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La storia del giornalismo Strumenti per la ricerca
Progetto EAT:ING – Educare alla Responsabilità Agroalimentare nel Territorio: Inchieste, Natura, Giornalismo Un’iniziativa di educazione ambientale rivolta alle scuole secondarie di primo e secondo grado e caratterizzata da un focus sulla sostenibilità alimentare. Un progetto finanziato da Fondazione Cariplo e sviluppato da Fondazione Eni Enrico Mattei in collaborazione con il Centro di Studi per la Storia dell’Editoria e del Giornalismo. Tutti i materiali realizzati a supporto della didattica sono disponibili sul sito del progetto www.eat-ing.net Questo capitolo è stato realizzato dai ricercatori del Centro di Studi per la Storia dell’Editoria e del Giornalismo
Settembre 2008
La storia del giornalismo
Indice La storia del giornalismo. Strumenti per la ricerca ............................................................. 5 I giornali di un tempo..................................................................................................... 8 Giornale dell’ingegnere architetto ed agronomo ............................................................. 8 La lettura .................................................................................................................. 8 Il caffè ...................................................................................................................... 9 Letture della domenica................................................................................................ 9 Giornale agrario del lombardo-veneto e continuazione degli annali universali di agricoltura, di industria e d’arti economiche ................................................................................. 10 Il politecnico. Giornale dell’ingegnere architetto civile ed industriale ............................... 11 Biblioteca italiana ossia giornale di letteratura scienza ed arti ........................................ 12 I prodotti agricoli nelle pagine dei giornali di un tempo..................................................... 13 Coltivazione ed usi degli spinaci della nuova zelanda .................................................... 13 Asparagi, delizia primaverile ...................................................................................... 14 Il caffe’ nelle pagine dei giornali di un tempo .................................................................. 18 Il caffè .................................................................................................................... 18 Il caffè .................................................................................................................... 23 La farina nelle pagine dei giornali di un tempo ................................................................ Pane bianco e leggierissimo per mezzo del bi-carbonato di soda..................................... Cultura del grano saraceno........................................................................................ Processo di panificazione diretta del grano senza macinatura.........................................
26 26 27 28
La frutta nelle pagine dei giornali di un tempo................................................................. 31 Gli alimenti – la frutta............................................................................................... 31 I nostri frutti d’oro.................................................................................................... 33 Il formaggio nelle pagine dei giornali di un tempo............................................................ 36 Come si fabbrica il formaggio di grana ........................................................................ 36 Un nuovo tipo di burro .............................................................................................. 37 L’olio nelle pagine dei giornali di un tempo...................................................................... 40 Raccolto delle olive. – olii orientali ed occidentali.......................................................... 40 Olio d’oliva .............................................................................................................. 42 La pesca nelle pagine dei giornali di un tempo................................................................. Pesca lombarda ....................................................................................................... Il pesce affumicato ................................................................................................... Il pesce al posto della carne ......................................................................................
44 44 47 49
Il sale nelle pagine dei giornali di un tempo .................................................................... 53 Il sale ..................................................................................................................... 53 I condimenti – il sale da cucina .................................................................................. 55 Le spezie nelle pagine dei giornali di un tempo ................................................................ 58 Coltivazione dello zafferano in lombardia..................................................................... 58 Lo zucchero nelle pagine dei giornali di un tempo ............................................................ 63
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Arte del confetturiere. Delle chicche, zuccherini o dolci colorati ...................................... 63 Lo zucchero, e la canna d’onde si estrae ..................................................................... 65 L’allevamento nelle pagine dei giornali di un tempo ......................................................... 67 Allevamento dei maiali.............................................................................................. 67 Il macello di milano .................................................................................................. 70
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La storia del giornalismo
LA STORIA DEL GIORNALISMO. STRUMENTI PER LA RICERCA
I giornali, si è detto e scritto a lungo, sono lo specchio di una società, riflettono nel bene e nel male caratteristiche e peculiarità del paese in cui appaiono, costumi e modi di pensare dei ceti sociali che li mettono in piedi e mentalità di chi li scrive1. (Nicola Tranfaglia) Leggere un articolo in un periodico di un’altra epoca ci permette non solo di accedere ad informazioni su un particolare evento, ma anche di entrare in contatto con una altra realtà, quella dell’epoca in cui il quotidiano è stato pubblicato. Scorrere gli articoli di cronaca, i brani di costume, le recensioni culturali, teatrali e bibliografiche, i pezzi di economia domestica, così come analizzare le prime pubblicità, così come l’impostazione grafica scelta agli albori del giornalismo e in maniera sempre più importante, del marketing, aiuta lo studioso a capire più a fondo quali fossero i gusti, le mode, i pregiudizi di un’opinione pubblica e di un’intera nazione che si rispecchiava nei giornali e nelle testate dell’epoca. Questo è il fascino segreto della storia del giornalismo: scoprire lo stile di vita di un’epoca storica grazie alle testimonianze che i periodici ci hanno trasmesso, e questa scoperta può avvenire a partire dagli albori del giornalismo, nel XVII secolo, fino ai nostri giorni (e forse anche fino alle aspettative di un futuro prossimo a venire). Riviste e quotidiani diventano allora per chi le consulta e le analizza un diario di com’eravamo e di come siamo, del percorso compiuto come individui e come comunità attraverso i conflitti e le conquiste dei diritti civili, i ritardi e i progressi, permettendoci di capire molto di noi stessi e degli altri. Ma dove si possono consultare questi materiali e su quali supporti sono conservati? Innanzi tutto giornali e riviste possono essere letti nelle biblioteche, dove esistono “sale periodici” adibite esclusivamente a questo scopo e dove sono disponibili i più importanti e diffusi quotidiani, settimanali, mensili italiani e stranieri, oltre alle pubblicazioni scientifiche delle più
1
A. Magistà, L’Italia in prima pagina. Storia di un paese nella storia dei suoi giornali, Bruno Mondadori, Milano 2006.
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diverse discipline. Nelle biblioteche sono conservate le collezioni complete di periodici storici e contemporanei, che possono essere letti sia su carta, quindi così come si presentavano all’epoca (anche se rilegati in volumi per facilitarne il condizionamento e la custodia), che su microfilm. In quest’ultimo caso devono essere utilizzati dei macchinari specifici, che i bibliotecari mettono a disposizione degli utenti e che permettono di stampare su carta, o di fare una scansione digitale, degli articoli, delle immagini e dei materiali che si vogliono riprodurre. Le biblioteche non sono l’unico luogo dove si possono trovare testate d’epoca. Esse sono infatti conservate anche negli archivi, pubblici o privati, nelle fondazioni e nelle istituzioni culturali che dispongono di spazi adibiti alla conservazione dei documenti. Negli ultimi tempi, con lo sviluppo delle tecnologie e il significativo impatto di Internet sulla diffusione della cultura, si è affacciato un nuovo modo di sfruttare i documenti sia per la custodia della memoria che per la ricerca da parte di studiosi e d semplici lettori. Come già accennato, vengono eseguite in misura sempre maggiore dalle istituzioni delle scansioni digitali dei documenti, e nel nostro caso dei giornali, in modo assicurare la conservazione dell’originale cartaceo e da permettere la consultazione dei file sia all’interno dell’ente che li conserva, sia on-line (proteggendoli ovviamente con adeguati copyright). Un esempio di questo ottimo strumento di ricerca è l’Emeroteca digitale della Biblioteca Nazionale Braidense2, in cui è possibile scaricare e leggere annate di 861 riviste d’epoca, oltre a utilizzare un database nel quale inserire parole chiave, autori, periodi per trovare gli articoli cercati dall’utente. Ciò non toglie che dubbi riguardo all’efficacia di questi nuovi procedimenti siano stati avanzati da alcuni storici, come spiega per esempio Giovanni de Luna: Per i giornali, per esempio, ancora la tecnica della microfilmatura consentiva di non allontanarsi
eccessivamente
dalla
forma
originaria
della
fonte;
oggi,
la
digitalizzazione dei testi, la loro indicizzazione e il loro inserimento in un database determinano la perdita di elementi decisivi per la sua comprensione: il testo viene riprodotto dopo averlo “estratto” dal suo contesto, formato sia dalla cornice della pagina del giornale in cui era inserito, sia dagli altri blocchi di testo che lo
2
L’indirizzo del sito è http://emeroteca.braidense.it.
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La storia del giornalismo
affiancavano
originariamente.
informazione
strutturata
e
Per
costruire
organizzata
per
un
database
facilitare
la
(“una
raccolta
memorizzazione,
di il
ritrovamento selettivo e l’elaborazione di dati”) occorre infatti dai documenti “elementi di informazione uniforme, ricorrente, suscettibile di analisi sistematica”, immettendoli poi nella memoria del calcolatore; e l’informazione riversata nel data base non è più una “copia” della fonte originale, ma una “fonte nuova, costruita dallo storico stesso in modo da essere congrua all’oggetto che si intende studiare e allo scopo che ci si prefigge”. Non solo; ma l’uso di questa fonte comporta un drastico cambiamento nella procedura tradizionale, seleziona – scomposizione – critica – interpretazione - ricomposizione delle fonti che tradizionalmente hanno costituito il nucleo fondamentale del mestiere dello storico3. Nonostante queste perplessità, va sottolineato il fatto che la tecnologia, oggi più che mai, si rivela fondamentale per aiutare chiunque sia interessato alla storia del giornalismo o comunque a trovare testimonianze storiche su un evento, su un fenomeno e su un personaggio nelle riviste e nei quotidiani coevi. In conclusione, vorrei aggiungere un invito agli studenti, agli insegnanti e a tutti i lettori: toccare con mano le pagine originali di una testata d’epoca può provocare emozioni che uno schermo forse non concede, ma entrambe le vie permettono di inoltrarsi nella storia, per compiere un viaggio affascinante nel nostro passato, per capire meglio il nostro presente, per costruire con maggiore consapevolezza il nostro futuro.
3
G. De Luna, La passione e la ragione. Fonti e metodi dello storico contemporaneo, La Nuova Italia, Milano 2001, p.
121.
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I GIORNALI DI UN TEMPO Giornale dell’ingegnere architetto ed agronomo Il “Giornale dell’ingegnere architetto ed agronomo” è una rivista pubblicata a Milano tra il 1853 e il 1868; ispirata alla francese “Les Annales des Ponts et Chaussées” e all’inglese “The civil Engineer and Architect’s Journal”, vuole porsi come opera specialistica all’interno di un panorama editoriale ancora carente di pubblicazioni esclusivamente dedicate al settore dell’ingegneria civile, dell’urbanistica e dell’economia. Costituita da fascicoli rilegati, corredata da grafici e tabelle, qua e là venata da orgogliose affermazioni di spirito risorgimentale, la rivista tratta gli argomenti più vari: dalla matematica alla geometria, alla statica e alla fisica, alle questioni di diritto, economia, agricoltura, pubblica igiene. Approfondisce il tema dei mezzi di trasporto e comunicazioni di terra; del sistema delle strade, soprattutto ferrate; dei metodi di locomozione e trasmissione; di mostre ed esposizioni, italiane ed estere, industria ed agricoltura; di archeologia e restauro. Annovera una rubrica bibliografica, una di notizie e una di brevi biografie; riprende anche articoli degli omologhi inglese e francese, oltre che dalla stampa locale e specializzata italiana. Alla fine di ogni anno, pubblica un indice degli articoli ordinati per materia. Numerosa è la schiera dei collaboratori, anche stranieri. L’agronomia è uno tra gli argomenti che trova maggiore spazio nella rivista: gli articoli ad essa dedicati mirano allo sfruttamento ottimale del territorio, presentano le novità tecnologie impiegate nell’agricoltura e nuovi prodotti.
La lettura “La lettura” è stata dal 1901, e per tutta la prima metà del Novecento, una rivista mensile pubblicata dal “Corriere della Sera”. I temi principali da essa trattati sono le novelle letterarie, le poesie, articoli su questioni d’attualità, economia domestica, igiene, rassegne bibliografiche, gastronomia e curiosità varie. Si tratta di una pubblicazione di intrattenimento che allo stesso tempo fornisce al lettore anche
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informazioni dettagliate sui temi più disparati, siano essi notizie sull’estero, cronache, poesie, novelle, o presentazione di cibi e gustosi alimenti. Gli articoli sono illustrati.
Il Caffè Il caffè aperto da qualche mese a Milano da un greco originario di Citera, sui cui tavoli si trovano a disposizione dei lettori «fogli di Novelle Politiche», avrebbe suggerito il nome per “Il Caffè”, giornale che esce ogni dieci giorni nella città lombarda, quasi negli stessi anni della “Frusta letteraria” di Baretti: tra il 1764 e il 1766. Così come la bevanda aromatica è in grado di risvegliare l’«uomo il più plombeo» e di farne un «uomo ragionevole», così il giornale si propone «il fine di far quel bene, che possiamo alla nostra Patria, il fine di spargere di utili cognizioni fra i nostri Cittadini divertendoli, come già altrove fecero e Steele, e Swift, e Addisson [sic], e Pope, ed altri», come si legge nel primo numero. Raro frutto di un lavoro collettivo, conclude la sua esperienza proprio perché si guastano i rapporti nel gruppo che lo realizza: i fratelli Pietro e Alessandro Verri e Cesare Beccaria, nucleo intorno al quale si raccoglie una piccola «piccola Società d’Amici»: l’Accademia dei Pugni. Primo periodico politico-culturale, esso si propone nel programma di diffondere «utili cognizioni» in uno stile semplice e rapido. Tratta articoli di attualità nel settore economico, giuridico, dell’educazione, della medicina, delle scienze naturali nella prospettiva di una politica riformatrice. Quest’ultima investe anche l’annosa questione della lingua. Significativa fu la scelta de “Il Caffè” contro il purismo e contro il Vocabolario della Crusca a favore di una lingua moderna, più attenta alle cose che alle parole e aderente alle esigenze di un pubblico idealmente esteso a tutta l’Italia. L’importanza storica della rivista non sta solo nell’opera di sprovincializzazione culturale svolta. Essa inaugura un’esperienza da parte degli intellettuali: il tentativo di creare una specie di partito autonomo e di intervenire, tramite una rivista politicoculturale, nella vita civile in nome dei comuni valori culturali.
Letture della domenica “Letture della domenica” è un settimanale illustrato pubblicato all’inizio del Novecento. Si tratta di una rivista estremamente eterogenea e di stampo cattolico, che presenta una serie di rubriche fisse: notizie dal mondo, effemeride (notizie su ogni giorno della settimana, feste, santi, compleanni, ecc.), la buona semente (trascrizione di testi religiosi, ad esempio le lettere
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di San Paolo), invenzioni e scoperte, igiene, note storiche, proverbi e massime, consigli pratici (soprattutto sugli alimenti e la loro conservazione), previdenza e provvidenza (temi di natura sociale, per esempio l’emigrazione, l’educazione per le classi operaie), passatempi (anagrammi e giochi di questo genere).
Giornale agrario del Lombardo-Veneto e continuazione degli Annali universali di Agricoltura, di Industria e d’Arti economiche Il “Giornale agrario del Lombardo-Veneto e continuazione degli Annali universali di Agricoltura, di Industria e d’Arti economiche” (1826-1859) è un periodico, a carattere tecnico-scientifico, e in particolare agronomico, che comprende anche scritti di economia, con articoli e saggi accurati e specifici destinati ad un pubblico selezionato (alcuni testi sono in francese). È certamente la più completa pubblicazione lombarda di
agronomia della prima metà
dell’Ottocento, anche se in essa manca qualsiasi spunto di analisi sociale. L’ispirazione in senso lato illuministica del periodico è rinvenibile in numerosi dei suoi scritti; nei vari fascicoli è più volte patrocinato un valido e diffuso insegnamento delle arti economiche per contribuire al loro sviluppo. Collaborano alla rivista studiosi, accademici, coltivatori e innovatori, anche inglesi e francesi. Lo schema del giornale comprende rubriche fisse di agricoltura, cronaca agraria, commerciale e rurale, bibliografia ed economia rurale. Il Giornale agrario Lombardo-Veneto prende nel 1853 il nome di “Annali universali di Agricoltura, di Industria e d’Arti economiche”.
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Il politecnico. Giornale dell’ingegnere architetto civile ed industriale Conclusasi, nel 1865, l’esperienza de “Il Politecnico” fondato da Carlo Cattaneo1, l’anno successivo il matematico Francesco Brioschi, insieme ad un gruppo di studiosi dà vita ad una seconda serie della stessa rivista, divenendone il primo direttore. La nuova redazione, pur inseguendo il successo della prima serie, introduce alcune novità: a partire dal primo anno di pubblicazione la rivista viene venduta divisa in due fascicoli, uno dedicato all’ambito letterario, che vede l’apporto di nomi prestigiosi, e uno dedicato agli studi tecnici volti a erudire il lettore con le novità in campo tecnologico, industriale e scientifico. A partire dal 1869, la rivista si fonde con il “Giornale dell’ingegnere architetto civile e meccanico” e assume il titolo di “Il Politecnico. Giornale dell’ingegnere-architetto civile e industriale”. È in questa occasione che abbandona ogni interesse per l’approfondimento letterario, per ricondurre al cuore della pubblicazione i progressi scientifici, industriali e ingegneristici. “Il Politecnico” diviene così organo del progresso nazionale, sua cassa di risonanza delle migliorie via via introdotte in Italia, prima fra tutte l’estendersi della rete ferroviaria nazionale, elemento fondamentale per la crescita economica e industriale del paese. Nel primo Novecento la redazione segue con attenzione gli avvenimenti che si succedono in Italia e in Europa: così durante la grande guerra vengono pubblicati articoli di tecnologia militare, mentre dopo la conclusione del conflitto ci si occupa di ricostruzione. Con la dittatura fascista appaiono alcuni contributi atti a enfatizzare l’opera del regime e la rivista entra in una fase di crisi. Nel gennaio 1928 riprende il titolo “Il Politecnico”. La sua pubblicazione cessa nel 1937. L’articolo che segue è tradotto dalla lingua francese e presenta al pubblico un nuovo processo di panificazione; questo viene spiegato nei minimi particolari, dividendo il procedimento in
1
“Il Politecnico” (1839-1865). Periodico fondato nel 1839 a Milano grazie all’accordo stipulato tra padre Ottavio
Ferrario, direttore della Farmacia dei Fatebenefratelli e cultore di chimica, il professor Giovanni Battista Menini e Carlo Cattaneo. Nel programma, Cattaneo illustra il suo ideale di un giornalismo moderno, civilmente impegnato; il giornale si pone come interprete e mediatore fra il mondo degli specialisti e il pubblico. Interpretando nel senso più ampio e comprensivo il concetto di arte, il mensile si colloca nel punto di mediazione tra ricerca e vita sociale. Esso si fa sostenitore della necessità di un riparto equilibrato tra investimenti agricoli e commerciali e di un industrialismo di carattere gradualistico, nel quadro di un’adesione decisa alle concezioni liberiste. I collaboratori esperti in varie discipline concorrono in modo decisivo al programma di rinnovamento tecnologico, individuato come obbiettivo fondamentale del periodico.
