L’ORIGINE DELLE BANCHE: DALLA STORIA ANTICA AL MEDIOEVO1 di Emanuela Parisi* Se non mancano nella scuola superiore le occasioni per trattare la storia della banca affrontando lo studio dell’età moderna e contemporanea, l’argomento può essere anche richiamato sviluppando i programmi degli anni precedenti. Al centro dell’attenzione si dovranno naturalmente porre i soggetti che nel corso della storia hanno svolto le funzioni oggi proprie delle banche moderne: quella di raccolta e custodia del risparmio, quella di erogazione del credito, quella di emissione di moneta. Elementi che pure andranno presi in considerazione sono da un lato la fiducia che è necessario vi sia tra i soggetti coinvolti in una transazione economica per il buon esito della stessa e, dall’altro, il discredito del quale venivano fatti oggetto gli operatori che erogavano il credito; temi, questi, che oggi possono risultare particolarmente attuali. I luoghi del denaro Da questo punto di vista i programmi di storia del biennio offrono non pochi spunti per avviare alla comprensione delle dinamiche economiche che hanno portato allo sviluppo del moderno sistema bancario e creditizio; ne citeremo soltanto alcuni tra i più evidenti. Trattando della storia antica si potrà sottolineare come la funzione di raccolta e custodia si sia sviluppata già tra le civiltà della mezzaluna fertile. Nei templi in cima alle ziggurat delle città sumeriche erano custodite riserve di grano; a Babilonia i sacerdoti del tempio prestavano sementi e concedevano anticipazioni sui raccolti, che venivano rimborsate dopo la mietitura. I templi, e, talvolta, i palazzi dei sovrani, sarebbero stati da allora in tutto il mondo antico 1
Gli articoli che seguono sono stati pubblicati sul sito dell’Enciclopedia Treccani, con la seguente nota introduttiva: “È la finanza che governa la politica o la politica che governa la finanza?” è stata in questo periodo una delle domande più frequenti nei programmi televisivi che si occupano di attualità: lo spread è impazzito, le borse fanno l’altalena, il debito pubblico è alle stelle, il governo politico si è dimesso e quello tecnico è alla ricerca della “formula magica”. Ma gli intrecci tra politica e finanza non sono una novità. Gli interventi proposti analizzano da una parte l’origine delle banche e dall’altra il primo grande scandalo italiano, quello della Banca romana.
luoghi anche deputati alla raccolta di denaro e metalli preziosi; basterà ricordare che il tesoro della lega di Delo era custodito nel santuario di Apollo fino a quando Pericle non lo fece trasferire ad Atene o che a Roma, già in età monarchica, nelle celle sotterranee del tempio di Saturno si trovava l’erario, il tesoro della Stato, quello al quale impropriamente attinse Cesare quando, passato il Rubicone, volle compensare i legionari a lui fedeli prima di attaccare Marsiglia e poi i pompeiani a Farsalo. Gli operatori economici Lo sviluppo dell’economia monetaria è collegato al diffondersi in Grecia, già nel IV secolo a. C., dei “trapeziti”, intermediari che saggiavano e cambiavano le monete, chiamati così per via del tràpeza, il tavolo del quale si servivano per svolgere la loro attività. In quanto cambiavalute dovevano disporre di riserve che custodivano al sicuro; la loro attività si andò via via articolando e arrivarono a ricevere depositi e prestare denaro. Nel II secolo a. C. è testimoniata anche per Roma l’attività dei cambiavalute d’importazione greca, gli “argentarii”. Operatori economici particolari erano poi i pubblicani, equites che nelle provincie svolgevano il ruolo di collettori delle gabelle, di fatto finanziatori dello Stato al quale anticipavano una parte di ciò che avrebbero esatto; i pubblicani erogavano somme anche a soggetti privati. Non sarà inutile ricordare come pure Seneca, prima di dedicarsi totalmente alla filosofia negli ultimi cinque anni della sua vita, abbia con profitto amministrato il suo cospicuo patrimonio anche concedendo prestiti e ipoteche. Un’ultima figura va segnalata, quella dei “nummulari”, che già nel I secolo d.C. saggiavano le monete per verificarne il valore intrinseco. La