenti trasversali e intrecciati, e con sostegni di erisme (i): quella poi che assume il principio dalla potenza dello spirito ottiene eleganti effetti co' raffinamenti dell' arte (2). Ma la trattoria è pie parola sostanza aeriforme; quindi non si può intendere col Perrault che le voci latine impulsus et plagae significhino colpi o percosse tendenti ad estrarre un suono da tutti quegli stranienti che non sono pneumatici. A noi pare che le macchine spiritali di Vitruvio operassero puramente per mezzo dell' aria, ma che per ottenere 1' effetto si dovesse dar loro un impulso, per esempio col fiato, o produrre alcune aperture organicamente, cioè col mezzo dell' azione di un sol uomo, come spiega poco dopo; e ciò a simiglianza di quegli stromenti detti propriamente organi che lasciano uscire alcune voci determinate quando per mezzo di un manubrio si vanno scoprendo alcuni piccoli fori, pei quali esce l' aria che viene somministrata da un mantice, stromenti comunissimi, e coi quali i Tedeschi vanno dilettando il popolo pei trivii. Ecco, a nostro parere, spiegate le voci plagae ed organica", ritenute siccome oscurissime, poiché plaga significa apertura, fessura, ed organicvs indica il mezzo, con cui si fanno le aperture stesse. Il Galiani spiega tuoni, e noi 1' abbiamo seguito. A questo passo lo Stratico s'introduce a parlare di musica, e dice che ogni musica si distingue in vocale ed istromentale. L' istromentale poi in pneumatica che proviene dal moto dell' aria, ed in psaltica che proviene dalla percossa. La psaltica pure si suddivide in due specie, una si ha quando lo stromento è metallico e che si batte, ovvero quando e composto di corde che fanno oscillare; e quest' ultima finalmente può ottenersi o con istrofìnara le corde per mezzo di un arco crinito, ovvero eccitandole senza attrito con le dita o con una canna più dura. (1) Cioè con contrafforti, o speroni. (a) Questo passaggio è in tal modo tradotto dal Gali»na di attitudini molto maggiori, e di veramente magnifica utilità; e adoperata con prudenza dimostra forze indicibili. 7. Alcune di queste si muovono meccanicamente, altre organicamente. Fra le macchine e gli organi (1) avvi la differenza, che le macchine con molte opere, ovvero con forza maggiore sono costrette a conseguire gli effetti, come le baliste e i preli (2) de' torcolari. Gli organi poi ni: ma quella che intraprende assunti bizzarri a forza di vento, non ha l' intento, se non colla sottigliezza dell' arte. (1) Dice' lò Strafico che Vitruvio svolge oscuramente questa distinzione, poiché il senso esige piuttosto un indovino che un interprete. A noi sembra invece che le parole vitruviane quasi non abbiano bisogno di conienti. Eccone il senso coi termini Scientifici d'oggidì: macchina è quella, in cui 1' aumentar della potenza produce un maggior effetto; 1' organo invece non abbisogna che di un semplice motore, il quale sia fornito piuttosto di previdenza che di gran forza. Vitruvio porta in esempio per la prima le baliste, per la seconda gli scorpioni. Noi diremmo dietro a questa distinzione che un mezzo qualunque per trasportar pesi sarà una macchina, un' arma da fuoco sarà un organo. Lo Strafico però soggiunge che il nome di organo si Appropria giustamente soltanto a quegli stromenti che producono un suono. Ma noi diremo che se per suono intende una qualunque impressione prodotta dall' aria al senso dell' udito, quasi ogni mezzo meccanico sarà un organo; ma se intende che quella impressione sia ordinata secondo qualsiasi legge, allora si allontana moltissimo dal senso del nostro autore, il quale colloca fra gli organi anche i mezzi per attingere l' acqua. Era piuttosto da dirsi che al giorno d' oggi per macchina s'intende qualunque mezzo che serve ad equilibrare due forze, od a fare che 1' una preponderi siili' altra: e per organo quel mezzo che serve semplicemente a trasmettere un' azione senza aumentare o diminuire la forza motrice. (1) Il Galiani traduce stretto). Il Barbaro sta al latino prelum e traduce prelo. Cosi abbiamo noi fatto anche al «ap. 9. del lib. VI.; e veramente prelum non è lo strettojoj coli opera d' un solo toccati giudiziosamente ottengono il proposto intento, come le rivoluzioni ( i ) degli anisocicli (a) o degli scorpioni. Adunque sì gli organi, che le macchine sono di tale necessità di uso, che mancando queste, alcuna cosa non può essere senza ostacolo. 8. Tutta la meccanica (3) fu generata dalla ma una trave o una stanga adattata in modo al torchio, che maneggiandola si comprime l' uva, le olive, od altro: ha li sua origine da premo, ed è abbreviatura di premutimi. (i) Lat. versationes. Gal. votazioni, e ci sembra bellissimo da adottarsi nel vocabolario italiano.
■ (a) Cosa debbasi intendere per anisocycli è tuttora incerto. Il Perrault, il Galiaoi, 1' Ortiz ed il Piewton si accordauo nel considerare quest' organo siccome una molla elastica ripiegata a spira, la quale svolgeudosi lanciasse un ualche corpo; poiché un corpo elastico ripiegato iu forma i spira o cilindrica o conica' presenta alcuni circoli ineguali, o piuttosto alcuni segmenti che compiono ciascun giro. Ma con pace di sì grandi uomini, dice lo Sliatico, non posso convenire in questa interpretazione, volendo le parole, vitruviane in anisocyclorum versationes indicare un moto rotatorio di circoli ineguali. Laonde si deve piuttosto considerarli siccome macchine a ruote dentate, le quali internandosi nei denti dei timpani producono una rotazione detcrminata e costante. E ciò che soggiunge Vitruvio serve a prova di ciò. Didatti dicendo, che gli uomiui, ad esempio della macchina divina, che abbraccia il sistema planetario, procurarono maggiori comodi alla vita parte con macchine e -parte con organi, prova che questi stromenti tutti aveva-, no un moto di rotazione. E -I' esempio dei mezzi di tessere la tela spiega maggiormente che per organo delibasi intendere uno stromenlo che produce movimenti stabili determinati e tra loro complicati, e che per aumentare di forza non aumenta l' effetto. Tuttavia nella traduzione pare più prudente partito il ritenere anisocicli, anziché molle, come lece il Galiani, e dietro ad esso 1' Orsini. Il Barbaro traduce circoli disuguali. (3) A giusta ragione osserva lo Stratico che quest' ultima parte del primo capitolo è lotta filosofila; ma non con egual ragione la taccia d' oscurila. A noi sembra uno di natura delle cose e istituita dalla reggitrice e maestra rotazione del mondo. Si consideri in primoluogo, e si contempli la permanente natura del Sole, della Luna, e dei cinque pianeti, i quali se non girassero meccanicamente, noi non avremmo in terra nè luce, nè maturazione di * frutti; Avendo dunque gli antichi queste cose considerato, desunsero dalla natura delle cose gli esempi; e dalle cose divine indotti all' imitazione, ne fecero applicazioni utili alle comodità della vita.' Onde operarono in modo che alcune colle macchine, e colle loro circolazioni, altre cogli organi riescissero più spedite: sicché le cose da essi considerate proficue all'uso, per via di studi, di arti e d'istituzioni, colla loro dottrina cercarono d'aumentare. ... 9. Si ponga mente alle prime necessarie invenzioni, cioè al vestito, come nelle tninistrazioni organiche delle tele, fattasi la connessione della stame alla trama, copertine i corpi, non solamente difendami, ma vi si aggiunga eziandio il de-, coro dell' ornamento. Nè avremmo tampoco abbondanza di cibo, se non fossero stati inventati i gioghi e gli aratri pei buoi e per tutti i giumenti. E se non vi fosse 1' apparecchio delle sucule (1), dei preli e dei vetti per torchiare, non quei molti tratti oratorj e filosofici, di cui il nostro autore ha abbellito di quando in quando questo suo trattato. . . (I) Il lat. sucula. In ital. il Galiani traduce perilrochj, 1'.Orsini verrocf/ij. post' ultimo la definisce; ,f unu maschipotremmo godere nè della nitidezza dell' olio, ne del frutto vinoso ( i ): e le trasportazioni di queste cose non si farebbero se non fossero state inventate le macchine dei carri e delle carrette (2) per terra, e delle barche per acqua. L' equilibrio delle stadere e delle bilance coi pesi difende con giusto costume la vita dall' ingiustizia. E così vi sono innumerevoli ordinamenti di macchine, delle quali non parmi necessario il disputare, essendo esse quotidianamente alla mano, come sono le ruote, i fòlli (3) de'fabbri, i Cocchi, i calessi (4)> „ na trattoria, formata con legno cilindrico, il quale si i» ,, volgere con uno o più velli, ossicno manovelle d* ogni „ lunghezza, alla quale voltandosi si volge la fune. Si dice „ sucula da sue, perchè nella sua mezzana parte si caccia „ un piccolo legno, chiamato il porchelto, al quale si ferma „ il capo della fune". In alcuno dei nostri dialetti, per es. nel trevigiano, si è serbato il pretto nome latino, stactechè quest' ordigno si chiama propriamente sagola. (1) Lo Schncider corregge vitium fructum in vineum fructum; e noi l'abbiamo seguito. (a) Il testo sarracorum, specie di carri, come si rileva da Giulio Capitolino, il quale in Antonino philosopho dice essere stata sì grande la pestilenza, che i cadaveri èrano trasportati vehiculis, sarracisque. La parola sarràca i usata dai Veneti in un senso corrispondente a quello de' Toscani tirare de' cassettoni, vale a dire strepitare e susurrare con paroloni e bestemmie. Forsi^che sarràca si è conservato come traslato del susurro delle carrette, o meglio ancora da quel linguaggio triviale e minaccioso, di elle usano i carrettieri quando spingono innanzi i cavalli. (3) Lìl.folles. Perthè voltare sempre quel follis in mantice? Lorenzo de' Medici ebbe il buon senno d'usare in italiano folli, e noi vogliamo imitarlo, tanto più che follo è voce in pieno uso de' veneti nostri dialetti, che senza alcuna corruzione la conservarono per tanti secoli. '(4) Il latino cisia. Carro a due ruote, come dice Nonio Marcello. Anche Cicerone adopera questa voce nelt' Orazioi torni, ed altre che per la consuetudine divennero comunemente utili all' uso. Perciò comi rideremo a
trattare per far note quelle, che vengono di rado alle mani. CAP. II. Delle macchine trattorie pei sacri edifiz], e per le altre opere pubbliche. io. In primo luogo ragioneremo di quelle macchine che si allestiscono per la formazione dei sacri edifizj ( i ), e delle opere pubbliche: le quali si fanno in questa maniera. Si prendano tre travi in ragione della grandezza de' pesi: questi alla testa congiunti eon una fibbia, ed al basso divaricati (2) con corde attaccate alle teste si drizzano, e colle stesse corde attorno disposte si ne in favore di Roscio Amerino, dieendo che in dieci ore di notte volò eisiis per cinquantasei miglia. (1) Da questo passo, e da molti altri di Vitruvio si conosce che i tempi e le opere pubbliche, erano quelle che occupavano l' ingegnere principalmente, poiché le principali macchine erano ad esse consacrate. Tuttavia parlando Vitruvio dei mezzi necessari a sollevar pesi in genere, non era ragione eh' egli dicesse essere queste macchine devolute a quelle opere, come che in opere private non avessero potuto egualmente impiegarsi; ed io ispecialità la capra, eh' è la prima macchina descritta in questo libro, la quale è comunissima per sollevare i pesi in ogni opera anche mediocre. La capra descritta da Vitruvio è la stessa che si adopera tutto giorno; si confronti la sua descrizione con la fig. i. Xav- I. Veggasi la Giunta II. (2) Lat. divaricata. Si usa pure italianamente per dividere, distendere. yiTRvrio, Lib. x. 1 tengono in piedi: in cima si avvince una troclea (i), che da taluno si dice anche recamo. Nella troclea s'introducono due rotelle che si girano dintorno a'loro assicelli (2): per la rotella superiore si fa passare la fune maestra (3), poscia questa si cala e si conduce attorno la rotella della troclea inferiore: poi si riporta alla rotella di sotto della troclea superiore, e si fa discendere all' inferiore, e legasi il capo della fune ad un foro di quella: l'altra parte della fune si riconduce al disotto della macchina. Ne' quadri poi esteriori dei travi, al luogo dove sono divaricati, vi si affiggono i chelonj (4), nei quali si spingono le teste delle sucule, per far girare più facilmente gli assi. Queste sucule hanno presso le teste due fori regolati in modo, che vi possano entrare i velli. Ma poi al recamo inferiore si attaccano le forbici di ferro, i denti delle quali si accomodano in pietre forate. Quando finalmente il capo della fune è legato alla sucula, e i vetti col loro moto la girano, la fune involvendosi dintorno alla sucula si distende, e così solleva i pesi all' altezza ed ai luoghi richiesti dalle opere. (1) Barbaro traduce taglia; Gal. carrucola, ed è veramente questo il significato. Noi usiamo però in italiano traclea ad esempio del Galileo. (5) Lat. axiculos. Si vuole usare anche in italiano assicelli. (3) Lat. funis ductarius, che gli altri traducono il menate. (4) Lat. chelonia. Barb. orecchie o manichi. Gal. anelli. Ors. bracciuoli, la quale spiegazione basta per comprendere la loro forma.
CAP. In. Dei diversi nomi delle macchine, ed in che modo si erigano. II. Quella forma di macchina che si gira con tre rotelle si chiama trispasto (i): quando poi nella troclea inferiore si volgono due rotelle, e tre nella superiore chiamasi pentaspasto. Che se si dovessero apparecchiare macchine per pesi maggiori, si farà uso di legni più lunghi e più grossi: ed alla stessa maniera si accomoderanno colle afJibhiature in cima, e coi giri delle sucule in fondo. Ciò fatto, si collochino prima le funi antarie (2) rilassate; sopra le scapole della macchi(r) Questa voce, come osserva il Filandro, proviéne dui greco spazo, che significa tirare, poiché dal numero delle girelle dipende la facilità d' innalzare i pesi. La figura della macchina qui descritta si ha nella Tav. I. fìg. 2. (a) Lat. funes antarii. Secondo il Galiani e l'Orsini qui deve leggersi funes ductarii, dietro 1' autorità del Filandro, c quel eh' è più, dicon essi, della ragione. E questa ragione viene esposta dal Galiani con le seguenti parole: „ Parlan„ do Yilruvio in questo capitolo di una macchina siniilissi„ ma, per non dire la stessa della descritta nel capitolo an„ tecedentc, se non che composta di legni più grandi, ha „ stimato bene insegnare il modo di sollevarla, ed è quello, „ che ora descrive: or in ogni capila due specie di funi ,, concorrono, quelle da tirare, cioè i menali, e son dette ductarii, e quelle da reggere ritta la capria, cioè i venti, „ e son dette retinacula: di queste, mentre la capria giace a „ terra, e si vuol sollevare, dice, che si dispongano per so„ pra le spalle, o sia sopra i travi, che compongono la macchina: e siccome sollevata, che è, sarebbe scomodo attaci, care allora le taglie e i menali, è naturale, che di quelle
I 30 MBftO X.. »a si dispongano per lungo i ritegni (i), e se non vi sarà ove legarli, s' infossino pali resupini (2), ed all'intorno calcando si assodino, per legar mi a questi le funi. Al capo superiore della macchina si rattenga la troclea da una corda, e di là si conducano le funi ad un palo, e dintorno alla troclea legata a quel palo si guidi la fune intorno alla rotella, e si riconduca alla stessa troclea, che al capo della macchina sta legala. All'intorno poi della rotella, dalla sommità trapassata la fune discenda e ritorni alla sucula che sta di sotto della macchina, ed ivi si leghi. In tal modo la sucula spinta dai vetti volgendosi alzerà da se la macchina senza pericolo: e cosi disposte all' intorno le funi ed attaccati ai pali i ritegni, la macchina, per quanto grande che sia, sarà posta a luogo. Le troclee e le funi maestre si adoperano come fu scritto di sopra. ,, abbia dovuto dire, quando scrisse ductarii funes ante la„ xi collocentur; cioè che si situino anlicinatamente, ma ,, lente, per non impedire l' innalzamento della macchina ''. Anche il Baldo conviene in questa lezione; ed il Perrault per seguir la comune dovette distinguere due specie di retinacoli, cioè àntarii quelli che si pongono d1 avanti, e relinacula quei da dietro. (1) Lat. rttinacula. Vitruvio chiama cosi quelle funi eh» i marinai chiamano sarte, che servono a fermar V albero della nave: ovvero quella macchina, colla quale alzansi i pesi per via delle taglie. Orsini. (a) Lat. resupinati. Il Gal. e l' Ors. inclinati; e il Bar» baro all' incontro diritti
CAP. IV. Di un altra macchina simile alla sopra descritta. 12. Ci ihe se si dovranno mettere in opera gravi (i) di vastità e di pesi colossali (2), non saranno da affidarsi alla sucula, ma nella stessa maniera che la sucula si ritiene dai clielonii, co* «& s' includa nei medesimi un asse, che abbia un ampio timpano in mezzo, ciò che da molti chiamasi ruota, da taluni de' Greci amphireusin, da altri peritrochion. In queste macchine poi le tro* elee si apprestano non nel medesimo, ma in ah tro modo. Le dette macchine hanno neh' alto e nel basso doppj ordini di rotelle: perciò la fune maestra si fa trapassare nel forame della troclea inferiore in modo che le due teste della fune quando sia distesa rimangano uguali: ed ivi a seconda della troclea inferiore ambedue le parti di detta fune si rattengono circondate e connesse da una cordicella (3), talché non .possano scappare (1) Il lat. onwat che il Galiani e l' Orsini traducono pezzi, e noi col nome sostantivo usato nella fisica moderna, e corrispoodente all' onera latino, diciamo gravi. (a) II testo colossicotera. Questa macchina è di maggior effetto delle precedenti. La corda che serve a condur il peso è doppia, e si avvolge intorno a due ordini di girelle? come si vede nella fig. 4- Tav. I. (3) Il testo restituì*. Il Gal. cordella. né da destra, ne da sinistra. Indi le teste della fune si riportano dalla parte esterna alla sommità della troclea, e fatte discendere all'intorno delle rotelle inferiori si riconducono a basso, e si cacciano fra le rotelle dell' infima troclea della parie interna, finche si rimettono a destra e a sinistra alla testa della troclea di sopra all'intorno delle rotelle superiori. Trapassate poi dalla parte esterna, a destra e a sinistra del timpano, si riportano all' asse, ed ivi per assicurarle si legano. Allora avvolticchiata all' intorno del timpano un altra fune si riporta all' argano, il quale nel girare, rivolvendo pure il timpano e l'asse, fa si che le funi annodate all' asse ugualmente distendami, e che dolcemente levino i pesi senza pericolo. Che se un timpano maggiore, collocato o nel mezzo o in una dell'estreme parti, avesse invece d'argano uomini che premessero, gli effetti dell' opera potrebbero essere più spediti'. CAP. V.
Altro genere di macchina trattoria. i3. Eivvi poi un altro genere assai artificioso, e di uso facile e presto, ma non può essere messo in opera che da periti (i). E si compone d'un (i) Osserva lo Strafico che bisogna determinare qual sia la difficoltà Dell' adoperare questa macchina, per cui, al dir di Vitruvio, non possa essere maneggiata che da gente trave, che dirizzasi, e quadrilnteralmente (i) raffermasi da'ritegni: sotto i ritegni si affiggono due chelonii: sopra i ehelonii (2) si lega colle funi una troclea: sotto la troclea si pone una regola lunga circa due piedi, larga sei dita, grossa quattro. Vi si collocano troclee, che ■ hanno per lar molto perita; e nella sua descrizione di questa macchina vitru viana sembra far consistere la difficoltà medesima nell' inclinare la trave da una parte o dall' altra quando il peso sia di già sollevato; nel che fare bisogna avvertire che il peso, alzato che sia e portato fuori dalla perpendicolare, non faccia un' oscillazione, la quale può tornare pericolosa. Il Galiani poi oppone a questo passo la nota seguente. „ Ha cre„ duto il Perrault, che Vitruvio intendesse qui dire, che do„ po sollevato alla necessaria altezza il peso, possa andarsi „ a depositarlo, ovunque piaccia, a destra o sinistra con in„ elinare la macchina: ma egli stesso, come uomo valente „ nella meccanica, giunse a comprendere, eh' è troppo diffi„ cile, per non dire impossibile cosa, il maneggiare io que„ sto stato una fune, che non regge solo la macchina, ma „ tutto il peso sollevato. Con buona pace dunque di tanto „ uomo io credo che Vitruvio intenda di doversi, prima di „ cominciare ad alzare il peso, inclinare la cima del trave „ ove bisogna: il testo latino in fatti dice: quoti ante quan„ tum velit ecc., e questo ante non bisogna crederlo posto „ a caso. Nè credo io già che con questa macchina potesse ,, alzarsi, e depositarsi il peso appunto ove Serve, ma come „ veggiamo tutto 'giorno, e molto facile con un' altra fune „ tirare ove serve il peso, mentre sta penzolone. Ognuno „ peraltro ben comprende, che questo qualunque vantaggio, „ che si ha con questa macchina a un trave solo, non ,, si può avere colle altre macchine a tre ". Fin qui il Galiani. v Chi volesse vedere questa macchina, d' altronde facilissima ad immaginarsi, potrà ricorrere alla fig. 2. Tav. XI. del Vitruvio Latina dello Slratico. Noi la ommettiamo, siccome ora di nessun uso, essendosi sostituite ad essa altre macchine più facili a maneggiarsi per deporre i pesi ove bisogna a qualunque altezza. Veggasi la Giunta II. (i) Il testo quadri/ariani. Il Gal. per quattro lati. Se dicesi quadrilatero, perchè non anche quadrilnteralmente? [7) Orecchie o manichi, come sopra.
1 ghezza tre ordini di rotelle: così pure tre funi maestre si legano nella sommità della macchina, indi si riportano alla troclea di sotto e si fanno passare dalla parte interna per le rotelle superiori: poscia si riconducono alla troclea superiore, e si fanno trapassare dalla parte esterna all'interna per le rotelle inferiori. Allorché saranno discese a basso, dalla parte interna per le seconde rotelle si trasmettono all' esterna, e si riportano in alto, e trapassate per le seconde rotelle tornano a basso: di là si riportano alla testa, finche ripassate per le rotelle superiori ritornano a pie della macchina. Nella radice poi della macchina si colloca una terza troclea, chiamata dai Greci epagonta, dai nostri arte/none (i). Questa troclea si lega alla radice della macchina, ed ha tre rotelle, per le quali trapassate le funi si consegnano agli uomini, che le tirino i così tre ordini di uomini che tirino, senza argano speditamente fanno ascendere in alto il peso. Questo genere di macchina si chiama polispasto (2), perchè per le (r) Questa voce d' origine greca significa cosa aggiunta; ed è per ci» che dicesi ai-temone la vela che si colloca nella parte posteriore della nave, di forma triangolare, quasi si voglia dire l' aggiunta- Questa vela oggi vien detta la mezzana. (2) Plutarco chiama polispasto quella macchina, di cui si servi Archimede per tirare la nave carica. Ma generalmente questo nome si dava alle macchine di grandissimo effetto; poiché si sa che dalla combinazione di molte girelle risultano macchine potentissime. Ferrault dalla descrizione di Vkruvio del polispasto, e dall' essere questa macchina ricordata da Plutarco siccome una delle sorprendenti macebi sue molte circuizioni di rotelle porge somma facilità e prestezza. La collocazione poi d'un solo trave ha questa utilità; che prima declinando ai lati quanto si vuole a destra e a sinistra può esso deporre il peso. Tutte queste macchine, che furono di sopra descritte, sono opportune non solo per questo caso, ma a caricare ed a scaricare le navi, ed altre si pongono diritte, altre piane sopra carcliesj (i) versatili (a). Così senza dirizzamenti di travi anche nel piano, usando della stessa regola e disposizione di funi e di troclee, si varan le navi (3). ne di Archimede, vuol dedurre un giudizio non molto favorevole alle invenzioni di questo antico matematico. La qual cosa, sia detto con pace di quelP uomo d' altronde celeberrimo, è affatto sciocca; poiché i più sorprendenti arti6zj di meccanica risultano da pochi elementi, e solo nella loro combinazione, nel metterli in opera, e prevedere gli errori, sta l' ingegno e risplende l' industria. Cosi lo Stratico. (i) Il testo in carchesiis. Lo Stratico nota, che questa voce indica la parte superiore dell' albero della nave, o meglio quella f>arte che volgarmente dicesi gabbia; cioè un ampio vase, in cui s' interna la trave. Qui il Filandro la spiega per quella parte della macchina, in cui questa collocata si aggira. E 1' Orsini definisce carchesium un nome generico che si dà ad ogni taglia, che si pone e si adopera per far angolo colle funi che tirano i pesi. Nel vocabolario della Crusca v' è nna definizione che rappresenta perfettamente il senso che a questa voce dà il nostro autore, ed è la seguente: una carrucola che si pone al piede del sostegno delle taglie, a uso di tener basso il canape nel muover i pesi. Il Barbaro usa parettolo con termine volgare: sopra i parettoli, die' egli-, si volta una bocca di fuoco, per tirar in ogni verso, come si vede nelle navi e nelle galere. Sì la Crusca che il Galiani e 1' Orsini dicono in italiano calcesii noi fedeli al nostro sistema carchesj (a) Lat. versatilibus. Il benemerito Salvini usò versatilità; noi, dietro tanto esempio, usiamo versatile. (3) Non è facile il voltare in italiano con termini accoaCAP. VI. Maniera ingegnosa di Ctesifonte per trasportare oggetti di grosso peso. 14. Non sarà male a proposito l'esporre un' invenzione ingegnosa di Ctesifonte (1). Volendo egli adunque trasportare dalle petraie gli scapi delle colonne al tempio di Diana in Efeso, e per la grandezza de' pesi e per la campestre mollezza delle vie non affidandosi ai carri, affinchè non fossero ingoiate le ruote, tentò di fare così. Connesse ed incastrò quattro scapi di legno grossi ognun quattro dita (2), due frapposti traversal cj il subductiones navium efficiunlur del testo. Gli altri traduttori spiegano: se tirano in terra le navi. Ma il subductiones significa taoto il tirarle da terra in acqua, come dall' acqua in terra. L' italiano varare si usa nclL uno e nel1' altro senso, come si può vedere nel vocabolario della Crusca; e perciò noi abbiamo fatto uso di questo verbo. (1) Altri invece di Ctesiphonlis leggono Cìiersiphronis. (7) Il testo latino dice de materia trientali, e lo strati- co nota. Resta dubbio, secondo il Newton, se delibasi
intendere di legni larghi e grossi quattro pollici, ovvero larghi un piede e grossi quattro pollici. Tutti gì' interpreti stanno per la prima opinione, e lo conferma l' uniforme lezione dei codici manoscritti, nei quali si fa parola unicamente di stipiti trieutali. La seconda opinione si deduce dalla natura della cosa, perchè i legni che sono grossi e larghi quattro oocie non possono reggere per tanta lunghezza. Imperciocché le colonne del tempio di Diana Efesia erano lunghe sessanta piedi, ed in tanta larghezza i legui della suddetta grossezza dovevano piegarsi ed anche spezzarsi nel mezzo. Laonde i perni e gli anelli dovevano avere per diametro la terza parte di un piede, alfine di resistere nell' omente ai due altri, lunghi quanto era la lunghezza degli scapi delle colonne, e nelle teste degli scapi impiombò due perni di ferro ( 1 ) a guisa di biette (2), e infisse le armille ne' legni per cerchiare i perni: inoltre rinforzò le teste con boccole (3) d' elee. Con ciò i perni rinserrati dalle pera; e quindi dovevano occupare tutta la larghezza dei legni, o se si suppone che avessero un minor diametro la minima parte del legno restava non perfettamente ridotta, e perciò si conservava in essi la minima forza. A conseguir l.i qual cosa si dice che per materia trientale debbano intendersi legni lunghi un piede, e grossi,quattro once, come si può dedurre dall' aver la voce trientale sempre questo senso in tutti i luoghi, nei quali 1' adoprò Vitruvio. Tuttavia non si sa da dove il Newton trasse l'idea di dare a questi fusti la larghezza di un piede, quando per la lunghezza di sessanta piedi poteva egualmente succedere la loro piegatura e rottura. Ma siccome Vitruvio non fa parola di questa larghezza, e siccome questa è necessaria a determinarsi perche i legni non si pieghino pel proprio peso in tanta lunghezza, bisogna incolpare Vitruvio di grande ommissione; oppur ritenere che si avesse fatto uso di un altro artificio, pel quale 1 due (usti longitudinali venissero collegati, quando si voglia aver per fermo che quelle colonne fossero tutte di un pezzo per la lunghezza indicata da Plinio, anziché formate dall' unione di due o tre pezzi. (t) Il testo dice chodaces; erano questi i perni di ferro conficcati nelle teste della colonna; la loro forma poi di coda di rondine deve intendersi nella parte che si doveva impiombare nel masso, perchè non potesse facilmente smuoversi, suutechù la parte che doveva girare siccome asse in una ruota non poteva essere che perfettamente rotonda. (2) Lat. subscudee. Nel lib. cap. 7. pag. 77. da subscudes ..libiamo tradotto biette, e notammo che volgarmente nei nostri dialetti si dice bietta un pezzo di legno o anche di ferro sottile e piatto, che appunto è fatto a coda di rondine, come notano gì' interpreti. S' intende però che a bietta sia fatta quella parte che va dentro il masso, come sopra si disse. (3) Dice lo Stratico che questi bastoni di elee erano formati a guisa di cosue, per mezzo di cui gli animali facevano rotolare i fusti; e soggiunge che la mollezza delle strai armille ebbero talmente libero il giro, che quando i buoi attaccati tiravano, gli scapi movendosi nei perni e nelle armille perpetuamente volveansi. de campestri, per la quale Ctesifonte non volle adoprar ruote, doveva pure offrire non lieve ostacolo alla rotazione dei fusti pel loro gran peso, e che perciò gli sembra in- questo meccanismo rimanere una qualche oscurità, a meno cbe non si ammetta che la lunghezza degli scapi da trasportarsi fosse minore della totale lunghezza della colonna; nel qual caso però non comprende a cbe servir dovessero i bastoni di elee. A questa nota noi crediamo di aggiungere, che se i bastoni di elee dovevano servire di timone, come pensa lo Stratico, per applicarvi le forze animali, il loro uso era lo stesso tanto per la lunghezza di sessanta che di venti piedi; e che se il terreno offriva una difficoltà alla rotazione del fusto, era però molto piccola in confronto di quella che avrebbe presentata alle ruote caricate dello stesso peso, e che perciò il meccanismo di Ctesifoute era utilissimo; dovendosi sempre intendere che la mollezza della strada non fosse poi tale di lasciar profondare per la massima parte il fusto medesimo. Ma riguardo all' uso dei bastoni di elce, noi ci accordiamo col Galiani, anziché col Perrault, seguito dallo -Stratico; ecco le sue parole: „ Ha creduto il Perrault che „ questi bacuii Uignei significassero due timoni legati alle „ teste del telaio per legarvi gli animali. Per intender cosi, ,, bisogna credere che abbia detto Vitruvio baculis iligneis „ capita religavit per baculos iligneos capitibus religavit. A „ me pare, che non abbia qui voluto dire ciò Vitruvio, ma „ che intenda di piccole traverse conficcate per tener forte „ il telaio, e saldi gli angoli retti, prima perchè è più na„ turale la traduzione; secondo perchè ogni legno è bastan,, temente atto a servire da timone senza ricorrere a un le„ gno cosi duro e compatto, come è 1' elee; e finalmente „ perchè non era necessario il dire che vi vuole il timoue „ per legarvi gli animali da tirare ". Ycggasi la fig. 5. Tavola I. Tuttavolta noi non credemmo nella traduzione di trascurare la lezione dello Schneider, che cangia baculis in buculis, perché nel nostro comune dialetto provinciale bocola è un ferro od un legno di figura cilindrica vuoto, il quale si pone internamente od esternamente a rassicurare la parte estrema dell'asse della ruota> ed il suo significato è piccola» bocca.
i5. Avendo adunque così trasportati tutti gli scapi,* ed urgendo il trasporto degli epistilii, Metagene figliuolo di Ctesifonte applicò la regola usata per la traslazione degli scapi alla condotta degli epistilii. Onde fece certe ruote di dodici piedi all' incirca, e collo stesso metodo serrò le teste degli epistilii (1) in mezzo alle ruote con perni ed armille. Così tirati i trienti (2) da'buoi, i perni serrati dalle armille volgeano le ruote; gli epistilii poi a guisa di assi investiti dalle ruote, collo stesso andamento degli scapi, senza indugio arrivarono all' opera. Un esempio (3) di (1) Male suppose lo Strafico che il Galiani intenda qui epistilio per cornice, ma bensì per cornicione, e le sue parole sono precise: „ è probabile, anzi è chiaro, che non si „ dovettero trasportare solamente gli architravi, ma anche i „ fregi e le cornici: malamente dunque il Barbaro e il Per„ rault hanno tradotto epystilia per solo architrave. Abbia„ mo spesso incontrata questa voce nello stesso significato „ ampio di cornice ". Ed alla nota al lib. HI., da lui stesso qui richiamata, dice che epystilia è preso per significare tutto l' ornato di cornicioni, che termina il tempio. Non vale l' osservazione dello stesso Stratico, che se si volesse intendere tutta la trabeazione, questa non poteva essere contenuta in ruote di dodici piedi, quando si sottri da questa dimensione la parte che doveva costituire la ruota medesima. Difatti a noi sembra che il Galiani intenda chiaramente di asserire che dovevano trasportarsi architrave, fregio e cornice, ma non già tutti in un pezzo, bensì separatamente, come si deduce meglio dalla seguente nota { fig. 6. Tav. I. ). (2) Il testo trientes, cioè gli scapi della misura sopra indicata. (3) Qucst' ultima parte del paragrafo i5 dovrebbe, a parere del Galiani ( e noi vi consentiamo ), formare il termine del paragrafo 14, poiché 1' esempio dei cilindri che usavausi strascinare sopra il terreno della palestra per spianarlo, conviene piuttosto alla maniera, come furono da Metagene trasportali i fusti, che a quella di Ctcsifoule per gli questo si avrà dal modo, con cui i cilindri pianano le ambulazioni ( i ) nelle palestre. Nè 'ciò si sarebbe potuto fare, se prima non ci fosse stata la vicinanza: poiché dalle petraje al tempio non v'ha più di otto mille piedi: nè alcun clivo, ma perpetua campagna. 16. A nostro ricordo (2) poi essendo slata architravi e cornici. Tuttora si adopera questo cilindro per conguagliare il terreno specialmente nei gradini. (1) Dai latino ambulationes, da noi usato in buona coscienza, dacché nel vocabolario della Crusca si trova ambulare, quantunque in senso diverso dal passeggiare. (l) L' Ortiz conghiettura che questa statua di Apollo sia la stessa, di cui parla Plinio nel lib. XXXIV. cap. 8., dicendo: Mirone formò eziandio quest'Apollo, che fu levato dal triumviro Antonio, e restituito agli Efesii da Augusto. E in que la restituzione fu necessario di rifare la base; ciò che accadde nel viaggio che intraprese Augusto da Lesbo, o da Saino, in Asia ed in Bitinia l' anno rio ovvero ^34 di Roma. E dicendo Vitruvio che questa circostanza era di sua memoria, prova eh' egli fiori al tempo di Augusto. Ma questa conghiettura, dice lo Stratico, viene indebolita dal racconto stesso di Vitruvio, il quale scrive che la base di questa statua colossale era infranta dal tempo, per cui si temeva che la statua medesima cadesse e si spezzasse; lo che significa essere stata questa a suo luogo. La macchina poi adoprata da Paconio non diversifica da quella di Mctagene che nel modo di tradurla; ma ha il vantaggio di diminuire lo strofinamento, e di avere la potenza applicata alla periferia anziché all' asse, per cui più facilmente si possono superare gli ostacoli nella rotazione. Dall' altra parte ha poi P inconveniente accennato da Vitruvio di non seguire una linea retta nello svolgersi della fune, e 1' altro di dover restare i bovi per tornare a ravvolgere la fune dopo eh' era stata sciolta. Al primo di questi inconvenienti si poteva riparare con attaccare, come osserva il Permuti, due funi alle estremità, anziché una sola nel mezzo. Al secoudo poi ci sembra pur facile la riparazione, benché dica il Gallarli che questo solo basta per iscreditarla. Difatti si poteva dividere le funi in due parti, di modo che quando 1' una si fosse svolta, si attaccassero due altri bovi al capo della seconda parte, e mentre questa si svolinfranta dal tempo la base dell' Apollo colossale nel tempio, nel timore che la statua cadesse e si stritolasse, appaltarono il taglio d' una base dalle stesse petraje. Paconio fece il contratto. Questa base era lunga dodici piedi, larga otto, alta sei: e Paconio dalla vanità stuzzicato la trasportò non come Metagene, ma col medesimo scopo stabilì di fare una macchina di altro genere. Fece adunque le ruote di circa quindici piedi, e tra queste ruote serrò le teste del sasso: indi intorno ad esso da ruota a ruota infisse circolarmente certi fusi grossi due dita, talché un fuso non distasse più che un piede dall' altro. Poscia all' intorno de' fusi ravvolse una fune, ed aggiogati i buoi fece tirare la fune; la quale dispiegandosi volgeva le ruote, ma non poteva tirare a linea retta, ed usciva ora in una ora in un' altra parte; perciò era necessario l' indietreggiare. Così Paconio spingendo innanzi e indietro consumò il denaro, talché non potè compire l'impresa.
gesse tornasse 1' altra a ravvolgersi. Perlochè noi crediamo che la macchina di Paconio, corretta da questi inconvenienti, fosse preferibile di gran lunga a quella di Melagene. La ng. 7 della Tav. I. rappresenta la forma di questa macchina nella maniera che la immaginò il Newton, cioè con le ruote non applicate all' estremità della base, ma più prossime alla metà della medesima, e ciò sull' avvertenza che essendo i fusi grossi solamente due once, non potevano per la lunghezza di dodici piedi ( eh' era quella della base ) sostenere la pressione, nè il proprio peso, senza rompersi. Ma lo Stratico osserva eh* anche per la lunghezza di soli sei piedi avevano poca grossezza per resistere, a meno che non si supponessero di ìerro, ipotesi però che non ha nessun indizio per essere ammessa. CAP. VII. Della scoperta di una petraja, da cui fu costrutto il tempio di Diana Efesia. evierò brevemente, e narrerò come sieno state scoperte queste petraje. Eravi il pastor Pissodoro, il quale praticava in que'luoghi. Quando dunque i cittadini di Efeso meditarono di fare uri tempio di marmo a Diana, e deliberarono di servirsi de' marmi di Paro, di Proconesso, di Eraclea e di Taso, Pissodoro nel medesimo tempo guidava le pecore a pascolare in quel luogo. Ivi due arieti postisi per cozzare, si sorpassarono, e dal grand' impeto un d' essi andò col corno a percuotére un sasso, da cui staccò una crosta di color candidissimo. Onde si dice, che Pissodoro, lasciate nei monti le pecore, corse a portare la crosta in Efeso, nel punto che grandemente trattavasi di quell' affare. Perciò gli furono immediatamente decretati onori, e mutatogli il nome, invece di Pissodoro fu chiamato Evangelo: ed oggi pure il magistrato si porta ogni mese in quel luogo, e fa sagrifizio, e non facendolo dee pagarne la pena (i). (i) Questo aneddoto merita attenzione, secondo il Perrault, perchè mostra quanto abbiano stimato gli antichi tutto ciò che si riferiva alle arti belle, e specialmente all'architettura. Essi le riguardarono siccome oggetti di pubblica CAP. Vili. Del moto retto e circolare delle macchine per levare i pesi. ,8 H o dichiarato brevemente ciò che riputai necessario intorno alle macchine trattorie, i moti e le forze delle quali, essendo due cose dissimili e disparate, concorrono perciò a produrre principj'di duplo effetto": l'uno diretto (1), elici cura, e decoravano con premii gli architetti eccellenti. Almeno dal premio accordato a quel pastore, che pei caso scoli la cavo, possiamo dedurre quanto essi si mostrassero diligati all' industria ed alle fatiche di quelli die primeggiavano con 1' ingegno. E quel commentatore francese trae da ciò partito di mostrare che gii artisti del suo tempo erano molto inferiori agli antichi per causa della celerità, con cui volevano condurre a compimento le loro opere, trascurando l i diligenza, la fatica ed il tempo necessario. E porta ad csempio della pazienza e dell' esattezza degli antichi il lempio di Diana in Efeso, nella costruzione del quale s' impiegarono quattroccnt' anni, e vi concorsero tutte le dovizie dell' Asia; e le sole porte non si posero in opera che qualtr' unni dopo costrutte, affinchè il glutine che collegava le tavole avesse acquistata consistenza e solidità. Ma sia detto con pace di questo dotto, se in tutte le opere magnifiche dell' antichità si avesse dovuto impiegare uu tempo proporzionale a quello corso pel tempio di Diana, pochissime ai certo se ne avrebbero innalzate; nò si ammirerebbero quei tanti acquidotti, nò quelle immense cloache, nò quelle solidissime strade, di cui Roma aulica andava superba. E se i moderni risultarono generalmente inferiori agli antichi si deve attribuirlo a tutt' altre cause. Piulladimeno anche negli ultimi tempi si videro sorgere monumenti, che vinceranno le ingiurie del tempo, ed attesteranno ai nostri nipoti, che l'ingegno umano sa svilupparsi ogni qual volta gli si offra la menoma circostanza. • * (i) E da notarsi preventivamente, dice il Galiani, clic tutto questo trattato di meccanica, o piuttosto teoria di mecVnuvrio, Lib. x. 3 Greci chiamano euthiaiij, V altro circolare, che dicono cycloten; ma veramente nè senza-il moto circolare i diretti, nè senza il diretto i moti circolari possono fare le levazioni dei pesi. Or io farò la esposizione della cosa per 1' altrui intelligenza. 19. S' inducono gli assicelli nelle rotelle a guisa di centri, e si collocano nelle troclee, per le quali rotelle avvolticchiata la fune con andamenti diretti e collocata nella sucula, " coi giri delle leve (1) fa che vadano in alto i pesi; e i cardini della sucula drizzati quai centri nei chelonii, e fermate ne' fori le leve, coi capi che rotano a guisa di torno, fanno le alzate dei pesi. Nello stesso modo, quando una leva di ferro è
canica, che intraprende Yitruvjo a spiegare in questo cap.8., non è spiegato né geometrica-, nè fisicamente, ma solo per applicazione, e somiglianza di esempi e di effetti già noti. Non è però da dubitarsi, se egli sapesse, o no per gli suoi principi la matematica: ma è probabile, che si sia cosi espresso per adattarsi alla intelligenza anche degli artisti ignoranti. A noi sembra però che il nostro autore abbia qui fatta una grande ommissione; anzi questo libro che verte intieramente sulle macchine doveva esser preceduto da una prefazioncella che contenesse tutti i principi fondamentali della meccanica, siccome di quella parte delle matematiche eh' è la più strettamente congiunta cogli obblighi di un ingegnere. Devesi inoltre osservare con lo Strafico, che in tutte quelle macchine che dipendono solamente da piani inclinati il moto è puramente rettilineo, e quindi che la composizione dei due moti rettilineo e curvilineo avrà luogo nei meccanismi accennati da Vitruvio, ed in moltissimi altri, ma non in tatti. (1) È questa la leva di primo genere, in cui il fulcro, od ipomoclio sta fra la potenza e la resistenza. apposta ad un peso che da una moltitudine di mani non può esser mosso, se vi si sottopone subito come centro una pressione diritta, che i Greci chiamano ypomocìion., e s'insinua sotto il peso la lingua della leva, la testa di quella premuta dalla forza di un solo uomo solleva quel peso. Ciò nasce, perchè la parte dinanzi della leva, eh' è la più breve, da quella pressione, eh' è il centro, sottentra al peso; e siccome è a maggior distanza dal centro il suo' capo, così, mentre si preme per questo, facendo un movimento circolare, colle pressioni di poche mani si sforza a stare in bilico un grave di grandissimo peso. Parimente se al peso si sottoporrà la linguella di una leva (r) di ferro e non si premerà il suo. capo all'ingiù, ma invece si levi in alto, la linguella, premendo sul suolo dell'-area, avrà questa in luogo del peso; l'angolo poi del peso invece della pressione: così non tanto facilmente (2) quanto per la pressione, ma tuttavia anche in mo (1) Questa descrizione corrisponde alla leva di secondo genere, in cui il peso, ossia la resistenza sta fra \\ potenza ed il fulcro. • (2) Saggiamente osserva lo Strafico, che a primo aspetto .dovrebbe credersi più facile il levare un peso, con una leva di secondo genere anziché con una di primo; poiché ritenuta la stessa lunghezza del vette la distauza del fulcro alla potenza è maggiore. Ma a questa ragione meccanica si oppone la fisica, cioè che la facilità d' innalzare un peso dipende dalla comodità dell' uomo nell' esercitare \a sua forza, per cui riesce meglio il premere che 1' innalzare, in quanto che lo stesso peso del suo corpo è un aumento della potenza. do contrario sarà eccitata la sollevazione del peso. Se adunque 1 ipomoclio si spingerà più e più sotto il peso, e se il suo capo avrà la pressione al centro, non si potrà sollevare il peso se ( come fu scritto di sopra )t 1' equilibrio della leva non sarà fatto in modo che sia più distante il capo, che non il peso. • 20. Questo si può considerare in quelle trotine (i), che si dìcon stadere: perchè stando il manico presso al capo d onde pende la lancella, dov' è collocato anco il centro, e dall' altra parte dello scapo vagando il contrappeso pei punti; quanto più va. lontano, fosse eziandio fino all' estrealità, con un peso men grande fa equilibrio ad un grandissimo peso (2); e ciò pel bilanciamento ed equilibrio dello scapo, e per la sua distanza dal centro: così una minore gravità di contrappeso col momento levando una maggior (1) Voec usala in italiano dal Galileo. l'i) 11 Galiani nota: „ Hanno letto tutti pari pondera ,, ma non sarebbe maravigli:) uguagliar un peso con un al„ Irò eguale. Mi è paruto chiaro dunque, che qui dovesse „ leggersi dispari. Il senso stesso difenderà la mi.i "Correzio„ ne, e fi riflettere, che iinmediatamcutc dopo, spiegando la „ stessa teoria, dice, che imbecillior acnuipuiidii brevitas e„ guaglia majorem vini ponderis,\ Questa volta però ci sembra cìie la ragione ed il senso stia per tutti anziché per un solo, benché non sia rado il caso contrario. Vitruvio non dice che con un peso eguale 6Ì equilibri un peso eguale; ma che con uno stesso peso, qual <: il marco della stadera, allontanandolo od avvicinandolo all' ipomoclio si fa equilibrio con un peso grandissimo; ed appunto ciò viene spiegato dalle parole che soggiunge, poiché 1' acquipondii corrisponde al pari pendere. forza di peso, lo fa senza veemenza salire dal basso in alto. Medesimamente anco il pilota (i) di una gran nave da carico, tenendo il manico del timone, detto da' Greci ojaX t in un momento con una mano agitandolo pel centro colle pressioni regolate dall'arte (2), volge e rivolge la nave, quantunque di tanti smisurati pesi di merci e di vettovaglie aggravata. Che se le sue vele (3) saranno pendenti alla metà dell' altezza dell' albero, non potrà la nave avere un celere corso; ma quando le antenne saranno sollevate alla citi) Qui Vitruvio va cercando esempi di
equilibrio dal moto delle navi, cioè uno dal moto del timone, e 1' altro dalla posizione delle vele, per mostrare che il momento della potenza dipende dalla distanza fra il suo putito di applicazione ed il centro di moto. Le quali cose, benché generalmente sieno vere, non lo sono perù con accuratezza, od almeno non in modo che si possa acquistare un' idea esatta di quei moti. Poiché il volgere del timone, che il timoniere produce per. mezzo del manico, non imprime il moto immediatamente alla nave, ma solo mediatamente, vai a dire in quanto che la resistenza che prova la nave dall' acqua viene, distribuita inegualmente sui lati della medesima' Per lo che il volgersi della nave dipeude dalla velocità, con la quale si muove in forza del vento o dei remi; tanto è vero che se la nave è tranquilla il girar del timone non produce alcun moto nella nave stessa. Dallo Stratico. (a) Conforme alla correzione dello ^chneider. (3) Le specie delle vele degli antichi, secondo Isidoro lib. XIX. cap. 3. degli etimologi, erano sei, e si chiamava* no: acazio, ■ epidromo, dolone, artemone, sipario, mendico. L' acazio era la massima vela, e si collocava nel centro della nave; Y epidiomo era la seconda in grandezza, e si poneva a poppa; il dolone piautalo a prora era la vela più piccola; 1' artemone serviva più a dirigere la nave che ad imprimerle velocità; il siparo era di un piede, e serviva nel caso che il vento andasse nimicando; il mendico, dice Sesto Pompeo, sembra essere stato una vela che si cgllocasse a pròra. ma (i), allora procederà con impeto più veemente. Ciò nasce, perchè non presso al pedale dell' albero, che sta in luogo di centro, ma nella sommità, a molta distanza da quello, rimosse le vele ricevono il vento. Ond' è, che siccome il vette sottoposto ad un peso, premuto per lo mezzo resiste, nè si sbassa; ma quando si preme per l estremità del capo facilmente solleva il peso, così le vele, quando sono disposte nel mezzo, hanno minor vigore; all' incontro quelle che sono collocate alla sommità estrema dell' albero, per essere discoste dal centro, non già con più gagliardo, ma col medesimo soffio, per la pressione della cima, costringono ad avanzarsi più veementemente la nave. 21. Ed anco i remi (a) legati colle atro(i) Sembra che le antenne portate sino alla sommità dell' albero possano aumentare l' inclinazione della nave, ma non la sua velocità, a meno rlie a quell' altezza non incoutri uua corrente d' aria più celere. Vero è però che la maggior inclinazione della nave fa che 1' acqua presenti minor resistenza, e perciò si aumenta la celerità. Così lo Strati co. (Q) Riguardo all' azione dei remi, ed alla ragion meccanica per darne spiegazione, gli scrittori di meccanica contessano che la cosa è oscura; e per ciò lo Stratico nota quanto segue. Che il lento debba 'per la sua azione riferirsi al vette è indubitato, ma resta qualche dubbio sui punti, nei quali stanno il centro, la potenza e la resistenza. Aristotele stabilisce per centro lo scalino, il remigante per la potenza, l'acqua per l'ostacolo; quindi quanto più lunga sarà la parte interna dal remigante allo scalmo, tanto maggiore conchiuse essere fazione del remo; ed in questa opinione convennero tutti gì' interpreti. Ma per conoscere l' azione del remo bisogna osservare che il centro del moto è quel punto, intorno a cui si fa la rotazione, e ' che questo punto si genera fra 1' acqua e lo scalmb per la diversa resistenza
pe (i) agli scalmi, quando si spingono o si ritirano colle mani, avanzandosi 1' estremità delle palette dal centro alle onde ed alla spuma del mare, con veemente impulso spingono diritta la nave, secando (2) la prora la rarità del liquore (3). clie vince il remo nell' acqua, sia per la immersione, sia per la velocità, con la quale si compie l' azione del remigante. Quindi quanto più quel puuto è distante dallo scalino, tanto maggiore e .più potente sarà Y azione del remigante (i) 11 testo strophis relegati. Stroplta viene dal greco, e significa rivolgimento piegatura, torcitura; ciò che si applica ai vincoli ed ai legami. I nostri villici, come nota anco il Forcelliui, chiamano strope quelle bacchette di vinco o d' altro, che appena tagliate dal ceppo si torcono e si adoperano a legare le siepi o le viti, od anco gli strumenti rurali invece di altri legami di lino o di canape. Dal legare e chiudere specialmente le siepi è Venuto stropare per otturare, che si usa comunemente ne' nostri vernacoli. Questa voce usata dal Barbaro fu trascurata dai vocabolaristi, quantunque italiana, e nata da legittimo latino fonte. • (ì) Lat. secante prora.
L»t. phalungarum. Nonio Marcello dice palangae e fialangarii, da cui il veitio palangare, che si trova in Afranio per portar le palangae. sul collo una parte uguale (i). Perchè le parti' medie delle stanghe, alle quali si accomodano le cinghie dei facchini sono determinate da chiodi, affinchè non trascorrano nè all'una, nè all'altra parte. Quando poi trapassano il confine del centro premono il collo di colui, al quale maggior-, mente si accostano; come accade nella stadera quando il contrappeso della linguella si avanza verso i segni dei pesi (2). Per la stessa ragion© i giumenti, quando i loro gioghi sono divisi per mezzo dalle coregge di cuoio, tirano ugualmente i pesi; ma se le loro forze sono disuguali, ed uno più rohustamente preme l' altro, allora trapassato il CUOIO diventa più lunga quella parte del giogo che aiuta il giumento più debole : cosi nelle stanghe, come nei gioghi, se i cuoi non sono collocati nel mezzo, ma quella parte, per cui il cuoio si avanza dal centro, diviene più corta e l'altra più lunga,.allora, se per quel centro dove (t) Secondo la lezione dello Sclmeider. Il Galiani: acciocché ciascuno operarlo porti sul collo una porzione ugitale di un peso tutto sano, ma considerato così in un certo modo diviso. Barbaro, acciocché ciascuno dei bastaggi porli sul collo egual parte del peso indiviso. La nostra traduzione ( se non c' inganna il nostro sentimento ) ci sembra la più Facile e la più chiara. (a) Indicato è il periodo: quemadmodum in staterà nei quipondium cum examine progreditur ad fines ponderato.. nurn. Sembra al Perrault, cho 1' examen qui siguilrthi 1' anello dell' equipondio; ma più giudizioso a noi pure ciò che pensa il Galiauii cioè che il rum examini- sia lo stesso che cum { ab ) examine, e allora il senso è chiarissimo barbara) veramente è la versione del Barbaro: siccome nella stadera il imreo, quando con l' esame ha, i termini del pesare. • è trapassato il cuoio si gireranno intorno /iml>idue i capi, la parte più lunga farà un cerchio maggiore, la più corta minore. 23. E siccome le ruote minori hanno moti più duri e più difficili delle maggiori; così le stanghe ed i gioghi, in quelle parti ove sono minori gli intervalli dai centri ai capi, premono duramente il collo,. quelle poi che hanno gli spazi più- lontani dallo stesso centro, alleviano il peso ai traenti ed ài portatori. Ricevendo adunque tutte le dette cose il movimento al centro colle rette o colle circolari, così anche i plaustri, i cocchi, i timpani, le ruote, le chiocciole, gli scorpioni, le baliste, i preli, e le altre macchine, per le medesime ragioni pel centro diritto e per la rotazione circolare producono il proposto effetto. CAP. IX. Dei varj generi degli organi per attignere • V acqua. 24. Ora parlerò degli organi che furono inventati per attignere l'acqua, e come questi si compongano di vari generi. Primieramente discorrerò del timpano ( I ). Questo non leva l' acqua (1) La forma di questo timpano fu delineata' dal Newton nel modo che si vede nella fig. 1. Tav. II. L'Ortiz, seguendo 1' idea del Galiaui, ha immaginato un timpano di minor diametro attaccato al timpano principali», entro cui colloca gli uomini, che coi piedi devono farlo girare. tropp' alto, ma n' esaurisce (1) speditissimamente gran copia. Si fa un asse lavorato o a tornio o a cerchiello, colle teste ferrate di lamina, avente nel mezzo attorno di sè un timpano di tavole a vicenda incastrate, e si colloca sopra due stipiti che abbiano anch' essi due lame di ferro sotto le teste dell' asse. Nella cavità di quel timpano si frappongono otto tavole traversali toccanti l'asse e l'estrema circonferenza del timpano, le quali dividono il timpano in ispazj eguali. D' intorno alla fronte del medesimo s' infiggono le tavole, lasciando aperture di un mezzo piede per l'introiluzione dell'acqua. Parimente lungo l'asse si fanno i colombaj scavati ne' singoli spazi di ciascuna parte. Quando poi questo è all' usanza navale impeciato si fa girare co'piedi degli nomini; onde ingoiando l' acqua per le aperture, che sono nelle fronti del timpano, le rigurgita pei colomba] lungo l'asse: perciò sottoponendovi un vase di legno, che abbia a sè congiunto un canale, si porge gran copia d' acqua per irrigare gli orti e per temperar le saline. • 25. Ma se si dovrà farla salire più in alto (2), (1) Non si sa perché non sia usato dagli scrittori citati dalla Crusca il bel verbo esaurire in senso di vuotare, ca~ fare, mentre esso è in bocca di tutti quelli che parlano con maggior coltura i nostri volgari. Il solo Salvini lo adoperò in senso di finire, consumare. Ed avremo noi riguardo di usarlo nel suo senso proprio? (2) Le forme degli altri due idrofori accennati in questo paragrafo si veggono nelle fig. 2. 3., dei quali il secondo Viene dalla sua figura detto anche rosario. Queste macchine si commuterà così la predetta regola. Si farà una
ruota attorno l' asse di tale grandezza, che convenir possa all' altezza, di cui si avrà d' uopo. Dintorno all' estremo lato della ruota si affiggeranno dei modioli (i) quadrati, saldati con pece e cera. Così la ruota si farà girare dai piedi, i modioli pieni elevati, nel ritornare nuovamente abbasso infonderanno nel castello (2) ciò che seco medesimi avranno portato in alto. Che se si dovrà porgerne a'iuoghi ancora più alti, attorta una doppia catena di ferro all' asse della ruota, e calata giù si collocherà al più basso livello, ed avrà pendenti due secchie congiali di rame. Così il girar della ruota involvendo la catena nel1' asse trasporterà in alto le secchie, le quali elevate sopra l'asse saranno forzate a rovesciarsi e ad infondere nel castello tutta l'acqua che avranno innalzata. vengono tuli' ora impiegate allo slesso fine. AI rosario si può. riferire 1' altra macchina che si tornò ad usare non ha inoli' anni; della tromba funicolare, consistente in una fune, la quale girandosi continuamente e passando per un recipiente d' acqua, ne innalza per forza di attrazione una gran copia. (1) Il lesto Poleni moduli. Altri modiuli e modioli. L'Orsini definisce: „ voce derivata dalla forma del moggio, con ,, cui si misura il grano e le biade. Uà rilutto dicesi, e si fa„ ceva di bronzo per resistere alla forza elastica dell' aria ". Nel vocabolario: vaso quadrato per cavar acqua da pozzi o da fiumi; secchia. Il Barbaro secchielli. 11 Galiani cassette, e forse per isbaglio fu omesso nella sua versione il pice et cera solidali del testo. IS'oi usiamo alternativamente le voci modioli, moggiuoli, moggelti, allo stesso modo che si usò dai maggiori nostri modio e moggio. (a) Lai. castellimi, cioè ricettacolo delle acque. Gal. nella tenuta. Baib. nella conserva. CAP. X. Delle ruote e dei timpani per macinar la farina. ,6. Nel,, stessa maniera qui sopra esposta si fanno anco ( i ) le ruote nei fiumi. All' intorno delle loro fronti si affiggono certe pinne (2), le quali, quando sono percosse dall' impeto del fiume, coli'andar innanzi spingono in giro la ruota, e così coi inodioli (3) ricevendo l' acqua e portandola in alto senza bisogno di calcatura, spinte in giro dall' impulso dello stesso fiume, somministrano ciò eh' è necessario all' uso. Nello stesso modo girano anco le idraule, nelle quali vi sono tutte le medesime cose, eccetto che hanno in un capo dell'asse ingiunto un timpano dentato: que (1) In primo luogo tratta brevemente delle ruote, che si muovono in forza dell' acqua corrente, e che non abbisognano dell' azione dagli uomini o di altri motori animali, insegnando che portano alla loro circonterenza delle ale, nelle quali 1' acqua urtando produce la rotazione. Queste possono servire a molti usi, ma la loro costruzione è sempre la stessa, in questa costruzione però si deve por mente a molte circostanze, le quali esigono attenzione ed industria, come sono il numero, la lunghezza e direzione delle ale, come pure la grandezza della loro parte immersa, onde si possa conseguire da queste macchine il massimo effetto. Cosi lo Stratico. Vcggasi la Giunta II. (a) Il testo pinnae. Il Galiani e 1' Orsini palette, e sono una specie di assicelle fitte nelle ruote dei mulini per l' uso qui indicato da Vitruvio. In italiano non si ha pinna se non per significare 1' ala de' pesci. (5) Gal. catini. Barb. secchielli. sto poi collocato in coltello perpendicolarmente s' aggira con moto pari alla ruota. Lungo il timpano, un altro maggiore parimente dentato se ne colloca in piano, dal quale è contenuto Y asse, avente all' estremità del capo una spranga di ferro che tiene a dovere la mola. Così i denti di quel timpano eh' è serrato nell' asse, spingendo i denti del timpano piano, sforzano la mola a girare, alla qual macchina soprastando 1' infondinolo (i) somministra il frumento alle macine, e per quella rotazione si macina la farina. CAP. XI. Della chiocciola che solleva gran copia di acqua, ma non molto in alto. è poi una chiocciola fatta in modo, che alza gran copia di acqua, ma non la solleva sì alto quanto la ruota. Ed ecco la regola, con cui si forma. Si prenda un trave (2), cui di (t) Esprimente è la voce latina infundibulum, talmente che in noi nacque 1' ardimento di farla italiana. È più facile che s' intenda comunemente che infondiboìo ( da infondere) 'è quella cassetta sopra la macina, da cui esce il grano, di quello che noi s' intenda dalla voce tramoggia.
(2) Lo Stratico nota a questo capitolo quanto segue. Il metodo Vitruviauo per descrivere la coclea si comprende facilmente dal testo La lunghezza della trave deve eguagliare sedici volte la sua grossezza ( essendo il piede anticamente diviso in sedici pollici ): cioè se la trave conti in lunghezza sedici piedi, il diametro della base sia di sedici pollici. Si divida la base in quattro od in otto parti, e dal centro si quanti piedi sarà la lunghezza, di tante dita sia la grossezza; e questo si riduca rotondo. Nelle teste tirando le linee col compasso si dividano le loro circonferenze in quattro tetranti od in otto ottanti: le linee poi si conducano in modo, che posto il trave in un piano a livello, le linee dell'una e dell'altra testa si corrispondano a perpendicolo: poscia da queste da un capo all' altro si tirino altre linee con tal proporzione, che quanto sarà grande la parte ottava della circonferenza del trave, d' altrettanto .grandi spazi siano esse li guidino i raggi a ciascun punto di divisione, i quali se la trave sarà situata orizzontalmente staranno nello stesso piano verticale dei corrispondenti nella base opposta Indi si guidino le rette dai punti di divisione di una base a quelli corrispondenti della base opposta, le quali verranno ad èssere lati del cilindro tra Joro distanti di una quarta, o di una ottava parte della circonferenza. Questi lati poi si dividano in tante parti, in quante fu divisa la circonferenza delle basi, cioè in quattro od in otto, e si segnino i punti di divisione. Finalmente si prenda una regola flessibile di salcio o di vimine, e la si fissi nel punto di divisione della base segnato I., quindi la si ripieghi obbliquamenle in modo che passi pei successivi punti, in cui sono divisi i lati del cilindro, finché vada a fermarsi nel punto di divisione segnato S. della base opposta. E lo stesso si faccia per ciascun punto. affine poi di determinare la inclinazione che proviene da questa conformazione, si supponga che BA ( fìg. j. Tav.II. ) rappresenti l' ottava parte della circonferenza, ed AC Tettava parte della lunghezza della trave, ritenuto che la lunghezza della trave sia di sedici piedi, 1' ottava parte della circonfereuza dedotta dal diametro di sedici pollici sarà pollici 6,9832 SS AB, ed AC := 5a pollici, ed il rapporto fra questi due numeri sarà 5, 0946 Si stabilisca ora che la linea AC sia inclinata in modo che formi l' ipotenusa di un triangolo rettangolo, in cui sia AC— he— 5, cD— 3, AD34, e si cerchi la posizione della linea bc tale, che convergendo con la orizzontale AD, T acqua vi s' innalzi pel girar della coclea. Veggasi la Giunta. U. ree distanti fra loro in lunghezza: e così gli spazj diventeranno eguali in tondo ed in lungo. Onde nel luogo, in cui saranno descritte le linee che guardan per lungo, si faranno intersecazioni, c queste intersecazioni si segneranno con punti. fatte accuratamente queste cose, si prenda una regoletta di salcio o di vitice (i) sottilmente tagliata, ed ùntala con pece liquida si affigga nel primo punto d' intersecazione: poi si traduca obhliquamente per le consecutive intersecazioni delle lunghezze e delle circonferenze; e- così per ordine procedendo, passandola ed avvolgendola per ciasebedun punto si collochi nelle singole intersecazioni, finche pervenga e si affigga a quella medesima linea ( recedendo dal primo all' ottavo punto ), a cui la sua prima parte è attaccata. nello stesso modo quanto progredirà - obbliquamente per lo spazio e per gli otto punti, tanto procederà in lunghezza verso l' ottavo punto. Medesimamente per tutto lo spazio della lunghezza e della rotondità, affisse obbliquamente le regolettc alle singole intersecazioni, faranno lungo le otto divisioni della larghezza tanti canali tortuosi, a giusta e naturale imitazion della chiocciola. Dietro questo vestigio si affiggeranno altre regolette, 1' una sopra 1' altra, unto di pece liquida, e se (i) Anche qui ci prenderemo uua licenza traendo vitice dal lat. vitex, mentre ne' vocaliolarj si legge velrice. Questa pianta è la comunemente detta Agno casto, e trae un tal no.ne dalla castità delle sacerdotesse di Cerere, sulle di cui foglie si coricavano. Agnon m greco significa casto. ne ammonticchieranno tante, finché la somma grossezza sia uguale all' ottava parte della lunghezza. A queste poi si metteranno attorno e si affiggeranno parecchie tavole per coprire quelle giravolte: e quelle tavole s' impeceranno copiosamente, e si colleglleranno con lame di ferro, affinchè per la forza dell' acqua non si dissolvano. Le teste del trave si assicureranno con chiodi di ferro e con lamine, e nelle medesime s'infiggerannp ( i ) stili parimente di ferro. A destra poi e a sinistra della chiocciola si collocheranno nelle teste i travi, aventi d' ambe le parti confitti i lor traversali. In questi s'interneranno de' fori contornati di ferro, ne'quali s'introdurranno gli stili, e così la chiocciola calcata dagli uomini girerà. 28. L'innalzamento poi della medesima starà alla sua inclinazione in quella corrispondenza che ha il triangolo rettangolo descritto da Pitagora: cioè, sia divisa la lunghezza in cinque parti; e per tre di quelle sia innalzato il capo della chiocciola, e così dal perpendicolo alle narici di sótto sarà il suo spazio di quattro parti. La maniera poi, con cui ciò dovrà farsi, sarà descritta con una figura in fondo del libro. Or io, quanto più evidentemente ho potuto, ho dimostrato, perchè a tutti sia noto, di quale materia si facciano gli organi per attignere V acqua, e con quali regole si perfezionino, e con quali co
fi) I vocabolari italiani hanno infisso, e non hanno infiggere? ViTRvrio, Lib. x. 4 se, ricevendo essi 1* impulso apportino col movimento vantaggi infiniti. CAP. XII. Della macchina di Ctesibio, che solleva ad un punto altissimo l' acqua.
di Ctesibio levi l' acqua a grandissima altezza. Questa si fa di rame (i), e nelle sue radici si fanno due modioli gemelli aventi due fistole ( in figura di forcelle) (2) ugualmente coerenti, che (1) Lo Stratico ripete la descrizione vitruviana, riferendola alla fig. 5. Tar. II. nel modo seguente. Viene questa formata di rame, alla cui estremità inferiore vi sono due uguali recipienti A, A poco distanti fra loro, dai quali partono due tubi B, B a foggia di forcelle, che mettono in egual modo ad un catino C, in cui stanno le valvole diligentemente attaccate «He aperture superiori dei tubi, le quali otturando i tubi stessi non lasciano uscire ciò che vi fu introdotto per la pressione dell' aria. Questo catino sostiene un coperchio a forma d'.imbuto rovescio, che viene al catino stesso collegato, onde la piena dell'acqua non lo sollevi. Dal fondo del eatino poi sorge il tubo E, che dicesi tromba, ben adattato al coperchio. I recipienti A hanno le animelle fra le aperture inferiori dei tubi B. Nella parte superiore dei due recipienti s' introducono due emboli maschi ben torniti ed unti, collegati coi regoli G ai vetti H. Questi emboli s'innalzano e si abbassano alternativamente, per cui V acqua sottoposta, rarefacendosi Paria che trovasi nei recipienti, sferza le animelle dei tubi B, e pei medesimi venendo l' aria di nuovo compressa, s' introduce nel catino C, il cui volume sempre più aumentandosi sale nella tromba, e s' innalza ad una singolare altezza. La teoria poi di questa macchina è la stessa che quella delle trombe aspiranti e prementi. Veggasi la succitata giunta. (2) Lat. furcitlae. Gli autori rustici latini c Yitruvio solconcorrono in mezzo a un catino, nel quale si fanno gli assi, -collocati con leggera connessione alle nari superiori delle fistole: 1 quali preotturando (i) i fori delle nari impediscono l' uscita di ciò che col soffio fu intruso dentro il catino. Sopra il catino è adattata una penola (2) a guisa d'infondibolo inverso, la quale per una fibbia con un conio (3) trapassato è contenuta e connessa al catino, affinchè la violenza del gonfiamento dell' acqua non la sforzi ad elevarsi. Al di sopra si drizza in alto e si salda una fistola, detta tromba. I modioli poi fra le nari delle fistole hanno interposti gli assi sopra que' fori (4) che sono nei fondi. Superiormente poi ne' modioli ser tanto fanno uso di questa voce, la quale fu conservata quasi senza alterazione dai popoli più rozzi dei nostri paesi. (1) Il testo praeobturando. Abbiamo usato preotturare non registrato dalla Crusca, ma necessario per ispiegare la mente dell' autore, il quale vuole significare che si otturi anticipatamente: ed abbiamo seguito l' esempio del preoccupare, preordinare ecc. (i) Il testo penula. Si è tradotto penola col Barbaro, per tenersi al vero significato della voce latina. Gl'interpreti dicono che in senso proprio penula significa un mantello grosso e spesso per difendersi dalla pioggia e dal freddo. Nel nostro caso è un traslato da mantello, e si usa in senso di coperchio. Non ci piace la voce cappa usata dal Galiaoi. (3) Galiani: si dee legare e congiungere al catino con una cavicchia tenuta con zeppa. (4) Quelli che qui Vilruvio chiama axes sono alcune valvole piane, i cui lati convengono a guisa di cono, le quali ben lavorate al torno chiudono esattamente le aperture, a cui si applicano. Se ne fanno di coniche e di articolate. L' esecuzione delle varie parti che compongono questa macchina dev' essere della massima esattezza, onde si possa conseguire l' effetto. rati con regole e vetti si convolgono gli emboli (i) maschi, Politi al tornio e fregati con olio; i quali di qua di là con moto frequente premendo l'aria che ivi è insieme con l'acqua, a forza di gonfiare colle pressioni spingono ed estrudono per le narici delle fistole l'acqua nel catino, da cui la penola ricevendo l'aria lo preme per la fistola in alto. Così in un luogo basso collocato un castello somministra 1' acqua per le saglien ti (2)
3o. Nè si dice, che questa sola maniera di Ctesibio sia stata inventata; ma ben altre molte e di var) generi; le quali con quel liquore sforzato dalle pressioni dell' aria fanno nascere effetti simiglianti a quelli della natura: così sono le merle, che col moto producono voci, e gli engibati (3), che muovono figurine beventi, ed altre cose che col diletto blandiscono i sensi degli occhi e delle orecchie: dalle quali ho trascelto quelle che reputai le più utili e le più necessarie: e siccome degli orologi nel precedente libro, in que (i) Il testo emboli masculi. L' embolo, voce derivante dal greco, è un conio o qualunque altra cosa che s' introduce in un foro. (a) Il lesto ad saliendum aqua subminislratur. Gal. si solleva l' acqua per le fontane. Barb. acqua si somministra alle saline. (3) Alcuni interpreti intendono qui per engibata quelle immaginette, che per via d' acqua o dell' elasticità dell' aria si vanno movendo. Il Baldo legge angibata, che significa fase, perchè Erone dercrive un vase con alcune statuette di marmo. La voce engibata significa una cosa che si avvicina. sto dell' espressioni (i) delle acque ho ragionato. Delle altre cose che non sono di necessità, ma di delizioso piacere, i desiderosi potranno ricercarne le finezze nei commentar] dello stesso Ctesibio (2). (1) Anco i medici, citati dalla Crusca, usano espressione significante l' atto dello spremere, e noi 1' usiamo come Io abbiamo usato altre volte. (2) Lo Schneider (. torn. 5. pag. 385. ) fa un dottissimo confronto fra la macchina di Ctesibio dercrìtta da Vitruvio, ed il sifone descrìtto da Erone, per cui deduce che quest' ultimo apprese dal maestro a costruire" tale macchina, modificandola semplicemente per adattarla all' estinzione degl' in« ccndj. Ennio Quirino Visconti scoprì una macchina di Ctesibio fra le mine di Castronovo, la cui descrizione fu riportata nel Giornale della letteratura italiana, stampato in Mantova nel 1795, nel cui tomo V. p. 3o3. art. XVf. si trova la Dissertazione ititolata :. Descrizione di un' antica tromba idraulica, ultimamente scoperta presso Castronovo, ora la Chiaruccia, nel littorale di Cività-vecchia, ed illustrata da E. Q. Risconti coli' annessa figura. Eccone la descrizione quale si trova nelle opere del Visconti, pubblicate dal Dottor Labus coi tipi Stella, Milano 1879. „ Il bronzo inle„ gerrimo che si presenta, compone tutta questa macchina, ,, tal quale appunto Vitruvio 1' ha descritta, eccetto la di„ versila di piccolissime circostanze non essenziali, come sa„ rebbe la varia figura del recipiente medio, che qui ha for„ ma di tubo, e nella descrizione vitruviana ha quella di „ urla scodella. Non accade poi dilungarsi a mostrare, come „ gli stantuffi, o emboli cavi, E, N ( Tav. III. IV. ) quan„ do sono elevati costringano per la forza del vuoto 1' acqua „ a salire nei tubi o ba riletti perpendicolari H, H, aprendo „ le linguette, o valvole O, O, che sono mobili sul loro gan„ gherello, o cerniera, nel fondo di ciascuno; come gli stes„ si stantuffi abbassali forzino le valvole stesse a richiuder„ si, e le altre due, che sono nel tubo orizzontale /, ad a„ prirsi, e ad intromettervi l'acqua respinta; come fìnalmen„ te l' azione ripetuta di questi emboli spingerà l' acqua sia „ nel tubo di piombo L ( Tav. III, ), M ( Ta-v. IV. ), che „ propriamente dicesi tromba, la quale poi vcrseralla in una „ conserva superiore. „ Quel che più merita considerazione è quella quinta „ valvola ia M, situata all' imboccatura del tubo di piombo CAP. XIII. Pelle macchine idrauliche, colle quali si perfezionano gli organi. on pretermetterò, quanto più brevemente e più da vicino per me si potrà, di toccare e di dimostrar collo scritto i prìncipj delle macchine idrauliche (i). Composta una base di legno,
„ che da Vitruvio non è descritta. Essa certamente non è ,, necessaria: lo sarebbe solo nel caso quando mancassero le „ due linguette del tubo / orizzontale; onde sospettasi che „ vi sia stata aggiunta per maggior cautela, acciò la macchi„ na seguitasse ancora a servire, quando una o anche tutte „ e due le dette valvole del tubo / per qualche accidente „ non agissero esattamente. ,, È notabile intanto non solo 1' estrema conservazione, ma pur anco la pulizia ed eleganza del lavoro di questo ,, bronzo. I tubi, e particolarmente gli emboli, vi sono con„ dotti, come vuole Vitruvio, a tutta perfezione; e gli anelli „ che aggettano esteriormente, oltre 1' ornato che arrecano, „ guardano la saldatura e fortificano lo strumento. Questo „ doveva essere fisso in un' armatura di materiale, entro cui „ eran murate le alette K, K de'
due bariletti o niodioli H. „ Il tutto doveva rimanere fermo sul livello di qualche foi„ ma d' acqua, la cui corrente girando una ruota, obbliga„ va per mezzo di velli ( a cui forse apparteneva il manu,, brio A, B ) J due emboli B, iV sospesi per le loro «ode „ F, G ad una continua alternativa d' elevazione e di ab„ bassamento, cioè ad un'azione spontanea e non interrotta". (i) Vitruvio alla fine di questo capitolo accenna la difficoltà di poter esporre chiaramente la descrizione di una se da chi sia pratiqo della medesima, o che la vegga effettivamente messa in opera. Tutti gì' interpreti del nostro autore o confessarono di non poter dare una figura chiara di questa macchina, o non vi corrisposero menomamente. Il (Jaliaui d'iste che l' unica maniera per dare ad intendere si colloca su quella un' arca fabbricata di rame. Sopra la base si erigono a destra e a sinistra alcune regole connesse a forma scalare (1), fra le quali s' includono i moggiuoli di rame con fondelli (2) movibili, lavorati sottilmente a torno, aventi fissi nel mezzo certi anconi (3) di ferro per mezzo di verticole (4) congiunti alle leve, ed involti di pelli lanate. Parimente nel piano di sopra vi sieno alcuni fori di circa tre dita, vicino ai quali, collocati sulle verticole, i Delfìni di bronzo con catene pendenti dalla bocca, tengano
l' organo di Vitruvio si è la somiglianza e 11 paragone co' moderni. Ma se questa somiglianza e paragone si potesse islituire in modo plausibile si otterrebbe lo scopo egualmente. Il confronto però fra l' arca antica e la moderna cassa del vento; fra il caput machinae, o canon di quei tempi ed il bancone d' oggidì; fra la tabula summa e la coperta; fra le pinnae ed i tasti, non è sufficiente a dare un' idea della cosa. Il Newton però si è ingegnato dietro le opere antiche, e specialmente delle cose pneumatiche di Erone, di dare una sufficiente spiegazione con una figura Siccome però questa macchina pei nostri giorni non è di alcun uso, cosi quelli che volessero erudirsene potranno ricorrere alla traduzione del Vitruvio fatta da William Newton, ovvero all'edizione latina coi conienti dello Stralico, in cui è interamente riportata. (i) Il testo scalari forma. Non si ha in italiano I'addiettivo scalare, cioè a guisa di scala. Sia però a noi permesso 1' usarlo non diremo per autorità, ma per ragione del latino. (a) Il testo fundibulis. (3) Ancon significa ciò eh' è piegato ad angolo. Galiani traduce spranghe, Barb. braccia. (4) Il testo verticulis cum vectibus conjunctos. Il Gal. attaccati a damiera alle leve. Barb. da verticulis traduce Jusajuoli. Noi abbiamo usato verticole, perchè viene dal verbo verto, da cui pur provenne vertigo, significante quel rigiramento che si dice in italiano vertigine. Le verticole sono quei legami di ferro o di legno, coi quali si commette una macchina con 1' altra in modo che si possa piegare. i cembali, al di sotto de' fori de' tnoggetti calati. Entro l' arca, dove si serba l'acqua, avvi una specie d'infondibolo riversato, al quale sottoposti due tasselli (i) alti circa tre dita livellano lo spazio da basso fra le labbra inferiori del pigneo (2) ed il fondo dell' arca. Sopra il suo collo poi evvi un' arcella (3) di buona commessura, che sostiene il capo della macchina., che in greco chiamasi canon musicos: nella cui lunghezza, se è tetracordo, si fanno quattro canali, se essacordo sei, se ottacordo otto (4). In ciaschedun canale vi sono inclusi altrettanti epistomj (5) con manu (i) Lat. taxillos. Si è perfettamente conservata questa voce anche nei nostri vernacoli. (a) Il Gal. dell'imbuto, e cosi l'Orsini: il Barb. del forno. Il Baldo fa derivare la voce pnigeo dal verbo greco pnigo ( sufTbco ), e dice che con tal nome si possono giustamente chiamare quelle piccole piramidi, con le quali si estinguono le lucerne perchè non mandino cattivo odore. (3) Lat. arcula. Non si vuole neppur qui ommettere la voce arcella nel nostro dialetto trivigiano comunissima, sopra tutto nella parte più rozza del popolo, e significante picciola arca o cassetta. (4) Dice il Galiaiii non essere vciisimile che gli antichi facessero organi con quattro tuoni solamente, o con sei, o al più con otto; ma essere naturale che vi avessero tutti i loro diciotto tuoni, e perciò non doversi qui per tetracordo, essacordo ecc., intender altro che di un quadruplicato e sestuplicato numero degli stessi diciotto tuoni, non altrimenti che veggiamo farsi ne' simili organi moderni con ciò che si chiama registro; tanto più che questi
canali sono per lungo. (5) L' epistomium è propriamente un turacciolo, come osservammo altrove. In questo caso però è, come dice il Galiani, quel bischero, il quale entra e combacia perfettamente in un cannoncino, a cui va attaccato il canale che porta acqua od aria: il bischero è bucato alla dirittura del canale, onde permette il passaggio, quando il suo buco sta dirimpetto a quello del canale, ed al contrario lo impedisce brj di ferro, che quando si girano, aprono le nari dell'arcella ai canali (i).Dai canali poi il cannone tiene disposti a traverso i fori, corrispondenti tra loro nelle nari che sono nella tavola superiore, che in greco chiamasi pinax. La tarala e i cannoni sono tramezzati da regole forate allo stesso modo, e fregate coli' olio per farle più facilmente scorrere innanzi e indietro ad otturare quei buchi, e si chiamano plintidi (2), le quali, andando e tornando, altri otturano, altri aprono di quei trafori. Queste regole hanno certi corali (3) di ferro fissi e congiunti alle pinne (4)» quando girandolo per lo manico se gli fa voltare la parte non bucata. Se ne veggono frequentemente nelle fontane, ove si chiamano chiavi. (1) Gal. col girar dei medesimi s' apre la comunicazione fra la cassa e i canali. (2) Non pleuritides, ma plinthides dee leggersi co' migliori testi, e significa piccoli mattoni. Nota il Poutedeia che plinihis è una specie di macchina, così nominata dai Greci. (3) GÌ' interpreti suppongono che con questa voce si voglia qui significare alcun che di elastico. Galiani dice: per ragione di etimologia deve corrispondere perfettamente a'nostri salterelli di cembalo; e soggiunge: salterelli, come nei nostri cembali a corde, certo non erano, ma a un di presso congegnati in modo, che tirassero fuori, o respingessero il regoletto del tuono, a cui erano addetti. Il Barbaro all' incontro traduce cerchielli. Si osservi che il testo dice choragia fixa, e il fixa sembra valere non solamente attaccati, ma fermi, e allora non regge più il confronto del Galiani. Siccome poi choragia anco nel lib. V. è voce denotante apparecchio al coro od al cauto, così può avere anche qui un non tanto dissimile significato, e rappresentare qualche cosa che serva come le intonazioni dell' organo, allo stesso modo che coristi da noi si chiamano quegli stranienti d' acciajo, che percossi segnano 1' intonazione della voce del cantore o. del suono dell' istromeulo. (4) Cioè tasti. il tasto delle quali pinne produce il moto pur delle regole. Sopra la tavola vi sono i fori, che dannò pei canali 1' uscita al fiato. Alle regole sono agglutinati (i) gli anelli, ne'quali s'includono le linguellc di tutti gli organi (2). Dai moggiuoli procedono le canne continuamente congiunte a cervici di legno, e vanno ad arrivare alle nari che sono nell' arcella, ove sono collocati gli assi (3) lavorati a torno; i quali, quando l'arcella riceve l'anima (4), otturando i buchi non permettono al fiato di tornar fuori. Cosi quando & alzano i verti, gli anconi (5) mandano a basso i fondi dei moggetti, e i Delfini che sono attaccati alle verticole, calando le bocche dei cembali riempiono gli spazi dei moggetti: e gli anconi con veemente frequenza di spinte sollevando i fondi dentro i moggetti, e otturando i fori superiori coi cembali, ne avviene che 1' aria ivi rinchiusa, dalla forza delle pressioni è cacciata dentro le canne, per le quali concorre nel pigneo (6), e per le cervici di questo nell' arca: coli' accele (1) Non è registrato nel vocabolario italiano. Lat. agglutinati. (1) La nostra versione è consona al testo. Gal. a' quali corrispondono le bocche di tutte le canne. (3) Lat. axes. Tutti i traduttori animelle. (4) Lat. ammani. Gli antichi anohe in senso proprio diceano anima all' aria, al vento, al fiato: e noi usiamo la stessa voce in senso traslato. (5) Gli altri manichi. (6) Il testo comune in lignea. E ragionevole di leggere col Turnebo e col Baldo in pnigea, poiché altramente lignea è un aggettivo sospeso, e non vi è senso nel periodo. rato movimento poi delle leve, 1' aria frequentemente compressa sbocca nelle aperture degli epistomj, e riempie di fiato (i) i canali. Perciò, quando le pinne toccate dalle mani cacciano innanzi e ritirano continuamente le regole, alternamente otturando ed aprendo i fori, secondo le arti musicali eccitano le voci sonanti con moltiplici varietà di modulazioni. Or io ho fatto ogni possibile sforzo per dilucidare per iscritto una cosa oscura: ma questa non è cosa facile, nè presta ad intendersi se non da coloro, che sono in questi generi esercitati. Che se alcuno poco intenderà dagli scritti, quando conoscerà la cosa in sè stessa, senza dubbio troverà il tutto diligente mente e sottilmente ordinato.