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modo schematico e offrendo una serie di dati numerici che possono efficacemente far comprendere i vantaggi che le operazioni descritte comportano per i produttori
Biblioteca italiana ossia Giornale di letteratura scienza ed arti La “Biblioteca italiana ossia Giornale di letteratura scienza ed arti” è una rivista mensile pubblicata a Milano tra il 1816 e il 1859. Tra i suoi direttori ricordiamo Giuseppe Acerbi, Robustiano Gironi e Francesco Carlini. All’interno della rivista vengono equilibrati i due campi d’interesse principali che, come suggerisce il titolo, sono la scienza e la letteratura. Tra le sue pagine si possono trovare contributi inerenti a filologia classica, traduzioni, trattati su temi archeologici, storici, letterari, oltre ad articoli di economia, diritto, botanica, scienze, spesso accompagnati da allegati e tavole.
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I PRODOTTI AGRICOLI NELLE PAGINE DEI GIORNALI DI UN TEMPO Coltivazione ed usi degli spinaci della Nuova Zelanda Nel pezzo che segue, viene descritta una nuova pianta, gli spinaci della Nuova Zelanda, spiegando in quale modo è giunta fino in Europa e fornendo informazioni utili per la sua coltivazione.
I botanici ed i viaggiatori ben di sovente ci fanno ricchi di un gran numero di nuove piante, dalle più lontane regioni trasportandole, non senza gravi stenti. Ma non di rado accade che molte di esse, utili nel loro
paese
nativo,
vengono
tra
noi
dimenticate;
malgrado
che
non
tralascino di conservare tutte le loro proprietà, ed il nostro clima sia conveniente alla loro coltivazione. Tra queste devesi senza dubbio annoverare lo spinace della Nuova Zelanda, trasportato in Europa sino dal 1772 dal celebre Giuseppe Bancks, e da quell’epoca coltivato in diversi giardini, ed assai poco negli orti. Raccomandato questo come un vegetabile alimentare e antiscorbutico dal capitano Cook, dal conte Ouerches ed altri dotti, non è certo coltivato quanto meriterebbe di esserlo, potendo fornire in estate abbondanti raccolte, e resistere a’ più
ardenti
induriscono,
calori, e
in
troppo
un’epoca
in
cui
rapidamente
gli
altri
s’innalzano
comuni per
spinaci
fiorire
e
fruttificare. Da molti viene anche preferito per il sapore più grato che vi trovano; e noi pure lo gustammo, e ci parve buonissimo. Il
capitano
Cook
dice
che
lo
spinace
della
Nuova
Zelanda
cresce
naturalmente in tutte le stagioni, nei campi e sugli scogli delle isole del Mar del Sud; e che gli abitanti di quei luoghi vanno a staccarne le foglie ed i giovani germogli per prepararli e cibarsene, bolliti come facciamo noi con gli spinaci, sia in insalata che in minestra. Lo si coltiva pur allo stesso fine nei giardini di quelle isole. Al pari del maggior numero delle piante ortensi, varia la sua coltivazione secondo la diversa temperatura locale. A Parigi, per avere questi spinaci in primavera, li seminano d’inverno sopra un letto caldo, formato da otto a dieci metri di letame fresco di cavallo e due di terra sovrappostavi.
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Tra noi si possono seminare in marzo, ed in giugno farne la prima raccolta. Si collocano i semi ad un piede circa di distanza; e quando le
piante
hanno
tre
o
quattro
foglie,
oltre
le
seminali,
o
circa
venticinque giorni di vita, si zappano: in tal guisa rinvigoriscono e gettano fuori molte foglie. Allora è tempo di farne uso. A qual uopo si tagliano queste insieme col caule, al disopra della quinta o sesta foglia. E siccome ben presto ne spuntano delle altre, così si continua a tagliare: ripetendosi tale operazione ogni quindici giorni, finché la temperatura divenendo fredda cessano di vegetare. Quando nascono per la caduta spontanea dei semi, oppure perché siano stati sparsi troppo fitti, in allora giunte le piante all’altezza di tre oncie devonsi diradare, trapiantandole, se si vuole, in altri siti, come si fa coi cavoli. Del resto la coltivazione di questi spinaci per nulla differisce da quella delle piante ortensi. Tratto dal “Giornale dell’ingegnere, architetto e agronomo” (vol. 1, fasc. 15-16, febbraio 1854)
Asparagi, delizia primaverile Il pezzo che segue porge al lettore un esaustivo contributo su una primizia, gli asparagi, che vengono considerati come uno dei migliori prodotti offerti dalla stagione primaverile. In un linguaggio ammiccante ma al contempo chiarissimo, vengono fornite informazioni su questa verdura, sulla tipologia di coltivazione che le è dedicata, e sui modi più invitanti in cui può essere cucinata. Interessante è il modo con cui l’autore dell’articolo dedica numerose righe alla descrizione della morfologia della pianta dell’asparago, dei climi e dei vari terreni in cui può essere coltivato: tale è la delicatezza e la leggerezza nell’uso delle parole, che quasi si potrebbe affiancare questo contributo a un articolo sulla moda, evidenziando l’abilità dei compilatori di una rivista dai gusti eclettici come “La lettura”.
Veramente
la
ghiottoneria
contemporanea
non
sopporta
limitazioni
stagionali e la scienza orticola s’è messa da un pezzo a sfidar la natura, sovvertendo le leggi e imponendole anticipazioni e ritardi. Come tra vitigni precoci e vitigni tardivi s’è già arrivati a portar sul desco uva fresca per otto mesi dell’anno e, maturate su una coltre
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La storia del giornalismo
di
cascami,
asparagi
le
fragole
possono
esser
sull’imbandigione serviti
tutti
i
natalizia, giorni.
Se
così non
anche
gli
bastano
gli
accorgimenti scientifici, con la civiltà che ha soppresso le distanze e le
frigorie
che
impediscono
ogni
corrompimento,
gli
orti
dei
due
emisferi, con l’ausilio delle motonavi, dei grandi espressi e persino dei
velivoli,
si
son
messi
soddisfazione
di
sopprimere,
stagioni.
la
piena
asparagi
Ma si
hanno
a
scambiarsi
almeno
a
efflorescenza
durante
la
prodotti
tavola,
e
primavera
la
gli
per
la
attributi
fragrante
dovizia
metereologica,
tra
gran delle degli
aprile
e
giugno. Allora sui campi delle più diverse latitudini, per estensioni smisurate,
è
tutto
un
occhieggiare
di
teneri
virgulti,
pieni
di
saporose promesse, che metton fuori della terra il piccolo capo bianco per rinverdirlo al sole ed è come se dicessero all’umanità ghiottona: eccoci qua, siamo pronti, coglieteci e deliziatevi… Singolare
pianta
questa,
della
famiglia
delle
liliacee,
che
la
generalità del pubblico non conosce se non allo stato imperfetto di sviluppo, quando i virgulti, chiamati turioni, hanno ancora tutte le foglioline aderenti al gambo come squame, cioè nella fase della loro più
perfetta
commestibilità.
A
lasciarla
crescere
si
effonde
in
rigogliose ramificazioni che arieggiano le felci, sboccia in piccoli fiori
bianco-giallastro
o
verdastro,
dà
frutti
che
son
bacche
globulari, a completa maturazione, d’un bel rosso vivo. I botanici ne conoscono un centinaio di varietà a carattere ornamentale, ma quelle mangereccie sono poche, con qualche lieve differenza nella colorazione del turione, o biancheggiante o verde o violaceo, o carnicino; e quanto alla grossezza e al sapore, è tutta questione di composizione geologica del
terreno
e
della
generosità
del
coltivatore
nel
correggerlo
e
risanarlo con le concimazioni. Attecchisce, d’altronde, sotto i più diversi climi; ne coltivano i paesi nordici d’Europa e ne coltivano gli abissini,
che
li
consumano
dopo
averli
abbrustoliti
a
lento
fuoco,
facendo loro acquistare un vago sapore di nocciola. In tutti i casi gli asparagi
maturano
sottosuolo
e
la
molto
ghiotta
sapidità
lentamente,
con
nell’ombra saggezza
più
epicurea
discreta
del
decisamente
contraria alla fretta. Infatti, il seme gettato in primavera non dà frutti, ossia turioni mangerecci, che quattro anni dopo. E quante cure e quante sollecitudini occorrono all’agricoltore prima che se li veda spuntare turgidi, polposi, profumati. Bisogna che la terra sia ricca e
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La storia del giornalismo
leggera, perché la leggerezza, la bontà. Se quelle qualità non sono naturali
come
accade
in
certe
fortunate
plaghe
di
Lombardia
e
di
Romagna o in quelle famosissime di Argenteuil, ove si vedono spuntare asparagi
persino
nelle
praterie,
bisogna
ricorrere
ai
suggerimenti
dell’agronomia e della chimica, che consigliano persino di mescolare alla terra troppo grassa dei calcinacci. La germinazione dura quattro mesi,
da
primavera
accuratamente
per
ad
autunno.
eliminare
Le
quelle
piante
non
vanno
abbastanza
allora
gagliarde,
scelte e
poi
tagliate in tutte le ramificazioni. Quel che rimane, le “zampe”, è interrato
alla
profondità
di
tre
o
quattro
centimetri
e
ogni
anno
successivo ricoperto da un nuovo strato di limo vegetativo, finché gli “occhi” dei turioni si levano dalle zampe, crescono al tepore della coltre riscaldata dal sole della quarta primavera e vanno a cercare la luce, ove l’agricoltore li attende al varco per troncarne la vita alla giusta misura, affastellarli, legarli a mazzi e mandarli al mercato. In America, naturalmente, si sono inventate macchine che si impadroniscono dei turioni, li nettano, li uguagliano, li contano, li legano e danno mazzi
bell’e
pronti;
da
noi
non
si
è
ancora
giunti
a
tanto,
ma
l’ammazzamento è fatto ugualmente con molta rapidità dalle espertissime operaie
delle
nostre
ortaglie,
che
si
valgono
di
certi
elementari
ordigni a semicerchio per formare il fascio di steli. […] Gli asparagi mangerecci crescono naturalmente anche allo stato selvaggio, ma son piccoli
e
filiformi
per
quanto
molto
saporiti.
[…]
Un
autorevole
ghiottone nostrano sentenziò che la loro giusta morte è affogati nel burro. Una degna morte a cui la ghiottoneria nostrana aggiunge spesso il contorno del parmigiano grattato, che nell’estremo momento avvince amorosamente i turioni […] e delle uova fritte che fanno da morbido cuscino. È un cibo leggero, digeribilissimo e se ne possono fare impunemente delle scorpacciate. Non è il caso di fare gli schifiltosi neppure per le sue conseguenze diuretiche piuttosto maleodoranti perché con qualche goccia di trementina è perfino possibile mutare il puzzo in profumo di violette. […] Un
proverbio
gastronomico
ammonisce
infatti
che
i
piselli
vanno
mangiati alla mensa dei ricchi (perché i più buoni sono i primaticci, cioè i più cari), le ciliegie da un povero (perché le più sapide sono
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La storia del giornalismo
quelle della stagione inoltrata, quando appassiscono) e gli asparagi a tutte le tavole, perché son buoni sempre. La civiltà odiernissima, come si sa, ha aggiunto alla posateria tradizionale certe pinze o morse per afferrare
lo
stelo
nella
parte
dura
e
portarlo
delicatamente
alle
labbra; ma il buongustaio autentico non rinunzierà mai al piacere di servirsi delle mani e di mangiar gli asparagi alla stessa guisa di un’ala
di
pollo.
Appunto
perché
non
danno
mai
[…]
grattacapi
allo
stomaco, gli asparagi suscitano, tra i consumatori, dei veri fanatici. Il
più
celebre
dei
quali
resta
tuttavia
quel
filosofo
che
aveva
invitato alla sua mensa un alto prelato dopo aver discusso a lungo con lui se gli asparagi andavan mangiati all’olio o al burro. Il filosofo era
per
il
burro,
il
prelato
per
l’olio,
e
l’anfitrione,
per
compiacenza, ordinò al cuoco che ne preparasse metà nell’uno e metà nell’altro modo. Ma
ecco
l’ospite
che è
sul
punto
morto.
E
di
andare
l’altro
si
a
tavola
precipita
gli in
recano cucina
notizia con
la
che voce
strozzata dalla commozione: «Fateli tutti al burro», ordina. Non aveva saputo trovare altro elogio funebre […]. (C. Poggiali). Tratto da “La lettura” (fasc. 6, giugno 1933)
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17
La storia del giornalismo
IL CAFFE’ NELLE PAGINE DEI GIORNALI DI UN TEMPO Il Caffè L’articolo presentato di seguito, il primo a essere pubblicato sul primo numero de “Il caffè”, è scritto da Pietro Verri e rappresenta il manifesto della rivista. In esso l’autore introduce un personaggio fittizio, Demetrio, un greco proprietario della bottega di caffè dove il giornalista si colloca e a lui lascia il compito di narrare un’esaustiva storia della bevanda, scritta sotto forma di racconto.
Cos’è questo Caffè? È un foglio di stampa che si pubblicherà ogni dieci giorni.
Cosa
conterrà
questo
foglio
di
stampa?
Cose
varie,
cose
disparatissime, cose inedite, cose fatte da diversi Autori, cose tutte dirette alla pubblica utilità. Va bene: ma con quale stile saranno eglino scritti questi fogli? Con ogni stile, che non annoj. E sin a quando fate voi conto di continuare quest’Opera? Insin a tanto, che avranno
spaccio.
Se
il
Pubblico
si
determina
a
leggerli,
noi
continueremo per un anno, e per più ancora, e in fine d’ogni anco dei trentasei foglj se ne farà un tomo di mole discreta: se poi il Pubblico non li legge, la nostra fatica sarebbe inutile, perciò ci fermeremo anche al quarto, anche al terzo foglio di stampa. Qual fine vi ha fatto nascere un tal progetto? Il fine d’una agradevole occupazione per noi, il fine di far quel bene, che possiamo alla nostra Patria, il fine di spargere delle utili cognizioni fra i nostri Cittadini, divertendoli, come già altrove fecero e Steele, e Swift, e Addison, e Pope, ed altri. Ma perché chiamate questi fogli il Caffè? ve lo dirò, ma andiamo a capo. Un Greco originario di Citera, Isoletta riposta fra la Morea, e Candia, mal
soffrendo
l’avvilimento,
e
la
schiavitù,
in
cui
i
Greci
tutti
vengono tenuti dacché gli Ottomani hanno conquistata quella Contrada, e conservando un animo antico malgrado l’educazione, e gli esempi, son già tre anni, che si risolvette d’abbandonare il suo paese: egli girò per diverse Città commercianti, da noi dette le scale del Levante; egli vide le coste del Mar Rosso, e molto si trattenne in Mocha, dove cambiò
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18
La storia del giornalismo
parte delle sue merci in Caffè del più squisito che dare si possa al mondo; indi prese il partito di stabilirsi in Italia, e da Livorno sen venne in Milano, dove son già tre mesi, che ha aperta una bottega addobbata
con
ricchezza
ed
eleganza
somma.
In
essa
bottega
primieramente si beve un Caffè, che merita il nome veramente di Caffè: Caffè vero verissimo di Levante, e profumato col legno d’Aloe, che chiunque lo prova, quand’anche fosse l’uomo il più grave, l’uomo il più plombeo della terra, bisogna che per necessità si risvegli, e almeno per una mezz’ora diventi uomo ragionevole. In essa bottega vi sono comodi sedili, vi si respira un’aria sempre tiepida, e profumata che consola; la notte è illuminata cosicché brilla in ogni parte l’iride negli specchi e ne’ cristalli sospesi intorno le pareti, e in mezzo alla bottega; in essa bottega, chi vuole leggere, trova sempre i foglj di Novelle Politiche, e quel di colonia, e quei di Sciaffusa, e quei di Lugano, e varj altri: in essa bottega, chi vuol leggere, trova per suo uso
e
il
Europea,
e
Giornale simili
Enciclopedico,
buone
raccolte
e
di
l’Estratto Novelle
della
Letteratura
interessanti,
le
quali
fanno che gli uomini che in prima erano Romani, Fiorentini, Genovesi, o Lombardi, ora sieno tutti presso a poco Europei; in essa bottega v’è di più un buon Atlante, che decide le questioni che nascondono le nuove Politiche; in essa bottega per fine si radunano alcuni uomini, altri ragionevoli, altri irragionevoli, si discorre, si parla, si scherza, si sta sul serio; ed io, che per naturale inclinazione parlo poco, mi son compiaciuto
di
registrare
tutte
le
scene
interessanti,
che
vi
vedo
accadere, e tutt’i discorsi, che vi ascolto degni di registrarsi; e siccome mi trovo d’averne già messi in ordine varj, così li do alle stampe col titolo Il Caffè, poiché appunto son nati in una bottega di Caffè. Il nostro Greco adunque (il quale per parentesi si chiama Demetrio) è un uomo, che ha tutto l’esteriore d’un uomo ragionevole e trattandolo, si conosce che la figura che ha gli sta bene, nella sua fisionomia non si scorge né quella stupida gravità che fa per lo più l’ufficio della cassa ferrata d’un fallito, né quel sorriso abituale, che serve spesse volte d’insegna a una timida falsità. Demetrio ride quando vede qualche lampo
ridicolo,
ma
porta
sempre
in
fronte
un
onorato
carattere
di
quella sicurezza, che un uomo ha di se quando ha ubbidito alle Leggi. L’abito
Orientale,
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ch’ej
veste,
gli
19
dà
una
maestosa
decenza
al
La storia del giornalismo
portamento, cosicché lo credereste di condizione signorile, anziché il padrone d’una bottega di Caffè, e conviene dire, che vi sia realmente una intrinseca perfezione nel vestito Asiatico in paragone al nostro poiché
laddove
dileggiare
i
noi
fanciulli
Franchi,
qui
in
Costantinopoli
da
noi,
non
so
non
se
cessano
per
mai
timore,
di
o
per
riverenza, non si vede che osino render la pariglia a i Levantini. Gli Europei, che si stabiliscono in quelle contrade vestono tutti l’abito o Armeno, o Greco, o talare in qualunque modo, né se ne trovano male, anzi rimpatriando risentono il tormento del nostro abito con maggior energia, in vece che nessun di casi, stabilendosi fra di noi nelle Città dove il commercio li porta, può risolversi a fare altrettanto[…]. Son pochi dì, dacché il nostro Demetrio ebbe occasione di parlar del suo
mestiere,
Negoziante,
e
un
ne
parlò
Giovane
da
maestro.
