La Zattera
….diciamocelo durante il viaggio … Fondatore e Direttore Responsabile Gaetano Coppola Anno I n.1 2016 Anno I n.1 Maggio
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Una Pubblicazione
Anno I -Numero 1 Maggio 2016 e-mail:
[email protected] Registrazione Tribunale di Napoli n. 1 del 14/01/2016 Fondatore - Direttore Responsabile Gaetano Coppola Redattore Capo Francesco Capuano.
Sommario “La Zattera … il perché di un titolo” di G. Coppola pag. 3 M. Lioniello presenta Gaetano Coppola pag. 5 “Il bambino con lo zaino” di E. Caremani pag. 9 “Un giovane promettente” e “Amici” di R. Sivolella pag. 11 “Giornata mondiale della poesia 2016” di G. Coppola pag. 12 “Se questo è un uomo” di F. Romano pag. 14 “La scheda” di G. Coppola pag. 16 “Resina anni ‘50: il mercato delle pezze” di G. Coppola pag. 17 “Gli incontri impossibili: Nietzsche e Bergman cercano DIO” di M. Marmo pag. 19 “Il Toro Farnese” di T. Wenner pag. 22 “L’acqua e mummare” di G. Coppola pag. 26 “Cos’è la poesia” di C. Molino pag. 28 “Un amore di ragazza” di C. Gargiulo pag. 29 “Napoli, pianoforte in stazione” di G. Coppola pag. 32 “La Via Crucis nei viali dell’ospedale Antonio Cardarelli” di E. Guadagno pag. 33 “La degna conclusione di una carriera immensa” di F. Esposito pag. 35
“Tre incontri speciali” di Imma e Teresa pag. 39 “Interculturalità” poesia di M.I.M.C. pag. 41 La “Prima Uscita” del Poeta Massimiliano Marzano pag. 42 Regole per la pubblicazione su “La Zattera” pag. 43
La Zattera
il perché di un titolo di Gaetano Coppola Quando fondammo la nostra Associazione, molti si chiesero il perché della sua denominazione, L’Ancora di Partenope. Allo stesso modo, la curiosità spinge oggi molti a chiederci il perché del titolo, La Zattera, dato al nostro giornale on line e del perché abbiamo optato per la scelta editoriale di tipo esclusivamente informatico. A quest’ultima richiesta, è facile rispondere, perché essendo la nostra un’Associazione no - profit, non possiede risorse economiche tali da consentirci il lusso di una veste editoriale cartacea, cosa che gratificherebbe di più i nostri gusti ed anche il modo con cui siamo stati abituati a vivere il nostro contatto con l’informazione, che però non incontrerebbe il gusto dei più, visto che oramai tutti viaggiano in Internet e che solo calandosi nell’universo virtuale, si può sperare di raggiungere un numero quanto più vasto di lettori. Concordiamo col disappunto espresso da chi ama l’edizione cartacea, cui peraltro sono riconosciuti tanti altri valori e significati, ma non quello della velocità, propria del mezzo digitale. La lettura digitale ha però lo svantaggio di indurre un rapporto superficiale con l’acquisizione delle notizie. In un’epoca dominata dalla “fretta”, si rischia di indurre il lettore ad una visione epidermica, fugace appunto, della notizia e di restarne un po’ distaccato, di non immagazzinare il vero portato della comunicazione, finendo col perdere i dettagli importantissimi della forma espressiva. In più c’è il rischio che, per un qualsiasi inconveniente di funzionamento della Rete o del PC, si possa perdere il materiale redatto. Nonostante ciò, dovendo stare alle impellenze del nostro tempo, abbiamo optato per l’edizione on line… Riguardo al nome scelto per la nostra Associazione, diremo che L’Ancora di Partenope sta a significare che essa deve essere il mezzo con cui ancorarsi per trovare significanza e risposte che contrastino il malessere diffuso del nostro tempo: ogni azione ed attività sono volte al benessere che consegue allo stare assieme, in rapporto dialogico con tutti gli aspetti di una società in disgregazione, dominata da un ottuso individualismo. La forma associativa delinea un mezzo che persegue la finalità dello “stare assieme per stare bene”. Sulla scelta di Partenope, appare intuitivo il collegamento al primo nome dato alla nostra città, ed anche perché Partenope, o Napoli che dir si voglia, è il nostro luogo identitario ed è da essa che dobbiamo partire per raccontarci le storie del nostro vissuto: noi siamo di Napoli e stiamo a Napoli. Il giornale LA ZATTERA, nel titolo e nell’intento del suo Direttore responsabile, vuole essere il posto dove poter salire e rimanere a galla tra i marosi di questo mondo agitato e cercare, con le proprie lotte ed energie, la giusta rotta per poter raggiungere il luogo dove, si spera, possa esserci più serenità e nutrimento per l’anima.
Quale via se non attraverso l’Arte? Quale via se non attraverso il proprio vissuto con la propria testimonianza? Ogni collaboratore è invitato perciò ad esprimersi liberamente e la nostra ambizione è quella di riuscire nell’intento di lavorare “assieme” avendo, come unico obiettivo, quello di fare cultura e spingere il lettore ad una sana e costruttiva crescita, fornendo quindi un modesto contributo per il miglioramento del vissuto sociale.
Maurizio Lioniello presenta Gaetano Coppola
Conosco Gaetano Coppola da molti anni. Le chiacchierate (rare a causa del frenetico lavoro) che ogni tanto riusciamo a farci sono la porta per il mondo della sua sensibilità. Gaetano è infatti una persona di una sensibilità unica ed incredibile. Basti pensare alle mille cose che riesce a fare: egli è poeta, attore comico ed attore tragico, infermiere, don Chisciotte della Mancia, giornalista, direttore di riviste poetiche e non, insegnante di poesia, direttore dell’Unesco. Senza dimenticare, in tutto questo, la vita. La vita di essere umano che ha scelto di essere “single” (oggi si dice così) per poter essere libero di amare tutti, ed in primis San Francesco e la sua Assisi a cui Gaetano è legato in maniera viscerale. Qui, in questa nuova rivista che andiamo a presentare, voglio riportarvi cinque delle sue poesie, scelte quasi a caso. Son padre di figli mai nati Son padre di figli mai nati. Solo son nato per chi è arso da amori svaniti. Fluire, sovrapporsi ed aggrovigliarsi, amalgamarsi con vecchi desideri vitali carnali vibrazioni e desiderio d’assorbirsi, per me tutt’uno. Padre e figli mai nati figlio di padri mai conquistati. Amore, l’amore ho donato. Amore, l’amore ho ricevuto, rimanendo sempre e solo in compagnia dell’Unica mia amante:
la stella, il mare, il bosco, il sole ed ancora il mare… Incessante ed eterno, essere padre di figli mai nati per colmare gli amori svaniti ed essere il riparatore di sbagli altrui. Qual è il significato di questa poesia? Certamente (come ogni splendida poesia) essa ha più di un significato, certamente non meno di mille, certamente quello che ogni lettore vi scorge. Qui, nella mia veste di presentatore, mi piace sottolineare l’aspetto autobiografico di Gaetano, il quale, scegliendo di essere single, ha rinunciato alla gioia di essere padre biologico. Gioia che comunque gli è naturale, naturale ad ogni sua molecola. Egli (ed io posso confermarlo) nutre una tenerezza viscerale per tutti i bambini (da qui il suo impegno nell’UNESCO) e, più vicino alla vita quotidiana, verso i figli degli amici tanto che, in qualche caso, egli è stato indotto a diventarne padrino, secondo la terminologia cattolica, ossia SECONDO padre, ed in primis Francesco. Un altro aspetto che voglio sottolineare è che, nonostante i suoi figli biologici non siano mai nati, il poeta “Amore, l’amore ha donato. Amore, l’amore ho ricevuto”. L’articolo determinativo messo a bella posta dopo la parola Amore in entrambi i versi non è casuale: non solo è musicale ed evocativo ma anche, e soprattutto, esplicativo. Infine vorrei far notare che l’”Unica mia amante” non è unica: la stella, il mare, il bosco, il sole ed ancora il mare… Tutto il creato insomma. E mi fermo qui, lasciando al lettore la sua emozione. Davanti a tutti Davanti a tutti, son Condottiero e sfreccio parole in difesa di te… In battaglia davanti a tutti mi proteggo col solo sentimento, colonne di grigia infamia ci separano dal Cielo E… dietro: solo il mio inchiostro. Questo, secondo me, è il grido di amore di ogni poeta. Che si pone davanti a tutti, condottiero della propria personale battaglia nei confronti della vita, dell’amore e dell’onore. Ma quali sono le sue armi? Non pistole né pugnali, bensì parole. Le parole possono poco contro le armi eppure il poeta va avanti, nella sua battaglia e come scudo ha solo “sentimento”. Le sue armi sono quindi le parole, le sue schiere le parole, i suoi eserciti le parole… E dietro? Solo inchiostro.