CAP. XIV. Regola per misurare il viaggio fatto in cocchio od in nave. 32. Si trasferisca ora il pensiero ad una invenzione non inutile a scriversi, ma con grande maestria dai maggiori proposta, per cui sedendo in cocchio per via, o navigando in mare possiamo sapere quante miglia di viaggio abbiam fatto. Si faccia dunque cosi, Le ruote (2) che saranno (1) Lat. anima. (a) Le parole di tuttp questo capitolo sono chiarissime, ed il meccanismo facile a concepirsi seni' altra spiegazione. nel cocchio sieno larghe per diametro di quattro piedi (i), afGncbè ove la ruota abbia in sè un segno determinato, e nel suolo della strada da quello cominci avanzandosi a fare il giro, giungendo al detto segno abbia compita la giusta misura di dodici piedi e mezzo di spazio. Dopo questa preparazione, nella parte interna del moggiuo Tuttavia chi volesse vedere rappresentata la cosa con figura potrà ricorrere al Newton, che ne disegnò una dietro le indicazioni del nostro autore, ovvero all' edizione latina dello Straticu, in cui è riportata. Anche al giorno d' oggi si sogliono costruire carrozze sulla forma di quella descritta di Vitruvio; ma sono poco usitate in causa dei pubblici provvedimenti itinerari, pei quali le distanze da luogo a luogo sono precisamente stabilite, ed anzi lungo le principali strade si veggono notate di tratto in tratto sopra apposite tabelle o pilastri. Il metodo peraltro onde determinare la lunghezza del viaggio in una carrozza è esatto ; ma uon lo è ugualmente quello con la nave, poiché non si può ritenere che un giro di ruota corrisponda ad un tratto eguale alla circonferenza sviluppata lungo le acque, in causa del movimento irregolare della nave, e del tumulto delle acque. Ed è per ciò che i moderni determinano questo viaggio con altro mezzo, cioè con quello strornento che chiamano loche, e di cui parlammo nella Giunta III. al lib. IX. (i) Alcuni ritengono che il diametro della ruota fosse di soli piedi quattro, e la sua circonferenza di piedi dodici e mezzo, perchè questi due numeri si approssimano molto al noto rapporto fra il diametro e la circonferenza, eh'è di jjJ^ giusta il quale il diametro 4 dà una circonferenza di 12,566 molto prossima a dodici e mezzo. O l' uno o l'altro dei numeri del testo devono esser erronei, poiché un diametro di piedi quattro ed un sesto darebbe una circonferenza di piedi i5,o6g. Che debba poi ritenersi la prima lezione, viene confermato dal rapporto fra i giri della prima ruota e quelli della seconda, cioè di 400 ad 1; e siccome un giro della seconda deve corrispondere ad un miglio, il quale è di 5ooo piedi, si vede che moltiplicando il 4°" Per 12 5 si ottiene precisamente cinquemila, doveche moltiplicando, per i3,o£<) se ne avrebbe 5327. lo della rota s' inchiuda stabilmente un timpano, che abbia un dentello sporgente al di fuori della fronte della sua ritondezza. Al di sopra poi, nella cassa ( i ) del cocchio siavi un cassettino fortemente attaccato, con entro un timpano versatile collocato in coltello, e serrato in un picciolo asse. Nella fronte di questo timpano si facciano quattrocento dentelli egualmente distribuiti, corrispondenti al dentello del timpano inferiore. Poscia allato del timpano superiore si attacchi un nuovo dentello prominente dagli altri. Sopra poi siavi un altro timpano in piano, alla stessa maniera dentato, e chiuso in un altro cassettino co' denti che corrispondano al dentello fisso allato del secondo timpano: in questo timpano si facciano tanti fori, quanto può riescire il numero delle miglia del viaggio giornaliero che suol fare il cocchio: più o meno, ciò non impedisce l' effetto. In tutti questi fori si pongano de'calcoli tondi, e nella teca (2) (ossia cassettino ) del timpano facciasi un foro avente un canaletto per dove i calcoli che furono posti in quel timpano, giunti che sieno a quel luogo, possano ad uno ad uno cadere nella cassa del cocchio entro un vase di rame, che ivi sarà sottoposto. (1) Lat. capta. Il Filandro lo spiega» pel luogo ove siedono coloro che vanno sul cocchio. È quella che noi chiamiamo volgarmente cassa del legno. Barb. nel cassero della carretta. Gal. nel ventre del cocchio. Ors. nel sedile. (a) Il testo theca sive loculamentum. Il Gal. cassa, ossia fodera. Non vediamo perchè non debba usarsi teca nello scritto, se sì comunemente usasi nel discorso. Cosi quando la ruota avanzandosi trarrà seco il timpano inferiore, e il dentello di questo nei singoli giri col suo impulso costringerà a passare innanzi i dentelli del timpano superiore, farà sì che mentre l'inferiore girerà quattrocento volte, il superiore ne girerà una sola; e il dentello che sta fisso al suo piano, avrà spinto innanzi un solo dentello del timpano piano. Quando adunque in quattrocento giri del timpano inferiore, il superiore ne farà un
solo, il progresso sarà di cinquemila piedi di spazio, ovvero di mille passi: e perciò sonando nel cadere i calcoli, avviseranno del termine di ogni miglio. Il numero poi de'calcoli raccolto nel fondo indicherà il numero delle miglia nel viaggio di un giorno. 33. Parimente nelle navigazioni, con pochi mutamenti, si usa la stessa regola. Perchè si fa trapassare pei lati delle pareti un asse, avente le teste prominenti ftior della nave, nelle quali s'includono le ruote del diametro di quattro piedi (i), che hanno intorno alle fronti affisse le pinne toccanti 1' acqua. Nel mezzo della nave sta un asse, che ha il timpano con dentello sporgente dalla «ua ritondezza. A quel luogo si colloca un cassettino che abbia in sè rinserrato un timpano di quattrocento denti eguali, corrispondenti al dentello del timpano incluso nell' asse: e questo pure abbia affisso nel fianco un altro dente che (i) Non si segue la lezione quattrnum et sextantis, per la ragione suddetta. sporga dalla circonferenza. Al di sopra dell'altro eassettino con quello confitto siavi rinchiuso un timpano in piano similmente dentato, ne' denti del quale concorra il dentello affisso al lato del timpano in coltello, sicché urtando ne' denti del timpano in piano, ad ogni revoluzione spingendo in giro ciaschedun dente, faccia girare il predetto timpano. Nel medesimo timpano in piano si facciano fori, ne' quali sieno posti calcoli tondi: nella teca di questo timpano ( cioè nel cassettino ) si scavi un foro, avente un canaletto, per dove il calcolo liberato dall' impedimento, cadendo in un vase di rame, significhi un suono (i). Così quando la nave avrà avuto l' impulso o dai remi, o dal soffio del vento, le pinne delle ruote toccando 1' acqua contraria, retrospinte con grande veemenza faranno girare le ruote. Queste poi convolgendosi, seco trarranno l'asse, e 1' asse il tinti(1) Il Pancirolli conghicttura che l' invenzione dei' moderni orologi derivasse da questo meccanismo. Diffatli 1' uliione delle ruote, ed il moto sono simili. Gli antichi noi» ebbero orologi che indicassero col suono il numero delle ore, particolarmente per la loro ineguaglianza, essendo costantemente diviso tanto il giorno quanto la notte in dodici parti. Tuttavia si può supporre che avessero pensato ad ottener ciò in qualche modo, se si pone mente ai sassolini cadenti nei catini ricordati da Vitruvio nel cap. 9. lib. la" ed alla clepsidra notturna di Platone, aceennata da Ateneo. Esjhinardo racconta che Carlo Magno regalò al Re dei Persiani una clepsidra, Bella quale alcune pallottole di metallo cadevano in recipienti pur di metallo, annunciando col loro suono il numero delle ore. Le ore però si segnavano in modo diverso dal nostro, poiché si osserva che quelle pallottole erano dodici, e che per segnar dodici ore erano neeessarj
(1) Da questo cap. e dai due seguenti si deduce, che le catapulte e gli scorpioni servivano a scagliare saette, e le baliste a scagliare pietre. Vegezio nel lib. IV. delle cose militari scrive, che con le baliste non solo si scagliavano pietre, ma ben anche dardi. Nel lib. I. della guerra civile di Giulio Cesare si legge, che dalle catapulte si partivano sassi. E parimente Valerio Massimo nel lib. I, Cicerone nel lib. II. delle Quistioni Toscolane, ed altri citati dal Nonio, dicono che con le baliste si scagliavano selci. Ma, come osserva il Galiani, benché presso alcuni autori si trovino confusamente Dominale le catapulte, gli scorpioni e le baliste, facendo indifferentemente o all'una, o all'altra gettar sassi o saette, nel nostro autore però, come uomo della professione, si trovano distinti gli scorpioni e le catapulte dalle baliste: queste per gettar sassi, que' due per le saette; a sola differenza che gli scorpioni non erano se non piccole catapulte, come si ha anche da Vegezio nel cap. 22. lib. IV., in cui dice, che si chiamavano scorpioni quelli che al suo tempo dicevansi manuhaliste, e ciò dall' apportar la morte che facevano per mezzo di piccoli e sottili dardi. (?) Dodrante, secondo gì' interpreti della latinità, è la nona parte dell' asse. La versione dev' essere dunque d' un foro e della sua nona parte. Così intese il Barbaro, ma non tradusse esattamente, dicendo per uno et nove parti. Il Galiani però, e dietro ad esso l'Orsini traducono uno e un ottavo. ViTRvrio, Io. x. 5 mia un foro e mezzo. Le parastade ( i ) a destra e a sinistra, oltre i cardini (2), sieno alle quattro fori (3), grosse cinque; i cardini tre quarti d' un foro. Dal foro alla parastada di mezzo parimente tre quarti: la larghezza della parastada di mezzo un foro e un terzo (4): la grossezza un foro. L' intervallo dove si colloca la saetta nel mezzo della parastada, un quarto del foro. I quattro angoli che sono attorno i lati e alle fronti si conficchino con lame di ferro o con istili di rame e con chiodi. La lunghezza del canaletto, che in greco chiamasi syrinx, sia di fori diciannove: quella delle regolette, che alcuni dicono hoccole (5), e che si affiggono a destra e sinistra del canale, di fori pur diciannove. L'altezza e la larghezza, d'un foro solo: e vi si attaccano due regole, nelle quali s' introduce uno scudicciuolo (6), avente la lunghezza di tre fori, la lar (1) Pilastri. (2) Nota lo Slratico esser questi cardini porzioni delle tavole inserte. Gal. incastri. Ors. arpioni. (3) Tutti i segai e sigle distinti per punti, per numeri e per lettere si omettono nella versione italiana, e si trasportano dietro la spiegazione degli interpreti più sicuri. Nel la Giunta III. si troverà esposto quanto basta per la fedeltà che si deve all' autore. (4) Così il Pontedera. Il Gal. un quarto. (5) Di sopra abbiamo parlato della voce boccola, usata ne'nostri dialetti; ma ivi essa raffigura un oggetto diverso da quello che è qui indicato. Anche qui però significa piccola bocca, cioè quella forma che rappresentano le due righe poste a guisa di labbra a destra e a sinistra del canale. (6) Molti leggooo sucula, e il Gal. traduce subbio (pezzo di legno cilindrico ), a cui va dietro V Orsini. Il Barb. molinello. Noi seguitiamo quelli che ieggouo sentala, che si ghezza d' un mezzo foro. La grossezza della boccola, che si affigge, suol chiamarsi Camillo (r)', ossia ( come dicono alcuni ) cassettino, infisso sopra cardini a scuricella (2), ed è d'un foro: l'altezza, di mezzo foro: la lunghezza della boccola, di nove fori (3): la grossezza dello scudicciuolo (4), di nove fori. La lunghezza dell' epitosside (5) è un mezzo foro (6); la grossezza un quarto. La lunghezza del chelonio (7), detto anche manucla, è di tre fori; la larghezza e la grossezza mezzo foro ed un quarto. La lunghezza del fondo del canale di fori sedici; la grossezza, di nove parti; la lunghezza, d' un mezzo e d' un quarto. La colonnetta e la base sul suolo fori otto; la larghezza del plinto (8), su cui gnifìca piccolo scudo, ossia un pezzetto di materia della forma di uno scudo. (1) Il testo comune camillum, alcuni altri catillum, cioè catino, volendo esprimere un oggetto di forma concava. (2) Il lat. securiclatìs cardinlbus. II Galiaoi cassa incastrata a coda di rondine; cui va dietro I' Orsini. Il Barb. con i cardini a sottosquadra. Il Filandro, da noi seguito, intende che 1' estreme parti di questi cardini somiglino la «cure della ronca dei viguajuoli. (3) Dietro il Gesariano. Gal. di otto fori e mezzo. Barb. e Perrault di nove fori. (4) Lat. scutula, e il Gal. traduce rullo; l' Ors. cilindro; Barb. scutula. Il rullo del Gatiani sta nel senso, in cui si adopra tutt' oggi per indicare uno di quei legni che si dispongono per terra per farvi scorrere sopra i pesi.
(5) Epiloxis. La cavità che faceasi per la lunghezza della regola, dove collocavasi la saetta. Così spiegano questa! Voce il Turnebo, il Baldo, il Barbaro ed altri. (6) Gal. tre quarti.! . . (7) Altri legge cheto, ma noi leggiamo chelohii col Bardo, del quale chelonio ( ossia manico ) vedi sopra. (8) Cioè parte inferiore della base. Barb. zoceo. si pianta la colonnetta, tre quarti di foro; la grossezza è un sesto e un dodicesimo; la lunghezza della colonnetta fino al cardine fori dodici e nove parti ( i ); la larghezza un mezzo e un quarto; la grossezza un terzo e un quarto. Ha essa tre capreoli (2), la lunghezza de' quali è di nove fori ; la larghezza di un mezzo foro e nove parti (3); la grossezza di un sesto (4): la lunghezza del cardine, di nove parti. La lunghezza del capo della colonnetta è di un foro e tre quarti (5). La larghezza deJTantefissa (6) è di un mezzo e di un quarto di metà di foro; la grossezza, di' uno. La minor colonna di dietro, chiamata in greco anlibasìS) è di otto fori; la larghezza, di un foro e mezzo; la grossezza di un sesto e d' un dodicesimo. Il basamento (7) è di fori dodici, e della medesima larghezza e grossezza di quella minor colonna. Sopra la detta minor colonna v è il chelonio ovvero piumaccio di fori due e mezzo, largo uno e tre quarti. I carchesj delle sucule (8) sono di due fori e mezzo: la grossezza pur di due fori e mezzo; la larghezza di uno e mcz4 (1) Gai. Jori dodici. (a) Dei capreoli V. lib. IV. (3) Gal. ed altri di mezzo buco. (4) Altri d' un ottavo, ed altri di un ouarto: (5) Così interpreta il Gal. le lettere I. S. K. Barb. un foro e mezzo. (6) Lat. antefixa. Il Gal. ne fece una bella voce italiana. (-) Lat. subjeclio, che il Galiani tradusse egregiamente basamento. (8) Di queste voci si è parlato già sopra. Gal. i calcesi del peritrochio. Ors. < tracheli del verrocchio. 20. La lunghezza dei traversali coi cardini, fori dieci; la lunghezza uno e mezzo; la grossezza pure di dieci: la lunghezza del braccio un foro e mezzo; la grossezza della radice un dodicesimo e un sesto (i): la sommità un terzo e un sesto: la curvatura otto fori. Queste cose si preparano con proporzioni, con aggiunte, con detrazioni. Perchè, se i capitelli si faranno più alti della loro larghezza ( ciò che si dice anatoni ) se ne torrà dalle braccia; affinchè quanto più molle è il tuono per l' altezza del capitello, la brevità del braccio faccia più veementemente il colpo. Se meno alto sarà il capitello ( ciò che si dice catatono ), stante lo sforzo, si formeranno alquanto più lunghe le braccia, acciocché più facilmente si tendano. Perchè, siccome con una leva, quando sia della lunghezza di quattro piedi, si alza un peso da quattro uomini, e se sia di otto s'innalza da due, medesimamente quanto più lunghe sono le braccia tanto più mollemente, e quanto più brevi con maggior durezza si tendono (a). (i) Altri un ottavo. 17) Ved. La Giunta HI. r CAP. xvi Delle baliste. gij jfjo dimostrato di quali membri e proporzioni si compongono le costruzioni delle catapulte: quelle poi delle baliste sono varie e differenti, quantunque dirette ad un solo e medesimo effetto. Perchè altre si caricano con vetti e sucule, altre con polispasti (i), altre con argani, altre ancora coli' uso de' timpani. Ma tuttavia non si perfeziona alcuna balista, se non in proporzione della . grandezza del peso del sasso; che da quell' organo si deve tirare. Onde i loro principi non sono egualmente intesi da tutti, ma solo da coloro che per le regole dell' aritmetica conoscono i numeri e le moltiplicazioni. Perchè si fanno nei capitelli i fori, per gli spazi de' quali si tirano le funi di capello massimamente di donna, o di nervo, che si prendono dalla ragione della gravità proporzionata alla grandezza del peso della pietra che dee essere vibrata dalla balista, come si fa nelle catapulte dalle lunghezze delle saette. Ma perchè anche coloro, che ignorano i principi della geometria e dell' aritmetica possano prontamente
operare, e non pendere irresoluti in cimento di guerra, esporrò sì quelle cose che, (1) Macchina di molte taglie. operando io stesso, conobbi sicure, e sì quelle che in parte appresi dalle definiaioni dei precettori: il che insegnerò spiegando che secondo la ragione che stanno i pesi alle misure dei Greci, così le nostre corrispondono ai nostri pesi. CAP. XVII. Delle proporzioni delle baliste. 36. Se una balista dovrà tirare un sasso di due libbre, avrà nel suo capitello il foro di cinque dita; 8e del peso di quattro libbre, di sei dita; se di otto libbre, di sette dita (1); se di dieci libbre, di otto dita; se di venti libbre, di dieci dita; se di quaranta libbre, di dodici dita e un mezzo e un sedicesimo; se di sessanta libbre, di tredici dita ed un' ottava parte di dito; se di ottanta libbre, di quindici dita; se di centoventi libbre, d' un piede e mezzo e d' un dito e mezzo; se di centosessanta libbre, di piedi due; se di centottanta libbre, di piedi due e cinque dita; se di ducento libbre, di piedi due e sei dita; se di ducento dieci libbre, di due piedi e sette dita; se di ducento cinquanta libbre, di undici piedi e mezzo. Quando dunque sarà stabiliti] Col Barbaro; ma qui tijtli convengono, che il testo è errato e mancante; nè alcun codice di quelli da noi esaminati ci porge schiarimento alcuno. 1 ta (i) la grandezza del foro, si descriva uno scuilicciuolo, che «in greco si chiama peritretos, la lunghezza del quale sia di due fori, d' un duodecimo e • d' un sesto; la larghezza di due fori e della sesta parte di un foro: la descritta linea dividasi per lo mezzo; e divisa che sia, si restringano le parti estreme della sua forma, affinchè abbia una configurazione obbliqua; una sesta parte per lunghezza e per larghezza; al luogo della sua piegatura una quarta parte. Nel luogo poi, in cui trovasi la curvatura, laddove si stendono le punte degli angoli, e si voltano i fori, e si fa la restrizione della larghezza, ritornino indentro una sesta parte. Il foro perciò sia più. oblungo tanto, quanta è la grossezza dell'epizige (2). Quando sarà formato, si poliscano (3) all' intorno le estremità, affinché la curvatura venga mollemente a voltarsi. La grossezza di quel foro sia d'un mezzo, e d' un sedicesimo. 1 moggiuoli si costruiscano di due fori e un quarto; la larghezza, di un foro e mezzo e d' un quarto; la grossezza, (1) Giovanni Buteonc credette di aver trovato colle regole geometriche ed aritmetiche le varie proporzioni de' bochi; ma sono così aliene dallo stile di Vitruvio le sue correzioni, e così poco importanti per la intelligenza della costruzione della macchina, che non ho stimato farne uso. Vedi nel Laczio a questo capitolo. Cosi il Galiani. (a) Secondo il Baldo è un assicello o un piccolo conio che volge attorno i nervi e li tende. (3) Gli altri testi hanno circuiti dividatur, ut extremum ecc. Noi seguitiamo lo Schneider, che trasse dal Turnebo: circumlevigcntur extrema, come più consono a ciò che segue: ut curvaturam habtat molliter circumactarn. senza ciò che s' introduce nel foro,
grossezza, d'un quarto (2); la lunghezza, di tre fori e mezzo e un ottavo; le prominenze del chelone d' un mezzo foro; il plintigonato (3) d'un duodecimo d'un sicilico: ciò poi che sta all' assone, e che chiamasi fronte traversale, sia di tre fori; la larghezza delle regole interne d un sedicesimo di foro; la grossezza di un duodecimo e d'un sedicesimo (4): il finimento (5) del chelone, cioè la copertura, s'includa nella scuricella per un quarto di foro. La larghezza dello scapo del climaciclo (6) sia di cinque sesti; la grossezza, di dodici e d' un sedicesimo (7). La grossezza del quadrato, che sta ai climacicli, di cinque sedicesimi (8); nell' estre (1) Alcuni leggono chelonii, ed intendono questa voce come nel cap. i. di questo libro. Ma il scuso mostra che qui dev' esserne diverso il significato. Là significano anelli, o, come dice il Barbaro, manichi; qui però è una parte della base, come la intende il Baldo. (a) Altri di un sedicesimo. (3) Il testo del Poleni: plintigonalos; e concorda col Filandro e col\Galiani: altri leggono plentigonaios, e i più pterigomatos. Significa cosa alata, ovvero sorta d'ala, alla qual foggia è fatta questa parte della balista indicata dall' autore. (4) Altri d' un quarto. (5) Molti interpreti si affaticano intorno alla voce del testo replum, della quale confessano di non conoscere il significato. Il Galiani traduce fascia. A noi sembra non essere tanto oscuro il senso di quella voce, che certo dee derivare dal lat. replere, e eh' è spiegata abbastanza dall' autore stesso coli' aggiungere quod est operimentum. (6) Gal. le erte del climaciclo. (7) Altri d' un quarto. (ti) Altri dodicesimi. . mila d'un sedicesimo. Il diametro poi dell' asse rotondo sarà eguale al chele (1). Alle clavicole siavi una metà meno di un sedicesimo. La lunghezza dell' anteridio (2), di un duodecimo e di tre quarti; la larghezza in fondo d'un sedicesimo; la grossezza in alto d' un quarto e d'un sedicesimo. La base, che si chiama escara^ avrà una lunghezza di fori (3); 1' antibase di fori quattro; la larghezza e la grossezza d' entrambe, d' un quarto di foro (4). Alla metà e un quarto dell' altezza si congiunga una colonna della lunghezza e larghezza d'un foro e mezzo; l'altezza di questa colonna non ha proporzione di foro, ma si regola secondo il bisogno. La lunghezza del braccio sarà di sei fori, la grossezza alla radice (5) nell'estremità d'un dodicesimo di foro. Fin qui ho esposto le simmetrie che stimai più spedite intorno alle catapulte ed alle baliste j ora non pretermetterò, per quanto potrò comprendere cogli scritti, d'insegnare in che maniera queste si carichino colle tensioni delle corde intorte di capelli o di nervi (6). (a) Secondo alcuni nel testo dovrebbe leggersi non chelis, ma chelonii. In quale ambage mai vanno errando gli interpreti di questo capitolo vitruviano? Qual nullità di fatica.' (a) Il testo anteridiou. Alcuni anteridum. Significa gli speroni della balista. (3) Nel testo non trovasi alcun segno di numero. (4) Il Gal. non nota alcun segno di numero. (5) Manca nei testi il seguo del numero. (6) Di capello principalmente femminile, come spiega nel seguente capitolo. Non già perché non si potessero fare anche di altra materia; poiché si legge in Yegeaio, lib. IV. CAP. XVIII. Del modo di caricare e di tendere le catapulte e le baliste. 37. Si prendano travi quanto si possa più lunghi: sopra vi si affiggano i chelonii (1), nei quali s' includan le sucule: a mezzo degli spazi con tagli ed incisioni si facciano certe forme; nelle quali incisioni si spingano i capitelli delle catapulte, e si serrino bene con coni, affinchè nelle tensioni restino immobili. Poscia s'includano nei capitelli moggiuoli di bronzo, e in questi si collochino que' conietti (2), che i Greci chiamano epischidas. Indi pei fori dei capitelli s'intromettano i capi delle corde, e si facciano trapassare dall' altra parte: poi si avvincano alle sucule, intorno alle quali si ravvolgano colle stanghe, affinchè per mezzo di queste le corde tirate, quando si toccano colle mani, abbiano d' ambe le parti un' eguale rispondenza di suono. Allora poi si serrino con conj ne' fori, affinchè non si possan mollare. Alla stessa maniera dall' altra parte per mezzo di vetti si distendano colle sucule, finché rendano
il suono eguale (3). Per tal modo pel ser cap. g., che Giulio Capitolino, non avendo copia sufficiente di nervi e di funi, si servi di capegli femminili. (1) Barb. naspi. Gal. gli occhi (3) Non ci sembra improprio anche in italiano conietti. ■ 7) non si chiudono i fori nei capitelli, pei quali si^tenramento de' conj giusta il suono, colle musicali ascoltazioni si caricano le catapulte. CAP. XIX. Delle macchine oppugnatone. 33. H o detto tutto ciò che ho potuto di queste cose: ora mi resta parlare delle cose spettanti all'oppugnazione (i), con quali macchine i capitani possano essere vincitori, e le città difese: e prima di tutto raccontasi che così sia stato inventato l' ariete (a) per le oppugnazioni. I Car dono le funi torte con nervi o capegli, se prima non rendano un suono eguale, il quale dipende dall' eguaglianza della tensione. Che se le braccia non saranno omotooe, ossia teso egualmente, e perciò non esatta la vibrazione, le funi non daranno certamente un egual suono. Ed è questo uno dei motivi, che accennò Vitruvio al cap. i. lib. I , della necessità che ha 1' ingegnere di conoscere la musica. A questa cognizione però fu ai nostri giorni sostituita quella del moto dei proietti, dedotto dai principi della fisica generale per dirigere un corpo ad un punto determinato. (r) Le macchine sono di espugnazione, quando con le medesime si va ad attaccare il nemico, delle quali tratta Vitruvio in questo capitolo e nei due susseguenti. Diconsi poi di resistenza o di difesa quando servono ad opporsi alle macchinazioni avversarie; e Vitruvio ne fa parola nel capitolo ultimo. (i) Plinio nel lib. VII. cap. 56., al riferir del Filandro, attribuisce 1' invenzione dell' ariete, siccome macchina murale, ad Epeo presso Troja. Quale poi fosse, può desumersi dal lib. III. di Giuseppe intorno alla guerra Giudaica. Egli dice essere questo un immenso trave simile all' albero di un naviglio, la cui estremità armata di ferro si conforma a somiglianza di un ariete, da cui trae il nome, El il medesimo attaccato nel mezzo con funi ad un' altra trave a foggia di una stadera soffrila da ogni parte da pali. Spinto poi dalla taginesi piantarono gli accampamenti per battere Cadi; ed avendo sulle prime preso il castello tentarono di demolirlo. Ma mancando loro i ferramenti per demolire, presero un trave, e sostenendolo colle mani, e colla testa di quello percuotendo continuamente la cima del muro, disfacevano gli ordini superiori di pietre, e così a grado a grado 1' un dietro V altro dissiparono tutti gli ordini della fortificazione. Dopo, un certo fabbro di Tiro, di nome Pefasmeno, indotto da questa maniera d'invenzione, piantato un albero, ne sospese a questo un altro a traverso, a foggia di bilancia, e tirando e spingendo, con veementi percosse smantellò la muraglia de' Gaditani. Ma poi Cetra Calcedonese fu il primo a far la base di legno con ruote al di sotto; e sopra connesse con travicelli dritti e con giogbi certe forcelle (i) al parte posteriore da gran numero di genti va ad urlare nelle mura con la punta ferrata. Si può vederne la descrizione anche in Ammiano lib. XXIII, in Vegezio lib IV., ed in Roberto Valturio nel lib. X. delle cose militari. La figura dell' ariete si vede in Roma nell' arco di Lucio Settimio Severo, e nella colonna di Trajano. (l) Il testo varas. Senza perdersi nella oscura etimologia di questa voce, basterà 1' indicare, che secondo Varrone ed altri antichi interpreti delle voci latine, per varas s' in-< tende il più delle volte furcillas, ossia forcelle, le quali si formano in diverse maniere, una delle quali, qui indicata da Vitruvio, si fa col piantare due pali od alberi diritti a poca distanza uno dall' altro, e legando poi trasveisalmente in alto un altro palo od albero, in modo però che le due parti Superiori dei primi «sopravanzino d' un tratto il trasversale, lo che rappresenta una forcella fatta a guisa di giogo; e Siccome il legno trasversale presso gli antichi er» quello che costituiva il così detto jugurn ossia giogo, preso nei varj sensi, perei» disse Vitruvio compegit arreclariis et jugis varaSy le quali sospese i' ariete, e le coperse di cuoio di buoi, affinchè coloro che fossero collocati nella macchina per battere il muro stessero più sicuri. E perchè questa macchina era di tardo moto, cominciò a chiamarla testuggine arietaria (i). 39. Fatti allora i primi passi. in questo genere di macchina, in appresso, quando Filippo, figliuolo di Aminta, oppugnava Bizanzio, Polido tessalo la perfezionò con parecchie e più spedite maniere. Da questo ricevettero istruzione Diade e Cherea, che militarono con Alessandro. Diade infatti dimostrò ne' suoi scritti di aver inventate le cioè formò con travi diritti e con gioghi forcelle, ossia con travi diritti e con altri legati a traverso formò ecc. Da ciò si vede come facilissimamente a queste forcelle poste in faccia 1' una dell' altra si potesse sospendere
l' ariete. Il Barb. tradusse: fabbricò con travi dritti, con chiavi e traversi uno steccato. Il Gal. compose con pali dritti e traversi una capanna. Noi nou possiamo aderire alla loro spiegazione. Queste forcelle volgarmente si chiamano Cavalletti. (1) Vegezio, lib. IV- cap. A., scrive che questo nome le fu dato dalla vera simigliauza con la testuggine, allungandosi e contraendosi la trave siccome quest' animale fa della testa. Ateneo nel trattato delle macchine rapporta che l' inventore fu Gera Cartaginese. — Alcuni pensarono che Vilruvio avesse desunta la dottrina sulle macchine di Ateneo, o che Ateneo la traesse da Vitruvio. Ma siccome il nostro autore confessa di aver ritratto tutto ciò eh' egli scrive sulle macchine da Diade, e siccome questo è citato anche da Ateneo, si può ritenere che a in hi due abbiano tratte le loro descrizioni dalla medesima fonte. Eravi poi un' altra specie di testuggine, che i soldati formavano coi loro scudi, per difendersi dai dardi, e che viene indicata da Cesare nel lib. VII. della guerra Gallica, dicendo: altri scagliano dardi, altri formatasi una testuggine vi si coprono; ed il nome di questa proviene, secondo 'ione, dalla stabilità e dalla comodità di coprirsi.
torri ambulatone (i), che portava intorno nell'esercito anco disfatte, ed oltre a ciò la trivella, la macchina salitoria (a), colla quale si può fare facilmente (3) il passaggio al muro; ed anco il corvo demolitore (4), che alcuni chiamano grue. (i) Il Gal. hi» già fatta italiana la voce ambulatorio del testo. Queste torri sono descritte da Vegezio nel lib. IV. cap. XVII. e seg. Sono pure ricordate da Ircio nel suo libro della guerra Alessandrina, e da Giulio Cesare in quelli della guerra Gallica e della guerra civile Erano queste composte di travi e tavole alla maniera di un edificio; e con esse si superavano non solo le mura della città assalita, ma ben anche le stesse torri che la difendevano. (a) Abbiamo in italiano salitore e salitojo: ci sia permesso anche l' aggettivo salilorio e salitoria. Crede il Filandro che fosse questa una macchina, che per mezzo di un artifizio nascosto si andasse innalzando, e che giunta alla necessaria altezza la si fermasse per mezzo di funi. Potevasi anche fare scorrere un tavolato alla foggia che nel torchio s' innalza e si abbassa lo streltojo. Pare che questa macchina corrisponda a quella che Vegezio nel cap. ai. del lib. IV. chiama Tollenoiie, e che si costruiva così. Si fissava in terra un' altissima trave, alla cui sommità si congiungeva trasversalmente un' altra trave più lunga che la metà della prima, e ciò a guisa di una stadera, vai a dire che se un' estremità di questa trasversale s' innalzava, 1' altra si abbassava. Ad un estremo di questa si componeva con tavolati una macchina, sopra di cui potevano stare alquanti uomini armati, i quali mettevano sulle mura della città col1' alterno alzarsi ed abbassarsi dei due estremi. (3) Il Iat. plano pede. Noi 1' interpretiamo per un avverbio che significhi facilmente, del che abbiamo dato ragione nella nota n.° i. pag. A. lib. I. (4) Potrebbe sospettarsi che questa macchina servisse ad abbrancare le macchinazioni avversarie e trasportarle dentro delle mura; come si narra aver fatto Callia architetto in Rodi; ed allora dovrebbe assomigliarsi a quella che Giulio Polluce chiama con voce greca geranon, ossia gru, con cui nel teatro si rapivano i corpi, e della quale si servì V Aurora per rapire il corpo di Mennooe. Ma siccome Vitruvio dà a questa macchina l' aggiunto di demolitore, il Filandro pensò invece che fosse quella descritta da Polibio nel primo liParimente servissi di un ariete soltorotato (i), di cui lasciò scritte le norme. Disse che la minima torre non doveasi fare men alta di sessanta cubiti, e larga di diciassette; la contrattura poi della sommità un quinto della parte bassa: le erte (2) al piede della torre, di tre quarti; alla sommità, d'un mezzo piede. Disse pure doversi fare quella torre di dieci palchi con fìnestrati (3) da tutte le parti. La massima torre poi alta cubiti centoventi, larga ventitré cubiti e mezzo, contratta in alto la quinta parte: 1' erte in basso d' un piede, in alto d' un mezzo piede. La grandezza di questa torre ei la faceva di venti palchi, con una sponda di tre cubiti per ciascheduno: e la copriva di cuoio crudo per difenderla da ogni colpo. La preparazione della testuggine arietaria componevasi allo stesso modo. Avea questa l'intervallo bro nel modo seguente. Constava di una colonna di legno lunga quattro braccia e larga tre palmi, alla cui sommità si adattava,una ruota. A questa vi si univano delle tavole a forma di scale larghe quattro piedi, e lunghe sei braccia; e nel tavolato si formava un foro oblungo che cominciava a cingere la colonna all' altezza di due braccia della scala. Era poi assiepata d' ogni parte sino all' altezza del ginocchio. Neil' estremità del legno vi era un ferro acutissimo fatto a somiglianza di un martello e collegata col mezzo di un anelr lo. Si scagliava contro la nave nemica, e pel peso del ferro e per la forza del legno si conficcava nella medesima. Se era rivolta verso la prora discendevano per le scale alcuni soldati a due a due; i due primi portavano gli scudi per difendere quelli che lor venivano dietro. Se poi la nave presentava il fianco, discendevano tutti di fronte sulla medesima.
(1) Lat. subrotalo, e 1' abbiamo fatto italiano, (a) Cosi il Barb. benissimo dai lat. arredarti*. (3) Lat. fenestratis. ViTsvrio, Lib. x. 6 di trenta cubiti; 1' altezza, oltre il fastigio, di sedici; 1' altezza poi del fastigio dallo strato ( i ) alla sommità, di sette cubiti. Sporgeva poi ancora più in alto pel mezzo del fastigio del tetto una torricella, larga non meno di dodici cubiti, e sollevavasi al di sopra per l' altezza di quattro tavolati, nel più alto de' quali si collocavano gli scorpioni e le catapulte, e negl' inferiori adunavasi grande quantità d' acqua per estinguere qualunque furia di fuoco che vi si appiccasse. In questa si adattava la macchina arietaria, detta in greco crìodoce, in cui collocavasi un cilindro (2) tornito, sopra il quale poggiava l' ariete, che col far andare e tornare le funi, produceva grandissimi effetti: e questo pure, come le torri, coprivasi di cuoio crudo. 4o. Intorno alla trivella svolse le seguenti regole ne' suoi scritti. Faceva la detta macchina a somiglianza della testuggine, avente in mezzo un canale posto nell* erte (3) ( come suol farsi nelle catapulte e nelle baliste ), della lunghezza di cinquanta cubiti, dell' altezza di uno, in cui si collocava traversalmente una sucula. la testa poi, a destra e a sinistra, due troclee, per mezzo delle quali moveasi un trave colla fronte ferrata, che (■) Lat. a strato. S' intende letto, o tavolato, su cui posa il fastigio, ossia colmo. (9) Lat. torus, e significa un albero o cilindro, la cui estremità inferiore lavorata nel torno potesse facilmente girare. « (5) Lat. orthostatis. era dentro il canale: quelli poi che stavano rinchiusi sotto lo stesso canale, sicori incessantemente rendevano più celeri e più veementi i suoi moti. Sopra il trave poi, che ivi era, si giravano archi per coprire il canale e per sostenere il cuoio crudo, del quale era involta la macchina. 4.1. Del corvo (i) nulla stimò di scrivere, perchè considerò quella macchina di niun valore: dell'accessoria (2), che in greco dicesi epibathra, e delle macchine marine, per le quali si può aver 1' adito nelle navi, ho bene osservato, eh' egli ha promesso soltanto di scrivere, e che non ha svolte le loro regole. Io ho esposto tutto ciò che Diade scrisse delle macchine, e dei loro apparati: ora esporrò quello, che io appresi dai precettori, e che mi par vantaggioso; CAP. XX. Della testuggine pel riempimento de' fossi. 42. La testuggine che si apparecchia pel riempimento de' fossi, e colla quale pure si può aver accesso alle mura, dovrà essere fatta così. La base, detta da' Greci eschara, si componga quadrafi) Apollodoro, Erone, ed altri antichi ci lasciarono la descrizione di questa macchina; e Polibio racconta che fu inventata dai Romani nella prima battaglia navale contro i Cartaginesi, col cui mezzo afferravano le navi nemiche, e' conseguivano più facilmente la vittoria. (3) Lat. de acceseti. ta, di venticinque piedi per ogni suo lato: con quattro traversali: e questi sieno contenuti da due altri grossi per un dodicesimo (i), larghi per una metà. I traversali abbiano fra loro la distanza d'un piede e mezzo, e nei singoli intervalli di quelli si sottopongano di quegli arboscelli, cbe in greco si chiamano amaxopodes} entro ai quali si aggirano gli assi delle ruote serrati da lame di ferro. Questi arboscelli sieno ridotti in modo, che abbiano cardini e fori, per dove i vetti trapassati facilitino i loro giri; sicché, secondo il bisogno, o all'innanzi o all'indietro, o al lato destro o al sinistro, ossia obbliquamente ad angolo con questi arboscelli girando possano progredire. Sopra la base poi si mettali due travi sportati d' ambe le parti sei piedi, intorno agli sporti de' quali si affiggano altri due travi sportati sette piedi dinanzi alle fronti, grossi e larghi come quelli che nella base sono descritti. Sopra questa tessitura si erigano imposte accoppiate, alte più dei cardini nove piedi, grosse un piede e un palmo per ogni verso, aventi fra loro gì' intervalli di mezzo piede. Queste al di sopra si rinchiudano da travi scambievolmente incastrate. Sulle travi sien collocati i capreoli (2) coi cardini l'un nell'altro rinchiusi, spinti all' altezza di nove piedi. Sopra i (1) Gal. alti un dodicesimo. (■i) Opina il Gal. che nel latino invece di capreoli deliba essere scritto cantherii, che si dicono puntoni o anche cavalli. Di ijuesli si veggano le note al cap. 2. lib. IY.
capreoli si ponga un trave quadrato, nel quale vadano ad unirsi i capreoli. Questi poi si contengano dai laterali (i) affissi all' intorno, e si coprano con tavole massimamente di palma; se no, di ogn' altra specie di legno; che può egregiamente valere, dal pino e dall' alno in fuori, perchè questi sono fragili, e facilmente prendono fuoco. All' intorno dei tavolati si ponga" graticci di verghe sottili spessissimamente tessute, e la macchina tutta intorno s' investa di cuoi più che si può freschi e crudi cuciti in doppio, e imbottiti di alga o di paglie macerate in aceto: così da questi saranno repulsati i colpi delle baite, e l' empito degl' incendj. CAP. XXI. Delle altre testuggini. 43. E: ancora un' altro genere di testuggine, che ha tutte le cose sopra descritte, fuorché i capreoli: ma intorno ha un pluteo e le pinne (2) di tavole, e superiormente le gronde inclinate, al di sopra contenute da tavole e cuoj (1) Gli architetti moderni li chiamano paradossi, e sono gli stessi che i tempiali, cioè travi che si ponevano nel tetto a traverso sopra i canterii. Perciò appunto il Galiani e 1' Orsini tradussero paradossi. Noi per laterarii intendiamo travi che stanno allato dei capreoli. (1) Lat. pluleum et pinnas. Tutti traducono: un parco petto ed ì merli. fermamente inchiodati: si tiri poi sopra una mano di argilla impastata con capelli, di tanta grossezza, che il fuoco non possa nuocere a questa macchina. Le dette macchine possono essere di otto ruote, se vi fosse bisogno, e se alla natura del luogo convenisse tale preparazione. Le testuggini poi, che si apparecchiano per iscavare, si chiamano in greco origes. Hanno queste tutte le altre cose sopra descritte: se non che la loro fronte si fa come gli angoli dei triangoli, affinchè quando si tirano gli strati in esse dal muro non ricevano i colpi sopra fronti spianate, ma cascando dai lati, difendano dal pericolo gli scavatori che sono al di dentro. 44- ^ on mi sembra fuor di luogo il parlare del modo, con cui -fece una testuggine Agetore Bizantino. La lunghezza dunque della sua base era di piedi sessanta (i), la larghezza di diciotto; l'erte (2) sopra la contestura (*) erano quat (1) Ateneo ed Erone che descrissero questa macchina, dicono che la sua lunghezza era di quarantadue cubiti, e la larghezza di ventotto. Ora siccome il piede grteo era mezzo pollice minor del romano, si trova che quarantadue cubiti corrispondono a piedi sessanta, e cinque pollici romani. Riguardo alla larghezza è però da credersi un errore nel testo vitruviaoo, e che si dehha ritenere più esatta la misura dei ventotto cubiti data da Ateneo e da Erone. Slrat. (a) Questi travi diritti, come osserva lo Strafico, sono descritti oscuramente anche da Erone e da Ateneo, come pure molte altre parti di questa testuggine. Dopo di essi si fa parola dell' ariete, ma uon si sa se questo fosse congiunto alla testuggine, od in qual parte e di qual modo fosse collocato. Generalmente però,„e. per lo più, si poneva entro la stessa, affinché gli uomini, che lo facevano agire, fossero tro, di due travi accoppiati, alto ciascheduno tréntasei piedi, grosso un piede ed un palmo, largo un piede e mezzo. La sua base aveva otto ruote, sulle quali giravasi: e la loro altezza era di sei piedi e tre quarti: la grossezza di tre piedi, fabbricate di triplice materia e con alterne suscudi ( 1 ) 1' una all' altra commesse, e collegate con lame di ferro tirate a freddo. Queste poi entro arboscelli, ossia amaxopodi} facevano i loro giri. Parimente sopra il piano de' transtri (2) che era sopra la base, stavano le imposte (3) di piedi dicoperti dalla stessa testuggine. Ma, soggiunge lo Strafico, ciò non poteva aver luogo; primamente perchè le travi che sostenevano l'ariete erano molto più alte del tetto della testuggine; ed in secondo luogo, se fosse stato cosi disposto, non poteva andare ad urtar le mura alla menzionata altezza, perchè le dimensioni della testuggine non lo permettevano. Tuttavia, se anche non vi è nella descrizione di Erone ciò indicato, si può averne un'idea dalla figura alla medesima congiunta, in cui l' ariete è appeso sotto al tetto della testuggine. (*) Non si saprebbe meglio spiegare il latino compactionem. Usandosi testura e contesto in italiano, ci parve di poter introdurre pur contestura. Barb. colligazione. Gal. telare U Orsini r intelaratufa. (i) Lat. subscudibus. Abbiamo già più volte parlato di questo vocabolo. Solamente noteremo, che qui ci piacque d' introdurre nell' italiano la voce suscude. (a) Lat. transtra? e sono qui intesi i travi che slendonsi in piano da un muro all' altro. (3) Ateneo dice, che queste imposte erano lunghe dodici cubiti, grosse dieci dita, e distanti fra loro sette palmi;
per lo che la descrizione vitruviana non differisce da questa se non se neli' aggiungere alla lunghezza la nota :—•, la quale essendo varia nei diversi codici, bisogna riportarsi a ciò che dice più esattamente Ateneo. Essendo però questi due autori concordi sulle altre dimensioni si deve conchiudere che gli antichi col segno S : — ovvero :— S volessero indicare tre quarti di un tutto, con 1' altro S uua meta, e ciotto e tre quarti (i), lunghe pure tre quarti, grosse un duodecimo ed un sedicesimo, e distanti fra loro uno e tre quarti: sopra queste una cinta di travi all'intorno chiudeva tutta la contestura, i quali travi erano larghi un piede ed un quarto, grossi tre quarti: sopra si alzavano i capreoli alti dodici piedi: sopra i capreoli un trave congiungeva le commessure. Oltre a ciò i laterarj attaccati a traverso, sopra i quali un tavolato a cerchio copriva le parti inferiori. Avea pure un tavolato nel mezzo sopra travicelli, dove collocavansi gli scorpioni, e le catapulte: e s'alzavan due erte accoppiate, di piedi trentacinque, grosse un piede e mezzo, larghe due, congiunte nelle fronti da un trave traversale cardinato (2), e da un altro mezzano fra i due scapi, pur cardinato, e legato con lame di ferro: sopra ciò erano collocati alternamente parecchi legni trapassati fra gli scapi ed il traversale, fortemente serrati con :—1 un quarto. E si deve rigettare l'altra opinione, che con le lettere F. Z. si volesse indicare j-2 ovvero i di piede, cioè un mezzo pollice, poiché quella grossezza delle imposte sarebbe stata troppo piccola; laddove Ateneo la fa di dieci dita, ossia di sette pollici e mezzo. Le note poi C«: non sembrano, secondo lo Strati co indicare numeri, ma bensì la separazione dei periodi. Il Perrault però attribuisce alle medesime il valore della frazione §. (1) Gal. un quarto. (2) Lat. cardinato, cioè incastrato a guisa di cardine. Barb. con cardini o incastri. Ors. incastrati con arpioni. Noi ritenemmo in italiano la voce del testo come più espressiva. da chelonii ed anconi (i). In quella materia v'erano due assicella lavorati a tomo, ai quali erano legate le funi che teneano l' ariete. Sulla testa di quelli, che contcneano 1' ariete, eravi un pluteo (2) guernito a somiglianza di torrieella (3), affinché senza pericolo due soldati standovi dentro, potessero al sicuro esplorare e riferire i tentativi degl' inimici. Il suo ariete aveva una lunghezza di cento sei piedi, la larghezza a basso di un piede e un palmo, la grossezza di un piede: la contrattura in testa d' un piede in larghezza, di un mezzo piede ed un ottavo in grossezza. Questo ariete poi avea un rostro di ferro duro, simile a quello che sogliono avere le navi lunghe, e cominciando dallo stesso rostro erano fitte nella materia quattro lame di ferro di circa quindici piedi (4)- Dal capo poi al piede del trave erano tese quattro funi grosse otto dita, accomodate come quelle, dalle quali da poppa a prora è tenuto l'albero della nave; ed i traversi di esso trave erano legati con funi ritorte, aventi fra lo fi) Lat. cheloniis et anconibus. Di questi abbiamo più volte parlato. Gal. manichi ed angoli. Ors. tasselli e staffe. Barb. orecchie e manichi. (?) Cioè un poggiuolo. A Questo è veramente il senso del testo similitudine turriculae ornatum. Non era un parapetto fatto { o formaio ) a foggia d' una torretta, come tradussero il Galiani e 1' Orsini, ma fatto secondo la sua propria forma di poggiuolo, e guernito poi come si guernisce una torrieella. (4) Ha ragione il Perrault di dire che v' è qui di soverchio uel testo o il quatuor o il ali, ed ha più ragione il Galiani di dire, che in tanta confusione ed oscurità di case e di parole è compatibile ognuno. ro la distanza di un palmo e un piede (i). Al di sopra tutto 1' ariete era investito di cuoio crudo; ed ai capi pendenti di quelle funi erano attaccate quattro catene di ferro anch' esse involte di cuoio crudo. Parimente il suo sporto fuor delle tavole avea un' arca (2) compatta (3) ed affìssa alle funi maggiori stirate, per l' asperità delle quali senza sdrucciolar di piedi si potea facilmente giungere al muro. E questa macchina si moveva in sei modi, cioè innanzi, indietro, a destra, a sinistra, e non meno drizzala solleva vasi in alto, e inclinata calavasi a basso. Questa macchina poi drizzavasi all' altezza di cento piedi all' incirca per disfare un muro: parimente scorrendo di fianco a destra e a sinistra andava a toccare non meno che a cento piedi. Avea il peso di quattromila talenti che fa quattrocento ottantamila libbre, talché a governarla ci volean cento uomini. CAP. XXII. Delle difese,
45. Intorno agli scorpioni, alle catapulte, alle baliste, ed anco alle testuggini ed alle torri ho (1) Qui abbiamo seguita, come più chiara, la lezione dello Schneider. ■ sv (2) Il Pontedera in cambio di arcarti vorrebbe leggere aream. (3) È voce tanto d'uso nel discorso, che si può adottare senza scrupolo anche nella scrittura, e fu anzi adottata dagli scrittori delle scienze fisiche. spiegato quelle cose, che mi parvero idonee, e dissi quali fossero i loro inventori, e come debbano esser costrutte. Delle scale poi e dei carchesii (i), e delle altre macchine, le ragioni delle quali sono meno importanti, non reputai necessario lo scrivere: perchè i soldati da per sè le sogliono fare; nè le stesse in tutti i luoghi, nè fatte alla medesima forma possono essere vantaggiose (2). Perchè v' ha differenza da munizione a munizione, e diversa è la fortezza delle nazioni. Onde le macchine debbono costruirsi in una forma contro gli audaci ed i temerari, in altra contro i solerti, ed in altra contro i paurosi. Pertanto se alcuno vorrà por mente a queste prescrizioni, scegliendo dalla loro varietà, e paragonandole insieme, non avrà bisogno dell' altrui soccorso, ma potrà operare senza esitazione tutto quanto sarà necessario secondo le regole e secondo i luoghi. 46. Delle macchine di difesa non giova scrivere; chè gì' inimici non conformano ai nostri scritti le loro difese, ma le loro fortificazioni sul fatto colla solerte celerità dei consigli senza macchine spessissimo si sovvertono. Ciò si racconta aver fatto anco i Rodiotti. Diognelo era un ar (1) Altri calcesi, cioè taglie che si adoperano per far angolo alle funi che tirano i pesi. (s) Il primo capitano di due secoli, Napoleone, facca insegnare la tattica nei collegi militari; ma le Alpi, i campi, i fiumi, le rocche, e le tante diversità dei siti e delle nazioni fecero i suoi soldati. chitetto di Rodi; a cui ogn' anno si dava dal pubblico una stabilita mercede per onore dell' arte. A quel tempo essendo venuto a Rodi un certo architetto da Arado, di nome Cnllia, fece un acroasi (i), ove propose l'esempio d' un muro, sopra il quale adattò una macchina in un carchesio versatile, con cui afferrò un' elepoli (2) che si accostava alla città, e la trasse dentro le mura. Alla vista di questo esempio maravigliati i Rodiotti tolsero a Diognetoi ciò che gli era stato annualmente assegnato, e quell'onore trasferirono a Callia. Intanto il re Demetrio, che per la pertinacia dell'animo soprannominato fu Poliorcete (3), pre fi) Acroasis è una voce greca, il cui significato sareb-Le .• si procurò un' udienza. (2) Questa macchina serviva a distruggere le città, come indica il suo nome composto dalle voci greche elo distruggo, e polis città. La sua costruzione viene indicata da Amraiano, lib. XXIII., nel seguente modo Si forma un' immensa testuggine, consolidata con assi lunghissimi, e connessi con chiodi di ferro; indi la si copre con pelli bovine e con recente tessitura di virgulti, e la si asperge superiormente di limo per salvarla dalle fiamme. Si cingono poi le sue fronti con punte acutissime trisulcate ed aggravate con pesi di ferro alla stessa guisa che i pittori e gli statuari ci rappresentano i fulmini, sicché qualunque cosa venga urtata da quelle punte sollevate, si franga. Questa robusta mole accomodata sopra ruote e diretta con funi da gran numero di soldati, internamente posti, si spingeva a tutta forza verso la parte più debole del muro, e se dall' alto i difensori non valevano a respingerla, sconnesse le pareti faceva una grandissima breccia. (3) Questo nome significa espugnatore di città dalle voci polis città, ed orceo rovino. Questo cognome appartiene a Demetrio, figlio del re Antigono come si ha da Plutarco nella sua vita, e da Ammiano, lib. XXIII. Bisogna ridere, dice il Filandro, leggendo nella filologia di Railaello Velaterrano che poliorcete sia una macchina indicata da Vitruvio. parando la guerra contro Rodi, menò seco Epimaco nobile architetto ateniese. Costui dunque costruì un' elepoli di enorme spesa con somma industria e fatica, che avea cento venticinque piedi d' altezza, di larghezza sessanta: e la fortificò con cilici e con cuoi crudi (i) in sì fatto modo, che potesse sopportare il colpo d' una pietra di libbre trecento e sessanta tirata dalla balista. La macchina era del peso di trecento sessanta libbre. Quando ^dunque Callia fu pregato dai Rodiotti di costruire una macchina contro di quell' elepoli, e di tirarla, come avea promesso, dentro le mura, disse di non potere. 47- Non tutte perciò le cose possono trattarsi cogli stessi principj, ma alcune tanto dietro piccioli, quanto dietro grandi esemplari ottengono similmente 1' effetto; altre non possono aver esemplari, ma si formano da per se stesse; alcune poi, che si vedono verisimili negli esemplari, quando cominciano a mettersi in atto, mancano, come in ciò lo possiamo osservare. Si fora colla trivella un buco di mezzo dito, di un dito, d' un dito e mezzo: se colla
stessa proporzione si volesse farne uno di un palmo non avrebbe l' effetto: d' un mezzo piede poi, o maggiore, non si dee pure (1) Servio fra gli altri nel lib. III. delle georgiche scrive, che si coprivano con questi cilicii i tavolati delle torri, onde le faci che si scagliavano non vi appiccassero il fuoco. Varrone nel lib. II. delle cose rustiche ne fa derivare il nome dai popoli della Cilicia, presso i quali furono per la prima volta adoperati. pensarlo. Così appunto ciò che ne' piccoli esem.* plari sembra potersi eseguire, non può farsi allo stesso modo ne' grandi (i). 48. Per la medesima ragione adunque ingannati i llodiotti aveano fatto una vergognosa ingiustizia a Diogneto. Onde da poi che videro (2) il nemico pertinacemente molesto, e preparata la macchina per superare le mura, spaventati dal pericolo di servitù e nuli' altro aspettandosi fuorché la devastazione della città, prostraronsi a Diogneto deprecando: deh! soccorri la patria (3). In sulle prime rispose: no: ma poiché le verginette innocenti, e i giovincelli in compagnia de' sacerdoti lo vennero a supplicare, allora rispose: sì: ma con patto che se io prenderò la macchina, debba esser mia. Ciò stabilito, in quella parte verso cui vedea accostarsi la macchina traforò il muro, e comandò che tutti in pubblico ed in privato quanto aveano d'acqua, di sterco, di fango da quella finestra diffondessero pei canali dinanzi al muro. Profusa ivi dunque nella notte gran copia d' acqua, di fango, di sterco, accostandosi nella dimane l'elepoli, prima d'approssimarsi al muro (1) Abbiamo qui seguito la correzione intesa prima dal Pontedera, e poi dallo Scbneider. (2) Qui pure si è seguita la correzione che fece specialmente lo Scbneider del testo turpemente guastato. (3) Tanto negli antichi animi potea il timore di servitù. Neil' estremità della patria si umiliavano dinanzi al prode imprudentemente ingiuriato, e si prostravano tutti riuniti intorno alla sua virtù; e la patria era salva. Oli quale diversità di tempi!