necessità di ricorrere a operatori di questo tipo in uno Stato dal territorio vastissimo che all’epoca importava dall’estero soltanto piccole quantità di beni di lusso, come la seta, si spiega ricollegandosi ancora a uno spunto importante che viene dalla storia di Roma e che permette di riflettere sull’argomento dell’emissione di moneta; com’è noto, infatti, in età imperiale non fu infrequente la svalutazione effettuata diminuendone il valore intrinseco. La svalutazione in età imperiale Circolavano ormai, nella seconda metà del III secolo, monete in bronzo, argento e oro di vario conio; i cittadini dell’Impero tendevano a evitare di accettare in pagamento le più recenti, che percepivano come meno degne di fiducia proprio in virtù della svalutazione di cui erano state oggetto. Assieme all’instabilità politica che seguì la fine della dinastia dei Severi (235 d.C.) e al conseguente aumento delle spese militari, tale pratica è stata identificata come causa dell’inflazione che caratterizzò la vita economica dell’Impero alla fine del III secolo. Diocleziano, com’è noto, tentò di porvi rimedio con l’Editto dei prezzi, una sorta di calmiere, e facendo coniare, tra il 293 e il 296, monete d’argento e d’oro il cui valore dichiarato corrispondeva a quello intrinseco. In seguito in Occidente si assistette alla quasi totale scomparsa dell’economia monetaria. Un’analisi della storia economica dell’Europa dell’alto medioevo potrà portare a riflettere su quanto l’esistenza della moneta e del credito siano legati alla prosperità e allo sviluppo di una società.
Un elemento di rilievo da considerare trattando il medioevo è l’atteggiamento della Chiesa riguardo al prestito a interesse, definito “usura”. La condanna già espressa dai Padri della Chiesa partiva dalla interpretazione di testi veterotestamentari ed evangelici; si ricorderanno, tra questi, il noto «Non presterai ad interesse a un tuo fratello» (Deuteronomio, 23, 19) e un passo del Vangelo di Luca (6, 34): «E se prestate a coloro da cui sperate ricevere, che merito ne avrete? Anche i peccatori concedono prestiti ai peccatori per riceverne altrettanto». Arricchirsi grazie al denaro era dunque considerato immorale: già Aristotele nell'Etica Nicomachea aveva spiegato come solo dal lavoro e dall’intelletto dell’uomo poteva nascere la ricchezza e deprecato quella prodotta dal denaro. Sintetizzato nell’espressione nummus nummum parere non potest (il denaro non può generare denaro), il concetto avrebbe contribuito a determinare l’etica economica medievale. Arricchirsi col denaro poteva precludere la via della salvezza; ciò fece considerare lecita l’attività di erogazione di prestiti contro la riscossione di un interesse per gli ebrei, coloro per i quali la via della salvezza era considerata comunque preclusa. Da qui, com’è noto, trae origine lo stereotipo dell’ebreo usuraio che tanta importanza avrebbe avuto in seguito nella storia. * Dottore di ricerca in Storia economica, insegna materie letterarie in un liceo romano Pubblicato il 30/11/2011
L’ORIGINE DELLE BANCHE: IL MEDIOEVO di Emanuela Parisi* Con i nuovi segnali di sviluppo economico, l’attività del prestar denaro riprese e si affermarono nuove figure sul mercato finanziario fino ad arrivare, nel XV secolo alla nascita delle banche. Alcuni spunti letterari possono supportare gli argomenti trattati. “L’abominevole guadagno” Dopo la ripresa economica dell’anno Mille l’usura era comunque praticata anche da altre categorie di operatori: l’ordine religioso-cavalleresco dei templari e i banchieri “lombardi”, i prestatori dell’Italia centro-settentrionale. Il primo aveva preso il nome dalla sede che gli era stata assegnata a Gerusalemme dopo la prima Crociata, il Tempio. I templari raccoglievano denaro per conto del papa per finanziare le crociate e per suo conto lo gestivano; finirono anche per diventare i banchieri dei pellegrini. Ancora attivi in Occidente dopo che i cristiani dovettero abbandonare la Terrasanta, vi innovarono la pratica bancaria; il potente Tempio di Parigi finanziò in più circostanze i re di Francia e fu proprio in seguito alle pressioni di uno di loro, Filippo