E’ così facile sognare E’ così facile sognare. Basta il suono delle campane la domenica mattina e sei fanciullo profumato di bagno coi vestiti puliti che s’avvia verso la chiesetta ornata a festa… per ricevere la bianca ostia. Basta il profumo dei gelsomini in un fresco pomeriggio e sei uomo voglioso di vivere con la vita stretta nelle mani che s’ubriaca di colori per rimanere ebbro di vite umane. Basta un alito di vento la sera la canto dei grilli vestito di luna per annusare quei tanti aliti cha han sussurrato amore. E’ così facile sognare. Mentre è ancora più facile, per un niente accorgersi di essere solo. Il sogno del poeta, adulto, basta per creare, almeno per un istante, il ricordo: fanciullo, coi vestiti puliti,verso la chiesetta. Sembra quasi di annusarli questi vestiti puliti e, in lontananza, si vedono le mani di madre, intente a pulire, a profumare, a stirare questi vestiti per il suo bimbo. Un altro attimo… ed il bimbo è diventato uomo. Uomo che ama, uomo che accarezza e che stavolta non annusa il profumo degli abiti puliti dalla madre, ma annusa l’alito di TUTTI quelli che sussurrano amore. Perché questo è il compito del poeta. Interpretare se stesso e attraverso se stessi anche l’altro. Infine il sogno svanisce e la realtà irrompe: accorgersi di essere solo. Dover col dolore Dover col dolore vedere abbassare gli occhi davanti ai miei,
riassaporare il dolore di antiche ferite ingigantisce il mio disincanto ostentato dal mio averti amato tanto. Un unico e lungo pensiero, fatto di vari flash. Il poeta vede che l’altro (l’amato) abbassa gli occhi. Questo semplice e comune gesto di vedere genera il dolore, la ferita dell’anima e della sensibilità. Questo semplice e comune gesto genera il ricordo di antiche ferite, che salgono alle labbra come se fossero state vissute non ieri, non un anno o dieci anni fa, ma un attimo prima. Tutto è concluso dall’amarezza: averti amato tanto. A piedi nudi calpesto il prato A piedi nudi calpesto il prato per rendermi conto che la terra c’è ancora. Sono fuori dal tempo, questo tempo del duemila non è mio… Tra le dita s’intrecciano fili d’erba bagnata ed i rovi graffiano le gambe la farfalla s’è appiccicata sul rivolo di sangue l’odore dell’erba m’inebria questo è il mio tempo… La vista del campanile della chiesetta di campagna mi riporta al mio credo in Dio al mio amore puro. A piedi nudi calpesto il prato per rendermi conto che non esistono solo i telefonini. Questo è dunque il mondo di Gaetano Coppola. Un mondo in cui il sentimento e le cose semplici e vere hanno gusto, molto più della ricchezza, dell’agiatezza e di mille telefonini, di mille amori facili, di mille milioni. Di euro. Nota: Queste cinque poesie sono tratte dal libro DISINCANTO, di Gaetano Coppola, edito dal CLUB UNESCO di Napoli.
Il bambino con lo zaino di Enzo Caremani –Arezzo –
Ho conosciuto Yousaf, un delizioso bambino pakistano di 7 anni, un pomeriggio di qualche mese fa in un doposcuola dove mi reco per la mia attività di volontariato. E' così piccolo Yousaf che, quel giorno, ho visto uno zaino camminare da solo dietro un ciuffetto di capelli neri, anzi correre per cercarmi. Qualcuno tra i miei colleghi gli aveva detto che lo stavo aspettando per studiare insieme le tabelline e risolvere delle cervellotiche operazioni di aritmetica. Abbiamo immediatamente simpatizzato: lui che trovava divertente il gioco dei micini, che avevo disegnato senza tanta maestria, da mandare a fare un pisolino da soli o in coppia o a quattro in una bella cesta per poi chiamarli e farli uscire per contarli, caso mai ne avessimo perso qualcuno, ed io estasiato di fronte a quel naturale prodigio che è la feconda curiosità dei bambini. Esperienza stupenda che consiglio a tutti coloro che questo non lo avessero verificato. Io e Yousaf abbiamo sancito un patto di duplice alleanza che prevede tre articoli fondamentali: 1) Non sono ammessi errori o cancellature di qualsiasi sorta nella descrizione grafica delle operazioni e neppure si può sbagliare nel prezioso procedere (per due, per tre, per quattro, etc.) del moltiplicarsi o dividersi del gruppo dei micini o delle farfalle o dei numeri. L'ordine e la precisione sono l'essenza di questo procedere. 2) Ad ogni bel traguardo raggiunto da lui io dovrò tirar fuori dalla tasca una caramella al cioccolato o alla frutta. 3) Per rispettare la sua volontà, io dovrò stare solo ed esclusivamente con lui ogni lunedì. Il tutto approvato con affettuosa stretta di mano. A dire il vero l'alleanza ha permesso ad ambedue di effettuare notevoli progressi: a lui nell'ambito delle conoscenze aritmetiche e della lingua italiana, che ora parla in maniera pressoché perfetta e a me nel confermare il mio convincimento, se mai ne avessi avuto bisogno, di quanto siano necessari il ragionamento e la tolleranza, illuministicamente intesi, per favorire l'integrazione sociale e culturale di individui appartenenti a gruppi etnici diversi dal nostro che spesso, come sappiamo, hanno regole etico-religiose interpretate a piacimento dal
potere per meglio soggiogarli e perseguitarli o annientarli , costringendo masse di persone innocenti a lasciare la propria terra per varcare, come indesiderabili, i confini di altre nazioni. I mari attorno a noi sono insanguinati, le loro onde hanno sommerso migliaia di persone, fra loro tanti bambini. Ecco: Yousaf avrebbe potuto essere stato uno di loro, uno di quelli che hanno invocato i genitori prima di sparire tra le acque gelide dell'Egeo o del Mediterraneo o morire di sfinimento davanti alla salvezza, occlusa dalle paure xenofobe dell'occidente. Il grande errore del mondo occidentale, dopo quello di avere, per la sua cupidigia, dato il via per la creazione di numerosi stati politicamente ed etnicamente instabili, dove la miseria dilaga e pericolose ideologie trovano terreno fertile, è anche quello della sua convinzione che i diritti (alla pace, alla sicurezza dentro i propri confini, al benessere etc.) siano ormai definitivamente acquisiti , mentre la garanzia dei nostri diritti non è inversamente proporzionale al riconoscimento e al rispetto dei diritti di ogni popolo, la nostra vita alla vita di ogni cittadino del mondo. Ad ogni bambino dovrebbe essere garantita l'istruzione come primo strumento indispensabile per la sua emancipazione, come base essenziale della sua libertà di essere, di pensare e di credere; da qualsivoglia etnia egli provenga. Purtroppo Yousaf dovrà superare diversi scogli di emarginazione e d'intolleranza, mentre i tanti bambini come lui dovrebbero avere riconosciuta la cittadinanza italiana.
