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Roberto Mattone
La terra cruda, tra tradizione e innovazione L’uso della terra cruda come materiale da costruzione, presente nella tradizione di moltissimi Paesi, viene riconsiderato con l’obiettivo di mettere a punto accorgimenti atti a migliorare la qualità della muratura in interventi di autocostruzione
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a terra cruda si colloca, con il legno e la pietra, tra i materiali da costruzione più antichi. Le diverse tecniche costruttive, funzione delle diverse caratteristiche morfologiche del suolo, ma anche del diverso ambito culturale e ambientale in cui si sono consolidate, testimoniano di studi volti alla scelta del materiale, alla concezione dell’edificio, alle modalità di organizzazione del cantiere. Ovunque, nel mondo, esistono esempi di costruzioni in terra di grande interesse: dalle moschee del Mali agli edifici dello Yemen, dagli aggregati urbani del Marocco a prestigiosi edifici in Europa, fino alle abitazioni più semplici, in ambiente rurale, disseminate un po’ in ogni dove. Anche in molte regioni del nostro Paese sono tuttora presenti, in ambito sia urbano, sia rurale, numerose costruzioni in terra cruda : sono le costruzioni in ladiri in Sardegna,in pisé o in adobe in Piemonte, in massone nelle Marche e in Abruzzo e altre ancora.Si ritrova, in esse, la varietà dei sistemi tecnologici che hanno caratterizzato il panorama delle costruzioni in terra degli altri Paesi. A partire dal secondo dopoguerra, il diffondersi di materiali introdotti sul mercato dalla "moderna" produzione edilizia ha portato a un abbandono della tecnica del crudo, considerata ormai obsoleta e soprattutto, per molti, indiscussa - anche se non veritiera - testimonianza di povertà, di emarginazione a livello sociale e culturale, da rimuovere anche dalla memoria. Conseguenza inevitabile di questo atteggiamento è stata una graduale ma inesorabile perdita della conoscenza delle tecniche costruttive, ormai affidate alla manualistica e alla memoria di anziani costruttori; al tempo stesso, la totale assenza dei necessari interventi di manutenzione ha portato moltissime costruzioni verso una irreversibile situazione di degrado, disperdendo così un patrimonio, ricco di storia e di saperi.
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1. Attrezzatura per prova a flessione predisposta nel cantiere-scuola di El Potrillo (Chaco, Argentina).
Solo di recente si è venuto consolidando, presso di noi, un certo interesse per questo frammento di storia costruttiva,mirato, in prima istanza, alla conoscenza, alla tutela e al potenziale recupero di tale patrimonio. L’architettura in terra non appartiene però solo alla storia: è anche realtà, innovazione, progresso. In un momento in cui concetti come "sostenibilità", "ecologia", "rispetto dell’ambiente" rientrano in un linguaggio comune dell’abitare, l’utilizzo della terra cruda, innovata sul piano applicativo e delle prestazioni, si ripresenta nel panorama dei materiali da costruzione con un interesse particolare. In questi ultimi anni,esperti del settore,ma anche alcune Amministrazioni pubbliche, a livello sia regionale, sia locale, si sono impegnate nel promuovere operazioni di censimento e di recupero del costruito, prestando attenzione anche agli aspetti innovativi(1).
