Capitolo 2
L’INSUFFICIENZA RESPIRATORIA NELLA PRATICA CLINICA
1. Definizione e classificazione clinica in urgenza La respirazione è un processo “globale” il cui obiettivo è assicurare la normale attività metabolica cellulare. In questo senso, la funzione polmonare e quella cardiocircolatoria concorrono in modo integrato nel fornire ai tessuti l’ossigeno richiesto e ad eliminare l’anidride carbonica prodotta. La definizione più appropriata di insufficienza respiratoria sarebbe dunque l’inadeguatezza degli scambi gassosi a garantire le necessità metaboliche a livello cellulare. Vista la difficoltà nel valutare le ripercussioni metaboliche tissutali di un’alterazione dell’omeostasi dei gas respiratori (O2 e CO2), la definizione di insufficienza respiratoria fa riferimento all’incapacità dell’apparato toraco-polmonare di mantenere tali gas entro determinati livelli. Per “insufficienza respiratoria” (IR) si intende pertanto una condizione di alterata pressione parziale dei due gas arteriosi: classicamente si fa riferimento ad una PaO2 inferiore a 60 mmHg, accompagnata eventualmente da una CO2 superiore a 45-50 mmHg. La diagnosi di IR, pur essendo dettata dal quadro clinico, non può quindi prescindere dalla misurazione diretta delle pressioni parziali di O2 e CO2 a livello arterioso mediante emogasanalisi. I suddetti limiti non significano però che anche livelli superiori di PaO2 non possano essere patologici. Sappiamo infatti che i livelli fisiologici della PaO2 si riducono progressivamente in funzione dell’età ed i valori di normalità possono venire calcolati approssimativamente con la seguente formula: PaO2 = 109-0,43 × età (in anni) ± 4 mmHg L’insufficienza respiratoria nella pratica clinica
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Ricordando che, specialmente negli anziani, i valori di normalità misurati in posizione supina possono essere ulteriormente inferiori, possiamo incontrare pazienti che presentano una ipossiemia in relazione ai valori teorici per età ma non una insufficienza respiratoria propriamente detta. Sempre in relazione alle ripercussioni sul metabolismo cellulare, gradi lievi di ipossiemia sono infatti generalmente ben tollerati, mentre per livelli inferiori ai 60 mmHg si può realizzare una sofferenza tissutale. Questo limite non è ovviamente assoluto, poiché lo stabilirsi di un’ipossia tissutale è ampiamente influenzato da altri fattori quali lo stato cardiocircolatorio, i livelli di emoglobina e lo stato acido-base che condiziona la cessione dell’O2 dall’emoglobina. Come dimostrato dai calcoli riportati nella tabella 1, una severa anemia accompagnata ad una bassa portata può infatti condizionare un’ipossia tissutale, anche in presenza di normali livelli di PaO2. Tale limite non significa poi che anche per livelli superiori il paziente non possa già essere sintomatico e che anche una modesta ipossiemia, specialmente se accompagnata ad ipocapnia (come vedremo oltre in merito alla differenza alveolo-arteriosa dell’ossigeno), non possa rappresentare la spia di un processo patologico potenzialmente grave. L’intervallo di normalità della PaCO2 è invece indipendente dall’età e va da 36 a 44 mmHg: valori a riposo al di fuori di questo intervallo non sono fisiologici. Tabella 1 – Dai calcoli riportati si evince come la quota di O2 fisicamente disciolto, direttamente proporzionale alla pressione parziale, sia, in condizioni normobariche, trascurabile rispetto alla quota trasportata dall’emoglobina. Una severa anemia accompagnata ad una bassa portata possono, pertanto, condizionare un’ipossia tissutale anche in presenza di normali livelli di PaO2.