Non amo scrivere articoli di giornale. Ma non potevo o, meglio, non volevo rinunciare a dare il mio contributo al primo numero de La Zattera. Così, fra le mie poesie inedite, ne ho scelte due che non avessi già programmato di inserire in raccolte future e, soprattutto, che trattassero di argomenti ̶ purtroppo, aggiungerei ̶ attuali. Buona lettura, Raffaele Sivolella Un giovane promettente "È un giovane promettente" vanno ripetendo e intanto non ascoltano, se non le loro voci: tronfie di superbia piene di rimpianto tremanti di timore e di chissà cos'altro. Mediocri dietro corazze ben tornite, ancorati a piedistalli luccicanti, secondo voi si avvedono che vanno uccidendo il giovane? Secondo voi, del giovane, qualcosa gliene fotte? Amici Ho visto amici morti a vent'anni, calpestati, frantumati, fatti a pezzi i loro sogni da una casta di baroni tristi e incattiviti. Ho guardato i loro volti già provati, insoddisfatti, sistemati, assicurati, a cinque cifre i conti in banca peccato la felicità non si compri. Ho fissato i loro occhi sempre spenti, pietrificato, inaridito, preso a morsi il loro cuore. Ribellatevi, amici, ribellatevi!
GIORNATA MONDIALE DELLA POESIA 2016 indetta dall’UNESCO Mondiale Organizzata dall’Associazione Culturale L’Ancora di Partenope 21 Marzo 2016 Complesso Monumentale San Severo al Pendino Napoli
La celebrazione della Giornata Mondiale della Poesia indetta dall’UNESCO il 21 marzo, organizzata dall’Associazione Culturale - no profit - l’Ancora di Partenope rispettando i Principi sanciti dall’UNESCO ha avuto come tema principale, la difesa dei diritti umani con particolare attenzione al: “rispetto del diritto umano dell’Accoglienza. L’Evento si è avvalso del Patrocinio morale del Comune di Napoli, Assisi e dell’Osservatorio Permanente del Comune di Napoli –Sito UNESCO –. La parte centrale dell’Evento è stata dedicata alle poesie degli Allievi del Corso di Pratica Poetica Letteraria ed Esistenziale dell’Associazione L’ancora di Partenope diretto dal Presidente, Prof. Gaetano Coppola. Gli attori teatrali della Compagnia “Incontrando”: Giordano Christian, Cirillo Luca, Pinto Luca, ed Angela Addezio, presentati da Carmine Gargiulo, si sono esibiti in sketch su argomenti inerenti al tema della giornata. In seno all’Evento è stato celebrato Salvatore Di Giacomo, poeta napoletano. L’evento si è aperto coi saluti e gli auguri del Consigliere regionale, Francesco Moxedano in compagnia della moglie Tina Felace. Ci hanno onorato le Guardie nazionali internazionali col loro Generale il Sig. Alessandro Della Posta. Papa Massamba Gueye, mediatore culturale del Senegal ha avuto il conferimento di Socio onorario, per gli Alti meriti culturali ed umani e per la sua collaborazione con l’Associazione L’Ancora di Partenope. Nella stupenda cornice del Complesso monumentale gli ospiti si sono esibiti con maestria e grande professionalità. Le loro voci si sono strette inneggiando alla Poesia con vibranti emozioni coinvolgendo tutti i presenti. Gli interventi musicali ed i canti hanno fatto vibrare gli animi dei presenti nella splendida cornice del Complesso Monumentale, diretto dalla Dottoressa Maria Antonietta Cambriglia alla quale va il nostro GRAZIE più affettuoso. A Francesco Esposito che ha superbamente affiancato Gaetano Coppola nella conduzione dell’Evento, va il GRAZIE infinito. Anita Buono, magistrale interprete della poesia di Salvatore di Giacomo “a mamma”, ha saputo far emergere l’animo verace del napoletano proprio dal cuore della Città.