studente
di
Si
trovavano
Filosofia,
ed
nel
uno
Caffè
dei
un
mille
e
ducento Curiali, che vivono nel nostro paese; io stava tranquillamente ascoltandoli,
non
contribuendo
con
nulla
del
mio
alla
loro
conversazione. Il Caffè è una buona bevanda, diceva il Negoziante, io lo faccio venire dalla parte di Venezia, lo pago cinquanta soldi la libbra, né mi discosterò mai dal mio corrispondente; altre volte lo faceva
venire
da
Livorno,
ma
v’era
diversità
almen
d’un
soldo
per
libbra. V’è nel Caffè, soggiunse il Giovane, una virtù risvegliativi degli
spiriti
animati,
come
nell’oppio
v’è
la
virtù
assaporativa
e
dormitiva. Gran fatto, replicò il Curiale, che quel legume del Caffè, quella fava ci debba venire sino da Costantinopoli! Qui Demetrio, il quale in quel punto era disoccupato, prese a parlare in tal modo:
Storia naturale del Caffè. Il Caffè, Signori miei, non è altrimenti una fava, o un legume, non nasce altrimenti nelle contrade vicine a Costantinopoli; e se siete disposti a credere a me, che ho viaggiato ed ho veduto nell’Arabia i campi interi coperti di Caffè, vi dirò quello che egli è veramente. Il Caffè,
che
noi
Orientali
comunemente
chiamiamo
Couhè,
e
Cahua,
è
prodotto non da un legume, ma bensì da un albero, il quale al suo aspetto paragonasi agli aranci ed a’ limoni quand’hanno le loro radici fisse nel suolo, poiché s’alza circa quattro o cinque braccia da terra;
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20
La storia del giornalismo
il tronco di esso comunemente s’abbraccia con ambe le mani, le foglie sono disposte come quelle degli aranci, come esse sempre verdi anche nell’inverno, e come esse d’un verde bruno; di più l’albero del Caffè nella disposizione de’ suoi rami s’estende presso poco come gli aranci, se non che nella sua vecchiezza i rami inferiori cadono alquanto verso il pavimento. Il Caffè cresce, e si riproduce con poca fatica anche nelle terre, le quali
sembrerebbero
sterili
per
altre
piante;
e
in
due
maniere
si
moltiplica e col seme (il quale è quell’istesso che ci serve per la bevanda) e col produrne di nuove pianticelle delle radici. È bensì vero, che il seme del Caffè diventa sterile poco dopo che è distaccato dall’albero, ed alla natura deve imputarsi, non alle pretese cautele degli Arabi se ei non produce portato che sia da noi, poiché non è altrimenti vero che gli Arabi lo risecchino ne’ forni, né nell’acqua bollente a tal fine, come alcuni spacciarono. L’albero del Caffè finalmente s’assomiglia agli aranci anche in ciò che nel tempo medesimo vi si vedono e fiori, e frutti, altri maturi, altri no, sebbene il tempo veramente della grande raccolta nell’Arabia, sia nel mese di Maggio. I fiori somigliano i gelsomini di Spagna, i frutti sembrano quei del ciliegio verdastri al bel principio, poi rossigni, indi nella maturanza d’un perfetto porporino. Il nocciolo di esso frutto rinchiude due grani di Caffè, i quali si combaciano nella parte piena, e son nodriti da un filamento che passa loro
al
lungo,
di
che
ne
vediamo
vestigio
nel
grano
medesimo:
si
raccolgono i frutti maturi del Caffè scuotendone la pianta, essi non sono grati a cibarsene, si lasciano diseccare esposti al Sole, indi facendo passare sopra di essi un rotolo di sasso pesante si schiudono dopo i gusci, e ne esce il grano. Ogni pianta presso poco produce cinque libbre di Caffè all’anno, e costa sì poca cura il coltivarla, ch’egli è un prodotto che ci concede la terra con una generosità che poco usa negli altri. Nell’oriente era in uso la bevanda del Caffè sino al tempo della presa di Costantinopoli fatta da’ Maomettani, cioè circa la metà del secolo decimo quinto; ma nell’Europa non è più di un secolo da che vi è nota. La più antica memoria che sen abbia è del 1644 anno in cui ne fu portato a Marsiglia, dove si stabilì la prima bottega del
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21
La storia del giornalismo
Caffè aperta in Europa l’anno 1671. La perfezione della bevanda del Caffè dipende primieramente dalla perfezione del Caffè medesimo, il quale vuol essere Arabo, e nell’Arabia stessa non ogni campo lo produce d’egual bontà, come non ogni spiaggia d’una provincia produce vini di forza eguale. Il migliore d’ogni altro è quello ch’io uso, cioè quello che si vende al Bazar, ossia al Mercato di Betelfaguy, città distante cento
miglia
portano
il
circa
Caffè
da
Mocha.
entro
Ivi
alcuni
gli
Arabi
sacchi
di
delle
paglia,
campagne e
ne
vicine
caricano
i
Cammelli; ivi per mezzo dei Banian i forestieri lo comprano. Comprasi pure il buon Caffè al Cairo, ed in Alessandria, dove vi è condotto dalle Carovane della Mecca. I grani del Caffè piccoli e di colore alquanto verdastri sono preferibili a tutti. Dipende in secondo luogo la
perfezione
della
bevanda
nel
modo
di
prepararla,
ed
io
soglio
abbrucciarlo appena quanto basti a macinarlo, indi reso ch’egli è in polvo entro una Caffettiera asciutta lo espongo di nuovo all’azione del fuoco, e poiché lo vedo fumare copiosamente gli verso sopra l’acqua bollente, cosicché la parte sulfurea e oleosa, appena per l’opera del fuoco si schiude della droga, resti assorbita tutta dall’acqua; ciò fatto
lascio
riposare
il
Caffè
per
un
minuto,
tanto
che
le
parti
terrestri della droga calino al fondo del vaso, indi profumata altra Caffettiera col fumo del legno d’Aloe verso in essa il Caffè che venite a prendere, e che trovate sì squisito. Il Caffè rallegra l’animo, risveglia la mente, in alcuni è diuretico, in molti allontana il sonno, ed è particolarmente utile alle persone che fanno poco moto, e che coltivano le scienze. Alcuni giunsero perfino a paragonarlo al famoso Nepente tanto celebrato da Omero; e si raccontano de’ casi nei quali coll’uso del Caffè si son guarite delle febbri, e si son liberati persino alcuni avvelenati da un veleno coagulante il sangue; ed è sicura cosa che questa bibita infonde nel sangue un sal volatile, che ne accelera il moto, e lo dirada, e lo assottiglia, e in certa guisa lo ravviva. Questa
pianta
dell’Arabia,
fu
animatrice, verso
il
naturale fine
per
dello
quanto
scorso
sembra
secolo
al
dagli
suolo
Olandesi
trasportata nell’Isola di Java a Batavia, indi moltiplicatasi, ivi se ne
dilatò
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dai
medesimi
la
piantagione
22
anche
nell’Isola
di
Ceylan,
La storia del giornalismo
poscia col tempo se ne portò in Europa; e in Olanda, e in Parigi per curiosità se ne coltivano le piante, le quali nelle serre riscaldate l’inverno reggono e producono frutti, e tanto sen è universalizzata la coltura presentemente, che nell’America, e nell’Indie Orientali se ne fa la raccolta, cosicché abbiamo Caffè di Surinam, dell’Isola Bourbon, di
Cayenne,
della
Martinica,
di
S.
Domingo,
della
Guadalupa,
delle
Antille, dell’Isola di Capo Verde. Il Caffè d’Arabia è il primo, quello dell’Indie
Orientali
vien
dopo,
il
peggiore
d’ogni
altro
è
quello
d’America. Così
terminò
poiché
lo
di
parlare
trovai
dell’Accademia
Demetrio,
conforme
Reale
a
delle
ed
quanto
Scienze
io ne
di
credetti aveva
Parigi
al
letto
suo
discorso,
nelle
dell’anno
Memorie
1713
in
un
Memoire del Sig. Jutricu, a quanto ce ne attestano i Viaggi dell’Arabia felice del Sig. La Roque, del Cav. Di Marchait, le Memorie del Sig. Garcin. Ma poiché ebbe terminato il suo ragionamento Demetrio, s’alzò il Curiale, e uscì dalla bottega ripetendo: Gran fatto, che quel legume del Caffè, quella fava, ci debba venire sino da Costantinopoli. Tratto da “Il Caffè” (vol. 1, fasc. 1, giugno 1764)
Il caffè In questo contributo vengono fornite dettagliate informazioni sul caffè, la sua provenienza e coltivazione; sono elencate inoltre sue varie tipologie di piante. Dopo una breve storia della sua introduzione in Europa in età moderna, vengono indicati alcuni dati sulla sua composizione chimica, che fanno dell’articoletto un esaustivo testo su questa bevanda ormai molto comune all’inizio del Novecento. Il
caffè
è
il
seme
della
“coffea
arabica”
arboscello
sempre
verde
indigeno dell’Abissinia del Sud. Tutti i paesi però caldi ed umidi tropicali
ne
provenienza,
producono, della
per
forma,
cui
del
sono
colore
innumerevoli e
della
a
scelta
seconda del
delle
prodotto.
Qualità principali del caffè: Moka, è il prototipo dei caffè per la provenienza e per l’aroma. Ha grani piccoli, disuguali e di colore grigio giallastro. Giava è meno profumato, con grani grossi e color giallo chiaro.
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23
La storia del giornalismo
S. Domingo – Puerto Rico – Guatemala – Brasile, sono caffè americani, di grande produzione e che attualmente si impongono sul mercato perché di prezzo minore specialmente quello del Brasile. Questi caffè hanno grani di grossezza media e sono di colore verde. In
generale
il
caffè
di
colore
giallastro
è
di
provenienza
del
continente antico, quello di colore verdastro del nuovo. Sembra che l’uso del caffè esistesse in Persia fino dal IX secolo e nel 1567 fu da Aden
portato
alla
Mecca.
Dall’Arabia
si
diffuse
in
Egitto
ed
in
Turchia. Introdotto a Venezia nel 1615 si rese popolare in Italia trent’anni dopo. Nel 1644 l’ambasciatore turco presso Luigi XIV lo importò in Francia. Quasi nella stessa epoca il caffè veniva introdotto anche in Inghilterra; a Vienna arrivò nel 1683. Il caffè ha la seguente composizione chimica media: Acqua 10%; Caffeina 1; Materie grasse 12; Materie azotate 8; Zucchero 5; Cellulosa 45; Sali organici 5; Acido tannico 5; Sostanze estrattive e ceneri 9. Le ceneri sono costituite da carbonati e da fosfati. I componenti più importanti del caffè, pel loro valore fisiologico sono: la “caffeina” di
azione
eccitante;
l’“acido
tannico”,
le
“sostanze
grasse”
ed
i
“fosfati” per la loro azione nutritiva. Un buon caffè che sia anche ben conservato deve essere di grano sano e sonoro. Messo in acqua esso deve andare a fondo e dopo alcun tempo non deve mai spappolarsi. I grani debbono essere lucidi e sfregandoli con carta o tela bianca, non devono comunicare ed essa del colore gialloverdastro. Il caffè crudo non è servibile per farne la bevanda occorre quindi prima
“torrefarne”
o
tostarne
i
grani.
Con
questa
operazione
la
composizione chimica del caffè, viene modificata. Con essa i semi perdono l’acqua che contengono, il loro volume aumenta, una piccola dose di caffeina volatilizza (da ciò il profumo che si spande
nell’atto
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della
torrefazione)
24
altra
parte
si
decompone,
lo
La storia del giornalismo
zucchero
si
converte
in
caramello,
la
cellulosa
si
carbonizza,
le
cellule contenenti i grassi si aprono e li lasciano trapelare. Per preparare un buon caffè occorre macinare il caffè volta per volta e secondo
il
bisogno.
Occorre
servirsi
di
un
buon
filtro
di
cotone-
feltro- porcellana. Versare a poco a poco l’acqua bollente sul filtro su cui si è messo il caffè perché in tal modo esso non perde tutte le sue qualità aromatiche. Sofisticazioni – Il caffè si vende in grani ed in polvere, crudo e cotto. Le principali sofisticazioni si riscontrano in questo ultimo stato, cioè cotto ed in polvere (fecola, gomma, terra). In grano si usa sofisticarlo vendendo caffè mescolato con altri nomi e con qualità inferiori. Ricerca della cicoria in un caffè in polvere. Si versa adagio del caffè sospetto
sulla
superficie
d’acqua
contenuta
in
un
bicchiere,
se
la
polvere precipita sul fondo e l’acqua si colora subito in giallo allora è evidente la mescolanza con cicoria. Il caffè ha un’azione eccitante che si riverbera specialmente sulle nostre facoltà. Sotto la influenza del caffè lo spirito è più attivo, più penetrante, più atto ai lavori intellettuali. Esso agisce anche salutarmente sullo stomaco, essendo ottimo digestivo. Non
tutti
nervosi
se
maggiori l’abuso
però ne
casi di
possono debbono la
tollerare astenere
esperienza
questa
bevanda
lo
l’azione
quasi
caffè
completamente.
dimostra
produce
del
salutare,
dolori
e
ed
i
soggetti
Difatti
se
dall’altro
stirature
alla
nei lato
testa,
insonnia, tremiti convulsivi palpitazioni. Il
caffè
toglie
l’amaro
al
solfato
di
chinino
ed
al
solfato
di
magnesia, epperciò serve per correggere tali medicine. Tratto da “Letture della domenica” (vol. 7, fasc. 15, aprile 1914)
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25
La storia del giornalismo
LA FARINA NELLE PAGINE DEI GIORNALI DI UN TEMPO Pane bianco e leggierissimo per mezzo del bi-carbonato di soda L’articolo che segue è un breve testo che presenta al pubblico una novità straniera, come spesso si usa nelle testate dell’Ottocento, quando una sezione della rivista era dedicata esclusivamente alle notizie provenienti dai paesi europei e americani, con particolare riguardo verso Francia e Inghilterra, un esempio da seguire per gli agricoltori del Lombardo-Veneto.
Un fornaio di Londra ha presa ultimamente una patente per un processo di fabbricazione di pane leggiero, le cui qualità non sono l’effetto né del lievito, né della levatura (lievito di birra). Egli
sostituisce
dell’acido
a
queste
idro-clorico,
in
sostanze
del
quantità
bi-carbonato
conveniente
di
perché
soda
e
l’acido
s’impossessi della soda e formi così del vero sale ordinario, mentre l’acido
carbonico
si
sprigiona,
gonfia
la
pasta,
e
le
dà
quell’apparenza spugnosa che caratterizza il pane leggiero. Ecco
la
maniera
di
operare:
a
7
libbre
di
farina
di
frumento
si
mescolano 350 a 500 grani (di 20 a 27 gramme circa) di bicarbonato di soda, e circa una bottiglia e mezza di acqua distillata. In un vaso a parte a circa una mezza bottiglia d’acqua si mescola la quantità d’acido necessario (ve ne vogliono ordinariamente da 400 a 460 grani d’acido muriatico del commercio). E’ indispensabile di bene stemprare la pasta colla soluzione di soda, e quando tutto è così ben preparato, si versa l’acido. Tratto da “Giornale agrario del Lombardo-Veneto e continuazione degli Annali universali di Agricoltura, di Industria e d’Arti economiche” (vol. 10, fasc. 7-8, agosto 1838)
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La storia del giornalismo
Cultura del grano saraceno L’articolo che segue riporta una serie di caratteristiche tipiche dei pezzi che nel “Giornale agrario del Lombardo Veneto” vengono pubblicati per presentare un prodotto, in questo caso il grano saraceno. Sono quindi reperibili notizie sui tipi di terreno e climi che più si adattano al cereale, le varie specie che è possibile trovare in natura e i suoi usi più vantaggiosi per l’agricoltore. È facile immaginare come uno degli obiettivi di maggior importanza del giornale fosse di suggerire agli agricoltori i prodotti che potessero apportare facili guadagni a fronte di spese relativamente basse.
A tutti quelli, che si occupano di agricoltura, è noto che il grano saraceno somministra al coltivatore diversi ed assai utili vantaggi. Questo
meglio
adattasi
che
qualunque
altra
qualità
di
sementa
alle
terre magre, sassose e frigide. Il suo seme per i majali è assai più nutritivo dell’orzo, per i cavalli della vena; od è adattissimo per nutrire
i
polli
avendo
la
prerogativa
di
ingrassarli
in
pochissimo
tempo. Segato dunque, e in fiore, e non molto disseccato, somministra un ottimo foraggio. La sua precoce vegetazione le fa rendere presto libero il terreno, e dar campo ad altra sementa che più tardiva non avrebbe il tempo necessario per dare il maturo frutto. – i suoi fiori poi sono per le api, e per molto tempo, una preziosa risorsa. Un’altra specie di grano saraceno ordinario, conosciuto sotto il nome di
grano
saraceno
di
Tartaria,
o
di
Siberia,
o
di
grano
saraceno
fruttescente, unisce alle qualità del grano anzidetto varie altre più vantaggiose ancora. Portando questo grano dalla Russia in Francia da un Ufficiale
francese
vegeta
in
tutte
le
terre
ed
in
qualsiasi
esposizione; il suo seme è più grosso, pesante, produttivo, precoce e resistente; egli non paventa il crudo gelo, resiste alle brine, ed il suo seme che ha passato tutto l’inverno sotto terra, trionfa delle stagioni le più rigide, e prestissimo germoglia. Può essere ancora seminato ai primi di marzo, e raccolto nel mese di giugno; così dà luogo al coltivatore di fare una seconda sementa per aver poi di questa il raccolto nel prossimo settembre. Bisogna però
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27
La storia del giornalismo
osservare,
tostochè
il
suo
seme
è
maturo,
di
mieterlo,
altrimenti
continuerebbe a gettare degli steli. (Laurent). Tratto da “Giornale agrario del Lombardo-Veneto e continuazione degli Annali universali di Agricoltura, di Industria e d’Arti economiche” (vol. 11, fasc. 5-6, giugno 1839)
Processo di panificazione diretta del grano senza macinatura L’articolo che segue è tradotto dalla lingua francese e presenta al pubblico un nuovo processo di panificazione; questo viene spiegato nei minimi particolari, dividendo il procedimento in modo schematico e offrendo una serie di dati numerici che possono efficacemente far comprendere i vantaggi che le operazioni descritte comportano per i produttori.
Il grano di frumento non contiene che il 4 o 5 per cento di pellicola epidermica non digeribile. Tutte le altre parti del grano mescolate fra loro sono molto atte a fare un pane oltremodo nutriente. Il sistema adottato
sinora
per
trasformare
il
grano
in
pane,
passando
per
la
riduzione in farina, non permette di utilizzare nel pane bigio che l’80 per
cento,
equivalente
a
112
chilogrammi
di
pane
bigio
per
100
chilogrammi di grano. Il Signor Sezille col suo sistema che sopprime la macinatura, crede ottenere 145 a 150 chilogrammi di pane bigio ogni 100 chilogrammi di grano,
rendimento
permetterebbe ettolitri
di
di
che
supera
del
economizzare
per
grano,
e
quindi
33 la
per
cento
sola
renderebbe
l’ordinario
e
che
Francia
23
milioni
di
impossibile
in
avvenire
le
crisi commerciali provenienti dalla scarsità del raccolto dei cereali e principalmente del frumento. Il modo di procedere è il seguente: Prima operazione – Si versa dell’acqua in una vasca o in un altro recipiente qualunque, e vi si immerge il grano che si agita per qualche minuto
con
una
pala.