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In Francia, già dall’inizio degli anni Ottanta, a l’Isle d’Abeau, nei pressi di Lione, un intervento pilota di insediamento abitativo in terra cruda - promosso dal Ministero dell’Ambiente - ha costituito una notevole occasione per riprendere in esame tecniche tradizionali e intervenire su di esse con una attenzione all’innovazione. È di quegli stessi anni - ma l’inizio dei lavori è molto più recente - un progetto di G. Minke, che prevede la costruzione di un villaggio in pisé, alla periferia di Kassel, in Germania. Senza dubbio, il riproporre oggi l’utilizzo della terra cruda come materiale da costruzione richiede particolare attenzione. Nel processo costruttivo attuale, caratterizzato dall’interazione di specialisti di diversi settori,lo sviluppo applicativo di questo materiale deve passare attraverso proposte scientificamente testate, in analogia con quanto si verifica per gli altri materiali utilizzati in edilizia. Diventa quindi ineludibile l’esigenza di una normativa che, fatto tesoro di tutte le esperienze nazionali e internazionali, stabilisca procedure di prova atte a valutarne le caratteristiche fisiche e meccaniche. Il blocco in terra stabilizzata Diversi possono essere i parametri che motivano la scelta di una tecnica costruttiva: al di là della "vocazione" del materiale disponibile, restano possibili percorsi che, nel rispetto dell’ambiente, privilegino prodotti di facile utilizzo e bisognosi di contenuti interventi di manutenzione. In questa ottica, il blocco pressato sembra essere l’elemento base che meglio si presta a una produzione meccanizzata, con l’impiego di attrezzature che spaziano in ambiti e realtà d’impiego molto diverse tra loro (dalla semplice pressa manuale adatta alla piccola attività di villaggio o favela - ai complessi sistemi, propri della grande produzione). In ogni caso, la compattazione e la regolarità di forma - che derivano dall’uso delle presse - rappresentano un importante contributo alla qualità del costruito. Partendo da questi presupposti,la presente ricerca - incentrata sulle abitazioni a basso costo per contesti in via di sviluppo, con particolare attenzione ai pro2. Prova a compressione. cessi di autoco-
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struzione - ha portato a considerare strategico l’impiego dei blocchi in terra pressata e stabilizzata. A differenza del pisé, il blocco consente di realizzare strutture murarie di spessore contenuto, idonee alle esigenze del contesto in cui da tempo si sta operando. La messa a punto delle modalità di prova per determinare le caratteristiche fisico-meccaniche dei blocchi in terra compressa è stata oggetto, in questi ultimi anni, di un’ampia e articolata sperimentazione internazionale,promossa dalla Commissione RILEM TC-EBM (Earth as Building Material). Il Laboratorio Prove Materiali e Componenti della Facoltà di Architettura del Politecnico di Torino ha preso parte ai lavori della Commissione, sviluppando una campagna di prove a compressione, a flessione e di trazione indotta, finalizzate alla validazione delle procedure. Il quadro generale dei risultati ottenuti ha consentito inoltre di determinare il rapporto tra le tensioni di rottura a flessione e quelle a compressione, parametro interessante per chi opera sul campo, ove la prova a flessione risulta essere la più agevole da eseguire (fig. 1). La terra utilizzata per la sperimentazione è stata prelevata nei pressi di Alessandria, zona tipica di costruzioni in pisé. Prima di produrre i blocchi, sono stati separati gli aggregati di maggiori dimensioni, passando la terra al vaglio di 4 mm; la successiva analisi granulometrica ha fornito le seguenti percentuali: sabbia 42%, limo 44%, argilla 14% . La sperimentazione è stata condotta su blocchi parallelepipedi, prodotti con una pressa manuale capace di applicare uno sforzo di compattazione di circa 2 MPa. I provini (5 per ogni tipo di prova) sono stati stabilizzati con diverse percentuali di cemento (0%, 4%, 7%, 10%), in accordo con quanto definito in ambito RILEM. In alternativa al cemento, è possibile utilizzare come stabilizzanti, oltre alla calce o al bitume, anche prodotti di origine vegetale. Questi ultimi, sebbene presenti nelle diverse tradizioni, meritano un’attenzione particolare: l’incerta modalità d’impiego richiede un’attenta e ampia sperimentazione preliminare. Nel seguito vengono descritte le modalità con cui sono state condotte le prove e i risultati ottenuti nel corso della speri-
3. La variazione della resistenza a compressione in funzione delle diverse percentuali di cemento.
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menti costituiti ciascuno da una sottile lastra di teflon abbinata a una di neoprene, sia lubrificando le superfici a contatto tra le due parti. Il diagramma riportato in fig.3 pone in evidenza la variazione della resistenza a compressione dei provini in funzione della variazione dei quantitativi di cemento usati per la stabilizzazione dell’argilla. Prova a flessione Le prove sono state condotte secondo lo schema indicato in fig. 4: il diagramma illustra i risultati ottenuti con i diversi tenori di stabilizzazione. I valori delle tensioni di rottura per flessione risultano essere circa 1/3 dei corrispondenti valori a compressione. Individuato, caso per caso, questo rapporto, la conduzione in loco di questa prova consente un continuo controllo di qualità della produzione.