“Se questo e’ un uomo” di Francesco Romano
Queste erano le prime parole dei versi introduttivi dell’opera di Primo Levi che racconta l’orrore dell’olocausto, l’uomo che distrugge l’uomo, in una spirale di odio che mai si è arrestata. I flussi migratori dal medio-oriente all’Europa sono più che mai intensi. E’ crisi totale. Queste povere anime vengono utilizzate come capri espiatori dei popoli europei, privi ormai di valori e di identità, logori e vaganti, senza riferimenti morali di saggi e poeti, da cui attingere un sorso di verità. Uomini dagli occhi sbarrati e vuoti, dediti ai ritmi frenetici della loro vita su cui ancora imperversa questa fantomatica crisi economica di cui mai nessuno ha capito nulla, o mai ha voluto capirne. Ma cosa ne sappiamo noi di questi profughi e di questi altri rifugiati che scappano dall’orrore, dalla morte, dalla disperazione, dalle loro case. Lì da dove noi abbiamo esportato quell’orrore, quella morte e quella disperazione. Abbiamo il coraggio di erigere barriere, fisiche oltre che morali, dicendogli espressamente: “noi questa guerra non la vogliamo: è la vostra guerra!” quando, invero, questa da sempre riguarda tutti noi. Crediamo poi che questa sia davvero lontano, ma quanto distano l’Italia, la Grecia, l’Austria, la Germania, la Francia dalla Siria, dalla Libia, dall’Egitto? Non molto. Sono di qualche giorno fa le scene vergognose dei greci di Alba Dorata che percuotevano, tentando anche di uccidere, gettando a mare uomini, donne e bambini che avevano da poco messo piede sulle coste elleniche e che protestavano contro un accordo scellerato tra UE e Turchia che prevede il respingimento dei profughi verso la Turchia stessa, giudicata, chissà come, luogo sicuro. Eppure i militanti neonazisti raggiunsero il loro scopo: le autorità furono costrette a trasferire in Turchia, per evitare un’escalation più grave di eventi, tutte quelle povere anime ;colpevoli solo di
desiderare una vita migliore. Emblematiche sono le parole di una di queste, Moustafà, che guarda il mare e dice: “Non capisco perché fanno questo. Cosa gli abbiamo fatto?” Il mondo per voi non è un posto sicuro, caro Moustafà, siete solo il risultato di ogni guerra; siete solo un numero che rappresenta un costo per la società moderna che sa ragionare solo di economia, dimenticatasi che anche nell’economia c’è un’etica. Una società che sa che il costo annuo per l’accoglienza dei rifugiati in UE è pari a 12,5 miliardi di euro, mentre il costo annuo dell’evasione (stando all’ultimo scandalo “Panama Papers”) è di 1000 miliardi e nonostante ciò non ha il coraggio nemmeno di indignarsi! Sembra ormai che ci troviamo in uno stato continuo di belligeranza e, come tutti i conflitti che hanno impegnato così tanto l’opinione pubblica, questa è una guerra di bugie e di false verità, copertissima mediaticamente ma di cui sappiamo ben poco. Sono sempre stato dell’idea che il vero motivo di questa destabilizzazione sociale sia una crisi non di natura economica ma morale, una crisi insita nella coscienza dell’uomo.: l’essere umano non sa più Essere umano! Il processo di conformismo ad uno stile di vita fondato sulla competizione tra uno e il suo vicino, l’acquisizione incessante di beni, l’avere più che l’essere, il profitto economico come unico obiettivo da raggiungere in ogni caso, hanno reso l’uomo vuoto e infelice. Condividere, aiutare, indignarsi, ad oggi sembrano essere delle vere sfide ma possiamo ancora cambiare, cambiare noi stessi per poi cambiare il mondo. Non ci sono alternative: il cambiamento deve necessariamente nascere in ognuno di noi! Poi saremo pronti a condividere, ad aiutare, ad indignarci; saremo pronti ad amare. Scriveva Tiziano Terzani (in “Lettere contro la guerra”): “Ancor più che fuori, le cause della guerra sono dentro di noi. Sono in passioni come il desiderio, la paura, l'insicurezza, l'ingordigia, l'orgoglio, la vanità... Lentamente bisogna liberarcene. Dobbiamo cambiare atteggiamento. Cominciamo a prendere le decisioni che ci riguardano e che riguardano gli altri sulla base di più moralità e meno interesse. Facciamo più quello che è giusto, invece di quel che ci conviene. Educhiamo i figli ad essere onesti, non furbi. E' il momento di uscire allo scoperto; è il momento d'impegnarsi per i valori in cui si crede”. Scolpiamo queste parole nelle nostre coscienze, facciamone tesoro. Traiamo il meglio da noi stessi e, come ci ricordava spesso Vittorio Arrigoni, Restiamo Umani.
Vivo un senso di irriducibilità assoluta rispetto alle politiche e alle mediazioni. Sento ancora come mio, l’anelito dei vent’anni, che è quello di salvare il mondo e di sanare i torti di una città ferita. Ho vissuto tante Napoli, ed ho dialogato con esse. Oggi non scopro più gli spazi per un confronto dialettico, in una società che non riconosce più come fondanti i valori ideali, permanenti e irriducibili, ma che è pronta ad accogliere il “gioco al ribasso”, a mediare con la mediocrità e a compromettersi non a favore dell’emancipazione dei più deboli, ma contro di loro. Chiudere le librerie, barricare il sapere, censurare la libertà di espressione, alzare steccati che confinano i gruppi sociali, …, significa far guerra ai poveri, ai deboli, a coloro che scarseggiano in capacità contrattuale. Significa soprattutto relegare i giovani nel cantuccio del divertimento facile, dell’abisso del vuoto, nell’improduttiva attesa di un domani che mai verrà e per il quale non devono prepararsi il vestito buono: basterà loro il braghettone o la mai dismessa tuta sportiva, che si è fatta tuta da casa, da passeggio, da letto…, non avendo saputo, la società moderna, nemmeno trasmettere loro il senso dello sport, ma solo quello di becera e triviale tifoseria.
ANNI 50: Resina – Pugliano Mercato delle Pezze di Gaetano Coppola
Carissimi, purtroppo questa domenica il mio ricordo va a quegli anni molto tristi per noi. Ci "puzzavamo" di fame e di freddo. Eravamo appena usciti dalla guerra è l'Italia stentava a riprendersi. Napoli, sempre peggio delle altre Città, anche in questo. A Resina, oggi ritornata a chiamarsi Ercolano, era il più grande mercato delle pezze dove ci recavamo a comprare quegli stracci a poco prezzo che lavati diventavano i nostri abiti. Li indossavamo con vergogna sì, perché divisa di miseria e povertà, ma indossati con tanta dignità. Chi è della mia età può ricordarsene. Poi arrivato il tempo della ripresa, della rinascita e del boom economico questo fatto diventò moda ed era "trend", come si dice oggi, e tutti gli snob: i figli cosiddetti di papà, indossavano con grande disinvoltura i panni comprati a Pugliano (zona di Resina). Oggi, nel 2016 siamo abituati a vedere i nostri giovani indossare pantaloni e maglie stracciate con una disinvoltura indicibile ed ogni pezzo di questi indumenti stracciati costa anche una bella e non indifferente cifra... Li vedo e dentro di me mi vien da sorridere, perché questi non sanno che quelli erano gli abiti degli straccioni, dei veri poveri, dei lazzaroni che popolavano questa nostra, sempre, popolosa città. I famosi psicologi di turno, vogliono spiegarci il movente e trovare, ad ogni costo, inconsce motivazioni a questa moda corrente. Chi è della mia età non può che provare un senso di tristezza. Ci vestivamo con gli abiti che gli Americani ci mandavano durante il dopoguerra ed a Resina era un affollarsi generale quando si aprivano le balle, perché in questo modo si aveva la priorità di comprare le cose migliori.
