“LA SCUOLA STORICA COME OSTACOLO AL DIRITTO COMPARATO. L’INFLUENZA DELL’OPERA DI KANT E FEUERBACH”
PROF. VALERIO IORIO
Università Telematica Pegaso
La scuola storica come ostacolo al diritto comparato
Indice 1
LA SCUOLA STORICA COME OSTACOLO ALLA NASCITA DEL DIRITTO COMPARATO ---------- 3
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IL PENSIERO DI FEUERBACH COME EVOLUZIONE DELLA MORALE KANTIANA ------------------ 8
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L’INFLUENZA DI HEGEL ED IL CONTRIBUTO DI GANS ------------------------------------------------------ 11
BIBLIOGRAFIA --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 17
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)
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La scuola storica come ostacolo al diritto comparato
La Scuola storica come ostacolo alla nascita del diritto comparato Il diritto comparato nasce come metodo più o meno sistematico e come disciplina
autonoma solamente nel corso del XIX secolo. È, difatti, in tale periodo che le scienze socioumane scoprono l’importanza della storia intesa come campo dell’esperienza umana.
Gottfried Wilhelm von Leibniz, nel corso della seconda metà del Seicento, è uno dei primi ad affermare che la scienza giuridica sia una disciplina più storica che speculativa. Tuttavia, tale principio tarda ad affermarsi.
È merito della Scuola Storica aver tratto le conseguenze valide da questa idea e aver favorito la nascita del diritto comparato. All’origine del diritto comparato vi furono diverse forze motrici: alcune tendevano alla conoscenza dei diritti stranieri; altre si fondavano sull’idea dell’evoluzione; altre ancora partivano da una semplice curiosità scientifica; altre, infine, traevano fonte dalla volontà di attuare riforme giuridiche che già avessero introdotto delle innovazioni negli altri Stati.
La Scuola Storica, profondamente influenzata dal romanticismo, fu fondata nel corso dell’Ottocento da Friedrich Carl von Savigny, fortemente critico sia nei confronti del giusnaturalismo che del positivismo. La polemica contro il positivismo vede come proprio apice la pubblicazione, nel 1814, della “Vocazione della nostra epoca per la legislazione e la giurisprudenza”, considerato il vero e proprio manifesto della Scuola Storica.
Tale manifesto fu redatto dal Savigny in contrapposizione alle tesi secondo cui era possibile elaborare una codificazione sul modello napoleonico, volta ad unificare il diritto nel modo germanico.
La critica al giusnaturalismo riguardava, invece, la sua astrattezza, in quanto il diritto naturale sembrava volersi discostare da una visione storicistica, affermando la validità universale di principi eterni ed immutabili. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)
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Se si dovesse ammettere (come fecero la scuola del diritto naturale e il razionalismo) che un diritto creato da Dio, dalla natura o dalla religione costituisca il fondamento del diritto positivo, allora si nega alla comparazione ogni possibilità di esistenza. Poiché tra gli ordinamenti non potrebbe manifestarsi alcuna differenza, i diritti naturali e razionali, fedeli a principi immutabili ed eterni, rendono impossibile qualsiasi considerazione della realtà storica, della società umana e dei suoi ordinamenti giuridici.
Nel manifesto il Savigny dava, quindi, nuovo vigore alla scienza del diritto, la c.d. scientia juris, fornendo nuove e moderne soluzioni alle maggiori questioni che in quel periodo laceravano la dottrina, anche germanica.
Egli affermava, infatti, che l’idea di codice dovesse essere superata in quanto risultava un inutile irrigidimento di un fenomeno di per sé non racchiudibile in schemi precisi, poiché il vero fondamento del diritto civile doveva riconoscersi nella naturale dipendenza del diritto dai costumi e dallo spirito di ciascun popolo.
Pertanto, secondo tale concezione, il diritto è da ritenersi in continua evoluzione e trasformazione, analogamente a quanto avviene per il linguaggio adoperato da ogni popolo. A questo rapporto va aggiunto il vitale sviluppo offerto dalla scienza specifica dei giuristi. Da ciò lo studioso faceva discendere l’assunto secondo cui leggi e codici non fossero da ritenersi come necessariamente in armonia con il carattere del popolo, finendo per rappresentare una rottura nell’ordinato fruire della tradizione giuridica nazionale.