4. Schema di prova a flessione: variazione della resistenza in funzione delle diverse percentuali di cemento.
mentazione; è opportuno sottolineare come i valori riportati siano funzione del materiale testato e non facilmente generalizzabili, in quanto influenzabili in modo determinante dalle caratteristiche del materiale stesso. Prova a compressione Per questo tipo di prova sono stati utilizzati provini costituiti da due semiblocchi sovrapposti, con interposto un sottile strato di malta (fig. 2). In corrispondenza delle superfici a contatto con le piastre metalliche si è provveduto a ridurre l’attrito sia inserendo ele-
5. Il blocco sagomato, prodotto con la pressa manuale GEO 50.
6. Integrazione della pressa con attrezzature per ottenere mezzi blocchi ed eseguire prove a flessione in cantiere.
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Prove di trazione indotta o “brasiliana” Il diagramma di fig. 9 illustra i risultati delle prove, condotte secondo lo schema indicato nella stessa figura. Ad integrazione dei test sopraindicati - che si riferiscono alla determinazione delle caratteristiche meccaniche - i blocchi vengono solitamente sottoposti ad altre prove (erosione, assorbimento, imbibizione, gelività), finalizzate a valutarne il comportamento all’acqua e la durabilità. La fig. 10 documenta una prova di erosione, condotta sottoponendo, per la durata di un’ora, una limitata porzione del blocco in esame all’azione di un getto d’acqua (alla pressione di 1,4 bar), posizionando un soffione di doccia alla distanza di 18 cm . Questo tipo di prova, piuttosto severa, non viene superata dai blocchi non stabilizzati, che si trasformano in fango entro pochi minuti; al contrario, non crea problemi ai blocchi stabilizzati che,dopo un’ora,presentano tracce di erosione più o meno trascurabili, in funzione della percentuale di stabilizzante impiegata.
7. Provino in muratura, sottoposto a compressione semplice.
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8. Elemento murario a scala reale: prova di compressione semplice.
9. Schema di prova di trazione indotta: variazione della resistenza in funzione delle diverse percentuali di cemento.
Lo studio della forma del blocco Come è noto, la qualità della muratura è legata alla qualità dei materiali componenti, ma è anche molto influenzata dall’ accuratezza con la quale essa viene posta in opera. Nell’ambito delle abitazioni a basso costo, spesso realizzate in autocostruzione da mano d’opera non specializzata, in contesti nei quali l’incertezza propria del cantiere tradizionale assume un carattere prevalente, la buona esecuzione della muratura (verticalità delle pareti,regolarità dei giunti,ecc.) è sempre molto problematica.
Con la finalità di rendere più semplice il processo costruttivo sono state messe a punto, presso il Laboratorio Prove Materiali e Componenti del Dipartimento di Scienze e Tecniche per i Processi di Insediamento del Politecnico di Torino, le modifiche da apportare alla pressa manuale per produrre blocchi sagomati, dotati di risalti e di riscontri (figg. 5 e 6). La forma proposta non è certo nuova; innovativo è invece il fatto di riuscire ad ottenerla con una semplice pressa manuale e con la stessa sequenza di operazioni con cui vengono comunemente prodotti, con questo tipo di attrezzatura, blocchi parallelepipedi. La regolarità dimensionale dei blocchi consente l’adozione di una malta di terra e legante molto fluida, di spessore molto contenuto, posta in opera con l’ausilio di un semplice contenitore, senza avvalersi della cazzuola. Dai test sui singoli elementi si è passati alla sperimentazione su pannelli di muratura (dimensioni cm 90x90 circa), sottoposti a prove di compressione semplice (fig. 7), di compressione semplice e spinta laterale, di compressione diagonale. I test a compressione semplice eseguiti sui pannelli realizzati con blocchi sagomati hanno evidenziato un comportamento del tutto analogo a quello della muratura eseguita con blocchi parallelepipedi, pur presentando una minore deformabilità e un quadro fessurativo più uniforme. L’interconnessione dei blocchi sagomati ha dimostrato tutta la sua efficacia nelle prove a compressione semplice e spinta laterale e in quelle a compressione diagonale,ponendo in evidenza, in virtù del collegamento meccanico tra gli elementi,una maggiore resistenza e una migliore distribuzione degli sforzi. Come ulteriore sperimentazione preliminare, finalizzata a un intervento in autocostruzione nel Nord Est brasiliano, è stato realizzato un elemento a scala reale, che riproduce la struttura muraria prevista per l’edificio prototipo (fig. 8). Il comportamento a compressione semplice del provino è rappresentato nel diagramma carico-deformazione di fig. 11.