spinta nell' umida voragine si profondò, senza poter più andare nè innanzi nè indietro (i). Perciò Demetrio, vedendo di essere stato ingannato dal saper di Diogneto, partì colla flotta. Allora i Rodiotti per l'acume di Diogneto dalla guerra salvati, gli rendettero pubbliche grazie, e lo fregiarono di tutti gli onori e de' maggiori ornamenti. Diogneto poi tradusse l'elepoli nella città, e la collocò in pubblico e inscrisse: Diogneto della preda fa dono al popolo. Così nella difesa non solamente le macchine, ma sopra ogni cosa si devono adoperare i consigli. 4g- Parimente a Ohio, allorché gì' inimici preparavano sulle navi le macchine delle sambuche (2), nottetempo i Chii gettarono lerra, arena, pietre nel mare dinanzi al muro. Onde colo li) Flavio Vegezio Renato narra la cosa in altro modo. Ecco le sue parole riferite dal Filandro. Allorquando si assediava la città di Rodi, e che una torre mobile si apparecchiava, con la quale si sarebbero sormontate le mura e le torri della città stessa, i meccanici inventarono ingegnosamente il seguente rimedio. Di nottetempo sotto alle fondamenta delle mura si scavò un cuniculo, e dalla parte, a cui nel giorno susseguente doveva approssimarsi la torre, si scavò la terra internamente senza che alcuno dei nemici se ne avvedesse, sicché quando la mole fu spinta sulle sue ruote, giunta al luogo, sotto a cui si aveva scavato, pel solo suo peso si approfondò, e non potè giungere sino alle mura, uè retrocedere. Cosi si salvò la città, e la macchina fu abbandonata. Questo rimedio vale quando la città fosse attaccata dalla parte di terra, dovechè quello accennato da Vitruvio serve quando lo sia per mare. (2) Sesto Pompeo Feslo dice che questa macchina, con la quale si espugnavano le città, aveva un tal nome perchè' le funi si tendevano allo stesso modo che nell' organo detto parimente sambuca. ro volendo nella dimane accostarsi, le navi s' arrestarono sopra 1' arginamento ( 1 ) eh' era sott' acqua, senza potere nè appressarsi al muro, ne tornare indietro; sicché ivi traforate dalle saette (2) furono dalle fiamme bruciate. 5o. Così pure, mentre si assediava Apollonia, e gì' inimici scavando sotterranei speravano di penetrare senza sospetto dentro le mura, essendo ciò stato riferito agli Apolloniesi dagli esploratori (3); perturbati dal timore di questo annunzio, privi di consigli, perdettero il coraggio, perchè non poteano sapere nè il tempo, nè il luogo certo, dove potessero gì' inimici far la sortita. Allora Trifone Alessandrino, ohe ivi era architetto, designò parecchi sotterranei dentro del muro, e scavando la terra progrediva al di fuori del muro solamente per un tirar di saetta; ed in tutti vi sospese de' vasi di rame. In una di queste fosse, che era di fronte ai sotterranei degl' inimici, i vasi sospesi cominciarono ad echeggiare ai colpi dei ferramenti; onde da ciò intese da qual punto gli
(1) Lat. aggerationem. (?) Il testo malleoli*; e Nonio Marcello dice che questi erano certi manipoli fatti di erba, detta dai Latini spartum, ed impeciati, i quali accesi si scagliavano contro le mura, o contro le testuggini. Vegezio invece li chiama saette, le quali dove si attaccavano, per essere ardenti, tutto abbruciavano. (3) Lat. speculaloribus. Il senso proprio è speculatori; ma ora si usa soltanto in senso traslato di acuti osservatori delle utilità commerciali: se tanta è l' avversione generale per la voce in metafora, che sarebbe se questa durasse nel suo vero senso? avversari scavando le fosse tentavano di penetrare 'al di dentro. Così conosciutane la drittura (i) preparò caldaje d' acqua bollente e di pece, di sterco umano e d' arena infocata, da gettarsi dall' alto sulla testa degl' inimici: di poi nottetempo aperse gran numero di buchi, e da quelli repente versando, estinse tutti i nemici, eli' erano in quel lavoro occupati. 5i. Parimente, mentre si oppugnava Marsiglia e si faceano oltre trenta spelonche, i Marsigliesi insospettiti abbassarono con uno scavo più profondo la fossa che v'era dinanzi al muro: cosicché tutte le spelonche comunicavano colla fossa. Ne' luoghi poi ove non potea farsi la fossa, fecero dentro al muro, di fronte al luogo a cui dìrigevansi le spelonche, un baratro d' immensa lunghezza ed ampiezza a foggia d' una piscina, e lo riempirono coli' acqua de' pozzi e del porto. Onde nel punto che le nari dello speco si aprirono, la veemenza dell' acqua versata sovvertì tutti i sostegni (2), e coloro che erano dentro, dalla gran copia dell'acqua e dalla ruina dello speco rimasero soffocati; ed anco quando si formava contro di essi un argine verso il muro, ed ivi gli alberi recisi in varie collocazioni con grande lavoro ammucchiavansi, tirando colle baliste verghe di ferro roventi, fecero andar in fiamme tutti) Il lat. ìimitatione cognita. 11 PoDtedera spiega: la drittura della mina. (5) Lat. supplantavit. ViTBvrio, Lib. x. >j
(j'ò CAPO Xlll. L1B. X. la la fortificazione. Quando poi la testuggine arielaria s' accostò a battere il muro, calarono un laccio e stretto con quello l' ariete, e per mezzo di un timpano aggirando gli argani, lo tennero sospeso per la testa in modo che gì' impedirono di toccare il muro. Finalmente con saette roventi e con colpi di baliste dissiparono tutta la macchina. Così queste città vittoriose, non per le macchine, ma contro la ragione delle macchine, per l'acume degli architetti furono liberate. Or io in questo ultimo volume ho finito di esporre tutte le regole che ho saputo intorno a quelle macchine, che in tempo di guerra e di pace ho creduto utilissime. Negli antecedenti nove ho già trattato dei singoli generi e parti, affinchè l'intero corpo contenesse spiegati in dieci libri tutti i membri dell' Architettura. GIUNTE AL LIB. X. DELL' ARCHITETTURA DI VITRUVIO
GIUNTA I. sui principi fondamentali di Meccanica. I. In tutte le scienze fa d' uopo prender la mossa dall'esaminare i fatti fondamentali; quindi astraendo riconoscere i rapporti vicendevoli fra i medesimi, e le leggi universali, a cui van sottoposti; e finalmente retrocedendo applicar queste leggi ai singoli fatti. Quest' applicazione dev' essere lo scopo d' ogni speculativa disquisizione, senza di cbc riescircbbe un puerile trastullo. Restringendosi pelò alle scienze che diconsi esatte, il massimo vantaggio derivato dai loro inconcussi principi fu a pro della Meccanica, e precipuamente di quella parte che si distingue col nome di pratica, il di cui scopo è l' applicazione immediata agli usi sociali delle leggi dell' equilibrio e del moto dei corpi stabilite dalla Meccanica razionale. Ecco il ministero principale dell' ingegnere; senza ch'egli possegga le cognizioni necessarie a quest' applicazione, mal gli si compete quel nome. S' egli saprà combinare elegantemente i modini di un ordine architettonico, si dirà che bene studiò nel!' arte d' immaginare un bello edifizio, ma non che si trovi capace di solidamente erigerlo. Nè questo è uno dei più importanti vantaggi che apporta la meccanica; poiché consistono essi in principalità nell' impiegare economicamente le forze motrici della natura pel maggiore incremento delle arti e dei mestieri. Ed è questo il perché, dopo avere trascorsi i campi della speculazione, si debba esaminare come meglio soddisfacciano ai bisogni sociali quelle verità che furono astrattamente dimostrate, e come per mezzo di queste si possano scegliere i metodi più convenienti ad ottenere gli effetti che si vogliono conseguire. A grave danno però dell' incremento delle umane cognizioni, gì' ingegni sublimi che sapevano abbracciare tutte le essenziali proprietà dei corpi ed i singoli rapporti che le collegano, geometricamente dimostrandoli, sdegnavano di ricondursi a quegl' iniziamenti, da cui erano partiti, paghi delle loro scoperte quaod' anche non producessero che qualche accidentale vantaggio. Si sa che Archimede applicava le sue cognizioni soltanto perchè tornavano a prò della patria; ma si sarebbe creduto disonorato se avesse lasciato un codice, in cui fossero state registrate le sue pratiche operazioni, ignaro certamente che la fama doveva suonar di lui più alto per le sue invenzioni della coclea e della bilancia idrostatica, di quello che per le sue sottili ricerche sulla geometria dei solidi, e sui conici. Cosi Nonio ebbe più celebrità pel suo metodo delle piccole suddivisioni negli strumenti, di quello che pel suo molto sapere geometrico. I mezzi con cui si perfeziouaoo le arti sono ali, dice Bailly, che si attaccano allo spirito umano. Ma fatalmente l' esempio di Archimede fu seguito dagl' ingegni più distinti che comparvero sino ai nostri giorni. Noi non andremo indagando quali sieno state le cause che ritardarono il passaggio indispensabile dalla meccanica razionale alla pratica. Solo diremo che la seconda non può sussistere senza la prima, e che la prima è affatto inutile senza la seconda. Al qual proposito però non possiamo passar sotto silenzio 1' opposizione che tutto giorno vien fatta, cioè che la pratica non ha bisogno alcuno della razionale, dicendosi: che le più grandi scoperte meccaniche sono dovute al caso; che i più celebri meccanici non ebbero cognizioni teoriche, e si portano in esempio Ferracina, Zabaglia, Rcnuequin ed altri; e che famosi -matematici non corrisposero menomamente alla loro celebrità quando vollero applicare i loro principj. Alla quale opposizione crediamo di dare la più convincente risposta riportando le parole del celebre Borguis sullo stesso subbictto. Non si può negare, dic'egli, che il caso si compiaccia talvolta di svelare importanti fenomeni ed utili applicazioni sfuggite alle laboriose investigazioni dei dotti; ma bisogna per ciò che le cause produttive sieno della massima semplicità, e che indipendenti da. agni proporzione fisica e determinata, non esigano alcuna preparazione preliminare. Così il fortuito miscuglio di alcune sostanze diede esistenza ad importanti chimiche combinazioni; così due lenti situate senza premeditazione parallelamente a qualche distanza, e dirette verso un punto lontano, risvegliarono l' idea dei canocchiali. Ogni volta che manca questa semplicità, ogni volta che alcune cause necessarie complicate esigeranno il concorso di molte circostanze combinate secondo leggi stabili, è assurdo il supporre che il caso vi possa influire. E la mania di quelli che pretendono di ottenere senza cognizioni ciò che esige l'applicazione delle teorie più sottili ed esatte, non è meno ridicola di quella di un ignorante villano che volesse comporre un poema epico. Che se taluni famosi meccanici si dicono sprovveduti di cognizioni teoriche, fa d'uopoben determinare ciò che significhi teoria. Essa non è altro che la riunione regolare, e la concatenazione metodica di tutti i fatti relativi ad un effetto qualunque naturale od artifiziale. Questi fatti sono somministrati dalla sperienza; e la teoria può acquistarsi con lo studio, o con la sperienza medesima, quando sia diretta da uno spirito giusto e penetrante. Per lo che tante saranno le teorie quanti sono gli effetti naturali od artifiziali; e la conoscenza di una non suppone necessariamente quella di un' altra, benché molte abbiano grande affinità, e quasi una specie di figliazione comune. Senza dubbio Zabaglia, Ferracina,Rennequin erano forniti di cognizioni molto limitate, che non si estendevano al di là della meccanica pratica, e che abbracciavano un solo ramo particolare. Essi non tentarono mai di oltrepassare questi
stretti limiti, ma conoscevano profondamente la teoria completa, esatta e solida di quel ramo, a cui si erano unicamente consacrati: teoria che non acquistarono con lo studio, avendo la sola sperienza svelato loro tutti i fatti relativi più importanti, tutte le particolarità più utili; ed avendo la penetrazione dello spirito, la giustezza del giudizio disposti questi fatti nel loro intelletto secondo le reciproche dipendenze. La poca estensione delle loro cognizioni con ribuì forse a dar loro maggiore profondità: ma sarà permesso di credere che una somma più considerabile di cognizio ni non sarebbe loro stata inutile, e lì avrebbe anzi posti in caso di rendere maggiori servigi alle scienze ed alle arti (i). La sventura poi di alcuni celebri matematici, che andarono errati nelle appIicacioDi, non fa prova sulla inutilità delle scienze esatte, ma bensì sulla insufficienza di quelle scienze per dirigere da sè sole le operazioni pratiche, dovendo le medesime essere accompagnate dalle cognizioni sperimentali; per cui riunendo intimamente le une alle altre, si può soltanto sperare risultati utili e soddisfacenti. Dopo di che il citato Borguis conchiude, che niuno può pretendere di dare perfezione od incremento alla scienza, senza acquistare le cognizioni necessarie, per mezzo dello studio o di una pratica illuminata e non puramente abituale. E soggiunge: se voi siete animati da una teudenza straordinaria verso la meccanica, se l' ingegno v' infiamma, se la natura vi fece un dono sì raro, accordato solo ad alcuni esseri privilegiati, sappiate che 1' ingegno è un germe preziosissimo, ma eh' esige una diligente coltura per essere frutti- fero; sappiale che se si confida ad un terreno incollo resterà probabilmente soffocato dalle erbe maligne e parassite, e che, se dotato di un vigore straordinario giunge a sviluppar li) Antonio cauto trattò diffusamente questo subbietto in una sua memoria letta all'Istituto di Scienze, Lettere ed Arti in Padova ne' giorno 16. Mano 1819. che porta il titolo: Quali mezzi d'istruzione possono avere certi uomini, i quali senza alcuna apparente coltura, immaginano ed eseguiscono nuove ed ingegnose macchine. In questa memoria dopo aver parlato della vanità di un istinto od ispirazione naturale in tali argomenti, mostra che queste invenzioni debbono esser il frutto di lle osservazioni, degli sperimenti e di profonde meditazioni sulle forze della natura, e sulle macchine esistenti, e quindi che i gabinetti, le officine, gli arsenali possono tener luogo di altrettante utili scuole. Indi rettificando gli errori dei biografi, che sempre tendono al maraviglioso in favore dell' uomo che lodano, mostra la semplice via seguita da quei pratici rinomati che nulla conoscevano di teoria; e trattenendosi in ispecialità sopra il Bassanese Ferracina mostra un fondato dubbio sulla intensione attribuitagli della tanto celebrata macchina idraulica della casa Beicgno, consistente nella combinazione di due elici di Archimede; combinazione che il Collallo osservò in molte raccolte di macchine, e particolarmente fra quelle del Rameli e del Bochlero, i cui disegni potevano essere facilmente veduti dal Ferracina, che doveva essere avidissimo di cercare tutto ciò che riguardava la meccanica. si, i suoi frutti aspri e selvaggi non avranno mai quella bellezza ammirabile, nè quel sapore squisito che si ottiene unicamente per mezzo della coltura, e eh' è la ricompensa riserbata all' abilità ed alla pazienza dell' attento coltivatore. Riportammo con compiacenza queste opinioni del più celebre trattatista meccanico dei nostri giorni, perchè affatto consone al nostro modo di vedere sulla necessità di studiare i principi teorici per ben riescire nelle pratiche operazioni, come cercammo di mostrare in tutti questi nostri studj vitrovimi. E solo aggiungiamo una prova di fatto. Si contano alcuni pratici che fecero qualche sorprendente operazione: si contano alcuni teorici che male riescirono nella pratica: breve è il novero dall' una e dall' altra parte. Invece numerosissime sono le opere meravigliose che si eressero nei tempi antichi e nei moderni: e queste furono prodotte da ingegni straordiuarj, i quali riunivano le cognizioni teoriche alle pratiche. E perchè non si fa un confronto fra queste e quelle produzioni? In ogni opera sì dell' uomo che della natura vi sono alcune anomalie, che si ammirano o si dispregiano, ma non si assumono a regola generale, la quale deve dedursi dalla maggiore uniformità negli effetti. D' altronde ritenendo, siccome lo è, che i celebri pratici abbiano formata nella loro mente una teoria desunta dalla sperienza e dall' esame dei singoli fatti, è chiaro che maggior fatica e maggior tempo dovrassi impiegare a raccogliere da sè soli le leggi fondamentali, di quello che seguendo le stabilite da coloro che ci precedettero. Se ognuno dovesse seguire la sola sperienza, le cognizioni umane nou progredirebbero oltre a quel punto, a cui potesse farle pervenire un ingegno straordinario. II. In questa giunta però noi esporremo un epitome delle proposizioni fondamentali relative alla meccanica razionale, divisa nelle sue quattro parti dipendentemente dallo stato e dalla natura dei corpi eh' essa considera, e che sono Statica, Dinamica, Idrostatica, ed Idrodinamica. Nella giunta susseguente parleremo della parte della meccanica che si riferisce particolarmente alle macchine, e per la quale sono necessarie queste leggi fondamentali. All' epitome indicato premetteremo le leggi fondamenta, li dedotte dal principio delle velocita virtuali (i), e che
sono: i°. La legge generale dell'equilibrio delle macchine, nella quale si suppouc che due forze applicate a due punti legati fra loro dai corpi, flessibili o rigidi, di cui è formata la macchina, sicuo in equilibrio. La più piccola modificazione in una di quelle forze rompe l'equilibrio, e ciascuno dei due punti di applicazione descrive nel primo istante un elemento di curva. Se la direzione delle forze è quella stessa delle linee descritte dai punti di applicazione, le forze stesse sono in ragion inversa delle velocita virtuali; se poi quella direzione forma un determinato angolo con quelle linee, le forze stanuo inversamente delle proiezioni dei piccoli spazj descritti dai punti di applicazione. 5°. Il principio conosciuto sotto il nome di Conservazione del moto del centro di gravità, per cui l'azione reciproca fra i corpi che costituiscono un sistema libero, non altera menomamente il moto del suo centro di gravità; la qual verità non è che un corollario della proposizione generale che il centro di gravità di un si(tema libero, il quale non racchiude alcun punto fisso, si muove nello spazio come se le masse di tutti i corpi, che lo compongono, vi fossero riunite e tutte le forze motrici applicate immediatamente a questo punto di riunione, mantenendosi parallele alle loro primitive direzioni e costanti nella loro intensità. 13' onde ne segue che un punto non può cangiare il suo moto senza il concorso di cause estrinseche, e movendosi solo per velocità preconcepite o per impulsi momentanei, il suo moto sarà uniforme e rettilineo. 3". Il principio che dietsi della Conservazione delle aree, il quale ha luogo quando si considerano diversi corpi collegati fra loro in qualunque maniera, e sottoposti ad una vicendevole attrazione, i quali senza essere animati da alcun' altra forza acceleratrice, e seuza che vi sia fra loro alcun punto fìsso, si muovono intorno ad un punto qualunque. In tal caso si dimostra, che li dui punto, intorno a cui si muovono, si (ì) Per velocità virtuale di una forza »' intende il minimo spazio die il suo punto di applicazione descrive per un moto minimo secondo la dilezione della fòrza medesima Suil' estesa applicazione di ipesto principio si vegga la meccanica analitica del sig. la Grange. conducono i raggi vettori, che accompagnino i corpi nel loro moto, la somma delle proiezioni delle aree descritte attorno il centro, sopra un piano che passi pel centro stesso, moltiplicata ciascuna per la massa a cui appartiene, è proporzionale al tempo impiegato a descriverle. Da cui ne segue, che anche le aree descritte da un corpo sollecitato da una forza centrale intorno al centro, saranno proporzionali ai tempi. 4'° Il principio della conservazione delle forze vive. Ecco in che cosa consiste. Si consideri un sistema di corpi in moto, i quali sieno soggetti ad una reciproca attrazione, o ad altre attrazioni dirette verso centri fissi: sieno i punti di questo sistema collegati fra loro o ad altri punti fissi comunque; e sieno tutti questi corpi, o soltanto una parte dei medesimi, obbligati a descrivere determinate curve o superficie. In un tale sistema la variazione della forza viva totale del sistema (i) cangiando di posizione, non dipeude dalle cui ve descritte; e sarà costante se Don vi sono forze accelerataci, ovvero se anche vi esistono forze accelera-. trici, la forza viva del sistema tornerà ad essere la stessa, quando i corpi dopo un tempo qualunque sieno tornati alla stessa relativa posizione. Da questo principio si deduce che un corpo isolato, spinto da un impulso primitivo e non sollecitato da forze acceleratrici, ha un mcjo uniforme indipendente dalla curva ch'esso percorre. Se invece poi di un sol corpo si considera un sistema composto di punti materiali liberi, la diminuzione della forza viva totale in un tempo finito, avvenuta in causa del reciproco legame di quei punti, è una quantità infinitamente piccola, e perciò anche la forza viva totale si ritiene costante quando non hanno luogo forze acceleratrici. Bisogua però avvertire che questo principio non ha luogo quando il moto succede in un mezzo resistente, o quando i corpi sono soggetti all' attrito; perchè in tal caso la forza viva totale va continuamente diminuendo, e termina coli'estinguersi; di più è necessario che il moto sia soggetto alla legge di continuità, perchè un cangiamento ini fi) Forza viva d'un corpo è il prodotto della sua massa pel quadralo della sua velocità. Forza viva totale del sistema è la nomina della forze vive dei corpi che lo compongono.
I provviso produce una perdita di forza viva, la quale pel riprodursi di questi cangiamenti può anche divenire zero. Questa diminuzione di foiza viva ha luogo nell' urto dei corpi duri; non però negli elastici, quando 1' elasticità sia perfetta, perchè ogni particella si restituisce al punto di prima, e quindi la forza viva si riproduce interamente. EPITOME DELLE PRINCIPALI PROPOSIZIONI DI MECCANICA. STATICA. III. Oggetto di questa parte della meccanica è l'equilibrio dei corpi solidi sottoposti all' azione di più forze. Per forza s'intende la facoltà che ha uu corpo di muoversi o di muovere gli altri. Due forze sono eguali se applicate in senso contrario ad uno stesso punto, od alle estremità di una stessa retta non Cangiano lo stato del corpo. Un numero n di forze eguali applicate nella stessa direzione costituiscono una forza unica n volte maggiore di ciascuna di esse. Due forze applicate ad angolo ad uno stesso punto, e rappresentate da rette determinate prese sulle loro direzioni, possono essere sostituite da una sola- forza rappresentata dalla diagonale del parallelogrammo costrutto intorno a quelle rette. Le due prime diconsi componenti; l'ultima risultante. Date tre forze parallele, una delle quali sia risultante delle altre, due qualunque delle medesime stanno in ragione inversa delle perpendicolari abbassate sulle loro direzioni da qualunque punto preso sulla direzione della terza. Da queste proposizioni generali dipende tutta la teorica della composizione e risoluzione delle forze. Le condizioni di equilibrio dipendono poi dalla ricerca della risultante di tutte le forze, perchè basta opporre alla stessa un' altra forza eguale e contraria. La determinazione di queste condizioni riguarda od un corpo solo, od una macchina semplice, poiché facile ne è 1' applicazione ad un sistema di corpi, o ad una macchina composta. Tra le forze che sollecitano un corpo si deve annoverare la gravità. Se il corpo è solido vi esiste in esso un punto, fissato il quale resta il corpo in equilibrio qualunque sia la sua posizione, punto che dicesi centro di gravità. Generalmente il centro di gravità di un corpo qualunque si determina con ricerca geometrica allo stesso modo che si assegna il centro di un qualunque numero di forze parallele, poiché la gravità agisce sopra ciascuna molecola con direzioni parallele. Particolarmente poi si determina in alcuni corpi regolari nel modo seguente. i°. Il centro di gravità di una linea geometrica pesante, è alla sua metà. 2°. Di un triangolo, ai due terzi della retta condotta da un angolo alla metà del lato opposto, contando dall' angolo stesso. 3. o Di un trapezio si ricava dalla formola | . -^p» essendo a, b le due basi, e c la linea che unisce le due metà delle stesse. 4." Di una piramide è ai tre quarti della retta, che va da un angolo al centro di gravità della faccia opposta, contando dall' angolo. 5. o Di un arco circolare si trova sul raggio che lo divide per metà, calcolando la sua distanza dal centro del circolo, la quale è quarta proporzionale dopo il raggio, 1' arco, e la corda che lo sottende. 6. o Di un arco cicloidale, al terzo del diametro del circolo generatore che lo divide per metà, contando dalla sommità della curva. 7.0 La distanza dal centro di gravità di un settore circolare al centro del circolo è quarta proporzionale dopo 1' arco, la sua corda e i due terzi del raggio, contata sul raggio che lo divide per metà. 8.° Di un segmento di circolo sta sul raggio che lo divide per mezzo, e la sua distanza dal centro del circolo è la duodecima parte del rapporto che passa fra il cubo della corda e l' area del segmento. <)." Di una calotta sferica, alla metà della freccia. So." Di un emisfero ai tre ottavi del raggio, contando dalla base. Di una semi-ellissoide ai tre ottavi del terzo semidiametro principale, contando dalla base. 19." Di un segmento di paraboloide ai % dell' ascissa« partendo dal vertice. t3.° Di un segmento di iperboloide sta fra i ed i 5 dell' ascissa (i). 'Considerando poi qualunque numero di forze applicate ad un punto od elemento materiale libero, vi sarà
equilibrio quando la risultante di tutte le forze che lo sollecitano sia nulla, ed essendo equilibrio, se quelle forze sono rappresentate da rette, il punto sollecitato sarà il centro di gravità dei punti estremi delle rette medesime, considerandoli siccome gravati da pesi eguali. Nel considerare però l' azione delle forze non si ha riguardo soltanto al punto di applicazione, ma ben anche alla sua distanza da un asse, intorno al quale le forze tendono a far girare il sistema. Questa maniera di considerare le forze serve principalmente a determinare le condizioni di equilibrio nelle macchine. I meccanici per brevità di espressione hanno convenuto di chiamar momento di unaforza il prodotto della quantità che la rappresenta per la distanza dalla sua direzione all' asse stabilito, detto asse di rotazione. Provenne da ciò il teorema generale: „ Quando più forze agiscono „ sopra un sistema di corpi, tendenti ad aggirarlo in più „ sensi, se la somma dei momenti di quelle che tendono a farlo girare in un senso si eguaglia alla somma dei mo- „ menti di quelle che tendono a farlo girare in senso contrario, vi sarà equilibrio; e viceversa". Dal quale si deduce la comodità di poter cambiare direzione e grandezza alle forze, quando però stieno in piani perpendicolari all'asse di rotazione, e quando si conservino le stesse somme dei momenti. Applicando il principio dei momenti all' equilibrio delle macchine semplici, si dedussero i seguenti rapporti fra la potenza e la resistenza. i.° nella leva stanno in ragione inversa delle due perpendicolari abbassate dal punto d' appoggio sulle loro direzioni. (l) La forinola generale per questo segmento è X = ■—. » 12 a + 4* essendo X la distaci» cercata, x 1' ascissa, a il semiasse di rivoluzione. 2. ° Nella carrucola fissa devono essere eguali. 3. ° Nella mobile devono stare come il raggio della carrucola alla sottesa dell' arco abbracciato dalla lune. 4." Neil' asse nella ruota come il raggio del cilindro a quello della ruota o della manivella. 5. ° Nel piano inclinato come 1' altezza alla base del medesimo. 6. ° Nella vite come il passo della vite alla circonferenza che la potenza tende a far descrivere al suo punto di applicazione. j.° Nel cuneo sta la potenza applicata normalmente sulla sua testa, alla pressione eh' essa esercita perpendicolarmente a ciascun lato del cuneo, come l'ampiezza della testa alla lunghezza del lato. Dalla combinazione di queste macchine risulta tutta quella prodigiosa quantità di macchine composte, di cui particolarmente in questi ulti mi anui vanno ricche le arti e i mestieri. DINÀMICA. IV. La Dinamica, con poca proprietà di espressione, è quella parte della meccanica che tratta del moto dei corpi. L' elemento fondamentale del moto è lo spazio. Il tempo, o, in altri termini, l'intervallo fra due istanti successivi, non si ha che mediante alcuni spaz] percorsi (i). Lo spazio ed il tempo, questi due infiniti, dice Baiily, che racchiudono tutti gli esseri creati, misurano il moto, la velocità e la forza. L' ordiue e la disposizione di questi esseri, quando si considera il loro insieme, costituiscono lo spazio o l'eMensione. Il moto trasporta il corpo da un punto all' altro dello spazio. Il tempo non è che la successione degli esseri, o meglio, il rapporto fra i moti di diversi corpi. La velocità si misura dallo spazio precorso in una unità di tempo-, ovvero essa è il rapporto fra 1' elemento dello spazio e quello del tempo. Un corpo dicesi più veloce di un altro, quando
percorre un medesimo spazio in minor tempo, od un maggiore spazio nel medesimo tempo. Quel fondamento della potenza, quella causa del moto, quella specie di vita che in un corpo succede allo stato di morte all' inerzia, quel segreto della natura per cui si formò e si regge l' universo e che non ci sarà forse mai disvelato, la forza, non può essere misurata che pei suoi effetti, i quali sono elastri compressi, pesi sollevati, corpi urtati e messi in molo, spazi percorsi. Il principal termine di confronto è la velocità che imprime ad un corpo detcrmiuato. La forza dicesi motrice quando imprime istantaneamente una velocità infinitesima a qualsiasi massa; acceleratrice quando la imprime ad una unità di massa; quindi la seconda non è che l' elemento della prima, cioè
la motrice eguaglia l' acceleratrice moltiplicata per la massa. L' intensità dell' acceleratrice poi non è che il rapporto fra 1' elemento della velocità e quello del tempo; ossia fra 1' elemento dello spazio ed il quadrato dell' elemento del tempo (i). Se la forza acceleratrice abbandona il corpo dopo dato il primo impulso, il moto si dice uniforme, poiché, prescindendo da ogni" ostacolo o da altre forze che lo turbino, in tempi eguali percorre spazi eguali. Se invece di abbandonarlo agisce sopra di esso continuamente, il moto dicesi vario. Se la fòrza che agisce è sempre la stessa, si chiama uniformemente variato. Nel moto uniforme, essendo la velocità costante, gli spazi percorsi sono proporzionali ai tempi impiegati a percorrerli. Nel moto vario le velocità variano coi tempi; e gli spazi come i quadrati dei tempi, o come i quadrati delle velocità (2). Forza acceleratrice in natura è la gravità; essa è co
(tante in un medesimo punto della superficie terrestre; tutti 1 corpi, indipendentemente dalla loro massa, sono sottoposti alla sua azione, che incessantemente li attrae verso il centro della terra, a cui si dirigono effettivamente se sono liberi, o vi tendono quando qualche ostacolo vi si frappone. A misurare la intensità di questa forza serve il doppio spazio eh' essa fa percorrere ad un corpo libero in un minuto secondo; questo spazio osservato a Parigi è di metri 4,9044, quindi la misura della gravità che suole indicarsi per g, sarà 9,8088. Questo valore varia con la latitudine; sicché se si rappresenta con g la gravità ai 45" di latitudine, e con g' quella ad una latitudine qualunque f, si trova con la sperienza essere g' r: g ( 1 - 0,002837. cos. ) (1). L'aumento della gravità dall' equatore al polo è di circa ~- del suo valor medio. L' azione della gravità, come si disse, si esercita egualmente sopra ogni corpo, qualunque sia la sua massa, che in confronto di quella della terra è trascurabile; perlochè si deve ritenere che agisca su tutte le molecole di un corpo, il quale si considera siccome l'unione di punti materiali, a cui sieno applicate altrettante forze uguali e parallele, dirette nello stesso senso, la risultante delle quali chiamasi peso del corpo (1). In virtù di questa forza un grave percorre nelle successive unità di tempo degli spazj che formano la progressione dei numeri impari naturali. Volendo perciò lanciare un corpo ad una determinata altezza, sarà necessario d' imprimergli una velocità eguale a quella che avrebbe acquistata discendendo dalla medesima altezza La gravità è pure la forza che anima i corpi discendenti per piani inclinati, ma (1) Se la latitudine è maggiore di 45°, il cos. sarà una quantità negativa, e perciò la gravità sarà maggiore di g, per cui al polo estendo cos. E- 1 ai ha g' = g ( 1 + 0,003837 ); in vece all' equatore ove co». J = 1 si ha g J. g ( io,ooa857 ). (3) Esprimendo con m la massa di un corpo, con v il volume ossia lo spazio che occupa, con d la densità ossia il rapporto fra la massa ed il volume, con g la gravità e con p il peso; le relazioni che passano fra queste quantità sono comprese nelle due forinole aeguenli ro 3 vd; p 3 mg. ViTBvrio, Lib. x. 8 1 effetto non corrisponde assolutamente a tutta la sua intensità in causa della resistenza del piano; però vi esistono alcuni rapporti determinati fra gli elementi del moto. Cioè: la velocità che il grave acquista dopo aver percorsa la lunghezza di un piano inclinato è uguale a quella che avrebbe acquistata discendendo liberamente per 1' altezza del piano medesimo; quindi se diversi piani inclinati hanno un' altezza uguale, la velocità acquistata alla loro estremità inferiore sarà la stessa in ciascuno di essi: nel medesimo tempo che percorre l' altezza percorrerebbe una porzione di lunghezza determinata dalla perpendicolare abbassala su questa dall'estremità inferiore dell'altezza; quindi le corde di un circolo che hanno origine all' estremità del diametro verticale sono tutte percorse nel medesimo tempo da punti materiali che partono dalla sommità senza velocità iniziale: lo spazio poi descritto lungo il piano ha coli' altezza verticale coriispondente il rapporto del raggio al coseno dell' angolo che fa il piano stesso coli' orizzonte. Effetto della gravità sono pure le oscillazioni del pendolo, fenomeno osservato da Galileo, e le cui leggi furono dallo stesso determinate. La durata delle oscillazioni cresce con la lunghezza del pendolo, e diminuisce coli' aumentare della gravità (i). Il pendolo, che il celebre Huygens seppe applicare alla misura del tempo, servì a mostrare non solo che la gravità varia con la latitudine, come dicemmo, ma ben anche colla elevazione sopra il livello del mare; come provò Bouguer (2). Le altre forze naturali che direttamente si riferiscono alla meccanica sono: l' elasticità dei corpi solidi e degli aeriformi, 1' urto dei fluidi, e le forze animali. La forza elastica di una lama incurvata si misura dietro l'ipotesi che
sia proporzionale alla quantità, di cui 1' elaslro venne rimosso dal (1) Detta T la durata di una oscillazione, A la lunghezza del pendolo, g la gravità, T il rapporto costante fra la circonferenza ed il diametro di un circolo si ha T =
ciascuna molecola è sempre premuta con una forza eguale al peso della colonna di fluido che le soprastà verticalmente. 9.° Tutto ciò che viene premuto da un fluido, lo è secondo la verticale che passa pel suo centro di gravità. 5.° I fluidi premono egualmente in tutti i sensi, o, ciò eh' è lo stesso, applicando una pressione qualunque ad un punto della superficie di un liquido, questa si trasmette egualmente a tutti gli altri punti del liquido stesso (i). Questi principi, o per meglio dire queste proprietà dei fluidi, si deducono dalla spcrienza. E particolarmente dalla terza si fa dipendere 1' essenziale differenza tra i fluidi ed i solidi. Noi però seguiamo V opinione adottata dal prof. Venturoli (a), cioò che non debba assumersi a fondamento dell' idrostatica alcuna di quelle proprietà, nè alcun' altra ipotesi, consistendo il vero carattere dei fluidi nell' essere le particelle elementari sciolte e sconnesse, e potendosi pervenire con questa sola considerazione direttamente all' equazione dell' equilibrio; tanto più che la facoltà di trasmettere la pressione per ogni verso non si può dire propriamente caratteristica dei fluidi, propagandosi questa egualmente tanto nei fluidi che nei solidi, con la sola differenza che le singole particelle dei solidi impedite dalla tenacità non ponno ubbidire alla pressiou prevalente; dovechè le fluide essendo libere a muoversi per ogni lato, cedono prontamente portandosi a quella parte dove il contrasto delle pressioni è più debole. Ecco però i principali teoremi che se ne dedussero. i. Quando un fluido è equilibrato, dicesi superficie di livello quella, in cui la pressione è nulla e costante, e perchè non si rompa l' equilibrio la direzione della forza sollecitante deve coincidere con la normale alla superficie di livello. (i) Chi volesse vedere lo sviluppo di questa ipolesi provala dalla sperieuza, potrà ricorrere ci trattato di meccanica del sig. Poisson nella; parte idrostatica, tom. IL (a) Eleni. A' Idraulica, cap. 3. a. La pressione di un fluido sopra una superficie eguaglia il peso di una colonna dello stesso fluido avente per base quella superficie e per altezza la sua profondità sotto il piano di livello. Se invece sarà un piano grave, 1' altezza di quella colonna corrisponderà alla distanza del centro di gravità del piano alla superficie di livello. 3. Un liquido omogeneo si compone allo stesso livello liei due rami di un sifone. 4> Un liquido eterogeneo non può essere in equilibrio «e la superficie di separazione degli strati di diversa densità non sono orizzontali; nè l' equilibrio stesso può mantenersi se gli strati più densi non sono i più bassi. E se questi liquidi si equilibrano in un sifone, le altezze dei loro livelli stanno in ragione reciproca delle loro densità. 5. In un piano premuto da un fluido vi esiste un punto, pel quale si suppone passare la risultante di tutte le pressioni esercitate sopra ciascun suo elemento; quel punto dicesi centro di pressione (a). E se il piano è un parallelogrammo che rada col lembo superare il livello dell' acqua, il centro di pressione è ai due terzi dell' asse coutati dalla sommità; in un triangolo colla base all'ingiù è ai tre quarti, e colla base superiormente alla metà. 6. Immerso un solido in un fluido, la pressione di questo sulla superficie del primo eguaglia il peso della massa fluida scacciata dal solido. Ed egualmente la pressione totale del fluido sulle pareti di un vase che lo contiene, equivale al peso del fluido stesso; da cui ue segue che un solido immerso nel fluido perde tanta parte del suo peso quanto è il peso della massa fluida spostata; e che per essere quel solido in equilibrio deve il suo peso eguagliare quello della massa fluida spostata non solo, ma che inoltre i centri di gravità del solido e del fluido spostato cadano nella stessa (l) La forinola generale per determinare questo centro è n ~ ^ / (h + x) vilx ote D rappresenta la distanza del centro cercato al livello del fluido, h la dista oza del lembo superiore del piano a] livello stesso, x 1' ascissa coniata sul!' asse intorno a cui il piano si suppone sinioietl'ico, ed j l' ordinata a quest1 asse. verticale. Da questo principio sperimentale si deduce il metodo per determinare la gravità specifica dei corpi tanto solidi, che fluidi, prendendo per unità di confronto l'acqua distillata. 7. Tra i fluidi elastici omogenei e di uniforme temperatura si considera 1' atmosfera; e siccome la pressione di questa si misura dal peso di una colouna di mercurio che fa con la stessa equilibrio, così si trovò che alla superficie del mare ed alla temperatura zero la pressione media dell'atmosfera è misurata da una colonna di mercurio alta metri 0,76. Da qui ebbe origine la livellazione barometrica più spedita, ma meno esatta della livellazione ordinaria dipendente da misure trigonometriche; la diversità è però trascurabile a segno, che questa livellazione si considera
siccome una delle più utili applicazioni dell' idrostatica. IDRODINAMICA. VII. Torricelli verso il i643. fu il primo ad osservare il moto d'un fluido che esce da un piccolissimo orifìzio circolare orizzontale. Vide che I' altezza del getto verticale giungeva quasi a quella del livello del fluido, e conchiuse che fatta astrazione dagli attriti e dalla resistenza dell'aria, la velocità dell'acqua all'orifizio eguagliava quella che avrebbe acquistata discendendo dall'altezza determinata dal piano orizzontale dell'orifìzio e dal livello dell'acqua. Questo fu il primo fondamento dell'Idrodinamica. !a quale fu poscia arricchita di molte sperienze da Daniel Bsrnoulli, da Venturi, da Bossut, da Rrunacci, da Mariolte, da Prony e da tanti altri celebri idraulici dei nostri giorni. Ma tanta e tale è la difficoltà delle sperienze medesime che finora non si è potuto formare di esse un corpo di scienza, ma soltanto stab.lire alcune proposizioni relative ai singoli casi, e contentarsi nella maggior parte di un' approssimazione anziché conseguire l'esattezza propria del calcolo. Tuttavia molte fra le preposizioni sono fondamentali, e servono di guida alle sperienze che si vanno tuttavia eseguendo (1). Noi indicheremo qui le (1) Si stabilirono a priori due equazioni, 1'una della della contimuti, e F altra delle Jone sollecitanti, le quali comni'ndouo la teoria più importanti conclusioni che si dedussero dalle falle sperienze. i. Considerando il moto lineare dei fluidi si troyò che in un istante determinato la velocità è inversameote propor- . zionale all'area della Sezione. i. Benché il moto iniziale dell' acqua effluente da un vaso, che si mantiene costantemente pieno, sia uniformemente accelerato, pure diminuendo rapidissimamente l'accelerazione si può ritenere in pratica senza errore sensibile che fin dal1' efflusso la velocità sia costante. 3. La velocità permanente dell'efflusso da un vaso per una piccola luce è dovuta all'altezza verticale dell'acqua sopra il centro della luce medesima; e per ciò si applicano al moto di quest'acqua le stesse leggi dei projetti, cioè: il getto descrive uua parabola, il cui parametro è il quadruplo dell'altezza del livello del recipiente sopra il centro della luce (i). 4- Considerando la pressione in una sezione di un'acqua corrente, se la sezione è molto larga in confronto della luce per cui si vuota il vaso, la pressione è rappresentata dall'altezza dell'acqua sopra il centro della sezione, come se l'acqua fosse stagnante; se poi la sezione è angusta, ed almeno comparabile all'area della luce, la pressione è rappresentata dall'altezza suddetta diminuita dall'altezza dovuta alla velocità con cui 1' acqua corre per questa sezione. 5. Fra i fenomeni più importanti nel moto dei fluidi si contano quelli del gorgo e della vena contratta. Il gorgo è una conoide che si forma presso al foro, per cui si vuota il vaso, alta circ i tre raggi del foro, la cui base superiore è Ir. sezione del vaso, e l'inferiore l'area del foro. La vena contratta è pure una conoide, che si forma al di fuori della luce, quando questa sia aperta in una lastra sottile, e che si dell' Idrodinamica, ma queste non possono valere nella massima generalità, perchè non si sanno generalmente integrare. Soltanto in alcuni casi nei quali si riducono più semplici, servono alle speciali ricerche. (l) Ritenendo fin dal principio del moto che la velocità sia costante, la forinola eh' esprime la portata, ossia la quantità di fluido eh' esce in un detcrminato tempo è Q = ft JS M g j dove Q è la portata, / l' irea ■Iella luce, ( il tempo, a 1' altezza verticale del vaio, e la gravità. può considerare come una continuazione del gorgo; la sezione che si considera è quella fatta sul punto del massimo restringimento, il quale dista dal foro poco meno di un raggio del foro stesso. Per questi due fenomeni si deve considerate un vaso prismatico che si vuota siccome terminato da un tubo convergente, che risulta dal gorgo e dalla vena contratta, la cui forma è sconosciuta, la lunghezza è circa quattro raggi del foro, la base superiore è la sezione del vaso, e la inferiore corrisponde in medio ai sei decimi dell' area del foro. Siccome l'accelerazione del moto termina alla sezione della vena contratta, così, quando questa ha luogo, la velocità del fluido è precisamente dovuta all'altezza della sua superficie sopra il centro della sezione suddetta. Questa verità non ha dimostrazione diretta, ma solo fu confermata da replicate sperienze; dalle quali pur si deduce che la posizione e la misura della contrazione non varia pel variar della direzione del getto, dell'altezza del recipiente, e dell'ampiezza del foro purché quest'ultima sia sempre molto piccola in confronto di quella del vaso (i). 6. Quando la luce è molto ampia, per cui le profondità dei suoi vari punti sotto il livello differiscono cousiderabilmenle, devonsi considerare tutti gli elementi della luce come luce di altrettanti tubi, che versano il fluido con velocità dovuta alla rispettiva altezza; e la portata totale sarà la somma delle portate parziali. Allora si
determina l'altezza media del fluido sopra la luce, cioè quell'altezza che se fosse comune a tutti gli elementi della luce darebbe la stessa portata che danno questi collocati a diverse altezze. Quest' altezza media è una funzione delle coordinate del piano della luce della sua area, e dell'altezza del piano di livello sopra l'origine delle ascisse: varia quindi colla figura della luce. Ma la sua espressione è semplicissima per alcune figure e circostanze (l) Quando si voglia conoscere la porta", nel caso che abbia luogo la contrazione, la Corniola esposta nella nota precedente divicnn Q 3 o, 6 n V"i% ( a + a' ), dove il coefficiente numerico 0,6 è il rapporto fra l' area del foro e quello della sezione della vena, ed a' V altezza del centro del foro sopra il centro della stessa sezione. Siccome però a' è trascurarle in confronto di ù, cosi ai pub ritenace Q = o,6ft^^7. determinate. Per esempio, se la luce è collocata a livello del fluido, e la sua forma è parallelogramraica o triangolare, l'altezza media ba un rapporto semplicissimo colla sola altezza della luce, e se è circolare col raggio (i). Quando però vi sia ogni poco di battente sopra la luce, l'altezza media differisce così poco dall'altezza del livello sopra il centro di gravità della luce, che nella pratica si può ritenere quest'ultima senza errore sensibile. / 7. Per determinare la portata di uno stramazzo r', scaricatore a fior d' acqua, basta sostituire 1' altezza media all' altezza data nella formola suespressa (1). E in questo caso variando soltanto le altezze dell' acqua, si trova che per uno stesso scaricatore i quadrati delle portate stanno come i cubi delle altezze; sempre inteso che il recipiente si mantenga costantemente pieno, o sia tanto vasto che non si abbassi sensibilmente la superficie di livello durante 1' efflusso. 8. La teoria idraulica applica le leggi del moto dei fluidi in generale al moto pei tubi, che ricevono l'acqua da un recipiente mantenuto sempre pieno, e la cui ampiezza abbia un grandissimo rapporto con 1' ampiezza del tubo. E si dedussero riguardo alla velocità ed alla pressione le stesse conseguenze che derivarono dal considerarsi 1' efflusso da vasi costantemente pieni per un piccolo loro. 9. Fu però osservato da Daniel Bcrnqulli che la pressione può divenir negativa per la particolare struttura del tubo; e si trovò che se il tubo è cilindrico o conico convergente, ma con 1' asse orizzontale (qualunque sia la sua lunghezza ), la pressione all' origine del tubo non diverrà mai negativa; ma se in questa posizione è conico divergente la sua lunghezza, perchè non dia una pressione negativa, deve avere un rapporto con le due sezioni superiore ed inferiore
del tubo (i): se poi l'asse non è orizzontale, il tubo cilindrico non potrà avere un' altezza verticale maggiore di metri io,395; il convergente può sorpassarla, il divergente non pud raggiungerla (2). 10. Un altro caso può accadere nel moto per tubi, cioè che la pressione rimanendo positiva divenga però minore della pressione atmosferica; ed allora si ba il fenomeno denominato dal Venturi comunicazione laterale del moto, e consiste in ciò, che aprendo un foro, ove quella pressione è minore, invece di uscire acqua vi s' introduce 1' aria esterna che si frammischia al liquido e rompe la continuità del getto. Dietro il quale fenomeno si determinò, che se un tubo cilindrico, o conico divergente, è inclinato all' iugiù la pressione sarà sempre minore dell' atmosferica; ma non lo è sempre in uno convergente: e se l'asse è orizzontale, nel tubo cilindrico, fra quelle due pressioni, si avrà il rapporto costante di eguaglianza, nel convergente sarà maggiore quella del liquido, nel divergente minore. 11. Si considerò inoltre lo sbocco di un liquido per un tubo aggiunto al vaso, da cui lo si trae, e si vide che questo tubo addizionale alterava la velocità e la portata. Si trovò che se il tubo addizionale è conformato in modo da seguire la naturale contrazione della vena, la velocità dell' efflusso è sempre dovuta all' altezza del livello sopra lo sbocco; ma se non seconda quella contrazione 1' altezza dovuta alla velocità è diversa ; e particolarmente se il tubo è breve e cilindrico corrisponde ai due terzi dell' altezza del recipiente. La portata poi, quando si consideri il tubo situato orizzontalmente, ed adattato ad una luce cavata interiormente a foggia della vena contratta, sta a quella che si avrebbe dalla nuda luce come la sezione della nuda luce sta alla sezione infima del tubo; per cui se il tubo è cilindrico la portata m2 a . (1) Dorrà essere —— "> ■ dove m è la sezione superiore, f 2 A+a
/ 1' inferiore, a F altezza verticale del recipiente, A la pressione atmosferica. (2) Si considera che il fluido sia acqua, la quale non può innalzarsi naturalmente ad un'altezza maggiore di metri io,5g5, perchè una tale colonna d' acqua equilibra la pressione dell' atmosfera. non si altera, se è divergente si aumenta, se convergente si diminuisce. Se poi il tubo è adattato ad una luce praticata in una sottile parete, allora il tubo cilindrico orizzontale accresce la portata della nuda luce nel rapporto prossimo dei numeri io: ci. E considerando una medesima luce praticata iu una lastra sottile, munita di tuba .cilindrico, scavata a seconda della contrazione, darà diverse portate che staranno come io: i3: iti. il. Se il fluido deve scorrere per lunghi tubi, bisogna mettere a calcolo 1' attrito e la tenacità, benché piccola, delle molecole fra loro, e con le pareti del tubo. La determinazione di questa resistenza è una delle meno esatte fra le ricerche idrauliche, e non si danno che forinole ipotetiche, le quali non molto si accordauo con la sperienza. Quello che si può dire si è, che cresce secondo qualche rapporto al crescer della velocità, e al diminuire della sezione del tubo. i3. Se i tubi sono ricurvi la resistenza delle svolte si assume proporzionale al quadrato della velocità ed al quadralo del seno dell' augolo d' incidenza; non però sempre la sperienza vi corrisponde. Le osservazioni però di Bossut, Venturi, du Boat portarono a conchiuderc che i serpeggiamenti verticali rallentano il moto più che gli orizzontali, che le svolte angolati oppongono più resistenza delle curvilinee, come pure le irregolari più che le regolari. i4- Le deduzioni ricavate dalle sperieuze dal moto dei fluidi pei tubi si applicarono al corso equabile dei fiumi, e si trovò coli' esperienza che l' analogia regge benissimo almeno in piccoli corsi. Se vi corrisponda poi anche negli ampi letti non si hanno ancora sufficienti prove. Chi volesse conoscere la relazione nei casi particolari potrà consultare la Tavola data da Prony nelle sue ricerche sulla teoria delle acque correnti (i). Riguardo poi ai canali naturali od arlifi (i) La Corniola generale da la da Prony per trovare la velocità media nel caso equabile dei fiumi è U 53 - 0,07 +' o, oo5 + 5a 53^_^£ B in e-ui U è la cercala velocità, A l' area di una sezione, B il suo perimetro, Q l'inclinazione per ogni metro. ziali si osserva che le velocità non stanno semplicemente nel rapporto dell' inclinazione del letto, ma bensì aumentano grandemente col volume dell' acqua. La velocità poi in uno stesso alveo varia dalla superficie al fondo. Fatto un confronto fra la velocità superficiale nel filone, quella alla metà dell' altezza, e quella presso il fondo, si dedusse che nei casi pratici queste tre velocità stanno fra loro come i numeri 5, 4, 5, cioè la velocità media della sezione è una media aritmetica fra le altre due. i5. Una parte importante dell' idrodinamica razionale per le operazioni dell'ingegnere è quella della resistenza dei fluidi, ma pochi dati ci offrono tanto la teoria, che la sperieuza. Alcuni idrometri fecero diverse ipotesi, fra le quali la più adottata è quella del Newton; altri ricavarono alcune forinole dietro le osservazioni. La teorìa newtoniana mostra che la resistenza diretta di un fluido contro un solido è proporzionale all' area percossa ed al quadrato della velocità; e se 1' urto è obbliquo sta in ragion composta dell' area, del quadrato della velocità, e del quadrato del seno dell' angolo d' incidenza Come dicemmo da principio di questo epitome, non fu nostra intenzione di dare un trattato di meccanica, ma di raccogliere le verità più importanti di questa scienza, e di esporle siccome dimostrate, a solo motivo che gì' ingegneri possano richiamarle d' un sol tratto alla mente. Se questa
fatica non sarà spregiata dai nostri lettori, avremo incoraggiamento a compierne una più importante dello stesso genere, ma con maggior precisione che non si può avere in una semplice giunta ad un testo che si comenta.
GIUNTA IL Delle macchine in generale, e specialmente delle macchine a vapore. I. Macchina è una soda congiunzione di materia avente grandissima forza per muovere i pesi (i): ecco la definizione vitruviana. Un sistema di corpi fissi o mobili, legati fra loro in modo che il moto impresso ad uno si trasmetta agli altri corpi dello stesso sistema, dicesi generalmente macchina; ovvero: macchina è tutto ciò che modifica l'azione di un motore, in guisa che si ottenga risparmio di tempo od aumento di forza: ecco le definizioni moderne. E si potrebbe anche dire essere la macchina (a) un mezzo, pel quale una potenza giunge a vincere una resistenza con alcuni vantaggi; definizione non diversa da quella di Vitruvio eh'è pur esatta, benché combattuta da molti; e ciò solo perchè s'intese sempre la parola latina onerum nello stretto senso di pesi, quando si doveva por mente che anche i moderni meccanici chiamano peso una qualunque resistenza. Parlando delle macchine diremo che queste assumono diverse denominazioni dagli usi a cui si prestano, e perciò chiamatisi macchine architettoniche, idrauliche, militari, teatrali ec. secondo che servono specialmente agli edifizj, alle acque, alla guerra, agli spettacoli; che le macchine sono innumerevoli, benché possano ridursi a quattro elementari che diconsi semplici, cioè la leva, il piano inclinato, il cuneo, e la macchina funicolare; che sarebbe impossibile il descriver (1) Machina est conlinens ex materia conjunciio mnxirnas ad onerum motus htibens virtutes. Ltb. X. cap. 1. (a) Macchina deriva dalla «ce greca mediane, che significa anche iwemione od arte. le tutte, e che per ciò si dovette considerarle sotto un punto di vista generale, e formarne alcune classi. A ciò mirarono molti celebri trattatisti; e specialmente fu Monge il primo a darne un' idea, proponendo un corso di studi in cui si apprendessero gli elementi delle macchine, idea che poi non potè mandare ad effetto, perchè distolto da altre occupazioni, ma che fu afferrata dal non meno celebre Hacliclte (i), il quale classificò le macchine in dieci serie risultanti dalla combinazione dei quattro moti ch'egli denomina: circolare continuo, rettilineo continuo, circdlare alternativo, rettilineo alternativo; e produsse quel suo bellissimo trattato elementare delle macchine ad uso della scuola politecnica [?). Tuttavolta sembrò che questa prima opera non abbracciasse il soggetto in tutta la sua estensione, nè avesse tutto quell'ordine che esso richiedeva. Comparve però un trattato, il quale pare che non lasci desiderar cosa alcuna, a fronte delle molteplici difficoltà, da cui era circondato questo ramo dalle umane cognizioni. L' autore del medesimo (3), il Borgnis, mostrò di appartenere al numero dei veri ingegni, disponendo secondo la reciproca dipendenza elementi che parevano affatto separati, e formando uu corpo di dottrina melodico e regolare. E per ciò fare fu necessario decomporre le macchine tutte nelle loro parli primordiali; ed imitare (1) Traile élementaires des r machine* par M. Haclieltc ancien pro/esseur etc. Paris 1819. (2) Anche il nostro (Jollalto si occupava contemporaneamente di un' opera di «iiuil natura, eh' egli meditava di pubblicare col titolo: Descrizione, maneggio ed uso dei principali stromenti di matematica, applicai/ili nlle scienze ed alle arti, con molti nuovi ed interessanti problemi di pratica; ma le persecuzioni degli uomini e della fortuna, ordinario rrta^giu ilegP ingegni italiani, lo ridussero a morte sul fior degli anni, togliendo all' Italia la gloria di a-.ex prodotto anche in questo genere un' opera che l' ingegno del Collalto poteva certamente porre a livello delle produzioni straniere. (3) Traiti compiei de MrcJumique appliquée aux ari*, contenant V ezpusition métliodique dea tliéorie* et de* experiences les plus utile* pour diriger le choìx, V inventiun, la constriiclion et C emploi de tonte* les e'speca de machine*; par M. I. A. Borgnis. Vati* i3iS. Non deve poi ignorarsi da un ingegnere l' opera di Nichelami, intitolata Il Meccanico inglese, ossia Descrizione ragionata di tutte le macchine ecc., la cui traduzione dall' ii.'glose in francese fu impressa a Parigi nel 1829. cosi, come dice egli stesso, l'anatomico, il quale per conoscere a fondo la struttura e le funzioni vitali dei corpi animali, li decompone in tutte le loro parti organiche, per analizzarle esattamente, esaminarle separatamente, e riconoscere le forme, la disposizione, la maniera d'essere di ciascuna delle medesime; onde confrontandole in seguito discopre l'artifizio ammirabile delle loro diverse combinazioni.
La classificazione del Borgnis segue la varia maniera con cui si applica o si trasmette l'azione di un motore alla resistenza che si vuol vincere od a qualunque effetto che si voglia produrre. ecco un'idea di questa classificazione, desunta dal medesimo autore, lo pensai, die'egli, che tener si dovesse la stessa via dell'anatomico riguardo ville macchine, le quali per la maggior parte sono troppo complicate, onde si possa, senza il soccorso della decomposizione, formarsene un'idea giusta, netta, distinta e sopra tutto durevole. Ma non basta, per giungere a ciò, il deeomporne alcune separa IH mente, bisogua sottometterle all'analisi tutte simultaneamente; la qual analisi simultanea, per quinto a primo aspetto possa sembrare impraticabile, pure per poco che vi si rifletta la si riconosce non solo possibile ma benanche facile. Difatti è chiaro che gli elementi, i quali producono gli stessi effetti parziali devono rassomigliarsi nelle diverse macchine; così una paletta mossa dal vento sarà sempre la stessa qualunque sia l'uso, a cui essa venga destinata; e le ruote dentate avranno sempre le medesime forme e la medesima disposizione quando tendono ad uno stesso effetto,, benché in macchine essenzialmente differenti. Procedette il Borgnis all'analisi degli elementi meccanici, osservando dapprima che ogni macchina esige essenzialmente un motore. Egli divise in classi questi motori, che sono gli animali, l' acqua nel suo stato naturale, il vapore dell'acqua bollente, il vento, l'elasticità, i pesi, ed alcuni altri; indi suddivise le classi in generi, i geoeri in ispecie, le specie in varietà. Per esempio la classe dei motori animati comprende due generi, l'uomo e gli altri animali; ciascun genere riunisce diverse specie dipendenti dalla maniera di applicare l'azione alle macchine facendo agire il peso semplicemente, o la sola forza muscolare, o la combinazione di ambedue; yiTRvno, Lib. x. 9 le varietà poi dipendono da alcune differenze meno sensibili proprie della maniera di agire di ciascuna specie. Con questo metodo applicato a ciascuna classe di motori ottenne la classificazione completa degli effetti che possono produrre. Osservando poi la macchina, chiamò organi le varie parti che la compongono, e li divise in sei ordini. Il primo abbraccia gli organi ricevitori, e sono quelli a cui vieue immediatamente applicata 1' azione motrice. Il secondo contiene gli organi comunicatori, i quali servono a trasmettere l' azione ad un punto distante dal motore; e siccome questi organi possono trasmettere quell' azione ad una distanza determinata, od a qualunque distanza, cosi vengono distinti in due classi, le quali poi si suddividono in generi, in ispecie, in varietà, per causa di un' altra funzione che devono compiere, eh' è di cangiare talvolta la qualità del moto, perchè quello che il motore imprime al ricevitore non è sempre della stessa natura di quello eh' esige 1' azione finale dell» macchina. Il terzo ordine fu formato dietro l' osservazione che il motore non ha per ordinario il grado di velocità nè di forza richiesto dall' azione finale della macchina, per cui sono necessari alcuni organi che servono a modificare questi due elementi del moto, e che vengono detti modificatorì, distribuiti in sei classi. II* quarto ordine comprende i sostegni, i quali servono a disporre le parti in guisa che i loro moti Siena interamente liberi, senza però che cessino d'avere fra loro quella comunicazione che esige la natura della macchina; e ciò perchè spesso fa d' uopo che in una medesima macchina si effettuino contemporaneamente diversi moti in senso contrario. Il quinto ordine racchiude i regolatori distinti in tre classi, che sono moderatori, direttori, correttori: i moderatori tendono a ridurre il moto uniforme; i direttori regolano il moto rapporto al tempo, alla velocità, ed all' estensione, dirigendo le sue interruzioni, rinnovazioni e variazioni periodiche; i correttori prevengono e diminuiscono gli effetti delle forze passive "e resistenti. Il sesto ordine riguarda quelle parti organiche che agiscono immediatamente sulla resistenza, la qual azione avviene per locomozione, o per pressione, o per percussione, o per attrito, o per separazione. Questo è l' aspetto, sotto cui il Borgnis esaminò e clas, sificò tutte le macchine, delle quali poi nell' opera succitata dà un completo sviluppo in tutte le loro ramificazioni. La qual cosa non possiamo seguire in una semplice giunta, e secondo il piano da noi assunto. Indicammo i principi delle macchine più semplici, nella giunta precedente; la loro combinazione costituisce tutta la innumerevole famiglia delle composte, famiglia che andrà sempre più aumentandosi per opera di quegli ingegni feraci che sapranno trovare combinazioni più utili nei singoli casi. Laonde esporremo qui la pura descrizione di qualche macchina propria per le costruzioni; e ci estenderemo alquanto nel parlare delle macchine a vapore, siccome di quelle che sono ancora quasi affatto straniere alla nostra Italia. IL Per poter però calcolare 1' effetto di una qualunque macchina è indispensabile di conoscere la forza del motore. Nella giunta precedente indicammo le ipotesi più adottate sulla forza prodotta dall' urto dell' acqua nello stato naturale, e del vento, e su quella di una lama elastica, e ci riserbammo di parlare in questa della forza dei motori animati, e del vapore. Ecco quanto possiamo dire su questo proposito. De la Hire (1), Lambert (2) ed altri tentarono di desumere la misura della forza degli animali dall' analisi della loro macchina e dalla disposizione di questa nei diversi atteggiamenti; ma tante e tali sono le anomalie, che non si potè stabilire una certezza teorica, e tutti quelli che vollero applicarne il calcolo alla pratica dovettero assumere i termini medi offerti dalla sperienza, nello stabilire i quali si dovette por mente alla diversa costituzione
dell'individuo, all' abitudine del medesimo, alla diversa direzione del lavoro, alla sua durata, ed alla velocità dell' animale contemporanea aìV azione. Gli animali che più si usano nella meccanica sono l'uomo ed il cavallo, e su questi cadde il maggior numero delle sperienze, che si eseguirono in due maniere essenzialmen
te diverse, cioè considerando la forza quasi momentanea, che si chiamò forza assoluta, e quella che può durare per alcune ore della for za permanente. La forza assoluta dell' uomo si misura con uno stromento chiamato il dinamometro di Bcgnier (i) per mezzo del quale si deduce: i°. che stringendo un corpo con un pugno la forza media equivale ad un peso di cinquanta chilogrammi; a". che il peso sollevato verticalmente può ascendere in media a centotrenta chilogrammi; 3°. che la forza per tirare un peso orizzontale in quell' attitudine, in cui stanno ordinariamente quegli uomini che tirano carrette, non oltrepassa in, media il peso di cinquaula chilogrammi. L' esperienza poi mostrò che il massimo peso a cui può reggere un uomo di tempra mediocre, stando fermo, ascende a centocinquanta chilogrammi; e che la varietà da un individuo all'altro è sensibilissima nei due primi moti suindicati, ma piccolissima nel terzo, poiché gli uomiui più robusti non sono in caso di tirare orizzontalmente un peso maggiore di sessanta chilogrammi. La forza permanente poi si calcola giustamente dietro 1' osservazione piuttosto che dietro la sperienza. Questa forza fu da taluni e & pressa dal prodotto mht, essendo m la massa che si muove, h lo spazio che le si fa percorrere, e t il tempo che dura il moto; ma questa misura però non è tale che si possano variare comunque i suddetti fattori, purché il prodotto sia costante, come suppose Daniello Bernoulli (1), e dietro ad esso DeSaguliers (3). Per poter variare questi fattori è necessario di conoscere il loro valore nella massima azione, ed allora la variazione potrebb' essere conforme all' ipotesi di Bernoulli senza oltrepassare i limiti della forza naturale e dello sforzo di cui 1' uomo è capace. Le osservazioni fatte da Coulomb, da Navier, e da- qualche altro su questo proposito sono le più esatte (4)- I risultati principali (a) La descruione ili questo slromento si trova nel Journal Polylech. cop. V; ed anche nel suddetto trattalo di Hachctle. (I) Prix de Urad., Tom. VII. (ii) Court de PJIYS . (4) Leggasi la memoria di Coulomb INSERI la nelle memorie dell'Istituto dell'anno 1779, intitolata: JRe'suìlat des plusieurs ezpéricn* Sono compresi nel seguente quadro, in cui si considerano le varie maniere di agire dell' uomo, e 1' effetto medio che ne risulta, esprimendosi le relative azioni giornaliere in dinamodi, o, come altri dicono, in unità dinamiche, intendendosi per dinamodio il peso di un metro cubo di acqua innalzata all' altezza di un metro. Quadro degli effetti utili prodotti dall' azione giornaliera dell' uomo. Numero dei Dinamod/ salendo per un pendio di quattordici centimetri per metro in sette ore e mezzo con un carico da sette ad otto chilogrammi - -- --- -2 25 Camminando in un paese montuoso senza carico- - i^o Portando un carico per una scala, compreso il peso del corpo -, - - n3 Spingendo o tirando orizzontalmente come negli argani ---------------- 207 Facendo girare una carrucola per innalzare un montone, calcolando tre ore di lavoro effettivo" - j5 Nello stesso caso contando sei ore di lavora - - - 4& Simile con lavoro giornaliero di più mesi - - - - 4° Simile estraendo acqua da un pozzo ----- JJ Agendo sulla ruota di una gru ------- 89 Facendo girare la manovella di un verricello - - - 116
Tirando un battello colle corde - -- -- -- no Agendo sopra una ruota a cavicchie all' altezza del centro --- - - 25g Colle carriuole compreso il tempo per ritornar vuoto 35 Questi risultati molto diversi fra loro per la diversità dell' azione mostrano che mal credeva Daniello Bernoulli, che 1' effetto della fòrza permanente dell' uomo nel lavoro gior ces destinécs à determincr la quantilé tT action que 'Ics hommes peuvcnl foarnir par leur travati jnurnalier, navoni Ics dijfércntes manieres dont ils cmpluìenl leurs Jbrces. Così pure l' opera di Gueniveau: Entui sur la science des Mutilinet. naliero avesse una misura quasi costante, e che poco variasse da un individuo all' altro, o da uno ad un altro genere di lavoro. E si ricava inoltre che il massimo effetto utile in 24 ore ( cioè in otto ore di lavoro effettivo e sedici di riposo ) si ha quando l'azione è applicata ad una ruota a cavicchie ed all' altezza del centro, come fu determinato da Navier e da Coriolis, il che corrisponde a dioamodj 0,009 per ogni minuto secondo. Alcuni volLro anche stabilire un rapporto tra la forza e la velocita, ma non si ebbero che ipotesi affatto gratuite, a verificar le quali, od almeno a determinare alcun che di certo sarebbero necessarie le sperieuze e le osservazioni che finora interamente ci mancano. Il cavitilo è il solo animale dopo l' uomo, di cui siasi sperimentata la potenza dinamica per applicarla alle macchine, siccome quello che per la sua intelligenza meglio si presta di ogni altro; ma i risultati si trovarono più incerti di quelli che riguardano l' uomo. Tuttavia si ritiene che la forza assoluta del cavallo nel tirare orizzontalmente sia, secondo gli sperimenti di Regnier, settupla di quella dell' uomo; e che il medio effetto prodotto dalla sua forza permanente in una giornata di otto ore di lavoro effettivo possa calcolarsi di 1166 dinamodj, che corrispondono a dinamodi o,o4o5 per ogni minuto secondo. In quegli stabilimenti però, in cui si assume la forza del cavallo per unità dinamica, si considera che un cavallo sia capace di muovere una massa di centoquaranta libbre con la velocità di duecento piedi per ogni minuto, il che equivale a 4'49 chilogrammi innalzati ad un metro, per cui la forza di questo, cavallo in un lavoro continuo di ventiquattro Ore si fa ascendere a 5974 dinamodj, cioè dinamodj 0,0691 per ogni minuto secondo. Hachette nomina il bove fra i principali motori, ma lo destina ai semplici lavori campestri, e non fa parola di alcuna sperienza sulla sua forza. Gli altri trattatisti fanno lo stesso. Eppure quesl' animale per la regolarità del suo moto, e per la quantità della sua forza dovrebbe tornar utile pelle operazioni meccaniche a fronte della sua tardità. Delle macchine più usitate nelle costruzioni. III, Le macchine più usitate nelle costruzioni SODO: il tornio, la girella, l'argano, la capra, il castello, e la gru. In tutte queste macchine si fa uso di l'uni formate con fili di lino o di canape, e fra loro variamente intreccia te. I nodi coi quali si uniscono le funi portano diversi nomi proprj del» le singole provincie, come il nodo del tessitore, del batelliere, l'intrecciato ec. Per determinare la resistenza delle funi si calcola il numero dei fili di cui è composta, ludi il peso che può sostenere ciascun filo; e siccome la grossezza di ciascun filo si stabilisce ordinariamente di due millimetri, ne segue che conoscendo la grossezza della corda si dedurrà facilmente il numero di quei fili, il qua'l numero moltiplicato per la resistenza di uno dei medesimi darà la resistenza totale della fune. Le sperienze di Roudelet mostrano che la resistenza di un filo di due millimetri sta in ragione inversa della grossezza della corda a cui appartiene, per cui trovò che questa resistenza si calcola di chilogrammi 7,8 nelle corde che hanno un diametro non maggiore di ventisette millimetri, di chilogrammi 7,2 quaudo il diametro sia fra i ventisette ed i cinqùantaquattro, e di soli sette chilogrammi in quelle di un diametro che sta fra i cinquantaquattro e gli oltantauno. Le corde poi presentano un ostacolo nel loro maneggio conosciuto sotto il nome di rigidezza delle funi, per cui non essendo perfettamente flessibili resistono ad avvolgersi intorno ai corpi. Il grado di questa resistenza dipeude dalla uatura della fune e dat grado di attorcimento, dal diametro del cilindro al quale si avvolge, e dal peso eh'è attaccato alle sue estremità. L'esperienza ripoitata da Hachetle su questo proposito è -la seguente. Il diametro del cilindro intorno a cui si avvolgeva la corda era di millimetri, ì due lati della fune erano ver ticali ed abbracciavano una semicirconferenza del cilindro, un'estremità della lune era fissa, ed all'altra era applicato il peso che doveva piegare la lane; il peso variò secondo la legge che segue.
Nella pratica poi si proporziona il diametro del cilindro a quello della corda dietro l'ipotesi che le rigidezze stiano nella ragion diretta dei quadrati dei diametri delle corde (il, e nell'inversa dei diametri dei cilindri; per cui non vi sarà alterazione nella rigidezza di due funi che si avvolgono intorno a due cilindri quando i diametri di questi stiano come i quadrati dei diametri di quelle (3). Si eseguirono altresì alcune esperienze sull' attrito delle funi avvolte ad un cilindro, e si trovò che fissando il numero dei giri in una progressione aritmetica, il cui rapporto costante sia l'unità, i pesi necessarj a vincere l'attrito (ormavano una progressione geometrica col rapporto approssimato di ( i,54) >. Riguardo poi alle macchine succitate osserviamo che il tornio, detto altramente l'asse nella ruota, è uo cilindro che passa pel centro di una ruota, e collocato orizzontalmente sopra due perni, come si vede nella fig. 1. Tav. V., e serve o (1) Alcuni stabiliscono invece che la variazione sia come una determinata potenza del raggio «Iella fune, la quale sia maggiore dell' unità, ma diversa nelle diverse qualità delle funi. Questo esponente si calcola 1,7 nelle funi nuove e nelle impeciale, ed 1,4 nelle funi molto usate. (t) Cioè detti D, D' i diamentri di due cilindri, d
sopra sè stessa. Vi sono poi degli argani doppj, i quali constano di due cilindri alquanto fra loro distanti, e su cui la fune si avvolge alternativamente. Ovvero anche il cilindro unico che costituisce un argano è terminato nella parte superiore da una lanterna che ingrana in una ruota dentata fissa in un albero tagliato a vite. Ed altre forme ancora si possono dare a questa macchina secondo i casi speciali, a cui si vuole applicare. La capra è una riunione di tre travi in forma triangolare, come si vede nella fig. i. Tav. 1. Al vertice di questo triangolo si appende una troclea; la corda che la attraversa è attaccata da un' estremità al peso che si vuol innalzare, e coli' altra si avvolge ad uu tornio, il cui asse è parallelo al (i) HucheUe. Traile élcm. des Mach. la base del triangolo, e i di cui perni girano sopra fulcri infissi nei lati di questo triangolo. Questa macchina si mantiene nella posizione necessaria per mezzo 'di funi attaccate a punti fissi. Il tornio si fa girare con mezzo di due staughe che lo attraversano o di una ruota a cavicchie. La capra, che Hachette attribuisce a Rc'gemortes, serve ad innalzare, od abbassare un peso da un' altezza qualunque, la, quale si può diminuire quanto piace. In questa la troclea è a due gole, il tornio a due cilindri di diverso diametro fra loro congiunti, ed il peso è attaccato al bozzello di una troclea mobile. Nella gola di questa seconda troclea si fa passare una fune, le cui estremità vanno a passare sulle due gole della prima troclea, indi si avvolgono sul.tornio in modo che un' estremità si ravvolge al cilindro di maggior diametro, e 1* altra a quello di diametro minore, ma in senso opposto; sicché ad ogni giro del tornio la quantità, di cui s' innalza o si abbassa il peso, eguaglia la differenza dei diametri dei due cilindri, differenza che si può diminuire a piacere. Il castello è una macchina, la quale serve a battere le palafitte. La forma di una di queste macchine si vede nella TaV. VI., .ed è quella che viene proposta da Garnier per battere i cofani nella perforazione dei pozzi artesiani, e che fu da noi promessa nella Giuda I. Lib. VIII, PI pezzo di legno ab, detto monaco, ha ordinariamente la lunghezza da metri 7,i47 a metri 8,796. Alla sua sommità si adattano due altri pezzi di legno, uuo dei quali è rappresentato da m, c che servono a sostenere i perni dell' asse d' una ruota nqrs, la quale ha ordinariamente un diametro di metri 1,37, ed è sostenuta come si vede nelle figure 1. 3., figure che mostrano altresì in prospetto ed in piano le due girelle n' unite ai pezzi trasversali g'h', o'k', come pure i quattro piccoli piumacci segnati m', che servono ad impedire 1' uscita alla corda che passa per la gola della ruota. Il pezzo f ( fig.. 1. ) rappresenta un cofano col suo berretto P", sopra cui cade il montone a'b'. Al legno q'q' si attaccano alcune corde dette sarte, le quali vengono tese fissando in terra un piuolo, ad una certa distanza dalla macchina, ed a cui è attaccata l'altra est rem età della fune; r',d' sono piccoli pezzi di Legno che servono a collegare il monaco al falcone p o'; e finalmente ut' rappresenta il sostegno di uno dei perni del tornio, a cui si avvolge la fune. La fig. 2., come si disse, rappresenta il piano della ruota e delle piccole girelle. La fig. .3. mostra il montone a'b', essendo x, y le branche, ed o'p' il falcone. La fig. 4- fa vedere come il montone si congiunga al falcone, rappresentando ab il monaco; o'p' il falcone: r'r piccoli pezzi di legno che si applicano sulle facce opposte del monaco e del falcone ( come si vede anche in r' fig. i.), e che sono attaccati per mezzo di caviglie segnate con linee punteggiate. Nella fig. 5 si vede ancor meglio questa congiunzione, rappresentando i pezzi suaccennati colle medesime lettere, e vedendosi i due pezzetti di legno vv, che s' internano al di sopra delle branche allorché sono internate nelle aperture vsy'c praticate nel montone. La gru serve ad innalzar pesi trasportandoli a piccola distanza dal punto da cui si sono innalzati; e questa corrisponde alla macchina descritta da Vitruvio nel cap. V. La sua forma è delineata nella fig. 7. Tav. V. Le sue parti principali sono: il pezzo AB, che dicesi volata, il monaco verticale CD, la base EF, la ruota HK, ed il tornio che attraversa la ruota in L. La parte mobile ABCL) dicesi becco della gru, il quale gira unitamente al monaco, a cui è attaccata, intorno ad un asse verticale CD. La lunghezza della volata (t) dipende dallo sforzo a cui può reggere il monaco, nel che si deve osservare che aumentando questa lunghezza, devono aumentare anche le dimensioni dei pezzi che formano il becco, e quindi il loro peso deve aggiungersi a quello che si deve sollevare. Dalle osservazioni del signor Rondclet risulta, che per dare a questa macchina la massima solidità è necessario i.J che la parte del monaco compresa fra il perno inferiore, ed il punto in cui s'incontra con la volata, si eguagli per lo meno alla metà della velata flessa; 1." che la distanza fra gli assi di rotazione della ruota e del monaco corrisponda ai due terzi della volata; 3° che il diametro della ruota sia dodecuplo di quello del tornio; 4-° che la grandezza della base sia due terzi della volata; (1) Hucheuc, opera» succitata.