il Bello, che poco dopo il Concilio di Vienne (1311) fu decisa la soppressione dell’ordine. Come i templari, i banchieri “lombardi” operavano con una certa libertà d’azione; a partire dal 1100 la loro attività si sarebbe dispiegata in Francia, Germania, Inghilterra. A questo proposito potrà essere utile ricordare come vi siano ancora oggi a Parigi una rue des Lombards e a Londra, nel cuore della City, la Lombard street, sorta sul terreno che era stato assegnato a questi operatori economici da Edoardo I (pure si potrà menzionare il fatto che l’espressione “lombard banking” è ancora usata per indicare l’attività di prestito su pegno). Sviluppo economico e credito Il II concilio di Lione (1274) e il concilio di Vienne (1311) ribadirono la condanna dell'usura, minacciando di scomunica i Comuni o gli Stati che la permettevano. Ciò, naturalmente, non frenò certo lo sviluppo dell’attività creditizia; la ripresa dei commerci, lo sviluppo dei mercati e delle fiere periodiche videro anzi il moltiplicarsi degli operatori e la nascita di nuovi strumenti del credito, quali le lettere di cambio, sorta di fidejussioni che permettevano a chi si recava all’estero di condurre transazioni senza dover
necessariamente avere con sé il denaro contante. E del credito alla fine del medioevo non avrebbero evitato di usufruire i sovrani europei, ricorrendo all’appoggio di importanti operatori; tra questi le famose compagnie fiorentine Bardi e Peruzzi e i Fugger. E’ noto che elemento fondamentale per la crescita economica e per lo sviluppo degli Stati nazionali fu proprio l’attività di finanziamento concessa ai sovrani da banchieri privati. La ricchezza prodotta “col denaro” si tramutò da colpa in occasione di mobilità sociale (basterà citare l’esempio dei Medici, in pochi decenni divenuti da mercanti banchieri e da banchieri Signori di Firenze). Né, da ultimo, le posizioni della Chiesa sarebbero rimaste le stesse; se infatti, nel XV secolo si assistette alla nascita della prima banca di tipo moderno, la genovese Casa – poi “Banco” – di san Giorgio, alla stessa epoca risale la nascita dei monti di pietà che, pensati dai Francescani come istituti di assistenza, di fatto operarono come veri e propri Istituti di credito. Spunti letterari: Il Mercante di Venezia Riferimenti ai temi sopra rapidamente richiamati abbondano anche tra gli argomenti comunemente trattati svolgendo i programmi di altre discipline; ad esempio, un’analisi della figura di Shylock ne “Il Mercante di Venezia” può portare a riflettere sul ruolo del prestatore e sul discredito del quale era fatto oggetto nella società; numerosi luoghi danteschi ben si prestano a discutere dello sviluppo della attività commerciale e creditizia nella Firenze del XIII secolo: uno fra tutti è il celeberrimo elogio della Firenze dei tempi della “cerchia antica” (Pd, XV) nel quale Cacciaguida depreca le “case di famiglia” lasciate “vote” dai mercanti che si recavano in Francia dalla Firenze dei tempi di Dante. Spunti letterari: il Decameron Paradigmatica è poi la novella Ser Ciappelletto (“Decameron”, I, 1). Il testo, naturalmente, potrà meglio essere presentato alla classe in un’ottica storico-economica ricordando che il padre di Giovanni, Boccaccio da Chiellino, era un importante agente dei Bardi, i principali finanziatori della corte angioina e che il giovane Giovanni, a Napoli nel 1327-28 a seguito del padre, era presto entrato a contatto con la pratica mercantesca e bancaria. Ser Ciappelletto – “Cepparello” – da Prato, uomo dalla discutibile moralità, viene incaricato da Musciatto Franzesi, diventato in Francia cavaliere da “ricchissimo e gran mercatore” che era ed impossibilitato a gestire direttamente i suoi affari proprio in virtù del suo nuovo status, di curare i suoi interessi in Borgogna. I Borgognoni erano noti per essere “uomini riottosi e di mala condizione e misleali”; Musciatto Franzesi ritiene perciò opportuno dare loro un interlocutore quale “la loro malvagità … il richiedea”, ser Ciappelletto appunto. Al disonesto protagonista vengono affidate “procura e lettere”; egli in Francia trova ospitalità nella casa di due fratelli fiorentini che praticano l’usura. Quando Ciappelletto si ammala gravemente i due non sanno come comportarsi, sono preoccupati per la loro immagine: allontanare un infermo sarebbe considerato un gesto disdicevole ma la probabile morte “indegna” in casa loro di