In definitiva, il modo corretto di procedere per l’unificazione del sistema giuridico germanico consisteva nello spronare la crescita progressiva di una scienza del diritto comune all’intera nazione.
L’incessante attività letteraria del Savigny risvegliò la curiosità per i diritti stranieri; diverse furono le circostanze che determinarono la nascita e l’orientamento del metodo comparativo.
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In primo luogo l’applicazione di tale metodo finì di essere appannaggio di sforzi isolati di alcuni uomini di genio, la volontà di conoscere i diritti stranieri diventò sempre più patrimonio comune dei giuristi che si impegnarono alla loro diffusione.
Uno dei grandi meriti della Scuola Storica fu quello di aver portato il diritto sul terreno dei fatti, premettendo di ricondurlo in questo modo alla sua esistenza storica.
In questa nuova prospettiva il diritto cessò di essere solo oggetto di conoscenza per divenire sintesi dell’esperienza e materia vivente della scienza giuridica, la quale ricevette di conseguenza un nuovo orientamento. Tutto ciò portò ad una nuova concezione della scientia juris, non più come semplice storia del diritto, ma quale scienza giuridica concepita in maniera nuova in quanto collocata nello sviluppo storico, intesa in modo diacronico.
Per la Scuola Storica la sostanza del diritto naturale derivava dal passato della nazione; il presente dei popoli consegue inevitabilmente dal loro passato. Il diritto era elaborato in maniera organica dalla coscienza del popolo che si esprimeva nelle consuetudini, nella scienza, nella prassi giuridica.
L’intervento del legislatore non poteva, secondo questa prospettiva, impedire che il diritto fosse non il prodotto ma la creazione dello spirito del popolo (Volksgeist).
Fu proprio su queste basi che nacque il moderno diritto comparato.
La lezione del Savigny ebbe, nel modo universitario germanico, un’accoglienza strepitosa. Aderendo a questa metodologia ed ai suoi presupposti molti giuristi tedeschi si dedicarono al compito di costruire una scienza ed un sistema. Tra questi giuristi spicca il contributo di Georg Friedrich Puchta (1798-1846), allievo del fondatore di questa scuola.
Puchta reinterpretò il concetto di spirito del popolo modificando la visione di diritto frutto della tradizione storica come elemento formante un organismo vivo e diviso in altrettanti parti organiche che si suppongono e completano reciprocamente.
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La conoscenza sistematica del diritto era perciò quella in grado di percepire l’intimo legame che unisce le singole parti, ossia ne comprende i particolari come membra dell’intero – corpo.
In questa generale visione del diritto come organo, la scienza del diritto viene a far parte del sistema, in quanto il sistema non era altro che la comprensione piena dell’organicità naturale del diritto come fenomeno.
Il pensiero di Puchta è esemplificabile con la teoria della piramide concettuale in base alla quale tutti i concetti giuridici possono essere sistematicamente organizzati secondo una scala a partire dai più generali, sino ai più dettagliati, ma tale criterio deve essere rispettato al punto tale che, adoperando il criterio della deduzione logica, si possa seguire la scala sia in senso ascendente che in senso discendente.
Seguendo questa impostazione una proposizione giuridica diveniva legittima solo mediante il suo inserimento logico nel sistema. Il criterio di validazione diveniva la consequenzialità logica di ogni proposizione giuridica rispetto al tutto, in base al principio della non contraddittorietà. Con ciò si poneva un argine al dialogo quantitativa tra regola ed eccezione tipico del discorso dei giuristi del jus commune, ossia la regola è la norma che si applica al maggior numero di casi, mentre l’eccezione è ciò che si applica in circostanze ben delineate. Da tali considerazioni si può ben comprendere come il sistema detti legge, ovvero la sua intelaiatura complessiva renda logicamente impossibile tutta una serie di regole o di conclusioni giuridiche ad esso logicamente antagoniste.
Il programma della scuola del Savigny, ovvero l’unificazione del diritto tedesco attraverso la scienza, fu accompagnato da una generale approvazione per il suo carattere radicale.