Le gru fatte costruire-da questo ingegnere per la erezione del Panteon in Parigi hanno sei metri di volata, e possono innalzare delle pietre di tre ed anche di quattro mille chilogrammi. Anche il signor Albert in un porto di Parigi fece costruire una gru che può innalzare egual peso e che ba una volata media di undici metri, essendo sei metri la distanza fra l' asse del monaco e 1' estremità della volata. Questo poi introdusse una modificazione importante nella ruota: circondandola all' altezza dell' asse di rotazione di un solaio a piccola distanza della sua esterna periferia, per mezzo del quale gli uomini che agiscono sulla ruota mettono a profitto tanto il loro peso quanto la loro forza muscolare. Delle macchine a vapore. IV. L' elevazione delle acque, l'irrigazione dei campi, l'estrazione dei minerali, i trasporti per terra, i lavori dell' agricollura, i più importanti meccanismi applicati alle arti ed ai mestieri, e soprattutto la navigazione, attestano bastantemente quanto l'azione del vapore sia da preferirsi ad ogni altro motore, così per l'effetto dinamico, come per l'economia nel maggior numero dei casi. Una forza motrice di tanta importanza, anzi la più potente che vi sia in natura, come diceva Bnccone parlando del calorico, doveva certamente occupare gli uomini più dotti nelle scienze e nelle arti per determinarne i pnncipj e dedurne le conseguenze più interessanti. Le accademie ed i governi v' intervennero in queste ricerche, le prime colle dottrine, i secondi col danaro, e vi si unirono in tanta impresa i due emisferi. Si giunse cosi a stabilire le leggi dietro alle quali va crescendo la forza del vapore al crescere della temperatura, ed a fissare le regole per costruire le macchine necessarie ad impiegare questa forza, di guisa che si potrebbe riguardare questa parte della meccanica siccome giunta alla ' sua perfezione, se si potesse fissare un limite all'umano ingegno nell'approfittarsi di tutto ciò che la natura pose a sua disposizione. Dopo le fatte scoperte era naturale che gli scrittori dovevano raccoglierne in un codice i principi, affine d' istruir re facilmente così quelli che ne volessero approfittare, applicandole ai vari usi, come gli altri che bramassero di progredire nelle ricerche. Se ne videro perciò alcune indicazioni nei vari trattati (i), comparvero alcune storie (a) ebe, incominciando dal tempo in cui il vapore si considerò come una potenza meccanica, ne indicarono i progressi riguardo alle varie maniere di renderla attiva e le applicazioni agli usi più importanti della vita; e si pubblicarono pure alcuni trattati teorici (3). Bisogna però confessare che questi ultimi riunirono più o meno le diverse scoperte, e le molte modificazioni che si apportarono particolarmente dal principiar del secolo decorso fino ad oggi nei macchinismi (4) proprj a far agire colla massima utilità e sicurezza questa forza sorpren (i) Neil' Architettura idraulica di. Belidor; nel Trattato Ircorico e sperimentale d'idrodinamica di Bossut; nel Trattato delle macchine di Hacliette; ed in altre opere, come pure in parecchi giornali scientifici. (a) Fra le altre si devono accennare: 1." Traile historique et praiique des machines ù vapeur, par M. de Montgéry. a.° A descriptiVt History oj the ste'tm erigine, by R. Stuart. London l8a4- La prima sezione del Trattato di Trtdgold. /f.° La notizia storica inserita dal signor Arago neh" Annuarie da bureau des longitudcs pour lanate 1829. siili' origine e le applicazioni della macchina a vapore. 5.° Histoire des machines à vapeur depila leur origine jusqii a nos jourt. Pur HI. HaclicUe. Paris i85o. (3) Si possono citare:* i.° Manuel de V ingénieur mécanicien conslructeur des machines à vapeur, par Oliver Evans, de Philadelphie, traduzione dall' inglese. Parigi i8a5. 3.° An historical and descriptive account 0/ the steam engine. By Clutrles Frederick Partington, Lundon 1822. 3.° L'opera del sig. Farey, intitolata: A Trealise on the steam engine. London 1827. 4-° Traiti des machines il vapeur et de leur application etc, traduit de V angluis de Th. Tredgold etc. Paris et Bruxelles 1828; opera in 4-° di pag. Miti con un atlante di 24 tavole. (4) Crediamo di usare questa voce per la ragioue addotta dal SÌ£. Hachelte nella sua storia succitata con le seguenti parole. » Le ricer1* che sulla forma da farsi ai pezzi che compongono le macchine, e sulla » combinazione dei medesimi, appartengono piuttosto al dominio della » geometria, che a quello della meccanica propriamente detta : questa » parte della meccanica pratica meriterebbe un nome particolare; io nel» l introduzione 1' ho chiamato meccanismo, ma questo termine essendo • già impiegato in un altro senso, sarebbe proprio di sostituirvi il soli sUntivo meccanismo, che ha per aggettivo il termine usato macelli» rtìsta ■ Macchinista però è nome sostantivo tanto in italiano quanto in francese'. dente; ma non si prese ancora la materia sodo quell'aspetto filosofico, cui si assoggettarono per la massima parte le umane cognizioni, e per cui si possa concepire facilmente i rapporti puramente vantaggiosi Noi uon possiamo che esporre questo nostro desiderio, ben lungi dal pensare a tanta impresa, per eseguir la quale, quand'anche ci sentissimo l'eroico coraggio, ci mancherebbero però tutti i mezzi necessarj. Ma per solvere la nostra promessa non faremo qui che indicare alcune proposizioni generali; indi esporremo la
descrizione di una macchina con le più recenti modificazioni. V. Per macchina a vapore s'intende quella in cui la forza motrice è il vapore d' un liquido, macchina che per lungo tempo si disse macchina a fuoco, .perchè in realtà l'agente è il fuoco, o per meglio dire il calorico. Non sono però le macchine a fuoco di affatto moderna invenzione. I sacerdoti egiziani, dice il Signor Mellet (1), le conobbero, e mentre fioriva il regime teocratico divennero fra le loro mani stromenti maraviglisi, proprj ad estendere e consolidare un impero fondato sulle credenze divine; cosi si facevano aprire le porte del santuario con accendere le faci dell'altare, cosi per mezzo del calorico s'innalzava l'acqua o 1' oglio nelle lampade sacre, così il fuoco od i raggi solari dilatando l'aria, facevano gridare o parlare le statue, e producevano altri miracoli di simil genere (a). Tuttavia non si ha alcun documento che questi mezzi fossero applicati a qualche utile invenzione; e per quanto Aristotele, Seneca, ed. Antemio esaltino la potenza del fuoco e dei vapori,- questa conoscenza rimase sterile affatto: ed è certo che un'invenzione, la quale non abbia un rapporto coi bisogni dello stato sociale è come una pianta esotica che spuntasse sotto un clima non proprio alla sua natura, la quale sarebbe destinata a perire senza produr alcun frutto. Lasciando però ad altri lo stabilire il vero punto in cui ebbe origine la macchina a vapore, né cercando se si debba per ciò prender la mossa dal trattato su li' aria di Erone (1) Prefazione alla traduzione dell' opera di Tredgold. (3) Molte application! fatte dagli amichi della potenza del fuoco sono riportate dal signor di Montgery ncl'tuddttlo trattato storico e pra» lieo delle macelline a vapore. alessandrino, o se i primi fondamenti sicno stati gettati in Italia,in Francia, in Inghilterra od in Gei mania, diremo: che le macchine, di cui si tratta, formano uni classe distinta dalle altre per-la natura particolare della potenza che viene ad esse applicata, cioè -I' espansione dei {ludi aeriformi che si aumenta all'aumentarsi della temperatura. Qualunque fluido può prestarsi a tale effetto, ma dalle fatte sperienze si concluse che debbasi preferire il vapore ottenuto dall'acqua, non solo per la somma facilità di avere di questo liquido in gran copia, ma ben anche pel prodotto dinamico eh' è forse maggiore di quello che si avrebbe da qualunque altro. Oinmetteremo parimente di mostrare come abbiano contribuito all'incremento-ed alla perfezione di queste macchine le scienze, e specialmente la fisica, la meccanica, e la geometria per determinare le proprietà del motore, la fu, ma dei mezzi per ottenere il massimo effetto, ed i varj moti per la trasmissione della potenza alla resistenza; e solo faremo conoscere di qual maniera si sviluppi la potenza meccanici del Vapore per produrre un effetto utile, per lo che riporteremo ciò ch'espone il Signor Tredgold nel principio della quarta sezione del suo trattato. Si consideri un vaso cilindrico AB. (Tav. VII. fig. I.) posto verticalmente e contenente acqua fino ad una detcrminata altezza Si appoggi sull'acqua uno stantuffo equilibrato con un peso che equivalga al peso dello stantuffo uni• to all' attrito. Ciò posto si riscaldi la base AC; convertendosi l'acqua in un vapore di un'elasticità alquanto superiore alla pressione atmosferica, lo stantuffo si audrà innalzando finché l' acqua siasi tutta vaporizzata. Si osservi che questo vapore, la cui forza elastica è quasi eguale alla pressione atmosferica, non produce alcuna potenza dinamica, ma semplicemente un moto, non altro facendo ch'equilibrare la colonna d'aria atmosferica e scacciarla dalla capacita del cilindro fino ad una data altezza. Ma se in questo stato di cose, il vapore fosse repentinamente condensato, è chiaro che lo stantofìo s irebbe premuto da una forza eguale alla pressione dell' atmosfera, e discenderebbe percorrendo un'altezza eguale .1 quella di cui si era sollevato durante la formazione del vapore. Dal che ne risulta che la forza del vapore di un'e. laslicilà eguale alla pressione atmosferica, quando sia istantaneamente condensato, sta in ragion diretta dello spazio eh' esso occupa Sicché moltiplicando l' area della basjs del cilindro, espressa 111 centimetri qu idrati, per la pressione atmosferica espressa in chilogrammi sopra ciascun centimetro qtiadialo, e per 1' altezza in metri, il prodotto ( prescindendo dall' attrito ) esprimerà ciò che il vapore può innalzare ad un metro di altezza, cioè il DUO effetto dinamico. Lo spazio occupato dal vapore, la cui forza elastica emaglia la pressione atmosferica, può aumentarsi cou elevare la temperatura ad, un grado superiore a quello dell' acqua bollente; ma siccome una quantità di calorico, quasi eguale a quella eh' è necessaria per l'aumento di volume, viene assorbita, ne segue che 1' aumento dell' elfetto non sarà proporzionale alla quantità del combustibile. Se poi il vapore fosse condensato lentamente, come sarebbe applicando un refrigerante esterno, 1' effetto si diminuirebbe di molto, perchè la forza movente si eguaglerebbe solo ad ogni istante alla dilTeienza tra la forza elastica del vapore e la pressione atmosferica. La condeusazioue lascia bensì un vapore di una certa elasticità, ma
siccome agisce nel medesimo spazio, iu cui agisce la forza del vapore, essa uon produce alcuna sensibile alterazione nella legge di proporzionalità fra la forza motrice e lo spazio occupato dal vapore. • • . Se poi si considera nello stesso apparata che lo stantuffo sia caricato di un peso, il vapore non potrà innalzarlo che ad una altezza minore di quella di prima, poiché dovendo in tal caso opporsi ad una resistenza eguale alla pressione atmosferica aumentata dal peso, di cui è caricato lo stantuffo, lo spazio eh' esso andrà ad occupare sarà in ragion inversa delle pressioni che si esercitano in questi due differenti casi, ritenuto che la temperatura sia la stessa. Cosi se il peso dello stantuffo equivalesse a due volte la pressione atmoslenca, il vapore dovrebbe opporsi ad una pressione tripla di prima, e perciò lo stantuffo non s' innalzerebbe che ad un teizo dell' altezza, a cui era giunto nell'altro cayiTRvrjo, Lib. x. 10 so. Sia però che 1' elasticità del vapore svolgentesi eguagli o superi la pressione atmosferica, la potenza che si produce per la sua formazione e condensazione sarà sempre la stessa quando non varii la temperatura, e la sua misura sarà proporzionale alla fòrza elastica del vapore moltiplicata per lo Spazio che questo occupa. Ma se quando lo stantuffo carico è sollevato, si aprisse un' animella che lasciasse uscire il vapore, l' effetto dinamico sarebbe soltanto eguale alla forza del peso elevato che cadesse dall' altezza, a cui era giunto; e la forza che sarebbe risultata dalla condensazione si perderebbe, peidita che ha per misura la pressione atmosferica moltiplicata per l'altezza, a cui era giunto lo slautulfo; la qual cosa ha luogo nella maggior parte delle macchine dette di alta pressione. E poi chiaro che quanto più la forza elastica del vapore è cousicierabile, lauto minore è la perdita proveniente dalla non coudeusazioue; ma bisogna osservare che questa perdita si aumenta per la circostanza che una parte del peso dello stantuffo è impiegata a spingere il vapore, il quale non può fuggire con la necessaria velocità, a meno che l' apertura dell' animella non eguagli la sezione trasversale del cilindro. Quindi la potenza effettiva sta in ragion diretta dello spazio occupato dal vapore, moltiplicato per 1' eccesso della forza elastica di questo sopra la pressione atmosferica. Suppongasi ora che lo stantuffo carico siasi ionalzato, in virtù della conversione in vapore di una data quantità d' acqua, fino ad un' altezza corrispóndente al peso ed alia temperatura; se allora si toglie il peso eh'è sullo stantuffo, questo s' iiinalzelù per la dilatazione del vapore, finché la forza elastica di questo eguagli quasi la pressione atmosferica, e la oofideosazioue in tal caso produrrebbe lo stesso effetto che se il vapore si fosse da principio sviluppato con questa •lssticilÀ. Quindi I' elfetto del peso è totalmente addizionale, ed il risultato combinato di un'alta pressione con la condensazione è prodotto dal medesimo vapore. La potenza effettiva del vapore impiegato in questa maniera si misura dallaiftomnia del prodotto dello spazio che occupa per 1'cccessotdclla sua forza elastica stilla pressione atmosferica, e del prodotto dello spazio che occupa quando la sua elasticità eguaglia la pressione atmosferica per questa stessa pressione. Quindi con questa combinazione la potenza dinamica del Vapora ad uu' alta pressione è quasi doppia. Questo però non è il mezzo più vantaggioso d' impiegare il vapore; perchè invece di togliere tutto il peso, di cui è caricato lo stantuffo, se ne può togliere soltanto una parte, ed allora il vapore si dilaterà fino ad un' altezza proporzionale alla parte levata. Giunto lo stantuffo a quell' altezza si leverà un'altra parte del peso, e così successiva-' mente finché la forza elastica del vapore si eguagli alla pressione atmosferica; ed in tal modo l' effetto risulterà maggiore che nella precedente combinazione. Questo metodo di trar partito dalla dilatazione del vapore si attribuisce a Woolf. Hornblower e Watt ne immaginarono un altro che si applica nel caso seguente. S' immagini che lo stantuffo siasi innalzato senza peso, come nel primo caso, per la riduzione d' una certa quantità d' acqua in vapore di una forza elastica eguale alla pressione atmosferica. Quando sarà pervenuto a quell' altezza, si aggiunga un peso, equivalente alla metà della pressione atmosferica, all' altra estremità della corda che si avvolge alla troclea, come si vede nella succitata figura; allora non essendo più il vapore equilibrato, lo stantuffo s' innalzerà finché l' elasticità del vapore si eguagli alla metà della pressione atmosferica, cioè finché lo stantuffo abbia raggiunta un' altezza doppia della prima. Se ora ad uno stesso istante si condensa il vapore e si leva il peso aggiunto, la forza per discendere diminuita della forza aggiunta per produr l' ascesa, risulterà di una metà maggiore di quella che si otterrebbe condensando semplicemente il vapore di un' elasticità eguale alla pressione atmosferica. Questo rapporto sarà ancora maggiore se si diminuisce gradatamente la forza elastica del vapore con aggiungere il peso addizionale non tut-to in una volta, ma a poco a poco. Era invalsa l' opinione che non si potesse far uso del vapore se la sua forza elastica non fosse per lo meno egua-* le alla pressione atmosferica; ma questa condizione non è indispensabile, poiché molte macchine agiscono con un vapore di elasticità minore, e ne è facile la dimostrazione. Suppongasi che la -metà della pressione atmosferica sopra lo stantuffo sia equilibrata da un peso attaccato all' altra parte della troclea; l'azione del calorico
determinerà lo sviluppo di un vapore, la cui forza elastica sarà la metà della pressione atmosferica, e lo stantuffo s' innalzerà ad un' altezza doppia di quella, a cui 1' avrebbe portato un vapore capace di equilibrare quella pressione; per conseguenza allorché il vapore sarà condensato, la forza della discesa sarà eguale alla metà della pressione atmosferica moltiplicata per una doppia altezza. Quindi 1' effetto del vapore è quello stesso di prima. Qnesto principio è di molta importanza per rego• lare le macchine atmosferiche. Queste indicazioni saranno sufficienti per dare un' idea della maniera, con cui agisce il vapore nelle macchine, ed inviando quelli che ne bramassero di più estese all'opera di Tredgold succitata, aggiungeremo solo che ritenuta la forza del vapore in un cilindro eguale alla media piessionc dell' atmosfera, si può calcolare 1' effetto dinamico del vapore prodotto da una data quantità d' acqua. Noi indicheremo questa misura pel solo caso che la macchina agisca per condensazione senza azione espansiva, onde non ì chiamare pegli altri casi varie forinole che avrebbero d' uopo di lunghe dilucidazioni. Per aver ciò si consideri che la pressione media dell' atmosfera si calcola eguale al peso di io3 r chilogrammi per ogni decimetro quadrato, e che il volume del vapore per equilibrare questa pressione alla temperatura dell' ebollizione corrisponde a I- IO volte il volume dell' acqua, che lo ha prodotto. Quindi se si suppone che il vapore sia stalo prodotto da un centimetro cubo d' acqua, la potenza sarà 1710 X io34, cioè la forza elastica per lo spazio, e questo prodotto esprimerà un numero di chilogrammi innalzati all' altezza di un decimetro; quindi il peso elevato all'allez1710 X io3 za di un metro, sarà — '-sr 17670 chilogrammi; il qual numero moltiplicato per P area della base del cilindro, nr 5.i4i6 il cui diametro è 1, cioè per -l- si avrà 13S7S chilogrammi innalzati ad un metro, numero ch'esprimerà l'effetto dinamico di un decimetro cilindrico d' acqua convertita in vapore; fatta astrazione però dall' attrito e dalla resistenza del vapore non condensato. , VI. Prima di dare un esempio di una di queste macchine diremo ch'esse si dividono in due grau classi. La prima classe è delle macchine senza condensazione, dette macchine ad alta pressione, che si suddivide in due specie, una di quelle a pressione costante, 1' altra delle macchine in cui il vapore agisce per espansione. La seconda classe comprende le macchine a condensazione, le quali sono od a semplice effetto o a doppio effetto. Le marchine senza condensazione sono messe in azione dal vapore generato sotto una grandissima pressione, e la loro forza motrice dipende dall' eccesso di questa pressione sopra quella dell' atmosfera, eccesso che si calcola ordinariamente da due a tre chilogrammi per ogni centimetro circolare. La parte attiva di questa macchina consiste in uno stantuffo, ed un cilindro con aperture munite di chiavi o di animelle, tanto alla sommità che al fondo, per dar passaggio al vapore. Lo stantuffo si adatta esattamente alle partii del cilindro, e viene mosso da un' estremità all' altra per la pressione del vapore; esso è attaccato ad un fusto, il quale mette in moto una manivella o qualche altro pezzo attaccato alla macchina. Per concepire come agisca si supponga che il vapore nella caldaia abbia una forza di due chilogrammi per ogni centimetro circolare, che lo stantuffo sia al fondo del cilindro, che il passaggio dalla caldaia al fondo, e quello dal di fuori alla sommità, siano aperti, e gli altri chiusi: il vapore s' introduce sotto allo stantuffo e investendolo con una pressione di due chilogrammi per ogni centimetro circolare della sua area lo fa innalzare. Quando lo stantuffo è giunto alla sommità, si aprono le altre due animelle, ed allora il vapore eh' esce dalla caldaia va a premere lo stantuffo dall' alto al basso, e quello che si era introdotto nel cilindro si perde nelP atmosfera. L' ispezione della lìg. a. Tav. VII. relativa ad una macchina senza condensazione a pressione costante basta a far comprendere quanto si è detto. In questa figura C rappresenta il cilindro, e P lo stantuffo innalzato e prossimo a ricadere. Perchè vi sia la minor perdita possibile di calorico si usa di collocare il cilindro in parte dentro la caldaia fino alla linea DB. In A vi è una chiave a quattro aperture, per cui entra ed esce il vapore, la quale è posta fuori della caldaia, ma molto prossima alla medesima; in V vi è un' animella incavata per repolare l' entrata del vapore che si trova in S, il quale poi esce pel tubo E. Il moto della chiave è regolato in modo che termini quando lo stantuffo è alla sua massima elevazione. Nello stato, in cui si vede la figura, il vapore che si trova in S si estende pel condotto Vt, e va a premere superiormente lo stantuffo, il quale per ciò discendendo scaccia il vapore che riempie il cilindro, il quale scorrendo nello spazio ba si porta al tubo E per disperdersi nell' atmosfera. Il condotto E è poi circondato di acqua in W, la quale serve ad alimentare la caldaia, e che in quel sito viene riscaldata dal vapore perchè non alteri di molto la temperatura nella caldaia stessa, ed essa poi condensa in parte il vapore medesimo per facilitarne l' uscita. La maniera con cui si comunica il moto alla chiave ed alla valvola varia a seconda della natura dell' azione, cui è destinata la macchina. A questa descrizione aggiungeremo solo, che la lunghezza della corsa dello stantuffo nou dev' essere mai
inferiore al doppio del suo diametro, perchè in tal caso si dimostra che una data quantità di vapore è in contatto con la minor estensione possibile di superficie, ciò che si deve procurar sempre, onde avere la minor perdita possibile di vapore per mezzo della condensazione. Di più la velocità calcolata in metri deve eguagliare cinquantasette volte la radice quadrata della lunghezza della corsa, contata pure in metri. L'area delle aperture, per le quali passa il vapore, deve stare a quella del ciliudro, come la velocità trovata nel modo suddetto sta al numero fii. Di tutte queste regole è inutile il riferire qui 1' esatta dimostrazione. Oliviero Evans fu il primo, coni' egli stesso lo prova nell' opera succitata, a trar profitto nelle macchine di questa classe della forza espansiva del vapore, metodo che secondo i suoi calcoli decupla la forza della macchina. La sola modificazione però necessaria alla macchina senza condensazione perchè si possa trar profitto dell' espansione, sta nella disposizione per aprirne e chiuderne il passaggio. Il vapore deve provenire dalla caldaia solo durante una parte del corso dello stantuffo, ed allora deve intercettarsi questa comunicazione, lasciando però sempre aperte le valvole necessarie all' uscita del vapore. Quando è chiuso il passaggio del vapore dalla caldaia, quello che si trova nel cilindro agisce per espansione, e la potenza che ne risulta è tutta da aggingersi a quella ottenuta nelle macchine della specie precedente; e da ciò proviene l'economia di questo nuovo siStema. Hornlilower modificò la costruzione delle macchine a forza espausiva costruendo due cilindri, uno dei quali contiene il vapore non dilatato, e 1 altro quello che agisce per espansione. r . VII. Il carattere distintivo che Trcdgold stabilisce fra le macchine della classe precedente e quelle a coudeusazioue dipende dalla particolarità che nelle ultime il vapore si Colli densa fino allo stato liquido. La forza motrice equivale a un di presso alla forza del vapore nella caldaja, ed agisce per la differenza di volume che passa fra lo stato liquido e lo stato vaporoso. Due generi costituiscono questa classe, e sono: macchine a semplice effetto, e macchine a doppio effetto. Le parti essenziali di una macchina del primo genere sono: un cdindio che ha un' apertura nella parte superiure, per la quale entra il vapore, ed una inferiormente, per cui lo trasmette ad un altro cilindro detto il condensatore, il quale comunica per la parte inferiore con uua tromba d' aria. Tanto il condensatore che la tromba sono immersi in un recipiente d' acqua fredda, un getto della quale può zampillare entro al condensatore. La più utile inuditicaziooe portata a questa macchina fu quella di Watt, il quale immaginò di fai e il condensatore separato. La macchina del secondo genere, cioè a doppio effetto, dille l isce dalla precedente nell' essere costituita in modo che tanto la caldaia, quanto il condensatore comunichino col cilindro così superiormente come interiormente; la qual disposizione la sì che la forza del vapore imprime allo stantuffo ambedue i moti di ascesa e di discesa. Questa macchina consuma una quantità doppia di vapore, e produce un dop
1 pio effetto nel medesimo tempo. Essa pure è dovuta a Watt. Noi non ci dilungheremo nelle particolarità di queste macchine, e ci restringeremo ad esporre la descrizione di quella che viene denominata Macchina a semplice effetto di Boullon e Watt. La fig. 3. Tav. VII. rappresenta lo spaccato del cilindro C, del condensatore B, e della tromba ad aria A. Il vapore passa dalla caldaia nel cilindro pel tuho S, e per la cassetta con valvula O, e va a premere sullo stantuffo P (di cui B. rappresenta l'asta ) che sta per discendere: il vapore che si trova sotto al cilindro passa pel condotto V nel ceudensatore, dove è ridotto allo stalo liquido dal getto d' ai qua che zampilla internamente e che proviene dalla chiave d'iniezione /. Lo stantuffo P della tromba ad aria discende in un miscuglio d' aria e di vapore entrato nella tromba dui ante la precedente salita. Quando lo stantuffo P ba terminata la sua discesa, si muove l' asta OD chiudendo le valvole a, c ed aprendo la valvola b. Allora il tubo FE mette in comunicazione la parte superiore del cilindro con 1.1 inferiore. Si vede che, quando lo stantuffo è giunto alla parte inferiore del suo giuoco, è tolta la comunicazione fra il cilindro ed il condensatore. Il contrappeso poi che dev'essere attaccato all'estremità opposta del bilanciere (Tav. Vili.) de»' essere tale di poter sollevare lo staulufTb vincendo l'attrito ed obbligando il vapore che si trova sopra allo stesso di passare al di sotto. Allorché è risalito fino alla sommità si apre la comunicazione fra la caldaja e la parte del cilindro superiore allo stantuffo, e I' altra fra la parte inferiore ed il condeusatore; il getto d' acqua condensa quasi tutto il vapore che sta nel condensatore e nella parte inferiore de! cilindro; la pressione del vapore al di sopra, eh' eguaglia quella del vapore nella caldaja, supera di gran lunga la pressione inferiore, quiudi lo stantuffo che sta fra due forze molto ineguali è capace di sollevare un peso che sia attaccato all' .lira estremità del bilanciere. Finalmente il moto dell' asta OD torna a stabilire le comunicazioni di prima, ed il giuoco si ricomincia successivamente (i). La tromba ad aria, di cui lo stantuffo è pur mosso dal bilanciere, e che di un numero di colpi eguale a quelli che dà il maggiore stantuffo, serve a vuotare il condensatore dell'acqua e dell'aria ad essa frammista che vi s' introduce; ciò che ha luogo per mezzo delle due animelle GQ. Serve inoltre la valvula in H a purgare il condensatore dall'aria; K è un bacino in cui si versa 1' acqua e l' aria sollevate dalla tromba A, di cui una pirte viene portata da una piccola tromba premente al tubo alimentatore, ed il restante si versa per un altro tubo. Il condensatore e la tromba sono poi immersi in una vasca conlinuameute alimentata d' acqua pel tubo N. Per comprendere poi l'insieme si consideri la Tnv. VIII, che dà il prospetto di una macchina di questo genere destinata ad innalzar aequa. La caldaja a è incamiciata con muratura, ed il vapore si porta per mezzo del tubo b al cilindro c, ch'è sodamente assicurato all' impalcatura con grosse cavicchie d,d; la sua base superiore è chiusa da un coperchio e, attraverso del quale vi passa in una cassetta stoppata l'asta k dello stantuffo. Il bilanciere Jg oscilla sopra un asse che lo attraversa in h e ch'è sostenuto dalla sottoposta impalcatura e dal'muro II. L'asta della pompa j, che porta un contrappeso è attaccata all'estremità g del bilanciere, al quale è legata per mezzo di un parallelogrammo allo stesso modo che è legata quella dello stantuffo k, come si vede in tfP f" P". Qui osserva Trcdgold che la costruzione di questo parallelogrammo, tale che possa mantenere rettilineo il moto dello stantuffo in tutto il giuoco, è quella di disporre le due sbarre fi'", l'f' io modo che la loro posizione risulti verticale tanto al principio che al fine del giuoco. La vasca m contiene il condensatore, la tromba ad aria n, ed il recipiente d'acqua calda o. L'acqua fredda viene somministrata dalla tromba p, e la quantità superflua si versa nel cerbatojo q. Tutta la parte esterna viene così mantenuta alla più bassa temperatura possibile. In J ed in r vi sono due valvule a vapore, ed in t quel fi) Il modo di far agire le animelle con mi sol moto, non appartiene a Watt, come riferisce Tredgolil. la di condensazione; le quali tutte sono messe in azione dall'asta v, attaccata al bilanciere presso all'estremità messa ia moto dall' asta dello stantuffo: quest' asta è munita di uncini mobili che vanno ad urlare nelle leve, che girando istorilo ai propri assi agiscono sulle valvule stesse per aprirle o chiuderle nei momenti opportuni dell' ascesa o della discesa del bilanciere. lu u trovasi la tromba destinata ad elevar l' acqua calda dal recipiente o e farla passare pel tubo w all' altro recipiente x, situato alla sommità del tubo alimentatore della caldaia, al cui oggetto è destinata. Quest' ultimo tubo è munito di una valvula mossa da un vette, che per mezzo di un filo metallico passato attraverso di una nocciuola stoppata y, comunica con un galleggiante nella caldaja, il quale abbassandosi fa aprir la valvula, e lascia entrare la
quantità d' acqua necessaria. Di più quel tubo dev' essere ricurvo nella parte inferiore per impedire al vapore di sollevarsi nel medesimo, ed ove si unisce alla parete superiore della caldaja deve collocarsi perfettamente verticale. L' azione poi di questo apparecchio è la seguente. Quando una parte dell'acqua è evaporata nella caldaja il galleggiante discende con la superficie dell' acqua e fa innalzare la valvola conica che sta nel fondo del recipiente alimentatole, il quale essendo Sempre ripieno per l affluenza dell' acqua calda proveniente da o, versa tant' acqua che basti a fai rialzare la superficie e con essa il galleggiante finché questo non agisca più sulla valvula, la quale allora si chiude pel proprio pe o, fiuebè non torni il bisogno che quest' operazione si. rinnovi. La quantità poi sovrabboudante di acqua che conduce la tromba u si versa per uno scaricatore. Affine di prevenire ogni urto vi è sodamente attaccato ad ogni estremità del bilanciere un pezzo fortissimo di legno, come si vede in I, a Ciascuno di questi pezzi urla contro due molle situate ai lati del bilanciere sopra due travicelli longitudinali che ne sostengono gli assi e che sono attaccati all'impalcatura che Soppoi ta il bilanciere. Per impedir poi il rumore che farebbero nella percossa, sono le molle coperte di sughero dalla parte a cui ricevono il colpo; e quando 1' urto è troppo forte esse fauuo suonare un campa nello, che avverte il macchinista del bisogno che ha la macchimi di essere regolata. Questa è la descrizione della macchina di Watt a semplice effetto. Il nostro scopo è di offrire semplicemente un' idea di questo nuovo genere di macchine; per ciò omettiamo di riportare le più minute particolarità, come pure* i rapporti fra le dimensioni delle varie parti che le compongono; tanto più che molte fra le regole preposte dallo stesso Tredgold sono riguardate puramente ipotetiche, come accenna il suo traduttore francese Meilet (i). Vili. Crediamo però di far cosa grata ai nostri lettori riportando la descrizione di una nuova macchina non ricordata da Treilgold, benché le sperienze fossero state cominciate fin dall' anno :8s3; ed è la seguente. Descrizione di una nuova macchina a vapore senza caldaia di Alessandro Scott. Nel 1823 s'immaginò e si eseguì il modello di una macchina a vapore senza caldaia, con la quale si fecero alcune sperienze presenti due abili meccanici ( i fratelli Halliday, che hanno una piccola fonderia presso Haddiogton); i quali furono invitati per essere testimoni della rapidità con cui si formava il vapore per mezzo di questa macchina. Essi trovarono il sistema semplicissimo e senza pericolo, e le sperienze cosi soddisfacenti, che attivarono secondo lo stesso una macchina ad alta pressione d' una forza bastante pei lavori del loro stabilimento. Il principio è quello d' introdurre acqua ad una temperatura qualunque senza che si alteri quella dell' acqua già riscaldata, come accade in tutte queste macchine ad ogni colpo della tromba annientatrice. Per costruire questa specie di generatore si formarono due dischi con alcuni sporti che si corrispondono in ambedue, uno dei quali è tutto liscio, e sull' altro vi si è praticata una scannellatura spirale continua dal centro fino a poca distanza dall' orlo. La loro (1) Nella nota (a) all'articolo 353. forma è quella delle fig. i. a. Tav. IX. Hanno un diametro di 21 pollici ( 533 millimetri ) non compresi gli sporti; la grossezza di quello a spirale è di pollici i 3/4 (44 millim.), e quella dell'altro di pollici i i/4 (3a millim.); la parte sporgente di ciascuno ha la medesima grossezza; la scannellatura è profonda mezzo pollice, come pure larga nella parte inferiore, avendo l' apertura superiore di j/8 di pollice ( il millim. ). I listelli Ira le linee dell'incavatura spirale hanno inversamente mezzo pollice di larghezza alla sommità, e -J& di pollice alla base. Questi dischi sono di getto, ed hanno la superficie assolutamente piana. Nel mezzo dei listelli poi vi è un piccolo incavo che ha il corrispondente sull' a Itro disco. I due dischi sono congiunti con saldatura di ferro ben preparata, una parte della quale ottura gl' incavi corrispondenti di ambidue. Le parti sporgenti a, b, e, d, e,f,g, h ( fig. i. a. ) sono riunite con viti di 5/8 di pollice ( 16 millim. ) quadrate di ottimo ferro, indicate dai piccoli fori quadrati che si veggono nelle dette figure. Ciascuno di questi sporti, eccetto quello segnato li sono grossi pollici i i/4 ( Se, millim. ), per cui vi resta uno spazio di mezzo pollice ( il millim. ) fra le parti sporgenti dei due dischi, onde si possano collegare più solidamente. Questi due dischi cosi riuniti non formano che la metà del generatore; 1' altra metà consimile in ogni rapporto si colloca perpendicolarmente sotto la prima; e queste due parti sono riunite per mezzo di un solido sostegno di getto alto la pollici ( 3o5 millim. ) di pollici 4 iP1 ( millim. ) di diametro, con un' incavatura interna di pollici i \f\ ( 3a millim. ), e con due orecchie fortemente attaccate con quattro viti alle due metà del generatore; il quale sostegno passa pel centro dei dischi, ed ha la forma che si vede nella fig. 5. La fig. 4 rappresenta lo spaccato del generatore secondo la fatta descrizione situato sopirà un fornello. Il generatore è sostenuto nel fornello da parecchi beccatelli di getto, della forma rappresentata dalla fig. 5, fermati nella parete del fornello medesimo per ricevere gli sporti di esso generatore che vanno ad appoggiarvisi. In P vi è
il fuoco; A è il cinerario, e una parte del cammino, a una porzione del tubo che mette in comunicazione la tromba premente col generatore, per cui s' introduce l'acqua, la quale circola per le spirali dalla circonferenza al centro nella metà inferiore del generatore, sale per 1' interno del sostegno di mezzo; circola poi dal centro alla circonferenza della parte superiore, ed esce pel tubo s che conduce al cilindro della macchina. Il tubo T serve a dar passaggio a quella quantità di vapore che sfuggendo dal cilindro s' introduce nel cammino. Questo generatore è impiegato per una macchina ad alta pressione di piccole dimensioni, che rassomiglia alquanto alla macchina portatile di Mandslay. Tutto questo sistema sembra essere degno di molta considerazione per la sua solidità ed eleganza (1). IX. Riguardo alle applicazioni delle macchine a vapore basta dire, che possono tornar utili ad ogni macchinismo, io, cui sia necessario d' impiegare una considerabile forza motrice, e per ciò s' introdussero, specialmente dagl' Inglesi, io. Ogni Stabilimento di lavori meccanici. Quindi nelle fabbriche di ferro sono applicate ai mantici, ai martelli di fucina, ai cilindri riduttori, agli strettoj, alle macchine per ridurre quel metallo in verghe, e a molti altri usi. Così nelle filande, particolarmente a cotone, furono impiegate con grandissimo vantaggio (2). Nelle cartiere si hanno tutti gli utili propri delle macchine a vapore, non essendo diversa la spesa per istabilire queste in confronto delle comuni (5). Furono pure introdotte nei lavori agricoli; cosi la trebbiatura, la svoltatura (4) e la macinatura dei grani, lo sminuzzamento delle paglie, la triturazione delle ossa per concime, eia preparazione pel nutrimento dei bestiami, sono lavori che possono essere eseguiti da una sola macchina a vapore: ma il maggior vantaggio che può tornare ai campi per mezzo di queste macchine consiste nell' asciugamento delle paludi ove 1 pae (1) Questa descrizione fu tratta dalla sezione tecnologica del giornale di Ferussac, Fase, di Aprile i83i, il quale la desunte dal giornale delle scienze di Edimburgo, Gennaio i83o. (2) Su quest' applicazione si può consultare il Compendium 0/ Medianici di Brunlon. (3) Si vegga 1' opera di Fenwick intitolata Essnys; terza edizione. (4) Se in questo senso vi è il verbo sventare può introdursi anche il nome corrispondente. si sono pantanosi, e nel!» irrigazione dove regna grande sic citi; ma vi abbisognano ancora molti studj e molte cure per parte degli agronomi, affine di rendere utile quest' ultimo ramo dei lavori campestri. Non si mancò di procurare, che anche i trasporti per terra si facessero per mezzo di macchine a vapore, ma questa è 1' applicazione che tornò meno proficua d' ogni altra, in causa specialmente della particolare conformazione delle strade che si esige perchè la loro azione sia pronta e vantaggiosa; al che si prestano però utilmente le strade di ferro (i). Dove però le macchine a vapore riuscirono di singolarissimo vantaggio, fu nell' innalzamento delle acque da molta profondità, e nella navigazione. L' innalzamento delle acque è di una indispensabile necessità per vuotare le miniere, oggetto della massima importanza nell' Inghilterra, e per somministrare acqua sufficiente a quei paesi che sono distanti da sorgenti e da fiumi e molto sollevati sopra il loro livello. Celebre è la quistione proposta nel secolo di Luigi XIV., tendente a trovar mezzo di sollevar sei mille metri cubi di acqua ogni giorno all' altezza verticale di ccntosessantadue metri; ed è celebre la macchina allora costrutta dal pratico Rennequiu (2) affine di sollevare le acque della Senna pei bisogni dei castelli di Marly e di Versailles. Questa macchina però andò sempre diminuendo il suo effetto, finché nel 1818. fu soppressa come inservibile, e ad essa vi fu sostituita un' altra composta di sedici trombe, otto delle quali sono mosse da ruote idrauliche e le altre otto da una macchina a vapore. Questa sola macchina può innalzare 1600. metri cubi d'acqua ogni giorno; essa è a doppio effetto ed a vapore ordinario secondo il sistema di Watt (3}. Celebri sono pure le macchine stabilite nella provincia di Cornovn (1) Veggasi il supplemento a Vitruvio che seguirà questo X. fascicolo. (a) Il vero nome di questo meccanico era Swolm Kenkin. (5) Nessun' opera, dice Hachelle, destinala all'elevazione delle acque può essere paragonata nè per la grandezza, né per la bellezza e lusso di esecuzione, a questo monumento costrutto sotto la direzione del Baione Mounier e secondo il progetto dei signori Cecile c Martin, il primo architetto, ed il secondo artista meccanico. glia, in Inghilterra, per le miniere che vi abbondano specialmente di rame e di stagno. Per conoscere di qual importanza sia l'applicazione del vapore al moto dei navigli, basta, dice Tredgold, considerare quanto si vada propagando questa maniera di navigazione su tutti i punti del nostro globo ove
prospera il commercio; e soggiuuge che se l'uso è tuttora alquanto ristretto bisogna attribuirlo allo stato non ancora perfezionato di questo nuovo sistema. Il Tredgold dedicò a quest'applicazione un'intera sezione della sua opera, nella quale va esaminando la forma dei navigli considerati rapporto alla stabilità, alla capacità, alla velocità ed alla forza; i generi dei navigli propr) ai diversi usi; la resistenza ed i modi d'-impulsione; la natura delle macchine che convengono ai navigli e la forza delle loro parti; la specie del combustibile e la maniera di servirsene per ottenere il massimo effetto possibile. non è proprio dei limiti di quest'opera l'andare sviluppando questi principi. Chi volesse conoscerli pienamente potrà ricorrere all'opera succitata di Tredgold, e specialmente alla traduzione francese nella quale il signor Mellet in alcune giudiziose note va indicando diversi errori del lesto dipendenti Specialmente da ipotesi non molto concordi coli' esperienza; e potrà altresì consultare l'opera dello stesso Mellet su questo proposito (t). Noi però chiuderemo questa giunta considerando che il vapore può somministrare una forza potentissima, e superiore a tutti gli agenti che si conoscono in natura, e che perciò si debba preferire a qualunque altro motore ed in qualsiasi circostanza, ogni qual volta sia necessario di.produrre un effetto considerabile riunito in HO sol punto. Ma non bisogna peraltro lasciarsi illudere in tutti i casi, e seguire la manìa di taluno, che vorrebbe applicare il vapore ad ogni meccanismo. L'Ingegnere Lippelh va analizzando questo subbietto in una sua memoria (2), e mostra la necessità, quan ti) Esiai tur Ics bnleaux à vapeur. Paris ìSatt. Si può valere altresì 1' opera del Buthanam intitolata Ori propelling vessels by steum. (a) Memoria letta all' 1. R, Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Padova nell'anno i83a. ed intitolala; A, qualora si abbisogna do si deve far uso di un motore meccanico, di esaminare se le circostanze loculi oflii»spro opportunità di valersi d'altri agenti, come delle acque, del vento e delle forze animali, col mezzo dei quali si potesse ottenere il medesimo effetto utile con minore dispendio di quello chesiavrtbbe colle macchine a vapore. Ognuno conosce In ragionevolezza di questa ricerca; eppure la macchina di Watt stabilita a Chaillot, stando alla relazione di Hacbelte, dà un effetto utile che si otterrebbe con braccia d' uomini e con un dispendio quasi uguale. E se ciò accadde oltramonte, ove si trovano tutti gli elementi favorevoli alla istituzione di queste macchine, cioà quantità di combustibile proprio, e povertà di ogni altro mezzo, tanto meglio potrà accadere, dove gli elementi stessi Stanno in ragione mversa Laonde conchiuderemo col succitato Iappelli che per prescegliere il vapore ad ogni altra potenza meccanica bisogna che abbia luogo una delle seguenti circostanze: i°. che vi sia un deteiminato luogo, dove il valor primitivo dei cavalli, la mano d' opera di chi ne ha cura, ed il prezzo del loro nutrimento ecceda di tanto il valore del carbou fossile da couclnudeie che tutto il vantaggio sta per le macchine a vapore; e ciò ha luogo appunto nell Inghilterra; 1°. che abbisogni una forza superiore, a quella di <|Uattro cavalli tendente ad un elicilo che non si possa utilmente ripartire; 3''. che l'angustia del sito non pei metta di collocare il numero sufficiente di cavalli, come accade nei navigli. Premesse queste indagini, soggiunge l'autore dell'indicata memoria, potrà l'Ingegnere con Ir iiiqniliità d'animo mettere studio e solerzia nel prescegliere questo o quel congegno per avere il più adattato a quel motore, di cui vorrà far uso, ed ai iisultamenii the si propone di otleuere. Che se, egli soggiunge, la nostra rigenerazione nelle arti meccaniche e nei mestieri, non trova alimento nelle rapide ed abbondantissime acque che discendono dalle Alpi e dall'Apeuniuo, se niun profitto si vuol trai re dai venti che pur tanto servono al baiavo industre, se le nostre maremme non sembrano som di una determinata forza, sia necessario, prima di adottare il vapore, di esaminare se si potesse ottenere con minor dispendio lo stesso dà fetlu utile da forze animali.
ministrar quanto basti al nutrimento di numerosissimi ani- mali, e se la navigazione, in quelle parti dell'lulia ove se ne conserva tuttora un' irnagine, esige per estendersi assolutamele l'uso delle macchine a vapore; unzuhè restarci avvolti nel lacero mantello dell' accidia, dai buchi del quale siccome da quello del cinico traspare l'orgoglio, ricoediamoci che la nostra trista fortuna dovrebbe dirsi turpe infingardaggine ed ignoranza, poiché la natura tutto ci diede e feconde miniere di metalli, e carbon fossile per fonderli, e robuste braccia e acuto ingegno per eseguire qualunque meccanismo.
162 GIUNTA III. VELLS MACCHISI MILITASI AMICHI E MODERNE. I Delle macchine militari accennate da Vitruvio. V itruvio consacra l' estrema parte dell'opera (i) alla descrizione delle macchine militari dei tempi suoi. Noi omettemmo ogni contento relativo a piè di pagina, e ci riserbammo di parlare in questa Giunta, non già perchè la cosa in sé stessa sia di grande utilità, ma solo per non lasciare scoperta una parte del testo che imprendemmo ad illustrare. L'oscurità accompagnò continuamente l'opera vitruviana, specialmente per la perdita, dei disegni relativi, ma si mostra più profonda che mai in quest' ultime descrizioni, per cui il Filandro con la sua particolar maniera di scrivere animatissimi dà il seguente giudizio apposto in calce al cap. XV. succitato. Qui nuovamente l'ingiuria del tempo, o piuttosto la negligenza degli uomini apportò un' atroce piaga a Yitruvio. Non bastava che l' utilissima opera di tanto autore fosse Stracciata e deturpata dove parla delle posizioni delle stelle, che si doveva eziandio indegnamente sformare anche nella parte, io cui tratta delle macchine belliche. Tuttavia le ingiurie fatte al trattato degli astri si potevano sopportare, poiché molti altri autori offrivano le cognizioni relative; ma insopportabili sono quelle recate a quest'ultima parte, perchè non vi esiste alcun monumento che ne apra, per così dire, la via, e perchè il nostro autore è nella medesima cosi maculato, e dirò quasi da cancri deturpato, che lo stesso Esca- lapio, benché tanto celebre presso gli antichi poeti, non saprebbe sanarlo. Molto io studiai ed affaticai su questo pro ti) Dal cap. XV. Libi X. sino al fine. posito, ed impiegai tutta la potenza del mio ingegno per recarvi qualche ammenda, confrontando gli argomenti dell'autore con alcuui vestigi di monumenti, e con gli altri scrittori, ma a nulla potei riuscire; e forse un ingegno più perspicace, che non è il mio, potrà conseguire ciò eh' io non potei. La costruzione delle macchine belliche degli antichi fu ignorata per lungo tempo, poiché 1' invenzione delia polvere d' archibugio, e le potentissime macchine che si costruirono per la .medesima, fecero obbliarc interamente tutti i macchinismi dagli antichi adoprati per guerreggiare; a seguo che non vi rimase alcun esempio, nè alcun trattato che 'ne raccogliesse la descrizione. Valturìo, Lipsio, Baldo, Buteone ed alcuni moderni, come il Folard ed il Guischard, e vani interpreti di Vitruvio esposero le loro indagini, ma con poca riuscita. Nè dagli scritti di Vitruvio si può trarre una nozione di quelle macchine, poiohè le sue debbono dirsi racconti anziché descrizioni, non mostrando nè la forma, nè l' uso, nè il sito delle parli, e solo indicandone il nome e le proporzioni, ritenendo che fosse inutile il parlarne maggiormente siccome di cose a tutti notissime in quei tempi. Ma i nomi ed i termini da esso adoperati ora non s'intendono, c le stesse proporzioni sono esposta con segni tanto incerti e per sè stessi e per le alterazioni a cui li assoggettò 1' imperizia degli ammanuensi, variando nei diversi codici, nè accordandosi con quelli che si riscontrano presso altri scrittori, per cui non si può menomamente fidarsi. Daniel Barbaro nella sua versione di Vitruvio scrisse, che abbisognava 1' ajuto divino per intendere tali cose, perchè non vi giovano nè i libri di Vitruvio, nè alcuna figura delineata, nè antiche reliquie. Giocondo produsse la figura della balista tratta da Ateneo, ma confessò di non concepire nè questa, nù la descrizione di Vitruvio, eh' egli produceva; Perrault dice che la descrizione vitruviana di queste macchine non può essere intesa da chi che sia, nè possono giovare quelle di Ateneo, di Vegezio e di altri antichi scrittori, nè potersi illustrare con le figure della colonna Trajana, nè con quelle contenute nel libro intitolato notizie dell' impe* ro, nè eoa le altre che du Choul trasse da un marmo anlf> co, uù finalmente col modello osservato da Lipsio nell' arsenale di Brusselles. La qual cosa però non può recar meraviglia, quando si osservi che diffìcilmente possono descriversi macchine senza figure, e di più che le descrizioni di Yitruvio sono incomplete e por sua colpa e per colpa del tempo. La figura però della catapulta offerta dal Perrault corrisponde si poco al testo, che deve considerarsi siccome parto della sua immaginazione piuttosto che siccome la macchina proposta da Vitruvio. Galiaui non avendo alcuna speranza di rediulegrare il testo otnmise ogni spiegazione. Newton però raccogliendo tutto ciò che gli fu possibile dai libri antichi, e applicandosi con sano studio speciale, potè formare alcune descrizioni ordinate, ed offrire le relative figure. Chi volesse riscontrare le une e le altre potrà
ricorrere alla sua traduzione inglese di Vitruvio, ovvero all' edizione latina dello Stratico, nella quale questo comentatore con lunghissime note le rifuse interamente. Noi però desumeremo solo quanto può servire a meglio sviluppare le descrizioni delle macchine stesse per non aumentare inutilmente il volume, tanto più che il testo fu da noi corretto dietro le interpretazioni meno improbabili anziché lasciarlo pieno zeppo di inesplicabili sigle. Le macchine militari degli antichi si distinguevano in eiititone ed in polintone. Con le prime si scagliavano dardi e saette, con le seconde sassi. Alle uue appartengono lo scorpione e la catapulta; alle altre la balista. Così intendevansi tali nomi guneialmeute ai tempi di Vitruvio; posteriormente però si confusero fra loro. Lo scorpione era la più piccola e la meno efficace delle altre; e si chiamava così per una qualche rassomiglianza con l' animale di tal nome. Era questa macchina lormata di un arco d' acciajo o di qualche legno elastico; una corda di nervo o d' intestini passava da una estremità all' altra dell'arco ben tesa; alla metà dell' arco travi attaccata una regola di legno duro scavata superiormente a forma di canale più largo in fondo che all' apertura; questa regola si applicava ad una tavola più larga ( la quale era incavala dalla parte opposta all' arco per poterla appoggiare al petto J, e si copriva con uu' altra regola, la quale aveva una promi» ttenza eli e combaciava col canale della prima, in modo che vi potesse scorrere. Anche questa seconda regola era superiormente scavata a guisa di canale, ma semicircolare, in cui si collocava la freccia. L' estremità dell' arco erano incurvate all' insù in modo, che la corda potesse scorrere sopra la seconda regola senza alcun impedimento. S' infletteva I* arco finché la corda venisse alf estremità posteriore della seconda regola, ove si fermava con un puntello, e si appoggiava ad essa la corda della freccia per ciò apposita ni cu te incavata; levato il puntello, la corda spingeva la freccia con una forza eguale a quella della elasticità dell' arco. Tutta questa macchina così approntata era sollevata in alto dal sagittario, il quale 1' appoggiava al ventre e mirava il punto che voleva colpire prima di liberare la corda. Siccome il ventre era il punto d' appoggio, fu anche chiamata gaslrafele. La catapulta serviva allo stesso uso dello scorpioue, ma la sua forza spingente era molto maggiore. Per apportare poi un notabile incremento alla potenza, la macchina sopra indicata avrebbe dovuto aumentare di molto la sua mole, e risultare così non atta a maneggiarsi; per lo che si dovette variare la sua costruzione precipuamente in quella parte dalla quale dipendeva la potenza, cioè nell' arco. Ma se la potenza dell' arco e delle sue braccia aumentava, era pur necessario che vi aumentassero le forze che agivano sull' arco stesso; quindi alla forza assoluta dell' uomo si dovette sostituire un qualche meccanismo, dal quale dipendeva la diversità della costruzione. Queste diversità erano le seguenti. Invece dell' arco adoperato nello scorpione, si formò una macchina rettangolare, la quale constava di quattro pezzi di legno uguali, posti verticalmente ed a convenienti distanze fra loro, e collegati superiormente ed inferiormente da due altri orizzontali, connessi con lamine di ferro. Dei quattro verticali, i due angolari si dicevano paraste, e i due intermedj mesoste. Gli orizzontali poi dicevansi tavole. Il complesso di questi legni così riuniti chiamavasi capitello. In ciascuna delle due tavole si praticavano due fori, corrispondentisi verticalmente, nello spazio che stava fra le paraste e le mesoste. A questi fori si applicavano delle forti verghe di ferro. Una corda intessuta di tendini o d' intestini d' anima» li, passava dalla verga superiore all' inferiore tante volte alternativamente, quante bastava perché si riempissero i fori in guisa che non potesse più passarne un sol capo. Alla metà dell' altezza di questa corda, fra i capi che si erano alternati sulle verghe si attraversava una spranga d' acciaio o di legno elastico, detto braccio, e poi si facevano girare le verghe di ferro finché le corde fossero costrette a torcersi il più che si potesse, per cui la spranga andava a premere con molta forza, contro la prossima parasta, nella quale eravi uu incavo semicircolare atto a riceverla. Ciò aveva luogo tanto a destra che a sinistra del capitello. Dall' intorcimento di quelle corde nasceva una grandissima forza elastica, per cui le due braccia di questa macchina corrispondevano alle braccia indicate nello scorpione, ma le superavano in forza di gran lunga. La colonna che formavano le funi contorte si diceva emitono. AH' estremità esterna poi di ciascun braccio vi era un foro, pel quale passava una fune che si fermava con un' estremità ad un braccio e con l'altra all'altro braccio, e talmente tesa che potesse tenere le braccia stesse alquanto staccate dalle paraste. Tutto ciò che si è fino ad ora indicato della catapulta doveva sostituirsi semplicemente all' arco dello scorpione. Il rimanente della macchina era formato nello stesso modo. Se poi questa macchina riescivi di tale grandezza che non si avesse potuto facilmente maneggiarla e dirigerla ai punti cui si voleva, la si collocava sopra una base in modo costrutta che si potesse conseguire tutti i necessari movimenti. Questa base constava di un fulcro o colonnetta alta due piedi e tre pollici ( 784 millim. circa ) solfolta da tre legni situati sul terreno ed attaccati alla sua estremità inferiore e da tre braccia che con un' est remi la appoggiavano a quei tre legni e con 1' altra all' estremità superiore della colonna. Questa estremità superiore poi si conformava in un asse cilindrico, il quale penetrava in un bossolo, su cui si appoggiava la macchina; il bossolo e la macchina stessa erano attraversati da un asse di ferro orizzontale, intorno al quale la macchina aveva uu moto Verticale; unitamente al bossolo poi girava nel senso orizzontale. Le catapulte erano di varie dimensioni; fra le più usitate però si annoverano la trispitamale e la tricubitale, cosi dette dalla lunghezza
dell' asta che potevano lanciare, cioè- di tre spanne, e di tre cubiti. Le proporzioni poi della loro parti date da Vitrnvio sono corrotte, nè si può prestar loro una piena fede. Erone però dice che tutti i rapporti si debbano determinare con la sperienza. Filone ne accenna alcuni, ma con grande discrepanza da quelli di Vilruvio. Sì accordano peraltro nel dire che tutti quei rapporti debbano ipendere dall' ampiezza dei fori praticati nelle tavole orizfentali, servendo questi di modulo siccome il diametro deismo scapo serve a determinare le varie parti di una colon* ni e che il diametro dei fori medesimi debba eguagliarsi alU nona parte della lunghezza della lancia che si vorrai •cacare. Le sigle, che per esprimere questi rapporti furo* 00 s'oprate da Vitrnvio in questo capitolo e nei successivi*, ed al» quali noi abbiamo nel testo sostituite le più probabili in>rpretazioni, si veggono esposte nella seguente tabella.
gli altri prendono questi due ultimi sgni come divisioni dei periodi. La balista era consimile alla catapulta e differiva soltanto uelP avere il medio intervallo del cartello molto più ampio, perchè serviva a scagliare grandi sassi. Erone assiti me per questo intervallo il doppio della lunghezza delle braccia; per. lo che si costruivano separatamente le due parti che contenevano le corde, indi si collegavano con due lunghi legni orizzontali, detti come prima tavole, le quali anziché rettangolari si facevano di forma romboidale. Costrutto poi il capitello, lo si collocava sopra un LiVolato orizzontale formato di varj travi equidistanti collocaci nel senso della lunghezza del capitello, congiunti con al» tri travi trasversali, e coperti ,con tavole. Questo tavolati corrispondeva alla così detta tavola nello scorpione. Sopr| di questo se ne collocava un altro similmente ! costrutto cori rispondente alla regola dello scorpione, e tale che sporgevi d' ambe le parti dal primo tavolato. Questo secondo sosteneva i sassi da scagliarsi, ed era collegato al capitello; tutto il rimanente era disposto come nella catapulta. Si doveva poi disporre le parti di questa macchina in modo, che li corda, la quale univa le due braccia del capitello, nello stendersi andasse a colpire il sasso verso il suo centro; e per chè il colpo fosse più preciso la corda dell' arco non si testi Beva cilindrica, ma parallelepiptda, avente alla sua metà uflj «nello, nel quale s' internava 1' uncino che la teneva ripiel gata. Queste macchine dovevano essere formule del legni} più duro e forte che fosse possibile, combinando però tutti quella leggerezza che fosse compatibile cpn la solidità, onde facilmente si potessero tradurre da un luogo all'altro. E per questo si costruivano tutte le parti separatamente; ad eccezione delle due che contenevano gli emitoni, composte di Una parasta e di una mesosta, le quali erano tutte di 114 pezzo. La balista era poi sostenuta da una base, accennata lauto da Vitruvio che da Erode, ma non descritta; sembra peraltro che non differisse da quella che reggeva la catae pulla, come si può dedurre dai' termini adoperali da Vitruvio per accennare alcune parli.'' Dopo avere indicate queste' macchine Vitruvio raccoglie nel capitolo XVII. le principali regole della balista, relative alle macchine stesse. Stabilisce in primo luogo che la 'grandezza dei sassi da scagliarsi debba essere proporzionale ai diametri dei fori praticati nel capitello; e la legge di questa, proporzionalità si vede nella seguente tabella, nella quale lo Stratico aggiunse anche i rapporti accennati da Boteone e da Filone.
II metodo poi indicato da Brone per proporzionare l'ampiezza del foro al peso delle pietre è questo.- si moltiplichi (il La mina era un peso amico, che corrispoiuleu a cento once nell'Attica, ed a centosessanta in Alessandria. Secondo lo Sualioo, Erone, di' era Alessandrino, adoperò <|uest' ultima, e Vitruvio che seguita i precetti greci r abbia pure adottata. (a) I diametri sono espressi in pollici. per cento il numero eh' esprime il peso della pietra, si eslragga la radice cubica del prodotto, ed al risultato si aggiunga la sua decima parte. Buteone invece stabilisce, che data l' ampiezza del foro per una pietra di qualunque
peso, si avrà 1' ampiezza necessaria ad un altro peso determinalo prendendovi due medie proporzionali. Vitruvio, alle indicazioni delle p re fa le macchine fa seguire l' esposizione del modo, con cui si dovevano contorcere le Corde, nelle quali consisteva la principal potenza della macchina; e dice che dovevano torcersi in modo, che toccate rendessero un suono eguale. Al che Perrault ed altri osservarono non essere cosa tanto facile che un fascio di corde della grossezza di otto pollici tessute con capelli potesse mandare un suono sensibile. Ma soggiunge lo Stratico che questa difficoltà proveniva dalla falsa idea che si erano formata di tale macchina; non dovendo supporsi che il suono si traesse dal fascio intero, ma da ciascuna corda che lo doveva comporre; e ciò era necessario perchè potessero i due fasci essere egualmente tesi, onde non fosse un braccio stirato più che V altro, lo che avrebbe prodotto un cattivo effetto, venendo il progetto scagliato dalla forza di un sol braccio, e perciò in direzione obbliqua. Queste corde si formavano con tendini animali, fra cui si preferivano quelli delle gambe di cervo, e del collo di bue; ma ad ogni altra cosa si preferivano i capelli di femmina, perchè si giudicavano più forti. Gli antichi però ebbero catapulte e baliste di forma alquanto diversa dalla sopra indicala. Filone dice di avere fatto in tali macchine molti cangiamenti e di averle perfezionate. La catapulta trovata da Lipsio nell' arsenale di Brusselles era simile alle precedenti, ma aveva alcune modificazioni secondo Filone. Le descrizioni che ci diedero Yegezio 'e Marcellino, che vissero molti anni dopo Vitruvio, mostrano che in quell' intervallo di tempo le macchine belliche avevano cangiato forma e denominazione; trovandosi presso di loro chiamate baliste quelle macchine che scagliavano dardi e saette, ed onagro (a) quella che serviva a lanciar (1) Asino selvatico.
pietre dal nome di quesl' animale, del quale si raccontava che scagliasse pietre contro i cacciatori che lo inseguivano. La potenza di queste macchine è molto esaltata dagli antichi. Ateneo riferisce che una catapulta lunga un piede era atta a scagliare un dardo alla distanza di mezzo miglio; e dicesi che alcune scagliassero le frecce al di là del Danubio. Le baliste gettavano travi grandissime, e lande lunghe ben dodici cubiti, e pietre gravi per trecentosessaota pesi romani (i). L Polibio fa menzione di pietre scagliate dalle baliste, le quali impedivano l' ingresso nel porto alle navi nemiche. Giuseppe accenna pure diversi esempi della loro potenza, cioè che si atterravano colle medesime e piramidi e torri, e si rovesciavano le intere file di soldati; e la esalta a segno di eguagliarla a quella degli stromenti bellici dei nostri giorni, ciò eh' è appena credibile, al dir dello Stratico. Dopo di aver parlato di queste macchine il nostro autore accenna quelle che servivano all' assalto delle fortezze. Ciò che dice sulle medesime è chiaro quanto basta, aggiungendovi quelle poche note che abbiamo apposto in calce ai singoli capitoli. Quindi lasciando queste erudizioni inutili pei nostri giorni, accenneremo alcune cose relative alle macchine moderne. ■ IL Delle macchine militari moderne. Parlando di una macchina non si può a meno di accennare la forza motrice della medesima, siccome la causa primaria dell' effetto che ne risulta; quindi volendo indicare le macchine militari d' oggidì fa d' uopo dire alcun che sulla polvere chiamala d' archibugio, poiché dalla violenta elasticità della medesima, accesa che sia in uno spazio ristretto, dipende la potenza di tutte le macchine medesime destinate cosi all' attacco dell' inimico, come alla difesa di sè stessi. (1) Un pno romano equivaleva a novantasei mine. Nessun conosce precisamente il tempo nò l'autore di questa scoperta, e il sig. Alleni, (1) ci dice soltanto che s'incominciò a farne uso nella guerra al principiar del secolo XIV. La polvere d'archibugio è un perfetto miscuglio di salnitro, di zolfo e di carbone. Il rapporto fra questi fattori varia secondo l'uso a cui viene destinato il prodotto (1). Carnet (5) riferisce che dietro molti sperimenti la
proporzione riguardata siccome la migliore è di settantasei parti di salnitro, nove di zolfo, e quindici di carbone, per ogni cento parti di polvere. Soggiunge poi che il carbone più proprio per questa polvere è quello di legno bianco non resinoso, come il pioppo, il salcio, il nocciuolo ed altri. Al legno si preferisce in molti luoghi la lisca del lino e della canape, e con grande vantaggio dietro molte sprrienze. Per formar poi quest'esatto miscuglio erano necessarj mulini e macchine complicate prima che il sig. Carny immaginasse un metodo facile, praticabile in qualunque luogo senza bisogno di mantenere grandi magazzini di polvere, spesso causa di funesti accidenti. Consiste questo metodo nel polverizzare separatamente le tre sostanze componenti, iudi porle nelle prescritte proporzioni in botti munite di piccole striscie rilevate nella parete interna; vi s'introducono altresì alquante palle di rame; si fauno girare le botti con manubri, per cui le striscie (1) flisloire du Corps royal du Gi'nic. i8o5. ;■}) Hachette nel suo trattato delle macchine dice che nelle fahbriohe della Francia queste sostanze sono proporzionate nella maniera seguente per un peso di mille parti.
e le palle percuotendo continuamente le materie ne fanno in poche ore un miscuglio perfetto. Dopo di che per ridur la polvere in granelli, si umetta alquanto il miscuglio e lo si riduce per mezzo della pressione in sottili strati consistenti; i quali si riducono poi a piccole particelle che si fauno passare per lo staccio, onde separarne i granelli a seconda della loro grossezza. Anzi le sperienze eseguite dal generale Aboville in compagnia del Cavalier Borda e del sig. Pelletier mostrarono giusta l'osservazione di taluni, che un semplice miscuglio delle indicate sostanze ben triturate fatto all'istante aveva quasi egual forza della polvere battuta.e granita. E si mostrò pure con altre sperienze che il salnitro ed il carbone senza zolfo producono una buonissima polvere. Il peso poi della polvere ordinaria è di circa novanta grammi per ogni decilitro; ed il suo peso specifico, ridotta che sia in polverino ed ammassata, è i, 66. S'infiamma con detonazione a 294°. del termometro centigrado, temperatura che determina la combustione dello zolfo. Per costruire poi le macchine per mezzo delle quali si inette in attività questo motore era necessario di conoscere la forza elastica dei fluidi aeriformi che nel!' accensione della polvere si svolgono all' improvviso in gran copia. Si conobbe che questa forza dipendeva solo dalla densità, poiché la temperatura è costante: ma il rapporto con cui cresce la forza non è lo stesso di quello con cui cresce la densità, come credeva Robins (i) poiché le sperienze di Rumford (?) provano che l'elasticità cresce in una proporzione molto maggiore della densità. Le stesse sperienze dimostrano falsa la proposizione sesta dello stesso Robins, cioè che il massimo grado di forza corrispondente al massimo grado di densità eguagliasse la pressione di mille atmosfere, poiché si trovò che alla densità due la forza era come cento, ed alla densità diciotto come 85/(7, esprimendo con questi numeri l'altezza di una colonna di mercurio insistente sulla sezione della bocca del tubo. Quest' ultimo risultato esprime una forza di (l) Principe*
durata della sua infiammazione, non si potè calcolare 1' effetto dinamico assoluto, nè l' effetto utile che si riduce a quello che produce 1' obice lanciato per l' esplosione. Si dovette quindi appagarsi dei risultati, sempre alcun poco incerti, della sperieuza. I primi tentativi per determinare la velocità iniziale d' un progetto furono fatti dal sunominato Robins con felici successi. Huttou replicò le sperienze più in grande dal (1) fillantroys in una nota alla sua traduzione d" Huttou, calcola che la forza elastica del fluido sviluppato dalla polvere sia per lo meno da venti a trenta mille volte quella dell' aria atmosferica. (a) Essai d' une théorie d' Artillcric. Paria 1760. (3) Obteryations tur un nowcl ouvrage (C grullerie, 1818 IJ83 fino al 1791, e vi trovò molta conformità nei risultati, viemaggiormente confermati da quelle che continuò il signor Gregory fino al 1817. Questi risultati dedotti dalle sperienZc sopia un motore* il quale, come osserva Hachelte, formò epoca nella storia dell' incivilimenlo, debbono interessare il maggior numero degl' ingegneri, e quindi non possono trasaudarsi quando si voglia indicare le principali applicazioni della meccanica. Noi però inviando quelli che bramassero di conoscere i metodi delle spenenze al suddetto trattato delle macchine di Hachelte, nel quale vengono interamente riportati (1), non faremo qui che semplicemente accennarli come segue. 1. ° La celerità di una palla è proporzionale alla radice quadrata del suo peso, finché la carica uun oltrepassi la mela del peso medesimo. Aumentando la carica diminuisce il rapporto della velocità, perchè cresce il rapporto fra lo spazio occupato e la luughezza totale del cannoue; ciò che non avrebbe luogo se questa lunghezza potesse crescere iudetiuitivamrnte. 2." La velocità della palla aumenta con la carica fino ad un certa termine particolare per ciaschedun pezzo, oltrepassato al quale se aumenta la carica diminuisce gradatamente la velocità fino al punto in cui tutta l'anima del cannone sia ripiena di polvere. La carica coriispoadeute alla massima velocità è tanto maggiore quanto è più luogo il pezzo, ma nou cresce però proporzioualruenle alla lunghezza medesima. La porzione di anima ripiena di polvere per questo , massimo, relativamente alla lunghezza totale, è minore nei pezzi lunghi che nei corti, trovandosi ad un di
presso che la lunghezza della parte ripiena sta in ragion inversa della radice quadrata di quella della parte vuota. 3°. La velocità aumenta con la lunghezza del cannone, ma non però nello stesso rapporto; e si trovò che le velocità hanno un rapporto alquanto minore di quello che passa fra le radici quadrate delle lunghezze dell' anima, ed alquanto maggiore di quello che ha luogo fra le radici cubiche delle medesime. v'. Per uno stesso pezzo, e sotto uno stesso angolo di projezione, le portate aumentano in un rapporto molto minore di quello delle velocità, avvicinandosi quasi a quello delle loro radici quadrate. 5°. Nelle stesse circostanze le durate delle proiezioni stanno a un di presso come le portate. 6. Non si trovò differenza nella velocità e nella portata pel variar del peso del cannone o del grado di forza nel battere la carica, od appiccando il fuoco a diversi punti della carica. go. Un piccolo incremento nell'arra (1) della palla produce una gran perdita nella velocità. Con Varia comune, che suol essere 1/30 del calibro si perde per lo meno da t/3 ad 1/4 di carica; e se la palla è ancor più piccola, come tal volta accade, se ne perde anche la metà. 8°. Variando le cariche si trova che le velocità stanno come le radici quadrate dei pesi della polvere. po. Le velocità non variano sensibilmente sia che il cannone possa oscillare liberamente sul suo asse di sospensione, ovvero che sia attaccato al suo carretto, o sia che questo possa o non possa rinculare. io°. L' effetto dinamico utile di un grarama di polvere da guerra di buona qualità si calcola di 35,83. ritenendo 1' unità dinamica quella di un chilogramma innalzato ad un metro. Varia però quest' effetto non solo con la forma e colle dimensioni della bocca da fuoco, e con la qualità della (1) Aria o Vento della palla neh" artiglieria significa la differenza fra il calibro del pezzo, ossia il suo diametro interno, e quello della palla, differenza stabilita perchè questa ti entri e si esca facilmente senza produrre grande attrito nell' anima del cannone, lo che ritarderebbe il moto della palla, e consumerebbe il metallo del pezzo troppo presto -, est anche perchè la palla possa entrarvi anche rovente
Vnzvrio, Lib. x. 13 polvere, ma beo anche col peso della carica. Quindi da varie sperienze si dedusse una forza Media di 26, a5. chilogrammi innalzati ad un metro (1). Venendo ora a parlare dei mezzi, pei quali si mette in attività questo potentissimo motore, i cui sorprendenti effetti non differiscono da quelli del vapore ( se non si voglia dire che il primo arrecò all' uman genere molto maggiori danni, di quello che il secondo non abbia apportato vantaggi), si osservi che generalmente la forma di questi mezzi o macchine si riduce ad un recipiente più o meno allungato a guisa di tubo, con un'apertura più o meno grande per la quale s' introduce la polvere ed il proietto che si vuole lanciare; questo recipiente è chiuso dalla parte opposta, ed ha solo nella parte superiore un piccolo foro, detto focone, per cui si applica il fuoco alla polvere, la quale infiammandosi, e quasi istantaneamente evaporandosi spinge con grandissima forza, dovuta all' elastica dei gaz che sviluppa, tutto ciò che le sta dinanzi, comunicandogli una determinata velocità di proiezione, la quale combinata alla gravità che agisce «ontinuamente su tutti i corpi, fa descrivere al projetto una traiettoria, la quale si trovò essere una curva parabolica, alquanto alterata per l'intervento della forza passiva che oppone la resistenza dell' aria. Le diverse dimensioni però date a questi pezzi fecero sì che loro si applicassero diversi nomi, e perciò negli antichi trattati di artiglieria si trovano indicati la colubrina, il sacro, 1' aspide, il passavolante, il dragone, il mortajo, il falcone, il falconetto, il pellicano, lo smeriglione, e tanti altri uomì bizzarri immaginati per sorprendere alla stessa maniera che i masnadieri di quei secoli si chiamavano taglia-teste, spacca-monti ecc. (1). Quando però si volesse denominare genericamente questi pezzi, si pò* (1) Veggasi la tavola sulle velocità minali in fine di questa Giunta. fa} Cbi volesse vedere i nomi ed il calibro di uu gran numero di pezzi d'artiglierìa antica pc':à consultare le Mémoires d 1 Artillerie d* Suviery de S. Remy, e così pure I' operetta di Alessandro Capo Bianco Vicentino, intitolata: Corona e palma militare di artiglieria, stani-pata in Venezia nel i5o,8, nella quale tratta delle forme, degli usi • del maneggio dei varj pezzi tanto di terra che di mare. Irebbe chiamarli cannoni dalla parola canna o tubo eh'è la parte principale di tutti. I primi cannoni furono di una grandezza smisurata, credendosi allora che 1' effetto stasse in proporzione del loro volume. Si narra che i Turchi ne avessero di quelli che portavano palle del peso di trecento libbre; ed anzi che all' assedio di Costantinopoli ne avessero di quelli che portavano palle di milleduecento libbre; se ciò è vero ognuno può immaginarsi il volume di queste macchine quanto enormi altrettanto inutili. Questi pezzi però si denominavano anche col numero eh' esprimeva il peso delle palle che portavano, e perciò si disse cannone da trenta, sacro da venti, ecc. la qual denominazione si conservò tuli' oggi esclusivamente. Il marchese de Valiere fu il primo che, conoscendo l'inutilità dell' enorme lunghezza dei pezzi d'artiglieria, ne fece un miglioramento, lo che diede luogo in Francia ad un'ordinanza del 1732, per la quale si ridussero tutti i calibri a cinque specie soltanto cioè da 2^, 16, la, 8, 4; c'ie furono poi nel 1766. distinti in pezzi d'assedio, e di fortezza mercè le innovazioni introdotte nel servizio dell'artiglieria dal marchese di Gribeauval; che si ridussero poi ad una maggior semplicità nell' anno undecimo della Repubblica francese, essendo stati adottati semplicemente quelli di 24, 12, 6, in quanto però alle fazioni di terra, poiché in mare fanno d'uopo di pezzi maggiori, e per ciò tuttora se ne adoprano di 36, 24, 18, 12 8, 6, 4- Questi pezzi sono detti regolari, ed i nomi di quelli impiegati più comunemente sono: cannone, raortajo, obizzo e petriera. Vi si aggiungono però gl'irregolari, i quali secondo Carnot, possono riuscir utilissimi in una fortezza assediata in causa della loro leggerezza, per cui possono essere trasportati facilmente anche a mano e collocati sull' istante ove è maggiore il bisogno. Fra questi pezzi irregolari Carnot distingue i cannoni alla Rostaing di una libbra di palla; le spigole o petriere da nave di tre libbre, che si caricano per la culatta; e i passatempi inventati dal maresciallo de Saxc che lanciano una palla di ventiquattr' once alla distanza di quasi tremila metri. Il cannone trae il suo nome dalla voce italiana canna, poiché in Italia, dice un autor francese, fu la culla delle arti, a cui si devono quasi tutte le moderne scoperte. Non si conosce precisamente l' epoca in cui fu inventato il cannone e solo si pretende che gli Spagnuoli ne facessero uso nel i343. alla battaglia di Algezir; divenne comune però nel quindicesimo secolo, in cui nacque per conseguenza una totale rivolta nell'arte militare, specialmente nell'assalto e nella difesa delle fortezze. Quest' arma terribilissima riusci però meno distruggitrice di quelle che la precedettero, benché abbia messe le nazioni in grado di opporsi con felice successo alle invasioni nemiche, per cui l'Europa non fu più coperta da quelle immense orde di barbari che la devastarono continuamente, ed in ispeciblilà nei primi secoli dell'era cristiana.
Le parti principali di un cannone sono il rosone (1) col suo bottone; la culatta che forma il fondo posteriore del tubo, il primo rinforzo; il secondo rinforzo; la volata; il collare, eh' è la parte più rastremata fra il cercine e l'astragalo, e che forma con questi l'estremità anteriore; gli orecchioni con le loro basi, che sono quelle parti rotonde situate verso la metà, e che servono ad appuntare il cannone restando sopra gli stessi siccome in equilibrio, i manichi, l'anima, eh' è la cavità, entro alla quale si mette la (polvere e la palla; la bocca, cioè l' apertura del tubo al suo principio; il focone, ossia quel piccolo foro praticato presso la culatta, a cui si appressa la miccia per appiccar il fuoco alla polvere; le modanature che servono d' abbellimento; e finalmente la bietta che serve a rialzare e che si adopera solamente nei pezzi da battaglia. Il seguente quadro offre le principali dimensioni dei vari pezzi di cannone usati durante il governo italico. (i) Quota parte, che forma 1' estremità posteriore della macchina, è detta dai francesi cul-dclampe, perchè ha la forma del fondo di uua lampada da chiesa.
I pezzi del calibro da 12. fino a quello da 4- si distinguono in lunghi e corti; i primi si adoprano nelle fortezze, i secondi nelle battaglie campali. In tutti i pezzi lunghi dal calibro di i\. fino a quello di 4. la lunghezza della culatta, quella del pezzo vicino al .focone, ed alla maggior entasi del cercine, come pure la lunghezza e il diametro degli orecchioni, si eguagliano sempre al diametro della palla, cioè sono un po' minori del diametro dell'anima del cannone. L' aria della palla si stabilì tanto pel cannono quanto per ogni altro pezzo di artiglieria di millimetri due ed un quarto all' incirca; ed il diametro del focone di millimetri 5,6a. L' asse degli orecchioni è situato un po' inferiormente a quello del pezzo. L' anima è nel suo fondo ritondata per un' Ottava parte del calibro. Il peso dei pezzi di cannone a seconda del loro calibro si vede nella seguente tabella.
Dalla sovrapposta tabella si deduce che in una media prossima il peso dei pezzi d'assedio e di fortezza corrisponde a 260. volte quello della loro palla; ed il rapporto Ira il peso dei pezzi da campagna e quello della loro palla è di i5o. soltanto; ritenendosi che il peso della palla di ferro fuso corrisponde a un di presso alla sua denominazione, ma che aumenta alcun poco se invece sono di ferro battuto. La carica ordinaria d'un cannone, cioè il peso della polvere che vi s'introduce, quando si tira a palla è di circa un terzo del peso di questa; se il tiro è a cartoccio si aumenta la suddetta carica di un quarto di libbra; se poi si tira a rimbalzo (1) la carica è molto variabile, poiché ad esempio nel pezzo da 24- può essere da tre libbre fino a meno di una, e negli altri pezzi a proporzione del cValibio. Riguardo al tiro di cannone è da avvertirsi che special
mente nelle fortezze marittime e lungo le spiagge si «d'oprai no spesso palle roventi. L'arroventamelo si effettua uei fornelli a riverbero inventati dal generale Meunier, dai quali si ottiene economia di tempo e di spesa. È questo fornello un massiccio in muratura di mattoni formante un vuoto a volta, in cui si dispongono le palle in più file inclinate peichò si possano facilmente far uscire quando sieno arroventate. La fiamma che circola sotto questa volta fra le palle è prò» dotta da un fuoco di legna collocate sopra una graticola adiacente, al di sotto della quale vi è un cinerario. Le palle si dilatano poco più di un millimetro, per cui possono tuttavia entrar nel cannone in grazia dell' aria della palla. Per evitar poi tutti gli accidenti si adoprano cartocci di polvere molto grossi e sani, a cui si sovrappone uuo stopaccio di fieno secco, indi un altro di fieno bagnato in modo che riempia l'anima esattamente, e lo stesso si pratica dopo aver posta la palla; oppure invece di questi stopacci si adopera della terra grassa. Si usano pure palle incendiarie, le quali sono formate di una carcassa di ferro riempita e circondata di materie sommamente combustili che si accendono al momento dello scoppio della polvere nel cannone, ed appiccano il fuoco alle masse combustibili contro le quali vanno ad urtare (i). Finalmente si usano palle forate simili a piccoli obizzi senza fondo, le quali scoppiano dovunque vadano a cadere, facendo l'effetto di piccoli fornelli da mina, ma sono pericolose molto anche a chi le tira.