Naturalmente, anch'io sono stato vestito così. Sono figlio di operai e tutt'ora è il mio unico e grande vanto. Cerchiamo di aprire bene gli occhi sul valore delle piccole cose che ci circondano e di apprezzarne il significato: è la vera felicità. Come sto male, quando mi trovo a casa di qualcuno ed il figlio chiede alla mamma: "cosa si mangia?"... e questi risponde con un " che schifo !" Vi auguro davvero una bella domenica con l'augurio che possiate davvero gustare il sapore delle piccole cose. Gaetano
Gli incontri “impossibili”: Nietzsche e Bergman cercano Dio. di Mariano Marmo
Figura 1 BERGMAN
Figura 2 NIETZSCH
Per molti anni il pensiero di Federico Guglielmo Nietzsche è rimasto imprigionato tra lo stereotipo di un nichilismo iconoclasta e distruttivo e quello di una “volontà di potenza” identificata con le forme di un dominio politico di cui il nazi-fascismo sembrava costituire la peculiare espressione. I suoi studi teologici furono orientati in una difesa contro le ansie e le angosce della sua adolescenza, specialmente, contro la sempre più radicale crisi della sua fede religiosa. Nietzsche in realtà non discute
l’esistenza di Dio: per millenni gli uomini hanno creduto in Dio, lo hanno amato e temuto ed ora, egli dice, lo hanno ucciso. Per questo tipo di formulazione è evidente che egli non si riferisca ad un ente Divino che, nella sua assolutezza è inattingibile dall’azione umana. In “Così parlò Zarathustra”, quel dramma raggiunge il suo culmine adottando un aforisma nel quale Nietzsche parla di un uomo folle che si presenta nel mercato della città alla chiara luce del giorno con una lampada accesa per cercare Dio, provocando i motteggi dei presenti. L’assassinio di Dio riguarda piuttosto la estinzione di quella “idea di Dio” elaborata dalla mente umana e da quella proiettata su di un piano ontologico che la estranea dalla sua matrice. È perciò naturale che la scomparsa determini nell’uomo un profondo disorientamento. Una visione non lontana da questa ha caratterizzato tutta la cinematografia di Ingmar Bergman, grande e tormentato regista svedese. Nel Settimo Sigillo del 1956 ambientato nel più tetro Basso-Medioevo, un cavaliere tornando dalle Crociate incontra una triste figura vestita di nero: la Morte. Sapendo ciò che gli aspettava, il cavaliere chiede una dilazione sulla data della sua dipartita qualora, sfidandola ad una partita a scacchi, avesse vinto. Ed ecco trasparire nella confessione del cavaliere ad una figura che egli credeva frate, ciò che Nietzsche teme avvenga nell’uomo che non crede all’idea di un Dio: “… il mio cuore è vuoto. Ed è vuoto come uno specchio che sono costretto a fissare. Mi ci vedo riflesso e provo solo disgusto e paura. Ma perché, … perché non è possibile cogliere Dio con i propri sensi? Per quale ragione si nasconde tra mille e mille promesse e preghiere sussurrate e incomprensibili miracoli? Perché io dovrei avere fede nella fede degli altri? E cosa sarà di coloro i quali
non sono capaci né vogliono avere fede? Perché non posso uccidere Dio in me stesso? Perché continua a vivere in me in maniera vergognosa ed umiliante anche se lo maledico e voglio strapparlo dal mio cuore? E perché nonostante tutto Egli continua ad essere uno struggente richiamo di cui non riesco a liberarmi? Io vorrei sapere, senza fede, senza ipotesi, voglio la certezza, voglio che Dio mi tenga la mano e scopra il suo volto nascosto e voglio che mi parli. Lo chiamo e lo invoco e se Egli non risponde penso che non esiste. Allora la vita non è che un vuoto senza fine”. Bergman però piange un bisogno inappagato che mai lo solleverà dai tormenti. Nietzsche, apparentemente, teme solo che Dio non esista per amore dell’umanità giacchè, per lui, una progressiva opera di demitizzazione della vita può avere conseguenze sconvolgenti per gli uomini. Entrambi tentano disperatamente di fare ciò che eserciti di filosofi e teologi hanno affrontato per secoli. Toccare Dio? Ma se Dio è una necessità, la necessità non può essere toccata, ma solo evocata dall’interno e nei modi più diversi da uomo a uomo senza perderne così, valore ed intensità.
IL TORO FARNESE Di T. Wenner
Nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli abbiamo il più grande gruppo statuario pervenutoci dall’antichità, chiamato “Toro Farnese” o anche “Supplizio di Dirce”. Si tratta di un basamento quadrato di m 3 x 3, sul quale si affastellano numerose figure in marmo sia umane che animali disposte in una composizione piramidale fino ad un’altezza di m 3,70, tanto che in passato il gruppo veniva anche chiamato “montagna di marmo”. Ancora oggi gli studiosi non sono concordi sulla sua datazione: alcuni che lo considerano l’opera originale degli scultori greci Apollonios e Tauriskos, la datano intorno al 160 a.C.. Altri che la considerano invece una copia romana, la collocano per motivi storici nella seconda metà del I secolo a.C. (E. La Rocca); altri per motivi stilistici e formali in età giulioclaudia (B. Andreae); altri infine per motivi tecnici in epoca severiana (Studniczka). Insomma si spazia fra il II sec. a.C. e gli inizi del III sec. d.C. con buona pace di chi desidererebbe un po’ più di precisione. Nonostante che l’opera sia celeberrima, non altrettanto lo è la storia rappresentata, che di solito viene liquidata dalle guide in modo sbrigativo come Dirce che viene punita per aver maltrattato Antiope. Ma che cosa era successo realmente? La storia è questa. Una donna di nome Antiope era stata amata da Zeus e partorì dei gemelli, Anfione e Zeto. Un oracolo predisse che i due nati sarebbero diventati re di Tebe. Dirce, regina di Tebe, per impedire che questo si realizzasse, ridusse in schiavitù Antiope ed espose i due neonati nel bosco perché venissero sbranati dalle fiere. Invece i piccoli vennero raccolti da pastori che li crebbero. Un giorno Antiope riuscì a scappare e si rifugiò proprio nella capanna dei ragazzi; i due, accorgendosi che si
trattava di una schiava fuggita, la cacciarono via. I pastori allora rivelarono loro che si trattava della madre. Sopraggiungendo in quel momento Dirce per riacciuffare Antiope, la regina propose di punire la fuggitiva legandola ad un toro selvatico per farla calpestare a morte. I due ragazzi allora, liberata la madre, inflissero a Dirce il supplizio che lei aveva proposto. Con la morte della regina, Anfione e Zeto divennero re di Tebe, realizzandosi così quanto l'oracolo aveva predetto svariati anni prima. Quello che il nostro gruppo statuario rappresenta è il momento più drammatico dell’episodio, quando il possente e rabbioso toro viene afferrato per le corna da Anfione affinché il fratello Zeto gli possa legare intorno alla testa la fune a cui è legata Dirce che, già caduta a terra e consapevole del suo imminente tragico destino, si mostra atterrita, mentre poco lontano è Antiope in atteggiamento solenne ma distaccato come se il fatto non la riguardasse. Il tutto si svolge sul monte Citerone, un ambiente selvatico che viene suggerito dai numerosi animali di ogni genere scolpiti tutti intorno al basamento. Questo straordinario gruppo scultoreo antico, benché esposto al Museo Archeologico di Napoli - che notoriamente raccoglie la maggior parte dei ritrovamenti pompeiani - in realtà non proviene da Pompei, bensì da Roma, essendo appartenuto alla potente famiglia dei Farnese, le cui collezioni d’arte passarono in eredità al nostro re Carlo III di Borbone la cui madre era Elisabetta Farnese. Papa Paolo III (Farnese) aveva realizzato questa eccezionale collezione d’arte cominciando proprio a Roma a scavare i monumenti più grandiosi per rinvenire sculture antiche. Scavando gli imponenti ruderi delle Terme di Caracalla, nel 1545 fu ritrovato il Toro Farnese naturalmente in una miriade di frammenti la cui ricomposizione, ricostruzione ed anche integrazione richiese ben 30 anni di lavoro grazie anche all’opera di famosi scultori rinascimentali tra i quali Guglielmo della Porta, allievo di Michelangelo. Lo stato frammentario dell’opera impedì per un certo tempo anche la sua corretta comprensione ed identificazione: dapprima vi si riconobbe Ercole in lotta col toro maratonio; poi invece la lotta fra Teseo e il toro alla presenza di Ariadne distesa. Comunque il restauro molto accurato fu eseguito tenendo presente il passo di Plinio dove egli descrive il gruppo del supplizio di Dirce dicendolo opera realizzata da Apollonios e Tauriskos di Tralles, trasportata dall’isola di Rodi a Roma, e qui divenuta proprietà di Asinio Pollione (Naturalis Historia XXXVI, 33-34).