Cepparello, che potrebbe non essere assolto dal confessore, pure aumenterebbe il loro discredito. I due fratelli temono di divenire oggetto di “gran biasimo”, dal momento che, afferma uno di loro, “il popolo di questa terra”, al quale sembra “iniquissimo” il mestiere da loro esercitato, “si leverà a romore e griderà ‘questi lombardi cani’”. Ser Ciappelletto morirà poi avendo ottenuto con l’inganno l’assoluzione; al frate che lo confessa mentirà, anche a proposito della sua presenza in casa degli “usurieri”: “io … ci era venuto per dovergli ammonire e gastigare e torli da questo abominevole guadagno”. La novella ha dunque per sfondo la rete d’interessi commerciali che nel Trecento attraversava l’Europa e le pratiche che aveva reso consuete; bene esemplifica il fatto che era socialmente mal tollerata la figura del prestatore. D’altra parte, però, il Musciatto Franzesi dalle esigenze del quale trae origine la vicenda è un personaggio realmente esistito e la promozione sociale della quale si giovò è pure tipica dell’epoca. * Dottore di ricerca in Storia economica, insegna materie letterarie in un liceo romano Pubblicato il 30/11/2011
LO SCANDALO DELLA BANCA ROMANA di Giulia Pezzella* L’intreccio tra finanza e politica non è una novità dei nostri giorni: basti pensare che sul finire del XIX secolo, pochi decenni dopo l’Unità, in Italia scoppiò uno scandalo che portò alla luce la commistione tra politica, banche e affari. Le premesse di questa grave crisi finanziaria furono da una parte la speculazione edilizia (in tutto il paese, ma in particolare a Roma con lo spostamento della capitale) e dall’altra i circuiti poco trasparenti generati dal finanziamento delle campagne elettorali e della politica in genere, nonché l’assenza di una reale riforma del sistema bancario. Nel 1889 le banche autorizzate all’emissione di cartamoneta erano sei (la Banca nazionale, la Banca romana, la Banca nazionale toscana, la Banca Toscana di credito, il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia) e il loro operato riscuoteva sempre maggiori critiche. La gestione degli istituti di emissione appariva piuttosto dubbia, mentre sempre più evidenti apparivano le connessioni tra il mondo politico e le banche, tanto che le inchieste parlamentari erano state puntualmente insabbiate da governi e Parlamento, fino al 1892 quando, divenute note le vicende della Banca romana, scoppiò uno scandalo. La prima indagine Ma facciamo un passo indietro. Nel 1889, principalmente a causa della crisi del settore edilizio, alcune banche si trovarono sull’orlo del fallimento. La cosa accreditò le voci che circolavano da tempo circa un’eccessiva emissione di carta moneta da parte delle banche autorizzate. Il ministro dell’agricoltura Miceli promosse l’inchiesta amministrativa per verificare l’operato delle banche autorizzate a stampare moneta che fu affidata al senatore Giuseppe Alvisi (già deputato della Sinistra) insieme al funzionario del tesoro Gustavo Biagini. Bisognava capire, in particolare, se il quantitativo di denaro emesso fosse congruo ai parametri stabiliti. I risultati confermarono i sospetti: la Banca romana aveva stampato 25 milioni di lire in più e aveva sanato l’ammanco di diversi milioni con una serie di biglietti falsi (duplicava cartamoneta già stampata); inoltre fu messo in evidenza il coinvolgimento diretto del suo governatore Bernardo Tanlongo. Dalle indagini emerse anche che la Banca aveva utilizzato questo denaro non solo per finanziare le speculazioni edilizie, ma anche politici e giornalisti. Per evitare lo scandalo durante i tre anni successivi Crispi, Giolitti e anche Di Rudinì preferirono tenere segreti i risultati in nome degli interessi più alti della patria. L’inchiesta, dunque, venne insabbiata per scongiurare le conseguenze negative che avrebbe avuto tanto sul sistema creditizio che sul mondo politico.