A queste indicazioni sulla forma di un cannone aggiungeremo la spiegazione della frase inchiodare un cannone. Essa significa cacciare a forza un chiodo nel focone perchè non possa più servire, ciò che si pratica dal nemico quando non sia a tempo di trasportare i pezzi lasciati sul campo dopo una fazione. Si adopra a tal oggetto ordinariamente un chiodo d' acciaio quadrato che s'introduce a colpi di martello rompendogli poi la testa perchè non possa più estrar li) Oggi si usano i così detti razzi alla Congrue, ma «i vuol fare un muterò sulla loro costruzione, e per ciò noi non tenteremo di srelarlo. Bi, e ribadendogli la punta col bastone (i). Per ischiodarc un cannone s'introduce una carica di polvere con palla, • stoppacci misti a polvere per dargli fuoco dalla parte della bocca, ciò che spesso ha luogo quando sia stato inchiodato nella maniera suindicata. Che se si voglia con più sicurezza mettere un cannone in istalo che non possa più servire ai caccerà a tutta forza fino al fondo una palla involta nel feltro. Questa macchina poi per essere messa in azione ha bisogno di una carretta, che la sostenga, e sopra la quale possa muoversi in senso verticale. Le carrette da cannone, benché tutte simili, hanno qualche diversità secondo la diversità dei pezzi, e perciò si distinguono quelle d'assedio, quelle da difesa, quelle da battaglia, quelle di spiaggia, quelle da mortaio ecc. Per esempio la carretta per un pezzo di cannone da battaglia consta di due (lasche (s), di tre calastrelli (3); uno dei quali serve per la volata (4), il secondo di sostegno, ed il terzo di lunetta di due ruote, e di un suolo attaccato «1 calastrello di volata con una cerniera, oltre alle ferrature necessarie. Ciascuna ruota è composta di un MOZZO (5), in cui si distingue il maggiore ed il minor capo e la pancia, di sei quarti (6), di dodici raggi, in ciascuno dei quali si distingue il corpo, la zampa eh' entra nel mozzo, ed il fuso ch'entra nel quarto, e di sei caviglie di unione. In quelle carrette poi che servono per gli altri pezzi vi ei aggiungono all' uopo delle viti, delle chiocciole, degli assi, ed altre parti accessorie che si trovano descritte nei trattati di artiglieria. (i) Il bastone in artiglieria è un bastone ordinario munito ad un.* «tremila di un grosso bottone piatto. (a) Le fiasche sono due pezzi di legname che costituiscono le parli laterali della carretta. (3) I calastrelli sono pezzi di legno, o traversi che collegano fra loro le fiasche per formare un sol tutto. (4) Dicesi volata la parte del cannone compresa fra gli orecchioni e la bocca. (5) Mozzo è quella parte della ruota, in cui s' infiggono i raggi, • elie viene attraversato dall' asse. (6) I quarti sono quei pezzi di legno incurvali che formano la circonferenza della ruota. Lo scopo però principale della carretta è di sostenere il pezzo in modo che possa prendere diverse inclinazioni all' orizzonte, dalle quali dipende come ognuno sa, la portata del pezzo, ossia la distanza a cui slancia il projctlo. Questa dipende dalla natura del moto composto a cui va soggetto 1' obice appena uscito dalla bocca, cioè a quello impresso dalla forza elastica e che dicesi di proiezione, il quale è uniforme, ed a quello che gì' imprime continuamente la gravità e eh' è uniformemente accelerato in senso contrario al primo, dalla quale composizione risulta che il proietto descrive una parabola, il cui parametro è il quadruplo dell' altezza a cui giungerebbe il proietto medesimo se ubbidisse unicamente alla forza di projezione. Carnot offre diverse tavole per la portata dei vari pezzi, delle quali noi riporteremo qui la seguente relativa ad un cannone da 24. caricato con nove libbre di polvere, da noi ridotta a misure metriche.
Noi abbiamo data una descrizione alquanto estesa del pezzo detto propriamente cannone, poiché tutti gli altri pezzi si riferiscono al medesimo non differendo nella disposiziona generale, ma solo nelle parti e nelle dimensioni. Cosi il mortaio non è che un cannone più corto dell' ordinario, e che serve a slanciar bombe, e che è uno dei primi pezzi che si sieno adoperati nelP artiglieria, essendosi con questo strumento slanciate le prime bombe nel 1588. Ha questo nel suo fondo una concavità particolare che dicesi camera, e che serve alla più completa iufiammazione della polvere. Si danno anche ai mortaj diversi nomi desunti dal diametro della loro anima contato iu pollici, e si noverano da 12, da 10. a gran portata, da 10. a piccola portata, e da 8. Il morlajo da la. ha le seguenti dimensioni riferite da Carnot, e che noi traduciamo in misure metriche, prendendo per unità il millimetro. Diametro dell' anima 3a5; profondità dell' anima una volta e mezzo il suo diametro; diametro della camera cilindrica cogli angoli in fondo ritondati 126; profondità della camera 149; aria della bomba 3; lunghezza degli orecchioni 162; diametro
degli orecchioni 216. Il peso del mortaio è di 3i5o. libbre, quello della bomba 147, la carica della bomba piena di 17, la carica sufficiente per fare scoppiare la bomba di 5, la carica a camera piena senza bomba di tre libbre e sette once, e con la bomba di tre libbre e due once. Gli altri mortai hanno piccole diversità nelle quantità sopraesposte. Vi sono poi i mortai detti alla Corner, che hanno la camera a cono troncato colla base maggiore verso la bomba; la loro portata è più grande, ma consumano più polvere. Gli obizzi sono una specie di mortai che si tirano orizzontalmente come il mortaio ordinario, ma che hanno un suolo con ruote a somiglianza del cannone. Furono inventati dagF Inglesi e dagli Olandesi. Se ue contano di tre sorta dal numero dei pollici del loro diametro, cioè da 8. da 6. e da 5. poi. 7. lin. 2. punt. L' obiito da 8. ha il diametro interno di millimetri 223; l'aria del projetto di 2; la profondità dell'anima tripla del suo diametro; il diametro della camera di 81. millimetri; la sua profondità di 189 con gli angoli ritondati al fondo; la lunghezza degli orecchioni di 108; il loro diametro di 119. Il peso del pezzo è di 1096. libbre, quello del proietto di 43; la carica del progetto pieno è di 65. once, quella bastante per. larlo scoppiare di 16» e quella a camera piena di 18. Le dimensioni e le altre quantità ora accennate variano poco nelle altre specie di questa macchina. Le petriere non si usano più che in mare, e Saint Reme dice che fin dal suo tempo si erano fuse tutte quelle che si trovavano negli arsenali. Alcuni però pretendono che potessero tuttora riescire di qualche utilità. È questo pezzo un piccolo mortaio con cui si scagliano pietre, chiodi, ferra, ture ecc. Se ne distinguono due specie, una delle quali si carica come il mortaio ordinario mettendovi in esso un paniere ripieno di pietre e di ciottoli invece della bomba; l'altra poi si apre generalmente dalla parte del fondo; la camera può essere levata, e la si carica da quella parte, anziché per la bocca come le altre armi da fuoco. Questo pezzo produce gravi danni e disordini con la grandine di pietre che scaglia. Talvolta alle pietre si frammischiano piccole bombe e granate. Il suo effetto è pieno quando la distanza dallo scopo non supera i i5o. passi. Il diametro interno di questo pezzo è di 4°6- millimetri; la profondità dell' anima è una volta e mezzo il suo diametro; la camera è terminata da un emisfero di 38 millimetri di raggio. Il diametro del monticello su cui si colloca è di 40( millimetri, e la sua grossezza di 45; il diametro e V altezza del paniere sono di 55i. La massa delle pietre da proiettarsi è da ottanta a cento libbre; il monacello pesa cinque libbre ed un quarto, e tre il paniere. La volata ha la grossezza di 41 millimetri. La carica è da una a tre libbre. Tutti gì' indicati pezzi formano la così detta artiglieria. Di queste armi se ne adoprano anche a cavallo. Questi artiglieria però, detta anche artiglieria volante, non adopra che cannoni da 8 corti, ed obizzi. Il metallo adoperato nella costruzione dei pezzi di artiglieria è il bronzo, formato da une lega di 100 parti di rame ed 11 di stagno. A questo proposito Caruot riporta le seguenti parole del generale de la Martilliére. „E da presu„ mersi che lo zinco adoprato nelle fusioni invece dello sta„ gno, od anche con lo stagno stesso, formasse uua lega col „ rame più dura e più compatta dell' ordinaria, essendo più „ duro dello stagno, ed avendo col rame una maggiore a(li„nità; di più essendo meno fusibile dello stagno, sarebbe ,, meno atto di quest' ultimo, in un servizio forzato, a ri„ durre per mezzo del calorico il pezzo al grado di mollez„ za e di flessibilità, per cui si incurva in tali circostanze. „ Questa lega, secondo le mie conghietture, sarebbe per tali „ cause più propria alla costruzioae delle bocche da fuoco ". Molti pezzi d' artiglieria si fanno anche di ferro fuso, ma per essere pesanti e fragili non si adoperano cbe sulle spiaggie e nella marina; si migliorano però facendo subire al metallo una seconda fusione, ed il suddetto generale pensa che molto migliori riescirebbero legando il ferro con lo zinco. Le petriere però che portano piccole cariche di polvere possono per economia farsi di ferro fuso, come propose il signor de Vauban. Alla suddetta classe di macchine vi appartengono pure le armi a fuoco portatili, e sono queste le granate, il fucile ordinario, il moschetto, e la pistola. La granata è una piccola palla scavata nel suo interno, della forma di un melograno, che si riempie di polvere e si slancia colla mano. L' ordinaria ha il diametro di circa 81 millimetri, ed il peso di tre libbre; ve ne sono però di minori. Hanno per solito dalla parte opposta alla luce un calzare, cioè una doppia grossezza, perchè abbiano a cadere da questa parte. Quando i soldati sieno esercitati nel proiettare le granate possono slanciarle sino alla distanza di ventotlo o trenta metri. Ve ne ha di un' altra specie, dette granate da bastione, perché nelle difese si fanno rotolare dai bastioni nei fossi; e le quali pesano 8, li, 16 e 18 libbre. Carnot trova quest' arma utilissima particolarmente nella difesa delle fortezze, benché da molti se ne faccia poco conto sotto il pretesto della loro quasi niuna utilità. Ma questo celebre generale nelF opera succitata dimostra con forti ragioni il contrario. Anzi è di sua invenzione una macchina portatile e facile a maneggiarsi, con la quale si può lanciare il proietto da 200 a 380 metri, e della quale egli dà la seguente descrizione. Fu questa eseguita dopo molte prove dal signor Regnier, della forma di un piccolo mortaio del diametro di 85 millimetri. Riceve una granata ordinaria di 81 millimetri, ovvero una palla da quattro libbre; e pesa venticinque libbre. Esso è
aderente al suo suolo, col quale forma un angolo di 45°; ed è assettato in una cassa di frassino che termina in un manico. Al suo suolo è adattata una piastra da fucile di munizione per mezzo di un uncinetto e di una vite internata nella grossezza del metallo. Il griletto è nascosto nel legno e corrisponde con un filo di ferro ad un altro griletto esterno situato all' altra estremità della cassa ricoperto da un guardamacchie, a cui si applica il dito per dar fuoco alla batteria. La parte inferiore della cassa che corrisponde al mortaio è armata da tre forti chiodi a vite, fatti a punta di diamante temperata in acciaio ; il loro attrito sopra il sostegno rende quasi nullo l'effetto della rinculata, per cui diviene molto minore di quella che ha luogo nei fucili ordinari da munizione. La lunghezza totale, compresa la cassa, è di metri 1,082, e la camera cilindrica contiene soltanto la quantità di polvere eh' entra in un cartoccio da fucile da munizione. Lo si carica con la polvere di un cartoccio ordinario, indi sopra si colloca il projetto; nello scodellino si mette la metà di un altro cartoccio: Se il proietto è una granata, la sua portata è doppia di quella che avrebbe se si adoprasse invece una palla da quattro. Un soldato può facilmente con quest' arma eseguire un tiro per minuto, e può servirsene tutto un giorno senza alcuno dcgl' incomodi che reca il fucile ordinario. Il tiro si effettua per un merlo meglio che in qualunque altra maniera: ed è cosi risolto il problema di lanciare una granata a coperto e molto più lungi di quello che si possa con la mano, senza aver bisogno dell' apparecchio e della manovra difficile di un grosso mortaio. Quindi, conchiude il citato autore, è facile di conoscere di qual servizio possa tornar questa macchina nella difesa delle fortezze, quando si sa che la granata è il mezzo più proprio ed efficace per impedire che il nemico effettui alcuna fortificazione o riparo. Il fucile ordinario, secondo le modificazioni fatte nell'anno 9. della repubblica francese, ha una canna lunga metri 1,137. del calibro di 17. millimetri, il quale però alla bocca è maggiore giungendo ai 22; la sua guarnitura è di ferro, lo scodellino di rame, la bacchetta d'accajo. AH' estremità superiore vi si aggiunge una baionetta lunga 4°6. millimetri contando dalla sua coda. La canna termina in una coda attaccata con vite ad una cassa, la cui parte posteriore detta calcio si va dilatando, e l'anteriore si assottiglia conformandosi in una concavità nella quale si assetta la canna per più della metà. La lunghezza totale dello stromeuto senza la baionetta è di metri i,429 Il moschetto non è che un fucile più piccolo, il quale serve ai cacciatori, agli ussari ed ai cavalleggeri. La sua bajonetta però è maggiore di quella del fucile d' infanterìa, essendo lunga 4^7- millimetri. La pistola è più corta di tutte le altre armi da fuoco, ma della stessa conformazione, e si porla ordinariamente dai cavalleggeri all'arcione della sella od anche alla cintura. Si esamini riguardo a quest' armi portabili la tavola seguente.
Chiuderemo questa giunta col riportare due altre tavole che si trovano uell' opera di Carnot, da noi ridotte a misure metriche, una delle quali mostra la portata media di tutte le armi a fuoco sopraccitate, e l'altra dà la misura della velocità iniziale del projetto slanciato da un pezzo di artiglieria secondo le sperieoze del sig. Lombard con diverse cariche di polvere.
DI VITRUVIO TRADOTTA IN ITALIANO DA QUIRICO VIVIANI ILLUSTRATA CON NOTE CRITICHE ED AMPLIATA DI AGGIUNTE INTORNO AD OGNI GENERE DI COSTRUZIONE ANTICA B MODERNA CON TAVOLE IN Italo PER OPERA DEL TRADUTTORE E DELL'INGEGNERE ARCHITETTO VINCENZO TUZZI UDINE i833 PEI FRATELLI MATTITJZZI DIZIONARIO VITRUVIANO OSSIA INDICE DELLE COSE CONTENUTE NELL'OPERA PEL V1TRUVIO ITALIANO A • ABATON, luogo a cui è intercluso l'fcccesso, e la vista. Libro II. P«g- 53. Nola i. 1 Rodiani con un Abatoh rinchiusero il Trofeo da Artemisia eretto per la loro sconfitta. ivi 54 ABACO. Modonatura. Sia lungo e largo come l'imo scapo, più I/I8 dello stesso per le colonne alte meno di piedi venticinque. III, 5g. un diametro ed tfg per quelle di maggior altezza. 63 e N. 2. ABETE, eSAPINO. ( Pinus abies, in veneziano albeo. Pinus picea, pezzo) cresce sino ni i5o. piedi, e si mantiene fino ai ooo. anni; coltivato ed usato molto nei paesi veneti; l'ottimo è quello allevato in luogo esposto al sole sulla roccia. II. 6o. N. i. ACANTO. La specie che s'imita nel capitello corintio è l' acanthus mollis di Linneo, detto branca ursina, ed acanto spinoso, il solo che si usa nella medicina. Gli antichi se ne servivano per tingere in giallo. IV. i3. N. t. ACCIO, poeta. IX. 18. ACERO. Di tre specie. Ricercato dai tornitori per le belle macchie e la docilità del legno. IL Giuuta IX. ACHINAPOLO. IX. 5i. ACQUA. Migliore sarà quella che non contenga prirtcipj eterogenei; la .più pura non è la preferibile per gli usi della vita umana; la corrente da preferirsi alla distillata. I. 69. N. 1. Composta di ossigeno ed idrogeno combinati fra loro nel rapporto di uno a due. II G. IL g5. N. 1. Ove gli abitanti presentano una salute florida si couchiuda essere 1' acqua pura e salubre; quando è tale non fa macchia nei vasi metallici, bollita non fa deposizioni, nè la sua fonte s'imbratta di musco, di giunchi ec. VIII, 60. e 61. L'acqua è la sostanza più interessante nella natura, il san* gue degli animali, il sugo nei vegetabili, e gli altri liquidi ch'entrano nella loro composizione, altro non sono che acqua, la quale tiene in dissoluzione od in sospensione alcuni principi, ivi. G. I. 81. e N. 1. Metodo di scoprire e raccogliere 1' acque. Fig. 4- Tav. 1. ivi 82.
Acqua dolce. Sorgente nel mare come a Spezia, nella baia di Xagna. Acque dolci, ed Acque Minerali. Le dolci che passano per le roccie sono le più pure. i54- Quelle che scorrono per terreni secondari dai minerali che in essi trovano, acquistano qualità medicinali, ivi i55. Sono preferibili le acque dei fiumi maggiori a quelle dei piccioli, ivi. Quella dei laghi sono bastantemente buone. i56. Le acque dei pozzi dovrebbero lasciarsi al contatto dell'atmosfera, ed agitarsi. Le acque torbide di melma, e palustri non potabili, riescono utilissime all'agricoltura; in caso di necessità col filtro, e con l'azione del carbone, o mischiandole con qualche acido si (anno anche tali acque servire agli usi della vita. 157. i58. Ottima è la chiar.i, inodora, che si riscalda, e si raffredda facilmente, che discioglie bene il sapone, estrae l'aroma io, ed il sapore dei vegetabili, ed altera poco il gusto del vino. Vili. G-. IV. 159. Alcune acque si depurano col solo riposo, altre abbisognano di filtro. i5g. Acque minerali, ivi 1C1. Si distinguono in acque solforate od epatiche, acque ferruginose o marziali, acque gazose od acidule, ed acque saline, ivi 162. i65. La medicina le ha adottate, e ne ha anche formate di artificiali. 164. i65. Acque artificiali, o giuochi d' acqua: servono ai giardini sirumettrici. VI. G. IH. 137. Avvertenze per iscoprire l'acqua sotterranea. viii. lo. e seguenti. Acqua piovana più salubre dell' altra.» Vili. 16. L'acqua ferve e bolle non di sua natura ma scorrendo in luogo ardente. Vili a5. Acque di Penne o Penna nell'Abruzzo; nel 1827. se ne scopri un antico serbatoio del sapore della soluzione di nitro, giovevole nelle flogosi croniche, ed in varie malattie. Vili. 3r. N. 3. Acqua spumante come in Atene buona soltanto per lavare. Vili. a3. Acqua calda in Frigia che dopo un auno si consolida. VII. G. I. 84 ACKOLITON. Avente l'estremità di marmo. Tale era la statua nel tempio di Marte in Alicarnasso, e quella di Calpurnia moglie di Tito. Demofoonte fece le statue di Giunone e di Venere di legno con la testa e l' estremità di marmo. IL 5o. N. 1. ACQUEDOTTI i.° per canali struttili, a." per canne di piombo, 3." per tubi di terra, ed anche per tubi di legno. Vili. 64. N. 1. Se per canali si costruiscano a volti difesi dal sole, ed abbiano un declivio non meno di ifi p. o/o. Presso alla città si faccia un castello con un triplico immissario. Fig. 3. Tav. I. Lib. VIII. 65. Nota 1. Ogni tratto di 120. piedi si facciano i pozzi per dare sfogo all'aria. 67 e N. 3. Se con canne di piombo, il primo castello si costruisca all'origine, e il secondo presso la città, ivi 68. 6g. Tabella delle larghezze delle lastre, diametro dei tubi, e peso di dette canne ivi 69. N. I. P«r le canne di piombo, a forza di costruzioni bisogna ridurre il livello, e quando l'acqua giunge al fondo trovi le sostruzioni non troppo alte; quivi sarà il ventre, nel quale si faranno gli sfìatatoj. ivi 70. Meno costosa e più salubre riesce la condotta dell'acqua per tubi di cotto. fa dal capo parta l'acqua dolcemente; nel resto si si regola come per le canne di piombo, A. e N. r. Acquedotto fatto costruire dai Cartaginesi. Vili. G. I. 82. Acquedotti romani, ivi G. IL 137. Acquedotti moderni più rimarcabili del Boug a Versailles, di Caserta di Ferdinando III. presso Livorno, ivi 139. Avvertenze per costruire un Acquedotto, ivi. Se il suolo fosse diroccia si scavi l'alveo in esso, ivi 1^1. Ove occorre il canale sollevato, lo s'innalzi sopra arcate. 142. Se si deve sormontare un monte non molto alto, servono i tubi. i43. Talvolta è meglio perforarlo. i44- A prevenire ogni inconveniente dei tubi sin oggi usati, il Sig. Ignazio Cattarassi in Udine inventò un macchinismo da forarli in pietra. i45. Fig, 3. Tav. IX. Della macchina per forare questi tubi. ACROASI, un' udienza procurata. X. 92. ACROTERJ, (voce greca che significa sommità). Gli angolari siano alti come l'altezza media del timpano. I mezzani un ottavo più degli angolari. III. 72. N. 1. Promontori sporgenti. V. 87. AGATARCO, architetto. V. G. V. 144. VII. 12. AGESISTRATO, forse lo stesso che Agasistrato ricordato da Ateneo. VII. 19. 2. 1. Trattò delle macchine. 20. ALABANDO nella Caria, patria di Ermogcne; i suoi abitanti erano stupidissimi fra i rozzi della Caria. III, 21. c. a. *t. alabastro, è un deposito calcare: di raro è bianco. L'Orientale ha le tinte distinte, riceve un bel pulimento; il più bello proviene dall'Egitto. A Malta se ne trova di color di mele quasi trasparente. L'onice di Siena è dei più ricercati. L'Alabastro rannoso, od ulibastrite proviene dal gesso. Il territorio di Volterra in Toscana ne offre di bello semi-diafano. II. G. VII. 156. ALBARIUM. Bianco di Calcina. V. 77. 2. x. albero, il cui tronco consta di sei parti: epidermide, tessuto cellulare, corteccia, alburno, legno, e midolla L. II,
59. N. 1. Qualità dissimili degli alberi. 60. È composto di carbonio, idrogene, ossigene, e un pò di azoto. IL G. IX, 107. I settentrionali più forti e più duri dei meridionali; gli alberi dell'est e dell'ovest tengono un grado medio. 169. Segni per conoscere l'età degli alberi. Taglio degli stessi. 170. Indicii per conoscere quando sono vicini a perire. 172. La maggior perfezione è riposta nella età mezzana. IL G. IX. 173. Indicii per conoscere lo stato di sanità. Difetti di nd albero. 174. ALEPPO. Lib. IL G. VII. 149. ALESSI, greco poeta comico; loda la legge di A tene, che non obbligava i figli ad alimentare i padri se questi non li avevano istruiti nelle arti. VI. 4 ALESSANDRIA, eretta da Oinocrate. H. 6. Celebre colonna di granito di Pompeo. IL G. VII i53. ALNO od ontano, volgarmente olnaro (Betula alnus Lio.). Dura eternamente sott'acqua. Ravenna aveva le palificate di questo genere. Il ponte di Rialto a Venezia, ed alcuni di Londra sono piantati sopra palizzate di alno. Il 67. e N. 1. ALTARI. Guardino all'oriente; sieno sempre più bassi dei simulacri, che saranno nel tempio; più o meno elevati secondo la natura delle divinità, a cui saranno eretti. 1\ 88. ALTINO, città all'imboccatura del Site; poggiava sulle palificate, ed era ridotta salubre. I 80. N. 1. ALVEO, o fossa scavata nel pavimento con sedile di nn gradino superiore alto un piede, e di un altro gradino inferiore nel fondo, per entrare nel bagno. V. 79. Nota. AMBRA, in greco electron, e da questo eleltrecità. II. G. It 92. N. 1. AMERICA I popoli di questo emisfero aveano eretti muri di enorme grossezza con massi irregolari strofinati, come le costruzioni primitive della Grecia. II. 39. N. 1. La sua scoperta ha rischiarati molti punti nella storia del genere umano. II. G. I. 79. Offre marmi di diversi colori. II. G. VII. i5o. AMMONE, celebre per l'oracolo di Amun. Belzoni riconobbe questo tempio nell'odierno El CaSr. Vili. 35. Mota I. AMPH1RENSIN, specie di ruota larga, sopra cui si avvolge la contro fune delle macchine, da' Greci detta anche Peritroclioo, da noi timpano. X. ai. ANALEMMA, è una regola determinata dal corso del sole, e dall'ombra crescente. IX. 21. ANASSAGORA, Clazomenio. V. G. V. 144. IX. Si. ANDROMEDA, costellazioue di tre stelle, con curva dolce: viene formata dalla diagonale di l'egaseo. IX. G. II. 114 ANDRONICO CIRESTE fabbricò in Atene una torre di marmo ottangolare detta dei Venti. I. 95. ANDRONITIDI, luoghi delle case greche ove convenivano i soli uomini. VI. 59. ANEMONI. (Actinae) si attaccano al guscio della conchiglia; tagliati danno la sanie purpurea. VII. G. IV. \5i. N4 ANFITEATRO Flavio, di Verona, e di Pola. Introduzione A. Lib. IL G. Vili. i63. Nota. ANIFOC1ELI. Non è certa per anco la precisa spiegazione di questa voce, ma indica un moto rotatorio di circoli ineguali, X. 14 N. 2. ANNULARIA. Preparazione di creta bianca atta a render lucida la cute. VII. 77. N. 4 ante. Erte, nel dialetto friulano An.Hl. I. 60. N. 1. Gli antili dei tempi abbiano il diametro eguale a quello delle Colonne. IV. 49' ANTECUNTES, luoghi risuonanti, dove la voce al contatto di un solido ripercossa ritrocede ripetendo i suoni e raddoppiandosi le ultime cadenze. V. 5g. e 60. ANl'EMIO. Aristotile e Seneca esaltarono la potenza del fuoco, e dei vapori, ma sino ai nostri tempi rimase sterile questa conoscenza X. G. II. i/fi. ANTER1DE, barbacane, sperone, o contrafforte. VI. 65. ANTERIDION: gli speroni della Balista. X. 75.
ANTIBORhO, orologio descritto nel piano dell' equatore guardante al polo boreale. IX. 61. N. 3. ANTIPATRO, filosofo. IX. 5i. ANTISTATE, Callescro, Antimachide, e Torino architetti piantarono i fondamenti del tempio, che Pisistrato edificava a Giove Olimpico in Atene. VII. ai. ANZIO, città. suo Teatro descritto da Bianchini. V. G. V. i35. • APATURIO. Alabandeo presso i Tralliensi mise sulla scena, in luogo di colonne, figure umane. VII. 58. Egli cangiò la scena secondo il senso del vero. 60. APELIOTE. Terzo vento dell'Est scolpito sulla torre di Atene; conduce una pioggia dolce, e favorisce la vegetazione. Nel lembo del suo mantello, eh' ei sostiene si veggono frutti, un favo, e qualche spica di frumento. I. da N. 1. A PELLE ritrasse Alessandro. I, 5i. N. t. APENNINO, verso l'Adriatico; manca affatto di arene. IL 33. Sua descrizione. II. 64. La parte settentrionale è ombrosa ed opaca; ivi crescono gli alberi smisuratamente, ma di poco vigore, e di poca durata. densi e forti riescono poi quelli nella regione aprica: perciò gli abeti inferiori, che si trasportano dai luoghi aprici sono più utili dei superiori, che si traggono da luoghi ombrosi. IL "]S. APODITERIO, nelle terme luogo da spogliarsi. V. G. VII. 177. APOF1GE, significa opera ripetuta in altro luogo. Lista, deriva dall'imo scapo della colonna. IV 76. APOLLO Vaticano, sue proporzioni. III 7. N. 4 APOLLONIO Pergeo, insigne matematico di Panfilia: restano di lui alcuni scritti intorno ai Conici. I. 55. N. 4' inventò la faretra, cioè l' orologio che ne aveva la forma. la, 60. e N. 7. APOLLONIA, ora detta Piergo, poco popolata, 35. miglia circa al sud di Dura zzo. Ne' suoi d'intorni vi é ud ioute che vomita pece. viii. M. APOTECHE, cantine da contenere, e da vendere il vino. VI. 47- N- 4 APOTESI, appartiene all'imoscapo, dinota allontanamento, rimedio; quella curva cioè che dal vivo della colonna mette al labbro del listello, od astragalo con cui ne termina superiormeute il fusto. IV. i5. N. 2. APPIO CLAUDIO, fece che la via Appia traversasse le Pontine. 1. 82. N. 1. AQUARIO. In questa costellazione si osserva un triangolo ottusangolo l'ormato da tre terziarie, due delle, quali stanno in linea retta con la superiore della testa del Capricorno. IX. G- II. 118 AQUILA e DELFINO, costellazioni presso la Saetta, dietro la quale v' è la costellazione uccello IX. N. 3. sono a mezzogiorno del Cigno, e della Lira. Il Delfino è precisamente a mezzo giorno della più lucida stella del Cigno. IX. G. IL AQUILEJA: aveva grandi canali, era floridissima, e di salubrità somma. I. 81. e N. 1. AQUITANIA, Guascona. Si edificava con assicelle di rovere, e strami. IL n. ARABIA de'Numidi: ha vasti laghi che gettano molto bitume; corrisponde ad Algeri. VIII: 07. N. 3. arato, spiegò il crescere ed il tramontare delle stelle, e le vicende delle stagioni. IX. 5i. ARBUSTI, s'impiegano dagl'ingegneri per la formazione delle fascine. I salici de' vinchi rossi, e de' vinchi gialli sono da preferirsi agli altri, indi la specie salii wminalis. II G. IX. 188. ARCHIMEDE, gran matematico; la coclea per innalzar l'acqua, e l'organo idraulico sono a lui attribuiti. 1 45N. 2. — 55. alcune sue opere giunsero sino a noi. VII. 19. N. 1. ARCHITA: primo trattò co' principi scientifici la meccanica. I. 55. N. 3. Fu di Taranto, filosofo e meccanico, scrisse delle macchine, e fece una colomba di legno che poteva volare. VII. 19. N. t. e IX. i5. ARCHITETTURA, scienza. I.37. Civile, Militare, Idraulica e Navale, ivi N. I. Di che si componga. I. 56. Sue tre parti edificazione gnomonica, e meccanica. I. 66. Se sia come la pittura, la scultura, la poesia, e la musica un'arte imitatrice della natura. H. G. I. 84- Come arte bella appartiene al solo punto più elevata della società civile,
ivi. 85. La sua bellezza non tanto deriva dalle proporzioni vere e reali, quanto dalle apparenti, il provvedere alle quali spetta unicamente all'ingegno. VI. ?o. N. 1. ARCHITRAVE. Quel membro, che posa immediatamente sopra i capitelli delle colonne. Per le colonne che s'innalzano dai 12. ai i5. piedi sarà alto un semidiametro, per quelle dai quindici ai venti, 2/ìO. dell'altezza della colonna, per le altre dai 20. ai 25. piedi, 2/i5. della loro altezza e così in progresso. III, 65. N. 1. La sua larghezza inferiore sia uguale al sommo scapo, la superiore come quella dell'imo scapo della colonna. III, 66. N. 1. Mei tempio sull'Ilisso l'altezza dell'architrave eguaglia il diametro dell' imo scapo. Tav. XXX. In quello di fiacco a Teo, non giunge ai tre quarti, benché i singoli membri siano di maggiori dimensioni. Tav. XXIX. In. G. IV. i3o. Quasi tutti i monumenti antichi hanno l'architrave diviso in tre fasce. Secondo il Milizia l'architrave dovrebbe avere una sola fascia nell' ordine Dorico, due nel Jonico, e tre net Corintio. III. G. IV. I3I. L'architrave dorico sia alto un modulo compresa la fascia, e le goccie; la fascia sia il settimo d'un modulo: la lunghezza delle goccie sotto la fascia si estenda per 1/6. di modulo. IV. M. La larghezza di questo architrave corrisponda all' ipotrachclio superiore della colonna. Si. Il suo sporto corrisponda all' imo scapo della colonna, ivi N. t. ARDEA, capitale dei Rutuli nel Lazio, distante 20. miglia da Roma, della quale era più antica. Oggi vi resta un solo castello sulle spiagge del Tirreno. XIII. 29. N. 1 ARENA, ghiaia e sabbia; la prima si forma dalle pietre rotolate dai torrenti; l'altra è un ammasso di molecole quarzose. I. G. IL 128. Sabbie prodotte immediatamente dalla natura. 129. IN. 1. Sabbia nera, bianca, rossa, carbuncolo. L'ottima è quella che sfregata colle mani cigola. IL a^l marina a causa della salseggine dissolvesi uegl' intonachi. 2 5. Le fossili mantengono gl'intonachi, e sostengono le volte, ivi. Veggasi la G. IV. Lib. IL AREOPAGO, in AtL-ne coperto di creta. IL i3. AREOST1LO, intercolunnio spazioso. III- 27. N. 3. abbisogna di architrave di legno, perchè a causa dell'ampiezza quelli di pietra non reggerebbero. riesce pesante e goffo. 3i. La colonna sarà alta otto moduli. 38. In. Si. W. 2. Tav. i5. Fig. 4. AREZZO, antichissima città degli Etruschi: conservava un muro di mattoni antico, li. 49- e N. I. ARGANO: è il tornio verticale, e serve a strascinar pesi orizzontalmente, e si può dargli varie forme. Ve ne son' di doppj con due cilindri it a loro distanti, e sui quali la -une si avvolge alternativamente. X. G. H. i38. • ARGELIO, scrisse delle simmetrie corintie, e del tempio Jonico di Esculapio in Traili. VII- i5. ARGENTO VIVO, deriva dalia gleba detta Antrace disseccata nella fornace. VII. 66. L'argento vivo sostiene una pesante pietra a galla, ed uno scrupolo d'oro vi cade nel fondo E utile per molte cose, nelle indorature, nello spartimento dell'oro ec. 69. ARGO, si chiama la costellazione la Nave presso al Cratere ed al Leone. IX. 48. ARIA, nessuno pensò che fosse l'unico principio delle cose. II. G. II. 88. N. 4. Sotto la denominazione aria gli antichi abbracciavano quelle sostanze che ora chiamiamo aeriformi, delle quali finora se ne annoverano cinque: 05sigene, azoto, idrogene, cloro, e flnore. II. G. Jl. 94. N. 3. ariete, costellazione formata da due stelle terziarie vicinissime sulla linea che va a nord-est sopra l'Auriga. Tav. IV. Lib. IX. G. 11. 116 ariete, macchina militare antica, la quale spingeva un trave ferrato per battere le mura; aveva una base con ruote, ed era coperta di cuojo. X. 79 ARISTARCO, grammatico. I. 5i. ARISTARCO, di Sauio, matematico. I. 55. Inventò la Scafa e il disco nel piano degli orologi solari. IX. 60. ARISTIDE, di Mileto, scrisse delle cose di Persia, d'Italia, e di Sicilia. viii. 58. N. r. ARISTIPPO , naufrago sul Lido dei Rodiensi, osservando delineate alcune figure geometriche, esclamò verso i compagni: speriamo bene, io veggo vestigi di uomini. VI. 5. Ebbe lode da Acrone perche dopo il naufragio vestiva dimessamente, ivi N. 1. Ricercato dai compagni quali notizie ci voleva che recassero a casa sua, ordinò loro di dire che ai figliuoli è necessario apparecchiare quelle suppellettili e quei viatici che possono con essi nuotar nel naufragio, ivi. 4- ~ ARISTOMENE Tasio pittore: non ottenne fama benché la meritasse. III. 4 ARISTOSSENO, musico. I. 5i. scolare di Aristotile, ivi. N. 5. Il più antico scrittore di musica, che si conosca,
originario di Taranto; visse ai tempi di Alessandro, scrisse di ogni scienza e disciplina fino a 453. volumi. V. 29. e N. 1. ARISTOTELE. Lib. IV. cap. 6. attribuisce alla vita oziosa e sedentaria il mal sentire delle donne pregnanti. 11. 58. N. 1. Nella sezione i5. dei Problemi parla della perfezione dei numeri. III. 12. N. 1. ARISTOFANE, poeta comico. VI. 4. ARISTOFANE, grande letterato. VII. 8. a tempi di Tolomeo. ARMI da fuoco. Tabella della loro portata media. X. G. III, 191. ARMONICA, è una lettera musicale oscura c difficile. V. a». arsenali di due sorta: o sul lido da costruirvi, e calafatarvi le navi, od inferiormente al livello dell'acqua per ricevere le navi da racconciare V. 88. N. i. Sieno volti a settentrione per preservarli dalle bestiole nocive: e si facciano di pietra per timore degl' incendj, e della grandezza da accogliere le navi maggiori. po ARTEMISIA, soggioga con uno stratagemma li Rodiani, e ne erige il trofeo; conduce statue di bronzo, l'una della città di Rodi, l'altra della sua persona in atto di stimatizzare la prima. II. 53. ARTI tardi inventate. IL G. I. 87. Arti belle tendono a conservare e ad imprimere la nozione dell'ordine, della simmetria, della proporzione. V. G. III. iii. hanno comuni i confini, e con vicendevole legame tendono allo stesso oggetto della dilettazione. Mcdiaute la vista, l'udito, l'intelletto, l'invenzione, l'abitudine, e l'esercizio vengono le opere delle stesse tratte dalla massa del bello. 112. Alcune sono imitatrici siccome la pittura, la scultura, il giardinaggio; ed altre creatrici siccome l' achitettura, la musica, la poesia, ivi. Queste opere non si possono giustamente conoscere e stimare senza particolare istituzione, studio, e pratica. n3. Presso le colte nazioni le Arti belle fiorirono sempre contemporaneamente. 114. ARTURO, significa coda dell' Orsa, è una stella di prima grandezza fra le gambe di Boote od Orsa maggiore. 5. 4" 3 ASCENSIONE RETTA di un astro riferito all'equatore, è l'arco di equatore compreso da quel punto, in cui s'interseca con l'ecclittica e rincontro del circolo di declinazione. IX. G. HI. ia5. ASCONIO. V. 42. N. 1. ASIA, ricca di marmi. II. G. VII. 149 ASSE, ASSI ( legno segato per lo lungo dell'albero, di grossezza di tre dita al più ) si pongono nei letti. IV. 17. ASSERÌ, panconcelli, sopra i Cantieri da sostenere le tegole; coi loro sporti coprono le pareti. IV. 18. N. 4 assi delle volute non eccedano in grossezza l'occhio delle stesse. HI. 63. ASTABORA, fiume chiamato anche Coron; nasce nell'Abissinia presso la citta di Auxume o Chaxumo. VH1. a3. N. 2. ASTRACAN, erroneamente si attribuisce a quel paese il Luinachello di-Castracani. IL G. VII. 148. ASTRAGALO, voce greca, significa nodo, membro della Modanatnra Scozia, della quale ne è l'ottava parte. III, 57. E un bastoncino, ossia il bastone diminuito nella sua altezza. Ili. G. HI. 102. N. 1. Membratura minuta semicircolare convessa propria della base del capitello, e della porta jonica. IV. 5. nella Nota. ASTRI, loro movimento. I. SO. N. t. ASTROLOGI e musici: simpatia delle stelle, e delle sinfonie. I 54 ASTROLOGIA. L' Architetto deve conoscere i movimenti celesti. I 38. ASTRONOMIA, è la più nobile prova dell' umana intelligenza. Studio utile a ciascheduno, indispensabile all'architetto IX. G. II. 86. Molti errori, assurdità, e molte superstizioni dovette questo studio superare, per raggiunger la verità, ivi. 87. Fa d'uopo contemplare il cielo in due maniere affatto diverse; come appare ai nostri sensi, e come la nostra mente può concepirlo, ivi 88. Astronomia teorica, ed astronomia fisica, ivi 98. Lo studio di questa scienza fa conoscere l'antichità de' popoli, le loro opinioni filosofiche, e religiose. IX. G. HI. "S. serve a precisare la posizione di un punto qualunque, ivi tSt. È necessaria nella formazione delle carte geografiche, ivi i5a. ATLANTAS. Così i Greci appellano quelle figure virili che sostengono modiglioni e cornici; dai Latini si dicono Telamoni. VI. 61.
ATLANTE, fu il primo ad insegnare con solerzia il corso degli astri, e le leggi delle rivoluzioni celesti; perciò viene raffigurato qual soslenitor del mondo. VI. tit. atlantici, monti; hanno marmi simili a quelli della Spagna. H. G. VII. x5o. ATLETI, riceveano dai Greci grandi onori. IX. perchè la vittoria era frutto della loro forza e destrezza effettiva, ivi. N. 1. ATRAMENTO. Nero fumo. VII. 71. Anche dalla feccia del vino cotta in fornace si cava un bel nero. P. Naturale si traeva da una terra negra, o dal liquore della seppia, ivi. G. HI. 126. Artefatto, col nero di in mo, e di carbone, o con la feccia di vino, o con l'avorio calcinato. 127. ATRIO. Proviene questo nome dai Toscani adriatici, dai quali si prese il modello. Si fa di' tre generi. VI. 27. e N 1. Nel primo la larghezza è 3/5. della lunghezza: nel secondo 2/3; nel terzo se la larghezza è il lato di un quadrato la diagonale sarà la lunghezza. L'altezza si sollevi sino sotto le travi per un quarto meno della lunghezza; il resto si lasci ai lacunari. 28. La lunghezza poi delle ali si proporziona a quella dell' intero atrio. So Vedi Giunta I. ATTICO, è un muro basso distinto in piccioli pilastri, o tagliato in fasce per collocarvi bassi rilievi, iscrizioni, balaustri; destinato nella sommità delle fabbriche a coprire il tetto. IV. G. V. i85. ATT1GURGA. Vedi Base. AULEO. Tela come il 'nostro sipario, dipinta o tessuta con fatti storici o religiosi; sembra che venisse tirata dall' alto al basso per coprire la scena, mentre si mutavano le decorazioni. V. G. V. l44 ATJRIGA, costellazione verso il capo del settentrione attraverso i piedi dei Gemini, la quale colla mano manca tiene li capretti, e la capra. IX. sia. È formata da un pentagono irregolare, le cui tre stelle più brillanti formano un triangolo isoscele, ivi G. II. 114. AZOTO: insipido, inodoro, contrario alla respirazione, ed alla combustione. IL G. II. 92. N. 2. AZZURRO. Inventato in Alessandria. Si pesta l' arena finissima col fior di nitro, si aggiunge lunatura di rame ciprio; maneggiando si converte la mistura in palle, che si seccano e poscia in un orcio di terra, si pongono nella fornace, e la forza del fuoco li riduce di color ceruleo. VII, 72. Azzurro vestono, era la parte più sottile del Ceruleo egiziano, ivi G. III, ili. Indico, veniva dalle Indie bello e preparata ivi. Armenia, era un color metallico di un azzurro leggero, ivi. Il falso si faceva tingendo la terra d' Eretria col succo di yiole secche bollite ivi. B BAGNI. Da erigersi in un luogo opposto al settentrione ed all'aquilone. Le celle calde eie tiepide ricevano il lume da sud-ovest, od almeno da mezzogiorno. V. 71. Li vasi di rame per l'acqua fredda, tiepida e calda, collocati in modo, che dal primo scorra l' acqua nel secondo indi nel terzo. 70. Le testuggini degli alvei erano scaldate dal fornello comune. A. Le sospensioni delle celle aveano nu declivio verso il fornello, ivi. Al di sopra vi era un ordine di pilastrelli alti due piedi. 76. Concainerazioni. 77. Larghezza 2/3. della lunghezza, ommessa la scola del labbro, o dell' alveo. V. 78. L'alveo di sei piedi, due occupati dal gradino, e dallo scanno. 80. Nel mezzo di questo sravi un foro, da cui pendeva uno Scudo per regolare la temperatura del 'Sudatojo. 82. Vitruvio assegna i bagni freddi e caldi ai lati dell' Efebeo, ma sembra che stessero dietro al medesimo. V. G. VI. itìi. Gli Ldiftzj disegnati da Palladio non erano ad uso delle terme. 172. 173. Si narra che Agrippa nella sua edilità fece erigere 160. Bagni. In Roma vi esistevano 16. terme, 3o. bagni pubblici e 970. privati. V. G. VII. i65. Contraddizioni dei descrittori dei Bagni ivi 168. e 1^3. Bagni guardano l'occidente invernale. VI. 43 L'ora dei Bagni era fra l'ottava, e la nona, ivi N. t. BALAUSTRO. Colonette di varie forme; l'etimologìa viene dal fiore del melograno, mentre gli antichi da due di questi fiori l'uno opposto all'altro Detrassero il primo disegno. BALBECK. HI. 74. N. 3. BALEAKI, due isole del Mediterraneo: Maiorca che ha un circuito di i5o. miglia, Minorca che ne ha appena 5o. Vili. 55. N. 3. Avevano acque utili al canto. 56. N. t. BALENA, costellazione sotto quelle dell'Ariete, e dei Pesci, dalla cresta della quale parte una striscia di stelle detta in greco Harmedone. IX. 49- Risulta di tre trapezi di diversa grandezza, uno sotto l'Ariete, il maggiore sotto i Pesci, il più piccolo a sinistra di quest' ultimo: una stella secondaria ne forma la coda. IX. G. II 118. BALISTA, antica macchina militare da scagliare pietre, e gravi pesi, dietro a' quali era proporzionata X. 71. Le corde dovevano esser tese in guisa, che dassero un suono eguale, ivi 76 Era consimile alla catapulta. X. G. III. 168. Tabella per le proporzioni delle pietre con i diametri dei fori, ivi 170.
BASALTE, per lo più è un miscuglio di varie pietre. Composto di silice, allumina, calce, magnesia, ossido di ferro, soda, ossido di manganese, acido muriatico, ed acqua. Il colore è un bruno tendente al nero, talvolta al verdognolo, al rossiccio, ed al bigio. È sonoro, tenace, duro, suscettibile d'un bel pulimento. Agisce sull' ago della bussola; è fusibile. H. G. VII. 157. BASE ATTICURGA, dev'esser lunga e larga un diametro e mezzo della colonna. III, 54- Base Jonica alta un diametro e mezzo, larga un diametro e tre ottavi. 56. Quest' ultima non corrisponde alle leggi dell' armonia. Tav. XXIX. HI. G. IV- 123. Base Jonici dei Greci regolare, ma non leggiadra, ivi 123. La base corintia come nel Panteon si osservò essere troppo confusa, troppo delicata, e soggetta a rompersi. BASILICA di Fano col timpano semicircolare. III. 71. N. 1. Le Basiliche congiunte ai Fori dovevano esser fatte nel sito più caldo, e larghe non meno della terza parte, nè più della metà della loro lunghezza. Alle estremità talvolta vi erano le Calcidiche. V. n La voce Basilica significa casa reale. Nella Basilica si univano i magistrati ed i mercatanti. Somministrarono il modello alle prime chiese cristiane. y. 11.N. 1. Simmetrie della Basilica di Fano. 15. e 17. Tav. I. Fig. a. La Basilica era un foro coperto. V. G. f. IOI. Basilica di Pompei, ivi Tav. IV. Fig. a. bastone superiore nella base atticurga 3/ia di diametro; l'inferiore a/ao. III, 55. Se Jonico il superiore 3/ai di diametro. III. 5j. BEDA Bizantino, Scultore di merito ma non di fama. III. 4. BEROSO Caldeo, insegnò essere la Luna una palla meta rovente, metà di color ceruleo. IX. 54- Apri scuola nell'isola di Coo. IX. 5i. Inventore del semicerchio scavato in quadro, e tagliato ad enclima pegli orologi solari, ivi 5g. BETULA ( Betula alba ) albero grande, specialmente nei paesi settentrionali. IL G IX. i85. BIANCO anulare, serviva per le carnagioni; si falsava con creta, e con quel vetro di cui si facevano a Roma anelli pel popolo. VII. G. III. 137. BIETTE, voce veneta. Pezzi di legno sottile e piatto. IV. 77. N. 1. BLEYBERG in Carinlia, miniere di piombo. IL G. VIL !48. BOEMIA, ha molte varietà di diaspro. IL G. VII i55. BONIFAZIO Vili, primo fra i Papi, che nel "A. fece ripigliare i lavori delle Pontine. I. 8a. N. 1. BOOTE. Comprende Arturo stella di prima grandezza sul prolungamento della coda dell' Orsa maggiore. IX. G. II. 114. BOREA, i°. vento della torre di Atene. Vecchio che guarda lo spettatore di faccia; porta una conca marina. I. 95. N. 1. BORISTENE, ora Dnieper; viene dalla Russia in Lituania, bagna Smolensko ed altre città, indi riceve la Beresina ed altri fiumi, attraversa la Volinia inferiore, si scarica nel mare nero, ed è il principale fiume della Polonia. Vili. ao. Nota. BOSCHI, primi ricoveri del genere umano. raccomandazione agli architetti di penetrare in essi per conoscere i materiali migliori per le loro opere. II. G IX. 189. BOSSO [Buxus semper virens). Se quest'albero diventasse alto e grosso sarebbe pregiatissimo per l'Architettura; lo è per gl'intarsiatori, e intagliatori. IL G. IX. 186. BRECCIE. Breccia, indica rottura; si nominano cosi que' marmi che sono 1' aggregato di particelle pietrose II. G. VII. i4a. Si hanno dai terreni primitivi, e da quelli di nuova formazione; più numerose però sono in quelli di transizione. Breccic antiche, e moderne fra le antiche. Il seme santo, a breccia vergine, é molto rara, Breccia arlecTJTSVTJO JyDice a china, o traccagnina; si trova nei Pirenei. i43. Fior di per' lieo, rara assai. Porta santa affricana, non è comune. Occhio di pavone. Violetta antica. i44- Fra le moderne: Breccia verde di Siena. Violetta, le sue tre varietà dipendono) dalla grandezza delle macchie e dal color verde, o rosso del cemento. Corallina di Savarezza - d' Aix di Provenza, svisata da taluni col nome di Breccia d'Aleppo--di Villette sulle sponde dell'Isero — di Menli--di S. Romain — di Dourlais — d" Agata, la più distinta fra le Breccie. In Sassonia ve ne sono rocce alte da 80. a 100. piedi. i45Breccie dure provenienti dal petro selce, — vulcaniche, quella della Selce di Kennes ha un fondo rosso
purpureo con macchie gialle, e rossiccie — alcune varietà di Breccie calcari. 146. Broccatello di Moulins, di Boulogne, e di Siena. 147. BKIASSE, Scultore; fece i lavori del Mausoleo a settentrione. VII. 17. Per Rodi aveva lavorati cinque colossi; per Gnido un Bacco. Pausania ricorda di Briasse un Esculapio e una statua di Seleuco; Columella lo riunisce a Lisippo, a Prassilele, ed a Policleto. ivi N. 3. G CALLIA, Architetto da Ando. X. 92. calde. IL 27 e N. 1. Combinazione di un metallo particolare con l'ossigene. Appartiene a tutte le epoche, e si trova in tutti i terreni. IL G. V. m. sue varietà 112. ad un forte grado di calore si calcina perdendo circa la metà del suo peso. Esposta all'atmosfera ritorna carbonato di calce. 112.; calce grassa facile a calcinarsi ed a spegnersi; non così la calce magra. 114.., le pietre di recente estratte, od inaffiate si calcinano più. presto, ivi.; attenzioni nel disporle nella fornace, ivi... il carbon fossile preferibile alla legna. n5; maniera di far la calce di Buffon; modi di spegnere la calce, attenzioni nel conservarla. 117. Per l'imbiancatura dev' essere bene macerata molto prima di adoperarla. VII. 35. CALCIDICHE. Costruzione aggiunta alle Basiliche per impiegare la eccedente lunghezza dello spazio. Mon è ben chiaro a che servissero. Sembra peraltro che fossero luoghi di convegno consimili ai nostri caffè. V. 11. N. 1. CALENTO, città nella Spagna ulteriore. II. 23. CALLIMACO, Architetto Int. 19." CALLISTO, scrisse del corso degli astri, e delle stagioni. IX. 5i. CALORE .discompone le cose I. 73. CAMERE, e librerie debbono guardare ad oriente. VI. 4». CAMPANIA, provincia nel regno di Napoli; produceva il Falerno, Vino cclebratissimo eh' era squisito nel suo anno i5°. Vili. 4i. e N. 6. CANCRO, costellazione poco visibile essendo di 4> quartane aventi fra loro un gruppo di piccolissime stelle. IX. G. II, 116. CANE, gran Cane e piccolo Cane, costellazioni, la prima al sud-est di Orione formata di stelle secondarie, com» prendendo però la più bella di tutte, cioè Sirio. Inferiormente ai Gemelli all'est dell'angolo superiore del quadrilatero di Orione v' è una stella di seconda grandezza detta Procione, presso cui una terziaria formante il Cane piccolo. IX. G. II. 119. canne della Siria, e dell'Arabia. VIII. (a. Dall'Indie abbiamo diversi calami aromatici. 1". L'odorato si usa in farmacia ed in profumeria. 2°. Il calamo vero di Sumatra e di Java. 5". L'andoprogo nardus di Linneo, che proviene dalle isole di Ceylan, di Java, delle Molliche,.ed alcune altre, ivi. N. I. CANNONE, dalle diverse dimensioni ricevette diversi nomi. X. G. HI. 178. I primi furono di grandezza smisurata. Ora si distinguono in cannoni da calibro, da assedio, da fortezza, da campagna, ivi 179. Le sue parti principali Sono il rosone, la culatta, il primo rinforzo, il secondo rinforzo, la volata, il collaro, gli orecchioni, i manichi, l'anima, la bocca, il focone, le modonature, e la bietta, ivi 180. Quadro delle sue proporzioni. 181. Tabella del loro peso secondo il calibro, ivi 182. Tavola della proiezione, e della portata del cannone, ivi 185. CANOPO, stella conosciuta ai tempi di Vitruvio per le sole relazioni dei viaggiatori all'estreme parti dell'Egitto. IX 5o. CANTIERI. Puntoni; ritenuto dal latino Cantileni, termine veneto usato in più sensi. Fanno parte del tetto. IV. 18. N. 3. CANTINETTE del tetto, prendono lume da settentrione. I. 73. CAPITELLO jonico, il quale nelle due volute presenta la figura di un piumaccio. III. M. e N. 2. Capitello Ionico Tav. XXXIII. Fìg. 1. Tre metodi da eseguirlo. III, G. IV. 125 IV. 5. N. 1. Corintio; la sua altezza è varia; preferibile è il vitruviano. ivi N. 2. Origine del capitello Corintio. IV. i3. Simmetria, e regole per questo Capitello. i4- i5. e Note.--Capitello dorico. 33. N. 2. Capitello toscano. IV. 76. Tav. VII, Fig. 3. Il Corintio supera ogni alno. È un vaso circolare coperto da un abaco incavato: nei quattro lati a pie del vaso nascono due ordini di foglie,
che si spiegano con mediocre oggetto, e dal loro seno escono alcuni caulicoli o steli, che t'orinano delle piccole volute negli angoli dell' ubaco, e nei quattro mezzi dei lati. IV. G. II. 108. CAPANNE. Meschine fabbriche poco elevate dal suolo, coperte di paglia, umide, malsane. È un orrore che la gente più benemerita di J società spesso non abbia migliore ricovero. VL G. IH. no. , CAPPADQC1A, fra Mazaca e Tuana, ba un ampio lago che intonaca di pietra gli oggetti immersivi. Vili. 07 CAPRA, macchina di tre travi, in testi congiunti, al basso divaricati, che munita di carrucole Serve a levar pesi. X. 17. G. II. 109. CAPRICORNO, è dalla parte opposta del Sagittario. La sua testa è formata da due stelle terziarie. IX. G. IL 118. GAPRIUOLI, due legui in forma di forcella, diconsi anche cavaletti, in volgare trivigiano Capra; occorrono nella costruzione dei tetti. IV. 18. N. 2. CAPSAR10, custode delle vestimenti nelle terme. V. G. VII. 177. CAPUA, nella cattedrale v'è un'urna di Breccia universale magnifica. IL G. VII. i5. CARBUNCOLO, materia pii\ molle del tufo, e più solida della terra; bruciata dal fuoco vulcanico, ottima per le fabbriche marittime. IL 34- inferiore alla pozzolana pei lavori sotto acqua, ma eccellente in ogni altra fabbrica. L' arena vulcanica di Toscana ed altrove è di Carbuncolo di Vitruvio. IL G. VI. "f. CARCERE presso il foro. V. aa. CAlUDA, greco architetto, trattò delle macchine. VII 20. CARIATIDI, ricordano le matrone di Caria condotte Schiave dai Greci. 1. .j5. CAUIOLO, e carolo corrisponde al latino caries meglio della voce tarlo. II. 6a. N. i. CARPINE, legno duro pesante. ottimo pei fusi e denti da ruota di molino, mazzapicchj te. Non trovandosene pezzi grossi è inutile per le grandi fabbriche; i Greci ne laccano gioghi, che chiamavano ziga, ed il legno perciò xigian. II. 68. e N. 3. CARRETTE da cannone, si distinguono giusta la specie del pezzo a cui servono. X. G. III. INCARTA Geografica, è una figura piana rappresentante la superficie sviluppata della terra. IX. G. HI. i5a. Diconi geografiche quelle pel continente; idrografiche quelle pei unii, isole e per le spiagge; celesti poi gotto quello-che offrono la proiezione della volta celeste, ivi Nota i. La maggior ampiezza, e la maggior esattezza accresceranno la precisione, ivi 155. CARTAGINE, nelle sue vicinanze, secondo Vitruvio, era un Fonte sopra a cui sopprntinotava un olio dell' odore di cedro, del quale ungevansi le pecore. viii. 35. CASE moderne. Nel primo piano sia una capace sala per la musica, e per il ballo; sarà bene se curvilinea, meglio se circolare; con alcuni luoghi per isibgo e per quan'o può abbisognare agli accorrenti. VI. G. Il 109. l'er le comodità della famiglia, bisogna calcolar gl'individui, che la compongono; anticamere, gabinetti, guardarobe, piccioli passaggi di comodità. Andrà bene separare le stanze degli uomini da quelle delle donne, no. Quelle dei foraslieri sieno presso all' ingresso ed alle leale, in. Le case pei commercianti senza lusso, ma comode e solide con magazzini per le mercanzie, se queste non mandano odore, ivi. Adattinsi ai mestieri, e piccoli traffici le botteghe ed ofiìcine. 111. Si avverta che ogni piano segua la medesima orizzontale in tutta la sua esteosioue. ivi. CASA di campagna. VI. G. III. 114. Nella fronte principale 1' abitato maggiore; verso la corte con diverso aspetto tutte le altre necessarie comodità. Ampio ingresso dalla strada; ai lati dell' abitazione sieno due braccia meno alte, che fiancheggino una vasta corte, fatte a volta. Una di queste serva per accogliere le messi, pigiare le uve, riporre gli strumenti rurali, ivi 115. In Levante e nel Napolitano si conservano i grani in pozzi appositi, Tav. Vili, e per le fortezze anco come la fig. 3. Tav. VII. ivi 116. L'altro braccio si destini per gli animali campestri. Abbiano i loro custodi sane abitazioni. Si costruiscano a volta le stalle e si espongano ad oriente con molte aperture. Abbiano un piano rilevato onde meglio conservar le ugne dei bestiami, ed allontanarne il sudiciume. Sopra le spalle si collocano i fenili chiusi, ma con grandi porte, e di conveniente altezza. 117. Le cantine sieno fresche, ariose, asciutte, fatte a volta col suolo ben battuto ed inclinate Verso un determinato punto, lunghe molto più che larghe; tra le file delle botti si lascino degli spazj. ivi 118. Le Aie per battere il grano sieno vaste e qualcuna coperta" IVI. Le colombaje per l'economia sono da escludersi, da desiderarsi per la bellezza, ivi 119. Un porticato semplice circondi la corte principale. Sienvi altre corti minori, Si cerchi di condurvi presso un' acqua corrente pegli
animali, ivi. Non vi manchi l' orto, nè alcuna di quelle bellezze che vi si possono adattare, ivi. CASE rustiche, sieno saluberime- Si conformilo a m>>
sura de' campi, e delle messi. Le corti ampie giusta il numero de' bestiami. Nel luogo più caldo delle corti si collochi la cucina; congiunti abbia i bovili, i presepi de' quali guardino all'oriente. Si. 5o. Le poste bovine si devono fare lunghe dai io. ai i5. piedi. 5i. Gli ovili e i caprili oflrino un'Aja di piedi 4- a piedi 6. per ciasebedua animale, ivi. I granai posti in alto guardino settentrione, ivi. Gli equili si piaptino iu luoghi caldi, ma non rivolti al focolare. 54- I magazzini, i fenili, i ferrai, i pistrini si facciano discosti dall'abitato. 55. Tali edificii siano luminosi, ivi. Pianta della Casa Greca fig. a. Tav. I. del Lib. V. e G. II. IOI. Casa romana, sua Pianta. Tav. VII. Lib. VI. G. II. 106. CASINI DI CAMPAGNA. Si fabbricano con le regole delle case di città. Il lusso sia moderato, conservando però la convenienza; vi brilli la leggiadria delle forme. VI. G. m. lo. CASIO, regione in Africa, celebre pel sepolcro eretto da Adriano a Pompeo e pel tempio di Giove. Gli Arabi lo chiamano el Ras. Vili. 35. e N. 2. CASSIOPEA od il trono. Questa costellazione fissato 11 .polo è opposta all'Orsa maggiore conia forma di un y. ix. G. n. 114. CASTAGNO, due specie castanea sylveslris, e Cast.- nea saliva cioè minore; utile all' architettura purché non resti esposto alternativamente all'asciutto, ed all'umido. Preferibile, perchè più sodo, quello della prima specie, quello di mezza età, e quello cresciuto in folto bosco. Dura mirabilmente nelle palificate, ne' luoghi acquosi, e nelle cantine.-II. G. IX. 186. CASTAGNO D'INDIA (.Ksculusbyppocastanum) albero venutoci dall'Asia settentrionale. Nulla serve agli edifici, 0 molto nelle officine degl' intagliatori. IL G. IX. 186. CASTELLO, è una macchina la quale serve a battere le palafitte; si vede nella Tav. A. Lib. X. G. II. i3o. CASTRACANI, città nella 6iria, offre il lumachello del suo nome II. G. VII. i48. CATACECAUMENI. II. 3i. CATAPULTA, macchina mili tare antica da scagliare saette. X. 64- Si Proporzione dalla lunghezza della saetta, ivi 65. Trispitamale si diceva quando la lunghezza dell' asta era di tre spanne, e se questa era di tre cubiti la Catapulta si diceva tricubitale. X. G. III. 166. CATECUNTES, luoghi dissonanti, dove la prima voce respinta da qualche corpo solido retrocede ad opprimere la voce seguente. V. 5y. CATENE, legname col quale si assoda il tetto. IV- i8. CAVALLO, è il solo animale dopo l' uomo, di cui siasi sperimentata la potenza dinamica, che si ritiene settupla di quella dell' uomo. X. G. IL ]34 CAVÉDIO. Cavum JEdium. Luogo coperto, che dalle anteriori mette alle parti più interne del casamento. Di cinque generi: i°. Toscano quando i travi che nei quattro lati 1» coprono inclinano col piovere nel mezzo, a". Corintio, se ai fulcri sono sostituite colonne. 3". Tetrastilo nllorciè le colonne sono quattro. 4°- Displuviato se i tetti terminando all'estremità dei muri mandano l'acqua nei canali scavati nei muri stessi. So. Testoggiuato, allorquando il potico sia fatto a volta. VI. 23. N. i. Toscano Tav. i. fig. i VI. G. I. 78 - Corintio Tav. IL ivi So. Tetrastilo Tav. III. ivi. Displuviato Tav. IV. ivi 82. — Testudinato Tav. V. ivi 85. cavetto, deriva dalla curva dell'ovolo rovesciata. HI. ut. III, 102., e dalla combinazione di questo con l'ovolo si fecero le gole dritte, e le rovescie, ivi. Regola per eseguirlo, 108. Vedi fig. 4. Tav. XXV. CECIA 2°. vento della Torre di Atene. Greco, del noti-est, nebuloso, umido, freddo. Vecchio Severo, che da un» scudo circolare rovescia la grandine. I. 95. IV. 1. CEDER-CREEK, fiume della Virginia, il quale s'inabissa scto la volta naturale chiamata Roch-bridge. Vili. 46. N. I. CEDRO, raro fra noi, di grato odore, grana fina, c elor vago. Quantunque tenero difficilmente marcisce. CcJòerrimi sono quelli del Libano adoperati da Salomone JEI tempio di Gerusalemme. Sulle coste della Virginia
sono jrandissimi. II. 70. N. 1. Di cedro era il simulacro di Diala nel tempio di Efeso, e dal cedro si ha l'olio, che preerva gli oggetti unti con esso dai tarli e dalle tignole. H. 71. CEFEO. Costellazione di tre stelle terziarie disposte d arco: ha una posizione, intermedia fra il polo e Cassioma. JX. G. IL 114. CEF1SO, fiume, nasce nella Doride, Val Livadia, presD la città di Lilea; ricevuto il Mela bagna Elatea città ella Focide, indi entra nella Beozia e si getta nel lago !opaide (Stivo) e sotterraneamente va a sboccar nell' Euipo(Stretto di Negroponle). Un altro fiume Ccfiso è quelJ che scorre per Atene, e si getta nel golfo Saronico. IH. 4ti. N. 1. . • CELLA, grandissima a Cerere Eleusina, ed a prose... ]na senza colonne esteriori fabbricala da Ittmu VII. 22. llone vi pian lò le colonne nella faccia anteriore. :'3. Vedi 'Jkv. VII. del Lib. VI. fig. 5. Cella di Mario perfezionata d C. Muzio, la si desiderava di marmo perchè stata sarobe fra le prime e le somme opere. A. .• CELLE MINORI dei tempi antichi, corrispondono alle cappelle delle chiese cristiane, come sarebbe quella di S. Antonio di Padova. IV. 72. N. i. CELLARIO. Vili. 35. N. 3. CENERI vulcaniche, si avvicinano all'attività della pozzolana. II. G. VI. 126. CENTAURO, costellazione sotto la coda dell'Idra; appare poco sopra il nostro orizzonte. IX. G. II. no. CERERE, pianeta scoperto nel 1801. da Pinzi; descrive un' orbita compresa fra quelle di Marte, e di iiove. La sua rivoluzione si fa in giorni 1460, 2. Il suo diandro non è maggiore di un grado del meridiano terrestre, 1 suo volume è appena un quarto di quello della Luna; d apparisce in forma nebulosa circondata da nebbie molo variabili. IX. G. IL ioa. CERRO {quercus cerrus L.) che cresce nei noghi montuosi e petrosi dell' Europa australe. II. 65. N. a CEROSTROTI,ornamenti, ora intarsiature. IV. 68. Tota. CERULEO degli antichi, era una sabbia tinta con certe erbe provenienti dall'Egitto, dalla Scizia, e da Cipro. VII. G. III. 134. cerussa. Si adagiano sarmenti nelle botti, sopravi fi sparge dell'aceto, e si mettono delle masse di piomba otturate ermeticamente le botti, dopo un certo temposi trova la cerussa. VII. ti cotta poi nella fornace divena Sandaraca, minio.- ivi 74. Bianco di cerussa, di pioml>, o biacca sono carbonati di piombo. VII. G. III. u5. L'A»stria e 1' Olanda ne fanno un grande commercio. Preferitile a tutti è quello preparato a Clichy presso Parigi, ii' 116. Cerussa nativa è il piombo bianco terroso. Gli anli chi lo avevano da Smirne; e dall'Asia traevano la Ceruss. porporata ch'era la più stimata di tutte, ivi CESARE AUGUSTO. Pref 33. I. 55. manda ad eie cuzione la via appia. I. 82. N. 1. CETRA Calcedonese fece la base con ruote all' Ariete e lo coperse di cuoio che difendeva coloro che movevam questa macchina per ciò chiamata testuggine aretaria. X 78. e 79. CHELONI, orecchie, manichi, braccatoli delle trav delle macchine. X. 18. e 23. CHIO, oggi Scio, isola montuosa del mar Egeo, fei tile di Vino squisito. IV. 8. Nota g, ha una fonte che berne s'impazzisce. VIII. Sa. CHIOCCIOLA, che eleva gran copia di acqua. E inventata da Archimede. X. 46. e Note. CHIOMA DI BERENICE, è un gruppo di picciol» siine stelle al sud-ovest di Arturo. la, G. II. sci. CfflONE, scultore Corintio, di merito e non di fama. Ìli. 4. CHIONIDE, Poeta comico. VI. 4. CHI ROTO NETON, equivale a libro impresso con la mano; così chiamavasi il comentario di Democrito. IX. 17. N. 1. CIEfU, lago nella Tracia. Col lavarsi in esso si muore. Vili. 48. CYPERUS LONGUS di Linneo del genere triandria monogyuia, la cui radice ha un odore di violetta. Vili» 42. Nota 2. CIGNO, o la Croce, costellazione all' oriente della Lira; forma una gran croce nella via lattea. IX. G. H. nS.