Una volta ricomposto il gruppo scultoreo, nonostante la sua eccezionalità e notorietà, tuttavia non si trovò una sistemazione dignitosa in Palazzo Farnese a Roma, lasciandolo chiuso in un enorme capannone nel cortile del palazzo. Persino il progetto di Michelangelo di riutilizzarlo per una fontana, non fu mai realizzato. Infine il figlio di Carlo III, Ferdinando IV di Borbone, che curò il trasferimento da Roma di tutta la collezione Farnese, fece pervenire il Toro Farnese a Napoli nel 1788. Benché il gruppo fosse stato ancora rinforzato prima della sua partenza ed il trasporto fosse avvenuto via mare, tuttavia il gruppo arrivò notevolmente danneggiato da richiedere nuovi interventi di restauro. Fu quindi sistemato nel parco della Villa Reale (oggi Villa Comunale), nel luogo dove oggi si trova la fontana detta delle paparelle (nella zona tra l’Acquario e Piazza Vittoria). Qui, essendo esposto alle intemperie e ad ogni genere di agenti atmosferici ma soprattutto aggredito dalla salsedine corrosiva del mare, fu proposto di coprirlo con un capannone a forma di tempietto, cosa mai realizzata; finché nel 1824 non fu deciso di rimuoverlo definitivamente e sistemarlo nell’edificio del Museo Borbonico dove tuttora si trova (seppure sotto l’attuale nome di Museo Archeologico Nazionale). Da allora l’opera, per le sue dimensioni colossali, non è mai stata più rimossa, neppure durante la Seconda Guerra Mondiale quando, in vista dei bombardamenti che avrebbe subìto Napoli, tutti gli oggetti esposti nel museo vennero per tempo incassati e depositati nei sotterranei, mentre il Toro Farnese venne ricoperto e sepolto sotto una montagna di sacchetti di sabbia per preservarlo in caso di incendio o di crollo dell’edificio. Di recente, negli anni ’90, un nuovo radicale intervento di pulitura e di restauro ha fatto scoprire una cavità all’interno del suo basamento, collegata ad un condotto che fuoriusciva fra i due tronchi di sostegno delle statue di Anfione e del toro, rivelando così che originariamente il gruppo aveva una funzione di fontana; una rivelazione singolare se pensiamo al progetto irrealizzato di Michelangelo ed alla sistemazione borbonica nella Villa Reale. In effetti, come fontana, nelle antiche Terme di Caracalla il Toro Farnese aveva una posizione centrale e quindi poteva essere apprezzato da tutti e quattro i lati, offrendo così agli spettatori una vista sempre mutevole e mai fissa dell’opera; una sistemazione molto simile a quella che attualmente viene offerta ai visitatori del Museo Archeologico. Qui la maggior parte dei turisti si fanno fotografare davanti al gruppo scultoreo, ignari del fatto che la veduta frontale è la peggiore della colossale opera, risultando tutti i visi dei personaggi coperti; il visitatore
consapevole invece, che si sposterà lievemente di lato sulla sinistra diciamo a 45 gradi - potrà godere appieno della veduta in contemporanea di tutti i personaggi presenti, in tutta la loro espressività, interazione e straordinaria dinamicità.
NAPOLI ... QUANTA STORIA... ! “ 'll'acqua 'e mmummare di Gaetano Coppola - da archivi storici – Acqua zurfegna L'acqua zurfegna sgorga a Napoli dal Monte Echia ed è conosciuta anche come acqua del Chiatamone, dalla strada in cui si trova la fonte originaria, dove avveniva l'imbottigliamento nelle "mummare", fiasche in terracotta di forma panciuta, usate per conservare senza alterare le proprietà dell'acqua raccolta. Metodo molto antico, usato anche nelle zone desertiche e semi-desertiche della Terra, dove l'esigenza di raccogliere e conservare l'acqua potabile è un problema molto serio. Conosciuta con i nomi di "suffregna", "ferrata" e "delle mummare", quest'acqua ha rappresentato per secoli la bevanda per eccellenza dei napoletani, abituati a sorseggiarla in piccole dosi mescolata con il vino, oppure a gustarla presso le "banche dell'acqua", dove il venditore, l'"acquaiolo", la serviva liscia o con l'aggiunta di arancia o limone ed un pizzico di bicarbonato. L'acquaiolo, presente nelle strade di Napoli fino al 1973, l'anno del colera, attirava i passanti con il suono dello spremiagrumi in ferro, e gridando: «Venite 'a rinfrescarvi tengo l'acqua do' Chiatamone, c'arance e limoni 'e Surriento; chest' è acqua 'e paradiso, è acqua 'e mummera; 'na veppet' è chest' acqua te cunzola (una bevuta di quest'acqua ti consola); vih! Che freschezza”. (Da documenti storici. L'acqua zurfegna era tanto nota a Napoli che un ministro napoletano, in visita da Franceschiello, ultimo re Borbone, esule a Parigi con la moglie Maria Sofia, decise di portare in omaggio al re un ricordo della città che raffigurasse uno scugnizzo con la "mummara" sotto braccio e la "mummarella" in mano.
Per questo chiese allo scultore Vincenzo Gemito di forgiare la statua in argento fuso oggi esposta nella Galleria Nazionale d'Arte Moderna. Attualmente la fonte è chiusa. Si dice che si approfitto' del colera per privare i napoletani di questa ricchezza donata al popolo da Ferdinando II. Si dice ancora che su quella sorgente si sia costruito un Hotel di lusso con cure di acque termali....questo Hotel affaccia sullo splendido lungomare di Via Caracciolo...
Cos’è LA POESIA Di Carlo Molino
E’ l’arte con cui trasmettere, attraverso una comunicazione di sensi, l’espressione più intima di emozioni e pensieri. Mente e cuore organizzano le sensazioni e le trasformano in un linguaggio. Le parole penetrano nel profondo dell’anima ed il suono ed il ritmo con cui vengono pronunciate permettono diverse percezioni dei sentimenti adattandosi alla sensibilità del lettore. Il linguaggio assume, pertanto, un significato di intima comunicazione con il quale confrontarsi, in silenzio, in piena libertà, permettendo al contenuto di non adeguarsi a schemi rigidi ma di adattarsi alle singole capacità di espressione. E’ un atto creativo con cui, talvolta, si esprime la visione personale del mondo ed i valori in cui credere mostrando se stessi e dialogando con l’intimità, talvolta oscura, che ci avvolge. Non è possibile imitare il singolo componimento perché nessuna lirica, anche se utilizza parole simili, ha nella sua totalità lo stesso significato. L’emozione è singola, unica e non trasmissibile.