Essa, infatti, imponeva di spogliarsi di ogni forma di norma eccezionale, adoperata ampiamente nei sistemi di carattere codici stico. Questa estremizzazione, d'altronde, era espressione del ruolo che i giuristi tedeschi si erano assunti, ossia di guida del diritto e, pertanto, l’applicazione del diritto poteva avere senso solamente in una logica ferrea ed in una sistematica rigida. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)
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I giuristi della Scuola Storica dovevano definire ogni concetto con scientifica precisione, in modo da descrivere esattamente la fattispecie considerata: in questo modo si determinò un notevole affinamento di idee, figure ed istituti giuridici.
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Il pensiero di Feuerbach come evoluzione della morale kantiana I principi introdotti dalla Scuola Storica furono, poco alla volta, superati dall’opera di
diversi giuristi. I loro insegnamenti si posero come vera e propria alternativa alla Scuola.
Insigni studiosi come Thibaut, Hegel, Gans, Mittermaier avversarono la concezione eccessivamente limitata della Scuola per quanto concerneva il diritto; lo spirito liberale cosmopolita ed innovatore fa scoprire a questi autori l’importanza dei modelli stranieri come elementi di conoscenza e di perfezionamento legislativo del diritto nazionale. Lo studio dei diritti stranieri diventa oggetto di indagine sistematica.
La maggior parte dei comparatisti dell’epoca ebbe un duplice obiettivo: uno teorico, nell’ampliare il campo delle loro conoscenze giuridiche, l’altro di natura pratica, al fine di servirsi dei modelli stranieri per migliorare il diritto nazionale.
Si tende alla comparazione al fine di comprendere meglio la scienza giuridica, ma soprattutto per mettere a profitto le esperienze fornite dagli altri popoli.
Tale attività rappresentò il primo punto di partenza di una complessa attività di informazione composta da collezioni, riviste, traduzioni di codici e leggi straniere, nelle quali si compiono i primi tentativi per chiarire il fondamento del diritto comparato.
Durante questo periodo i progressi più importanti si ebbero in Germania, ma l’interesse per i diritti stranieri e la comparazione si manifestò egualmente in tutti gli altri paesi, anche se sovente il diritto comparato veniva confuso con la semplice conoscenza dei diritti stranieri.
Di fronte all’atteggiamento della Scuola Storica, non può sorprendere che le correnti favorevoli al diritto comparato, furono il risultato di concezioni filosofiche che ad essa si opposero: una di queste era sostenuta da Feuerbach, che trovò in parte la sua aspirazione in Kant; un’altra ancora era rappresentata da Gans, che si riportò agli insegnamenti di Hegel. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)
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Feuerbach da un lato fu mediatore tra due secoli e due mondi di pensiero; dall’altro fu un innovatore, in quanto applicò la comparazione dei diritti contemporanei per scopi di politica legislativa.
Oltre alla applicazioni pratiche, egli si occupò della comparazione anche dal punto di vista teorico, tendendo persino a fondare una scienza del diritto comparato considerata come storia o scienza universale del diritto.
Nell’intenzione di trasporre la psicologia e la morale di Kant nel diritto penale, prese come punto di riferimento il mondo delle idee del filosofo di Konigsberg.
Egli rifiutò contemporaneamente la concezione unilaterale della Scuola Storica (che insisteva sul particolarismo di ogni nazione) e la tendenza generale ma astratta del diritto naturale; i suoi studi favorivano la realtà concreta ed avversavano l’impostazione del diritto naturale, lo stato di natura.
“L’evoluzione contro l’unità del diritto non esclude che tra esperienze giuridiche dei diversi popoli esistano notevoli differenze”.
Tuttavia Feuerbach raggiunse il culmine della sua carriera con il Progetto Del Codice Penale Bavarese, terminato nel 1813, che servì come modello per i legislatori tedeschi e stranieri.
A ciò vanno aggiunti i Progetti Di Riforma degli ordinamenti giudiziari e del diritto processuale; di fronte a questi progetti, la sua attività comparatistica è considerata quasi insignificante.
Tuttavia la preparazione del progetto del codice penale fu preceduta da una serie di studi comparativi sul diritto penale francese ed italiano, studi che, tra l’altro, gli permisero di precisare i principi fondamentali del codice napoleonico e di mostrare la loro incompatibilità con la struttura sociale ed il diritto vigente in Baviera, giungendo alla conclusione che l’introduzione
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del diritto francese non era possibile senza una modificazione profonda dell’intera struttura giuridica.
Ma l’applicazione pratica della comparazione come strumento di politica legislativa si completò in Feuerbach con le sue Considerazioni Teoriche.