CIMASA, è formata da listello, e dall'Ovolo. III. 60. N. 3. La cimasa dell'architrave sarà 1/7. della sua altezza «d avrà altrettanto di sporto. ml. te. La cimasa delle porte sia 1/6. dello stipite, e lo sporto eguale alla sua grossezza. IV. 60. CIMITERI. Non discuteremo se avessero ragione gli Albani, i Sabei, i Trogloditi, alcuni Indiani, ed altri popoli antichi e moderai di riguardare i corpi umani dopo morte non altrimenti che ogni altra materia. Certo è che la massima parte delle nazioni, e le più colte, usarono di rispettarne le reliquie conservandole con maggiore o minore sontuosità. Perciò in quest'articolo accenneremo alcune cose generali sulle forme dei sepolcri. Gli Egiziani fecero i sepolcri più smisurati, poiché si sa che le loro imponenti piramidi servivano di sepolcro ni re. I Greci anche in ciò spiegarono quel carattere di dolcezza che spira in tutte le loro produzioni: facevano cioè tumuli che segnavano con una pietra, o con piantarvi un- albero e seminarvi fiori; e con usanza, ehe ora si direbbe romantica, andavano presso ai medesimi cantando le lodi del morto, e facendo sagrifizj, e recando le primizie dei loro frutti. I Romani, abbruciati i corpi dei loro morti ne conservavano le ceneri in apposite urne, che custodivano nelle loro abitazioni, e che portavano con sé religiosamente anche nei loro viaggi. Fra quei popoli però che si segnava come solenne monumento la tomba di un estinto, si dispiegò anche in ciò il fasto dei grandi, sdegnando questi di eguagliarsi alla plebe anche là dove non può essere assolutamente distin- . zione di serie. Della più remota antichità basta accennare il monumento di Mausolo. (Vedi Mausoleo). Né si può tacere di quello che Porsenna fabbrico per se stesso, il quale era un ediflzio di pietre riquadrata con una base alta 5o. piedi, che sosteneva cinque piramidi larghe inle riormente ^5. piedi, ed entro a cui eravi un intricatissimo labirinto. Ma parlando dei nostri tempi, dacché fu adottata la massima di Platone, che l'uomo debba essere tale che nè vivo né morto sia molesto al consorzio degli uomini, alquanto lungi dall' abitato si recinse un luogo apposito con mura, che si disse cimitero, per depositarvi i morti entro a fosse scavate nel terreno. Questa maniera di sepolture a noi sembra la più giudiziosa e vorremmo che fosse rimasta entro i termini della sua primitiva istituzione; perchè dev' essere carattere principale di questi edifizj l'eguaglianza assoluta; e si avrebbe dovuto in qualche modo seguire la legge di Pittaco, che proibiva di collocare sul tumulo altra cosa che tre colonnette non più alte di un cubito. Tuttavolta anche in questo luogo si volle edificare, e si videro alzarsi arcate, e colonne e tempi, ed appartate sepolture pei ricchi, lasciando alla plebe l'interno del recinto. Crediamo di limitarci su quest'articolo a dare la descrizione del cimitero che immaginò ed eseguì il distinto architetto udinese Sig. Valentino Presani in modo da non invidiare per la maestà e per le convenienze dell'arte alcun altro monumento di tal genere fra quelli che si trovano nell'Italia O. Cinque grandi cancelli formano l'ingresso del Camposanto di Udine. Esso è di forma quadrata della dimensione di i34 metri per ogni lato, ed è circondato da portici atti a contenere memorie e monumenti d'illustri defunti. L'area interna è divisa in quattro rettangoli che servono per le lumulizioni ordinarie, e questi sono separati da due stradoni in croce che s'intersecano nel centro, e da altri che si stendono al piede del fabbricato. Nella parte opposta all'ingresso si è aggiunta all'area una figura mistilinea, e ciò per rompere la monotonia del quadrato, e per rendere più maestoso quel lato che deesi considerare come il principale, la mezzo a questo ò posto il grande Oratorio con sagrestia ed altri luoghi adiacenti. L'Oratorio oltre l'ingie.so principale ne ha due nella parte posteriore per poiervisi introdurre anche pel di fuori del recinto del Cimitero. Dietro all'Oratorio trovasi l'abitazione pel custode di esso, ed altro luogo pel capo dei becchini con alcune stanza per conservare gli attrezzi ne (*) Questa descrizione fu già pubblicata in una Nola del Disrorso preliminare all'Architettura di Vitruvio commentata ed illustrata da Gio. Poleni e da Simone Stratico. Udine i8a5. cessar) per le tumulazioni, il carro mortuario, ed i cavalli destinati al trasporto degli estinti; e finalmente la casa del cappellano, con celle per operazioni anatomiche, e per vegliare i cadaveri al caso di dubbia morte. Lateralmente alla Chiesa vi sono due spazi, uno dei quali è destinato ai cadaveri dei non cattolici, e l'altro a coloro che hanno perduti i diritti del corpo sociale. Tutto l'esterno di questo edificio è circondato da viali piantati di cipressi o tassi, le quali piante, oltre di essere confacenti al carattere che si ricerca, formano un bel contrasto tra il verde nereggiante delle loro foglie, ed il colore della fabbrica. Nella decorazione di questo edifizio si è usata generalmente la maniera dorica come la più robusta e maestosa. Su tutti i lati rettilinei s'innalzano arcate con bugne e cunei semplici e ricorrenti anche nella parte esterna. Nelle medietà laterali vi si aggiunsero colonne dell'ordine stesso, addossate ai piedritti degli archi, e nei due quadranti che uniscono le arcate al pronao della Chiesa furono poste altre colonne isolate dello stesso ordine,
percorrendo sempre le primarie linee orizzontali delle basi, capitelli, e sovrapposta trabeazione. L'aspetto della Chiesa è ornato colf ordine jonico, affinchè trionfar possa questa parte dominante sopra il rimanente dell'edilizio per grandezza, per forma, e per la sua decorazione. Tra gì' intercolunuj ionici del pronao ed i dorici della parte armata, si è creduto bene di lasciare un interpilastro chiuso: i°. Per oggetto di solidità, essendo necessario un pieno iu questo punto onde possa resistere allo sbancamento degli architravi dorici, che sono formati con parecchi cunei per la difficoltà di trovare tanti massi di pietra resistenti che arrivino da asse ad asse dei sottoposti sostegni. 2". Per lasciare un riposo fra una forma e l'altra degli intercelunnj. 3°. Per evitare il confronto immediato di due generi di colonne varie in carattere ed in grandezza, paragone che disdirebbe certamente senza un riposo intermedio, perchè le colonne dell' ordine principale sopraffarebbero quelle dell' ordine secondario, e viceversa queste farebbero comparire oltremodo gigantesche le prime. Gli ultimi pilastri ionici, nel punto ove si uniscono coi dorici, sporgono tanto quanto la cornice di questi, per non incorrere nel madornale difetto, che si ravvisa nelle imposte delle arcate del grandioso tempio di S. Pietro in Roma, ed in tanti edifici della più grande magnificenza. Nel pieno degl'interpilastri vi ricorrono con fascio le linee principali della trabeazione dorica, vi continuano nell' interno del pronao e vanno a ripigliare il sopraornato della porta principale della Chiesa. Tale continuazione di linee fu praticata per riprendere l'ordine dorico che si rinnova ueli'inte.uo del pronao, per dare un legamento ed un limite alla parte superiore della porta principale della Chiesa, e per unire i due corpi principale e secondario, ia modo che mostrino una qualche dipendenza fra loro. Senza questa continuazione di linee si direbbe, che i due ordini sono appoggiati uno all'altro, e non mai legati assieme, non essendo parte dell' uno che con ragione s'immedesimi ueli' altro. Da tutto ciò si può vedere chiaramente, che nell'interno del Camposanto tutte le parti, tanto principali che secondarie, conservano una perfetta affiniti e legamento fra loro, ciò che stabilisce 1' unità; che le parti più distinte diversificano dulie inferiori senza distruggere l'intero legamento, ciò che forma la varietà; e che finalmente si è combinata una progressione crescente, passando dalle arcate semplici alle decorate, da queste agi' intercolunnj che portano un carattere più nobile, e finalmente all' ordine principale che trionfa sopra il rimanente. Sembrerebbe forse più conveniente al soggetto l'aver usato dell' ordine dorico senza base, ma ciò lu evitato per non cadere in anacronismi. Il dorico senza base si presenta bensì con aspetto più grave e robusto; ma a questo non convengono certamente le arcate. Il dorico senza base appartiene allo stile greco, e le arcate al romano. I Greci non usarono arcate, ed i Romani non fecero quest' unione che nel teatro di Marcello, quando non si volessero portare in esempio monumenti di poca considerazione. La soppressione delle basi avrebbe cagionato l'altro inconveniente di troncare alcune linee nella parte inferiore dell'edilìzio, e non si avrebbe il legamento fra la base o zoccolo del piedritto degli archi e la base della colonna dorica, fra la dorica e la jonico, e fra questa e le altre pi rli ricorrenti. Nell'interno della Chiesa si è cercato di conservare tutta la semplicità nella decorazione L'ordine e le linee principali corrispondono coli'esterno. Nella cornice si sono ommessi parecchi membri per non introdurvi ciò che conviene soltanto alle parti esterne: questa si è diminuita in altezza, si è ingrandito il fregio che si potrà istoriare con bassi rilievi convenienti al soggetto, e tutta la trabeazione fu considerata una grande imposta della volta. I luoghi inerenti alla Chiesa sono tutti legati col corpo principale, e la sua decorazione esterna combina col carattere di tutto l'edifizio. Sopra i vestiboli, che danno ingresso alla Chissà ucila parte posteriore, si SODO immaginati due campanili di forma ettagona, e tenuti di un carattere tozzo, niente dovendo essere in questo fabbricato che non conservi una conveniente gravità. L'esterno della fabbrica richiama la interna .costruzione, e porta e conserva una pura semplicità. Nei quattro rettangoli sono disposte le sepolture ordinarie, sempre con qualche regolarità, scavando una fossa lungo un lato, e ricoprendola di mano in mano che si depongono i morti; indi se ne scava una seconda parallela alla prima, e così successivamente. Ai lati di questi rettangoli avvi una serie di piccole pietre numerate, distanti da •una parte quanto è la lunghezza di una fossa, e dall' altra quanto è la sua larghezza. In questo modo supponendo tirate le linee da pietra a pietra tutte parallele fra loro ed ai lati, si forma una graticola, e si può riconoscere il punto dove fu deposto ciascun cadavere. Sotto il portico che circonda il Camposanto sono destinate le sepolture per famiglie particolari. Nella parte curva vicino alla Chiesa vi sono tante tombe quanti sono gl'intercolunnj, e nelle parti rettilinee ve n'è una nello
spazio di ogni arcata, ed un'altra corrispondente ai pilastri. Con questa distribuzione i sepolcri sono divisi in tre classi, che importano spese diverse per comodo dei vari ceti delle persone, o delle differenti facoltà degli abitanti. Qualora vi fossero delle cospicue famiglie per cui abbisognasse una distinzione maggiore, si possono nelle me» dietà laterali aggiungere alcune sepolcrali cappelle da ornarsi con qualsivoglia magnificenza. Le sepolture private sono tutte sotterra circondate di muri, coperte di una volta, e chiuse con una lapide di pietra per impedire l'esalazione dei miasmi vaporosi, o gas, che si sviluppano dalla decomposizione delle parti animali. Nell'interno del porticato, e presso il muro opposto agi'intercolunnj ed agli archi si van collocando i monumenti, ed i mausolei destinati a conservare e perpetuare, anche dopo la morte degli uomini benemeriti, il rispetto che a loro si deve. Queste decorazioni convengono del pari a scultura intieramente rilevata, ed a basso rilievo. possono avervi luogo le opere di pittura, e l'architettura può applicarsi ugualmente con buon effetto. I monumenti tutti devono portare l'impronta confacente all'uso a cui son destinati, ed uno stile analogo a quello del fabbricato. Si escludono le opere di stile egizio, gotico, o di qualunque altro che non abbia relazione coli' edifizio. Disdirebbe infatti in un monuraemo di architettura romana le decerazioni di stile gotico o cinese. Le parti ed il tutto devono tendere allo stesso fine. Nelle faccie dei pilastrini, che nell' interno del portico sono addossati ai piedritti degli archi, sono incavati dei riquadri per inserirvi le iscrizioni lapidine. I principi, gli uomini di stato, i benefattori della società possono meritarsi una distinzione ancora più ragguardevole, e per questi si possono innalzare magnifici mausolei nelle cappelle sepolcrali poste nelle medietà dei lati, o nelle parti che fiancheggiano 1' Oratorio. Non si ergeranno però queste opere per adulazione, o per fasto, ma per omaggio agli uomini illustri, affinchè i posteri imparino ad emularli uell' amore della virtù e della patria. CINGOLI dei piumacci, sporgano sino che tocchino il medesimo circolo che lambisce l'estremità della cimasa. III. 69. cipresso, il più comune è il cupressus semper virens; legno di grana fina, che resiste alle ingiurie del tempo; non si adopera nell' interno delle fabbriche a causa del suo odore acuto. II. 69. e N. 1. C1RIEGIO (Prunus Cerasus). Legno di bellissimo colore rosso. I tornitori lo desiderano, li. G. IX. 187. CLAZOMENE, città della Caria sulle spiagge dell'Arcipelago. Patria di Anassagora. IV. 9. a JS. 3 Vili. 4^. . CLIADE, forse lo stesso che Dìade, trattò delle macchine. VII. ig. CLIMA, regione fra due paralleli all' equatore, o fra uno di questi e l'equator medesimo — diversità di temperatura. I. 48. N. a. CLIMACICLO, piccola scala che facea parte àellt Balista. X. 73. N. a. CULTORI, città dell'Arcadia oggi Gardicbi; ne'suoi contorni ha una spelonca con ceri' acqua che fa diventare astemio chi ne beve. Viii. Sa. e M. 4 CLORO, è di un color giallo-verde, di un odore dispiacevole, nocivo alla respirazione, non contrario alla combustione, e viene adoprato come profumo nelle malattie contagiose. Il. G. II. 94. N. 3. CLOSO, inventore del pavimento per gì' Invernacoli detto Aiarola. Rappresentava le immondezze che si gettano dalla mensa. VII. 5o. N. 6. COCCINIGLIA viene dall'America; secondo Lavoisier supera in bellezza la porpora antica. VII. G. III. tio. COCODRILLO, è un genere particolare di rettili fra le lucertole. Il suo corpo è ricoperto di scaglie, come piccoli scudi; ha le due zampe posteriori palmate, una coda compressa e lunga, una lingua corta. Se ne contano ora fino a dodici specie. Voraci, feroci, fortissimi. Dagli anlichi Egiziani erano temuti, e venerati. Vili. G. IL 127. Abbondano nella Florida e nell'altre parti dell'America più che ìiell' Egitto ed al Senegal, Mescendo però meno robusti, e meno pericolosi. Vedi iig. 2. Tav. Vili. Lab. VIII. G. II. t3o. COELON, o azzurro celeste, si fabbricava a Pozzuoli. VII. G. 111. lai. COFANI, tubi di legno che s' internano nei pozzi forati onde sostenere la sabbia. Vili. G. I. 110. Nota 1. ai quadrati sono preferibili i circolari. Si formano con tavole di olmo campestre, da' Veneti detto mestego, dai Francesi torlillard. ivi 116. Tabella dei loro varii diametri, ivi 118. COLCHI, nazione del Ponto; formavano le abitazioni in mezzo ad alberi perpetui. IL It. e N. 4
COLLIQUIE. Canale lungo il tetto, ove due parti del medesimo tetto si uniscono ad angolo. VI. ?3. N. 1. G. I. 78. COLOFONE, città della Caria fra Smirne ed Efeso detta anche Altobosco e Belvedere. IV. 8. e N. 8. COLONNA. La jouica sia alta otto moduli e mezzo. III. 36. Le angolari si faranno più grosse una ciuquantesima parte del loro diametro. /j3. Le angolari, e quelle che partendo da esse stanno nei fianchi abbiano perpendicolare la parte interna riguardante i muri ma rastremata la parte esterna. III. 58. Le colonne corintie dai capitelli in fuori hanno le simmetrie delle joniche. IV. 5. nell" ordine dorico avrà la grossezza di due moduli; l'altezza col ca pitello di 14. ma i greci ne davano appena i3. e le più belle, come nel tempio di Teseo, e nel Partenone non hanno che undici moduli di altezza. IV. 3a. e N. 1. Le colonne doriche sieno rigate da venti canaletti; modo di spinellarle. 4^; modo di togliere all'occhio la minor grossezza delle une alle altre colonne. 48. Nel tempio Toscano le colonne saranno 7 diametri, e così la sua. altezza sarà la terza parte della larghezza del tempio; rastremate di i/4- di diametro; la base alla mezzo diametro; il plinto ed il toro con l'opofige di eguale grossezza. IV. 75. 76. Il fusto delle colonne corintie si usò sempre scanalato, ma non bisogna eccedere nelle scanalature i limiti prescritti da Vitruvio. IV. G. IL 108. Le simmetrie delle colonne devono variare a seconda della gravità dei tempj, e della sveltezza dei pollici. V. 67. Neil' interno delle case devono essere più svelte che nei tempi VI. G. IL 101. COLORI diligentemente tirati sopra l' intonaco a fresco non ismarriscono. VII. 44- Si alterano dalla calcina* tutti i colori preparati di sostanze vegetabili ed animali, ed alcuni anche di minerali, ivi N. t. I colori degli antichi erano vivissimi, come si vede negli avanzi di Pompei, d'Ercolauo, e nel tempio scoperto a Brescia. VII. G. III- ni. Si distinguevano in floridi, ed in austeri; ciascheduna di queste, due classi comprendeva i naturali e gli artificiali, ivi 112. COLUME, trave nella sommità del tetto. IV. 18. Nota. comandino, interprete di Euclide, e di Larisseo. VU. >3. N. i. COMETE. Sono per lo più seguite da una coda vaporosa; talune sono cinte da una specie di atmosfera, altre non presentano alcuna di queste apparenze. Sono corpi opachi. La coda è sempre diretta in senso opposto al Sole, nè apparisce quando è da lui distante. Si muovono in ogni verso descrivendo ellissi allungatissime. ivi log. Le orbite loro sono di calcolo difficilissimo, e di 122. comete, delle quali si cercò descrivere la rivoluzione, quella sola di Halley si giunse a stabilirla di circa j5. anni, e si sospetta di rivederla nel i835. La loro massa è piccolissima. La cometa del 1770. che più d'ogni altra si è approssimata alla terra è appena la cinquemillesima parie del nostro globo. Tav. IL fig. 3. IX. G. IL 110. COMPLUVIUM. Piovere insieme. Coperto o grondaja che riceve le acque piovane dei coperti, e giondaje superiori o circostanti. VI. G. I. 77. COMPOSITO. Non è veramente maniera particolare di architettura, ma risulta dalla soppraposizione della parte superiore del capitello ionico alla inferiore del corintio, il quale per ciò riunisce l' improbabilità dei piumacci dell'uno e delle foglie dell'altro senza nulla guadagnare dalla parte del bello. IV. G. V. i34 COMPOSIZIONE degli edifizj dipende dalla simmetria. III 7. CONCENTI, dalla voce greca sinfonie, ora detti consonanze. L'umana natura ne può modalare sei: i". Diatessaron, quando la voce si posa in una determiuazione dei suoni, ed inflettendoci si cangia, e giunge alla quarta terminazione, 2°. diapente alla quinta, 3°. diapason all' ottava, 4°- diapason con diatcssaron all' ottava e mezzo, 5*. diapason con diapente alla nona e mezzo, 6°. disdiapason alla decimaquinta. V. 36. Mancavano cosi gli antichi di notare la terza e la sesta, perché il loro primo suono era lo stesso che il nostro secondo, ivi nella Nota. CONCLAVE; stanza oblunga da chiudersi con chiave. VI. 37.. CONVERSAZIONI figlie del decimo secolo. VI. G. H. 109. COPPA, costellazione presso la piegatura dell' Idra terso il cuore, e risulta da sei quartiere in semicerchio. IX. G. IL 119. CORA, città in Italia; ha un tempio antico. III. 5i. nella Nota. m CORAGI, vengono presi per luoghi ove potessero i cori ordinarsi, ma il senso vitruviano qui porta che fossero persone della truppa attrice, le quali in tempo di pioggia avevano bisogno dei portici del Teatro per mettersi in ordine. V. 61. N. a.
CORINTIO (ordine di architettura ). Formato dall'ordine Dorico, e Jouico col solo cambiamento del capitello. IV; 6. e N 9.; imita la verginale gracilità. 12. I Greci dall'abbozzo de' capitelli egizii possono aver tratto il corintio, il quale presso loro non giunse alla leggiadria del capitello corintio dei Romani, ivi G. II. io5. Le colonne corintie del tempio di Minerva Alea fatte da Scopa, e quelle del gran tempio di Giove Olimpico fatte da Cossuzio non pervennero a noi. ivi. I Greci avevano edifizj propriamente corintii, ma essi non si (^soggettarono a regole generali, come fecero i Romani, i quali portarono questa maniera al massimo della bellezza. Meritano distinzione i tempi della Sibilla a Tivoli, della Pace, di Antonino e Faustina, di Giove Statore, di Giove Tonante, di Marte Ultore, ed il foro di Nerva; 'reggiamo pur bellissimi il Panteon, il tempio di Vesta, il terzo ordine del Colosseo, il portico di Ottavia, e diversi archi trionfali. 107. Le colonne di questi monumenti sono alte dai nove agli undici diametri. Molte varietà si osservano nei capitelli; il più vago sembra esser quello di Giove Tonante. Tav. XVI. ivi 108. Vitruvio assegna alle parti superiori al capitello di quest' ordine le stesse proporzioni del Jonico. I moderni le dilattarono; danno i/2L dell' altezza della colonna al cornicione, in cut profondono gli ornati. Palladio meglio di ogni altro espresse la eleganza e la grazia dell'ordine corintio. Tav. XVII. IV. G. 109. e N. 1. CORNELIO CELSO. V. 80. Nota; parla del soglio, e dell' alveo dei bagni. CORNICI. Nelle stanze si sottopongono alle vòlte, e devono essere gracili, e sottili. In esse non si mescoli gesso. \ II. 3g. mi sieno di marmo cernito. 4°- 2. Semplici per metterle ove si fa fuoco, e si tengono molti lumi, nelle altre stanze si scolpiscano. 4r CORNIOLO ( Cornulns rnascula ) è durissimo, ma cresce poco. Sarebbe utile di fare di esso i graticci per le pareli. 11. G. IX. 187. COHOBATK. stromentn antico da livellare. Fig. 5. Tav. I. Lib. Vili. 6a. Nota 1. J'rrnvrjo ISDICE 3 COROGRAFIA, descrizione particolarizzata di una citta, di un paese. vin 19. N. a. CORONA: sporto che cinge nella parte superiore I. Btibolato. III. St. N. a. Corona, parte superiore della trabeazione; colla sua cimasa senza la gola dritta, sia quanto la fascia mezzana dell'architrave. III. P. e N. 1. Il suo sporto col dentello sia eguale all' altezza, eh' è dal fregio all'estrema cimasa della corona. III. P. CORONA BOREALE, costellazione ad oriente di Boote; risulta da sei o sette stelle disposte in semicerchio con la concavità verso la testa del Dragone» IX. G. II. 11. 5. CORSICA, ha del porfido somigliante il verde antico* li. G. VII. i52. Suo granito una delle più belle e singolari roccie. II G. i53. Suo granito grafico. A. CORVO DEMOLITORE, o gru, macchina militare che si scagliava contro le navi. X. 8. Nola. 4 CORVO, costellazione al sud-est, e poco lungi dalla Coppa, ed a mezzogiorno della Vergine, di quattro terziarie disposte in un trapezio. IX. G. H. iao. COSSUZIO romano per commissione del re Antico architettò la cella, mise le colonne intorno al diptero, e distribuì gli architravi, e gli altri ornamenti nel tempio Olimpico. VII. al. COSTELLAZIONI. Di sole sette parlano Giobbe, Omero, ed Esiodo; Vitruvio ne descrive 4"- cioè la. nel zodiaco, 20. nell'emisfero boreale, e 18. nell'australe. la. a3. G. II. Nota 1. COTTO, re, dal quale furono dette Cozié le alpi che appartenevano al suo regno. VII. 4°- Nota 1. CTESIBIO; di lui non ci pervennero opere, bensì molte testimonianze I. 45- N. 1. Ha trattato delle macchine. VII. ig. e ne inventò molle. CTESIFONTE e Metagene suo figlio, descrissero il tempio Jonico di Diana in Efeso. VII. i4- Maniera di Ctesifonte per condurre al detto tempio le colonne. X. 27. 28. Metodo di Metagene per trasportarvi gli epistili- ivi 29. CUNEI, degli ordini dei gradi per la circonferenza dei teatri, cioè convergenti al centro. V. 44 CUNEO, una delle quattro macchine elementari. X. G. II. 127. •CUPOLA, ha due parti principali, una cilindrica che dicesi tamburo, 1' altra sferica eh' è la vòlta. Per lo più nella sommità si lascia un'apertura dalla quale*comincia la lanterna, che serve a dar luce al sottoposto luogo. Si fanno doppie cioè una dentro dell'altra con qualche intervallo fra la convessità dell' inferiore, e la concavità della superiore affinchè sieno graziose tanlo all' estemo quanto JJ di'interno. S'impiegarono le cupole specialmente nei
tempi, e si moltiplicarono coli'allontanarsi che fece l'Architettura dal puro stile greco e romano. A vederle in distanza destano un qualche piacere, ma mostreranno l' ardire dell'architetto non mai il carattere di una parte essenziale della fabbrica. VII. G. IL 97. Le più celebri sono quelle del Panteon, di S. Pietro In Vaticano, opera di Michelangelo, quella del Duomo di Firenze architettata dal Brunellcsco. Fig. I. e 2. della Tav. 11. ivi g8. ;iy. CURIA. Era un tempio ove per comando di Romolo si adunava il popolo, onde con lui avesse cura della repubblica. Vitruvio la vuole vicina al Foro; sue simmetrie. Se quadrata, la sua altezza dev' essere una metà maggiore della lunghezza, se oblunga, sommate larghezza e lunghezza, la metà della somma è da darsi all'altezza fino alla soffitta. V. 11. N. 3. Si contornino a metà dell' altezza le pareti con cornici, ivi CYANON. Minerale prezioso comunemente Lapis-lazuli, Lazulite. Il suo colore varia dal più bello azzurro al più carico; è translucido all'estremità; ha in esso frammiste diverse sostanze eterogenee, tra cui i grani di pirite o di ferro solforato, che gli antichi presero per oro. Esposto al sole, e portato poi all' oscurità manda una luce losforica. Si trova particolarmente nella gran Bukaria, ed anche in Persia, in Natòlia, e nella China. Con esso si fa il colore detto oltremare, molto risplendente, che diffìcilmente si può degradarlo con gli altri colori, co' quali non si contempera. VII. G. III. 119. Modo di ridurlo a colore, ivi ili. Auche la più remota antichità aveva incisioni fatta sul lazulite. ivi. Lo si conosceva, ed adoperava prima del diamante, ivi iat< D DAD'O, o tronco, parte dello stibolato fra la corona, e la base. IH. 5i. N. 1. Piccoli dadi talvolta applicati sopra i Capitelli tolgono allo scemamente* di proporzione negli architravi a cagione appunto dell' oggetto dei capitelli) e si possono .riguardare come quelle membra superiori, che Vilruvio voleva che corrispondessero alle aggiunte fatte negli stibolati. Ili G. V. 14*. DECORO o convenienza. Prescrive a ciascun genere di edifizio il suo carattere distinto, e relativo all'uso. I. 50. N. r. t 60. DECLINAZIONE di uri astro, è un ared intercetto fra 1' astro e l'equatore contato sopra un circolo che passi pel polo dell' equatore, e per 1 astro. IX. G. Ili n5. DEL1QUIE, canali o luoghi attinenti al displuvio. YI. G. I. 78. DELO, i cui monumenti avevano le colonne liscie. IT. G. I. gS. Tempio d'Apollo, dorico (Tav. VIII. fig. x) 96, DEMOCRITO' Abderite filosofo, ebbe gli atomi qual principio delle cose II. 16.-• V. G. V. i44- Lasciò i di lui pensamenti sulle cose naturali. IX. 5l. DEMOFILO,scrittore di precetti sulle simmetrie. VH.19. denti a forma di lega che si applicano al muro della sostruzione verso il terreno. VI. 67. DENTELLATURA, membro architettonico fra l'architrave e la corona - Sarà alta quanto la fascia niezzaua dell'architrave. III. 69. N. 1. DENTELLI, ritenuti quai segni dell' ordine Jonico. IH. G. IV. I3I. usati molto dai Greci. Tuttavia sarebbe conveniente ommetterli specialmente se apportano confusione »3a.; traggono l'imitazione dagli sporti degli asserì IV 24. non si mettono sotto i modiglioni perchè non possono stare gli asseri sotto i cantieri. 25.; e neppure nei frontespiA, ove si faranno semplici gocciolatoi, atlesochè i cantieri e gli asserì non possono essere prominenti, ma nei frontespizj inclinano verso le gronde. 26. DESERTI: il maggiore è quello di Sahara nella Barbarla; quello della Libia circoscritto dal Nilo; nella Persia vi sono quelli di Adjemin, Derman, e Mekan; il Nedsjed cominciando dopo l'istmo di Suez occupa quasi tutto l'intorno dell'Arabia; e ve ne sono molti altri La superficie di questi deserti, secondo Humboldt, conta circa iiaooo. miglia geografiche quadrate. VIII. G. 1. 82. N. I. DIADE, scrisse delle torri ambulatone, della trivella, della macchiua salitoria. X. ^ Q. DIASPRO, appartiene ai quarzi; è opaco, infusibile, ed estrae scintille dall' acciaio. Il diaspro propriamente detto è per lo più di un color rosso o verde;.ve n'ha però di giallo, di bigio, di bruno, poche volte bianco ed azzurro, rarissime nero. — Rosso, detto orientale ed antico; pulito ha un bel lucido.--Nero, si trova ira Sicilia.--A fettuccie nella Siberia, è rosso e verde. Diaspro sanguigno dell'oriente II. 154--- Diaspro egizio-castagno, fulvo, bruno chiaro con linee eh'imitano il muschio, alberi, roccie — Diaspro, porcellana, azzurro, o bigio perlino. — Diaspro scisle d'ordinario nero, e bigio, ma talvolta bruno rossiccio, color di carne, ed anche rosso ciriegia. La pietra di Lidia è una varietà di questo diaspro, ivi 155.
DIASTILO, genere di costruzione nel quale l'intercolunnio è di due diametri, e tre quarti. In grandi dimensioni recherebbe il difetto, che l'architrave di pietra non potrebbe reggere. III, 3i. e N. 1.; la sua colonna alta otto moduli e mezzo. HI. 38. Esempio nella Tav. 18. DIAULON significa circo. Vitruvio diuota quello spazio ove i corrieri giunti alla metà dello stadio volgendosi ritornano ove presero la mossa. V. 83. N. i. DIGEARCO Messenio. V. ig. Nota i. DIESI, significa separazione od abbassamento; qui s' intende proporzione musicale; in senso generale esattezza dei tuoni. V. 28. N. 3. DIFILO greco architetto, scrisse delle macchine. VII. 20. DINAMICA, parte della meccanica che tratta del motodei corpi. X. G. I. in. DINAMODIO, dinota il peso di un metro cubo di acqua innalzata all'altezza di un metro. X. G. H. )33. Quadro degli effetti utili prodotti dall' azione giornaliera dell' uomo calcolati per Uinaraodj. ivi. DINAMOMETRO di R egnier, serve a misurare la forza assoluta degli animali. X. G. IL i32. DINOCRATE architetto macedone, propone ad Alessandro di conformare il monte Ato in figura virile. II. 5.; eresse invece Alessandria. 6. DIOGNETO, architetto di Rodi, che aveva dal pub* LJico un'annua mercede per onore dell'arte. X 92. DION1SIODORO, inventò il cono pegli orologi solari. IX. 60. DIPLINTHII, e triplinlhii, cioè di due o tre mattoni. II. 21. N. 1. DIPTEROS, significa ala. III. a5. , DIRRACCHIO, detta anche Epidammo, ora Dnrazzo. città celeberrima della Macedonia sulla spiaggia occidentale del mar Jonio; si trova ne' suoi dintorni un fonte cher vomita pece. VIII. 36. e Nota 2. DISEGNO, indispensabile all'architetto. I. 38. Arte d'imitare colle linee le forme e contorni degli oggetti, fi 3g. N. 1. Cpn la voce disegno si abbraccia la ragione per cui consiste la forma della cosa. È il fondamento dell'arti belle che si occupano della riduzione della materia; ed in quelle che trattano di cose immateriali viene ad essere il regolatore. V. G. III. n3. DISPLUV1DM. Coperto o grondaia ebe porta altrove le acque piovane. VI. G. I. 77. DISPOSIZIONE, regolare e conveniente adattamento' delle parti. I. 56. N. 1. Deposizione dei materiali in un* iabbrica necessaria quanto h bontà degli stessi. Attenzioni per otleuerja. Il Q, viii. 16$. « seguenti. DISTRUITI/TOM", sigoirica economia: buon uso di tutti i mezzi che ha 1'archi te ilo. I. 56. N. i. — 64Dev'essere relativa alla natura degli edifizi. I. 67. DODRANTE, la nona parte dell'asse. X. 65. N. a. DORICO (Ordine di architettura) prima del Jonico, e del Corintio; antichissimo derivato dal tempio di Giunone fabbricato da Doro in Argo. IV. 7.; la sua colonua di sei diametri col capitello. Vitruvio deduce tal proporzione da quella del piede con l'altezza dell'uomo. IV. 10. e N. 1. sua descrizione. Tav. III, fig. r.-IV. 38. N. I.J maniera tutta greca. IV. G. I. g4- Si può distinguere in cinque stati, tre greci, uno romano, ed uno moderno, ivi. I Romani ne aumentarono la sveltezza sino a fare nel teatro di Marcello le colonne alte quasi 8. diametri compreso il capitello. Tav. XI. fig. I. ivi 100. Peraltro il Dorico di tua natura deve esprimere robustezza, ivi >oi. DORON, palmo. IL ai. DRAGONE, è una successione di stelle che formano . una doppia curvatura. La sua coda separa le due Orse. JX. G. IL 114. E EBRIDI, isole, contengono dei diaspri. IL G. VII. i55. ECHIA, distinzione dei suoni. I. 47 ECHINO, ovolo quand' è considerato solo. III. 62. N. 3. ECO, succede preciso e chiaro quando ad una voce o ad un suono s'oppone una superficie solida e piana, posta ad angolo retto; ed incerto o confuso allorché alla voce si oppone un corpo di vari lati o circolare. Ciò non avviene, che all' aria aperta. V. G. IV. 128.
ECHEI, vasi metallici, e loro celle nei teatri anticLi. Opinioni sui medesimi. V. G. IV. 129. ECCLESIASTERION ( significa luogo ove s' interviene per sentir a discorrere). Scena del teatro minore. VII. 58. ECLITICA, è quel circolo che appare essere percorso dal Sole col suo moto proprio da occidente verso oriente in 365. g. 6°. 9' n,!, 58. IX. G. III. ED1FICJ caratterizzano le nazioni, e servono alla storia. I. 5. Ipctri da erigersi al cielo, al Sole, alla Luna. I. 63.; primitivi, capanne di virgulti, glebe, canne, fiondi te. IL 10. N. 2. e 3. 11. N. 1. Gotici arabeschi da imitarsi per la eccellenza della loro costruzione, quanto da biasimarsi per la bizzaria della decorazione. IL G. Vili. i65.; attenzioni necessarie per ottenere la solidità degli ediftcj. IL G. V1IL 168. Gli edificj saranno ben dispolli se. si osserverà in quali regioni, ed in quali climi debbano costruirsi. VI. 9. Sotto il settentrione si facciano tcstugginati, assai ristretti, niente aperti, e rivolti alle parti calde. 10. Inversamente nelle regioni meridiane. 11. Parimenti nelle altre regioni si trovino i temperamenti che vi confacciano, ivi. Edifici greci non avevano Atri. Dalla porta si entrava in sentieri spaziosi, di là nel Peristilio, il quale da tre parti aveva il portico. VI. 5"]. Nella quarta parte verso mezzogiorno fra due ante si lasciava grande spazio, due terzi del quale eranvi grandi Oeci per le madri di famiglia e loro Janifìcj. Nei porticati i t ri ci in i e le Stanze pei famigliari. Questa parte detta Cineconitis era per le donne. 58. Quella per gli nomini con peristili assai larghi, vestiboli egregi, porte dignitose, pinacoteche, biblioteche, ampi Oeci quadrati dicevasi andronitide. 5g. A destra ed a sinistra formavansi delle casette con tutte le comodità per gli ospiti, ivi. EFFETTO ( effectus ) parola d'arte buon aspetto, bella comparsa. II. 10. N. t. EFESO, città tra Smirne e Mileto, da' Turchi detta Tigena. IV. 8. N. 1. EGESIA, scrisse delle cose rustiche. VIII. 58. N. 1. EGITTO, ha delle cave di marmi ora abbandonate. IL G. VII. i5o.; dà i più bei porfidi. i5i. •- Regione in ogni tempo celebre. I moderni la vogliono superiore alla Grecia. Oggi gli abitanti indigeni si chiamano kobthi. Si divide in Egitto proprio, Libia egizia, ed Arabia Egizia. Vili. 35. N. 3. ELEMENTI. Vedi Principj. ELLA, scultore Ateniese di merito ma non di fama. IH 4. ELIANO, chiama dittero il portico all'uscita della palestra. V. 85. N 1. ELIO Sparziano. V. II. N. I. ELLIO Gallo, spiega vestibolo per luogo aperto dinnanzi la porta della Casa. VI. G. I. 92. EL1UTRAPEZA in Etiopia, ha non molto lunge un lago di acque oleose Vili. 35. N. 4 EMBATE, ingresso. I. 60. N. 2. embolo, dal greco è un conio o qualunque altra cosa che s'introduce in 1111 foro. X. £2. e N. 2. EMISFERO, cioè forma sferica, tetto a cupola. V. 81. N. 3. EMPLECTON, maniera di murare a riempitura, cioè a cassa. II. 45- e N. !.; usando di questa maniera si dovrebbe di tratto in tratto legar le fronti con buone pietre da taglio, o con ramponi di ferro, ivi. ENCLIMA significa lo stesso di clima. IX. 59. Nota 5. ENG1BATA significa una cosa che si avvicina. Erano macchine idrauliche in cui si movevano delle figurine. X. 5a. e N. 3. ENGONALO sorta d'orologio, del quale non si Be prehbe immaginare la forma, ancorché se ne facesse derivar la voce da engonatizin, inginocchiarsi. JX. 61. N. z. ENNIO, Poeta. IX. 18. ENTASI, gonfiezza della colonna. III. 44 N. 1. Nelle; colonne greche non si riscontra sensibile. Ili G. IV. 1 a:.. EOL1PILA, ossia porta di Eolo, globo di vetro, o di metallo che termina in uno strettissimo Collo. I. g3. N. 1. El'I li ati I li\, era un'antica macchina militare. X. 85\
EPICA11MO riteneva l'aere, il fuoco, l'acqua e 1* terra per principi delle cose. Vili. 5. EPICURO. II. 16. VII. 5. EPIDAURO. Presso questa città eravi un teatro, ali» costruzione del quale vi presiedette Policleto, ed al quale in quanto all'arte, ed alla convenienza e bellezza delle parli nessuno può contrastare la palma. V. 56. N. 2. EPISCENIO, terzo ordine sopra la scena. V. 5o. N. t. EPISTOMIO, turacciolo di legno, qual' è il cocchiume . della botte. IX. 68. e N. 3. EPIZIGE, assicello o piccolo conio nelle Baliste che volge attorno i nervi e le tende. X. 72. Nota 2. EQUATORE. Piano che si suppone passare pel centro della terra in direzione parallela al moto diurno degli astri. IX. G. IH i25. EQUICOLI, popoli del Lazio; aveano un'acqua che produceva il gozzo. Vili. Sa. ERACLITO Efesio, chiamato Scotinos per 1'osculili degli scritti, ritenne esser il fuoco principio delle cose. II. 16. G. n. 88 e Vili. 3. erario, da congmngersi al Foro; luogo ove si conservava l'oro della Repubblica; in Roma era nel tempio di Saturno. •- Si dice Fisco quando serve pel principe; e moneta il luogo in cui si coniano le monete. V. 22. e N. 3. ERATOSTENE Cireneo; scrisse dell'Architettura. L 55. N. 5. Suo calcolo sul giro dell'orbe della terra. I. 102. Modo da lui usato per detto calcolo, ivi N. 2. Inventò il Mesolabio, stromento da trovar le due medie proporzionali. IX. 16. e Nota. ercole di Glicoae, ossia Farnesiano, sue proporzioni. III. 7. N. 4. ERETRIA. Portico che dava ingresso al foro nuovo di Atene. D' online dorico troppo ingentilito. IV. G. L gg. EKIDANO, costellazione formata da una serie di stelle terziarie e quartane in linea serpeggiante, che principia all'angolo inferiore occidentale del quadrilatero d'Orione, e termina sotto all' orizzonte in una bella stella primaria. IX. G. H. 119. ERISITTONE figlio di Cecrope. IV. G. I. 94. ERISME, speroni contrafforti. VI, 65- X. 12. Nota 1. ER1TRA, citta della Caria fra Clazomene e Teo, celebre per la Sibilla Eritrea. IV. 9. N. 1. ERMOGENE Alabandeo Architetto; edificò il tempio di Diana in Magnesia. III. ai.; inventore della forma pseudodiptera e delle simmetrie notate da Vitruvio. ivi 56. Avenr do apparecchiati i marmi per un tempio dorico a Bacco, colla stessa materia lo fece Jonico perchè quest' ordine offre le simmetrie più agevoli e più eleganti. IV. 27. Aveva scritto del suo tempio di Diana. VII. i5. ERMOLAO, VI. 44. N. 1. ERODE Attico, fece coprire un teatro di cedro. V. G. V. i5a. ERONE Alessandrino, fece un trattato sulT aria, X, G. II, i43. ERÓFILO, dispone la cognizione dei polsi secondo i numeri musici. I. 53. N. 1. ERDGO. Oggi verderame; preparazione di ossido di rame con l'acido acetico mediante racimoli di uva con la vinaccia alternati con lamine di rame, su cui dopo qualche giorno si sparge della nuova vinaccia; ed anche con aceto e lamine di rame. VII. G. HI. 121.; verderame si usa specialmente pel nero dei cappellaj, e nella pittura ad olio. 133. ESAGGERARE, dal latino exaggerare, in veneziano inarzerare: aggiungere o accrescere lo stato naturale delle cose. IL i3 e N. i. ESASTILO, di sei colonne. III. 54 ESSEDRE, doveano esser di grande ampiezza. Nelle case private erano camere di conversazione, di udienza, di studj. VI. 38. Nota t. ESCHARA, base della testuggine. X. 83. ESSEURE, doveano essere di grande ampiezza. Nelle case private erano camere di conversazione, di udienza, di studj. VI. 38. Nota 1.
ESCHILO insegnava la tragedia in Atene. Fu il primo a portar sulla scena macchine, sepolcri, are, spettri, furie. VII. Nota 1. ETERE, da due voci greche equivalenti a sempre crescente, o sempre riscaldante. IX. 21. Nota 3. EDCRATE, Poeta comico. VI. 4 EDDEMONE lasciò discipline sul corso delle stelle, e sulle stagioni. la, 5i. EODOSSO, dall' astrologia ritrovò il corso delle stelle, e le vicende delle stagioni. IX. St.; per gli orologi solari inventò 1' aracue, un certo che simile alla tela del ragno, ivi 60. e Nota 2. EUFRANORE, architetto che scrisse delle simmetrie. VII. ,9. EUFRATE, fiume che scende dai monti dell' Armenia maggiore, divide l' Armeni* in due parti, separa la Soria. e l'Arabia dalla Mesopotamia, e si unisce al Tigri. VHL 20. Piota. ELJGRAFIO, ricorda che tutti i Romani solevano sacrificare quotidianamente nel loro atrio o vestibolo. VI. G. I. 80. EURECA, HO TROVATO: esclamazione di Archimede scoprendo la frode dell'appaltatore, il quale sottratto dell' oro aveva sostituito egual peso d'argento nella corona fatta fabbricare dal re Jcrone. EURIPIDE riteneva essere l'aria, e la terra i prìncipi di tutte le cose. V1U. 4- Si era dedicato alla filosofia, ma si volse alla poesia spaventato dalle persecuzioni del maestro Anassagora, e compose gì. tragedie, delle quali Sole 19. giunsero a noi. ivi nella Nota. EURIPO, canale artefatto. V. 87. N r. EURITMIA: bella proporzione delle parti. I. 56. Nola 1. -- 60. EURO, 4°- vento della torre di Atene. Del sud-est, che porta ad Atene un tempo oscuro con molta pioggia. Vecchio pensieroso e molto avviluppato nel suo mantello. I. 95. N. ,. EUSTILO, colonnato grazioso. IH. 34- N. 1. 3.-37. li. i---3g. N. 1. Esempio. Tav. 19- 20. EUTITONE: erano macchine degli antichi da scagliar dardi. X. G. III. J64. F FABBRICA, arte di ben eseguire un edifizio. I.07. Nota. Fabbriche cementizie, costruzioni di malta e pietre o mattoni ridotti in pezzi. Il A. e ^. S. FAGGIO ( fagus sylv.itica), in veneziano fugherò. Si usa nei mobili e per remi da navigazione, ma poco nei lavori di architettura. H. 65. N. 3. FAIJS' ACACIA (Rabìnia pseudo acacia). Albero della Virginia; giallo, venato, lucente, duro. Serve bene ai tornitori, e se lo si preservasse dallo squarciarsi sarebbe 8Sutile all'architettura. JI. G. IX. i85. FARACE EFESIO, scultore non celebre benché di merito. III. 4 FASCINE, loro uso. IL G. IX. 188. fasi, fiume che nasce dai monti Caucaso!, e lenta- mente passando per la Colchide, oggi Georgia, va nel mar nero. VIII. lo. Nota. FASTIGIO, membro della fabbrica che sostiene il tetto. Varierà la sua altezza a seconda dei climi, cioè del bisogno di maggiore o minor declivio nei tetti. HI. G. IV. i3?, FAVONIO, vento di primavera, spira quando il sole dall' Acquario entra nei Pesci. IX. ^o. femmine, quando son gravide non tenute per sane pel motivo che menano una vita oziosa, e sedentaria. II, 58. e N. 1. FERENTO, citta della Toscana cinque miglia distante da Viterbo; pare che in que' dintorni fossero le Petraje Aniziunc; suoi monumenti antichi che si conservavano come di recente fatti. II. 3?. N. 1. FILEO descrisse il tempio Jonico di Minerva in Pricne. VII. 14. FIDIA, scultore celebre. III. 4
FILIPPO antico filosofo, scrisse degli astri, e delle Stagioni. IX. i5. FILOLAO, matematico Tarentino. I. 55. FILOSOFIA, nobilita l'animo ed arrichisce la mente dell' architetto. I. 44' FIRO architetto greco, scrisse delle macchine. VII. 30. FITEO e Satiro scrissero del Mausoleo. VII. J5. FIUMI, per lo più scaturiscono a settentrione. VIII. 19. 25. Il fiume delle Amazzoni dalle Cordilliere attraversandone il paese dall'ovest all'est corre più di 3ooo. miglia geografiche fino all' Oceano atlantico, in cui si getta con larghissimo sbocco. Vili. 23. Nota. Fiumi e Fonti che dispongono le pecore alla concezione, e che influiscono sul colore delle pecore, e degli armenti. VIII, 47 FLUORE, sostanza bruna, che forma la base dell' acido fluorico. H. G. IL N. 2. FOCEA, città della Caria all'imboccatura dell' Ermo. Secondo Erodoto e Strabone fu abbandonata dai suoi abitanti, che si portarono a fondare Marsiglia. IV. 9. Nota 2. FOLGORE, è una scarica di fluido elettrico da una nube, che ne abbonda. Il. G. II. 92. FONDAMENTA di regole più larghe delle pareti. I. 84. sieno sul fondo. I. G. II, 124. precauzioni per fondare sopra terreni di alluvioni, ivi 129.; per garantirle nelle torbe mi eseguirle nell'acqua, ivi I3I.; si erigano a scarpa. I. G. II. iSa.j *la loro sodezza di nuovo raccomandata. III, 45; operazioni per ottenerla. 46. FONTI GALDI, percliè sotterra dall' allume o dal bitume o dal solfo si eccita il fuoco, dai quali scaturisce acqua di ottimo sapore. VIII. bi. e seguenti. FONTI FREDDI di odore e sapore non buono, i quali passando per luoghi ardenti indi scorrendo lungo tratto si raffreddano. Vili. 28.; contuttoché freddi sembrano bollire, ivi 29. Fonti solforici ristorano le debolezze dei nervi, gli alluminosi refici.mo le membra estenuate dalla paralisi o da altri morbi. I bituminosi purgano. 1 nitrosi giovano nei tumori. 3i. 32. 1 Fonti delle miniere metalli, he per lo più sono malsani. ivi. Fonte che ubbriaca in Patagonia. VIII. 52. e N. 1. Fonti che ingenerano egregie voci come a Tarso in Magnesia, ivi 54 e N. 2. FORO, si farà vicino al porto nelle città marittime, e nel mezzo della città se mediterranee. I 108 I Greci li facevano quadrati. V. 7. I Romani distribuivano più larghi gì' iotercolunnj. Sue proporzioni. 8. 9. Il foro non era la piazza di oggidì. Vi erano bensì alcune piazze così appellate, ma colf aggiunto dell'uso loro, come foro dei pesci, dei grani. V. G. I. 97. Foro degli Elei descritto da Pausania. 98. 99. Fra i lòri greci che avevano portici si contavano quelli di Fare, di Argo, dei Trezeni, di Sparta, di Gnido, di Priene. ivi. Diversità tra i fori greci e gl'italiani; questi erano oblunghi, ed avevano spazio molto più esteso, servivano per sino ai commercianti di borsa, ioo. Vedasi Tav. IV. fig. 1. un esempio di un foro antico eh'è quello di Pompei. 102. FORO di Giulio, oggi detta* Frejus nella Gallia Narbonese. V. i3 Nota. FORTEZZE, sieno curvilinee. I. 85., loro origine. L G. II. i34; sistema degli arnioni nell'erigerle. L G. Ili, i35; nuovo sistema, ivi 146. FRASSINO, legno duro, forte, elastico; pietre il color rosso a segno da potersi sostituire al mogano: del fusto si fanno stanghe da carrozze; e li nodi, il collare e la radici vengono ricercate per le intarsiature; va soggetto ai tarli. It. 63. N. 2. FREGIO, o Zoforo, membro architettonica tra l'architrave, e la cornice. III, 67. N. 2; in tutti i tempi greci il fregio è poco meno alto dell'architrave. Fregio liscio del tempio di Bacco a Teo, fregio formato di bassorilievi del piccolo tempio sull' Ilisso 111. G. IV. i3i. FRIGI, escavavano de' tumuli naturali per abitarvi; li. 12. e N. 1.' c FTONGHI. Suoni. AristoSseno li definisce così: il> fton> go è una voce melliflua, che ha una costante cadenza. V. 32. N. 2.; in ciascun genere sono diciotto:-otto peipetut o permanenti, gli altri dieci sono vaganti allorché eomur «mente si modulano. Li permanenti si chiamano: i". proslarabanomeoo, cioè aggiunto; 3". ipate-ipato, primo dei primi; 3° ipate-meso, primo dei mezzani; 4°- mese, mezzano; 5°. nete-sinemmeno, ultimo dei congiunti; 6". paramene, presso il mezzano; r'. nete-diezengmeno, ultimo dei disgunti; 8". nete-iperboleo ultimo degli eccellenti. V. 33. e Nota a. I mobili: So. peripate-ipato, vicino al primo dei primi; V'. licano-ipato, indice dei primi; 3°. peripate-meso, Ticino al primo dei mezzi; 4°- licano-meso, indice dei mezzi; 5°. trite-sinemmeno, terzo dei
congiunti; 6°. paranetesinemmeno, presso l'ultimo dei congiunti; P. trite-diezengmeno, terzo dei disgiunti; 8*. paranete-diezengmeno, presso l'ultimo dei disgiunti; go trite-iperboleo, terzo degli eccellenti; io°. jaraneteiperboleo, presso all' ultimo degli eccellenti. V. 04. e Nota 1. FUCILE ordinario, ba una canna lunga met. 1. 137.' X. G. III. 189. I più piccoli si chiamano moschetti, usati dai cacciatori, dagli ussari, e dai cavalleggieri. ivi 190. Tavola del loro calibro, e della loro lunghezza, ivi. FUOCO, secondo Vitruvio prima occasione alla umana società. II- 9. Riflessioni sopra il fuoco, dietro le quali si scorge erroneo il pensamento di- Vitruvio. II, G. 1. 83. Gli antichi chiamavano fuoco quel principio che ci desti» le sensazioni del caldo, e della visione; indi si distinse il calorico dal principio lumico, considerati siccome due fluidi di varia natura sottilissimi, elastici, imponderabili. IL G. H. 91. alla classe degl' imponderabili appartiene anche il magnetismo, e 1' elettricità, ivi 93. FUSS1ZI0, architetto, il primo "che scrisse tra i romani cose dell' arte. VII. 20. FUSTI delle colonne di maniera jonica usati dai Greci, e secondo Vitruvio alti 8. diametri e mezzo. I moderni li formarono di nove diametri, e talvolta più. Scamozzi ve ne assegnò 8. 3/2f- Li Greci scannellavano queste colonne. Tav. XXXI. 123. Si eseguiscono le scanuallaturo nei fusti dopo posti in opera. 124. G GANGE, fiume che nasce dal Caucaso, divide l'India, riceve i fiumi Randa, Perielio, Lemena, Tzietza ed altri, sbocca nel golfo di Bengala. viii. 19- N. 3. GEMELLI, all'est del Toro rappresentanti un parallelogrammo, tre angoli del quale vengono segnati da tre stelle vivissime. (Tav. IV. e Tav. III. J IX. G. H. liti. GEMINO. V- 43. GENETLIOLOGIA, scienza de' vaticini, ora direte besi leggere il pianeta. IX. 5o. e N. a. GEODESIA, misurazione dei campi. I. 66. N. 2. Id questo senso viene ad essere la geometria pratica; parte integrante della Geografia. IX. G. HI. i5l. GEOMETRIA, sussidia molto l'architettura. I. 5g. . GESSO, o pietra da intonachi, è il solfato di calce 6 Selenite, combinazione di ealce, acido solforico ed acqua nella proporzione dei Numeri òz. 46. 22, di tre specie. i°« Solfato di calce calcarifero, o gesso comune. H. G V. nS. a". solfato di calce cristallizzate, volgarmente scagliola. M. Calce anidro-solfata, od anidrite, comunemente gesso alabastrino* ivi ng. 120.; in architettura si fa uso di gesso; precauzione nel cuocerlo; non si ha da cuocere l'alabastrino per sua natura privo d' acqua, ma non si lasci esposto perchè assorbendo l' acqua si altererebbe formando la Varietà solfato di calce epigenio. II. G. V. 120. GHIAJA, in veneto ghiara, i friulani diconoglerie più prossimi al latino glarea. II. 25. N. 3. GIARDINI. Loro divisioni. VI G. HI. 121. Simmetrici ed a paesaggio. I primi sono parti dell' iiumnginazione^ i secondi copie della natura. VI. G. HI. 124. Gli irregolari si chiamano inglesi e cinesi, Semplicità di quelli di Alcinoo. I Romani li usavano simmetrici, ivi. Descrizione della parte terribile di un giardino cinese, ivi Nota 1. Vera origine dei giardini irregolari. VI. G. HI. 127.; la di cui arte consiste in riunire sopra un' area mediocre tutte le bellezze più gradite, che la natura ha disseminate, in modo che sembri combinazione naturale. 129 L' acqua forma l'anima del giardino. Bisogna secondare la natura del luogo, ivi., le qualità del terreno. i5o; del clima, e delle piante. i3l. La scélta di fabbriche bene adattate accresce il pittorico, e l'interesse del passeggio. i3g. Nel giardino simmetrico poi l'abitazione forma l'oggetto principale, ivi. Una casa gotica, una caga rustica, una casa campestre, un molino e simili accidenti giudiziosamente! disposti produrranno sempre grand'effetto. 1 io. Sarà anche1 proprio d'incontrare le ruiné di un edifizio indole gli avanzi di un convento gotico, ivi. Una Pagoda Cinese, un tempio Egizio, con palmeti e banani, ed altre piante di quei paesi. 141 ■ Cosi gli obelischi, le piccole piramidi, qualche statua isolata, padiglioni, rotonde, lanterne et. l4?. GINECONITIS, luoghi delle donne dal greco gine donna. VI. 58. Nota G. GINEPRO tjuniperus communi*), ne' nostri boschi appena cresce tanto da farne pali, che sono buonissimi, il 70. N. 2. giorni brumali, di bruma, dalla voce breve, quando il Sole è io Capricorno, IX. 4°- Bugi' Indiani, Siamesi, Tartari, Persiani, Caldei, ed Egizj, si divideva il giorno iu 60. parti; in sole otto lo dividevano i Romani. IX. G. HI. 128.
GIOVE, il più grande di tutti i pianeti > il suo volume ha con quello della terra il rapporto di 11S0. 9 ad Uno. La sua distanza dal Sole arriva a n536^. semidiametri terrestri. La sua orbita è inclinata all' eclitica poco più d'un grado, e viene da esso percorsa in dodici anni circa; la sua rotazione è di quasi dieci ore. Presenta uno schiacciamento ai suoi poli molto sensibile. IX. G. II. io3« Ha quattro satelliti, ivi io£. io5. GIRAFFA, costellazione boreale di alcune stelle, poco sensibile. IX. G. IL 120. GIROMAGNY, vallata le cui montagne danno Breccia dure. II. G. VII. i46. GIULIO CESARE nell'assedio di Burges cinse 1'accampamento di torri che distavano 80. piedi fra loro. l> 66. N. 1. GIUOCHI Olimpici, Inti, Istmj, Nemei, in onore di Giove, di Apollo, di l'alemone, e di Archimoro. IX. 3. Mola. GIURISPRUDENZA, l'architetto deve conoscerla. 1.M. GIVET, suo marmo rosso, lumachello. II. G. VII. i4gN gnomone, ago degli orologi a sole, la cui ombra che indica l'ora, varia con la latitudine, è nulla sotto P equatore, eguale allo stilo a 45°. e più lunga ad una latitudine maggiore. IX. ao. e Nota i. Norma Vitruviann per questi orologi. IX. 55. e per la figura relativa, ivi Nota I. GNOMONICA, arte degli orologi solari. I. 66. N. u Vedi Orologio solare. GOCCIE, ornamenti dell'ordine dorico; si distribui- scano a perpendicolo dei trìglifi. IV. Z"]. 4? GOCCIOLATOJO, parte della'cornice che sta sotto la gola rovescia. IV. 36. 37. GOLA-DRITTA: questa ed il cavetto servono a dar/ finimento, ed a coprire gli altri membri architettonici. III. G. HI. 102.; regola da eseguirla. Tav. XXV. fig. 7. 8. ivi 109. GOLA-ROVESCIA, tranne la posizione di due centri, si descrive come la gola-dritta. Tav. XXV. fig. 9. ivi log. GONARCA, orologio di più piani uniti ad angolo. IX. 61. Nota t GOTICA, maniera singolare di architettura che non manca delle sue bellezze. Le colonne sono esili mai rastremate, di altezza arbitraria, percorrenti senza interruzione a disegnare il sesto della vòlta; le une dirette a sostenere in fatto o in apparenza poco peso, le altre veri fulcri. Le prime sono o cilindriche, o poligone, o fingenti due o tre esili tronchi attortigliati. Per basi hanno larghi zoccoli, o plinti, ed un toro lavorato a fiori, o che finge la zampa d'un animale o altro capriccio. Cosi pure il capitello per lo più massiccio rappresenta qualche ammasso di fogliami, frutti, fiori o altra tal cosa. Le altre che isolate realmente sostengono peso, si allontanano meno dalla maniera romana. La loro base non ha forma certa. Il capitello è singolare per le dimensioni e pei lavori. Bene spesso vi manca 1' architrave, il fregio, la cornice, mentre gli archi immediatamente s'impostano sopra della colonna; il sesto di questi è per lo più acuto. Tali fabbriche sono assodate da molti controfforti nel mentre che per le immense finestre e pel gran numero delle piccole, per le merlature, intagli, trafori, di allontana ogni apparenza di massiccio. IV. G. V. w. Le vòlte gittate con molto ardire sono leggiere. 139. Palazzo ducale di Venezia. so. L' architettura gotica anteriore cominciò, sul cadere del secolo ottavo, ed ebbe fine verso la metà del decimoterzo. La moderna o posteriore, che ha l'uso costante del sesto acuto, non terminò prima del secolo XVI; ma in Italia trovò minor accoglienza. i43. i44- Prese tal nome non ■perchè i Goti ne sieno stati gì' inventori, ma perchè i popoli del mezzodì chiamavano gotico tutto ciò che aveva origine dalle nazioni settentrionali. t47 GOZZO, difetto comune degli abitanti delle nostre Alpi settentrionali, e se ne attribuisce la cagione a quelle acque. Vili. 5a. Nota 3. GRADI, nella fronte dei Tempi si facciano di numero dispari. III. 49-; nè più di dieci, nè meno di nove dita la loro grossezza; il loro piano nè meno di un piede e mezzo, nè più di due piedi. M. 5o. I gradini greci aiei tempj erano ancora più alti, ivi N. 1. GRADINI, dove si sta a sedere negli spettacoli non sieno meno alti di un palmo ed un piede, nè più di un piede e sei dita, larghi non più di due piedi e mezzo, nè meno di due piedi. V. 4^. GRANATA, è una piccola palla vuota che si riempie di polvere e si slancia con mano, o si fa rotolare dai bastioni. X. G. III. 188. GRANITO, è una roccia composta di feldispato, quarzo, e mica confusamente cristallizzati; sembra essere la roccia più antica, formando la parte interna del Globo. Il vero granito è rarissimo. Quello di Egitto, o granito
orientale, risulta di quarzo bianco quasi diafano, e di grandi cristalli irregolari di feldispato rosso, e di un pò di mica nericcia. Si traeva da montagne 48o. miglia circa al Niid del Cairo; nei Vosgcs se ne trova che la cede di poco all' egizio verde antico, composto di quarzo verde, e di cristalli. — Granito d' Ingria, è rossiccio durissimo, e riceve un bellissimo pulimento. — Granito di Corsica, è seminalo di piccioli globi formati da diversi strati concentrici. i53- Granito grafico. I suoi elementi sono distinti gli uni dagli altri. La Corsica, la Svezia, e la Siberia ne somministrano. J54 GRATICCI, tessuti di canne, tuttora usati, pericolosi regi' incendj. IL 56. GRU. Macchina che serve ad innalzar pesi trasportandoli a piccola distanza dal punto da cui si sono innalzati. Fig. 7. Tav. V. Le sue parti principali sono: la volata; il monaco verticale; la base; la ruota col tornio che V attraversa, ed il becco. X. G. II. 140. GRUMI, usato anche nei dialetti veneti per cose raccolte in mucchio piuttosto grande. Vili. ag. Nota 3. GUHR Voce tedesca indicante le minutissime particelle terreo-metalliche che si riguardano come generatrici dei metalli. VII. G. m. 117. N. 1. H HALURGUS, purpureo nereggiante. VII. G. IV. i45. l'iota 2. HARPAGINETULI STRIATI. Arricciamenti di volute, e di fogliami. Per ischerno a Venezia si dice a quello che li usa negli ornati pittore da insalata, barocco. VII. 52. Nota 1 HIMALAGA, al Tibet montagna il cui i4°. pico è la Sommità più elevata del nostro globo, che giunge a poco più di 4- miglia. IX. G II. Nota 1. pag. 97. HORREUM, il nostro granaio in generale, e granarìum ove si conservavano i grani per seminare. Vi. 47Nota 3. I Indostan, ha bei marmi. II. G VII. iSo. IPOTRACHELIO Veramente vuol dire collo; e per traslato la parte superiore della colonna. Norme per diminuirlo. III. 43. ICNEUMONE, voce greca che significa animale intento alla sua preda. Gli Egizi lo chiamano nems. È una delle otto specie che forma il genere di mammiferi, carnivori digitigradi. Assomiglia al martora, si distingua per flTSVriO IltBICM 4 altro per una borsa presso 1' ano, per l'acutezza del muso, e per la lunghezza della coda, cb' è quanto quella del. corpo; il suo colore è fulvo castagno, il muso e le zampe di un nero e Castagno cupo. Il suo cibo ordinario sono i ratti, ogni specie di rettili, le uova e gli uccelli. Siccome distrugge una quantità grande di uova di cocodrilii veniva adorato dagli antichi Egiziani. È timido, circospetto; pure si arriva a domesticarlo. Vili. G. II. 125. e seguenti. Vedi fig. I. Tav. Vili. ICNOGRAFIA, pianta. I. 58. N. i. IDRA, costellazione lunga che occupa la quarta parte dell' orizzonte. La sua testa è a sinistra di Procione, e sotto del Cancro. Il suo cuore è una primaria. IX. G. II. i ig. IDRODINAMICA, tratta del moto dei fluidi. X. G. I. IDROGENE, non ha sapore nè odore; è il più leggero di tutti i gas, è inetto alla respirazione, ed alla combustione, e brucia al contatto del gas ossigeno. IL G. II, 94. N. a. IDROSTATICA, parte dell'idraulica che tratta dell'equilibrio dei fluidi. X. G. I. ti6. JERAPOLI in Frigia, dai Turchi detta Seidescheher, 12. miglia da Tripoli: presso di essa vi è l'antro Plutonio, che si credeva la bocca d' Averno; manda aliti pestiferi, e getta acque calde che si convertono in tufo saldissimo. VIII. 38. Nota a.; colà si trovarono gli avanzi dell'antica palestra, di cui la lig 4- Tav. VII. Lib. V. ivi. IMBONIMENTO, vocabolo veneto, in italiano murare a cassa, ingrossare con minutaglie. IL 4>- N. I. IMERA, fiume della Sicilia: si divide in due, quel ramo che va verso l' Etna riesce dolce, 1' altro salato perchè corre pel terreno dal quale si cava il sale. Vili. 54
IMPAGI, membri orizzontali delle porte. IV. 67. Nota. La sua larghezza sia una terza parte del riquadro; e la sua cimasa una terza parte dell' impage stessa. P. INCENSO, è il thus olibanum, sostanza resinosa di un odore aromatico gratissimo; proviene da un albero delle Indie VIII. 4a. N. 5. INCERTO, muro formato con pietre irregolari poste le une sovra le altre, e riempiuto nell'interno con minutaglie. IL 39 N. a. INCHIODARE un cannone, significa cacciar a forza un chiodo nel focone perchè nou possa più servire. X. G. HI. i83. INDACO. Si traeva dalla spumi di certi arboscelli dell' India, ed anche da quella dei vasi, nei quali si faceva bollire la tintura per la porpora. VH. 70. e N. 5. Era dagli antichi imitato colla creta selinusia, o coli' anuìaria, o col vetro detto yalon. 77. Sostanza di colore bleil che serve ai timori ed ai pittori a guazzo, proveniente1 da una pianta detta indigofera simile alla Galega. Vili D. III- 117. indigena del Madagascar, del Mala bar, e dell'Isola di Francia. Nell'Egitto, nell'Arabia, e sulle coste della Barbarla cresce la specie glauca; nell'Indie la hirsuU e la trita le quali pure servono a formar 1' indaco. 118. Così la specie anil nelle colonie d'America ed alle Antille la quale forma colà il miglior ramo di coltivazicF ne. ivi. INDO, fiume. Nasce nella Cassimera verso la Tartaria, si scarica nel golfo di Bengala fra il regno di Guzarat e i confini della Persia. Vili. 19 Nota 3. INGINOCCHIATO, cioè Ercole, costellazione raffigurata in atto di premere col piede la testa del drago; ossia di quel Serpente eh'è fra l'Orse, verso le quali si piega il Delfino. IX. 44- e nota 3. Forma un trapezio di quattro terziarie superiore all' Oiiuco. ivi G. II. 116. 1NTEUPELLAZIONE. Interrompimenlo con discorsi importuni. VI. 59 Nota 1. INTERPENSIVI. Fulcri alle travi su quali nppog* giano gli stillicidi. VI. 23. Nola 1. INTONACHI sui graticci. Dopo incretata la parete si affigga una seconda serie di canne, e si dia creta di nuovo, e si prosegua con l'arenato e col marmorino. Vedi Pareti. VII. 47- f er l' intonaco si pestano i minuzzoli di marmo) si cribrano, e si adopra prima la parte più grossa, e poi la più minuta; indi si leviga con diligenza. VII- 61. INTONACATORI greci, facevano da buon numero d' uomini sbattere con istangbe di legno nel mortaio la calce mescolata all' arena. VII. 46. IONE, figlio di Xuto, e di Creusa, da Vitruvio credulo inventore dell'ordine Jonico. HI. G. IV. u4 JONICO, ordine: gli antichi lo impiegavano giudiziosamente nei tempi delle divinità simboleggianti virtù temperate, iti. G. IV. di quattro classi, cioè: dell'Asia minore, greco, romano, e moderno. 118.i molti edifici di quest' ordine in Homa antica, ivi. Esempio del jonico romano. Tav. XXXI. 119 ; perfezionato dai moderni, fra quali si distinse lo Scamozzi. Tav. XXX. Fig. X. ivi no.; la sua colonna prima di otto, in seguito di nove diametri compresa base e capitello. Proporzione tratta secondo Vitruvio dalla gracilità femminile, come dagli ornamenti femminili ne dedussero gli ornati del capitello, li cavaletti del fusto. IV. 11. e 12. JOPPE, ora Jaffa nella Siria, città antediluviana, l. piùt antica del mondo; ha dei laghi i quali gettano molto bitume. Vili. 37. e Nota 3. Il-ANI ora Bog, fiume che nasce nella Podolia e s* scarica nel mar nero al sud del Boriitene- Vili ao. Nota. Un altro fiume di questo nome è nel Ponto. Vili. 5g. N 3. D'ARCO, scrisse degli astri, e delle stagioni. IX. 5i. 1PPOCRATE di Coo, conserva ancora il primo seggio fra i medici. I. 5». N. 4 1;TOiJAVIO, fece l'aggiunta alla città di Atene verso il Pireo, e diresse la nuova città dei Rodiani. I. 10\. N. 1. IPPODROMO. Luogo dove si esercitano i cavalli. V. 1 99 IPPOPOTAMO, veniva dall'egiziana antichità venerato; è quasi grande come uu Rinoceronte, a cui non cede per forza uè per armi naturali. In lingua greca suona cavallo di fiume, ma rassomiglia al Cinghiale. Vili. G li- i3t. Forma un genere particolare di mammiferi ungulati, pachidermi a dita pari. È frugivoro, stupido come i miei; appartiene all'Africa, vive sulle sponde dei fiumi; è vi- viparo. Anche appena nati hanno una forza singolare, e tendono a gettarsi nell'acqua. Nuotano con grande celerità, ma camminano gravemente. Giungono sino alla
lunghezza di i5. piedi, ed ai 7. di altezza Fig 3- Tav Vili. Di natura è timido, ma irritato diventa furioso, e si batte fino all'ultimo sangue, ivi. m... l'esplosione delle armi da fuoco li allontanarono dal basso Egitto, e perciò ora sembrano confinati nei deserti dell' alto Egitto, nell' Etiopia, a Mozambico, sulle coste d'Angola, al Capo di Buona Speranza, e negl'iuterni deserti dell'Africa, ivi i3j. IPOCAUSI, è il luogo ove si accende il fuoco per riscaldare. Ipocausto 1' insieme della stanza riscaldata Y. ^2. N. a. ipogei, o concamerazioni. Sotterranei a vòlta come le cantine. VI 6a. Abbisognano di fondamenta più grosse delle mura da erigersi sopra Le pareti i pilastri e le colonne vadino a perpendicolo delle strutture inferiori, ivi. Attenzioni per ben solidarle. VI 63 e seguenti. ISGINO. Non si sa cosa precisamente fosse scnonsi una sostanza colorante; chi la vuole purpurea, chi gialla, altri cerulea, altri rossa. Galiani la crede il verzino. Ortis la vuole bacche di un ligustro all' esterno negre, entro rosse. VII. 76. Nota 1. ISMUC, castello nell' Africa, la cui terra è mortifera ai serpenti anche trasportandola altrove. Ora non si conosce. Vili 54. Nota 4. ISODOMA, costruzione dei Greci, in cui tutti i corsi" delle pietre sono di eguale grossezza. II, 4»- Nola. ITALIA, contiene masse di Basalte d'drìgidé Vulcanica. II. G. VII. 15^. In Italia in grazia del clima contemperato nascono genti pei membri del corpo, e per la vigoria degli animi valorosissime. VI ij ITTINO, e Carpione aveano descritte le simmetrie del tempio Dorico di Minerva sulla rocca di Atene. VII; *4Ittiuo oltre il Partenone eresse un tempio ad Apollo lipicurio sul monte Colilo presso Figalia; visse ai tempi di Pericle, ivi nota x. K KALCANTON, nero di vitriolo per tingere il legno. VII. G. III. ia7. L LABIRINTO, ora poco in uso. Vi. G. Ili i33. Qualora si voglia «ollocarlo nel giardino, bisogna avvertire di facilitarne l' uscita. i34 LABBKO, o Soglio. Fase mobile di metallo, di legno, o di marmo che si collocava sul pavimento, ove si taceva il bagno, V. 79. Nota. LACONICO. Stufa, cosi detta perchè l'Usavano gli Spartani. Comunicava col sudatorio, e Col bagno caldo» ,V. 79. Nota. LACOTOMO, linea che taglia ttna parte del mere diano negli orologi solari) proviene dal greco lachis pezzo di qualunque cosa, e lomno secare. IX. 58 Nota a. LAGHI e fiumi salati. VII» 35. Laghi e fonti bilarninosi perchè erompono da miniere di bitume. VIII. 37* Laghi che investono gli oggetti di una crosta pietrosa. VIII 38. Nota 1. LAGO di Mefi in Egitto, opera degli uomini. VI. G. III, i36. LALICMIO, luogo del ginnasio ove si recitavano1 discorsi estemporanei, ed ogni sorta di scritti. V. G. V*. i65/ LAMPIÓNI, riescono a scapito della teatrale illusione. V. G. V. J54- Idea di coprire la Sala con una vòlta Pi vabolica intonacata a mormorino da riflettere la luce di un numero di lumi collocati nel foco di quella paraboloi-' de, chiudendo la base con una tela a colori trasparenti, per cui passar dovesse la luce riflessa, ivi l54- itò. LAMPO, è la comparsa della luce per la isiantune» ^esplosione del folgore. II. G. IL 9». LAODICEA, città. V. G. V. i4o. LAPILLI, il tufo di Vitruvio, ed il Tarras, del quale si costruirono le dighe Olandesi; sono della natura della pozzolana. IL G. VI. IQ6. LAPIS - LAZDLI, Pietra dura di un azzurro carico con qualche vena o punta di giallo lucente. Opaca, di tessitura compatta, a grani fini, e talvolta lamellare L'orientale è più pregiato dell'europeo. IL G. VII. i56. Viene contraffatta in modo che l'arte in ciò ha superata la natura. i5r. LARICE (Pinus lari*), albero grandissimo, grosso ed alquanto pingue; ha le vene distese .e dure; riesce
mirabilmente per le travamenti, pei coperti, per le porte, e finestre; ha un rosso melato, e resiste ai tarli, ed alla vecchiaia, cosi nell'aria, come nell'acqua. Abbonda nelle montagne venete, nel Ttentino, nella Valcamonica, ed anche oltramontc. II. 71. V 1. Il suo nome deriva da Larigno castello fahhricato di quel legno. Il. 73. LARISSEO, ci lasciò l'idea della linea del taglio nella prospettiva. VII. i3. N. I. LASERPIZIO, pianta pentandria diginia delle ombrellifere, propria del mezzodì d'Europa, della Siria, dell'Armenia, della Media, della Libia; ne comprende più di 3o. specie, usavasi in medicina. Vili. 44- N. E. LATITUDINE geografica, è la distanza dal zenit all'equatore. IX. G. III. 160. e seguenti. Latitudine di un astro è la distanza dall'astro all'ccclitica contata sul circolo che passa pei poli dell'ecclitica e per l'astro stesso, ivi 116. LAZULITE, lapis-lazuli. VediCyanon. VII. G.1II. 119. LEBENO, città sulle spiagge del golfo Jonio a5. miglia distante da Teo, i5 da Smirne, e 2j. da Colutone, oggi Lrbeditzj - Cbisar. IV. 9. N. 4. LEGGE, la cui ragione è emanazione celeste. I. G. I. n3. LEGNAMI, da tagliarsi dal principio di Autunno sino al primo solfiare di Favonio, cioè ai primi di Febbrajo. li. 57. e N. a; precauzione nel tagliarli, ivi 5g; la materia fibrosa del legno risulta carbonica. 5i. 53; acida. 4* 78; acquosa. 5. 69. II. G. IX. 167. -- la sua proprietà igroscopica dipende più che d'altro dalle sue parti saline. IL G. IX. 168; influenza del clima sui legni. 169: diligenze necessarie all' architetto per iscegliere, ed adoperare i legnami nelle fabbriche. IL G. IX. 170; loro squadratura. ljS. Modo d'incurvarli. 177. Diligenze ed attenzioni per la loro conservazione. 178. I resinosi vanno meno soggetti alle intemperie. 179; esposti alternativamente all' aria. ed all'aequa periscono. Il. G. IX. 179. -- Preparativi per preservare i legnami. 180. -- Vantaggi nel bollire i legni. II. G. IX. 181 Imbevuto di olio o di grasso ed esposto ad un calore moderato, il legno s'indura a segno di tagliare e forare come il ferro. 183. Forza dei legni. 184. LEONIDE, diede precetti di simmetrie. VII. 19. LEOCARl Scultore, che lavorò nella parte occidentale del Mausoleo. VII 17. LEPRE, costellazione formata da quattro terziarie in quadrilatero, sotto cui sta una stella secondaria detta la colomba. IX. G. II. 119. LESBO, isola dell'Arcipelago, la di cui capitale è Mitilene. Vili. 4i. Nota a. LEVA, una delle quattro macchine elementari. X. G. II. 127. LIBICO, Garbino. 6°. vento della torre di Atene. Del sud ovest. Uomo robusto che tiene fra le mani l'apluBtro di un vascello, spingendolo dinanzi a se. I. g5. N. 1. LIBRA, costellazione all'est della Vergine, comprende un quadrilatero. IX. G. II. 117. LINCESTO, oggi Lincea, paese della Macedonia, ha un fonte di acque acide le quali, secondo Ovidio, producono l'effetto del vino. Vili. 49- N- 3. lingua, precedette sempre le arti eziandio le più necessarie. II. G. I. 87. LIOCORNO, costellazione fra il piccolo Cane, ed Orione di diverse quartane in forma di un V. obbliquo. IX. G. II. lao. LIONE, costellazione compresa da un trapezio di quattro stelle, attraversato dalla linea che serve a determinare la polare prolungata in senso opposto. IX. G. II. 117. LIPARI, fiume della Sicilia le cui acque sono untuose. Vili. G. I. 86. LIRA, detta anche Avvoltojo piombante, costellazione al sud-est del Dragone. Ha una bellissima stella primaria, chiamata VVega, la quale forma con la polare e con Arturo un gran triangolo rettangolo in VVega. IX. G. II. Ji5. lisi, volgarmente gola rovescia. III. 5r. N. a. LIS1CRATE, suo monumento coragico, cioè destinato a giuochi scenici; volgarmente la lanterna di Demostene, posto all'estremità dell Acropoli; corintio di bellissima ese-' dizione; sei pezzi di marmo bianco sopra un basamento formano un muro cilindrico, dal quale le colonne sporgono un pò più della metà del diametro. I capitelli sono ricchi con le volute, e molto svelti per l'aggiunta di un giro di fronde nella parte inferiore. La cornice è
formata di più pezzi dì marmo fermati dalla cupola eli' è di un sol pezzo e delicatamente scolpita con foglie d' alloro, volute ed orDati. Anche il rosone della sommità presenta uua combinazione di foglie graziosi:*sima. Vedi Tar. XV. Lib. IV. G. II. ioti. N. i. LISIPPO, Scultore celebre. III. 4 LISTELLO, separa le altre modinature; unito all' aStragallo le adorna; combinato con le scozie toglie ueiU basi la confusione di più membri curvi l'uno sull' altro III. G. Ili io3. è un rettangolo. Fig. 3. Tav. XXV. LIVELLO. Gli antichi intendevano una linea piana. È una linea conformata dietro la figura della terra. \ HI63. Nota i. LIZZA, trincea, campo chiuso da giostrare. V. G. VII. *79 LOGION. Palco scenico dei Greci meno largo di quello dei Romani. Così detto perchè gli Attori ivi facevano uso della parola. V. 58. e Nota i. Nel teatro romano era •Ito 5. piedi, nel greco fra i dieci e i dodici. V. G. V. so. LOKE, pezzo di legno attaccato ad uua fune per misurare la strada che fa un naviglio. IX. G. 111. 160. e seguenti. LOMENTO! o cenere d* azzurro, era un turchino chiarissimo. VII. G. III. sai. Lomtntum trihtm era la parte più grossolana, ivi. LOXODRIMIA, curva che descrive un vascello nel suo viaggo. IX G. III. 160. e seguenti. LUCIGNOLO, o stoppino della lucerna, in veneziano pavero, e rozzamente pavèr e pavièr. Vili. i3. Nota 5. LUCIO Mummio distrutto il teatro di Corinto, trasportò a Roma i vasi di bronzo V. 4a LUMACHELLI: pietre calcari di un tessuto compatto; contengono numerosi frammenti di conchiglie, e di coiaVlt fossili; ricevono un bellissimo pulimento. Appartengono ai terreni secondar] antichi. -- I principali sono: quello di Carini ia, ossia opalisanle, bigio bruno. IL G VII. 147 ~ di Castracani, città della Siria, •- di China, fondo verde - bigio con le conchiglie giallo-pallide,-- di Timor giallo - bruno con macchie bianche, - Funebre antico, nero di Svizzera, bruno--bigio con ammoniti bianche,--Caos bigio cinereo con numerosi frammenti grandi e piccoli d'un bigio-turchiniccio; lo si trova presso Verona, — Bigio di Sicilia. 148. Bigio, ha un foudo bigio • cinereo, o giallognolo con moltissime linee nericcie, - di Saiut-Amour nelJura, ha molte varietà, è bello, e forma un oggetto di speculazione, — di Mons, o piccolo granito ha il l'ondo nero con minutissimi frammenti di coralli, di entrochitidi bianchiccie e di madrepore, — di S. Maria del Giudice in Toscana e di un rosso simile ai mattoni, e contiene corna bianche di montone, e molti altri. i49 LUNA, in 28. giorni ed un1 ora circa, secondo Vitruvio, fa la sua rivoluzione periodica; ma veramente a tornare nello stesso punto celeste impiega 27. giorni 7. ore 43' 4''t 7*5 e !■ SUH rivoluzione sinodica cioè il tempo cbe passa fra due congiunzioni col Sole in giorni 39. ia.' 34-' 3.' 85 Lib. IX. 25. e nota 3. Scriveva Aristarco Saniio matematico, che la Luna non ha uu suo lume proprio, ma lo riceve dal Sole, ed una teoria lasciò sulle fasi lunari quasi consona alla moderna ivi 35. Segue la terra, ed è più d'ogni altro corpo celeste vicina a noi. È uu globo sferico opaco, che ci riflette la luce solare IX. G. II98. Fig. I. Tav. II. La rivoluzione siderale di questo satellite è di giorni 27, 32i58. movendosi da occidente verso oriente con una velocità di miglia 33. 6. per ogni minuto, cioè con circa la ventinovesima parte della velocità della terra, la quale si calcola di 984. Osservala la Luna con forti telescopi presenta una massa arida, ricoperta di montagne, di piani, e di cavità profonde; tutto solido senza atmosfera sensibile. La Place attribuisce ai vulcani della Luna, gli acrotilì, ossia quelle pietre che talvolta cadono dal cielo. IX G. IL 100. LUPO, costellazione al sud-ovest di Antareo di diverse piccole stelle; si rappresenta ferito dalla lancia del Centauro. IX. G. IL 120. LUTEO, erba che unita al ceruleo dà un colore verdissimo VII. 77. Il guado, specie di reseda, la da lisca cannabina, la ginestra dei tintori, e la guaderella sono proLabilmente le piante dagli antichi chiamate luteum, lutea, luteola e lutum. VII- G, III. 134. M macchina, soda congiunzione di materia per muovere i pesi, mediante giri di circoli, da' Greci chiamati cyclicen cinesin. X. 9. Sono di tre generi: Scansorie in greco acrobatico* nelle quali si sale per vedere l'appa* rato. ivi 10.