Poesie come, “M’illumino d’immenso” di Giuseppe Ungaretti. Ci permette di apprezzare, pur nella sua brevità, sensazioni ed emozioni così uniche e non trasmissibili che possono anche variare, nella stessa persona, se viene percepita con suoni e ritmi diversi. E’ il confronto fra le parole ed il loro significato che determina una miscellanea di sensazioni ed emozioni che danno colore e sapore diverso cadenzando il piacere dell’anima e del corpo. Tutti possiamo usufruire del nutrimento della poesia altrui e tutti possiamo scrivere poesie ma nessuno può imparare a farlo se nel profondo di se stesso non esiste già il germe istintivo e del tutto irrazionale che permette, a chi scrive, di farlo ancor prima di aver compreso cosa sta facendo. Napoli, 11/11/2009
Un Amore di ragazza a cura di Carmine Gargiulo
Fanciulla snella e bruna… Fanciulla snella e bruna, il sole che crea la frutta, quello che incurva le alghe e fa granire i grani, creò il tuo corpo gaio, i tuoi occhi di luce e la tua bocca che sorride col sorriso dell’acqua. Un sole nero e ansioso ti si avvolge a ogni filo Dei tuoi neri capelli, quando stiri le braccia. Tu giochi con il sole come un ruscello E due oscuri ristagni lui ti lascia negli occhi.
Fanciulla snella e bruna, niente a te mi avvicina. Tutto da te mi scosta come dal mezzogiorno. Tu sei la gioventù frenetica dell’ape, l’ubriachezza dell’onda, la forza della spiga. Eppure, tenebroso, il mio cuore ti cerca: amo il tuo corpo gaio, la tua voce svelta e lieve. Farfalla bruna, dolce e definitiva, come il frumento e il sole, il papavero e l’acqua.
In questo componimento , che appartiene alla raccolta del 1924 Veinte poemas de amor y una canciòn desperada1 (Venti poemi d’amore e una canzone disperata), Pablo Neruda2 esprime tutta la prospettiva intimista del suo filone sentimentale, che insieme a quello politico, ha costruito la sua grande fama. Infatti, è qui evidente la similitudine tra la donna e la natura, con la quale ella si amalgama in un fluire di ricordi, nostalgie ed aspettative future. In sedici versi di eccezionale fluidità, il poeta alterna quartine luminose e descrittive (la prima e la terza) a quartine ombrose e meditative ( la seconda e la quarta). Così, la fanciulla snella e bruna volteggia nella fertile natura con le sue forme sorridenti e chiare, illuminate dalla luce benefica e bagnate dall’acqua complice. Eppure, subito un sole di diverso temperamento , inserito tra fili di capelli scuri, si infiltra a gettare ambiguità negli occhi della fanciulla, ora maliziosi che giocano a stimolare le riflessioni ombrose del poeta. Quindi, egli ammette a malincuore la consapevolezza di essere lontano da lei come l’ombra dal mezzogiorno, come la vecchiaia dalla gioventù, come la staticità dalle onde, come la debolezza dalla forza, e nonostante tutto, l’amore è più forte nel cercare questa bellezza dalla voce suadente, questa
creatura leggera come una
farfalla e dolce come una sapida natura di luce, grano, fiori e acqua.
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In realtà la prima raccolta poetica di Neruda fu il Crepusculario (1923), di natura più intimistica e individualista, ma è nei Veinte poemas che esplode il tema erotico che fu poi anche il filo conduttore della sua vita, piena di vicende amorose complesse. 2 Il vero nome del poeta era Neftalì Ricardo Reyes Basoalto, ma assunse molto presto lo pseudonimo di Pablo Neruda, derivandolo da un poeta praghese , Jan Neruda (1834-1891), che scriveva versi sula vita dei poveri e dei diseredati.
Come si può restare indifferenti a tali emozionanti pulsioni dell’anima? La magnificenza dell’essere umano è quella sottile genialità che rende alcuni poeti capaci di diffondere con parole semplici l’universale pensiero dell’Amore, condiviso da tutti i cuori sensibili. Il grande talento di Neruda sta nel trovare, in ogni angolino nascosto della nostra mente, una immancabile sensazione di déjavu. Egli sa comunicare con sincera forza che l’Amore esiste in modo uguale e reale per tutti, vive nella Natura semplice , esplode nei colori , nella luce, nel sole, nella bellezza disarmante di una fanciulla snella e bruna…
NAPOLI PIANOFORTE IN STAZIONE Di Gaetano Coppola Giovane pianista sconosciuto al pianoforte Stazione Napoli Centrale. Nessuno si aspettava tanto talento... ... al mio applauso solitario è seguito questo suo sorriso... Allora ? Non dobbiamo scagliare giudizi infondati se prima non abbiamo la CONOSCENZA delle cose, dei fatti e, maggiormente, delle PERSONE. Essere saggi significa comprendere la vuotezza di animo e di cervello di alcuni e giustificare l'arroganza degli stupidi.
La Via Crucis nei Viali dell’Ospedale Antonio Cardarelli di Napoli, dove ogni Padiglione si trasforma nelle Stazioni del Golgota di Eduardo Guadagno
Gesù, Francesco Esposito - Maria, Raffaela Aruta – Giovanni, Antonio Aquino E' la prima volta che ho partecipato alla processione della Via Crucis di nostro Signore Gesù Cristo effettuata all'interno dell’Ospedale Cardarelli. Mi è piaciuta molto per la sua semplicità, per la sua sobrietà e soprattutto per la "passione" con la quale sia i figuranti che il popolo di Cristo hanno vissuto la processione. Una partecipazione intensa, viva e molto suggestiva che ha coinvolto davvero tutti per l'alto significato Cristiano che essa rappresentava e per la serietà con la quale i figuranti hanno dato vita alla passione della via Crucis. Devo dire che non è facile riuscire a rappresentare e commemorare una siffatta tragedia umana e spirituale, in un contesto difficile come un nosocomio dove la sofferenza degli ammalati la vivi quotidianamente, la respiri di continuo e che inevitabilmente rischia di assuefarti e distaccarti al punto da renderti indifferente. Vivere quindi la passione di Cristo attraverso la sua rappresentazione scenica fatta con i costumi dell’epoca, ha reso ancor più elevato il valore della sofferenza e della pietà umana, quella pietà che però gli aguzzini di Cristo non hanno avuto e che hanno reso ancor più disumana e intollerante il dolore della Crocifissione, quella crocifissione preceduta dall'umiliazione, dalla flagellazione (umanamente insopportabile) e dalla derisione del figlio di Dio. Rappresentare quindi la Crocifissione del figlio di Dio, e raccontarla stazione dopo stazione attraverso le letture sacre ad opera del nostro cappellano Padre Leonardo Zeccolella, ha significato un momento di grande unione cristiana e di fraterna condivisione attraverso la rivisitazione storica di quell'evento straordinario che ha cambiato la faccia del mondo e soprattutto le sorti dell'uomo, ovvero la RESURREZIONE!!!!!!!!!! Voglio dire pertanto GRAZIE a te Caro Gaetano per la grande e mirabile passione, per l’amore che metti ogni anno in questa manifestazione storica (e perché no anche culturale), insieme a tutti i figuranti.
Grazie per la serietà e l’impegno che ogni anno profondi nella rappresentazione della Via Crucis, quale momento in cui ogni Cristiano si unisce al dolore di Cristo e rinnova dentro di sé tutto l'Amore che Dio ha manifestato nel mandare il Suo unico figlio per la nostra salvezza. Che il Buon dio ti possa sempre custodire nel Suo infinito Amore e che noi tutti possiamo ancora godere delle tue belle iniziative. Con amicizia ed affetto.