Già nel 1810 in una prefazione di valore programmatico, egli prese posizione contro la Scuola Storica affermando che la filosofia, la storia, la prassi e la comparazione devono essere riconosciuti come strumenti che possono egualmente contribuire allo sviluppo della scienza giuridica.
In questo modo accordò il concetto di diritto, ripreso dal diritto naturale, con la constatazione del suo futuro reale, tratta dalla Scuola Storica, anche se, contrariamente a quest’ultimi, egli considerava la storia del diritto nella sua complessità e quindi nella sua universalità.
In questa visione nessun popolo può essere considerato esclusivamente nella sua individualità ma deve essere visto come membro di una più ampia comunità; il diritto di un popolo deve essere inteso come parte di un grande sistema generale: la conseguenza è che non si può limitare lo studio al mero diritto interno ma bisogna comparare per comprendere e conoscere meglio i legami del proprio diritto.
L’opera più importante di Feuerbach, rimasta tuttavia incompiuta, avrebbe dovuto riguardare la storia o la scienza universale del diritto, sulle basi di una concezione evoluzionistica.
Per redigere tale immensa mole di lavoro raccolse un imponente materiale sulle esperienze giuridiche dei popoli primitivi e antichi; inserì il suo studio in un sistema tripartito di evoluzione: dalla fase dei cacciatori e dei pescatori, dei nomadi e dei pastori, sino ad arrivare allo stadio degli agricoltori. In questa prospettiva etnologica egli tratta anche la struttura e la evoluzione di diversi istituti giuridici importanti come la proprietà privata, il contratto, la schiavitù, la successione, la poligamia. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)
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L’influenza di Hegel ed il contributo di Gans La Scuola Storica non costituì né uno dei fattori determinanti per lo sviluppo del diritto
comparato, nonostante avesse contribuito a creare le condizioni più favorevoli, né il punto di partenza.
Furono i nemici della Scuola a diventare i promotori del diritto comparato. Le basi del suo successivo sviluppo furono individuate nell’interpretazione metafisica data da Hegel al diritto ed alla storia del diritto.
Il filosofo di Stoccarda rifiutò la tesi aprioristica del diritto naturale, riscontrando nella realtà del mondo giuridico il fondamento della prospettiva filosofica del diritto. Ciò chiarisce l’importanza attribuita alla storia quale strumento di conoscenza degli stadi evolutivi del diritto e dello Stato, come mezzo per realizzare l’idea di spirito universale.
Il popolo costituisce il centro di interesse della scuola storica di Savigny: la fonte del diritto, della cultura, della poesia, è lo spirito del popolo. Per Hegel, al contrario, il popolo era soltanto il punto di passaggio contro lo Stato che da solo rappresenta la realtà (in quanto espressione della ragione assoluta), l’idea del diritto, delle consuetudini.
Ciò spiega perché nella concezione di Hegel le consuetudini cedano il passo al diritto positivo, il positivismo giuridico è collegato al predominio dello Stato. Il diritto era per Hegel solo quello realmente esistente; tuttavia, tali asserzioni rappresentano solo il punto di partenza per una elaborazione filosofica, per la costruzione di concetti astratti. La storia e la dogmatica del diritto positivo costituiscono le condizioni preliminari per la formazione delle nozioni scientifiche.
Ciononostante, il pensiero hegeliano non si accontenta di una semplice conoscenza del diritto tedesco vigente come espressione in parte del diritto romano e, in altra parte, di quello germanico (così proponeva la Scuola Storica). Al fine di elaborare concetti giuridici astratti
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occorreva conoscere la storia di tutti i popoli poiché ciascuno di essi ha giocato un proprio fondamentale ruolo nell’evoluzione dello spirito universale nel mondo.
La concezione di Hegel ha aperto nuovi orizzonti al positivismo giuridico: l’evoluzione del diritto comparato, la comparazione e la comprensione dei modelli stranieri rappresentano nella filosofia hegeliana
condizioni necessari per la conoscenza del diritto, di carattere
universalistico.
Il pensiero hegeliano ha avuto come sua naturale prosecuzione l’opera di Eduard Gans.
L’avversione nei confronti della Scuola Storica viene rafforzata da Gans basandosi sulla interpretazione metafisica che Hegel propose della storia.