La nuova indagine e l’esplosione dello scandalo Il 24 novembre 1892 Alvisi morì di crepacuore, senza esser riuscito nemmeno a leggere la sua relazione sulla situazione “morale” delle banche. I risultati della sua inchiesta arrivarono – dopo la sua morte – nelle mani di Napoleone Colajanni, deputato radicale, che li riferì alla Camera durante la seduta del 20 dicembre. Lo scandalo era scoppiato. Le resistenze di Giolitti alla possibilità di avviare un’inchiesta parlamentare, portarono ad avviare una nuova ispezione sugli istituti di emissione presieduta da Gaspare Finali; Enrico Martuscelli, che si occupò della Banca romana, confermò quanto scritto nella relazione Alvisi. Quando la Camera fu informata dei risultati, Zanardelli (che la presiedeva) indicò i nomi dei sette membri della commissione parlamentare d’inchiesta (che per questo diventerà nota, nelle cronache del tempo, come “la commissione dei sette”, presieduta da Antonio Mordini) per esaminare i documenti e le testimonianze raccolte. Per quanto relativo alla Banca romana, furono arrestati il direttore Michele Lazzaroni e il governatore Bernardo Tanlongo che disse di aver versato cifre significative anche a diversi presidenti del consiglio. Dopo le numerose rivelazioni, Giolitti fu accusato principalmente di tre cose: di aver tenuti nascosti i risultati del lavoro di Alvisi (all’epoca era ministro del tesoro), di aver proposto il nome di Tanlongo come senatore e di aver ricevuto denaro dalle casse della Banca romana per finanziare le sue campagne elettorali. Il presidente del consiglio si difese negando di essere stato a conoscenza della relazione Alvisi e di aver ricevuto denaro dalla Banca romana, ma dopo la lettura della relazione della Commissione dei sette – “Non ricordiamo nella storia del Parlamento il caso di un presidente del consiglio colpito così in pieno petto, dinnanzi alla Camera affollata e fremente, da una sentenza solenne, che lo convince di reati gravi in ordine politico e morale” scriveva l’editorialista del Corriere della Sera il 23 novembre 1893 – rassegnò le dimissioni e decise di trascorrere un periodo all’estero. Tutti salvi I nomi legati a quello strano e oscuro personaggio che era Tanlongo erano molti ed eccellenti: lo scandalo della Banca romana aveva travolto la politica, almeno in parte e allo stesso tempo rappresentava la crisi finanziaria che il paese stava attraversando. Ma il processo del 1894 assolse tutti, anche Tanlongo (Sor Berna’, come lo chiamavano in Banca), per insufficienza di prove: i giudici accolsero la tesi che sosteneva la sottrazione, nel corso delle indagini, di importanti documenti. Le ripercussioni, però, furono notevoli. Dal punto di vista politico la più evidente fu la scomparsa – momentanea – di Giolitti dalla scena politica. Dal punto di vista finanziario, la più importante fu sicuramente l’istituzione nel 1893 della Banca d’Italia – che sarebbe poi diventata l’unico istituto di emissione dello Stato – a cui fu affidata la liquidazione della Banca romana. * Dottore di ricerca in Storia dei partiti e dei movimenti politici
Pubblicato il 30/11/2011