11. Diagramma carico-deformazione dell’elemento murario sottoposto a compressione.
10. Prova di erosione condotta su di un blocco non stabilizzato.
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12. Edifici in taipa nella favela Cuba de Baixo (Sapé - Brasile).
13. Edifici in taipa nella favela Cuba de Baixo.
15. Momenti del cantiere-scuola a Sapé.
Gli interventi sul campo Il trasferimento tecnologico dei risultati della ricerca si è attuato, fin dalla prima esperienza, secondo uno schema ormai consolidato: dopo i preliminari studi di fattibilità effettuati in laboratorio su materiali provenienti dalla località interessata, viene condotto in loco un corso di formazione sulla produzione dei blocchi, seguito da un cantiere scuola per la realizzazione di un edificio prototipo. Questo modo di operare – che si identifica con l’autocostruzione assistita – ha consentito agli abitanti della favela di acquisire quel minimo di attenzione e competenza, necessario per controllare l’intero processo produttivo. D’altro canto, l’organizzazione della produzione in situ, la valutazione delle locali condizioni ambientali, l’acquisizione di accorgimenti pratici, talvolta elementari ma, al tempo stesso, estremamente importanti per raggiungere l’obiettivo, sono fattori determinanti per non rinunciare a quel livello di qualità che deve caratterizzare ogni intervento, motivarne gli sforzi e giustificarne l’impegno economico. Far accettare l’utilizzo della terra cruda – anche se innovata sul piano tecnologico – non è stato semplice. Si è reso necessario entrare in diretto contatto con le realtà locali, coin-
14. L’edificio prototipo, a cinque anni dalla sua ultimazione.
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16. Momenti del cantiere-scuola a Sapé.
17. Il centro comunitario in fase di costruzione.
18. Edificio in blocchi di terra stabilizzata a Sapé: la posa del primo corso di blocchi.
volgere gli utenti già a livello produttivo, lavorare al loro fianco trasmettendo competenze, cultura materiale e sperimentazione pratica. L’attività sul campo ha avuto inizio nel 1994, nel Nord-Est del Brasile (Paraiba), ai margini della cittadina di Sapé, che dista 40 km dalla costa. Nella favela denominata Cuba de Baixo le costruzioni erano per lo più realizzate in taipa, sistema costruttivo in cui la terra, ridotta a fango, viene applicata su di una leggera struttura lignea. La grande deformabilità del supporto, abbinata al notevole ritiro che si verifica durante la fase di essiccazione della terra, provoca rapidamente un diffuso quadro fessurativo, che contribuisce a rendere le abitazioni fatiscenti e malsane; la quasi totale assenza di manutenzione,poi,accentua nel tempo i problemi propri di questo sistema costruttivo (figg. 12 e 13). L’edificio prototipo realizzato a Sapé era destinato a centro comunitario (fig. 14). Gli abitanti della favela hanno partecipato con una certa iniziale diffidenza alla produzione dei blocchi (figg. 15 e 16) e alla costruzione dell’edificio (fig. 17): diffidenza comprensibile, valutati gli scarsi risultati ottenuti utilizzando la terra con la tecnica costruttiva tradizionale. Solo in un secondo tempo, la facilità di realizzazione e posa
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19. Edificio in fase di costruzione.
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21. Edificio in costruzione a Godofredo Viana.
Fig. 20 - Particolare della muratura.
Fig. 22 - Godofredo Viana: l’edificio ultimato.