Egli denunciò apertamente la visione ristretta del positivismo storico della Scuola nonchè il suo determinismo irrazionale.
L’apporto di Gans si è caratterizzato come decisivo sotto un duplice punto di vista: • in primis, per l’idea di voler includere il diritto comparato in una visione filosofico storica ed in un ambito universale; • in secondo luogo, per le sue opere che non furono altro che un’applicazione della propria concezione giuridico - filosofica.
La storia di Gans non si limita alla semplice conoscenza del passato ma comprende sostanzialmente anche l’osservazione del presente. La comprensione di risulta imprescindibile al fine di intendere gli stadi della evoluzione dello spirito immanente nella storia universale.
Ispirandosi alla filosofia hegeliana, Gans oppose al positivismo della Scuola storica l’idea secondo la quale ogni studio diacronico che non si spinge sino al concetto (inteso come elemento ultimo) non è altro che un principio privo di significato.
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Gans rende il “concetto” quale fondamento della scienza distinguendo, pertanto, tra informazione, scienza ed erudizione giuridica. Il diritto positivo di uno Stato viene, quindi, rappresentato come conoscenza caratterizzata da finalità pratiche.
La nozione di diritto per Gans può essere intesa sia come realtà presente, compresa nel mondo, del diritto attuale (in questo senso si parla di filosofia del diritto), sia come evoluzione temporale, ossia come divenire del mondo attuale (in questo senso si rappresenta la storia del diritto).
Siffatta concezione era apertamente in contrasto con il pensiero della Scuola Storica, la quale non fece propria né la filosofia né la storia del diritto.
La Scuola Storica aveva dissipato eccessive energie negli studi dell’antichità, mentre la scienza giuridica considera la totalità dell’evoluzione del concetto del diritto nello spazio e nel tempo, proponendo una storia universale del diritto che racchiuda la storia di ogni popolo, intesa come stadio di evoluzione del diritto.
In tal modo, Gans rompe le barriere entro le quali la Scuola Storica aveva cristallizzato il passato, riducendolo alla semplice comprensione del diritto romano e germanico. Egli è uno dei primi a schiudere le porte della conoscenza alla storia di tutti i popoli e ad inserire lo studio comparato della storia del diritto in un orizzonte universale.
Ad ogni modo, per Gans la conoscenza del passato non deve comportare la soggezione del presente allo spirito del passato, né alla sua acritica e cieca accettazione. Al contrario la sua conoscenza deve servire a comprendere la continua evoluzione del “concetto” da uno stadio all’altro, lasciando intatta la possibilità di uno sviluppo autonomo del presente.
Sostenendo il pensiero hegeliano, Gans sostenne che la storia del diritto di ogni nazione rappresenta uno stadio dell’evoluzione universale del diritto. In tal modo, la storia del diritto non può non essere comparativa nel metodo ed universale nella prospettiva.
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Ma Gans non si propose solo di formulare prospettive teoriche: egli effettuò svariate ricerche sul diritto straniero, intraprendendo viaggi di studio in Inghilterra, Francia, Italia.
Studiò approfonditamente il diritto estero ed in particolare lo sviluppo dell’Equity in Inghilterra; fu probabilmente il primo a comparare il ruolo delle Corti nell’elaborazione dell’equity con il diritto pretorile romano.
Ma è la sua opera principale (Das Erbrecht in weltgeschichtlicher Entwicklung) redatta in 4 volumi a rispecchiare il meglio del suo pensiero. In questo lavoro Gans illustra il diritto di famiglia, soprattutto quello successorio, come concepito dai popoli anteriori all’età romana. In particolare approfondisce il diritto del popolo romano, indù, cinese, ebraico e musulmano. Si passa, poi, ad una attenta analisi delle esperienze del diritto di famiglia in Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Inghilterra e Regno Unito, Nord America.
Quest’immensa opera ha molteplici meriti, in particolare per quanto concerne l’informazione storica, comparativa e giuridica: essa ha indubbiamente rappresentato un lavoro pionieristico, quale primo importante contributo per una storia effettivamente comparata ed universale. In questo senso Gans ha oggettivamente proseguito in senso pratico la strada tracciata in modo teorico da Hegel, dando la stura alla vera e propria nascita del moderno diritto comparato.