Se
vi
sono
dei
grani
guasti
o
troppo
magri,
galleggiano e si possono togliere. Con questa operazione si leva anche la polvere e tutte le altre impurità che si disciolgono nell’acqua;
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28
La storia del giornalismo
dopo mezz’ora si fa uscire l’acqua che è molto torbida, anche con i grani più puliti, e dopo aver lasciato gocciolare il grano lo si fa passare in un cilindro di lamiera munito all’interno di piccole punte, che toglie rapidamente e senza difficoltà il 2 a 5 per cento della prima pellicola epidermica che è la più grossolana; quanto alla seconda pellicola e a quella che si trova nella scanalatura longitudinale del grano,
non
sorpassa
il
2
per
cento,
e
siccome
si
trova
alla
fine
dell’operazione mescolata in 150 chilogrammi di pane, non ha importanza dal lato nutritivo. Seconda operazione – La seconda operazione consiste a mettere il grano (200 chilogrammi) al quale è stata levata una parte dell’epidermide, in una vasca piena d’acqua a 20 o 25º C. per modo che vi sia una certa quantità d’acqua al disopra del grano. Dapprima, e questo è il punto capitale
del
sistema,
si
mescolano
in
quest’acqua
1
chilogrammo
di
lievito e mezzo secco e 150 a 200 grammi di glucosio; allora la materia fermentescibile in dissoluzione nell’acqua agisce a poco a poco sul grano, lo penetra e dopo 20 a 24 ore di immersione, secondo le specie di grano e la temperatura, esso ha assorbito il 50 al 70 per cento d’acqua ed è atto alla fermentazione. Allora
si
decanta
immediatamente
l’acqua,
che
è
rossastra
in
causa
della materia colorata che si trova sotto l’epidermide del grano e che è disciolta forse dall’azione del fermento (ciò che contribuisce a fare del pane bianco), e si passa alla terza operazione. Terza operazione – Lasciato sgocciolare il grano, lo si mette in una tramoggia che mediante un distributore lo fa passare fra uno o due paja di
cilindri.
Il
grano
che
è
molle
ed
ha
la
consistenza
quasi
del
formaggio di Gruyère, si riduce facilmente in pasta. Questa sottili
operazione la
ha
porzione
per
iscopo
della
di
ridurre
pellicola
in
parti
rimasta,
eccessivamente
onde
mescolarla
intimamente col rimanente. La riduzione in pasta essendo terminata, si prende la quantità di sale necessaria per dar sapore al pane e la si scioglie nell’acqua, poi si versa la soluzione sulla pasta, si danno due o tre colpi di mano per riunire e ben mescolare tutte le parti della pasta, e si procede del resto come all’ordinario, dividendo la
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29
La storia del giornalismo
pasta in piccoli pani, lasciando compiere la fermentazione e passandola poscia al forno. Il grano appropriandosi il 50 al 70 per cento d’acqua secondo la specie del grano e la temperatura, è evidente che quando non ne riceve che il 30
non
ne
ha
sufficiente
per
panificarsi,
e
converrà
aggiungere
l’ulteriore 15 a 20 per cento, secondo che si crederà conveniente, e questa aggiunta non esigerà verun lavoro di più, dovendosi impastare qualche po’ a mano per mescolare il tutto; l’assorbimento dell’acqua dal glutine si fa molto rapidamente anche in questo modo. Tratto da “Il politecnico. Giornale dell’ingegnere architetto civile ed industriale” (vol. 2, fasc. 11, novembre 1870)
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30
La storia del giornalismo
LA FRUTTA NELLE PAGINE DEI GIORNALI DI UN TEMPO
Gli alimenti – la frutta Il trafiletto che segue offre al lettore un breve compendio delle virtù che la frutta comporta all’interno di un’alimentazione mista ed equilibrata, che non preveda un eccesso di carne e dunque di proteine di origine animale. Per meglio illustrare tali doti, l’autore ha compilato una lista esplicativa con i tipi di frutta maggiormente diffusi nel panorama agricolo del paese e che possono facilmente raggiungere le tavole dei lettori. Per ogni prodotto viene fornita una descrizione delle sue doti oltre a qualche dato sulla storia della pianta da frutto, sul suo sapore e sulla sua coltivazione.
Una
perfetta
alimentazione
deve
essere
“mista”
ossia
deve
essa
ricorrere al regime carneo commisto frequentemente, anzi giornalmente al regime vegetariano. L’uso esagerato ed esclusivo della carne non è assolutamente
sano
e
solo
conviene
per
individui
estremamente
indeboliti in seguito a gravi malattie. Giova invece moltissimo l’uso abbondante di vegetali, siano essi erbaggi o siano frutti debitamente cotti o anche crudi. La frutta poi debbono essere sane e ben mature, né mai bisogna abusarne specie
se
crude.
Vario
è
il
loro
grado
di
potenza
nutritiva
e
di
digeribilità come vedremo nella seguente rassegna. “Frutta a nocciolo interno” (rosacee ed amigdalee). Prugna – Le varietà più stimate sembrano provenire dall’Oriente. Plinio crede che la importazione delle prugne in Italia venga da Damasco. Innumerevoli sono queste varietà, vari sono i colori, varia la forma. In
generale
sono
di
aroma
fino
e
delicato,
di
sapore
gustoso,
zuccherino, sono frutti sanissimi, rinfrescanti e lassativi. La prugna si usa anche farla disseccare al sole e queste sono al tempo stesso un alimento ed un medicamento. Si possono mangiare crude e cotte.
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31
La storia del giornalismo
Ciliegia
–
È
il
frutto
del
cerasus
vulgaris.
Questo
albero
venne
portato da Cerasunte a Roma da Lucullo 68 anni prima di Cristo dopo le sue
vittorie
apprezzati
e
su
Mitradate.
la
sua
In
coltura
Italia
si
i
diffuse
suoi
frutti
largamente.
furono Varie
assai
sono
le
qualità di questo frutto la cui carne è dolce ed un po’ acida. È frutto assai sano. Mandorla (amygdalus communis) – Albero indigeno dell’Africa, coltivato oggidì in quasi tutta l’Europa meridionale. Il frutto è verde, ovoide, allungato
a
punta.
Contiene
per
nocciolo
uno
o
due
semi
detti
“mandorle”. Questi semi sono assai saporiti tanto verdi che secchi. Dai semi secchi si ricava un olio che si usa in medicina. Sono questi frutti assai indigesti, in causa dell’olio che contengono. Pesca (persicus vulgaris) – È un albero assai affine al mandorlo ma se ne differenzia per frutto la cui carne è spessa, carnosa, succulenta. Ve ne sono due varietà, una con la carne attaccata al nocciolo (pesca cotogna) gialla o rossa, l’altra la cui carne si disfà più facilmente e si
distacca
dall’osso
violaceo.
È
mangiarlo
con
frutto
o
nocciolo
(pesca
rinfrescante,
zucchero
o
nel
gustoso
vino.
I
violetta) ma
di
colore
indigesto,
noccioli
sono
rosso
è
meglio
tossici
perché
contengono molto acido prussico. Albicocca
(armeniaca
vulgaris)
–
Ebbe
il
suo
nome
dall’Armenia
sua
patria. La polpa dell’albicocca è carnosa, però indigesta e perciò da mangiarsi con moderazione. Mela (malus communis) – È albero la cui coltivazione risale alla più remota antichità. Se ne conoscono moltissime varietà e prendono vari nomi secondo i paesi, la forma del frutto, il colore, ecc. Il frutto è tondo,
liscio
di
buccia,
sottile
e
colorata,
si
conserva
benissimo
anche in inverno. È frutto sanissimo, e si mangia tanto crudo che cotto. Pera (pirus communis) – È il frutto d’un albero selvatico che mediante la coltivazione in frutteti ha assunto moltissime varietà. È frutto di forma allungata come una trottola, dolce, carnoso, profumato.
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32
La storia del giornalismo
Mela cotogna (cydonia vulgaris) – È originaria di Creta. È frutto che matura
in
autunno.
Ha
forte
profumo
e
sapore
aspro.
Se
ne
fanno
confetture, gelatine, sciroppi. Tratto da “Letture della domenica” (vol. 6, fasc. 37, settembre 1913)
I nostri frutti d’oro Il pezzo che segue è scritto da un medico, il quale tuttavia nello scriverlo ha abbandonato il tono scientifico; il frutto d’oro, come qui viene definita l’arancia, è decantato in un modo oltremodo poetico. Sia per quanto riguarda la descrizione delle origini del frutto, sia per ciò che concerne le sue qualità fisiche, il testo è ricco di termini e formule che si più adatte alla forse alla descrizione di una donna che di un prodotto della terra. Anche nell’elencare le sue proprietà chimiche ed i benefici che ne derivano, l’autore non utilizza termini realistici, ma lascia trapelare una forte ammirazione per questo alimento coltivato nel meridione del nostro paese, ma che viene maggiormente apprezzato, come egli suggerisce, nel settentrione.
I primi naviganti che sono sbarcati, e i primi mercandanti che, colle loro carovane, son giunti nelle terre di Cina, hanno trovato, oltre a genti dalla costumanze più strane, e a templi, a monumenti, a mura ed a giardini
dai
più
fantastici
aspetti,
anche
dei
grossi
frutti
che
brillavano fra il verde cupo di certe foglie. Quando poi hanno scoperto il soavissimo profumo che emanava da quei frutti e anche dalle loro foglie,
e
soprattutto
dai
loro
fiori
(che
sono
bianchi,
carnosi
e
stellati)…quando, tolta ai frutti la grossa buccia (ch’è cosparsa di gocce di essenza), hanno trovato anche gli spicchi tutti vescichette rigonfie di succo dolce, fragrante e leggermente acido […] ne hanno avuta
una
tale
istoriate,
alle
incise,
alle
accatastare
gioiosa sete
armi
nelle
meraviglia
ricamate,
gemmate, stive
dei
agli
che,
assieme
avorii
hanno
voluto
loro
velieri
alle
traforati,
caricare anche
sui
semi
porcellane alle
loro e
giade muli
virgulti
e di
quelle esotiche piante; e così…Così, sfidando ogni pericolo di terra ed ogni furia di mare, virgulti e semi son giunti fin qua.
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33
La storia del giornalismo
E qua, seminati i semi, e interrati i virgulti proprio là, ove più caldo sempre ride nei nostri giardini il sole, e dove più tiepida sempre spira la brezza del mare, i semi sono germogliati; i virgulti sono attecchiti; i rami sono fioriti; i fiori sono diventati frutti: e il
frutto
–
ch’è
l’uno
dei
tanti
doni
che,
con
la
sua
orientale
larghezza, ci ha porti la Cina – è così diventato anche il frutto nostrano; il frutto caldo del nostro mezzodì. “Citrus cedro
aurantium” aureo;
è
cedro
stata d’oro;
battezzata
dai
botanici
frutto
d’oro.
È
la
infatti
pianta;
cioè
l’auranzio,
l’arancio, un oro vivo; un oro tanto prezioso, quasi quant’è prezioso l’oro metallo; e come uno è simbolo di ricchezza, è l’altro simbolo di quella ricchezza ancor più grande ch’è la salute; e, al par dell’uno, anche l’altro ha sempre invitato, e sempre chiamato, e sempre attratto a sé le genti, è quel misterioso e magico potere che ha sempre avuto e che mai non perderà, la possente calamita che ha nome: oro. Fin dai tempi più lontani, c’è sempre stata, infatti, della gente che, almeno una volta nella vita, prima che le nebbie si stendessero fitte sui prati, abbandonava o il cupo castello che s’ergeva sulle rive d’un malinconico lago di Scozia, o la vetusta casa protetta da una gotica chiesa che il Danubio o il Reno lambiva […] che, su di un veliero e fra lo
scampanellar
delle
sconquassate
vetture
di
posta,
trottava
e
navigava, e ancora trottava attraversando borgate raccolte, e città popolate, e terre desolate […] che valicavano il Sempione e il Brennero ammantellati nelle loro nevi eterne […] e che finalmente scaricava i bagagli e si fermava là, ove nei sempreverdi aranceti vedeva ammiccare l’oro vivo dei nostri aranci. […] Frutto quasi quanto l’oro, prezioso è l’arancia perché i suoi zuccheri, i suoi sali vegetali ed i suoi aromi fanno di essa un frutto sommamente squisito, che molto più che non lo sia dovrebbe sempre abbondare su tutte le nostre tavole. Perché in esso è gran ricchezza di vitamine, e specie delle vitamine A, B,
C,
calcio,
che del
tanto
facilitano,
fosforo,
del
nei
piccoli
magnesio
e
di
bimbi, tutti
l’assimilazione gli
altri
del
elementi
indispensabili al consolidamento delle ossa e alla formazione di tutti gli altri nostri tessuti.
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34
La storia del giornalismo
Perché,
contenendo
zuccheri,
l’abbondante
albumina,
e
suo
succo,
abbondante
acido
vitamina
malico,
citrico,
anti-infettiva,
esso
rappresenta un possibile alimento per i malati costretti a rigorosa dieta e perché, per il suo citrato sodico, è anche la bevanda più indicata
a
calmare
la
sete
durante
le
malattie
febbrili
e
infiammatorie. Perché […] mille e mille vescichette rigonfie di essenze tengono dalla sua buccia lontani gli insetti in cerca di nidi per le loro uova; perché la sua polpa succosa non conosce così lo strisciare e il rosicchiare dei vermi; e perché ad occhi chiusi ognuno può pertanto succhiar i frutti che son l’emblema della salute, nella certezza di trovarne
sempre
sana,
pura
la
polpa.
Perché
la
buccia
del
frutto,
seccata e polverizzata, è veramente vermifuga e febbrifuga e perché l’essenza ricca di limonene, che da essa si distilla, fa veramente della stessa buccia un ottimo eupeptico, stomachico e stimolante. Perché
le
foglie
dell’arancio
(che
sotto
la
lente
appaiono
tutte
cosparse di cristalli d’ossalato calcico e di ghiandole oleifere) hanno veramente quelle proprietà sedative che le nostre donne decantano, e le hanno anche dopo d’esser state seccate. Perché l’acqua che si distilla dai fiori d’arancio (flores naphae) è un eccellente cosmetico; e dell’essenza degli stessi fiori (essenza di Nerol), per i suoi eteri acetici, il suo linalolo, il suo nerolo, si fa largo usano infatti in ogni nostra profumeria. Eppure, nonostante tutti i suoi pregi, è più spesso sulle tavole del Nord che sulle nostre, che brilla l’oro delle nostre arance! […] È motto più spesso lassù che si trova, ogni mattino, una arancia presso alla scodella del latte! […]È molto più lassù che viene apprezzato il preziosissimo oro vivo dei nostri aranceti! […] Perché? Perché, purtroppo, meno suol apprezzare il bene chi di bene abbonda! (Dott. Amal). Tratto, da “La Lettura” (fasc. 3, marzo 1934)
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La storia del giornalismo
IL FORMAGGIO NELLE PAGINE DEI GIORNALI DI UN TEMPO Come si fabbrica il formaggio di grana L’articolo che segue evidenzia il fine didattico a cui la rivista “La lettura” è votata: su due pagine, ai trafiletti in cui il testo è diviso, si alternano fotografie che riportano i vari momenti della produzione del formaggio grana all’interno di un caseificio. Oltre a qualche breve didascalia, tutto il procedimento è minuziosamente descritto dall’autore, che aiuta il lettore a immaginare come questa delizia venga prodotta, oltre a pubblicizzarne il gusto e le proprietà.
È
tanta
la
ritrarre
fama
di
questo
coll’obiettivo
squisito
i
vari
formaggio,
momenti
della
che
mi
ha
spinto
fabbricazione.
a Il
formaggio grana appartiene alla classe dei formaggi provenienti dal latte in parte spannato o scremato, detti perciò semigrassi; riguardo alla consistenza, ai formaggi duri e fra questi a quelli cotti. La prima
operazione
è
quella
della
spannatura.
Il
latte,
vuotato
in
apposite bacinelle, viene, dopo qualche ora di riposo, spannato dal casaro e suoi aiutanti con una ciotola detta spanneruola; la sostanza tolta, o panna, viene versata nella zangola e serve a fare il burro; l’altra che rimane viene svuotata nella caldaia e si ha allora il coagulo, che si ottiene facendo agire sul latte spannato il caglio o presame
formato
da
speciali
sostanze.
A
quest’operazione
segue
la
cottura che si compie a temperatura di 45º o 46º Reaumur. Compiuta
questa
cottura,
s’allontana
la
caldaia
dal
fornello
e
si
lascia circa mezz’ora in riposo perché la sostanza grumosa formatasi depositi al fondo in modo da formare una massa unica e compatta: il casaro fa allora aderire al fondo della caldaia un lino che tien fisso da
un
lato,
contro
l’orlo
superiore
di
essa,
dall’altro
con
due
bastoncini. L’aiutante del casaro, detto nel dialetto solcaldera, muove la sostanza raggrumatasi in modo da farla fermare entro la tela tenuta dal casaro; questi allora ritira il lino dalla caldaia e con esso la pasta che dopo successive operazioni diverrà buon formaggio. Ciò fatto il casaro dopo
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La storia del giornalismo
la scolatura della pasta la mette in forma e la comprime poi con pesi onde assuma maggior consistenza: nel nostro caso, ad esempio, […], con una pietra di peso rilevante. Lasciata qualche giorno in pressione, si porta nella salara o salatoio nel quale rimane, sempre in fascia, per qualche settimana, mentre giornalmente il casaro sala il formaggio. In questo
periodo
formaggio fascia,
ha
viene vien
luogo
ad
il
essere
portato
processo
stagionato.
nei
magazzeni
di
fermentativo
Dopo ove
qualche vien
pel
quale
il
tempo,
tolto
di
unto
con
speciali
composizioni di materie grasse. I formaggi di grana si distinguono in varie categorie: novelli o giovani, vecchi, stravecchi, stravecchioni; le
formagge
non
durano
però
più
di
quattr’anni
circa.
(Dott.
G.
Bandini). Tratto da “La lettura” (fasc. 1, gennaio 1910)
Un nuovo tipo di burro L’articolo che segue potrebbe apparire strano se ricondotto al “Politecnico”, dato il suo argomento di carattere alimentare; leggendolo risulta chiaro, invece, quale sia il tono con il quale è stato scritto: non solo viene proposta al pubblico una novità estera, anche se gastronomica, ma ne viene illustrata la produzione e la diffusione a livello commerciale, rispettando come sempre il tono della pubblicazione, il cui fine è, come detto, istruire sulle novità scientifiche e tecnologiche legate a qualsiasi tipo di industria, anche la casearia.
Da alcuni mesi ha fatto la sua comparsa sul mercato new yorkese un nuovo tipo di burro, un discendente più o meno legittimo dell’antico burro
fresco
di
campagna.