ed 11. Spiritali pneumalicor quando dall' aria compressa si esprimono tuoni, e voci, ivi 12. — Trattorie, barulcon quando innalzano pesi, ivi 12. vedi Trispasto e JPentaspasio 1. Per mettere in opera pesi colossali avevano una macchina a doppi ordini di rotelle nell' alto, e nel basso, dalle quali una fune andava avvoltichiata al timpano, un' altra riportata all' argano col di cui rivolgerei distcudevasi le funi ugualmente, e dolcemente senza pericolo si levavano i pesi, ivi si. 22 Altra macchina usavano gli antichi ad una sola trave raffermata da ritegni, corredata di varie troclee per lo che dicevasi polipaio. 23. 34- e 35. MACCHINA di Ctesibio che solleva moltissimo l'acqua; la sua teoria è la stessa di quella delle trombe aspiranti e prementi. X. 5o. e nota i. Ctesibio inventò molte macchine. X. 53. una idraulica di esso fu scoperta benissimo conservata fra le ruine di Castronovo, e descritta da Ennio Quirino Visconti, ivi Nota 2. MACCHINA per misurare il viaggio in cocchio od in nave. X S. e M. MACCHINA funiculare, è una delle quattro elementari. X. G. IL 137. MACCHINA, deriva dalla voce greca mediane, che lignifica anche invenzione od arte. X. G. H. 137. nota 1. MACCHINA a vapore, in cui il motore è il vapor d'un liquido. Si diceva macchina a fuoco. X. G. li. La prima classe è delle macchine senza condensazione; la seconda a condensazione, e queste e quelle si suddividono ancora, ivi i4g. Macchina a semplice effetto di Boulton e VVatt. Fig. 3. Tav. VII. ivi i5s. Nuova macchina senza caldaia di Scott. -- ivi i55. Possono tornar utili ad ogni macchinismo a cui abbisogni una considerevole forza motrice, ivi i56; la loro applicazione ai navigli va mirabilmente propagandosi. i5g. MACCHINE idrauliche degli antichi per gli organi. X. 54 MACCHINE degli antichi teatri per rappresentare molti oggetti ed imitare lampi, tuoni, folgori, far apparire ombre, furie, dei. V. G. V. i45. MACCHINISMO, parola da adottarsi dietro Macchinista, voce usata. X. G. IL 143. N. 4. MACROBIO nel sogno di Scipione parla della perfezione dei numeri. III, 13. N. 1. MADONNA dell'Arco. Vi è uno strato profondo per 320. piedi di materie eruttate dal Vesuvio. II 3*. N. t. MALTA, dà un alabastro del color del miele assai fino e quasi trasparente. II. G. VII i56. MANACO, cerchio mestruale negli orologi solari; deriva da man mese. I» 58. e Nota 3. MANTINEA, città. V. G. V. i4o. marmi: la maggior parte risultano da un miscugli* di pietre dure; alcuni sono composti di carbonato di calci assai puro, ed in tutti gli altri questa sostanza è la predominante. Sono dunque i marmi carbonati di calce §0* lidissimi. II. G. VII. i3o. Da marmaros, bianco, ne viene il nome. Fatuo effervescenza negli acidi, si possono incidere con una punta di ferro, e percossi dall' acciaio non espellono scintille. Loro classificazioni. i3i. Marmi propriamente detti: carbonati di calce che non contengono avanzi di corpi organizzati; antichi le cui cave sono esauste; morfemi, che attualmente si estraggono. i32. Fra gli antichi il Pario dall' isola di Paros, generalmente bianco. Il cippotino Altro cipollino statuario detto Pentelico dal monte di questo nome nell'Attica. i33. 11 grechetto bianco come neve. — Il marmo di Luni all'est del golfo di Genova, d'un bianco vivo. Il marmo bianco del monte Imetto. -- Il bigio antico. — Il turchino antico. -- Azzurro antico. -• Il piccolo antico di grani finissimi. i34- Il verde antico, appartiene ai porfidi.--Il verde-porro antico. — Il verde-sanguigno antico. — Il palomhino, raramente si trova in pezzi alquanto grossi; sembra essere questo l'anello fra i marmi, e le altre sostanze calcari compatte. — Il nero antico, prediletto di Lucullo. — Rosso antico, é uno dei più belli, e più cari che avessero gli antichi. i35. — Giallo antico, rossiccio, paglia e dorato; il roseo è il più pregiato. -- Il serpentino appartiene ai porfidi. Il bianco e nero, è di tutti il più caro. Altri da noi ignorati. i36. Marmi moderni. Marmo bianco. Distinto è quello di Carrara; un altro ma inferiore è il cosi detto marmo di Rovigo. A Bajona ed a Lubia nei Pirenei se ne trova. La Spagna, la Grecia, hanno intere colline di marmo bianco. La Scozia ne somministra uno bianco- siccome neve. In Alemagna si trova il marmo bianco di Hildesheira. — Marmo giallo di Siena. — Marmo verde di Firenze serpentiuoso di un verde slavatissimo, e quasi bianco. i33. -- Il verde di Prato, serpentinoso, duro, verde macchietato di verde scuro. -- Il verde di Carrara, d'un color verde-mare con vene bianche. -- Il verde di Genova. — Il verde di . Suza. — Marmo verde di S. Bertrand è macchiato di rosso, e di bianco. Il verde di Granata. — Marmo rosso di Verona appartiene ai Lumacchelli. -- Marmo rosso di Givet nelle Ardenne, Lumachello Rosso di Linguadocca- — Marmo siciliano. I suoi colori vivissimi bianchi, rossi, verdi, e bigi imitano quelli del diaspro. i3g. Il Mandolato Veronese. -- Marmo di Bergamo verde macchiato di bigio e di nero; — di Mergozco bianco con vene nericcie. — Marmo nero di Como, di Saint Firmin, di Thcux e di Spa. Quelli di Sambre-et - Meuse si usano nei
monumenti funebri; all'aria perdono il pulimento; strofinati mandano odor fetente. — Bardiglio, che si estrae presso Carrara è bigio turchino con vene bianche olivastre. — Il Co. fanello. - Il porterò nero macchiato di un giallo d' oro • screziato di bianco. •- Cipollino moderno, sì trova nelle Alpi, nel Delfinato, e nella Corsica. — Un bellissimo detto della tegola si cava nel monte Bianco. 140 Borbouese, è tricolore rosso, giallo ed azzurro--del Pousin bigio-cinereo, somiglia il diaspro con zone bigie nericcie, e vene bianche. •- Il Griulte, Marasca di Francia, e d Italia. -■ Marmo Napoleone, bigio, brecci-forme con molte vene, è pm celebre, che bello. Campan comune tu Fraucia -■ 11 ti..... quera che si estrae presso Valenza. — Quello d'Auglesey" in Inghilterra è verde, nero macchiato, rosso e bianco — (li Tireo in Iscozia, marmo bellissimo di due varietà, Marmi d'Asia. 149- d'Africa e d'America. i5o. — Marmi bianchi colorandoli perdono di solidità. — Marmi artificiali. MARTE, Pianeta. IX. 28. comprende nella sua orbita quelle di Mercurio, di Venere, e della Terra; il suo volume non giunge alla sesta parte di quello del nostro gtelo. La sua orbita è molto eccentrica, e viene descritta in giorni 686, 97962. La sua rotazione è di giorni 1, 02Ha le sue fasi, ma presentano una forma ovale per la sua maggior distanza dal Sole. La luce che riflette è rossastra per cui si suppone circondato da una densa atmosfera. IX. G H. 101 MARSIGLIA, tetti coperti di terra, e di paglie. IL i5. MASSACIUSSLT, Provincia d'America che offre. II. G. VII. i5o _ MASS1LVA, città della Spagna ulteriore, i cui mattoni galleggiavano. II, 23. MATTONI, crudi e cotti. II, 17. N, 1. Da formarsi in primavera o d'autunno, ivi 20; gli Uticensi adoperavano mattoni fatti cinque anni prima, ivi 21; lìdios lunghi UH piede e mezzo, larghi uno; pentadoron di cinque palmi. tetradoron di quattro, questi per le private, quelli per le fabbriche pubbliche. II. 2. 22; mezzi mattoni corrispondenti alla metà dei pentadori, e telradori. II 22. e N. 1. galleggianti. 23; ora non ne abbiamo, ivi IN 1; triangolari si veggono negli avanzi degli antichi ceti li ai . ivi; preferibili sempre alle pietre. II. 46. IN. 2 In Roma non si potevano erigere le abitazioni private di mattoni. IL 54- Si espongono i mattoni all'intemperie per conoscerne la qualità. IL S5; l'argilla più pura e più pastosa è la migliore per formarli. II. G. III. 98 Diligenza da usarsi nei! approntare l'argilla e nel cuocere i mattoni; segnale della loro cottura. 100. e seguenti; da impiegarsi nelle fabbriche più nobili, ed ovunque abbisogna maggior fermezza li G. VIII 160; muri di una, e due teste di quadrello 161; di tre teste, concaiejtazioui; ossi ano chiavi. 162. Ma turni ai once per costruire i pilastrini nell' Ipocausi. V. j5. di once sei ivi N. i. MAUSOLEO, nella piazza di Alicarnasso, monumento magnifico, una delle sette meraviglie. IL 5o. N. i. Da questo i Romani chiamarono mausolei tutti i sepolcri. I due lati a settentrione ed a mezzogiorno erano j3. piedi per ciascheduno; l'intero perimetro era di 41'- piedi. 11 porticato che il circondava alzavasi per 25. cubiti e constava di 36. colonne; le scolture del lato orientale erano di Scopa, quelle da settentrione di firiasse, a mezzogiorno aveva lavorato Timoteo, e ad occidente Leocare. Sopra il colonnato si eresse un tronco di Piramide di altezza eguale a quella inferiore con a4 gradini, sul quale si collocò una quadriga di marmo, opera di Pizio. L' altezza totale giungeva a i5o. piedi. VII. i5. Nota 3. Veggansi le fig. %. j. della Tav. VII. Lib. VI. MAZACA, detta anche Cesarea, città nella Cappadocia, alle falde dell'Argeo verso 1' Armenia, Vili. 3-j. Nota 4 MECCANICA, ricavata pei bisogni sociali dalla rotazione del mondo e dalla natura delle cose. X. i5. Vedi G. II. Lib. X. MEDULLI, nazione delle Alpi, ove è una specie d'acqua che produce il gozzo. VIII, 5a. MEDICINA, occorre che l'Architetto ne abbia qualche nozione. I. 38. 48. MEGALOPOLI, città il cui Foro conteneva il portico Filippeo, l'Aristandeo e quello degli Archi vi. V. G. I. 99. MELAMPO, scrisse delle simmetrie. VII. 19 MELANTE, cioè negro: vi sono molti fiumi cosi detti; quello di Vitruvio sorge dal monte Parnaso, termina nel Cefiso della Beozia, è navigabile e produce inondazioni simili a quelle del Nilo. Vili 4tì- Nota a. MELINO, sostanza minerale bianca, inferiore al bellissimo Paretonio; si aveva dall'isola Melo una delle Cicladi. Sino al tempo di Plinio vi si sostituiva il fittizio di piombo ed aceto, o di terra da tintori bollita. VII. N. N. 1. MEL1TE, città della Caria, eh' era presso l'Bolide. Anche un fiume presso cui esisteva una spelonca ov' è fama che Omero componesse i suoi versi. IV. 9. N. 5.
MELO, ( Pjrus malus ). È legno bruno-rossiccio, forte ma poco regolare; atto ad ogni genere d'intagli. IL G. IX. 187. melone, scrisse sul corso degli Astri, e sulle sta* gioni. IX. 5i. MEONIA, (orse parte della Lidia, Provincia dell'Asia. Vili. O. e Nota 4. MERAVIGLIE (le sette), i ma il tempio di Diana in Efeso, a.da il mausoleo fa il colosso del Sole di uionza a Rodi, 4,ta s'alua di Giove olimpico, opera di Fidia in avorio ed in oro, 5.ta il palazzo di Ciro fabbricato da Melinone, che collegò le pietre con oro, 6.la le mura di Babilonia di mattoni, ferro, e bitume, e 7.ma le piramidi d'Egitto. Igino fa ascender le meraviglie a quattordici. VH. 18- N. 1. MERCURIO, metallo chiamato argento vivo. serva a molti usi in società VII. G. III, ia5. Da esso si ottiene il cinabro, ed il minio artificiali. Si amalgama cogli altri metalli, serve ai doratori ec. VII. G. III. 136. MERCURIO, Pianeta: in 366. giorni corre gli spari dei 1% segni zodiacali accelerando uell' uno quanto nell'altro ritarda. IX. VJ. Si ba potuto concludere esser un corpo opaco soggetto a fasi come la Luna. Egli si aggira più d'ogni altro Pianeta presso il Sole cosicché spesso è immerso nei raggi solari. Si calcola che 1' intensità della luce e del calore sia settupla di quella sul nostro globo nella state, IX. G. II. o5. La sua orbita è compresa dentro quella di Venere, ivi 96. METALLI, ascendono ora al numero di quarantadue. Fochi sono quelli che si trovino puri in natura, cioè allo Stato di regolo. Comunemente souo in istato di ossidazione, il. G. H. 96. N. 3 il più tenace è 1' oro, gli altri seguono con quest' ordine, ferro, argento ed ottone, rame, stagno, piombo, e ciò nel rapporto dei numeri tuo. 1000. 820. 665. 110 65. X. G. I. 115. METROOORO Frigio, scrisse di Geografia. Vi sono degli altri filosofi di questo nome, come il maestro d'/ppocrate che trattò delle radici per gli usi medici, Metrocloro scrittore di Architettura ec. Vili 58. Nota 1. MEZAULE. Sentieri nel mezzo a due Aule. VL 60. • G. 11. 101. MIAGRO Foceo scultore, cui mancò la celebrità e non il merito. III. 4 MICONE, fu tra primi ad adoperare il Silc attico. ,VII. G. III. 113. MILETO, città della Caria, sei miglia distante dall' imboccatura del Meandro, altramente Melasso. Lib. IV. 8. e N. 2. MILETO o Melito, piccola città della Calabria ulteriore. IV. 8. e N. 2. M1LONE Crotouiate, atleta invitto. IX. 5. MINIATURA, deriva dal minio, che in essa si adoperava. Pittura in piccolo, esige eleganza ed esattezza r.cl disegno; i colori si stemperano ncll' acqua di gomma. VIL G. III. i3G. MISTO. Ora è una preparazione di piombo. Il Vitruviano corrisponde a ciò che oggi si chiama cinabro nativo. Fu scoperto da Calila ateniese 349. ■nn ' prima di Cristo nelle miniere d'argento. VII. 66. N. i. Quando le glebe sooo aride si pestano nei mortai di ferro, indi si macioauo c con lavazioni e cotture diviene Minio, conserva il suo colore entro gli appartamenti, ma all' aperto si altera. 68. MIO, città di Caria, ove esistono le rovine di un tempio Dorico. III. 16. nella Nota. MIRA, citta. V. G. V. i$2. mirra, Gomma resinosa di un Albero africano al sud dello stretto Babel-Maudel; si adopera in medicina, ed in molte preparazioni farmaceutiche, come nella teriaca, nella confezione di giacinto ec. Vili. 43. N. i. MIKONE, Scultore. I. 5a. Sua celebrità, HI. 4; MlUi\TA, città ai confini della Caria presso l'imboccatura del Meandro, sommersa dalle acque, od a causa delle acque abbandonata. IV. 8. N. 3. MISURE. Nelle Tabelle di riduzione in fine di questo Iudice si trovano registrate le unità principali, a cui si possono riferire tutte le altre che qui denomineremo unitamente al loro rapporto con quelle unità. {vedi Tabella I.) Misure ahliche. Misure lineari riferite al piede
orientali. Dito i/ì6, condflus ì/S, palmo minore 1/4, palestra o palmo maggiore 5/i6, coenostoiue 1/2, Ijchai be, «piliiama 'in, pygma 1. 1/8, pygon o patinipiede 1. i/4, cubito piccolo 1. i/5, cubito medio o litico 1. 1/2, cubito reale di Babilonia, o cubito nero degli Arabi 1. 11/16, cubito grande asiatico, o cubito achemico 2, passo semplice 2. 1/2, passo geometrico 5, esapeda od Orgya 6, decapeda od acesna 10, dodecapeda 12. Egizj. Servivano a questi le stesse divisioni degli Orientali, e con gli stessi valori, poiché il loro piede egua-' gliava I' asiatico. Si avverta però che il cubito del Cairo, detto anche derak, devakli, o nilometro, era lo stesso che il cubito achemico: si chiamava altresì cubito di Meki-19 dal nome di una colonna, su cui è segnata una scala divisa in parti uguali, ciascuna delle quali corrisponde a questo cubito, e che servono a misurare le inondazioni del Nilo. Ebrei. Lo stesso piede diriso in diti, palmi, e con gli stessi multipli serviva anche agli Ebrei. Questi però chiamavano zcreth il piede, esban il dito, tophac il palmo minore, Ammali o cubito latro il cubito grande asiatico, e kaneh o carni» di Ezechiello il dodecapeda. Aggiunge vi"?--) poi il palino sacro ch'era la sesta parte del cubito nero. Greci. Anche i Greci avevano gli stessi rapporti degli Orientali fra le varie misure lineari ed il piede, ma diversi erano i valori assoluti perchè il loro piede era diverso. Essi chiamavano poi benia diplomi il passo geometrico, e benia aploun la sua metà. Romani. Usavano questi l'esapeda, il passo geometrico, il passo semplice, il cubito, lo spilhama, il palmo, ed il dito con gli stessi rapporti al loro piede delle altre nazioni; avevano però di più il palmipiede che valeva piedi i. \f[ l'oncia dia il sicilico i/^S. lo scrupolo 1/288. Misure itinerarie. Orientali. Fra quegli vi era 1' esapeda asiatica di passi geouie ria 1. i/5- lo Scheno Persiano di due corde asiatiche, il Pù Cbrese di dieci ly chioesi; il Can, o Dieta Chinese di dieci PI.. la Parasauga dei Persiani di due coss indiani; il Gau Indiano di due Parasangbe; la dieta Indiana di dieci Parasangbe; il Miglio asiatico o Persiano di 1200. passi geometrici; lo stadio medio Asiatico, o Persiano, o nautico, detto anche Toxuma di tao. passi geometrici. Egitj Oltre alle misure itinerarie registrate nella Tabella in bue contavano gli MA >1 Diaulos di brune di due stadi Egiziani, lo Scheno del Delta di ;Huo passi geometrici, Io Scheno della Tebaide di cinque miglia egiziane, 10 Scheno del medio felino di dieci migiia. Ebrei. Avevano questi la canna di Ezechiello di sei eubiti sacri ossia dodici piedi asiatici, oltre alle mi>ure indicate nella Tabella. 11 loro stadio grande poi non era che lo stadio Egiziano, e lo stadio medio corrispondeva allo stadio persiano. Greci. L'Esapeda olimpica era di sei piedi olimpici; l'Ecatompeda di cento; lo Stadio Delfico o Pitio era la decima parte del miglio italico, e la Dieta o viaggio di un giorno di duecento stadj olimpici. Romani. Lo stadio romano eguagliava l'Olimpico, 11 miglio era l'italico, la dieta era di venticinque miglia. Misure agrarie e superficiali. Gli Orientali e gli Egizj oltre alle misure registrate nella Tavola I. avevano i quadrati di varie misure lineari, come del piede geometrico, del cubito grande ec. Gli Ebrei poi avevano alcuni summultipli del Belli con il quale corrispondeva ad un'area, in cui si poteva seminare un coros di frumento, cioè litri trecento ventuno • mezzo. Questi summultipli erano il Bctti-Lctech i/a del Beth-Cor; il Beth-Epln di del Beth-Letecb; il Betb -Seali i/3 del Beth-Epln; Il Beth-Hin I/J. dei Beth-Seah; il BethCap i/3. del Belh-Hin; il Beth-Log 1/4. del BelhCop. Romani. I multipli del iugero romano erano 1' Haeredium di due jugeri, la Centuria di duecento, il Saltus di ottocento I summultipii poi si dicevano Actus quadrala: 1/2 del jugero;. Clima ifii lincia i/ìa; Siliqua I/J4; si- cilicus 1/48; Sextula 1/72; Actus simplex 1/120; Scripulum i/i58; Versus finalmente era una superficie di diecimila piedi romani quadrati. Misure di capacità. Presso tutti i popoli antichi dicevasi metreta il piede geometrico cubico. ^ Gli Ebrei avevano poi i summultipii della metreta, cioè il Seah Satum i/>; il Ciphvnus 3/8; il Hin i/4; il Goiner
voi; il Cab 1/20; il Cliaemx 1/2/1; il Log ij\S; il Hemma 1/96; l'Ovo dei Rabbini 1/288; il Cysthas 1/676. I multipli erano 1' F.phab, o Bot di una metreta e mezzo; il Corus di quindici; il Micuè di veuti; il Corus dell'Arca di quarantacinque. Greci. Summultipii della metreta: Amphora 1/2; Chaenix '/36; Xestei 1/72; Cotyle i/i44> Hemicotylion 1/188; Oxybapbon 1/576; • jathus i/864; Concha 1/1728; Mystron j/5^56: diesine ij^ò-io; Cochliarion i/864o. Romani. Summultipii della metreta: Urna 1/2; Modini j/5; Sexlarius castreosis 1/24,' Scxtarius 1/5.8; Colylus od Hemin» '/ptì; Quarlarius 1/192; Acetabulum i/384; Cyathus 1/370; Concha i/n52; Ligula o Cochlear i/i3o4Multipli: Oeineiisum 1 i/5; Culeus 20. metrete. misure moderne. Le misure moderne lineari sono per la massima parte denominate piede e braccio. La lunghezza però assoluta di queste due misure variano non solo con le nazioni, ma con le provincie, con le città, e con gli stessi villaggi. Noi però raccogliemmo nella Tavola II le principali, ornniettendo quelle dei piccoli paesi o di quelli che hanno un commercio poco più esteso del loro territorio. MISSISSIP1. fiume che nasce nel Canada, bagna dal nord al sud gli Stati Uniti, ed ingrossato dall' Ullincse e dall' Ojo dopo un corso di 1800. miglia geografiche si getta nel gcillo del Messico. Vili. 23. Nota. MITILENE, città elegantemente fabbricata ma esposta inconsideraiamcute alle molestie dei venti. I. 90. MOO AÌNAl'URA O Sagoma, trae l'origine dal raffinamento del primo ordine semplice, col quale dalle capanne si passo ,alle prime costruzioni di pietra. HI. G. III. VtIRUriO llSDICE 5 101» le principali sono: i°. listello o niello; a", ovolo; ti", cavetto o guscio; 4° toro 0 bastone; 5a. scozia; 6°. goladritta; J°. gola-rovescia 102. N. i. In tre maniere si delineano le Modanature, a quadranti di cerchio; a quadranti di ellisse; e per mezzo di vertici, di triangoli equilateri, cioè di archi che sieuo tj'g della circonferenza. io5. Steno sempre ornate con parsimonia, intelligenza, e convenevolezza. IOG. MODIGLIONI ( iautiili, e mensole) derivano dalle teste dei Cantieri o Puiltooi, che sostengono immediatamente il tetto. IV. 6. — ai. i Latini eosì chiamavano tutti i bri architettonici sporgeuli, e che sostenevano il gocciolatojo. I Veneti li dicono modioui e modeoni, i Friulani modeons. ivi N. 2. MODULAZIONI, di tre generi. Il primo da Greci chiamato armonia è quello concepito dall'arte, il cui canto riesce grave ed egregio. Il secondo detto cromatico colla sottile solerzia e frequenza delle misure genera un più soave diletto. Il diatonico poi, essendo naturale, riesce pi facile per la distanza degl intervalli. V. 3i. MODULO, misura architettonica che corrisponde al diametro delle colonne; si ottiene dividendo ia undici parti e mezzo, eccettuatine i margini e gli sporti delle basi, la facciata dell' edifizio se è tetraslila; se poi è esastila si divide in 18. parti; e se ottastila in parti e mezzo. III. 34 e Note. IV. 3i. Nota 1. MONETE. Nelle Tabelle I. e II. di riduzione ia fiat dell'Indice sono registrate le monete principali degli antichi col loro rapporto al franco, nel determinar il qual* si ritenne che il rame, l'argento e l'oro non monetati e puri stassero come 1: 200. 2000. presso i vari popoli antichi, e che presso i Romani soltanto fossero come 1: 4°620. Il confronto generale poi è un chilogrammo a' ar Sento non monetato e puro, a cui si attribuisce il valore i franchi 222,222. Aggiungeremo qui alcune altre monete che hanno rapporti determinati con quelle registrate nelle suddette Tabelle. . * Ebrei. Avevano il mezzo siclo; l'obolo fenicio ch'era 1/20. del siclo fenicio o talento numismatico; la drammi fenica i/4- del siclo fenicio; la didramma fenicia 1/2. siclo fenicio; la corona 1/2. siclo d'argento del Pentateuco. Greci. Avevano questi lo Stater tetradrachmus argenteus, o Noctua, o Nurnmus atticus argenteus, che valeva quattro dramme attiche; lo Stater aureus Cyzicenus di 28. dramme, la Mina attica di 100. dramme. Romani. L' asse prima della legge Papiri» tra di rame e pesava una libbra romana antica, il qual paso fa stabilito sotto Servio Tullio. Eravi poi il semissìs cioè asse; il trieus Vs. il quadrans up; il sentans 1/6; l' unica 1/12; il dipondio che valeva due assi; il sesterzio di due assi e mezzo; il quadrussis di quattro assi; la sembella moneta d'argento che valeva i/à asse; e la libclla pur d'argento di un asse. Dopo la detta legge r asse fu ridotto al peso di mezz'oncia, ed in proporzione i summulti» pli di rame. Vi aggiunsero però il Min ut uni 1/8. del nuovo asse, il Vittoriatu d'argento di 8. assi, l'aureo consolare d'oro che valeva 4oo. assi, oltre alle altre monete registrate nella
Tabella I. Riguardo alle monete moderne si credono bastanti quelle registrate nella Tabella III. Solo avvertiremo che nel sistema metrico tutte le monete d'oro e d'argento contengono un decimo di lega e nove decimi di metallo puro. Presso le varie nazioni poi diverso è il peso delle monete non solo, ma anche diversa la quantità di lega. Il rapporto fra il peso totale di una moneta e quello del metallo fino ch'entra nella medesima dicesi Titolo della moneta. L' unità di confronto per le monete moderne è il franco, il cui peso legale è di cinque grammi. Il peso legale del pezzo d'oro da venti franchi è di grammi 6,45i6i., e quello di un pezzo di rame da un centesimo di grammi due. Gli altri pezzi sono in proporzione. MONTI, abbondano di acque più del piano, e più salutari. VIII. i5. e Nota f. MONTONE, è quel zocco ferrato, che si lascia cadere per battere le palafitte. Tav. VI. fig. 3 X. II. i5g. MONUMENTO di Lisicrate. III. 72. N. 1. MORO (Morus). Il moro giovane è bianco, il vecchio giallo: é leggiero e sfilacciato. Generalmente si fanno botti da vino; nel Trevigiano non di rado s'impiega nelle fabbriche campestri. II. G. IX. A. MORTAJO, è un Cannone più corto dell' ordinario, e serve a slanciar bombe Per altro nel suo fondo vi è una concavità particolare che serve a render più completa l'infiammazione della polvere. Gli si danno diversi nomi dal dia metro della loro anima. I Mortaj alla Gomer hanno la camera a cono troncato colla base maggiore verso la bomba; la loro portata è più grande, ma consumano più polvere. X. G. III, 186. MOTO retto, da' Greci chiamato Euthian, e circolare cycloten delle macchine per levar i pesi, viene da Vitruvio spiegato per esempi. X. 33. e seguenti. murale, ( travicello quadrangolare J si pone nei tetti. IV. '7- e Nota «. MURI SEMILATERT, con ordini alternati di mattoni interi, e di mezzi mattoni. Il a», e N. i. Comuni, cioè' di maniera comune usata dai Romani con riempitura di minutaglie. Il. 4&> I muri della cella ne' tempi si facciano a rata porzione della grandezza IV. 49- ^ e questi muri si costruissero di pietre quadrate sieno quadri piccolissimi ed eguali, ivi 5o. le spremiture della calce danno a questi muri l'aspetto più vago..5o. MUSICA, 1 Architetto deve intendersene. I. 38. 4& Strano è volere una perfetta corrispondenza fra le parti della musica e quelle dell'Architettura. V. G III ic<4> La conoscenza di musica occorre nell'Aicllitctto soltanto per conformarvi alcune opere d'Ingegnere, i teatri, gli echoi, ec. io5. I generi di musica degli antichi .«mio le scale dei moderai. 117. N. 1 sono tre: lo Diaton co perchè procede per tuoni, de quali ne è copioso, Sua Tavola 118. Cromntico cioè variato, colorato, da croma colore. Sua Tavola 119 Enarmonico, cioè abbondante d'intervalli minimi. Sua Tavola 130. N NADIR, polo inferiore dell'asse dell'orizzonte. IX. G. III. lati. NATURA, si deve consultare per cavarne la scienza delle cose. IL 16 N. 1. NAVIGAZIONE, comprende l'arte di costruire i navigli, quella di caricarli, e quella di condurli sul mare. Quesl' ultima però è la navigazione propriamente detta. IX. G. III. 160 Vi sono tre metodi per dirigere un naviglio, cioè la navigazione piana, a cui servono le carte piane nelle quali i meridiani ed i paralleli sono linee fra loro parallele; circolare in cpi si fa uso di cerchi massimi: la più usitata è quella di Mercatore, nella carta del quale i meridiani ed i paralleli sono linee rette parallele; i gradi però conservano tra loro la proporzione, che hanno Sul globo, ivi ib5. NrisaAIU Architetto, dettò precetti di simmetrie. VII. ifcT. NETTUNIO, fonte di ac^ue mortifere presso Terracina, che la otturato. VIII. 47 NIliOMACO, pittore bravo ma non celebre. III. 4 Nll O, secondo Vitruvio scende dal monte Atlante nella Mauritania col nome Diri, procede da settentrione ad occidente sino al lago Eptabolo, ove si chiama Nigir, poi trascorre sodo monti deserti e scaturisce ne' luoghi lui ri.liunali e va a sboccare nella palude Coloc, indi giungo alla cataratta, e da quella precipitandosi verso setteutrionc perviene tra 1 bleiautide e Siene nei campi Tebaici in Egitto, ed ivi appellasi >ilo \ 111 a3. e i\ Ora si conosce formarsi il Nilo da tre iiumi, i' uno occidculale detto il bianco Bahr el Abiad che nasce nella couvullc di Gebel el kumri; l'altro cu e il medio è detto l'azzurro Bahr el Asrek; e l'orientale detto Atbara o Takarze. Dal con- fluente
Astapo, scorre il ti ilo verso settentrione lino ad Aukheyie, passa fra 1 monti Berkel e Bellal, fa un angolo fra Korli e Dongola vecchio, e cou un corso tortuoso sempre da mezzogiorno a settentrione piega ad oriente fino a Dakke, e forma molte cataratte. Si volge di nuovo verso setleuirioiic, a 8'. 6". la una cataratta che si chiama la prima, a 3o". a', ai", si divide e forma il Delta, e sbocca lilialmente con due foci principali di Raschid o Rosetta, e di Dannata, e con molte secondarie. Fra le sue qualità ha quella utilissima di fecondare l'Egitto. Vili. 22 Nola. N1NFODORO, Architetto greco che trattò delle macchine. VII. 20. NOCli, per la qualità del legno si noti la specie detta juglans regia Quello che produce i frutti piccoli è più duro. È prestato assai dai tornitori ed intagliatori. IL G. IX. iKtì. JNOMACKI, tratto di terra in Arcadia, dai monti del quale distilla l'acqua delta Stigos idor che spezza i vasi argentei, ferrei, e di rame. Vili. .j». NOTO, 5". vento della torre di Atene. Del sud. Giovane che vuota un vase I 95. V i. M/MERI, loro perfezione; dai Greci e da Vilruvio stabilita nel dieci. III, 12. dai matematici nel sei. i3. o OASÌS; alcuni piccoli tratti di paese in mezzo ai deserti dell Africa ravvivati da qualche sorgente, e che presentano indizi di prospera vegetazione. Vili. G. I. 81. OBIZiZI, sono una specie di morta), ma hanno il suolo con ruote come il cannone. X. G. 111. 186. OCRA voce greca, in latino bile. Terra gialla che si trova nelle miniere di rame, di piombo, e d'argento; c una combinazione del ferro coli ossigeno. Abbruciata acquista un color rossiccio. Tre sorte di Sile, attico, marmoreo, e Sirio. VII. 62 N. a. 63. e N. 1. Le sostanze indicate con questo nome dai nostri mineralogi non corri. spoadoao a quelle degli antichi. Anch'essi però ne ave; vano di più qualità: gialla, gialla attica, marmorea, ocra d' Acaja, o terra d'ombra, ed ocra lucida che veniva dalla Galli». VII. G. IIL Il3. ODEON, significa luogo da canto. Serviva a' musicali esercizi, ed alle declamazioni poetiche. L' Odeo di Atene eretto da Erode Attico sorpassava ogni altro in grandezza e magnificenza; indi il più ricco era quello dei Palrensi. V. 62 Nota 3. L' Odeo aveva nel mezzo della scena una parte del pulpito più elevata, e distinta dal proscenio pel suonatore di Uauto che dirigeva le voci nel canto e i passi nel ballo, pel direttore dello spettacolo, e pel poeta che declamava le sue opere prima di esporle sulle scene. V. G. V. i/tf. ODORATO, senso ancora lunge da quella perfezione cui è destinato dalla natura. IL G. IX. 178. Pensiero approvato dal celebre Brocchi. 179. OECIO; significa luogo ove si convive. Sala. VI. 3y. Se quadrato 1' altezze esser dovevano una metà più lunghe delle larghezze. Gli Oeci corinlj, tetrastili ed egizj devono essere simmetrizzati coti le norme dei triclini, ma più spaziosi per le interposizioni delle colonne. 38. e seguenti, li Oecio alla greca chiaraavasi ciziceno da Cizio magnifica Cit(à dei Milesi; volto a settentrione ed a verzuie con le porte e le finestre valvate. Lungo e largo da collocarvi due triclinj l'uno dirimpetto all' altro con lo spazio da girare. L'altezza una metà maggiore della larghezza. 41 OFIUCO ed il Serpente sono due costellazioni che abbracciano un gran tratto di cielo. IX. &5- G. IL ni Tav. IV. OLMO, uno dei più grandi alberi di Europa, duro, compatto, resistente, eccellente per la costruzione de' carri, e degli attrezzi rurali; è immune dai tarli. II. 68. H. 1. OMBRA equinoziale in ogni paese, serviva di regola agli orologi degli antichi, i quali dovevano segnare dodici ore in ciascun giorno dell'anno più o meno lunghe a seconda delle stagioni. IX. 5a. seguenti, e Note. OMOTONI unisoni. L 47. N. 1. ONAGRO cioè Asino selvatico: ai tempi di Marcellino e Vegczio, che vissero molti anni dopo Vitruvio, si chiamavano così le macchine da lanciar pietre. X G. HI. 171. ORDINE, od Ordinazione, concepimento di tutte le parti dell'edilìzio. I. 56 N. 1. ore dei Romani. I. 99. N. a. ORGANO, differisce da Macchina perchè ottiene con un solo movente l'effetto, quando questa a conseguirlo abbis»gna di molte opere e di forza maggiore. X. i3.
QKlQiNE, costellazione di sotto al Toro; alla sua base
Ma la lepre. IX. 48- 1'"' piede siuistro dell' Orione prendo come puncipio un fiume di stelle, ivi 49- Ogni nazione ■ questo fiume attribuì il nome del proprio fiume maggiore, ivi Nota 3. E la più bella delle costellazioni In essa è un gran quadrilatero, di cui una diagonale è di due Stelle primarie, l'altra di due secondarie; nell'interno ve ne sono tre secondarie molto prossime iu linea obbliqu3. IX. G. 11. n8. ORNATO, comprende tutto ciò che si può introdurre o levare nelle opere architettoniche senza alterar l'essenza loro servendo alla grazia o maestà. IV. G. HI tia. I Greci dalla schietta e bella natura, e non dai geroglifici egiziani cavarono i loro ornati, de' quali saviamente, e con sobrietà hanno sempre usato. 119. I Romani bensì li appresero dalla Grecia, nia'nell' arricchirne le fogge non sempre seguirono la ragionevolezza. Gì'Italiani specialmente del cinquecento cadettero nelle minuzie, indi precipitarono nel capriccioso, e nel bizzarro. 121. Se noi baderemo alla natura degli oggetti coi lumi delle scienze, e comparativamente alla diversità dei nostri costumi, come i Greci, potremo arricchire la nostra architettura di cose significative, e di bellezze interessanti. rea. OROLOGIO solare, deve avere lo stilo indicatore parallelo all' asse terrestre; quindi per costruirlo bisogna segnare la linea meridiana, e determinare la latitudine del luogo. IX G. III. i3o. Dicesi equinoziale, quando il piano proposto si trova nel piano dell'equatore. IX G. Ili i33. e si divide in superiore ed inferiore; quello rivolto verso il zenit indicherà le ore in primavera ed iq estate, e quello verso il nadir le indicherà in autunno ed inverno. Fig. 4Tav. VI. ivi i34- L'orizzontale è quello che sta sopra un piano parallelo all' orizzonte; riesce il più comodo segnando tutte le ore per tutto l'anno. Fig. 5 Tav. VI IX. G III, i35. Verticale sarà quando sia descritto in un piano perpendicolare all'orizzonte; dalla parte a cui è rivolto acquista la denominazione di settentrionale, mei Unitale ec. IX. o III. i38. Lunare o siderale è quello in cui si legge l'ora col mezzo del lume della Luna e delle stelle. IX. G. III, 140. OROLOGI, macchine automate, in cui il moto si comunica da ruote dentate, la velo tà si regola da un bilanciere, l'impulsione da un peso; furotio modellati olla clepsidra di Ctesibio; il loro uso non risale oltre il X. secolo. Dai grandi si passò ad al, uni più piccoli per porli nelle stanze, e da questi a quelli da saccoccia, ne' quali il motore è una spira elastica, ma la loro invenzione rimonta soltanto verso la metà del secolo XVII. IX. G. III. r4a. Orologi pensili da viaggio corrispondono all'odierna anello astronomico. IX. 61. Nola 4. OROLOGI d' acqua luvealati da Ctesibio. IX. 61. regole per formarli onde segnino le ore lunghe o corte a seconda delle stagioni, come le avevano i Romani. IX. tì.~>. e seguenti. ORPIMENTO, (in greco arsenicon). Si scava nel Ponto. L arsenico, sostanza metallica semplice, unito allo zolfo l'orina l'orpimento di color aureo, lerreo, e rosso. VII. 65. Nota 1. È l'arsenico solforato giallo. Si trae da molti luoghi, in generale dai terreni stratificali E molto usato nelle arti. Unito alla potassa dissolve l'indaco nelle telerie. Viene ricercato per dipingere specialmente i lavori in legno. Ve n' è di nativo, e di artificiale. VII. G. 111. ia5. ORSE, sono due nel cerchio settentrionale, congiunte fra loro coi dossi; 1'una dai Greci si chiamava Cinosura, l'altra eh'è la maggiore Elice. IX. 45 la quale non tramonta mai, risulta priucipalinenle di sette stelle, sei secondarie ed una terziaria, ed è il carro, ivi G n n5; la minore o piccolo carro è in senso opposto e più presso al polo, anzi la stella che termina la sua coda è la polare; la quale deve dirigere nelle osservazioni del cielo. IX. G. II. n3. ORTOGRAFIA: facciata, fronte dei fabbricati. I. 55. e N. 2. OSSIGENO, insipido, inodoro, invisibile; combinandosi con alcuni corpi produce gli ossidi, e con altri gli acidi; è indispensabile alla combustione ed alla respirazione. IL G. 11. 94. N. 2. OSTREUM, conchiglia di Caria, che dava la porpora. VII. G. IV i5a. N. 1. OSTRO. Traevasi dalla stessa conchiglia, della quale si componeva la porpora. Cangia di colore a seconda della linea percorsa dal Sole nereggiante a settentrione, livida a nord-ovest, all'oriente ed all'occidente violacea, nelle regioni meridionali rossa. VII. Si fendono le conchiglie all'intorno, e ridotta nel moitajo la sanie purpurea che ne stilla, pestandola si prepara; indi si cosperge di mele. VH. veniva conservata anche nell'olio, ivi Nota 1. OTTASTILO, di otto colonne. III, 34 OTTICA, necessaria all' Architetto. I. 38. Scienza della luce I. 4°- corrisponde con la geometria. I. 54 N. 1. alcune «orme di apparenze ottiche. III. 4°- Nota.
OVOLO, prima modinatura nata scantonando uno spigolo, e togliendogli quindi di nuovo i due cantivivi risultanti; così appunto a faccette erano i primi ovoli degli antichi. III. G. III. 102. nei più celebrati monumenti della Grecia e di Roma l'ovolo, e la gola rovescia sono impiegati a sorreggere l'abaco, la corona, i modiglioni, i dentili, ivi. Regola d'eseguir l'ovolo. 108. Vedi fig. 3. e io. Tav. XXV. P PACCONIQ. Suo metodo per tradurre la base dell'Apollo colossale. falli nella sua intrapresa. Come si potrebbe modificare la sua macchina. X. 5o. Nota 2. PALLADE, Pianeta scoperto da Olbers nel 1801. La sua media distanza dal Sole è di 2,76826. confrontata con quella della terra. IX. G. II. 102. PALCHETTI, piccole loggie die a più ordini dall'alto al basso gir ino attorno la platea dei teatri moderni offrendo sopra breve arca grandi comodità. V. G. V. i52. i55. Attribuire non si può ad essi gl'inconvenienti che accadono, i quali saranno del tutto evitati ogni volta che attori biavi, e valenti cantanti a se attraggono l'attenzione tutta degli spettatori. 154 PALCO, travatura o solajo. IL 54- N. I. PALESTRA, luogo ove i Greci educavano gli adolescenti negli esercizj del corpo, e dello spirito. Le palestre avevano i perislilj quadrati oppure oblunghi aventi due Stadi di circuito da passeggiare. V. 82 e N. I. Tre di questi portici erano semplici, il quarto doppio e volto a mezzogiorno In quelli si trovavano sale spaziose con sedili pei filosofi e dilrllanti degli studi; nel mezzo del portico doppio vi era l'Efebeo, sala per l'esercizio dei puberi, 83. A destra il coriceo per le fanciulle; appresso il connisterio. Dal connisterio nella voltata del portico si passava al lavacro freddo. Alla sinistra dell' Efebeo eravi l'eleotesio, indi il frigidario; da questo nella voltata del portico si procedeva al proprigeo 84. Al di dentro del frigidario eravi il sudatorio Neil esterno ergevansi tre porticati: uno all' uscita della palestra, due stadiali a destra e a sinistra; quello a seUenlnoné~~doppio e larghissimo, l'altro semplice. Questo portico era da' Greci chiamato xistus ( cioè pulito dal pulirsi che tacevano gli atleti prima di esporsi J. 85. Fra 1 sisli si dovevano piantare file d'alberi, selve o plataneti 86 Dietro al si$to vi era lo stadio, ivi Da Pausa* ni» si considera la Palestra come parte del Ginnasio. In ut-Ila si esercitavano le forze corporee, in questo quelle elli mente V. G. VI. i58. Palestra immaginata dal Canina secondo Vitruvio. Tav. VII. fig I. ivi i5g Palestra di Efeso. Tav. VII. fig. 2. ivi. Palestra in Alessandria della Troade fig- 3. ivi. Antica Palestra in Jerapoli nell'Asia minore fig 4 la quale si discosta dalla deposizione delle altre due 160. t alle da cannone I pezzi d'assedio corrispondono a a6o. volte, e quelli da campagna a i5o. volte soltanto al peso di esse, ed un terzo di questo peso è la carica ordinaria della polvere. X. G. HI. 182. PALLE incendiarie, sono di ferro riempite e circondate da materie combustibili; palle forate che scoppiano dovunque cadono, ma sono pericolose anche a chi le scaglia. X. G. III, i85. PALI, sei mesi prima di tagliarli tari utile privarli della corteccia. III. G. I. 90. N. a; nelle costruzioni che star devouo sopra il terreno occorrono di maggior grossezza. 91; quelli da seppellirsi nel terreno, basta che resistano al mazzapicchio. 93; gioverà armare la loro punta, e la testa di ferro, poi si usino pali di tre grandezze, la maggiore che giunga sino al sodo, una mezzana, ed una più piccola. 111. G. I. 93; si conficcano verticalmente, talvolta poi ne' terreni poco consistenti sarà meglio inclinarli verso il centro. p nei terreni uliginosi e compatti è indispensabile internare i pali colla testa. 97; qualora dopo venticinque o trenta colpi i pali non si approfondassero più di 5. millimetri, si dicono a rifiuto di mazzapicchio. 90. PALIZZATE di quercia nel Tamigi fatte al tempo di Giulio Cesare, ultimamente scoperte, si conservarono perchè abbrustolite in punta ed invcrnicciate di catrame- li. G. IX. 181. Infitti i pali occorrenti si taglino gli avanzi ad uno stesso livello, riempiendone gli intervalli con frantami di pietra viva soprapponendovi uno strato di carbone. III. G. I. 99; si potrà anche formare un piano di tavole ben unite ed inchiodate sulle teste dei pali. Nelle fabbriche maggiori formasi anche il zatterone, avvertendo di erigerne le fondamenta più addentro del margine della palafitta. 100. PALUDI, da evitarsi per le abitazioni. I. 71; sono per altro salubri presso il mare; guardino a settentrione, ivi 79. Pontine insalubri. I. 83; tentativi, opere, e progetti di varie epoche per asciugarle, ivi N. 1. PANTEON, era il vestibolo della casa Palatina. V. G. VII. 170. La qual casa non era ad uso di bagni, ma di palazzo reale, ivi 174. Sembra non antica la Cappella di mezzo. 175. La stessa posizione del Panteon esclude l'idea, che fosse il vestibolo di quelle terme. 176. PAPPO. V. 33. N. a.
PAHADROMIDAS. Portici da passeggiare. VI. 6r. PARAPEGMI, tavole di metallo sulle quali era figurato il cielo, indicato il nascere ed il tramontare degli astri, ed i varj tempi dell' anno. IX. 5i. e Nota 2. PARASCENIO. Luogo coperto dietro la scena degli antichi teatri, ove si addestravano i Cori, e si conservavano le macchine. V. G. V. 146. PARASTADA, pilastro. X. 66. N. ». PARASTATA, deriva dal greco star in piedi, prestar ajuto, fare spalla. V. Come spalliera. VI. 58. PARETI. Mentre si asciuga l'intonaco greggio si re» goti di ogni verso il piano per l'arenato o prima malta. Vii. Neil' atto dello asciugarsi si dia una seconda, ed anco una terza mano. Formate non men di tre croste si facciano le spinazioni di fior di marmo. Seccandosi la prima si tiri una nuova crosta leggiera di marmo, e questa bene battuta, se ne soprapponga un' altra ancor più sottile. 43- Per difenderle elafi' umidità a piepiano dal fondo del pavimento per 1' altezza di tre piedi si adoperi il cotto. VII. 47- Se 1* umido prevalesse si fabbrichi un' altra parete sottile quanto occorre distante fra di esse; si tiri un canale inferiore al livello dell'appartamento, che sbocchi all' aperto; sino ad una certa altezza si lascino alcuni spiracoli, indi s'investa la parete e si pulisca coli'intonaco. 48. Ove il luogo non permette la seconda parete mediante pilastri di mattoncelli di tegole, si facciano gli sbocchi( all' aperto. 49 41-
PARETONIO. Sostanza minerale bia nca, pingue: si traeva dal regno di Barca in Africa. VII. 64- N. i. Plinio lo crede una schiuma marina e limacciosa consolidata. Era di una estrema bianchezza, e serviva per gì' intonachi, e per preparare i quadri degli antichi. Si suppone anche che fosse una terra magnesiaca. VII. G. IH. 116 Paretonio, città popolata detta anche Ammonia, oggidì Baradun, sul mare, distante 162, miglia dall' Oasi di Aminone. Vili. 54- Nota 5 PARMENIONE inventò il Presta istorumena, cioè l'orologio universale, da potersi usare in ogni parte del mondo. IX. 60. e Nota 4- * PARTENONE, Tempio dorico maestoso IV G. I. gì. eretto da Callicrate ed Ittimo sotto la direzione di Fidia al tempo di Pericle; sussistette intero sino al 1687. ivi 96. Sorge sull' Acropoli tutto di marmo bianchissimo sopra un perimetro rettangolare, il cui lato maggiore è metri 66, 348, ed il minore metri 3o,oi3. si ascende per tre gradini, che formano il basamento, dal quale s'innalzano 46colonne doriche canalate formanti un peristilio ottastilo nel pronao, e nel portico, presentante 1 due lati di 17. colonne comprese le augulori, alte metri 12, 797, e della circonferenza di metri 2,235. i due frontoni delle facciate] ad il fregio che gira intorno alla cella sono adorni di Utile sculture. Anche sotto il portico vi è un fregio di uu mirabile bassorilievo. La cella all'esterno è lunga mtiii 4fi, i43. larga metri 30,4.15 Il pronao, il cui suliitto viene sorretto da sei colonne scannellale, e lungo metri 13,407. Tav. IX. e X. ivi 96. PATER EA, Città. V. G. V. 142. PATROCLO, inventò il Pelecino cioè un orologio a foggia di accetta. IX. 60. Nota 6. PAVIMENTO. Si difenda il tavolato cou paglia o luce dai guasti della calce; indi si tiri al di sopra uno strato di sassi. VII. 28. Fatto lo strato di ruderi vi si mescoli calce; si livelli e si batta. 29. Poscia sopra si stenda il nucleo di tre parti di cotto, ed una di calce. Il pavimento non avrà meno di sei dita di grossezza. 3u; si uguagli. 5i. Spigato di Tivoli; scelti i mattoni bene levigali 31 meli.110 in taglio; fregalo e pulito il pavimento si cribri il marmo, vi si tiri sopra una lorica di calce ed arena. M. Allo scoperto esige maggior esattezza, ivi. Ogn' anno prima dell'inverno se lo imbeva di feccie d'olio. 53. Finalmente si fabbrichino i pavimenti o di tessere grandi, è di mattoni a spica. 34. Pavimento ad uso de' greci invernaceli. Si scava per circa due piedi, e calcato ben bene il suolo vi 'si stende il rudere, o il cotto inclinato sicché metta in uu Canale. VII. 5i. Indi sopra uno strato di carboni calcati, si stende un misto di sabbione, di calce, e di foraggia, della grossezza di mezzo piede; spumatane la superficie, apparirà di un bel nero; dissecca subito i liquidi che si spandono, e non rende freddo. VII. 52. PED1AN0. V. 8. N. 2. PEGASO, costellazione dalla parte opposta del polo rispetto all'Orsa maggiore inferiormente a Cassiopea; e di quattro stelle secondarie disposte iu un quadrilatero. IX. G. IL 114. PEK.1N, città, distanti della quale circa 4o. miglia si trovano cave di marmo bianco. IL G. Vii. i5o. PENOLA in senso di coperchio. X. 5i.
PEiNTALTO. V. G. VI. i63. PENTASPASTO. Vedi Tnspasto. PEPE: Piper di Linneo, diandrici irigynia, che comprende l5o. specie: le più interessanti Sono, il piptr aromaticum, il piper longum, ed il piper cubeha. Proviene dall'Indie orientali e particolarmente dalle Isole di Java, di Sumatra, e dal Malabar. Facilita la digestione, ed eccita l'appetito. Il longum messo in fusione nell'acqua serve »fil' Indiani per le debolezze di stomaco. YU1. fi. ti sta. PERGAMO, la sua biblioteca contava 500,000. volumi; e quella dei re egizi 700,000. VII. 5. Nota 1. PErtlÀTTI: macchine per le decorazioni teatrali. Erano a guisa di prismi posti perpendicolarmente, che col loro volgersi su d ogni l'accia presentavano una scena diversa. V 54 N. 1. PEHiCUNTES, luoghi circonsonanti, nei quali la voce costretta a circoli vagare si spegne ncll incerto significato delle parole. V. 5g e 60. . PERIDKOM/VUI: tra i due portici sudati delle Palestre. V. G. VI. 163. PERISTILIO. Luogo cinto di colonne come il chiostro. V. 82. Luogo ampio ed interno al di là del tablino, cinto di colonne, e queste alte quanto larghi i portici; gli intercolunnj distanti Ira loro né men di tre, né più di quattro grossezze di colonna. VI. 34- INota 3. PEIIO, {Pyrus communis) albero comune in Europa. Giunge a considerabile altezza e grossezza. È legno forte, utile negli edificj. È b%o venato, riceve il lucido, e la tinta nera a segno da rassomigliare all' ebano. II. G. IX. 187. PERSEO. IX. 42' Costellazione a sinistra di Cassiopea; una secondaria in mezzo a due stelle terziarie l'ormano un arco verso l'Orsa maggiore; una fila di stelle continua il primo arco, un'altra forma un arco inverso. IX. G. II. u4 PESCE austrino; costellazione sotto il Capricorno. IX. 46. Comprende una bella stella di prima grandezza. IX. G. II. 118. 'PESCI. Hanno respirazione lenta, perciò meno calorico degli altri animati- I. j5. M. 1. PESCI. IX 43 Risulta questa costellazione da due linee di stelle alquanto tortuose. IX. G. IL 118. PESI Per le uotlà principali si vegga la Tabella I. di riduzione in fine dell' indice. Le altre unità poi si desumeranno da quanto segue: orientali ed Ebrei. 1 summultipli della libbra presso queste nazioni erano: Tctrastater 1/6. di libbra; oncia i/ia; sol 1/20; tetradramma i/?4> didranima i/4&l dramma 1/96; Scrupolo 1/Ì92; danaro J/?4°> obolo tj^ìo; grauo ij%óo8. Vi era poi la dramma fenicia che valeva tre scrupoli, e la tetradramma o siclo fenicio che ne valeva dodici. Greci I Greci dividevano pure la libbra in onde, ciascuna delle quali era 1/12 della libbra. Avevano poi il tetradramma che ne era 1/18; il didrauuna i/3rj; la di anima attica 1/72; la dramma comune i_/cj6; lo scrupolo attico 1/288; il grauo attico i/b'912 N Romani. I suuimulupli della libbra romana. erano
molti. Cominciavano prima dalle undici oncie sino ad un' oncia essendone comprese dodici di queste nella libbra. I nomi di questi erano Deuux di il. oncie; Decunx di io; Dodrans di 9; Bessis di 8: Seplunx di r; Scumsis di 6> Quincunx di 5; Triens di 4> O uadrans di 3; Sextaos di a; ed Uncia. Vi era poi la siliqua di libbra; it sici lico i/48> la sextula 1/7ai il denaro consolare 1/ÌS4, il denaro imperatorio, e la dramma i/yti; ii villoriato 1/ÌÓ8; lo scrupolo 1/288; il grano i/6gia. In quanto ai Pesi moderni si consultino le Tabelle IL e III. in cui sono registrati i più importanti. PESTO o possiamo, antichissima città della Lucania. Il suo tempio di Nettuno "La le colonne rastremate un pò più d'un terzo- III, G. 1. 81. Le sue mura erano ti ua singolarissimo artifizio, formate di pietre stragrandi, squadrate, liscie, disposte e connesse alla maniera dei 1 osca ni. *V. G. II. io3. Gli avanzi di Pesto mostrano die non era di greca derivazione. 106.
PETASMENO, fabbro di Tiro;,inventò l'Ariete da abbattere le mura. X. 78. PETRAJE. Nei contorni di Roma, tra la via Latina, Flaminia, e Cassia, si trovano le Pallieusi, forse Gabbiensi, li Fidenati, le Albane, in oggi dette Peperine. II. 34 ~>5. e note. Le Tiburtiue, le Aiuiteroiue, le burattine resistuuo alle ingiurie dei pesi, e delle stagioni, ivi 36. Le Aniziane nulla soffrono dai gelicidi nè dall'azione del fuoco: ma in oggi non si sa determinare ove siano. 36. 37. Note 3 1. I fonditori di metallo componevano le loro forme colle pietre aniziane. II. 38. PETRIERA, è un piccolo mortaio da slanciar pietre invece di bombe, ma non si usano più che in mare. IX. G. III. 187. a . . PIACENZA:- si conghicttura che Vitruvio abbia dimoralo in essa per lungo tempo. IX. ao. e Nota a. PIANETI: Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, e Saturno sono i sette anticamente conosciuti, i nomi dei quali vennero dagli Egiziani attribuiti ai giorni della settimana, essendosene due soli mutati in Sabato, e Domenica da Papa Silvestro. IX. 25. Nota 1. Fra i Pianeti si conta pure quello da noi abitato; si muovono da occidente verso oriente pel prodotto di due forze, una centrifuga, e 1' altra centripeta. IX. G. II. 91. La forza attraente è anche propria di tutti i pianeti proporzionalmente alla loro massa, per cui si attraggono a vicenda, e trasportando seco loro i proprj satelliti sono attratti tutti dal Sole. IX. G IL 92. PICNOSTILO, tempio, o edilìzio di spesse colonne. III, 37. e N. 1. difettoso qualora le colonne non fieno alle 13. o i5. piedi. 3o. « N 1. l altezza della sua colonna di dieci moduli. 3g. Esempio nella Tav. XVI. piede romano, si divideva in quattro palmi, e questi m quattro dita corrispondenti a tre pollici; sicché il piede si divideva in sedici dita, ovvero in dodici pollici. ,V. gli. N. 1. Vedi le Tabelle dei Pesi e Misure in fine. PIEPIANO, voce comunissima dal planopede di Vi» travio. VII a5. Nota 2. PIE Hi E, da taluni divise in cinque specie: tafi, pietre calcari, gipsee, selciose, ed arenarie. IL G. VII. 128; considerati I caratteri più generali si distinguono in pietre molli, pietre dure, e marmi Pietre molli come sono i tufi da esilarai nella state, e metterle in opera dopo due anni acciò esposte all'aria s'induriscano. Pietre dure sono ruvide al tatto, segnano il vetro bianco, e per lo più percosse dall'acciaio scintillano; couviene impiegarle appena escavale perchè riescono di men dilli ci le lavoro, fia queste le più ai boiidanli sono il quarzo, e la selce. Non si conosce la natura delle pietre, ma dall'esperienza si devono {iretèrire le dure alle molli. 129. iudicj per distinguerne e qualità, Precauzione NEL porle in opera. i3o. Vedi Marmi. PiKTPOBURGO, ne' suoi contorni si trova gran quantità di granito 11. G. Vili. l53. PIETRO, architetto del tempio di Minerva in Priene. I. Si. PINACOTECHE, Testone de' piomarj, cioè ricamatori e tessitori a disegni, e le officine dei pittori: si volgano a stuellinone per la costanza del lume. VI. 4^- • pino, utile nelle fabbriche anche più dell' Abete; nelle opere ali aria ama l'asciutto, dura senza fine sotto l'acqua, ma marcisce ne' luoghi alternativamente umidi, ed asciutti: segni per distinguere il migliore. La specie Pinut Urobus dell'America settentrionale somministra i migli, r: ilben ed antenne da bastimenti. IL 69 N 2 Pini del noni dell Europa migliori di quelli del sud. H. G. IX. 169. PIOPPO, bianco e nero, cresce ne' luoghi umidi; di tre specie: il nero conosciuto anche per pioppo d'Italia è il madore. II 66 N. 1. PliiAYUDE di Ceope nell'Egitto. HI. G. I. 85. PllltCIO o Tirecio, pittore oltremodo distinto di vivande e cose simili, cognominato tifarograib, cioè dipintore di cose sporche. VI. M. N.- 3. PI HI IN ti, contengono del porfido simile al verde antico 11 G. VII. i52. PISA, la sua Cattedrale è adorna di colonne di porfido rosso e verde. H. G. VII. i5a. P ISSO DORO pastore, avendo per caso scoperta la petraja, di cui si coslrussc d tempio di Diana Efesia, ottenne il nome di Evangelo, onori, ed annui sagnlizj. X 3». PISTOLA, è la più corta delle armi da fuoco, m* della conformazione del fucile X. G. IH- 190. _ PITAGORA Samio, coltivò la musica. I 45 N. 3; Rrmonia dei corpi celesti. I. 53. N. 2 Aveva per principio
delle cose l'aria, il fuoco, l'acqua e la terra. Vili. 5. IX. M. PITTURA storica o naturale. VII. 52. N. 1. Pitture froche negli appartamenti. VII. 53. Pitture fantastiche, ivi 4. La pittura serve non solo a dilettazione, ma ben anche a scuola dei costumi. I Romani profusero in questo genere di decorazione. Le sue leggi devono sempre essere nobiltà nel soggetto, e verità nella espressione. VII. G. IH. J3I. Pittura encaustica: La prima maniera si faceva con. cera variamente colorata e ridotta duttile a freddo; nella seconda s'incideva il soggetto, introducendovi poscia i colori; nella terza si adoperavano'cere fuse al fuoco e ineschiate con olio, stendendole a caldo con un pennello, nel qual modo i colori resistevano alle intemperie, e per sino alle acque del mare. i32. Pittura a fresco la più antica, la più durevole, la più spedita, la più degna di ornare i grandi edilizi ; si eseguisce dipingendo sugli intonachi ancor freschi, ed esige la massima celerità. i33. e Nota r. Gli antichi non ignoravano per la pittura l'uso del latte, ma pare che non conoscessero quello dell'olio, il quale monta al 1090. Teofilo monaco del secolo XII. parla della maniera di dipingere ad olio, ivi i35. Si dipinge a tempera cou i colori stemprati nell' acqua di colla, o di gomma, ed a guazzo con i colori bene macinati prima di stemprarli nelP acqua di gomma, ivi. A pastello si dipinge senza adoperare liquidi, con cilindretti preparati di colore. riti. Pitture a mosaico fatte con pietre colorate naturali od artificiali, erano conosciute antichissimamenle. i37 I Romani le usarono solo nei pavimenti, ivi. A niello si tratteggiano incidendo i disegni, e si riempie l'incisione di diversa materia, ivi i38. Tessere i panni a figure detti in arazzo è antica oltremodo. Quest'arte e perduta, come quella di dipingere in vetro, ivi. La pittura detta in lumeggiare si fa sulle stampe con colori sciolti nella gomma- i3g PITTURE delle pareti nelle case de' Greci erano di uno stile puro, e rappresentavano oggetti veri. VI. G. II. xo3. plastica. Arte di far figure di terra per via dell' aggiuugere. I. 52. N. 5. PIATA, fiume eh' esce dalle Cordilliere, traversa il Paraguai dal nord-ovest al sud-est, e ricevuti i fiumi di Paraguai, e di Uragai si porta nel]' Oceano atlantico. VJlI. 33. Nota. PLATANO, orientale, ed occidentale. Il suo legno è pienissimo, compatto, molto duro e pesante, adattato ad ogni genere di lavoro: da raccomandarsene la coltivazione. II G. IX. 186. PLATONE, sua ritrovato per misurare il campo. IX. 7. 8 N.-i. PLINTO, è la parte inferiore della base. III. 29. N. r. PLUTEI, parapetti al margine delle precinzioni nei teatri od antiteatri per riparare gli spettatori tanto dal cadere, che dai salti delle fiere, e dagli urti delle bighe e quadrighe. V. 5o; malamente da alcuni scambiati con i pulpiti, ivi N. 3 PO, è il massimo tra i fiumi d'Italia. Ha tre sorgenti dal monte Viso, anticamente Vesulo nelle Alpi Cozzie presso Saluzzo S'ingrossa coi fiumi Ticino, Trebbia, Adda, Faro, Oglio, Mincio, ed altri molti; nel Ferrarese si divide in Po grande, e Po minore o morto, indi suddividendosi in altri rami ancora, mette nell'Adriatico. Vili. 31. Nota. POGGIUOLO; intorno ai tehipj si ordini in modo, ebe con le sue parti corrisponda al piedestallo delle colonne. III. 5i. Dai Latini si chiamavano mtteniana da Mento il quale nel vendere la casa che aveva nel Foro si riservò l'uso delle colonne, e vi fece sporgere un solaio da dove egli e i posteri poterono osservare i gladiatori. V. 8 N. 2. polare, stella che splende vivissimamente intorno al capo del Settentrione maggiore. IX. 45. e G. II. POLI; Vitruvio li immagina come girelle ai centri di un torno, pei quali il Cirio pervola, giusta il sistema Tolommaicn allora seguito. IX. 22. Nota 3. HOLICLETE Atrumiteno, pittore: non fu celebre benché bravo. III. 4 POLICLETO Scultore. I. 52. Sua celebrità. III. 4. POLA, trattò delle macchine. VII 20. POLIGC^OTO, fu de' primi a servirsi del Sile attico. VII. G III. n3 POL1NTONE, si dicevano le macchine degli antichi da slanciare pietre X G. II. 164. POLIOCEHTK, espugnatore di città. X. 92. N. 3. POLVERE d'archibugio; è un miscuglio di salnitro, zolfo e cai bone. Tabella secondo Hachette della proporzione di questi componenti. X. G. III. iy3. e nota 2, ViTBVno 1M> ICE 6
POMICE o «pugna Pompejana, pietra cosi concott» dai Vulcani Vesuvio, ed Etna. IL M. ponti. Delle avvertenze generali per la collocazione di un ponte parlò brevemente ed accuratamente Leon Battista Alberti Lib IV. cap. 6. così (*): „ Il ponte certamente e parte priocipalissima della strada; ma non sarà ogni luogo comodo a larvi ponti. Perciocché oltre che non è coaveniente lasciarlo fitto in un'estremità d'un rinchiuso cantone per comodità di pochi, ma bisogna che sia nel mezzo del paese pei bisogni dello universale, certamente Si deve situare in sito facilissimo da finirlo con non grandissima spesa, e da sperare che abbia quasi ad essere eterno. Debbesi adunque eleggere un guado che non sia de' pia prolòndi, nè de' più scoscesi; debbonsi fuggire i ritrosi delle acque, gli avvolgimenti, le voragini e cose simili che ne' cattivi fiumi si trovano. Debbonsi ancora principalmente schifare i gomiti delle ripe e gli avvolgimenti delle acque si per molte cagioni ( essendo le ripe certamente in questo luogo molto sottoposte al rovinare la sì ancora perchè i legnami, i tronconi e gli alberi che dalla campagna levati son portati giù dalla piena, non possono passare per essi gomiti a diritto e con cammino espedito, ma si attraversano e si avviluppano impedendosi 1' uno I' altro, ed accostatisi alle pile fanno una grandissima massa, onde riturate le vie, gli archi de' ponti vanno sotto di maniera che tale edilìzio pel pondo delle impetuosissime acque si guasta e si rovina ". Volendo parlare come si dovrebbe di questa specie di costruzioni sarebbe necessario un lungo trattato non proprio di quest'articolo. Ma chi bramasse di conoscere mite le varie forme di ponti fino ad ora costrutti potrà ricorrere alla celebrata opera di Vicbiking . '. Per a'tro avremmo voluto dare una qualche idea in ispecialità dei ponti detti di ferro, o ponti sospesi; ma anche questa forma particolare diede origine a lunghe opere, fra le quali si deve accennare la Memoria di Navier; e tali devono essere per {sviluppare tutti i principi relativi. Sennonché , ammesse le condizioni di equilibrio, ritenuti gli effetti della variazione di temperatura, stabilite le leggi delle ossidazioni e delle vibrazioni longitudinali, richiamate le equazioni delle curve relative, ed assunte altre circostanze siccome dipendenti dalle leggi generali della meccanica e della fisica, si potrebbe ridurre il trattato sul
la costruzione di questa specie di ponti a piccola mole, ed a maggiore comodità degl'ingegneri. Tuttavia non può qui aver luogo nemmeno questa riduzione; e perciò basterà accennare alcuni vantaggi die siffatti ponti hauno sopra gli altri, per cui dalla line del secolo decorso si moltiplicarono dovunque prodigiosamente. L'esperienza dimostrò eh' essi hanno tutta la bramata solidità purché le catene siano della necessaria consistenza, cioè formate di un ferro ben lavorato e senza diretti, e proporzionale all'uso cui devono servire; cose clic si possono determinare a priori. Il dubbio che insorse sulla loro durata svanisce quando si osservi in primo luogo che il ferro preparato nelle dovute maniere dura per lunghissimo tempo, e poi che per la forma della costruzione si rimedia facilmente ai-danni che vi avvenissero, potendo allungare od accorciare le catene, cangiarvi uno o più anelli, e fare con poca spesa e niuna difficoltà tutte quelle riparazioni che nelle altre forme di ponti riescono difficilissime e di grave dispendio. La spesa minore che s'incontra, la facilità nel costruirli, la loro leggerezza, la disposizione a cangiar figura per qualsiasi accidente e riprendere tosto la figura primitiva senza alterazione alcuna nella consistenza, il poter estendere le catene a qualunque distanza quando sia dato innalzare a sufficienza i sostegni delle loro estremità, il breve tempo necessario a metterli in opera; tutto ciò farà sì che i ponti sospesi debbano generalmente preferirsi a quelli di qualsiasi altra maniera. E non solo questa Specie è la più economica, ma la sola che si possa adottare per la comunicazione fra due montagne che racchiudano una profondissima vallata La sagacità però dell' ingegnere deve sempre predisporre ogni cosa per la massima economia, potendovi essere qualche caso speciale in cui sia da preferirsi qualche altra maniera di ponti, benché questo caso sia raro. PORFIDO, minerale durissimo, in cui sono disseminate in gran copia piccole parti di cristallo angolose, e granuliformi d' un colore diverso di quello del tondo. IL G. vii. Ho. I più belli si traevano dall'Egitto. — Porfido rosso antico, di una pasta petrosilicea rossa, bruna o violacea, -- Verde antico, e serpentino; la sua massa è un M. dispato, unito ad amfìbolite; presenta molte varietà. La Corsica, i Pirenei, la Svezia ne hanno simile all'antico. Occhio di pernice; ha una pasta grano" d un bigio bruno punteggiata di parti feldispaliche bigiccie, e contiene molte lamine di mica. i5a. PORPORA, rossa, e bianca; purpurea rosa, ed inclinante al «eruleo, Vii. j5. K. i. Vedi Ostfo -- Porporiaso
si faceva con creta e porpora, ivi. I colori purpurei ri formavano anche con creta, robbia, ed isgino. ivi -6. Dal vaccinio bollito e pesto nel niorl.i]o mescolandosi del latte gli antichi ricavavano una porpora elegante ivi 77. Il pregio principale della porpora era di variar il colore, ed i drappi acquistavano una straordinaria lucentezza, in cui il colore mostravasi a seconda della rifrazione della luce, ivi G. III. no I naturalisti danno questo nome ai testacei univalvi; il loro colore è bruno, bianco, o giallo eoo le loro gradazioni. Adanson dice che gli antichi la traevano dal Kaian fra gli Strombi Cuvier e Rondelet concbiudono che la cavassero dal Mttrex brandaris. ivi ili. Porpora, famoso colore degli antichi; resta dubbioso determinare qual fosse, ivi G. IV. 1^1. Secondo le regioni assrgna anche Aristotile I diversi colori alla conchiglia della porpora, ivi 142. Polluce, e Plinio indicano porpora di varie tinte, ivi. Le lingue antiche chiamavano purpurei, oggetti differentissirui di natura, e di colore. i43. L antico libro da Simone Porzio pubblicato in Firenze nel stabilisce purpureo essere il rosso pel suo aspetto sopra tutti vivace. i45. Porpora fittizia di più colori. 146. L'aotica aveva un fulgore molto più vivo della porpora moderna. i4<). Era di grande dispendio. i5o. Codice dei bassi tempi che tratta della porpora I5I. Indagini per ricuperare la porpora degli antichi ivi. La Conchiglia di Caria somministrava la porpora per le pareti. i5a. PORTE: di tre generi, dorico, jonico, ed attico 0corintio Porta dorica. La sommità della corona sopra lo stipile superiore sia a perfetto livello colla sommità delle colonne, che sono net pronao IV 54; rapporto della luce della porta con l'altezza del tempio dal pavimento li u. cunarj. 56. N. 4- Restringimento delle porte: 57. f 5-Sopra la cimasa dell'architrave si collochi il sopraflronte grosso come l'architrave, con la cimasa dorica, e l'astragalo lesbio 63; per ultimo la cornice piana colla cimasa, il cui sporto eguagli l'altezza dell'architrave. 63. Porta fonica. •-La luce come la dorica. L'altezza si divida io due parti e mezzo; di una parte si faccia la larghezza inferiore della luce La grossezza delle erte, abbia la decimaquarta parte dell'altezza in fronte. Il sopraffronte come il dorico. IV. 65 Le cartelle o mensole pendano a livello dell'estremità inferiore dell'architrave, ad eccezione delle fogìitGli Torte di legno -- Si congiungano in modo, che i cardinali sieno ì/ia di tutta l'altezza. IV. 66. e N. 2. Divise le altezze in 5. parti, due si assegnino aM'impig» di sopra, tre a quella di sotto 67. Porto bifore valvate e quadrifore. 68. uella Nota. nelle valvate le alteazo r»W>» le medesime, ma per largo si aggiunga la larghezza di una porta: se quadripartite si aumenti l'altezza. 70. Porle attiche, come le doriche. Inoltre negli stipiti sotto le cimase si descrivono all'intorno le fasce, che saranno larghe 2/7. degli stipiti (toltane la cimasa). Queste porte si fanno valvate con le aperture al di fuori. Porte dei Tribuni di Roma sempre aperte. VI. G. II. to4- Nelle case romane si aprivano all' indentro, ivi. Tuttavia per un' eccezione a titolo d'onore fu, concesso a Lucio Valerio Pubblicola, ed a suo fratello di avere le porte che si aprissero pei" di fuori, ivi. Aveano dei mallei per picchiare, ivi io5. PORTI naturali, od artificiali. Dove vi sieno curvature e recessi formati dalla natura riescono utilissimi. sie- no all'intorno degli arsenali nel piano elevato ed inclinato al mare ove si costruiscono e si calafatano le navi; ed inferiormente al livello dell' acqua per ricevere le navi da racconciare. V. 88. e N. 1. Per costruire un Porto artificiale si piantano delle arche fatte di travi, validamente chiuse e collegate a forti pali; si vuotano e purgano dal fango, poscia si riempiono di cemento per due parti di pozzolana e per una di calcina 90. Se l'impeto delle maree impedisce questo modo, si fabbrica un letto di rottami, ed arena con la metà esterna in declivio; al contatto dell'acqua e dei fianchi s'innalzano dei margini un piede e mezzo a livello del piano; con arena si pareggia il pendio al piano del letto; sopra vi si costruisce una pila dell'occorrente grandezza; allorché è bene asciugata si taglia il margine acciò i flutti asportino l'arena, e cadendo la pila nell'acqua presenta ivi il necessario appoggio. 91. Dove non si ha pozzolana, fra le arche s'immerga della creta entro sporte di alga, e si calchi sicché riesca una massa durissima. Si asciughi e si purghi il luogo designato; si scavino le fondamenta più grosse del muro da erigersi, e si empiano di muriccic con cemento di calce ed arena. Ove occorresse si consolidi il fondo con pali di alno, olivo, o di rovere abbrustoliti, e riempiasi di carboni. Sopra si tiri il muro di pietre quadrate con giunture più larghe che sia possibile. Sì imbonisca l'interno del muro con rottami, e sopra vi si potrà edificare anche una torre, ga. PORTICI, da costruirsi ampi e comodi dietro le scene. V. 61. Portici Pompejani, i cui avanzisi veggono tuttora verso il campo di Flora in Roma; Eumenici in Atene. V. 60. intorno ai teatri nella larghezza devono essere doppi; abbiano le colonne esteriori, gli architravi, gli altri ornamenti dorici. 64- 65. Le colonne di mezzo sieno di genere ionico o corintio, un quinto più alte delle est** Ami 66. Proporzione dei colonnati nei portici. (ile Gli"
86 • t w n i e E > spazi che rimarranno a cielo .-coperto fra i portici si debbono ornar con verzure. 69. Per rendere asciutti questi passeggi si facciano cloache l'onde struttili, con tubi che ricevano le acque; e si riempino que' luoghi di carbonecoprendoli poi di sabbione si appianino. 70. I portici ergevano anziché venire cinti dalla Palestra. V. G. VI. 160. In quella di Efeso corrispondono ai due Sladj Vitruviani. ivi. Il Portico doppio nelle Palestre di Efeso, di Alessandria nella Troade, ed in Jerapoli pare che fosse nella parte davanti, e non secondo Vitruvio. ivi. Portici stadiali, perchè in essi si facevano gli esercizi, non perché fossero funghi uno stadio. V. G. V. 162. Portico Persiano I. Ifi. Corintio di Settimio, le cui colonne alte 3j. piedi hanno la rastremazione nel rapporto di 1: 4- *~r ' Hl POSI DOMO, ricorda i mattoni galleggianti di Calcato e Massilva. II. a3. N. 1. Stoico, tu amico di Pompeo, di cui si hanno molti scritti Vili. 58. e N. 1. POSTSCENIO, parte del Ti mele sotto la scena, ove stavano i Suonatori in vicinanza dei Coristi. V. G V. 141. POTEREO, fiume fra Gnoso e Gortina: ammalarono di milza gli animali che pascolavano presso Gnosu, e non quelli della parte di Gortina, in grazia dell' erba Aspleuon. I.^g; Scolopendria. Pianta capillare, pettorale raddolcenti. ivi N. 1. POZZI; nello scavarli si badi *di non esporre quelli che v'entrano ad essere soffocati dalle interne esalazioni, alle quali si facciano a destra, ed a sinistra degli estoni Vili. Vi. eseguita l'escavazione e trovata l acqua si *0 cerchi il pozzo di muro onde non si otturino le vene iri Ove non si rinvenga acqua, la s raccolga dai tetti eìuoghi superiori; allora si misturi il cemento con tiramenti di idee, con calce potentissima ed arena pura ed aspri, e si calchi bene alle pareti della fossa sino al livello all'altezza; si vuoti il terreno che restasse in mezzo, e dello stesso cemento si calchi bene pure il pavimento. Se questi luoghi saranno doppi e triplici, trasmutandosi l'acqua ne diverrà- più salubre; dove non depositasse bene il la» go sarà necessario mettervi sale, e purificarla. 77. POZZI forati, sono antichissimi; vennero indicatili» , Seneca nelle questioni naturali. VIII G. I. 85. Cosi oocbe Fozio tra i frammenti delle Istorie di Olimpiodoro. in' He esistono m-U' Artois, dal che si dicono artesiani, nel Modenese, nella Bassa Austria, nel Piemonte, in Toscana. 88 ed 89. Un pozzo foralo è un'uscita artifiziale in effetto, qual fosse da natura preparata; il successo dipende che il paese sia composto da strati impermeabili separali da strati permeabili, cosicché la minor probabilità sta pei I terreni compatti, ivi g3. Ut-gole per forare i pozzi, e stromenti necessarj 107. e Fig POZZOLANA, da Vitruvio detta Bajana, e Cumana. II. ig. N. 1; sua origine dai fuochi vulcanici, ivi 3o; è il prodotto di terre e pietre argillose e calcari cotte nell'interno del vulcano. Si trova nel centro dei Monticelli vulcanici, ed in tutte le Provincie che furono vulcanizzate. II. G. VI. ia3; suo colore, ed analisi. Produce cemento della massima solidità. S'impiega particolarmente nelle costruzioni idrauliche. ia4; modo di adoperarla nei vari casi. ia5; ragione del pronto indurarsi, ivi. Artificiale: terrazza di Olanda, cenere di Tournay; la migliore sarebbe quella di argilla cotta e ridotta in polvere. 126. 127. . POZZUOLI, i Piloni di Caligola sono ivi ancora saldissimi e resistono alle onde li. G. HI. io3. PRASITELE, celebre scultore greco. VII. 17. PRATI, esigono-molta cura e studio di Botanica per la loro formazione; quasi niuiia per la loro conservazione. vi. G. ni ,35. PRECINZIONI, ripiani che nei teatri si trovavano dopo un determinato numero di gradini. V. a5. N. 2. PRAELUM Prelo, abbreviatura di premulum da premo; trave o stanga nel torchio con cui si comprime. Lib. X. C. Nota 3. -% PREOTTURARE, per otturare anticipatamente. X. 3r. PRIENEi città della Caria; la stessa che Palazia. IV. *. N. 5. PRINCIPI dei corpi, composti di calore, di umore, di terra e di aria. I. 74. 'ja chimica ora n' obbliga a ritenere indefinito il numero dei principi elementari ivi N. r. Alli quattro più comunemente dagli antichi fissati col metodo filosofico d' oggi giorno si può dare il carattere di quattro classi, cioè delle sostanze imponderate, gazose, liquide, e solide. TI, G. II. go.