Tra gli storici precursori del diritto comparato, benché appartenenti ad epoche e culture giuridiche differenti, vanno, infine, ricordati Grozio, Leibniz e Vico. Ciascuno contribuì a suo modo a porre l’attenzione sull’importanza dei diritti stranieri e a spianare la strada al diritto comparato.
Ugo Grozio, con la sua opera “De iure belli ac pacis”, divenne il fondatore del diritto naturale internazionale: per lo studioso, in mancanza di qualsiasi autorità positiva dotata di potere coercitivo, può essere elaborato un diritto sopranazionale soltanto partendo dall’esistenza di un diritto naturale valido per tutti.
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Guidato dalla volontà di erigere un nuovo ordine morale universale apporta un contributo significativo in quanto non fonda più il diritto naturale su principi astratti e dedotti con l’ausilio della ragione; infatti la suo opera si fonda sulle tradizioni teologiche, umanistiche, romanistiche, storiche.
Grozio non ritiene che l’informazione comparativa dei diritti stranieri costituisca fonte del diritto: per lui gli esempi tratti al diritto positivo non possono modificare i risultati raggiunti con il metodo deduttivo.
In seguito alle scoperte del XV secolo l’immagine del mondo inizia a mutare assumendo un nuovo aspetto spirituale anche nelle scienze morali. Il simbolo dell’unità reale incominciò ad emergere ed imporsi non solo ai geografi e cartografi.
L’idea secondo la quale il pianeta costituisce una unità incomincia a fare progressi anche nel mondo della cultura. Da un lato il diritto si separa sempre più dalla morale teologica dall’altro il rifiuto della concezione di un diritto universale astratto e dedotto in via speculativa, diviene più marcato.
È in questa evoluzione che si inserisce l’apporto del già menzionato Gottfried Wilhelm von Leibniz, il quale è uno dei primi a concepire il mondo come unità culturale.
Sebbene egli abbia ricercato, come altri, il fondamento e la forma del diritto naturale, il suo pensiero si caratterizza da una parte per la considerazione della storia universale come il vero quadro della storia del diritto, dall’altra per l’avversione alla deduzione ed all’astrazione, fondando i propri studi sulla osservazione dei fatti giuridici reali e nell’analisi approfondita del diritto concreto.
Questa sua immagine del mondo e del diritto nel mondo giustifica il suo rifiuto di considerare il diritto romano come l’unica fonte; egli è consapevole dell’esistenza di altri diritti, scritti o meno nei codici. In questa prospettiva propone di riassumere e di mettere a confronto il diritto reale di tutti i popoli e di tutti i tempi. In tal modo la sua concezione del diritto assume una dimensione universale e storica. Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore (L. 22.04.1941/n. 633)
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Anche Giambattista Vico contribuì a potenziare la coscienza storica finendo per conferire al diritto una insolita dimensione e alla scienza giuridica un nuovo orientamento. Anche per lo studioso italiano l’universale non costituisce un concetto astratto che può essere sviluppato con l’ausilio della speculazione (come accade per il diritto naturale) ma un principio concreto ed immanente che si realizza nella stessa storia dell’umanità. La teoria dei cicli storici costituisce il pilastro di tale concezione: considerando i popoli come protagonisti delle culture e vivendo la storia come movimento ciclico Vico schiude nuove vie alla scienza storica: “l’alternarsi dei corsi e dei ricorsi storici” dimostra come le vicende dell’umanità passino per cicli che presentano le medesime tappe di sviluppo.
Una simile concezione storica condusse Vico alla considerazione del diritto universale: secondo la sua intuizione è lo spirito umano a spiegare perché lo sviluppo della storia avviene secondo idee uniformi. Per lui il diritto naturale nasce. in senso particolaristico. nei popoli aldilà del fatto che gli uni possano avere conoscenza o prendere esempio degli ordinamenti giuridici degli altri popoli.
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Bibliografia • Saggio di filosofia giuridica secondo i canoni della Scuola Storica, di A. Cavagnari • Lineamenti di filosofia del diritto, di G. Hegel, traduzione a cura di V. Cicero, Milano, Rusconi,1996 • L. Feuerbach, Principi della filosofia dell'avvenire, traduzione a cura di Norberto Bobbio, Torino, Einaudi, 1971 • L.Feuerbach, Spiritualismo e Materialismo, traduzione a cura di casa editrice Laterza, I ed. 1972.
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