Il
nuovo
tipo
di
burro
in
parola,
commercialmente designato “burro crema” (creamed butter), oppure “burro sbattuto” (whipped butter), od ancora “burro fresco di zangola” (fresch churned),
si
incorporandovi
ottiene una
forte
dalla
rilavorazione
percentuale
d’aria,
del la
burro quale
normale,
imparte
al
prodotto un aspetto molle e pannoso, venduto al pubblico sotto l’uno e l’altra delle designazioni suindicate; burro il quale ha incontrato il favore del pubblico, anche se talvolta fatto pagare un prezzo superiore a quello del burro normale. Il nuovo burro cremato, sbattuto, o fresco
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La storia del giornalismo
di zangola, comunque esso venga designato, è sorto dalle ceneri del vecchio burro di campagna. Almeno tre importanti case si occupano a New York della sua fabbricazione e vendita, che si aggira settimanalmente da 1.200 a 1.300 lattoni, del peso di 35 a 40 libbre cadauno, e che sembra incontrare ognor più il favore del consumatore. Si tratta di burro senza sale, dolce al palato, fabbricato in alcune delle latterie più moderne di questo Stato, che si sono specializzate in tale tipo. Esso viene prodotto col burro fresco usuale; e quantunque si
mantenga
un
fabbricazione,
prudente
consta
riserbo
però
il
sul
burro
in
rispettivo
parola
processo
viene
lavorato
di alla
zangola, sbattuto o frantumato, così da incorporarvi un notevole volume di
aria.
Precisamente
l’incorporazione
come
nella
dell’aria
nella
fabbricazione mescolanza
del
dei
gelato
vari
di
crema
ingredienti
ne
sviluppa il sapore desiderabile, e quella sensazione gradevole sulla lingua e sul palato, che si ha della crema sbattuta. Lo sbattimento del burro sembra accentuarne il gusto, ed impartire al prodotto un sapore ed una consistenza molle piacevole, rendendolo un burro pannato. Lo sbattimento e la rilavorazione alla zangola del burro ne aumenta il volume; aumento che può spingersi, ove lo si desideri, finanche al 100%, fornendo così al consumatore in una libbra di burro cui egli è abituato.
Un
eccessivo
aumento
del
volume
è,
peraltro
non
consigliabile, perché difetti si sviluppano facilmente in tale burro sbattuto,
quale
superficie,
ad
quando
esempio lo
la
stesso
tendenza
resti
a
esposto
cambiar a
di
colore
temperature
alla
piuttosto
calde. Non più di un aumento di volume del 20% al massimo è pertanto desiderabile. Il vantaggio del burro sbattuto nell’economia domestica sta nel suo gusto
più
accentuato
e
nella
maggiore
facilità
ed
uniformità
colla
quale esso può spalmarsi sul pane. Per
il
quale
impiego
una
libbra
di
burro
sbattuto
dà
maggiore
rendimento di una di burro normale, di maggiore consistenza. D’altra parte
il
burro
sbattuto
ha
i
suoi
svantaggi,
essendo
di
minore
sorbevolezza e di piuttosto facile deterioramento. Siccome poi il suo gusto è accentuato, è della maggiore importanza di adoperare nella sua preparazione soltanto burro di qualità sceltissima.
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38
La storia del giornalismo
Il burro sbattuto o cremato in parola viene condizionato in sacchi di latta
dalle
bianco,
capacità
colla
marca
cadauno della
di
40
casa
libbre,
esternamente
produttrice,
la
quale
dipinti
di
dev’essere
all’uopo licenziata dall’autorità sanitaria municipale del mercato sul quale il burro stesso viene venduto. Indicazioni quali “burro fresco” (fresh made), oppure, “zangolato di fresco” (fresh churned) figurano per lo più sull’esterno del contente. Nella
fabbricazione
del
burro
sbattuto
è
importante
adoperare
solo
burro con meno del 16% di contenuto acqueo. L’amministrazione sanitaria new yorkese sorvegli attentamente la fabbricazione e la vendita di tale burro,
la
ebraico
cui
della
richiesta
è
popolazione
notevole, di
questa
specie
da
metropoli
parte ed
dell’elemento
accenna
anzi
a
continuo incremento anche da parte di consumatori di altra stirpe. La
preparazione
e
vendita
del
burro
sbattuto
è
disciplinata
dall’articolo 9, sez. 151 c. del Codice Sanitario del Dipartimento di Igiene della Città di New York, che stabilisce tassativamente l’obbligo della
licenza,
chiunque
voglia
da
ottenersi dedicarsi
presso a
tale
il
Dipartimento
industria,
ed
in
parola
assoggetta
da la
preparazione ed il commercio di tale nuova qualità di burro a speciale e severo regolamento sanitario. Tratto da “Il Politecnico” (fasc. 4, aprile 1931).
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La storia del giornalismo
L’OLIO NELLE PAGINE DEI GIORNALI DI UN TEMPO Raccolto delle olive. – Olii orientali ed occidentali Come indicato nel suo titolo, Il “Giornale agrario del Lombardo-Veneto e continuazione degli Annali universali di Agricoltura, di Industria e d’Arti economiche” (1826-1859), dedica particolare attenzione all’area lombardo-veneta e l’articolo che segue tratta della coltivazione di un prodotto generalmente attribuito a climi mediterranei, come l’ulivo, ma impiantato in Lombardia. Il frutto viene trattato sia a livello della pianta, sia del prodotto, ossia l’olio che dai frutti dell’ulivo è ricavato, da usarsi come condimento e come carburante. L’olio si presenta ai produttori e ai consumatori di colore, odore e densità differenti, e ciò è dovuto non solo al tipo di clima a cui la pianta è stata esposta, ma anche alle malattie che ha subito e alle diverse lavorazioni a cui il prodotto è stato sottoposto.
Nello scorso anno annunziavamo essere meschino il raccolto delle olive lombarde e per le spesse grandini cadute, e per la soverchia quantità delle
piogge,
e
per
l’eccesso
delle
nevi.
Le
nostre
speranze
si
trovarono deluse anche nel ricolto di quest’anno. Dove
il
soffiar
importuno
dei
venti
impetuosi,
dove
la
state
non
abbastanza calda, dove cause morbose ci lasciarono con un prodotto ben scarso. Nei nostri paesi gli ulivi avevano poco sviluppo, i fratti riuscirono
tardivi
soddisfacente.
Per
assai: la
pochi
verità
gli
nei
olii,
luoghi
e
di
dove
qualità
la
non
coltivazione
troppo degli
ulivi riesce, come luogo la riviera de’ nostri laghi, su pei colli della nostra Brianza, grande ne è il vantaggio, ed i coloni si occupano di buon animo della confezione degli olii dacché nei campi si fa poco o nulla in questa stagione. Generalmente i nostri olii sono ottimi come commestibili: apprestano però un po’ di colore, né sono così delicati e trasparenti
come
quelli
detti
d’occidente,
e
principalmente
della
bellissima costiera di Nizza, ma hanno sapore gustosissimo, e colle vivande si accomodano pure assai bene.
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40
La storia del giornalismo
Questi olii però sono in così poca dose a confronto dei consumatori, che
appena
sono
sufficienti
a
provvedere
gli
abitanti
di
quelle
contrade, dove si fabbricano. Così succede al lago di Como, Maggiore, di Garda, d’Iseo, e nei dintorni degli altri laghetti. Le piante oleifere coltivate in Lombardia suppliscono in poca parte pel consumo come commestibili, e nel resto come combustibili; la camellina e giorgiolina che alcuni dei nostri negozianti importano specialmente dall’Ungheria,
servirono
talvolta
così
bene
all’intenzioni
degli
speculatori, che se ne ritrasse gran profitto, massime in questi ultimi tempi,
in
cui
d’occidente,
i
il
prezzo
quali
si
dell’olio
è
ritengono
salito
a
altissimo.
ragione
i
più
[…]Gli
olii
squisiti,
in
quest’anno sono assai ricercati. Ci si scrive da Nizza, centro del commercio di questi olii, nel litorale e nelle montagne, che per le rovine prodotte dalla malattia del verme, la raccolta di quest’anno trovasi
diminuita
un
quarto.
Gli
olivi
hanno
pure
sofferto,
ed
il
frutto ha patito, come dicemmo, una malattia detta in quelle contrade la morfea. La fabbricazione degli olii è cominciata colà coi primi di novembre del prossimo passato anno. Da noi due mesi dopo o più. Gli olii fabbricati fin qui hanno tutti un gusto di verme abbastanza pronunciato. Si fa osservare però che degli olii con quest’odore sono migliori quelli di buona annata, che non quelli di cattiva. Non avverrà, così si scrive, che verso il quindici di gennaio che si cominceranno a fabbricare alcuni olii fini e soprafini. Quantunque con questo difetto questi olii verranno preferiti ai vecchi a causa della loro freschezza. Nel mese di febbraio in commercio compariranno alcuni olii fini e soprafini. Le prime qualità non saranno messe in commercio che in marzo, aprile e maggio. I raccolti della Provenza, e della riviera di Genova, sono nella stessa condizione di quelli di Nizza e suoi dintorni: gli olii d’oriente sono pure incariti. La Toscana e Napoli ne comprovano il fatto. Ultimamente però gli olii principalmente del napolitano hanno acquistato un po’ di merito
per
la
perfezionata
maniera,
fabbricazione. […]
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41
con
cui
si
procede
nella
La storia del giornalismo
Terremo
dietro
a
questa
bella
industria
quanto
più
potremo,
e
ne
informeremo i nostri benevoli lettori. (Dossena) Tratto da “Giornale agrario del Lombardo-Veneto e continuazione degli Annali universali di Tecnologia, di Agricoltura, di Economia rurale e domestica, di Arti e Mestieri ” (vol. 5, fasc. 1, gennaio 1846)
Olio d’oliva Nel breve articolo che segue sono riportate una serie di informazioni che costruiscono un ricco quadro relativo all’olio d’oliva: vengono descritti i frantoi, il modo con il quale l’olio si ricava dai frutti, le diverse tipologie di prodotto che si possono trovare sul mercato e la loro denominazione. Anche le sue caratteristiche fisiche sono dettagliatamente presentate al lettore, così come le qualità che ne differenziano la natura rispetto alla provenienza geografica.
L’olio d’oliva si estrae mediante pressione del frutto dell’olivo (olea europea). La frantumazione delle olive si effettua nei frantoi i quali, a seconda dei mezzi di cui dispone il produttore, variano da semplici e primordiali
macine,
come
per
buona
parte
delle
Puglie,
Calabria,
Sicilia, ecc., a veri opifici industriali con macchinario prefetto e ciò in Liguria, Lago di Garda, ecc. In questi ultimi con cilindri potentissimi d’acciaio si estrae fino all’ultimo contenuto delle olive. Quando le olive sono ridotte ad una pasta, essa viene posta in piccoli cestelli di vimini circolari che ammucchiati sotto un torchio vengono pressati fino a dare tutto il contenuto in olio. Così se ne ricava l’olio il quale, a seconda delle fasi di spremitura, assume vari nomi: Olio vergine: è quello di prima pressione, di qualità finissima, di colore giallo dorato o verdognolo, di sapore dolce e di grato odore, che ricorda il frutto; Olio fino di seconda pressione che pur è limpido, di colore un po’ più carico del primo, di qualità fine ma di odore meno delicato;
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La storia del giornalismo
Olio di terza pressione che è torbido, ha sapore piuttosto sgradevole e serve all’industria. L’Italia ha grandissima produzione in olio d’oliva, e quasi in tutte le sue regioni, l’olivo, come la vite, alligna e cresce magnificamente. Se ne tolgano solo le regioni alpine ed appenniniche elevate. Ottime sono in generale le qualità dei nostri olii d’oliva, rinomati quelli di Liguria, Toscana e Puglia. L’olio d’oliva è un liquido di peso specifico da 0,914 a 0,917. Esso congela a ÷ 2 gradi C. Abbandonato per molto tempo alla luce e all’aria perde il suo bel colore e irrancidisce. L’olio d’oliva puro ha reazione neutra, non acida, è quasi insolubile in alcool, invece è solubile in etere. Dovendo l’olio d’oliva puro essere di colore giallo-verdognolo e piuttosto grasso, è grande errore del consumatore, come succede sovente a Milano, il richiederlo bianco di colore, fluidissimo e poco grasso. È questa richiesta che spinge i rivenditori ad adulterare il vero olio d’oliva puro con olii di altri semi di minor valore. Sofisticazioni – Poiché grandissimo è nel nostro paese l’uso dell’olio dell’oliva come alimento, giacché nella massima parte d’Italia l’olio d’oliva
è
molto
più
in
uso
che
non
il
burro,
dove
questo
sarebbe
carissimo di prezzo, così assai frequentemente l’olio d‘oliva viene adulterato con aggiunta di altri olii di semi di minor valore (sesamo, cotone, arachide, colza, ravizzone, ricino, lino, ecc). L’aggiunta di questi olii dovrebbe essere resa pubblica dal rivenditore con cartelli esposti nei luoghi di vendita, come prescrive la legge, ma purtroppo sovente si sfugge a questo obbligo. Il
sapore
e
i
caratteri
generali
servono
in
parte
a
svelare
l’adulterazione, però vi sono metodi facili e sicuri per riconoscere le aggiunte illecite […]. (E. Corbellini). Tratto da “Letture della domenica” (vol. 4, fasc. 38, settembre 1911).
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La storia del giornalismo
LA PESCA NELLE PAGINE DEI GIORNALI DI UN TEMPO Pesca lombarda Nell’articolo riportato di seguito viene brevemente presentata la pesca nell’area lombarda: dopo l’introduzione dedicata alla pesca in generale, considerata come materia da annoverare nell’agricoltura perché ricava prodotti dalla natura, delinea la situazione delle acque della zona e della loro pescosità. Vengono fornite cifre a corredare lo scritto, il quale riconosce l’utilità dell’importazione del pesce di mare dalle zone costiere, ma allo stesso tempo elogia i prodotti dei numerosi canali, fiumi e laghi della Lombardia.
Fino degli
dall’infanzia armenti,
del
della
mondo pesca,
degli
uomini
della
caccia:
si
occupavano
erano
le
dei
prime
campi,
arti,
e
saranno certamente le ultime. Noi che pacificamente attendiamo a queste patriarcali abitudini nate e cresciute coi secoli non siamo né i primi, né gli ultimi: meditando sui costumi di quelli che ci precedettero sulla scena, lasciamo ai nostri nepoti quello che abbiamo operato noi nei pochi giorni che viviamo. L’industria che si procaccia i prodotti della natura, sicchè questi emergano spontanei, siacchè dalle mani del lavoratore si ottengano, è appellata a ragione industria agricola, o agricoltura. Ammesso un tale principio, che ci sembra affatto ovvio e consentendo
ai
lumi
della
scienza
contemporanea,
ne
viene
di
conseguenza la più diretta, che debbansi classificare coll’industria agricola tutti i lavori che hanno per iscopo di trarre dalla natura quelle materie, qualunque esse siano, che possono servire ai nostri bisogni, e quindi anche quelle le quali non suppongano la coltivazione del suolo: sono di tale specie le cure del cacciatore, quelle del pescatore, i quali s’impadroniscono degli animali, che non sono stati allevati colle loro mani: del minatore, che cerca nelle viscere della terra quei minerali, che là posavano prima ch’egli se ne occupasse. Sebbene
gli
formazioni
uomini
dei
non
pesci,
abbiano
dei
fatto
volatili
in
nulla
direttamente
generale,
e
dei
per
la
minerali,
tuttavolta non sono prodotti, di essi si possa usare gratuitamente,
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44
La storia del giornalismo
asserisce un benemerito economista. Costano il valore delle cure, che abbisognano per trarre questi oggetti dal luogo, ove li ha alloggiati la natura, per metterli nelle mani del consumatore. Così il prezzo di alcuni pesci di mare, sulle sue spiaggie, non è altro che il rimborso delle spese di produzione, spese occorse per condurre alla riva questi animali. Come il prezzo dei cavoli, o dei pomi di terra è il rimborso dei dispendii di produzione sostenuti per mettere queste
leguminose
sui
mercati.
In
Lombardia
la
pesca
è
un
ramo
d’industria agricola d’assai importante, ove si vogliano considerare tanto i prodotti, che diventano elementi di materia commerciale, quanto quelli
che
rappresentano
la
consumazione
privata,
la
quale
alla
campagna principalmente è d’assai considerevole, e quasi incalcolabile: dacchè ogni campagnuolo in certi giorni principalmente della settimana diventa pescatore. Ove poi si parli di quella classe di campagnuoli che vivono sulle costiere dei nostri bei laghi, o lungo i nostri fiumi, i nostri torrenti, l’industria della pesca è certamente più rimarchevole. L’area della Lombardia, abbiamo accennato in altra scrittura, essere di milioni 31,881,946 pertiche censuarie, cioè 20,704 chilometri quadri. In questo bellissimo paese sono le acque così incantevoli dei nostri laghi, si ammirano le limpide correnti de’ nostri fiumi, de’ nostri torrenti:
in
pochi
luoghi
si
riscontrano
i
paduli,
che
rapidamente
vanno a scomparire d’anno in anno, di mese in mese, si può dire, di giorno in giorno. L’estensione coverta dalle surreferite acque è calcolata di pertiche censuarie 656,593. qui non sono calcolate tutte le acque d’irrigazione, che
arrivano
potrebbero diversi
certamente
estimare
canali
a
somma
stante
piccoli
e
gli
grandi,
rilevante,
ma
che
intricatissimi e
l’immensa
difficilmente
serpeggiamenti
divisione
delle
si dei
acque
irrigatorie sui campi delle nostre basse. La pesca propriamente detta però, ossia quella che vien esercitata in grande, può considerarsi avvenire precisamente nei laghi e nei fiumi o torrenti. L’altra che certamente non è meno profittevole, e che si esercita nei canali d’irrigazione, è la piccola pesca, cioè quella che si versa per la minor parte nel circolo commerciale, e pel resto a profitto di chi la esercita. Sonvi certe epoche, che ritornano diverse
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La storia del giornalismo
volte in un anno, in cui buona parte dei campagnuoli delle basse vivono per delle settimane, e talvolta per qualche mese esclusivamente della pesca:
e
questi
periodi
tornano,
quando
vengono
asciugati
i
canali
d’irrigazione onde operarvi gli spurghi, e le riparazioni occorrenti, o quando torna la stagione dell’asciugamento delle risaje. In Lombardia il prodotto della pesca è in grande e calcolato in massa di libbrei metriche
circa
un
milione
e
200,000,
e
rappresentato
da
un
valore
pecuniario d’un milione circa, cifra che certo è al di sotto alquanto del
vero.