La degna conclusione di una carriera immensa: Kobe Bryant di Francesco Esposito
Appena un paio di giorni fa si è ritirato uno dei più grandi sportivi di tutti i tempi: il suo nome ha fatto il giro del mondo ed è arrivato anche a chi di lui sapeva ben poco. Kobe Bean Bryant ha lasciato il basket giocato e lo ha fatto alla sua maniera, lasciando il segno. Per chi non lo conoscesse, Bryant è stato uno dei massimi esponenti del gioco del basket e ha giocato negli Stati Uniti per tutto l'arco della sua carriera nella massima lega professionistica, la NBA. Con il suo ego e la sua enorme dedizione per questo sport, dai più definita vera e propria ossessione per il gioco, è entrato nel cuore di tantissimi tifosi, milioni se si considera che il nativo di Philadelphia ha giocato per una delle squadre più famose d'America, vale a dire i Los Angeles Lakers. Ma ha attirato su di sé anche una notevole quantità di "haters", cioè di persone che hanno odiato il personaggio: l'essere solitario, a tratti arrogante ma con un unico obiettivo, quello di vincere, non ha giovato all'immagine del vecchio Kobe che durante la sua carriera ha dovuto affrontare enormi pressioni. Alla fine però, per le gesta compiute sul campo ha saputo guadagnarsi il rispetto di tutti, non solo dei suoi fan, ma anche dei suoi nemici e il tripudio riservatogli nella serata del 13 aprile è stata la degna conclusione di una storia tra Bryant e il basket davvero magnifica. La sua storia è fatta di tante vittorie, clamorosi record (per citarne uno, nel gennaio del 2006 in una singola partita è stato capace di realizzare 81 punti, seconda prestazione di sempre in NBA per punti realizzati da un solo giocatore alle spalle del mito Wilt Chamberlain, che nel 1962 ne realizzò 100) e tanti aneddoti che lo hanno reso una vera e propria leggenda vivente. Cresciuto con il mito di Michael Jordan e la voglia di emularne le imprese, Bryant ha vinto cinque campionati NBA, è stato una volta premiato come miglior giocatore della lega e per ben due volte miglior giocatore
delle finali del campionato. E' il miglior realizzatore della storia dei Lakers ed è terzo nella classifica dei marcatori ogni epoca della NBA. Nel dicembre del 2015 aveva annunciato a tutti il proprio ritiro e da quel momento in ogni campo in cui è andato a giocare è stato accolto con ovazioni e tanto affetto, anche da chi negli anni lo aveva sempre "odiato". Mercoledì sera ha disputato contro gli Utah Jazz la sua ultima partita, all'età di 37 anni ed ha chiuso con una prestazione degna del suo nome: 60 punti realizzati e la vittoria della sua squadra. Al termine della gara c'era la maggior parte dei compagni di squadra che lo hanno accompagnato nei successi durante la sua carriera. La commozione nel vedere per l'ultima volta all'opera Bryant è stata tanta, ma adesso è il momento di voltare pagina e di iniziare una nuova vita: "Mamba out!"
Tre incontri speciali “Incontri sull’interculturalità tra piccoli amici e Papa Massamba di origine sud africana - Senegal”. di Imma e Teresa
Nel mese di marzo a Parete (ce) , nella scuola “Vivaio dello Spirito Santo” ,dei piccoli amici di Gesù, c’è stata una visita speciale, per gli alunni e non solo. Nella scuola sono arrivati due signori, uno italiano e l’altro di origine sud africana, a spiegare loro cos’è veramente “interculturalità”. Il signore italiano, Gaetano, ha raccontato la storia della sua vita, dicendo che quando era piccolo, i suoi genitori, dicevano che c’era l’uomo nero e che lui doveva allontanarsi perché questi era cattivo. Quando diventò più grande, aveva la curiosità di scoprire se quello definito dai suoi genitori “uomo nero”, fosse veramente cattivo, come dicevano loro. Un giorno decise di partire per l’Africa per scoprire se il cosiddetto “uomo nero” era veramente cattivo.
Arrivato in questa terra scoprì che l’uomo nero non era uno solo ma tanti, e non erano cattivi; infatti lo ospitarono, lo fecero mangiare e bere, diventando buoni amici, tanto che Gaetano non voleva più lasciare la loro terra, stupenda. Uno dei suoi più grandi amici è diventato Papa Massamba, egli è venuto con lui alla scuola dei piccoli amici di Gesù, anche lui ha raccontato loro una storia. “ Un bambino dovette scappare dalla sua casa in fiamme senza portare nulla con sé. Le uniche cose che portò, furono: la sua identità, la sua cultura, la sua educazione. Questi tre aspetti sono fondamentali per la vita di ogni uomo. Senza questi l’uomo non è nulla. L’identità, in pratica ,è ciò che la persona è: il suo nome, il suo cognome, il suo profilo e per questo è molto importante. La cultura è l’insieme delle conoscenze del proprio popolo: la religione, le tradizioni, la lingua ….. L’ educazione: essere educato a vivere bene con gli altri e soprattutto a stare bene con se stesso. Senza educazione nessuno vorrebbe stare con te, perché se una persona si comporta male con l’altro, non viene apprezzato né accettato. L’ultimo giorno è stato per i piccoli amici delle classi quarta e quinta il più bello, perché hanno letto i testi sull’ interculturalità che avevano assegnato loro di scrivere. Alla fine dell’ora li hanno salutati lasciando le loro firme e un piccolo biglietto come segnalibro. Il messaggio lasciato dai due ,(Gaetano e Papa), è stato: “bisogna accettare tutti anche se diversi”. Tutti hanno qualcosa di speciale da donare. Insomma è stata un’esperienza unica per questi bambini fortunatissimi!
Interculturalità di M.I.M.C.
Tutti diversi, tutti uguali, tutti unici, tutti speciali, nella gioia e nel dolore tanti colori, un solo cuore. Molte culture nel nostro pianeta, tutte unite, questa è la meta; Ogni uomo fa la sua magia Se fossero uguali, che monotonia! In ogni dove cancelliamo la guerra, tanti paesi un’unica terra. Cosa significa: INTERCULTURALITA’? Pace, uguaglianza, libertà!
La prima uscita del poeta Massimiliano Marzano
Ragazzi. Me stesso. Non lasciamoci condannare la naturale anarchia della bocca La libertà delle mani, la ribellione dei sensi, la democrazia dell’amore. Loro non ci avranno. L’oggi è il potere, non è il patibolo dei cuori. Noi altri siamo nati per colorarci la pelle, e non c’è nulla di male a non capirla affatto, a non capire il sé. Domanda non rispondere. Cerca non trovare. Inventa non contare. il tentativo è nostro e di nessuno più. e la rinuncia soprattutto, e di nessuno più.
A Nonna che mi insegnò. Devo credere in Dio Perché credo in te. Ne sono obbligato, non c’è scampo. Non c’è scampo da questa speranza Di poterti rivedere. Sono condannato ad amare. Non c’è scampo per questo cuore. Sono condannato ad essere un uomo migliore. Perché sul limite del baratro c’è scritto il tuo di nome. Perché tutto quel paradiso mi sembra Plausibile se ti posso anche solo immaginare.
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