in opera dei blocchi, l’elevata qualità della muratura – che non necessita né di intonaco, né di particolari interventi di manutenzione – e, soprattutto, il comportamento dell’edificio durante una violenta stagione delle piogge hanno portato gli abitanti della favela a superare l’iniziale diffidenza e a fare proprio questo sistema costruttivo, che si è venuto configurando come “tecnologia appropriata e appropriabile”. Gradualmente, molte case di taipa sono state demolite per far posto a più confortevoli case in blocchi di terra stabilizzata, realizzate in autocostruzione (figg. 18÷20): ad oggi, gli edifici costruiti sono più di trenta e non presentano segni di degrado. La loro progettazione ha coinvolto anche studenti dei primi anni del corso di laurea in Architettura del Politecnico di Torino, dando loro modo di confrontarsi con i problemi costruttivi che questi edifici, per quanto semplici, presentano. Importante è stata inoltre la fattiva collaborazione in loco di un docente dell’Università Federale di Paraiba con il quale, a partire dal 1992, era stato sviluppato su questo tema un progetto di ricerca bilaterale, finanziato dal CNR e dal CNPq. Negli anni seguenti, all’esperienza di Sapé si sono aggiunti
interventi in altre località: a Godofredo Viana, nel Maranhão (Brasile),con l’obiettivo di ridurre ulteriormente i costi,sono stati posti in opera blocchi parallelepipedi, con uno spessore di muratura di soli 9,5 cm (le locali condizioni climatiche non richiedono uno spessore più elevato) (figg.21 e 22);a Junin de los Andes (Patagonia,Argentina), ove, anche nel centro abitato, sono tuttora presenti case fortemente degradate, dopo i consueti corsi di formazione (fig. 23), i blocchi interconnessi sono stati utilizzati in un edificio prototipo (fig. 24); si prevede che a questa prima,positiva esperienza,possano seguirne molte altre. L’ultimo intervento in ordine di tempo – risale al giugno 2002 – è stato condotto a Cuba: la Oficina del Conservador di Trinidad, con l’intento di riproporre l’uso della terra cruda nella cittadina di San Pedro (ove si tende a sostituire le originarie fatiscenti case in bahareque con case in blocchi di calcestruzzo) ha adottato i blocchi di terra interconnessi (stabilizzati in questo caso con il cieno,un grassello di calce derivato dallo scarto di produzione del gas acetilene) per la realizzazione di un edificio sperimentale: la fig. 25 documenta l’edificio in fase di costruzione.
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24. L’edificio prototipo, in fase di costruzione.
Fig. 23 - Corso di formazione sulla produzione dei blocchi a Junin de los Andes.
25. Edificio sperimentale in fase di costruzione a Trinidad (Cuba).
Possibili scenari futuri L’esame delle svariate esperienze del costruire in terra cruda attuate in ogni parte del mondo pone in evidenza come questo materiale sia stato impiegato privilegiando ora le sue caratteristiche di ecocompatibilità – non disgiunte dalle prestazioni riguardanti il comfort abitativo -, ora la sua capacità di rispondere a iniziative di autocostruzione per abitazioni a basso costo. In ogni situazione, lo stretto interagire tra applicazione, sperimentazione e verifica ha contribuito allo sviluppo e all’innovazione. Molto resta ancora da fare per ottimizzare l’intera filière del crudo, nel settore dell’autocostruzione, e non solo: la realizzazione di elementi leggeri, ad esempio, potrà favorire la prefabbricazione di componenti edilizi di qualità, facilmente assemblabili. In ogni caso, l’individuazione di parametri comuni alle diverse tecniche costruttive e specifici per ciascuna di esse, una corretta valutazione delle prestazioni - con riferimento a metodologie di prova condivise a livello internazionale renderanno possibile riproporre questo materiale antico,
spesso non ben compreso, per lo più considerato obsoleto e tuttavia capace, ancora oggi, di dimostrare intatta tutta la sua validità. ¶
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Note 1.Tra le molteplici iniziative che documentano il rinnovato interesse per l’architettura in terra cruda, si segnalano: - l’A.I.C.A.T. (Associazione Italiana Cultori dell’Architettura in Terra) coordinata, a livello nazionale, dall’Arch. Eugenio Galdieri, autore, tra l’altro, del basilare volume “Le meraviglie dell’architettura in terra cruda”, Laterza, Bari 1982; - il Centro di Documentazione Permanente delle Case di Terra Cruda, (CEDTerra) e l’Associazione TERRAE Onlus (di cui è presidente l’Arch. Gianfranco Conti), con sede a Casalincontrada (CH), che promuovono momenti culturali, corsi di formazione e attività di ricerca sull’utilizzo della terra cruda; - l’Associazione Nazionale dei Comuni della Terra Cruda, con sede presso il Comune di Samassi (CA); - in ambito universitario, gli Atenei di Ancona, Cagliari, Chieti-Pescara, Firenze, Genova, Macerata, Milano, Napoli, Pisa, Roma,Torino, Udine e Venezia sono coinvolti in questo specifico tema di ricerca.
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