Ove
si
volesse
la
cifra
speciale
per
ciascuna
provincia
avremo per la provincia comasca lire 270,000 circa; per Lodi e Crema 160,000; per Mantova 130,000; Cremona 95,000; Bergamo 80,000; Brescia 66,000;
Milano
50,000;
approssimative
Pavia
rappresentano
50,000; un
Sondrio
valore
20,000.
che
Queste
diremo
cifre
commerciale,
certamente inferiore al vero, come dicemmo, non mai maggiore. A questa somma di più d’un milione di rendita sarebbe d’aggiungersi un’altra, la quale dovrebbe rappresentare la consumazione di tutte le famiglie dei pescatori di professione, e di tutti gli altri che per bisogno, o per divertimento esercitano la pesca: e questa altra cifra noi non la supponiamo minore della già espressa di circa un milione. […] Noi lombardi non abbiamo paese che serva di costiera ai mari, e quindi
manchiamo
dell’importazione
di
pesce
di
marino;
questo
per
cui
ricercato
siamo
debitori
commestibile.
ad
altri
Però
se
confrontiamo la nostra pesca d’acqua dolce, con quella identica d’altri paesi, abbiamo argomento di consolarci, mentre si trovavano gli altri certamente
al
disotto
di
noi,
e
nella
quantità
di
pesci,
e
nella
qualità squisita, proprietà che sembra riservata alle nostre acque. […] Le nostre acque, le scaturigini delle quali si rinvengono nel sistema delle
patrie
montagne,
si
distinguono
in
potabili
o
dolci
e
non
potabili. Le acque che servono all’uso comune degli animali si derivano dai
fiumi,
sia
chiusi,
come
nella
città,
nelle
borgate
i
pozzi
servienti all’uso domestico ed all’abbeveraggio degli animali. Queste acque, torbide più o meno, pregne di sostanze animali o vegetabili quasi sciolte si adoperano pure alla generale irrigazione della nostra campagna; e queste hanno maggiore o minor valore a seconda delle loro intrinseche
proprietà,
e
delle
terre
e
dei
vegetabili
cui
debbono
alimentare. […] La pesca nostrale è più o meno preziosa, più o meno apprezzata in confronto delle buone o cattive prerogative delle acque.
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La storia del giornalismo
Le stesse specie di pesci tolte dalle acque dei nostri fiumi, dai limpidissimi torrenti, o dai nostri laghi hanno maggiore valore che non quelle prodotte dai cavi delle nostre basse, ove frequenti fanghiglio ed avanzi di animali e vegetabili vi si tramescolano. […] Le specie dei pesci che vivono nelle nostre acque dolci vantano le più ricercate proprietà per la loro squisetezza sulle più doviziose mense del paese e fuori.
Le
principali
sono:
gli
storioni
che
vivono
nei
principali
nostri fiumi e laghi (sturio), le trotte (trutta), il lucio (lucius), il persico (perca luviatilis), l’agone (clupeo alosa major), celebrità del lago di Como; sardella (clupeo alosa minor), l’anguilla (murena anguilla);
temolo
(thymallus);
la
tinca
(cyprinus
tynca);
il
barbo
(barbus), la scardova (ruttilus), la lampreda (petromyzon). Molte altre specie abbiamo passato sotto silenzio, dacchè sono di minor momento. Abbiamo fiducia di aver annunziate cose interessanti per nostro paese; vorremo però pregare i nostri pescatori, i nostri dilettanti di pesca e rassegnarci quelle notizie ulteriori che non ci fossero note ancora o che concorressero ad illustrare vieppiù la nostra Lombardia. dal “Giornale agrario del Lombardo-Veneto e continuazione degli Annali universali di Agricoltura, di Industria e d’Arti economiche” (fasc. 7, luglio 1849)
Il pesce affumicato L’articolo che segue tratta in modo semplice ma efficace il processo di affumicazione del pesce, descrivendone i vari stadi e gli utensili impiegati e introducendo il lettore a un tipico piatto della città di Kiel.
La città di Kiel – il famoso porto di guerra prussiano, teatro della non meno famosa settimana di regate - è il centro dell’affumicamento del pesce; e di questo, come d’un cibo di stagione, vogliamo occuparci oggi, lasciando da parte i grassi prosciutti, le lombate e le salcicce di maiale. L’azione conservatrice del fumo sulla carne è data dal contenuto di creosoto
–
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proprio
il
creosoto,
il
47
medicamento
che
a
questa
sua
La storia del giornalismo
particolarità deve anche il nome, composto da kraos, carne, e sozein, salvare
–
consistente
che
è
nel
fumo
nell’appendere
stesso;
dall’antica
semplicemente
nella
forma
cappa
del
primitiva, camino
la
carne da affumare, s’è svolto poi, coll’andar del tempo, il sistema moderno, pel quale il fumo, prodotto in focolai post nelle cantine, si raccoglie in una camera sul solaio; dal camino, il fumo entra nelle camere per un condotto lungo e stretto, posto in basso, e per un altro, aperto in alto, ne esce; alle volte, sopra questa prima camera da affumare ve n’ha un’altra; nella prima stanza il fumo è tiepido, nella seconda
è
quasi
freddo.
Date
le
due
aperture,
il
fumo
circola
continuamente, cosicchè la carne ne riceve ad ogni momento di nuovo, e quello che è carico d’umidità e che potrebbe produrre fuliggine se ne va dal tubo di scarico. Come la carne, prima d’essere affumata, dev’essere salata, così anche i pesci; a questo fine, s’immergono in una soluzione di sale, la cui densità è determinata empiricamente col gettarvi una patata: quando la patata galleggia, la soluzione è forte abbastanza. In questa soluzione il pesce resta per qualche ora, talvolta anche un giorno intero, poi si sala ancora e quindi s’espone all’azione del fumo per cinque o sei ore. Dato il breve tempo di fumigazione richiesto dai pesci – in confronto colle carni, che devono stare nella camera d’affumamento da una a dieci settimane, secondo la grossezza dei pezzi – per questi s’usano camere speciali, molto più piccole e vicinissime al focolaio generatore del fumo. Quando il pesce è ben affumato, lo si dispone in iscatole o barili per la spedizione; le scatole sono riservate al pesce piccolo come gli sprotten – una specie d’aringa, clupea sprattus, che misura dai 10 ai 15 centimetri e vive nel mare del Nord e nel Baltico – gustosissimi a mangiarsi insieme col burro; le aringhe – che affumate prendono
il
nome
di
Bucklinge
–
si
spediscono
in
casse,
e
le
più
ricercate sono quelle di Kiel. Tratto da “Letture della domenica” (vol. 4, fasc. 14, aprile 1911)
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48
La storia del giornalismo
Il pesce al posto della carne In “La lettura”, grande attenzione è posta anche al risparmio: questo è il principale intento dell’articolo che segue: incentivare il consumo di pesce, soprattutto d’acqua dolce, al posto della carne il cui costo è nettamente superiore.
Fu detto: «Bisogna convincersi di questo, che tutti i popoli i quali si sono dati a rispettare il pesce, a coltivarlo e a moltiplicarlo, sono riusciti
a
risolvere
l’arduo
problema
della
vita
a
buon
mercato,
essendo l’acqua, per chi ne abbia cura, molto più produttiva della terra». Naturalmente ciò si riferisce alle così dette acque interne, perché per i mari la questione è più complessa. Ma abbiamo volutamente accennato alla pesca non marina che è la più trascurata presso di noi, perché è da essa, forse più che dai mari, che l’Italia può trarre un immediato
vantaggio
per
la
sua
economia
alimentare.
Esaminando
le
statistiche vediamo che le popolazioni le quali consumano poco o punto pesce sono quelle dell’Italia continentale. I miseri tre chilogrammi in media
di
pesce
quarantaquattro
(contro milioni
i
diciotto
d’Italiani
si
di
carne
riducono
bovina)
mangiati
a
di
meno
uno
dai
nelle
regioni dell’Emilia, del Piemonte, dell’Umbria. Due fatti principali determinano lo scarso uso del pesce nel Regno: il suo costo troppo elevato
e
il
cattivo
modo
di
presentarlo
in
vendita
nelle
città
secondarie e nei piccoli centri. Ricordiamo che fino a ieri noi abbiamo importato, tra fresco e conservato, più di un milione di lire di pesce al giorno. Lasciamo stare quello conservato (del quale parleremo in seguito) ma che l’Italia importasse pesce fresco dalla […] Svizzera, Francia, Olanda, Norvegia, è incomprensibile. Incomprensibile per noi, non per il commercio il quale ubbidisce alle leggi della concorrenza. E se Basilea mandava […] a Genova il pesce di mare è perché gli alberghi, le
trattorie,
acquistare
i
pesce
privati fresco
stessi e
trovavano
ottimamente
la
loro
presentato
convenienza da
così
ad
lontano
piuttosto che al mare di casa loro. Il trasporto del pesce richiede mezzi
celerissimi
e
attrezzatura
particolare.
In
tutti
i
Paesi
più
progrediti in fatto di pesca oggi non si vende altro che pesce vivo. Il nostro pubblico non esige tanta raffinatezza ma desidera che il pesce sia almeno fresco e fragrante. Nei grandi mercati ciò si è ottenuto, ma
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La storia del giornalismo
nei centri secondari no. Le botteghe, e specialmente i banchi a vento delle piccole città non sono certo i più acconci ad invogliare la gente all’uso
del
pesce.
Peggio
i
paesi
dell’interno,
dove,
anche
se
si
trovano due o tre beccherie, il pesce è affatto sconosciuto. Si noti che
le
popolazioni
lontane
dal
mare
non
è
vero
che
rifuggano
dall’alimento ittico, anzi sembrerebbero l’opposto se si consideri che, appena pongono piede sul litorale, gradiscono e gustano in modo tutto particolare i saporosi e stimolanti manicaretti di pesce. Primo dovere, in quest’ora severa della Patria, è quello di far giungere il pesce fresco e a buon mercato in tutti i centri dell’interno, anche i più piccoli e remoti. Nei paesi dove esiste un beccaio e non lo spaccio di pesce, il macellaio dovrebbe avere obbligo, nei giorni in cui gli è vietato di vendere carne, di sostituirla con i frutti delle acque. Nelle
grandi
città,
accanto
al
mercato
del
pesce,
devono
sorgere
friggitorie dove le rimanenze possano venire utilizzate subito. Altre friggitorie ambulanti porteranno intorno, all’ora dei pasti, il loro caldo
e
dorato
carico
a
cui
la
nostra
gente
fa
sempre
ottima
accoglienza. Ma sopra tutto bisogna dare alle popolazioni dell’interno la loro pesca, quella delle acque dolci. I laghi, i fiumi, i canali, gli
stagni,
le
risaie,
le
paludi,
occupano
1.567.200
ettari
di
superficie d’Italia. L’elemento liquido che dovrebbe rappresentare una incalcolabile ricchezza ittiologica è, dobbiamo confessarlo, sterile o quasi.
La
Germania,
non
molto
più
copiosa
di
acque
dolci
della
Penisola, avrebbe potuto vivere un anno con i soli prodotti delle sue acque. Noi, avendo trascurato nel passato questo ramo dell’attività sociale, ci troviamo oggi a non potere fare che un minimo assegnamento sui
prodotti
ittiologici.
La
pesca
di
frodo,
gli
inquinamenti
industriali, le razzie e le devastazioni compiute quasi impunemente da persone
di
tutte
le
condizioni,
hanno
finito
per
distruggere
una
ricchezza della quale solamente ora si rileva l’importanza. Pensate che dalle scaturigini alla foce tutti i corsi d’acqua danno ricetto a una quantità incalcolabile di pesci commestibili, il cui valore nutritivo, ricco di sostanze azotate e di grassi, è superiore a quello della carne bovina. Dai salmonidi del tratto superiore dei fiumi, al cavedano e alla carpa del tratto medio, alle anguille, agli storioni del corso inferiore,
è
tutta
una
vita
acquatica
che
comprende
una
infinità
varietà di animali. Non parlo dei laghi, veri serbatoi e vivai di pesci
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La storia del giornalismo
anche di grossa mole e di qualità pregiate ed elette, delle valli dove l’industria più importante è quello della pesca. I canali, le rogge, i fossi, qualunque rigagnolo potrebbe albergare pesci e rappresentare per le
popolazioni
del
luogo
un’inesauribile
fonte
a
cui
attingere
gratuitamente da vivere. Le risaie e le paludi, seminate di carpe, tinche e anguille, fornirebbero tanto cibo da arricchire i mercati di intere
regioni.
La
carpa,
questa
vera
macchina
da
carne,
che
può
crescere di mezzo chilo in un anno e che dà fino a 250.000 uova, era già stata introdotta nelle nostre risaie ed aveva preso un notevole sviluppo. Ma, qualunque altra impresa ittica, essa fu abbandonata per il
semplice
fatto
che
le
carpe
allevate
dall’agricoltore
venivano
regolarmente razziate dai pescatori di frodo, i quali, prosciugando le piane,
cagionavano
un
quelli
che
profonda
s’immagina
hanno il
doppio
danno
enorme
gravissimo pratica e
di
talvolta
nocumento. pesca
e
Nessuno, di
irreparabile
se
non
piscicoltura, procurato
dal
pescatore clandestino. L’avvelenatore, l’inquinatore, il prosciugatore del torrente e del fiume distruggono in una sola notte quintali di pesci, rovinando il fondo, fanno strage di uova e avannotti, rendendo sterili talvolta per lungo tempo vasti tratti del corso d’acqua. Tutti i provvedimenti che in quest’ora gli enti pescherecci, i consorzi, le cooperative, le associazioni sindacali saranno per prendere al fine di dare
nuovo
incremento
alla
pesca
delle
acque
interne
riusciranno
inutili se prima e sollecitamente non si cercherà di debellare la pesca di frodo. […] Dicevamo che la gente dell’interno, gli abitanti dei piccoli centri e delle campagne, non consumano pesce perché non hanno comodità di acquistarlo, mentre la carne la trovano dovunque a portata di mano. È con la pesca delle acque dolci che si rimedia a questo inconveniente.
Se
dovrebbero,
fauna,
di
tutti
i
le
nostri
nostre
bacini
popolazioni
fossero
ricchi,
troverebbero
il
come pesce
abbondante e a miglior mercato della carne ogni giorno della settimana. […] La pesca delle acque interne era tanto scaduta nel suo valore che oramai non veniva più considerata che un pretesto di riporto e di svago. Pescatore non era altro che un perdigiorno il quale andava con la canna o la rete a insidiare il solitario pesciolino. Al punto che oggi, in un momento tanto importante per la nostra economia, c’è ancora chi
non
presta
fede
al
valore
delle
pesca
di
mestiere
nei
bacini
interni. La canna e la bilancia sono bellissimi ordigni per chi è
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51
La storia del giornalismo
amante della vita sana e libera in tempi normali, ma ora è alle grandi reti, ai mezzi di forti prese, alle cooperative pescherecce che noi dobbiamo
rivolgere
le
nostre
speranze
perché
rechino
ai
mercati
la
maggior quantità possibile dei prodotti delle acque. Tutti gli impacci che furono creati per favorire il dilettante a scapito talvolta della pesca
professionale
devono
cadere
di
fronte
alle
condizioni
straordinarie del momento attuale. […] Un altro lato importante del problema è la propaganda peschereccia. I tre chilogrammi in media di pesce che noi consumiamo, se non potranno salire ai 73 che si consumano in Germania o ai 130 in Norvegia, potranno e dovranno essere almeno triplicati. Come dicevamo, la migliore propaganda si ottiene con le friggitorie. Far gustare al pubblico un cibo ben preparato, stimolante, leggero, e a buon prezzo, è il mezzo più pratico e convincente per introdurre il pesce nella nostra cucina. […] Anche il dottor Natalius e sua
moglie
in
una
recente
manuale
«dedicato
alle
modeste
mense
italiane» abbinano i due più sani frutti delle acque, pesce e riso. Le loro 635 ricette sono ciò che di più semplice ed economico si possa immaginare, e noi vorremmo che le nostre donne, massaie e cuciniere, imparassero quanto varie, impensate ed ingegnose saranno le maniere per far apprezzare il pesce ai loro familiari. Un’altra forma efficacissima di
propaganda
potrebbe
essere
il
cinematografo.
Pellicole
che
mostrassero al pubblico tutta la vita che si svolge attorno alla pesca, da quella atlantica alle tonnare, dalla caccia al pesce-spada con la fiocina spaderme
nei ai
l’industria
mari
siculi
palamiti, della
all’insidia
dalle
reti
conservazione,
a
a
traino
strascico
della
del
dentice,
alla
modesta
salagione,
dalle canna;
dell’affumicatura,
dell’essicazione; i trasporti celeri per acqua, terra, cielo; l’arrivo ai
mercati,
la
distribuzione,
la
vendita,
infine
la
dimostrazione
pratica del modo di condizionare il pescato e di servirlo in tavola, riuscirebbero interessantissime e utilissime al pubblico italiano il quale ha il dovere, per la sua salute fisica e morale, di fronte a se stesso e al mondo incivile dei sanzionisti, di sostituire alla carne bovina
quella
più
sana,
vitale
e
nazionale
del
pesce.
(Eugenio
Barisoni). Tratto da “La lettura” (febbraio 1936)
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52
La storia del giornalismo
IL SALE NELLE PAGINE DEI GIORNALI DI UN TEMPO Il sale Nell’articolo che segue viene descritto il sale in ogni suo aspetto. L’autore si sofferma così sulla sua composizione chimica e sulle sue proprietà se aggiunto ai cibi e quando ingerito, e ancora ne descrive la produzione in Italia, nelle zone in cui viene ricavato dalle acque del mare, e da lì trasportato in tutto il paese.
Il
sale
(cloruro
di
soda
–
sale
marino
–
sale
da
cucina)
è
il
condimento delle vivande per eccellenza. Esso
è
indispensabile
alla
nutrizione
dell’uomo,
poiché
una
alimentazione senza sale provocherebbe delle malattie. Tutti le parti dell’organo
umano
contengono
una
parte
di
sale
marino
essendo
esso
necessario alla composizione dei nostri tessuti. Il
sale
toglie
l’insipido
ai
cibi,
eccita
l’appetito,
facilita
la
digestione producendo una salutare eccitazione sui visceri addominali. Il nome di Sale è antichissimo, fu esteso dai primi chimici a tutte le sostanze che assomigliavano al sale marino perché solubili in acqua, cristallizzabili e di sapore non acido. Il sale marino è un cloruro di soda, ossia un composto di cloro e soda. Egli ha sapore fresco e vivo, è solubilissimo in acqua, cristallizza in cubi. Il sale si incontra in natura in masse enorme, poiché è come lo indica il suo nome, esso fa parte dell’acqua del mare ogni litro della quale ne contiene oltre 30 grammi. Lo si trova pure allo stato di minerale nelle viscere della terra ove forma strati immensi e si chiama allora sal gemma. In Italia le miniere di
sal
gemma
in
esercizio
sono
quelle
di
Lungro
Cattolica Ciamiana, Nicosia e Leonforte in Sicilia.