PROBITÀ', virtù necessaria all'Architetto, e raecomandazionc per la stessa in ogni occasione de' lavori. IL G. IX iSg. profilo, in architettura è l'unione delle varie modinature coi membri essenziali; difficilissimo; richiede una lunga pratica; il profilo mostra sovra tutto il vero gusto dell'Architetto. Avvertenze per ben profilare. III. G. III. io5 La rozzezza, e la leggiadria dei profili segnano particolarmente 1' età dei monumenti IV. G. I. g5 PRONAO, spazio fra le colonne e la porta del tempio. IV 75. PROPILEO. Vestibolo dinnanzi al tempio, ed alla regia.
PROSPETTIVA. VII .3. e Nota i; era conosciuta dai Greci e dai Romani. VII. G. I. 8a. Lineare offre le regole per la diminuzione degli oggetti delineati nella proposta distanza: aerea, dà le regole per la degradazione del colorito negli oggetti medesimi. VII. G. I. 83. Indispensabile alle arti del disegno ivi. PROSTAS. Spalliera di casamento. VF. 58. PRO l'HlKA, chiamano i Greci i vestiboli davanti alle porte, ed i Latini con questo nome intendono quelle cose, che io greco diconsi diathira, cioè antiporte. VI. ti, PROVINDEMIATOKE, stella dai Greci detu Protrygeton perchè più scintillanti, delle alto"; si appoggia 90«pra l'omero destro della Vergine. IX 41 PSEUDISODOMA, struttura greca, in cui gli ordini dei corsi sono disuguali, come si vede negli avanzi delia Stoa o Portico in Atene. IL 44- Nota I. PSEUI>OUIJ.BANE. Casini di campagna, luoghi di delizia. Raccomanda Vitruvio per queste'eguali considerazioni che nella costruzione delle case di città. VI. £8. nota 3 e 4P PUBBLIO SETTIMIO aveva lasciati due libri sull* Architettura. VII. ai. PULPITO nel teatro, qual è il nostro palco scenico, alto 5. piedi. V. 44 PDNICEOS, il color purpureo, perchè si attribuisce l'invenzione ai Fenicj. VJL G. IV. ilfi. N. i. Q QUADRA, parte inferiore della base. III. 5t. S. f, comunemente listello o filetto che separa gli altri membri, dai Greci detti trochilon; sarà la sesta parte del membro, cui appartiene, ma nell'ordine Jonico la settima. III. 55. e N. i. QUADRATARJ degli antichi, sapevano tagliare esattamente le pietre. IL G. Vili- i63. QUADRATO, muro detto anche squadrato, perchè le pietre che lo formano sono tagliate esattamente, e si coljegano anche neh" interno con uncini di ferro o di piombo. IL 45. QUADRO degli effetti dinamici dell'uomo. X. i35. QUERCIA, nelle fabbriche sotterranee non ha fine; l'Ischio utile negli edifizi, ma si guasta nell'acqua. II. 64. 65. Molte sono le specie di quercia; le principali sono: la elee leccio ( quercus ilex; ciie conserva le foglie sempre verdi, e la quercia bianca che in autunno le perde (quercia lati/olia); nella costruzione di ratti e robusti e dilic) la quercia da preferirsi ad ogni altro legno. li. 63. V. 3. QUOSSEYR, valle dal Nilo al Mar rosso; somministra la celebre breccia detta d'Egitto, ed anche universale. IL G. VII. i5o. R RAFFINATEZZA soverchia, condannata da Vitruvio; quello stile manierato, sopracaricato, volgarmente barocco. ÌV. 16. N. 2. RANE: la ruggine verdastra che si forma nei vasi di rame è venefica. VII. G III. 121. La sua limatura serve a tingere in verde. La soluzione di rame con l'aminoaiaca dà un bellissimo colore azzurro. 122. RAMNUNTO, antico borgo nell'Attica, in cui gli avanzi del Tempio di Temide nel recinto di quello di Nemesi. IH. 16. nella Nota.
RASTREMAZIONE, od affusotura delle colonne; regola per ottenerla nei vari casi, 111. G. I. 80; in quattro forme: ima. conica dalla base ali» sommità; 2da. cilindrica sino alla terza parte della colonna, indi conica sino al sommoscapo; 3za. di due coni uniti fra loro con le basi maggiori, 1° uno avente la terza parte della colonna, 1' altro gli altri due terzi; 4ta. quando il contorno non consta di linee rette, ma di curve che vadino restringendosi dall'imo al sommo scapo. III. G. I. 87. RAVENNA, città salubre per la sua vicinanza al mare. I. 81; il sepolcro di Teodorico formato di porfido. IL G. VII. i5o. RAZZE, raggi delle ruote da carro. V. 3i. N. 2. RAZZI aliti Congrève. X. G. III. i83. Nota. REGOLARITÀ' misurata, è frutto di molti secoli, • mostra l'esattezza, non la sublimità dell'ingegno. TI, G. III. 127. RENO, fiume che scorre sempre tra la Francia, e la Germania; sorge dalle Alpi Rezie, riceve molti fiumi, e si getta nel mar di Alemagna. Vili. 21. Nota. REPLO od orlo; nelle porte sarà largo due terzi dell'impage. IV, 67. nella Nota. RETICOLATO. Muro formato con pietre piramidali a base quadrata; l'interno si riempiva con rottami. IL 3IJ. Nota 1. R1COCHET (battere a), cioè tirare di volata in guisa, che le palle vanno a cadere dietro al parapetto, dove
facendo diversi balli nuocono agli assediati; sì può dire a rimbalzo. I. G. III. >45 N. 2. RISEGA, assottigliamento di piano in piano dei muri. IL G. VIII i64. RITMO, comune a' musici, ed a' medici per l' andamento dei piedi agli uni, e per la battuta delle vene agli nitri. I. 53. roano, cioè rovente, dicono i villici veneti al colore di fiamma dell' uva alla metà della maturezza. "VIL G 111. «a N. i. ROCCIA, massa minerale bastevolmente estesa. I. Orli. 127. RODANO, fiume rapidissimo che ha la sorgente nel monte S. Gottardo poco distante da quello del Reno e del Ticino; separa la Savoja dalla Francia; circa cinque leghe dopo Genova si perde fra terra, e risorge presso il castello di Michaille; presso ad Arie* si divide in due rami, l' occidentale si suddivide in altri due, e si precipitano tutti nel Mediterraneo. Vili. 21. Nota. ROMA, possedè colonne, statue, ed urne di porfido. II. G. VII. 15r. 11 suo suolo sofferse molte alterazioni. V. G. VII 170. ROMANI, sino all'anno 170. della sua fondazione avevano i tempj senza alcun simbolo di divinità. IV. 53. N 1. RUBIA, pianta che si coltivava nei sobborghi di Roma; molto usata dai tintori in lana, e dai conciatori di pelli. I Greci la chiamavano Eritrodano, ed è la rubia tincloria di Linneo. VII. G. 3. 123. RUBRICHE, terre rosse. Le ottime si avevano dal Ponto, da Sinope, dall' Egitto, dalla Spagna, dalle Baleari, ed anco da Lemno. Si usavano nelle pitture monocromate, cioè di un solo colore, ch'ora si dice chiaroscuro. VII. 63. e N. 2. ocra rossa; argilla ocrosa, rossa come la terra di Lemno. VII G HI. n5. RUDERAZIONE. In dialetto veneto rovinaccio, nel friulano rudinaz: rottami delle rovine degli edifici. V. 92. N. 1; formata di calce, arena, rimasugli di fabbriche col nucleo di mattoni pesti. VII. 25 e Nota 1. RUOTE da macinare; all'intorno delle loro fronti h*nno certe pinne, che percosse dall'impeto dell'onde spingono in giro la ruota, all' asse della quale si congiunse un timpano dentato, che s'aggira perpendicolarmente. U« altro maggiore pur dentato se ne colloca in piano, dal quale è contenuto l'asse avente all'estremità del capo una spranga di ferro, che tiene a dovere la ruota; e questa per tale comunicazione di movimento gira, e riceve dal soprastante infoudibulo il grano, e lo macina. X. 45. .jò. RUSSIA, offre molte varietà di diaspro, il G. VII. i55. RUSTICO, non si può dire ordine di architettura, non essendone che un rozzo principio; tuttavolta può convenire alle porte delle città e delle fortezze, nelle prigioni, negli arsenali, nelle ville, e più ancora nelle fabbrichi sulle spiagge del mare. 1Y. G. V. i35. 's SABBIA, ammasso di particelle silicee, o quarzosa, ruvide al tatto, insolubili, scintillanti alle percosse dell'acciaro, vetrificabili. II G. IV. 107. Sabbia terrestre, e marina; questa difficilmente si depura dalla selseggine; la prima si ottiene dalle cave, o dai fiumi; la migliore sarà quella escavata dai fiumi, o torrenti dove le acque scorrono con maggior celerità, ivi 109. no. SABBIONE, maschio di Vitruvio da supporsi del genere delle argille. H. ao; il sabbione maschio del Rusconi, che si trova nei colli trevigiani, mostra essere quella creta cinericcia detta volgarmente leza. ivi Nota. SACOMA, presso i Greci era il contrappeso, che si appende all'asta della stadera. IX. n. Nota 3. SAGITTARIO, costellazione alquanto all'oriente di Antareo; risulta di un trapezio obbliquo, sopra il quale un altro trapezio piccolissimo forma la testa del Sagittario. la, G. II. n7. V SAGUNTO, città. V. G. V. i35. SALAPIA, antica città della Puglia; per oggetto di sa. Iute pubblica fu da M. Ostilio trapiantata vicino al mare. I. 83. SALCIO, di tessitura debole; i botanici ne hanno descritte ben cento specie. II. 66. N. 2. SALMACIDE, fonte in Alicamasso, chiarissimo, • di egregio sapore, al quale per falsa opinione si attribuiva la proprietà di suscitare gli appetiti venerei. Il 5i.
SALUBRITÀ' del sito per fondare gli edifizj. I. 69. e N. 1. SAMBUCA, istromento triangolare dei Greci. VI. t3. SAMO Isola del mar Icario, detta anche Partenia e Ciparissa, patria del Poeta Callimaco, e celebre pel culto a Giunone. • SANDARACA. Vi era una miniera ottima nel Ponto presso il fiume Ipani. Tra i confini della Magnesia e di lìfeso si trovava preparata e molto sottile. 11 »uo colore dal giallo passa al rosso secondo il grado dell'abbruciammo. Tu, 65. c N. a. La ai trovava nativa a Tale isola del Mar Rosso, nelle miniere d' oro e d'argento; era l' arsenico solforalo della varietà rossa; il suo colore era di fuoco. La si contraffaceva con la cerussa calcinata. VII. G. III. ir6. SAN DICE, si otteneva abbrustolandola sandarac* naturale assieme alla rubia, e si aveva uno colore bruno. L'erba che dava il rancio del sandicc era forse il zaffrone carthamus tinctorius. VII. G. III. 126. SANGUISUGHE, forse utili a far la porpora. VII. G. IV. i5o. N. i. SAN LORENZO, fiume che sorge dal lago Ontario, dal sud-ovest scorre al nord-est, attraversa il Canada bagnandone Quebec capitale, e si scarica nell'Oceano atlantico. Vili. a3. Nota. SAR, pesce dei Fenici, utilissimo alla porpora. VIL G. IV. r5o. N. 1. SARNACO, lasciò precetti sulle simmetrie. VII. 19 SASSONIA, presenta delle masse di basalto di origine acquea. IL G. VII. 157; lo usano per fare i pestato) che servono a polverizzare il quarzo, ivi. SATURNO, fa il suo giro in 29. anni e 160. giorni circa. IX. 29; è il Pianeta più distante dal Sole che conoscessero gli antichi. La sua rotazione si fa in dieci ore ed un quarto circa. E schiacciato ai poli ed elevato all'equatore. Benché il suo volume sia 974. volte quello della terra, pure in causa della sua distanza ci riflette una luce pallida e biancastra. La sua superficie è segnata da alcune fasce parallele al suo equatore simili a quelle che si veggono sul disco di Marte e di Giove. Il suo anello lo distingue da ogni altro Pianeta. IX. G. IL io5. Le apparenze di questo anello vanno restringendosi finché scompariscono, e si rinnovano in un periodo di circa i5. anni. In quest'anno i832. non si vede, come non si vedrà negai anni 1848. 1862. e cosi in seguito. Saturno è seguitato da sette satelliti, de' quali si veggono alcuni più, alcuni meno, ed hanno la rotazione e rivoluzione loro particolare ivi 106. SCALE; quanto sembra facile è altrettanto difficile questa parte di edilìzio. Dalla forma, le scale presero vari nomi; ma, ove non osti il sito, sarà da preferirsi sempre la forma rettangolare. IX. G. 1. 73. Abbisognano le scale di comodità per comunicazione facile col resto della fabbrica, e per buona proporzione fra la base e la loro altezza, la quale non continui troppo con una sola branca, e vi sia un bel lume di solidità, clic si ottiene con la squadratura delle pietre, con la diligenza nel collocarle, eoa la precisione nelle commettiture, e coli' esattezza nelle va. te*, di bellezza, la quale dipende dalla proporzione fra le sue parti, ed il complesso del fabbricato, ivi 74- Il sito più opportuno è il mezzo della fabbrica, e si consiglia di prescegliere il lato destro, ivi ^5. Vitruvio stabilisce il rapporto di 4: 3. tanto fra le due dimensioni dei gradini, quanto fra la larghezza ed altezza di tutta la scala; ma vi si presenta l'inconveniente di dover movere due volte il piede sullo stesso gradino, ivi 76. Esaminata l'altezza del passo umano saliente, e trovata eguale alla metà del passo orizzontale, si stabilì la regola, che la larghezza lini ta al doppio dell' altezza costituisca sempre nel gradino una somma equivalente all'ordinario passo orizzontale, eh' è di metri o. j5. IX. G. 1. 79. Quindici o venti scalini comporranno il braccio meno incomodo di una scala. Per giungere ai piani superiori si costruiscono scale particolari, ivi 82. Modo d'illuminare la scala 83. Gli ornamenti nulla aggiungono alla vera bellezza di una scala, cosicché la pittura e da escludersi; i marmi incrostati sono di sovrana magnificenza; le Scolture si considerano le più convenienti. 84- In esse ed in tutto deve la verisimiglianz.i lasciare la sua impronta, ivi 85. SCALMO; legno tondo, al quale i marinai legano i remi. Interscalmo, spazio fra due scalmi consecutivi. I60. N. 3. SCAMILLI impari. Non si sa precisamente che cosa fossero. III. G. V. i33. Varie opinioni, ivi. Selva argomentò esser quadrelli o lastre ineguali da costituire un piano inclinato. i36. Palladio nel Lib. IV. cap. 38. sospetta che fossero zoccoli, che a guisa di gradini sopra lo stilobato eguagliassero il piano del portico. Forse erano tre o cinque pianuzzi degradanti, i quali segnavano la separazione del vero stilobato che sorreggeva la colonna dalla parte del poggiuolo chiudente inferiormente l'intercolunnio. i44
SCANNELLATURE. Vedi Stri*. SCAPO ( gambo dell' erbe ), fusto della colonna; imoscapo la parte inferiore verso la base, sommoscapo la parte superiore verso il -capitello della colonna. III. 39. e N. 1. In proporzione degli spazi s'ingrossino gli scapi. III. 4° scena: tanto lo stabile prospetto del teatro ornato di colonne, quanto le tele dipinte con le decorazioni occorrenti alle varie rappresentazioni. V. 5i. N. 1. Come decorazione è di tre generi: tragico, comico, e satirico. V. 55. 56. Decorazioni versatili che si girano intorno a se stesse; dattili, che si tirano in alto. Pare che gli antichi nelle scene mai rappresentassero l'interno delle case. y. G. v. ,44. SCENOGRAFIA, i 58. N. 3. SCIATHERAS in greco, cioè gnomone indagator dell'ombra. I. 99. SCIENZA ENCICLICA, cioè universale. I. 5t. N a. SC1HONE Maestro; 8°. vento della torre di Atene. Del nord-ovest È il più asciutto che spiri in Atene, freddo estremamente nell' inverno, impetuoso e dannoso molto nella state. Viene espresso in aria languente con un vaso da fuoco, dal quale sta per ispargere carboni ardenti, e cenere. I pi N. 1. SCOLA. Nei bagni era uno spazio intorno al soglio, o l'alveo per le persone che attendavano di entrar nel bagno, e conversavano con quelle nel bagno. Anche luogo ove s'imparano le scienze, o dove si ragunano alcuni corpi, o collegi. V. 80. e Nota. SCOPA Siracusano, nel mausoleo léce le sculture al lato orientale: VII. 17. Inventò il pliulio ossia lacunare pegli orologi solari. IX. 60. SCOP1NA di Siracusa. I. 55. forse Scopa, il quale inventò uno speciale artificio nella gnomonica, ivi N. 6. SCORPIONE, costellazione in lìgura d'arco convesso verso la Libbra formato da quattro o cinque stelle. IX. G. IL 117. scorpioni, macchine antiche militari da scagliare saette. X. 65; erano le più piccole e le meno efficaci delle altre, e si chiamavano così per una qualche somiglianza con lo scorpione. X. G. III. 164. Si chiamavano a nelle Castrafete perchè si appoggiavano al ventre, ivi i65. SCOZIA, Modanatura nella base atlicurga. III. 55; nella base jonica due sono le scozie, ciascheduna co suoi astragali e listelli a/ai. del diametro della colonna. HI 5j, Modo di eseguirsi e sua fig. 6. Tav. XXV III. G. 111. 109. scrollare, in veneziano sgorlar. II. i5. N. 1. SCULTORI e Pittori, se oltre il merito non hanno fortuna, non conseguiscono celebrità. III. 4 SECT1LIA, pezzi piccoli di pietra pei pavimenti a terrazzo od a mosaico. VII. 3o. 4 SEGESTE IV. G. I. 91. SELINDSIA, creta color del latte, che si scioglie facilmente nell'acqua, e serviva alla preparazione dell'indaco. VII. 77. N. 4. SERVITÙ'. Loro derivazione. I. G. I. 116; urbane arti rustiche 119. SETTENTRIONE, dai Greci chiamato Anton ed anche Elicen. IX. 4o- e Nota 3. SFERISTERIO. Luogo di forma rotonda per gli esercizj e giuochi con diverse specie di palle. V. G. VII. 177» SIBERIA, offre del granito gralico e del diaspro a fettuccie. TI. G. VII. i54- È ricca di diaspri specialmente primitivi ivi. SICILIA. Somministra lumachello bigio. IL G. VII. ■48. Granito grafico. i54i molti diaspri e più variati che altrove. i55. SICILIA, isola dell'Italia di forma triangolare; ha seicento miglia di circuito; Palermo n' è la capitale: divisa in tre valli; in quella di Demona è il Vulcano Etna. VHL 4i. N. 5.
SIFONI, loro teoria applicabile alla scaturigine dell* •eque. Tav. IL Lib. Vili. g3. N. i. SIGLE, usate da Viiruvio per esprimere le proporzioni delle macchine; tabella delle loro interpretazioni. X. G. III 167. SIGN1NO, cemento di calce e polvere di mattoni cotti; così detto dalla città Segni; corrisponde all'odierna calcistiuzzo TI. 26. N. 1. SILANIONE, dettò precetti di simmetrìe. VII. 19. SILI*), artefatto con viole bollite, spremute in un mar. tajo e triturate con creta eretria. VII. 77. Davano questo nome i Latini all'ocra dei Greci, e significa terra gialla. Se ne trovava di rossa in Ce», ch'era la migliore di tutte, ed in Cappadocia, la quale portata in Sinope acquistava il nome di quest'ultima città ch'era nel Ponto. Il Site era un fango od una belletta che si trovava nelle miniere d'oro, e d'argento. VII. G. III. n5. SILENO Architetto, aveva pubblicato un volume sulle simmetrie doriche. VII. i3. N. a. S1MMETIUA, proporzione delle parti rispetto ni tutto. I. 56. N. 1. — 60. Corrispondenza fra le parti del corpo umano. IH. 10. N. 4 SINAI, monte; ha un marmo della specie dendrite.IL G. VII 49. S1NECUNTES, luoghi consonanti, ne' quali la TOC* ajuUta dal fondo ascende crescendo ed entra nel!' orecchia con cliMiissiuia distinzione di parole. V. 59 e 66. S1NOPE, città nel Ponto, e perchè ivi si trafficava nonnnavasi cosi una terra di tre specie, una rossa, l'altra biancastra o rosso pallido, e la terza di un colore intermedio: la si aveva dati Egitto, dall'isole Baleari, dall'Africa, ma la più bella era quella di Lenino, e della Cappadocia. VII. G. HI. n4 Quella delle miniere di ferro ia Egitto e d'Africa era la più utile ai tintori, ivi sci. SIN'OPLE; i mineralogi chiamano così un quarzo favolino, rubiginoso, ematoidc massiccio, d'un bel rosso. Si trova nelle miniere e si converte in una terra ressa. VII. G. ni: 115. » S1STIL0, ed i fi zio con colonne alquanto allargate, cioè due diametri d'intercolunnio. III. 37. e N. 2. Difetto m questo genere di edifizi se le colonne non giungono in altezza ai dodici o quindici piedi. 3o. N. I; la sua le Aoun* sarà di nove moduli e mezzo. III. 5o. Esempio nella Tavola 17. SISTO V. s'interessa per asciugare le paludi Pontine I. 8a. N. 1. SOBBOLIRE, i Veneti sobboggir; quel fermentare che induce la putrefazione. IV 77. N. a. SOCRATE, dichiarato sapientissimo dall'oracolo di Selfo; avrebbe desiderato che i cuori degli uomini avessero dinnanzi una finestra. III. 3. SOLE, a seconda della latitudine geografica influisce sulle proprietà delle piante e degli ammali. VIII, 45; in un mese percorre lo spazio di un seguo del zodiaco. IX a6. Il sole co' suoi raggi fa rovente l'etere che gli sta sopra, ivi 33. Equinozi e Solstizj secondo gli antichi. IX. 3^; secoudo i moderni, ivi Nota a. Erano dai Romani segnati neh" 8°. grado della rispettiva costellazione a causa delle feste che cadevano in que' tempi, ivi 38. Nota 2. Secondo il moderno sistema il Sole è animato soltanto di un moto di rotazione da occidente verso oriente; del resto si ritiene che sia immobile nello spazio. Gli fanno corona diversi globi opachi, visibili purameute pel riflesso della sua luce, i quali sono animati dal moto di rotazione, che li obbliga a descrivere una via curvilinea intorno a questo. G. II. 91. 11 sole fuori del nostro sistema phaeuho deve presentarsi non diverso di quei punti sdnuiJaau, che si chiamano stelle, ivi 111. SOLI, castello della Gliela; ha il fiume Lipari untuóso Vili. 35. SOMMA conviene con Vitruvio del quadrato che si ha dalla figura dell'uomo. III. 11. N. a SOLITARIO, piccola costellazione sotto il bacino australe della Libbra. IX. G. IL lao. SOLOME, sancì la legge che un figlio non fosse obbligato di alimentare il suo genitore quando questi non gli avesse fatta apprendere un'arte. VI. 5. Nota 1. SOPRAPPOSIZfONE degli ordini in architettura, deriva dal bisogno di moltiplicare le abitazioni sopra la
medesima area V. G. II. io3. I Greci di ciò non ue lasciarono esempio se si eccetui l'interno dei tempi ipetri. 10&. Quando è indispensabile soprappvrre gli ordini, convien togliere agl'interiori la cornice. Dal tornino scapo delle colonne inferiori si regoli l'uno-s<:apo di quelle di sopra, e stiano tutte nella stessa verticale. La loro rastremazione si proporzioni alla delicatezza loro. Avvertasi anche che gì' intercolunnii inferiori sieno proporzionati ai superiori. ài consiglia in questi casi di lare il primo piano ad arcate evitando le inconvenienze della soprapposizione. V. G. II109. % no. SORBO, (Pirus sorbus). Cresce assai tardo, ma il legno riesce durissimo, ed atto a formare le viti degli strettoj, macchine e lavori di tornio. IL G. IX. 187. SORGENTI dei fonti, s'innalzano per l'angustia delle vene. Vili, ag. Vedi G. I. Lib. Vili. SOSTRDZilONl: somma cura per prevenire i danni che porta la terra aumentando, per le acque, di peso e di volume. VI. 65. Contrafforti, ivi 66. Tanto distanti fra loro quanto è l'altezza della sostruzione, ed abbiano la medesima grossezza di questa; si restringano poi gradatamente fino che alla sommità abbiano la grossezza dell' opera. 67. Verso il terreno si costruisca al muro certi denti a sega della grossezza del muro, che si discostino quanta è l'altezza della sostruzione, ivi. SPAGNA, aveva le abitazioni di assicelle di rovere e strami. IL n. Offre molte varietà di diaspro. IL G. VII, i55. • SPECULAZIONE, scienza di ben concepire un edilìzio. I. N. 1. M. SPEDALI. Su questa specie di costruzione crediamo di trascrivere tutto ciò che Leon Battista Alberti espone nel cap. 8. del suo Lib. V. si perchè le avvertenze generali sono pienamente indicate, si perchè accenna che simili edificti non solo sono destinati per gì' infermi, ma benanche per gli mendici. Ecco le sue parole: „ Il luogo „ per gli spedali, dove abbiasi ad esercitare 1' officio della „ pietà verso i poveri e eli abbandonati, dev' essere vario, e collocato con grandissima diligenza, in altro luogo „ dovendosi alloggiare i poveri abbandonati,' ed in altro „ ricreare e risanare gl'infermi. E fra questi ancora biso„ goa aver cura che alcuni pochi e disutili, non nuocano „ ai più, che possono tornar utili. Sono stati alcuni Prin,, cipi in Italia, che non hanno voluto che nelle loro città „ vadano accattando certi poveri storpi e stracciati, e pe„ rò era fatto loro comandamento che non fossero rimasti „ nella città senza esercitare una qualche arte più che „ tre giorni; non essendo alcuno tanto storpiato che non „ possa in qualche cosa giovare agli altri uomini con la ,, sua fatica, poiché i ciechi stessi giovano, se non ad al„ tro, a girare il filatoio pei funajuoli. Ma coloro che e„ rano oppressi da infermità più grave erano dal Magi„ strato degli ammalati distribuiti per ordine, e dati in „ cura agli spedahnghi. Ed in questo modo non chiedeViTRvrio Indice 7 ,, vano indarno aiuto ai pietosi, nè la città restava ofieu 11 dalla loro puzzolente malattia. In Toscana per amor quella antica venerazione della santità e della verissima „ religione, della quale sempre portò il vanto, si vedono ,, spedali meravigliosi e fatti con incredibile spesa, nei „ quali a qualsivoglia cittadino, o forestiero, non manca „ cosa alcuna che conosca appartenersi alla sua sanità. » Ma essendo gì' infermi di varie sorti, come sono quelli che con le loro malattie ammorbano i sani, e quelli che „ sono facili a guarirsi, vorrei che gli edifici di costoro ,1 fossero distinti. Gli antichi dedicavano ad Esculapio, ad M Apollo, alla Salute, loro Dei, simili edifici, con le arti „ e santità dei quali pensavano che gì' infermi ricuperai„ sero e mantenessero la loro sanità: ma li edificavano in ti luogo sanissimo, dove spirassero venti saluberrimi, e TÌ u fosse copia d'acque pinealissime, acciocché gì'infermi o condotti in siffatti luoghi non tanto per l'aiuto degli Dei, o, quanto per la benignità di tali luoghi, risanassero più „ presto. Perciò è da desiderarsi che i luoghi dove si abil biano a tenere gli ammalati, o pubblicamente o privata„ mente sicno sanissimi, ed a questo effetto sono forse 1 ti proposito i luoghi asciutti e sassosi, continuamente aneg1, giati, non abbruciati dal sole ma temperatamente iJlumi,1 nati, conciossiachè gli umidi sieno fomenti di putredine. » Gl'infermi poi d infermità contagiose non solo debbono ii tenersi fuori della città, ma lungi ancora dalle strade maen su e: gli altri potranno tenersi in città, ma le stanze per „ questi sieno distribuite in modo, che separati sisma jl a. „ fermi, di cui si spera la guarigione, da quelli che itti yono piuttosto guardarsi che medicarsi, come i pazzi «f „ i cronici. distinte sieno pure le donne dagli uom« „ ammalati da quelli che li governano, i direttori dai W „ vitori, e tutto sia secondo il bisogno adattato" Non si può abbastanza lodare le premure di ileiTM saggi governi per estirpare le malattie contagiose e cutanee, promuovendo bagni pubblici e privati, erigendo ospitali, moltiplicando le condotte mediche, istituendo sorvegli"'1' sul commercio meritricio e& Benché ciò non sia del ministero dell' architetto, pure l'uomo sensibile non può a meno di farne menzione; e noi dobbiamo a queste cure la distruzione della lebbra si comune nei secoli decorsi, Yesitpazione della peste in. Europa, e tanti altri vantaggi di cui non godono i sucidi abitanti di alcune parti della Polonia e dell' Ukrania tormentati dalla plicca, né alcuni popoli barbari corrosi dalle ulceri, dalle pustole, dai cancri
Riguardo agli spedali meritano nelle nostre prove Singolare menzione quelli di Milano e di Padova tanto jper la saggia distribuzione dei luoghi, come per la eleganza della loro architettura. spira (dal greco,' cosa che giri circolarmente), è la base della colonna, ossieno i membri che la compone no. V. Tav. XV. Fig. 6. SPIRITUS, per spirazione. Vili. 5. Nota t. t SPORTO, o cornice da garantire le mura di mattoni dallo stillicidio. II. 55; quello delle basi atticurghe sia di un quarto del diametro della colonna. 111. 53; nelle basi ioniche va di diametro. HI. 58. —( della cimasa sorpassi il listello dell'abaco una grandezza dell'occhio. 62. SQUADRA di Pitagora, si forma di tre regole, una lunga tre piedi, l'altra quattro, la terza cinque, commesse in modo che 1'una si tocchi coli'altra per gli estremi ca* pi, figurando un triangolo. IX. 9. Utile per molte cose, e misure, ivi 10. STABILIRE, termine d'arte; il perfezionamento ossia pulimento delle mura. IL 46 N. 1. STAD1ATO. Luogo capace per gli eserciti di ginnastica. Portico doppio. V. 85. e N. 1. stadio. Presso i Greci era di Joo. passi geometrici; il passo conteneva sei piedi. Presso i Romani si estendeva a passi no, ma avevano il passo di piedi cinque. V. 82. Vedi le Tabelle dei Pesi e Misure in fine. STATICA, parte della meccanica concernènte l'equi» librio dei corpi solidi sottoposti oli' azione di più forze. X. G. I. 108. STATUE, ed Iscrizioni dei maggiori: i Romani le Collocavano negli atrii o nei tablini. VI. G. HI. 106. STELLE, pel loro numero indeterminato fin da' tempi remotissimi, gli astronomi pensarono classificarle peti gruppi. IX, G. II. ti2, e questi gruppi furono generica» mente chiamati costellazioni od asterismi. Si distinsero con una lettera, od una cifra le singole stelle che componevano la costellazione, e si classificarono stelle di I. 2. 3. 4» 5. e 6. grandezza. La posizione più favorevole pel nostro emisfero onde distinguerle è di volgersi a settentrione, ivi n3. Vi sono miglila di milioni di stelle; la via lattea è un ammasso di stelle invisibili ad occhio nudo; e così sono quelle nubi biancastre e tenuissiuie, che si scorgono sparse nei cieli, dette nubilose. IX. G. II. lai. La ragione, la sana filosofia, e le molte osservazioni inducono a ritenere le stelle quai corpi luminosi per luce propria come il sole, ciascheduna delle quali illumina, riscalda, e come esso anima e dirige un numero di pianeti, ivi IM 1 STEREOBATI, parte delle fondamenta che apparisca Sopra il suolo; sostruzione, basamento* III. ^5. IH» 3« STILOBATI, precisamente la base delle colonne; piedistallo. HI. 45. N. a STIPITI, erte: sono le due pietre che formano 1 lati verticali dell'apertura della porta; il superiore posto oor~ zontalroente dicesi l'architrave della porta medesima. IV. 54- N. a. Vedi Ante. - Gli stipiti si restringono in alto 1/14. della loro grossezza; la grossezza dell'architrave sia pari a quella degli stipiti al di sopra. 5g STRADE romane: erano alcune urbane od interne, come la Via Sacra, le due Vie Nuove, la Via Lata, la Betta, la Fumicata, la Suburbana, la Piscinaria, la Trionfale, la Elia; le altre, quelle che principiando in città si •stendevano per Io impero, come la Flaminia, la Prenestina, la Tiburtina, la Labicana, la Gabina, l'Appia, l' Ardeatina, l' Aurelio; le terze tutte esterne, come la Claudia, le due Emilie, la Cassia, l' Amerina, la Campana, la Valeria, la Numida, la Latina, la Cornelia, la Vitella, la Octiensc, la Portuense, la Laurentina. VIII. MI. N. a. STRAPPA - TRIVELLE, pei pezzi forati si riducono a quattro: il grande. Vili. "4- %■ 5. Tav. VI; il piccolo, ivi 115; lo spirale, ivi fig. 9 STRATOMCEO, altri Strategeo di Smirne, luogo dell'armi, dove si riponevano le spoglie de' vinti, e dove convenivano i soldati. V. 63. N. a. STRAVENTO. Pioggia ventosa. V. 83. N. 3. STRIE, o canalature delle colonne, devono essere si formano in tre maniere: appena indicate, quando lasciano un semplice angolo saliente; ed allorché si alternano con pianuzzi. III. 75. e N. 1. Strigium, altri slriglium il testo; i contadini trevigiani chiamano Streglia o Stria quell'istrumento di ferro dentato, con cui nettano i buoi ed i cavalli. Da stria forse venne strica, e striscia. N. a. Lib. W. 49> non sono prova certa di minor antichità, ivi G. L y5. Regole per eseguirle. G. III. "O. III. STROPHA, viene dal greco e significa rivolgimento, piegatura, torcitura. I nostri villici chiamano strope i vinchi attortigliati per legare le siepi e le viti; e dicesi stropare per legare e chiudere le siepi, e si usa anche per otturare.
X. 3g. N. 1. STUFE naturali, scavate presso Baja e Cu ma. Jf. 5r. Stufa dell'Intieri, o del Duhamel per conservare i grani. VI. G IH. 106. 8 SDCULA, da sue, porchetto: cosi chiamato un picciolo legno, al quale si ferma il capo della fune nelle macchine a manovelle. X. i5. Nota 1. SUSA, quando fu presa si trovò- un peso di 5ooo, talenti di porpora preparata da centonovanta «ani. VII. 7 5. N. I. Era la dominante del regno di Persia: ha un Jbnticello, che fa perdere i denfc a que' che vi beono. Vili 55'. È posta sul fiume Tiritiri anticamente detto Euleo. Chiamasi ora Suster o Sustra. ivi Nota 2. SVEZIA, ha porfido simile al verde antico. IL G. VII. 1 SVIZZERA,
suo lumachellp. IL G. VH. i48.
T tablino. Archivio domestico situato dopo l'Atrio» del quale ne segue le proporzioni simmetriche col rapporto alla sua sempre minore estensione. VI. 5a. La sua altezza sin alla trave doveva esser un ottavo della sua larghezza. 33. \ talete Mdesio, pensò l'acqua essere il principio delle cose. II. li. G. II. 88. VIII, 3. TAJNAJ, fiume di Russia ora Don, scaturisce da un lago della provincia Rezan. Oserà segna i confini fra 1' Asia, e l'Europa, e sbocca nella palude Meolide. YHL a. Mota. TAORMINA, città. V. G. V. i4o. TAKCHESIO, non voleva che si facessero tempi di manièra dorica. Architetto conosciuto per quest' unico passo di Yitruvio. IV. 27. Pi. i. tarso, ad un tempo celebre città di Cilicia ora Terazza; in rovina; ha il nume Cidno ora Carasa, l'acqua del quale leva il dolore ai podagrosi. Vili. 33. N. 4; TAVOLA dei pesi specifici di alcuni legni. IL G. IX, 191. Tavola dei colori, di cui si servivano gli antichi pittori. VII. G. III. 127. Tavole diverse. X. i36. 168. 170. i;3. (81. 182. i85. 190. 191. 192. TEANO nella Campania, ossia terra di lavoro, aveva delle acque acide, le cui bibite sciolgono i calcoli. VH4*)» Ewi anche Teano Apulo posta nella Puglia, ivi Nota 5. TEAfRO, dalla voce greca siguificante vedere. Teatro Marcello. Il Teatro esige un luogo saluberrimo. V. 24. Non rivolto a mezzogiorno. a5. Le precinzioni sicno proporziouate all'altezza del teatro; l'altezza poi dtllo medesime non ecceda la larghezza. 26. Vi abbisogna un buon numero d'ingressi spaziosi, dritti, senza voltate, distinti 1 superiori dagl' inferiori, ivi. Osservare che la voce circoli quanto si possa chiarissima. 27. Il pulpito non sia più alto di cinque piedi. V. 43. Il tetto del portico sia perfetta» mente equilibrato all' altezza della scena, ivi. Dell' orchestra, ch'i tra i gradi inferiori si prenda una sesta parte di diametro e nei corni, e da ogn'intorno dell'ingresso.; perpendicolare della sua misura si taglino le sedi inferiori. 48. Varie proporzioni del teatro antico. 49. La lungheia della scena dev'essere doppia del diametro dell'orclesln, I teatri antichi servivano anche alle riunioni del popolo; ivi si facevano le concioni tutte dei Greci; si macchionaDa lo guerre civili; si ascoltavano gli ambasciatori, t pafino s'infliggevano i supplizi. V. G. V. i3i. I teatri Greci;, erano rumori dei Romani, l' orchestra poi doveva occupare spazio maggiore in quelli per l'uso dei balli, doveccLé presso i Romani nell' orchestra non vi sedevano che i Senatori. V. G. V. i38. I Greci cercavano di appoggiarti loro teatri al dorso di qualche monte; i Romani li costruivano quasi sempre isolati, cinti da portici, e con ambuli* cri interni sotto le gradinate, sulle quali sedevano gli spettatori. i3g: la Gradinata nei teatri veniva dal basso all'aita divisa in cunei delle scale, le quali dovevano corde dere agli angoli dei quadrati inscritti nel perimetro re rale. Gli ordini dei sedili nei teatri greci erano tre; P., magistrati e per le persone distinte; a", per le varie classi del popolo; a0, per le donne. In alcuni teatri questi ordini erano due, e talvolta un sola. Per ogni sedile erano «cavati due scalini. V. G. V. 140. Teatro di Efeso. m \\i. Teatro moderno, ivi i4fj e Nota x. Il teatro della Scali architettato dal Piermarini ha la curva geometrica. i5a Quello della Fenice in Venezia fatto dal Selva ha inequabile curvatura nel fornice che lo copre. V. G- V. 130. Teatri moderni a differenza degli antichi offrono una perfetta illusione. i5i. Per essere coperti, e perebf li decorrenza nei nostri non è generale come negli anticni, non possono, nè devono essere vasti come quelli i5i.-L'eSterno dei nostri teatri abbisogna di essere meglio adatta- to, specialmente per 1* uso delle carrozze, onde prtwurt gl'inconvenienti. i55. Icnografia del teatro della Scala nella Tavola IX.- i56.
TEBE karnak, ivi sussiste un tronco di colonna « tempio, che nelle scanalature e nelle proporzioni si avvicina alle colonne della Grecia. III. G. III. no» TEBE d' Egitto. IV. G. I or. TECTOR1UM. Marmorino, stucco. V. 77. &• TEGOLE ed embrici: esigono la massima diliger nella loro formazione. H. G. III, io5. TELESCOPIO, costellazione formata da due qoartij* Sotto la freccia del Sagittario, a sinistra della cod* am Scorpione. IX, G. II. 120. TELION, così i Greci chiamavano il numero per»»* che stabilirono essere il dieci. HI. 13. e nota J< TELMISSO, città. V. G. V. 142. TEMPIALI, leguami dei tetti. IV. 18. -, TEMPJ. Partenone, di Giove Olimpico, del Panteon, e di Tebe: i nostri sono ben lungo da potersi comparare a quelli. Int. 25; que' grandiosi di Colonia, di Strasburgo, Chartres, Reims, e di Siviglia nel confronto sono come a l'iole selve a paragon del florido giardino d'Italia, ivi 26. Convenienza dei Tempj. ivi 28. Eretto di Minerva Portale. e Pandrosio. 1. N. 1. 4'! di Teseo in Atene, uno dei più bei monumenti e dei meglio conservati di questa città: 1. 58. N. 3. Dorici si facciano a Minerva; ad Ercole ( nelle città che non hanno ginnasi, nè antiteatri) al Circo; a Marte nella Campagna; a Venere nel Porto. I. 108; Tempio di Temide a Ramnunto. II. 39. N. 1; in Alien masso, di Marte, di Venere, e di Mercurio. IL SO, e 5i. Tempio di Scrapide fra le mine di Tebe. IL G. VII. i58. Tempio di Efeso. IL G. IX. 18;. Tempio in Aufis. Vedi Tav. 2. fig. 1. HI. 16. Prostilo. 17. Arnfìprostilo. 18. Tempio sull'Ilisso. Tav. 6. e 7. III. 18. N. *. Tav. 7. 8 Periptero. Esempio nel tempio di Teseo, III. 19. Tempio di Minerva a Prìene. Tav. 10. Pseudodiptero, ai. Diptero -Tay. 3. A. 6. Pianta del Tempio di Diana Efesia. 21. e Mota 2. Ipclro 23. Vedi fig. 7. Tav. 2. Di Minerva Poliade a Prienet Tav, 10. a, 10. b. Cinque specie di Tempi. III. 26. Vedi Picnostilo, Sistilo, Diastilo, Areostilo, Eustilo. Tempio di Minerva Poliade a Priene ha la sommità dell' architrave che senza la cimasa corrisponde all' estremità dell' imo scapo. m 66. N. 1. Tempio della Fortuna virile da Papa Giovanni VIII, convertito nella Chiesa di S. M. Egiziaca. JII. G. IV. 119. Le istituzioni ecclesiastiche prescrivevano di rivolgere i Tempj ad oriente, come S. Paolo in Londra, l' Escuriale in Madrid, quelli di S. Antonio e S. Giustina in Padova; altri peraltro sono all' opposto come in Roma i Tempj di S. Pietro, di S. Giovanni Laterano, di S. Maria Translcvere. Quello di Salomone era colla facciata rivolta ad oriente. 52. N. 1. Tempj Toscani. IV. 72. N. %. Tempi rotondi. IV. 79. Tempio perittero rotondo, come quello di Vesta a Roma. Tav. XIII. 82. N. 2. Tempio di Minerva in Sunio. Tav. XIV. fig. 1. 85. 86. e Nota 1. Tempio di Luqsor in Egitto. IV. G. 1. 92. Tempio di Diana in Efeso. VII. 22. Tempio jonico ad Apollo Diebimeo in Mileto edificato da Peonio Efesio, e da Dafni Milesio, del quale ora si contano in piedi due sole colonne. Vedi fig. 4. Tav. VII, del Lib. VI. -- ivi e Nota s. Tempio a Giove Olimpico in Atene intrapreso da Cossuzio con ampio apparato. 23. -- Tempii dell' Onore, e della Virtù eretti da G. Muzio. VII- A. TEMPO, trasse la sua divisione dal movimento degli astri, a causa dei bisogni della società, col moltiplicar dei quali venne la divisione facendosi non solo per giorni, per stagioni, ma per secoli, per ore e minuti. IX. G. III. 117. TENT1RA, avea tempi prima che i Greci classificassero gli ordini dell'architettura. IV. G. I. 91. TEO, città dell'Asia, ha un tempio di Bacco del genere esastilo. III. 36; detta anche Tejo, patria di te, e della poetessa Erinna. IV. 8. N. 7. TEOCIOE architetto, scrisse precetti di VII. 18. TEODORO, descrisse il tempio dorico di Samo. VII. 14. TEODORO Focco, aveva descritta la cupola di Delfo. VII. A. TEODOSIO ed Andrea, inventarono il Pros par dima cioè 1' Orologio per ogni clima. IX. 6. N. 5. TERRA, bruciata nella Campania, diventa cenere ottima per gli edifizj terrestri. IL 33; terra considerata digli antichi siccome elemento significava il principio solido della natura. IL G. II, p; ora si dà il nome terra a dieci diverse sostanze, le cui basi furono dette metalli, e si dividono in due classi, terre propriamente dette, e terre alcaline, ivi 96. N. a.' terra, le proprietà da Vitruvio attribuitele alla produzione dei frutti vogliono indicare tutte le commistioni di sostanze eterogenee, che vi si possono combinare, io. Eloia. Da queste proprietà dipendono le qualità e sapori diversi delle terrestri produzioni. VIII 42. terra, è il terzo pianeta partendo dal Sole secondo il sistema copernicano. IX. G. II. 96. Ruota intomo ad un
asse in un tempo siderale di ogni o, 99735. ossa a 24- ore comuni; e col suo moto di traslazione percorre un'olisse (di cui il Sole occupa un foco) in giorni 565. 256384- Da questi due moti dipendono le apparenze che noi attribuiamo al Sole. Dal rotatorio viene il giorno, e la notte; dal progressivo il variar delle stagioni. IX G. 1J97. Si calcola la sua distanza dal Sole 82,800,000. miglia ivi 98. TEKRACINA, detta anche Anxur, antica capitale dei Volsci all' imboccatura dell' Utente sulle spiagge del mar di Toscana. Vili. 41. N. 7. TERRAZZO, quand' è crepato non si adoperi lastrico nuovo, ma vi si metta olio di noce con cenere, se la fessura non è considerevole, nettandola bene, e cogliendo un tempo asciutto; se la fessura è grande, nel predetto olio si mischia un poco di verde di grigi e se è larga tre • quattro pollici si usi della buona malta con limatura di ferro. VII. 3n Mota 3. terreni, si dividono in sei classi. I. G. IL ia5. N. i; rapporto alla costruzione in quattro classi principali: Roccia. Argilla. Arena Torba ivi 127. Terreni primordiali ammettono difficilmente le infiltrazioni delle acque; queste poi abbondano nei terreni lotermedj sovrapposti •i primordiali. Vili. G. I. 98. Li terziari sono degli altri più propri, e dette infiltrazioni, ivi 100. Quelli di alluvione composti di sabbia, di ghiaja, e di ciottoli ricevono bensì le acque, le quali scorrono facilmente fra i medesimi, ma non possono sorgere zampillanti da essi. 101. I pirogeniti o vulcanici hanno rare sorgenti, e per lo più saline e minerali causate evidentemente dall' azione del fuoco. 103. TERZIARIO, cioè il triplice piovere dei tempii toscani verso i fianchi, e verso il portico. IV. 78. Nota 3. TESSERE, (presso i Latini dadi o figure cubiche); presso Vitruvio pietre grandicelle pei pavimenti. VII. 3I.J TESTUGGINE «(forma del tetto o coperchio di un Tate), constava di due archi che nel centro si tagliavano a croce. V. 81. N. 3. TESTUGGINE, pel riempimento de' fossi, era quadrata di 25. piedi per ogni lato. X. 83. Le testuggini per iscavare si chiamavano origes, erano difese anche dai lati, ivi 86. Agetore Bizantino fece una testuggine 60. piedi lunga, e 18. larga. iVi. TETRACORDO. Istrumento musicale di quattro corde. Nei tre generi delle modulazioni le disposizioni dei tetracordi sono dissimili. V. 3i. e 3a. I tetracordi secondo Vitruvio sono cinque: ipate, gravissimo; ineson, mezzano; sinemmenon, terzo, congiunto; diezengraenon, disgiunto; iperboleon, acutissimo, ivi A. 35. TETRANTE, quarto di cerchio. III, 61. N. 2. TEVERE, fiume che sorge da Falterona nell' Appenino presso Firenze, bagna diverse città, riceve molti fiumi, passa per Roma, e si scarica nel Tirreno presso Ostia. viii. a«- Nota. THEODOTION, terra verde così denominata dai Greci; proveniva da Smirne. VII. G. III, 137. TIGLIO, arriva all'altezza di ottanta e cento piedi; si matura dai cento ai centocinquanta anni; ne può durare quattrocento; all'asciutto si conserva, nell' umido marcisce. II. 66. N. 3. tigri, (significa rapido) fiume che ha origine nel monte Ara rat in Armenia, scorre fra 1' Assiria, e la Mesapotamia, « sbocca nel golfo Persico. Vili. 20- Nota. T1MAV0, fiume che scaturisce maestoso di sotto dei* mede, non molto lungi da Trieste, e col brevissimo CON di non intero un miglio si perde nell'Adriatico. Ylll jj, Nota 3. TIMELE, questo nome proviene dai sagrifizj che facevano i Greci prima dello spettacolo. Era una parte e teatro alcun poco elevata dal piano dell'orchestra, m: potevano stare gli attori che non acivano in scena, V a. v. i/,o. • TIMEO Locrese, scrisse sulla storia e sulle proprieù mediche delle piante. viii. 58. N. j. TIMOR, isola; suo lumachello. If. G. VII- i4& TIMOTEO, scultore che lavorò la parte a mezzojw no del Mausoleo. VII. i5. N. 3. ivi 18. TIMPANO, ruota da levar l'acqua non tropp'alu, ma in copia. X. ^i. Ove occorra farla salire più in al* si fa la ruota di grandezza che convenga all'uopo, es affìggono dintorno all'estremo lato della stessa dei musi quadrati ed incatramati, che sorgendo portano TacitaiK alto, e ritornando al basso la versano nel castello. Se pi bisogna recar l'acqua ancor più in alto si avvoltemi DOPPIA catena all'asse della ruota, che abbia due secco», cosicché nel
girare della ruota ascenda l'una con l'icqu e scenda l'altra ad attingerla. X. 45. timpano, parte principale del frontispizio. Ili y Nota ». • r f . r TIVOLI, le colonne di quel tempio della Sibilla, tot dei più rinomati fra le antichità romane, sono atimle con molta grazia, ma con rapporti diversi da queiir" praticati. IIJ. G. I. 87. TONSTR1NE, luogo da sbarbarsi, e d'accollerà\i capigliatura. V. G. VII. 178. TORBA, risulta dalla decornposbii'onc dei vegetili. 1 G. II, 129. r tornio, è un cilindro che passa pel centro di no ruota, e collocato orizzontalmente sopra due perni: * ve ad innalzar pesi, od a muovere colle sue pinne m ruota dentata. Fig. 1. Tav V. del Lib. X. G. H. «»• TORO o bastone. III." 55. e 5?. G. HI. >(* fig. 5. Tav. XXV. . , TORO, costellazione presso cui sono le PM1' Jadi. Una stella primaria alquanto rossastra forma i'occm del Toro detta Aldebarano. IX. G. II. u6. tf TORRE di Andronico Cirrestre in Atene. I. o> »! le porte della quale hanno le colonne corintie senza M, e coi capitelli dell' altezza prescritta da Viiruvio B» * tW
1 voluto, di una maniera semplice e buona. IV. G. II. 106. Nella seconda cornice interna si veggono » modiglioni. TV. 6. ». ». TORRI, sieno rotonde, o poligone e non quadrate, J. 87. J. f g5. e N. I. Torri da collocarsi dall' una e dall' altra parte nei porti non molto vasti onde passarvi delle catene da chiuderli. V, 85. N. 3. TQRRiCHIQ, avea un tempio antico. IV. G. I. g3. distante circa trenta miglia da Atene; le colonne del tempio sono liscie, alte cinque diametri, rp. (Vedi Tay. Vili, lig. 1.) , TOSCANO, ordine di architettura; le sue colonne saranno alte sette diametri, e la terza parte della larghezza del tempio. Le loro basi si facciano alte mezzo diametro ed abbiano un plinto rotondo, e al di sopra un toro col1' apolige. IV. 76. I modiglioni spargeranno un mezzo modulo. 78. Dal sola bisogno i toscani trovarono la prima maniera di fabbricare somigliante alla dorica, presso i quali divenne adulta senza dimenticare la semplicità originaria. IV. G. IV. i3o. Manca ogni monumento antico di quest' ordine. l3j. TRAPANI in Sicilia. IL G. VII. I4Q. TRAVATURE. Si eviti la resistenza sotto di esse di qualche muro intermedio. VII. 2Q. Si escludano quelle di quercia. 27. Tutti i legnami sieno di una specie sqla, diritti, forti, ed asciutti. I travi vallino da muro a muro per la larghezza della stanza. Quanta la loro larghezza, tanta sia la distanza fra loro; le teste si alternino coi piedi dei travi, i quali non si devono lasciar in contatto della calcina. Varie altre avvertenze, ivi Nota 3. travi, son quelli che si pongono sopra le colonne, 4 pilastri, e gli antili. IV. 17. Li travi che si pongono sopra le colonne si accoppino con biette, e traversi, che stiano distanti tra loro due, dita, onde noi; sobbollano. IV. 77 TREZENE, ora Trezina, città della Messeuia le cui acque causano malattie ai piedi, perlocchè i suoi abitanti bevevano di quella di Cibdele. Vi erano diverse altre città di questo nome. VIII. 33. Nota, a» TRIANGOLO boreale, formato da tre stelle inferiormente ad Andromeda. IX<.G- IL i*4- < • tribunale, basamento dei tempj rotondi e senza cella. IV. 79. N, 1. Nei teatri, luogo destinato ai pretori, e magistrati presidi dei gioclùi V< sa. e Nota. TRICL1NO, sito da mangiare: così detto perchè constava di tre letti inclinati invece di sedie, collocati a tre lati della stanza. La sua lunghezza, era due volte la laighetta; e la media di queste due dimensioni formava la sua altezza. VI. 36. e Nota i. Triclinj d'inverno guardavano l'occidente invernale. VL fa Quelli di primavera ed autunno erano esposti coi lumi ad oriente. 43- Gli estivi a settentrione. 44- Questi erano diversi da quelli per l'inverno. VI- G. n. io5. Vi erano anche i quadricliaj, i pentaclinj, e persino i decaclinj. VI. G. Il io5.
TRIESTE, città esposta agi' impeti di Borea, perchè senza la necessaria precauzione costrutta. I. 90. N. a. TRIFONE Alessandrino architetto, mediante sotterranei incontrò quelli pei quali i nemici tentavano entrare in Apollonia. X. gtì. TRIGLIFI. IV. 3o. si pongono negli angoli, e sopra i tetranli delle colonne. IV. a3; si devono collocare colle metope alti un modulo e mezzo, larghi uno nella fronte; compartiti in modo che nelle colonne angolari, e in quelle di mezzo stieno sopra i tetranli, e negl' intercolunnj ve ne fieno due; in quelle di mezzo tre. Regola per iscanalarli. IV. 34. I loro capitelli debbono essere un sesto di Modulo. 35; la loro positura, e le mezza scanalature ai loro lati mostrano, piuttostochè altro, derivare da pilastrini, che servivano a sollevare il letto, e dar nei loro intervalli adito alla luce IV. G. IH. n5. TRISPASTO, peutaspasto, macchine della specie della capra; nella prima si adattano tre, nella seconda cinque rotelle, e sono di travi più o meno lunghi e grossi giusta i maggiori o minori pesi che si avranno a maneggiare. X. sg. Qualora i pesi fossero colossali, invece del porchette 5'inchiuda nei chetoni un asse; si raddoppino gli ordini delle rotelle; la fune maestra si trapassa nella troclea inferiore, talché non possa scappare; ed intorno del timpano avvolticchiata un'altra fune si riporta all'argano, il quale, girando, rivolge pure il timpano; e l'asse fa si che le annodatevi funi si distendano tutte ugualmente, e che levino dolcemente i pesi ivi ai. e 22. TRIVELLA da forare i pozzi; risulta da un numero indeterminato di sbarre di ferro lunghe 4- metri circa, e grosse metri o,o34- in quadro, che 1' una s'inforca all' altra, fermate nella connessione da viti. Vili. G. I. 107. La prima si appende al canape di una Capra, a capo dell'ultima si congiunge quell'ordigno che abbisogna, giusta i Strati che s incontrano da forare; l'asta composta delle indicate sbarre attraversa una staffa pur di ferro, e si fa girare mediante una manovella. Veggasi le Tav. III. IV. V- VI. ivi 108. e seguenti. TRIVELLA, antica macchina militare, a somiglianzà della testuggine operava con. uà trave ferrato. X. 8a. TROCHILO, quell'altezza che comprende la scozia col suo astragalo, e listelli. III. 57. N. 1. TROCLEA. Carrucola di legno o di metallo, mediante cui si alzano, o si calano i pesi; consiste in due rotelle, o più, per le quali scorrono le funi; Ricamo, Tagli, Girella, Puleggio, sono simili cose. X. 19. La girella è utilissima in un gran numero di macchine, e ve ne ha di molte forme. X. G. IL 137. %U\NA o Tiana, città della Cappadocia settanta miglia circa lungi da Mazaca. Vili- 37. Nota 5. TDFO, proviene da fuochi vulcanici. 11. 3a. TUONO, è il fragore prodotto dall'aria, la quale precipita ad occupare il vuoto, che dalla scarica del fulmine si produce. IL G. II. 92. TURIBOLO, costellazione eh' è sotto l'aguglione dello Scorpione. la, 47 uccelli, loro respirazione rapidissima, e loro conformazione per ricevere, ed espellere a piacer l'aria. I. 75.
N. 1.
ULIVO, i cui travicelli abbrustolati resistono ai tempi. 1. 85. UMBILICO, centro del corpo umano; se da questo punto si giri il compasso toccando i piedi e le mani distese, si La un circolo; e del pari si trova un quadrato tirando le linee per la cima del capo, de' piedi, e dalla punta delle dita a mani stese. III. 11. UNCINI di ferro, da collegar le mura, in veneziano arpesi. II. /J3. Nota ?. URANO, pianeta scoperto da Herschel nel 1781. È il più distante di quelli che si conoscono dal centro solare. La sua orbita abbraccia tutte le altre orbite planetarie. IX G. IL 106. Sino ad ora più per analogia, che per sicuro calcolo si stabilisce compiersi la sua rivoluzione siderale in 84. anni circa. Il suo volume corrisponde ad 81,16. di quello| della terra; e la sua massa ad 1,6904. della nostra. Sino ad ora si scoprirono di esso sei satelliti; e si credè da Herschel rimarcare in Urano uno schiacciamento, e di vederlo cinto da uno o più anelli, come pure da un'atmosfera molto densa, ivi 107. URBS, Roma per eccellenza cosi chiamata. V. G. VII. «69. USTA. Gleba di ottimo Sile: roventata nel fuoco si «lingue con aceto, e diviene di color purpureo. V1L 70. V
VACCINI L'H, pianta ricordata da Vitruvio, da Virgilio, e da Plinio, il quale la colloca fra le allignanti nei luoghi amidi, VII. G. III. 135 Somministrava un colore purpureo per le vesti degli schiavi. 124. VALLI, non sono da abitarsi. I. 69. N. t. # VAPORI e nebbie, nascono dalla terra pei calori, Venti, ed acque molte che in essa sono. Vili. 17 VARRONE e Murena, per ornamento della loro edilità trasportarono nel comizio alcune pitture segate a Lacedemone da certe pareti di mattone. II 49 vascello, costellazione ad oriente del gran Cane; comprende tre terziarie, ed altre tre a sinistra ne formano) 1' alberatura. IX. G. IL 120. VELARJj tende provvisorie dei teatri antichi. V. G. V. VELE delle navi degli antichi. Acazio, la massima, nel centro; Epidromo, la seconda, a poppa; Dolone, la più piccola, piantata a prora; Anemone, che serviva per dirigere la nave; Siparo, che serviva quando il vento andava mancando; Mendico che sembra ai collocasse a prora. X. 07. e INota 3. VELINA, fiume eh'è l'odierno Francolise nel regno di Napoli; le sue acque sono acide, e bevendole sciolgono i calcoli. Vili. 4g. VENERE dei Medici, sue proporzioni. In. 7. N. 4* VENERE Pianeta; quando appare dopo il Sole chiamasi Vesperugo, quando lo precede Lucifero. IX. 27. Venere presenta gli stessi fenomeni di Mercurio; la sua luce è più viva di quella di ogni corpo celeste dopo il Sole e la Luna. La sua parte oscura conserva un barlume da supporre la sua materia fosforescente. Il raggio del suo globo è quasi eguale a quello della terra, la sua rivoluzione è di giorni 224,70082; la rotazione intorno al proprio asse è di giorni 0.97318. Nessuno schiacciamento si calcola nel suo globo, e Scbroeter pensa che sia cinto da un'atmosfera simile alla nostra. IX G. 11. 96. VENEZIA; l'umidità della sua atmosfera procura la longevità degli abitanti I. 69. N. E, La chiesa di S. Marco possiede molte colonne di porfido rosso, e verde. IL G. VH. ■Sa. VENTI, sieno stornati dai capi delle vie. I. 90; loro causa, ivi g3; distinzione dei venti. 92. N. 1. Loro nomi, e loro simboli effigiati Bella torre di Atene. 1. g5. N. 1.. Maniera di segnarli. 99. Venti secondari che soffiano intorno ai principali. 1. io3; aure mattutine, ivi. venti di settentrione secchi, meridionali umidissimi. Vili. 18. VERGILIE, altrimente stelle Pleiadi; mette Vitruvio che spuntino all'entrare del Sole nei Gemelli: ma sorgono nel mattino quando il Sole si trova nel Toro. IX. 58. e N. 1. VERGINE, costellazione; una stella di prima grandezza è detta la sua spica, e compie Un grande triangolo con Arturo, e colla coda del Lione. IX. G. IL 117. VERNICE di zolfo e sego, per preservare i legni dai tarli. V. 93. N. 2. VESTA, architetto citato da Milizia. IV. 59. Nota. VESTA, pianeta scoperto da Olbers nel 1807. vestibolo, luogo ampio dinanzi alla porta d'in* gresso, che metteva nell' atrioi VL ^5. e Nota 5; presso gli antichi era rotondo. VI. G. 1. A. VINI. Erano celebri: il protiro di Lesbo, il cataceCaumenite nella Meonia, il melito nella Lidia, il mamertino in Sicilia , il falerno in Terracina, il cecubo in Fondi. vili. 4» vista, ed udito, si distinguono sopra gli altri sensi perché le impressioni sopra di essi esercitate, benché materiali, si fondono colle idee eccitate nella mente. V. G. Ili. ÌI2. VITICE, specie di frutice detto agnocasto, atto a lavori d'intagliature e simili. II. 66. N. 4 VITRUVIO, nacque a Formia. I. Int. I; suoi scritti. 6; Senza de' quali mal si procederebbe all'esame dei monumenti. 7; comparato ad Omero, ivi 21; destinato alle Macchine militari. Pref. 34- 1. VOCE, è un soffio scorrente per infiniti giri circolari, e per le vibrazioni dell'aria sensibile all'udito. V. 27. Gli
architetti colle indagini della propagazione della voce perfezioneranno le gradazioni dei teatri. 28. La voce a seconda delle diverse mutazioni or diventa acuta, ora grave; e si dirige in due modi, nell' uno producendo effetti continuati, distinti nell' altro. 29. Diversi generi di voce, ivi Nota 2. La natura divise nella voce gì' intervalli de' toni, de' semitoni, e dei tetracordi, ivi 32. Voce nei diversi generi di nazioni ha vane e dissimili qualità a seconda dei climi. VL i3. sottile ed acuta nei confini meridionali e progressivamente lenta e grave progredendo verso settentrione. A. VOLTA, copertura o parte di un edilizio, costrutta con pietre, con mattoni, o con cementi; la superficie estcrna o convessa chiamasi estradosso; la interna o concava intradosso. Comunemente di cinque forme: i". a botte quando s'innalza sopra due muri paralleli con pietre, e riceve varie modificazioni e denominazioni diverse. VII. G. II. g4; P. a vela, per la somiglianza ad una vela gonfia, attaccata con le sue quattro estremità ai quattro angoli, che si vuole ricopine. ig5. li 3". a schifo perchè nel suo concavo ha la forma di uno schifo, ivi 96; (a. a crociera che si compone di quattro parti, ma lascia quattro finestre una per ciascuna facciata, ivi; 5°. a tribuna che comprende l'intera superlicie che viene generata da una curva ravvolgentesi intorno ad un asse. Si usa per lo più il circolo e le elissi. Vien detta anche cupola. Ma per cupola s'intende quando sia sostenuta da quattro piloni altissimi. 96. Regole di considerare, e calcolare le cupole, gli archi, le vòlte. 99. e seg. VOLTE, negli appartamenti. In serie lineare distanti tra loro due piedi al più si distribuiscano i travicelli di cipresso, od altro legno che non si guasti, esclusa la quercia in forma circolare, e formate di egual legno; le catene si adattino con ispessi chiodi al loro sito. VII. 3y. Vi si attacchino canne greche schiacciate con vinchi di ginestra di Spagna. Sopra la vòlta si estenda un composto d'arena e calce. Se le canne greche scarseggiano si usi delle cannelle palustri. 38. La prima sia una mano di malta, la seconda di arena; finalmente con una mano di creta, o di marmo si faccia la politura. 3g. VOLTERRA in Toscana, somministra un bello alabastro rannoso. II. G. VIL i56. volute, regole per descriverle. III. 61; sieno tagliate in modo che abbiano la dodicesima parte dell'altezza. III. 63. Le volute greche risultano di due giri e mezzo, ed anche di tre, che vanno restringendosi a misura che si avvicinano al centro. 111. G. IV. 124. Tav. XXX. Vilruvio vuole che si diminuisca il raggio dell'occhio, ma non il raggio dal quadrante di una quantità eguale al raggio dell'occhio. 111. G. IV. 129. Voluta palladiana consta di tre giri. Descrizione della voluta presa dal Goldmann. ivi. -- Gli antichi costruirono le volute nella direzione diagonale dell'abaco. Tav. XXXI Nel tempio della Concordia da ogni lato le volute presentano lo stesso aspetto. Tav. XXXII. fig. a. ivi pag. i3o. VOSGES, catena di monti. In essi si trova Granito che la cede di poco all' egizio. IL G. VII. i53. vulcani, molti andarono estinti. I più celebri che tuttora fervono sono, 1' Etna in Sicilia, il Vesuvio presso ISapoli, e l' Ecla in Islanda. IL G. VI. 122. A certi intervalli vomitano materie argillose più delle altre, una parte in il tato p ulve ralente (ceneri vulcaniche), e l'altra parte in piccole masse simile a mattone pesto (comunemente pozzolana}. X XANTO, fiume dell? Troade, cantato da Omero; sorge dal monte Ida, passa presso le rovine di Troia, e mette Bell'Ellesponto. Vili. 46. N. 4. 'XENIA. Pitture di polli, ova, erbaggi, frutta, e simili cose, di cui i Greci regalavano, i loro ospiti. VI. 5g. ■-Z ZACINTO, ora Zante: ha una fonte che produce molta pece Vili. 36. ZAMA, oggi Zamora in Africa: celebre per la vittoria di Scipione sopra Annibale. Vili. 54- e N. Q. ZEFIRO, Ponente; 7". vento della torre di Atene. Dell'ovest. Nella State è soffocante, ma dolce in Primavera, e propizio alla vegetazione. Amabile giovanetto- che graziosamente sdrucciola; tutto nudo a riserva del mantello cbe gli cade ondeggiando, in un lembo del quale porta dei fiori. I. Sta N. 1. ZENIT, polo superiore dell'orizzonte, ossia estremità superiore dell'asse che s'immagina passare pel centro della sfera e per l'osservatore. IX. G. m. 126. ZENOFILO Pittagoreo. V- 29. Nota 1. ZENONE. VII. 5. zodiaco. Zona traversale inclinata a mezzogiorno, configurata di dodici segni celesti. IX 23. Celebri sono li due
dipinti nel soffitto dei tempj di Denderah e di Esnè in Egitto. Dall' uno si rileva che quando fu dipinto il solstizio accadeva allorché il Sole era verso la terza parte del Cancro; nell'altro che ciò. succedeva allorché il Sole era in Vergine; il che porterebbe una remota età dai 58oo. agli 8000 anni la. o III. l44 ZOILO di Macedonia, detto Omeromastice pei suoi scritti contro la Iliade, e l'Odissea. VII. 10. condannato da Filadelfo qual parricida per le sue accuse contro Ome« ro padre dei Poeti, ivi .11.
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FINE DELL'OPERA laa Selva Gio. Antr delle scie Senofonte. S Seri io. Are Servio. Ar Shaw. V Spallar) Slaunt Stazir Strn' Slu s
SObolo . . Dramma attica Talento attico I Cistoforo di Rodi [ Talento euboico Prima f della \ Asse di rame legge l Teruncio d' argento . . Papiria' Asse Denaro consolare d' arg. Dopo I „ imperatorio . . la 1 Aureo „ . . legge ( Numisma d'oro .... Papiria i Sesterzio, moneta ideale Talento ponderale. ■ . Talento attico
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