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53
in
Calabria
di
La storia del giornalismo
La Sicilia dà annualmente duecento tonnellate di sale. Però le più celebri miniere di sal gemma sono quelle di Cordova in Spagna e quelle di Polonia. In Italia vi sono poi anche sorgenti saline importantissime come quelle di Salsomaggiore che danno ogni giorno 300 ettolitri di acqua e quelle di Volterra che danno 12.000 tonnellate di sale all’anno. Però la maggiore quantità del sale che si consuma proviene dall’acqua del
mare,
calore
mediante
del
sole
evaporazione.
basta
a
Nei
paesi
concentrare
meridionali
l’acqua
del
il
mare
cocente
ed
a
far
cristallizzare il sale marino, in altre regioni invece si ricorre al fuoco per eseguire tale evaporazione. Sulle coste del Mediterraneo e Adriatico vaste
l’evaporazione
estensioni
di
spontanea
terreno
dell’acqua
chiamati
stagni
del
mare
salati.
si
fa
sopra
L’acqua
viene
introdotta in un primo bacino e tenuta in riposo vi deposita le materie eterogenee che tiene in sospensione quindi per alcuni canaletti essa passa in una serie di bacini più piccoli e comunicanti tra loro. Nel
primo
bacino
essa
deposita
dei
composti
salini
contenenti
del
solfato di calce, negli altri l’acqua concentrandosi depone i cristalli di sale propriamente detto o cloruro di sodio. Il sale commerciale si distingue in bianco e bigio a seconda della maggiore o minore purezza. Il primo ha potere salino assai più forte del secondo contrariamente alla credenza di molti. Introdotto Antichissimo
nello è
stomaco,
l’uso
del
il
sale
sale
ed
eccita è
l’appetito
probabile
che
i
e
la
primi
sete. uomini
sopperissero a questo bisogno bevendo il sangue degli animali. La storia parla di Amo Marzio che donò al popolo seimila misure di sale. Era pregiudizio degli antichi che il sale si formasse sotto l’influsso della
luna,
poiché
nei
climi
caldi
per
la
evaporazione
enorme
e
rapidissima al mattino trovavasi il sale là dove la sera non vi era che acqua marina. (E. Corbellini). Tratto da “Letture della domenica” (vol. 4, fasc. 41, ottobre 1911)
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54
La storia del giornalismo
I condimenti – il sale da cucina Come nell’articolo precedente, anche in questo il sale è protagonista; in particolare, in questo caso, l’autore si sofferma sui metodi della sua produzione, descrivendo con precisione le varie fasi in cui viene ricavato dall’acqua e fornendo anche diverse cifre a corredo di quanto detto.
Col nome di “Sali” la chimica intende quei composti che si formano quando un acido si combina con una base, quindi il Carbonato di calce (marmo) è un sale risultante dalla combinazione dell’acido carbonico con
la
calce,
combinazione comportano
il
Solfato
dell’acido
in
vari
di
ferrò
solforico
modi
col
col
calore.
è
un
ferro O
sale e
derivante
così
crepitano
via.
(come
dalla
I
sali
si
il
sale
da
cucina) per l’acqua che contengono, oppure fondono o volatilizzano. L’acqua, agendo sopra i sali talvolta li scioglie e la sua proprietà sovente cresce col crescere della temperatura. Quando l’acqua ad una data
temperatura
contiene
tutta
quella
quantità
di
sale
che
può
sciogliere allora si ha una soluzione satura. Mescolando un acido con un sale il più delle volte la base
si scinde in fra
i due acidi
formando due sali. Se l’acido forma un sale insolubile questo precipita sotto forma di sale. Infine mescolando due sali fra loro che siano prima sciolti in acqua,
essi
si
decompongono
ossia
l’acido
dell’uno
si
impadronisce
della base dell’altro e viceversa a meno ché non si formi un sale doppio il che è assai raro. Nella formazione dei sali mediante il trattamento di un acido, si manifesta sempre produzione di calore e talvolta produzione di gas. Fra
i
sali
organici
che
più
interessano
la
nutrizione
del
nostro
organismo, il più importante ed il più necessario è il sale comune o cloruro di soda volgarmente detto sale da cucina. Il sale comune è il condimento per eccellenza perché indispensabile alla
digestione,
esso
stimola
la
fame
e
la
sete,
favorisce
l’assorbimento dei materiali nutritivi e fornisce allo stomaco l’acido necessario
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per
digerire.
Questo
sale
55
è
abbondantissimo
in
natura,
La storia del giornalismo
sciolto
nelle
accumulato
in
acque
del
blocchi
mare, od
in
in
certe
giacimenti
sorgenti
e
talvolta
disseminato immensi
o
sulla
superficie o nell’interno del suolo. L’acqua del mare contiene circa 27 chilogrammi di sale per ogni metro cubo di acqua; per estrarlo si usano le Saline che sono specie di grandissime vasche dove il sale dell’acqua marina evapora in causa del calore solare e vi depone il sale. L’acqua del mare è dapprima portata dalla marea in un vasto serbatoio ove depone quasi tutte le materie che tiene in sospensione e vi diventa perfettamente limpida. Quando l’acqua vi è rimasta il tempo necessario si fa passare in una serie di compartimenti separati fra loro da arginelli e sentieruoli e fra loro riuniti. Nel percorrere questo spazio l’acqua riscaldata dal sole e sotto l’azione dissecante del vento, a poco a poco evapora. Dopo un paio di giorni la concentrazione è sufficiente affinché la maggior parte del sale si deponga sotto forma di cristalli di colore grigio. Il sale ricavatone va in commercio sotto varie specie: a)
di
sale
ordinario;
b)
di
sale
raffinato
in
pani;
c)
di
sale
pastorizio; d) di sale refrigerante. L’Italia è ricchissima di saline, la più antica è quella di Volterra (Pisa), la cui produzione annua supera i 110 mila quintali, le più importanti però sono quelle di Sardegna, di Cagliari e di Carloforte, che producono insieme 1.400.000 quintali annui di sale. Seguono per importanza le saline di Margherita di Savoia presso Barletta che producono oltre mezzo milione di quintali di sale annuo. In Italia nella quale come è noto, all’infuori della Sicilia e della Sardegna, il sale è monopolio dello Stato, esistono anche varie miniere di sal gemma e precisamente in provincia di Cosenza il cui deposito di Lungro è coltivato dallo Stato. Il Governo poi tiene in appalto anche le saline di S. Felice e di Salsomaggiore provenienti dalle acque salse dette di sorgenti.
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56
La storia del giornalismo
La produzione di sale in Italia in questi ultimi anni è di circa «due milioni e mezzo di quintali annui». La produzione mondiale ascende a circa 13 milioni di tonnellate annue. Lo Stato concede a prezzo ridotto il sale per le industrie, per la pastorizia e per refrigerante ma lo adultera con aggiunte di sostanze che lo rendono inservibile per la nutrizione. Questi adulteranti o sofisticazioni sono: ossidi di ferro, nero fumo, ecc. Tratto da “Letture della domenica” (vol. 7, fasc. 12, marzo 1914)
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57
La storia del giornalismo
LE SPEZIE NELLE PAGINE DEI GIORNALI DI UN TEMPO Coltivazione dello zafferano in Lombardia L’articolo che segue tratta della coltivazione di una spezia, lo zafferano, che trova largo impiego nella produzione di formaggio nella zona del lodigiano. Viene descritto nel dettaglio il modo in cui venne perfezionata in Italia la coltivazione della pianta dello zafferano dall’interramento dei suoi bulbi, fino alla raccolta dei pistilli dai quali vengono ricavate le polveri coloranti utili in campo alimentare.
Grandissimo formaggi
nel
è
fra
di
territorio
noi
il
di
consumo
Lodi
dello
chiamati
zafferano
massime
impropriamente
pei
parmigiani;
grandissima quindi la somma del danaro del quale andiamo tributarj ai paesi donde tale droga ci viene trasmessa. Benemerito noi dunque diremo della
patria
e
dello
Stato
chiunque
ne’
paesi
nostri
facciasi
a
coltivarla in modo di sottrarci a si fatto tributo. Né tale coltivazione essere può di pregiudizio a quella già per se stessa
fra
noi
sovrabbondante
de’
grani,
giacchè
essa
può
circoscriversi a piccolo spazio di terreno, e suole anzi prosperare in quelle terre che meno si prestano ad ogni altra coltura. Né ha pure bisogno
di
molte
braccia,
potendosi
nella
raccolta
de’
fiori
e
nell’estrazione de’ fili o delle stimate impiegare i fanciulli dell’un sesso e dell’altro. L’esperienza poi ha dimostrato che lo zafferano lombardo meglio che lo straniero riesce nell’uso che far se ne suole pei suddetti formaggi, dando loro un più bel colore e rendendoli e più aromatici e più saporiti. A ciò si aggiunge la quantità della ricolta che i fatti ci provano non essere minore di quella che in eguale spazio si trae negli altri paesi, perciocchè un’ajuola, lunga milanesi braccia 19, larga 2 diede un’oncia di purissimo zafferano ridotto alla più grande secchezza; sicchè da una pertica se ne potrebbero ricavare ben 20 once. L’egregio signor dottore fisico don Ajcardo Castiglioni d’Angera fu in Lombardia il primo che rivolto siasi alla coltivazione dello zafferano,
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58
La storia del giornalismo
a farne commercio, ed a diffonderne i bulbi. Egli ottenuti ne aveva nel 1810 sei bulbi dall’orto agrario di Pavia; ma non potè giovarsi che di cinque, perché l’un d’essi già putridito erasi nel viaggio: egli li piantò prima in vasi, in terra da orto smunta, e da più di un anno non concimata. I bulbi fiorirono, e moltiplicaronsi al nº di 15. Nell’anno susseguente ne fece cinque vasi, e i bulbi si moltiplicarono nelle medesima proporzione. Egli continuò a trapiantarli in vasi ogni anno finché non gli riuscì di averne ben 600, dei quali i più voluminosi erano della grossezza d’una nocciuola. Fattosi quindi coraggio li trapiantò in un’ajuola del suo orto,
dopo
d’averla
degl’insetti:
ne
prima
ottenne
ben
concimata
sei
grani
di
e
diligentemente zafferano,
e
purgata i
bulbi
moltiplicaronsi sani e vigorosi. Nel terzo anno ne ebbe un’oncia, e le giovani cipolle che ne trasse, bastarono per cinque ajuole alla prima uguali. Nel 1818 ne triplicò la coltura, e ne trasse tal numero di bulbi da poterne somministrare anche agli amici ed a chi ne lo chiedeva. Ad imitazione di lui e coi bulbi che da lui aveva ricevuti, diedesi nel 1820
alla
medesima
coltura
il
signor
dottor
Comolli
I.R.
Medico
provinciale di Como. Questi in pochi anni ne ebbe una messe si fatta da poterne distribuire i bulbi a varie persone in quella provincia, e trasmetterne anche all’orto agrario di Pavia, dove i sorci e le talpe fatto ne avevano grandissimo guasto. Nozioni
preliminari
–
Lo
zafferano,
di
cui
parlasi,
è
l’autunnale,
crocus sativus, di Linneo; ha un bulbo grosso come una nocciuola, un po’ compresso, e coperto di una pelle bruna e filamentosa. Dalla sua parte inferiore escono più fibre lunghe che penetrano assai profondamente nella terra. Il fiore od i fiori nascono dalla parte superiore del bulbo ed appajono in ottobre molto tempo innanzi delle foglie: queste sono di colore grigio lino o di porpora azzurrognola. Il tubo
è
assai
lungo,
senza
picciuolo,
diviso
dalla
sommità
in
sei
segmenti ottusi, ovati ed uguali. Al fondo del tubo trovasi l’ovaja che è rotonda. Il suo stelo è coronato da tre stimate allungate di colore
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59
La storia del giornalismo
d’arancio, divise e stese da ciascun lato. Dalle stimate vien formato il così detto zafferano, producendo esse sole la materia colorante ed il principio aromatico contenuto nel fiore. Le foglie ed il frutto non appajono che in primavera: l’embrione rimane dunque
per
tutto
l’inverno
nel
seno
della
terra.
Le
foglie
sono
cilindriche, lunghe, strettissime e nella loro lunghezza divise da una linea bianca. Il frutto è rotondo, a tre lobi, a tre celle, a tre valvole. Cresce per otto mesi, ed il suo crescere è segnato mese per mese dalle linee circolari che formansi sotto il suo esterno inviluppo. La vegetazione di questo croco compiesi generalmente nel corso di otto mesi, dalla metà circa di settembre alla metà di maggio, ai gradi d’un calore atmosferico decrescente da 10 a 0 del termometro di R. Al di sotto di tal grado i suoi bulbi rimangono come letargici. I bulbi pervenuti alla grossezza di una noce comune danno dai tre ai cinque fiori, le stamine di sei o sette di essi fiori produr possono un grano
di
zafferano.
Alla
coltura
dello
zafferano
perniciosi
sono
i
vegetabili d’altra specie, particolarmente poi una pianta parassita, che talvolta alligna sui bulbi, detta da Persoon selerozio, specie di fungo analogo al tartuffo, scoperto da Duhamel e descritto da Bulliard nella sua opera sui funghi. Esso però non è fra noi conosciuto, e quindi
non
è
da
temersene
verun
danno.
Guardisi
il
coltivatore
dall’ammaccare anche leggermente i bulbi; essi marciscono ben tosto. Gli insetti sono tutti più o meno dannosi allo zafferano. Abbiasi
quindi
la
cura
di
ben
purgare
la
terra
prima
di
farne
la
piantagione, e di concimarla con letame già ridotto a terriccio. Ma i più formidabili suoi nemici sono le talpe e i sorci. Anche il porco ne divora avidamente i bulbi. L’umido soverchio lo fa marcire,
ed
intaccandone
le
gemme
fa
si
che
queste
abortiscano
sottoterra[…]. Coltivazione e raccolta – Lo zafferano si moltiplica per mezzo de’ suoi stessi bulbi, specialmente se questi lasciansi sottoterra per due o tre anni senza che vengano scompigliati. Abbiansi cura di non levarneli se non quando la pianta ha perduto le foglie. Ciò avviene dalla metà di maggio
a
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tutto
agosto.
Possono
60
anche
conservarsi
sino
alla
La storia del giornalismo
trapiantagione sepolti o riposti in luogo fresco, non troppo umido e non ammucchiati. Le cipolle o i germi pongonsi nella terra tanto col loro
inviluppo,
quanto
senza
di
esso.
Si
vanghi
il
terreno
alla
profondità d’otto once milanesi; si purghi da ogni altro vegetabile; si concimi, poscia si eguagli col rastrello; solchinsi a rette linee le ajuole; si costruisca uno strumento di legno largo due once e lungo un braccio e mezzo che nell’estremità inferiore abbia un manubrio diviso come una V; e nella sua superficie varj piuoli distanti due once l’uno dall’altro,
lunghi
once
tre
e
terminanti
a
punta
linee
parallele,
distanti
di
diamante,
dal
diametro di mezza oncia. Segninsi
sull’ajuola
sei
l’una
dall’altra
quattr’once. Si ponga sopra le linee il suddetto strumento, e vi si comprima col piede in modo che tutti i piuoli vi si profondino per tre once: si lasci quindi cadere in ciascun buco un bulbo colla punta rivolti all’in su, e così si continui l’operazione per tutta l’aiuola; col rastrello si uguagli poscia il terreno, e si riempiano i buchi[…]. I fiori dello zafferano si raccolgono a tutto ottobre, nel mattino, dopo dissipata la rugiada; poco importa che siano tuttora socchiusi: è d’uopo coglierli con porzione del tubo, in guisa però che non se ne stacchino
anche
le
foglie,
il
che
sarebbe
di
danno,
alla
pianta.
Pongansi a mano a mano in ceste, e da queste, quando sono ripiene, si versino sui cannicci in luogo aperto ed ombreggiato. Terminata la raccolta, si levino da’ fiori le sole stimate fin dove il colore chermisi comincia ad impallidire. Queste distese poi su grandi fogli
di
carta
emporetica
si
ripongano
sopra
tavole
o
cannicci
in
luoghi vasti, asciutti e dal vento riparati, e meglio ancora in istufe non troppo calde, ove si lascino finché siano diseccate. Si ammassino quindi le stimate e fortemente compresse in vasi di latta, terra o majolica, ed in essi coperte da un corpo pesante, che però non le tocchi, si conservino a piacere. Le stimate o i fili si riducono in polvere
col
nuovamente
stenderle
ben
disciolte
su
fogli
di
carta
bibula, che poscia chiusi espongonsi al sole o ad un ben asciutto calore di stufa. Giunte all’aridità pestansi nel bronzo finchè ridotte siano in minutissima polvere. In questa operazione lo zafferano perde alquanto del suo colore, ma subito lo riacquista, se esposto venga
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61
La storia del giornalismo
all’aria umida, molto più se questa sia pregna di gas acido-carbonico, e
a
poco
a
poco
lo
riacquista
pure
da
sè
stesso,
e
senza
alcun
sussidio. Tale polvere si ripone poi in vasi di latta, di majolica od anche di vetro, coll’avvertenza che i vasi di vetro debbono conservarsi in luogo oscuro, onde alla troppa luce non ne venga danneggiato il colore, e questo ancora meglio si conserva quando la polvere sia ne’ vasi compromessa[…]. Tratto da “Biblioteca italiana ossia Giornale di letteratura scienza ed arti” (vol. 52, novembre 1828)
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62
La storia del giornalismo
LO ZUCCHERO NELLE PAGINE DEI GIORNALI DI UN TEMPO Arte del Confetturiere. Delle chicche, zuccherini o dolci colorati L’articolo che segue tratta del mondo della produzione di caramelle e dolciumi nell’Ottocento: interessante è notare come i coloranti di confetti fossero spesso sostanze nocive per l’organismo, quali il piombo o il mercurio, che spesso causavano malori ai consumatori di questo tipo di dolci. Dunque ci troviamo dinnanzi a un testo di denuncia, dedicato sì ai lettori della testata, ma anche ai produttori e ai consumatori del prodotto.
Fra
i
perfezionamenti
apportati
nell’arte
del
confetturiere
e
del
pasticciere, arte che prese origine a Venezia nel 1741, ve ne sono che consistono particolarmente nella perfetta imitazione delle foglie, dei fiori,
frutti,
seguiti
da
figure
d’animali,
inconvenienti
più
ecc.
o
Questi
meno
gravi
perfezionamenti che
furono
risultano
dalla
introduzione nello zuccaro di sostanze straniere destinate a dargli diversi colori. Le chicche semplici, vale a dire quelle che non sono fatte che di zucchero, non presentano alcun inconveniente; ma non è lo stesso
di
eccitanti
quelle che
che
possono
sono
fortemente
contenere
aromatizzate:
determinano
qualche
i
principii
volta
delle
irritazioni dello stomaco e degli intestini. Spesse volte parimenti vere indigestioni o di cose condite con molto zuccaro, preparati con mandorle, con pistacchi o con frutti confettati nello zuccaro. Ma
i
più
gravi
accidenti
che
possono
cagionare
le
chicche,
sono
certamente dovuti alle sostanze coloranti, che, come abbiamo detto, sono qualche volta adoperate per tingere quelli nei quali lo zucchero è cristallizzato
e
che
chiamano,
a
motivo
del
loro
aspetto,
bonbons
canditi. Lo strato di calore è sempre posto in questi dolci sotto uno strato superficiale di zucchero, di modo che se non dopo aver tolto questo strato si può giudicare della qualità della materia colorante.
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63
La storia del giornalismo
Le pastiglie formate di zuccaro cotto sono qualche volta colorate; ma siccome in questo genere di dolci si richiede una semitrasparenza, non si sono mai adoperate per dar loro la tinta necessaria che materie coloranti organiche; quelle però che rappresentano frutti, legumi, ecc. , e che risultano da un miscuglio di zucchero e di amido sono spesse volte colorite con sostanze minerali. I canditi che non sono decorati di disegni, sono ordinariamente nello stesso caso; ma per quelli sui quali si sono tracciati oggetti in colori, e soprattutto pei confetti e le mandorle tostate, si adoperano bene spesso le sostanze minerali od alcune
materie
resinose,
la
cui
azione
sulla
economia
animale
può
produrre ben anco effetti velenosi intensissimi. […] Accade qualche volta che le chicche non siano colorate, ma si trovino inviluppate in carte dipinte e ricoperte di una delle sostanze che abbiamo indicate. Da alcuni anni incontransi in commercio una grande quantità di carte dipinte
con
preparati
saturnini
(cromato
di
piombo,
carbonato
di
piombo, giallo di Napoli) per dare loro un colore vivo ed aggradevole, o col verde di Schweinfurt che le rende di un colore verde vivacissimo […]. Tratto da “Giornale agrario del Lombardo-Veneto e continuazione degli Annali universali di Agricoltura, di Industria e d’Arti economiche”, (vol. 16, fasc. 10, ottobre 1841)
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64
La frutta
Lo zucchero, e la canna d’onde si estrae Quello che segue è un tipico esempio di articoli dal taglio informativo-descrittivo dedicato interamente a un prodotto molto diffuso, lo zucchero, e alla pianta da cui viene estratto. Interessante è notare come vengano selezionati e presentati dal compilatore informazioni e dati di diversa natura, sia di botanica, di agronomia, ma anche di storia, per raccontare il modo in cui questo prodotto giunge in Europa.
Lo zucchero di cui oggimai si fa così grande consumo nei bisogni domestici è una sostanza che si estrae da’ vegetali; quasi tutte le specie di quel Regno ne contengono per ciò che entra nei componenti organici. È nella classe di quegli che si chiamano non azotati, per ciò che esso pure si compone di una metà d’ossigeno, quasi d’un’altra metà di carbonio e un po’ d’idrogeno. Per
questa
ragione
non
è
sostanza
delle
più
nutritive
come
le
composte d’azoto, eppure non toglie che sia di un uso grandissimo e che entri in più della metà dei cibi e delle bevande dell’economia. Quasi tutte le piante abbiamo detto ne contengono, ma in quantità da dar profitto alla sua estrazione, e di quella qualità di zucchero che è
cristallizabile,
principalmente,
come
nella
dicono
canna
i
chimici,
detta
per
in
ciò
due
da
sole
zucchero
sin
qui
e
nella
vivace
della
barbabietola. La
canna,
Saccharum
officinarum
L.,
è
una
pianta
famiglia delle Gramigne che Linneo pose nella sua classe TriandiaDiginia, appunto una specie di canna, come il suo nome lo indica, propria dei paesi caldi e di luoghi umidi. Di codesto genere ce ne sono molte specie tanto in que’ climi, quanto in altri più temperati che hanno diversi nomi, ma tutte di una natura, tutte di un aspetto eguale; quella che è più usitata e più utile per estrarne lo zucchero è
la
prima
che
abbiamo
detto
originaria
delle
Indie,
e
di
là
trasportata ne’ secoli a noi più vicini nelle Isole e nel Continente Americano meridionale, dai quali paesi oggi si manda in Europa la maggior quantità dello zucchero che si consuma, milioni e milioni di libbre ogni anno.
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65
La storia del giornalismo
Questa sostanza ora tanto comune era ella conosciuta dagli antichi? Molti
dicono
di
no,
dicono
che
conoscessero
il
miele,
le
altre
sostanze sciroppose e zuccherine che si estraggono dai frutti e che non
sono
cristallizzabili,
ma
il
vero
zucchero
bianco
che
noi
adoperiamo, no. Pare leggendo attentamente alcuni passi deli antichi scrittori, che conoscessero anche questo: quello che molti chiamano Miele delle canne, Sal delle canne, Saccharon, o Saccharum non deve essere altra cosa che il vero zucchero. […] In un conto dell’anno 1333 della famiglia del Delfino della Vienna , Omberto, vi si fa cenno
dello
zucchero
nell’ordinanza
del
Re
bianco,
come
Giovanni
del
altrove 1353.
se Si
ne
parla
conservano
pure nella
Biblioteca reale di Parigi alcune poesie manoscritte di Eustacchio Deschamps, morto nel 1420, nelle quali il poeta parla dello zucchero, e
lo
mette
nel
numero
delle
spese
maggiori
che
possa
fare
una
famiglia agiata. Codesta sostanza era allora, come è naturale, di un prezzo elevato assai per ciò che veniva solo dalle Indie per la via d’Alessandria, ed i Veneziani ne avevano l’esclusivo monopolio, come quelli che si tenevano quasi tutto il commercio dell’Oriente. Passò in seguito ai Portoghesi allor quando s’aprì il passaggio a quel Continente dal Capo di Buona Speranza, e l’Europa ne fu più abbondantemente fornita per l’una e per l’altra via[…]. Tratto da “Annali universali di Agricoltura, di Industria e d’Arti economiche in continuazione del Giornale agrario Lombardo-Veneto”, (vol. 5, fasc. 1-6, giugno 1856)
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La storia del giornalismo
L’ALLEVAMENTO NELLE PAGINE DEI GIORNALI DI UN TEMPO Allevamento dei maiali Il “Giornale agrario del Lombardo-Veneto e continuazione degli Annali universali di Agricoltura, di Industria e d’Arti economiche” (1826-1859) pone particolare cura nel presentare ai lettori notizie e saggi che facciano riflettere su nuovi tipi di colture, o allevamento, che erano poco impiegati, o del tutto assenti, dalle campagne. Questo è il caso dei
suini,
che
secondo
l’autore
dell’articolo
non
rappresentavano
un
investimento
abbastanza sfruttato dall’agricoltore medio, il quale si limitava ad allevare, seppur con successo, quasi solamente mandrie di vacche. Per convincere dunque il pubblico dei vantaggi che si potrebbero trarre dedicandosi all’allevamento dei maiali, non solo vengono forniti dati molto precisi relativi a diverse province sulla quantità di terra incolta che potrebbe essere invece impiegata per l’allevamento, ma viene anche fornita una precisa descrizione del suino: le sue abitudini, l’alimentazione, la riproduzione, le giuste cure che gli andrebbero fornite e gli stereotipi che sono legati a questo animale.
Noi lombardi, che possediamo forse le più belle campagne del mondo, non abbiamo ancora ben ponderata l’importanza di aumentare il numero dei suini, animali di poca spesa, di molto lucro. Abbiamo belle e numerose
mandrie
bovine,
importate
specialmente
dalla
vicina
Svizzera, per cui è alimentata una delle più ricche industrie, l’arte di fabbricare i formaggi: manchiamo però di accordare un giusto peso ad
un’altra
industria,
la
educazione
dei
suini:
e
noi
abbiamo
località, terre, opportuni mezzi quant’altri mai di provvedere ai bisogni, al più brillante sviluppo di queste razze, che moltiplicano a
dismisura
pertiche
di
sotto
il
terreno
nostro che
bel
cielo.
costituiscono
il
Dei
32
milioni
territorio
circa
lombardo
di noi
sappiamo che appena 17 milioni circa sono ridotte a coltivazioni, lasciando una enorme quantità di aree ancora incolte, cioè numerosi e buoni pascoli, e boscaglie, e macchie, e paludi che fruttano pure qualcosa. Nella sola provincia di Sondrio, forte di oltre 6 milioni di pertiche di terreno fra colle e montagna, non se ne coltivano che pertiche 425,875.
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67
La storia del giornalismo
Nella
provincia
di
Bergamo
che
ugualia
il
terzo
di
tutto
il
territorio lombardo, di cui più di 6 milioni in valle, e più di 4 milioni
in
montagna,
coltivato,
cioè
importanza
potrebbero
non
havvi
2,295,578
che
il
pertiche.
presentare
quinto
Quanta
queste
circa
di
terreno
opportunità,
enormi
aree,
quanta
quando
si
pensasse seriamente ad introdurre le educazioni dei suini. Quello dicevamo di queste due provincie, lo potremmo assicurare di alcune altre, anzi di tutte a seconda della maggiore o minor convenienza dell’industria in relazione alle condizioni speciali dei luoghi, dei proprietarj, dei coltivatori. Fra le nazioni nordiche più che da noi si attende alla educazione dei suini: eppure quei campagnuoli che coltivano
questa
industria,
ne
sentono
i
più
manifesti
vantaggi:
domandate a quei contadini che sanno apprezzare l’allevamento dei suini, e sentirete di quanto vi sia a rallegrarsi delle cure che quotidianamente vi prodigano. Il male sta alla campagna generalmente poco o nulla si conosce sul modo più economico, più conveniente di educare vieppiù
questi
bestiami:
saranno
quali
reclamate
da
sarebbero questa
adunque
quelle
industria,
cure
che
che
vorremmo
maggiormente propagata? E’ notissimo come alla campagna nonostante i grandi
servigi
prestati
all’agricoltura
da
questo
animale,
tuttalvolta se ne ignorano dalla più parte i vari istinti, i gusti, l’igiene. Fra tutti gli animali domestici la educazione dei suini è la più trascurata, la meno studiata, e quel che è peggio si crede di far bene quando si fa più male. I campagnuoli credono che il porco ami acque sporche, siti tenebrosi, alloggi
cattivi,
trattamento
il
più
trascurato:
ecco
lo
sbaglio
principale: invece, ove si voglia rendere più commerciale la sua qualità, ed aumentarne il prodotto, vuolsi buon aria, soleggiamento, i campi, i boschi, ed una igiene corrispondente al suo accrescimento ed
alla
sua
maturanza.
Sono
queste
condizioni
necessarie,
perché
questa specie di animali utilissimi corra una vita opportuna allo scopo
del
paesano,
il
quale
pare
che
operi
tutto
il
contrario.
Difatti appena nato comincia una vita la più deplorabile fino alla morte, mal nodrito, peggio alloggiato. Il suino ama alternare i suoi godimenti, e ne è insaziabile.
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68
La storia del giornalismo
La solitudine non gli garba affatto: non vive bene che in famiglia: gli è necessario un ricovero sano, dove possa ricevere luce ed aria: mangia di più quando si trova in compagnia d’altri che da solo: non vi ha che un’eccezione: è la femmina dopo il parto: questa allora rimane segregata fra i suoi nati, ed esce separatamente con essi. Nei primi tre o quattro mesi generalmente si fanno bevere in un’acqua grassa o nel siero mescolato a crusca: vi si aggiungono alcuni frutti caduti dagli alberi, alcune tuberose o legumi cotti: così beve e mangia: in questo tempo si verifica il suo aumento, e si allunga. Dopo quest’epoca occorre un nutrimento più sostanzioso; e si continua fino a circa dieci mesi: dopo comincia l’ingrassamento: si adoperano diversi alimenti, formentone pestato, legumi cotti, luini, crusca, orzo, patate, zucche, ecc. Il
porco
debbe
essere
strigliato
e
nettato
almeno
una
volta
al
giorno. Questa nettezza fa la sua delizia, ciò che aggiunto ai bagni quotidiani,
lo
continuamente,
preserva nel
dagli
caso
inopportuni
che
simili
pruriti cure
che
l’assediano
igieniche
vengano
dimenticate. Di qui l’incessante sfregarsi che fa contro la terra, le piante, le pareti del proprio alloggio, per cui le tante volte si vedono perfino a ferirsi, tanta è la noja dell’impolizia con cui è tenuto. Questo stato anormale gli procura un malessere, una febbre continua, ciò che influisce assai sulle cattive qualità delle carni. E’ per questo motivo,
che
privato
d’acqua,
non
potendo
rinfrescarsi
il
corpo,
soffogato dalla pinguedine, gavazza entro paludi fangosi, e cerca le terre sabbiose per grattarsi. Non è per istinto, ma per necessità che ricorre a tale immondezza. Si dovrà incolpare adunque questo utile animale, o l’uomo che non sa comprenderlo? I campagnuoli che si istruiranno sulle norme più atte alla educazione dei suini, potranno ottenere dei capi di un eccellente qualità, e pesanti molto più dei comuni. Alcuni pochi fittabili da noi hanno compreso il vantaggio che si può ritrarre
di
questa
industria:
e
quei
pochi,
sebbene
convinti
dell’utile che se ne trae, seguono ancora l’antica abitudine di far male.
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Noi
raccomandiamo
altamente
le
cure
suesposte
e
la
più
numerosa
educazione di queste mandrie: l’aria, la luce non si pagano, e quindi lasciate che ne godono a tutto agio: le cure igieniche, gli alimenti costano denaro: ma adesso non si spende? Noi riteniamo fermamente che la spesa non oltrepassi la comune, seguendo il buon sistema, dacché tutto si riduce ad avere buon senso e cura del proprio interesse […]. Tratto da “Giornale agrario del Lombardo-Veneto Annali universali di Tecnologia, di Agricoltura, di Economia rurale e domestica, di Arti e Mestieri ” (vol. 6, fasc.9, settembre 1851).
Il macello di Milano L’articolo riportato qui di seguito apre una finestra inconsueta sull’organizzazione della macellazione a Milano nei primi del Novecento illustrando i vari tipi di carne presenti sul mercato, così come i diversi processi che sono legati alla loro produzione. Vengono altresì fornite cifre sulla consumazione dei vari tipi di prodotti, cifre che sono utili a comprendere quanto la carne fosse un elemento centrale nell’alimentazione italiana. Nell’articolo vengono poi analizzate chiaramente le modalità con cui, in base all’animale, era condotto il procedimento di trattamento delle sue carni, e come a questo procedimento fosse collegata una tipologia particolare di struttura del macello stesso. Si noti come fosse prevista anche una diversa categoria di macellazione, dedicata ai consumatori di religione ebraica, e un trattamento per le carni malate, e ancora per gli scarti, che nella maggior parte dei casi venivano utilizzati come concimi nelle campagne.
Una visita al macello di Milano è non solo impressionante, ma assai significativa. Il macello di Milano è certamente tra i più importanti e grandiosi d’Italia. La grande città lombarda ebbe tardi un edificio destinato alla macellazione. Fino al 1871 si macellava nelle botteghe e magari sulla pubblica via, mentre già nel 1807 il gran Napoleone dotava Parigi d’un mattatoio e Leone XII inaugurava in Roma nel 1824 il primo macello italiano. Il
primo
macello
di
Milano
non
era
però,
e
non
poteva
essere
altrimenti, che il nucleo di quel che sarebbe divenuto poi l’edifico
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col successivo ampliarsi della città. Oggi l’estensione di questo complesso di fabbricati si avvicina a quella d’una minuscola città. Ed infatti qualche cifra di raffronto può persuaderci della necessità d’un ampliamento. Nei primi anni si macellavano ogni anno 7.500 buoi: oggi quasi il doppio: i vitelli cadevano sotto l’ascia in numero di 33.000, oggi se ne immolano 70.000. I nostri padri non mangiavano in un anno che 4.300 vacche, mentre i macellai d’oggi ne appioppano ai consumatori ben 30.000. Invece è stazionario il consumo dei capretti e triplicato quello degli agnelli e montoni, quadruplicato quello dei suini. E quasi ciò non
bastasse
oggi
consumiamo
in
più
due
tipi
di
carne
ignoti
quarant’anni or sono al palato dei cittadini milanesi è la carne di toro (2.500 capi) e la carne di cavallo (7.000) capi. Quest’enorme esercizio di quadrupedi viene ucciso ogni anno al macello e dà luogo ad una infinità di pratiche igieniche e industriali, le quali appunto tendono a render sempre più estesi ed ingombranti gli annessi del mattatoio. Tralasciamo, per amor di brevità, di dire degli uffizi di amministrazione,
di
quelli
daziari,
della
stalla
di
sosta
degli
animali, del mercato del bestiame che pur è annesso al macello, per accennare invece agli ammazzatoi, la parte – passi il bisticcio – vitale
del
macello,
dove
gli
animali,
previa
visita
di
un
veterinario, vengono uccisi. Per i bovini s’hanno tante celle quanti sono i macellai, i quali vi compiono
le
carni
possono
dirsi,
e
le
operazioni
carni
d’uccisione,
lasciarvi
gli
scuoiamento,
animali
infrolliscano.
Una
morti cella
confezione
affinché, è
come
riservata
delle suol alla
macellazione ebraica, la quale, come si sa, deve effettuarsi senza spargimento di sangue. Invece gli ovini, i suini, gli equini affrontano la morte a schiere: in grandi cameroni vengono introdotti gli animali e in un’ora un centinaio – una vera ecatombe – viene fatto a pezzi. In una mattinata si macellano fino a 500 suini e non a dire quanto impressionante riesca tanto spargimento di sangue tra le strida delle povere bestie e l’odor acre che si diffonde per l’aria.
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Ma non tutte le carni vengono riscontrate adatte per l’alimentazione. Vi
sono
le
carni
di
animali
tubercolotici,
e
le
carni
suine
grandinate che vengono cotte in appositi apparecchi e sterilizzate. Le
prime
vengono
confezionate
in
scatole
di
conserva,
le
altre
vengono trasformate in salami. Altre carni invece non possono servire all’alimentazione neppure se cotte e sterilizzate e vengono inviate alla Sardigna, dove insieme a tutti
gli
poltiglia
altri che
animali
si
usa
morti
per
la
nel
Comune
concimazione.
vengono Anche
ridotti il
in
sangue
una
viene
trattato con speciali apparecchi, separandolo dal siero che si usa in tintoria, ed essicandolo per usarlo come concime. Vi sono poi locali per la lavorazione delle trippe, per la lavatura delle budella e per altri servizi accessori: e in mezzo a questi una popolazione di impiegati, inservienti, medici, veterinari ecc. Al di là dei cancelli è Milano che lavora e Milano che mangia. Guai se l’attività del macello s’arrestasse! I grandi magazzini dove si conserva
la
carne
nei
refrigeranti
e
che
possono
rifornire
per
qualche giorno la città sarebbero presto esauriti: e poi? Tratto da “Letture della domenica” (vol. 3, fasc. 46, novembre 1910)
Bibliografia F. Della Peruta, E. Cantarella, Bibliografia dei periodici economici lombardi, Franco Angeli, Milano 2005 C. Capra, V. Catronovo, G. Ricuperati, La stampa italiana dal ‘500 all’800, Laterza, RomaBari 1986, pp. 208-215 R. Luperini, P. Cataldi, L. Marchiani, La scrittura e l’interpretazione, Palumbo, FirenzePalermo 1997
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A. Magistà, L’Italia in prima pagina. Storia di un paese nella storia dei suoi giornali, Bruno Mondadori, Milano 2006
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