O2 disponibile per i tessuti = contenuto in O2 del sangue (O2 fisicamente disciolto + O2 legato all’Hb) × portata cardiaca O2 fisicamente disciolto: PaO2 × 0,003 = ml di O2 disciolto in 100 ml di sangue O2 legato all’Hb: Hb g/dl × 1,39 × sat O2 = ml di O2 legato all’Hb in 100 ml di sangue Se PaO2 100 mmHg, Hb 15 g/dl, Sat O2 98%, il contenuto in O2 è uguale a: (100 × 0,003) + (15 × 1,39 × 0,98) = 0,3 + 20,4 = 20,7 ml O2/100 ml di sangue 38
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2. Lung e pump failure Da quanto detto risulta dunque che l’ipossiemia è il comune denominatore di tutte le forme di insufficienza respiratoria, mentre l’ipercapnia può essere presente o meno. La presenza di ipercapnia invece, per l’equazione del gas alveolare, comporta sempre la presenza di una ipossiemia. Distinguiamo pertanto una insufficienza respiratoria ipossiemica (normo o ipocapnica) ed una insufficienza respiratoria ipercapnica, anche denominate rispettivamente: di tipo 1 e di tipo 2. Le due condizioni riflettono meccanismi fisiopatologici differenti, per la cui comprensione è utile considerare l’organo respiratorio come formato da due componenti principali: 1) l’organo di scambio gassoso (i polmoni); 2) la pompa ventilatoria, ovvero quel complesso anatomo-funzionale che consente al polmone di “ventilare” e che è costituito da: a) Sistema Nervoso Centrale, b) Sistema Nervoso Periferico, c) gabbia toracica, d) muscoli respiratori. Se l’insulto iniziale colpisce il polmone la prima conseguenza sarà una ipossiemia arteriosa, seguita immediatamente da una ipocapnia, derivante dal tentativo di compenso che l’organismo innesca mediante l’aumento della ventilazione alveolare. Se invece l’insulto iniziale colpisce una delle quattro componenti della pompa ventilatoria, la manifestazione iniziale sarà un’ipercapnia arteriosa cui consegue necessariamente un’ipossiemia. Gli esempi sono molteplici: la depressione respiratoria conseguente ad una overdose da oppiacei, la distruzione dei motoneuroni e la conseguente atrofia muscolare in corso di sclerosi laterale amiotrofica, la compromissione del SNP in corso di poliradicoloneurite (s. di Guillame Barrè), le deformazioni della gabbia toracica secondarie a grave cifoscoliosi o, ancora, la compromissione muscolare nella miastenia gravis. Questa classificazione fisiopatologica, a nostro avviso, semplifica il primo approccio del medico dell’urgenza che di fronte ad una forma di IRA deve chiedersi innanzitutto se si trova di fronte ad una lung failure o ad una pump failure (insufficienza polmonare o ventilatoria), se deve cioè semplicemente ossigenare il paziente o se lo deve anche ventilare. Tuttavia, nella pratica clinica, la realtà è molto più complessa e i due quadri possono presentarsi insieme o evolvere l’uno nell’altro, caratterizzando forme di IRA mista. Saranno l’anamnesi, la risposta all’ossigenoterapia convenzionale e l’evolutività del quadro clinico a definire gli eleL’insufficienza respiratoria nella pratica clinica
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menti principali che hanno concorso al determinismo dell’IRA, primitivamente solo ipossiemica o anche ipercapnica. Basti pensare alle fasi iniziali di un edema polmonare acuto, di una crisi asmatica severa o di una stessa BPCO che, se non adeguatamente trattate, possono evolvere da una iniziale lung failure verso un affaticamento della muscolatura respiratoria e quindi verso una pump failure (Fig. 1). In base alle caratteristiche fisiopatologiche e cliniche l’IR può pertanto essere classificata nel modo seguente; Acuta: 1) IRA polmonare (bassa PaO2, bassa o normale PaCO2): ad esempio EPA cardiogeno nelle fasi iniziali, focolaio broncopneumonico, crisi asmatica, embolia polmonare, contusione polmonare, ALI/ARDS in fase iniziale. 2) IRA ventilatoria (bassa PaO2, alta PaCO2, pH basso, bicarbonati solo leggermente aumentati): ad esempio depressione acuta SNC (intossicazione da oppiacei o sedativo-ipnotici, traumi cranici, patologie cerebro-vascolari, infezioni SNC), traumi midollari, S. di Guillame-Barrè, crisi miastenica, avvelenamento da botulino. Cronica: 1) IR cronica polmonare (bassa PaO2, bassa o normale PaCO2): ad esempio fibrosi polmonare primitiva, pneumoconiosi, interstiziopatie, enfisema polmonare primitivo, ipertensione polmonare primitiva. 2) IR cronica ventilatoria (bassa PaO2, alta PaCO2, pH normale, bicarbonati elevati): ad esempio BPCO* in fase ipercapnica stabile, malattie neuromuscolari degenerative (sclerosi laterale amiotrofica, distrofie muscolari), malformazioni gabbia toracica. Cronica riacutizzata (bassa PaO2, alta PaCO2, pH basso, bicarbonati elevati): 1) BPCO* in fase ipercapnica che va incontro ad una riacutizzazione flogistica. * La BPCO viene riportata tra le forme di IR croniche ventilatorie ma, a differenza degli altri esempi di patologie riportate, costituisce una forma di IR mista in cui l’ipossiemia deriva dalle gravi alterazioni del rapporto V/Q, la cui entità è così severa da determinare anche una compromissione dello scambio della CO2, il deficit ventilatorio è relativo, conseguente all’incapacità di questi pazienti, per il notevole aumento della resistenza delle vie aeree e pertanto del lavoro respiratorio, di aumentare la ventilazione alveolare in modo adeguato a contenere l’incremento della CO2.
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Lung failure
Pump failure
PaO2
PaCO2
PaCO2
PaO2
Figura 1 – Lung e pump failure, parametri emogasanalitici.
2.1. La valutazione dello scambio gassoso e il suo significato nel paziente critico Per una valutazione corretta degli scambi gassosi è necessaria la misurazione diretta dei gas arteriosi e del pH che si può effettuare solo mediante emogasanalisi. La semplice misurazione della saturazione dell’emoglobina (SpO2) mediante pulso-ossimetria, per quanto rapida e non invasiva, è infatti poco attendibile in condizioni di vasocostrizione cutanea ed inoltre, in corso di ossigenoterapia con elevate FiO2, può risultare normale anche in presenza di una significativa ipoventilazione con acidosi respiratoria*. La prima cosa da valutare ed eventualmente correggere nel paziente critico è la pressione parziale dell’ossigeno, poiché una severa ipossiemia può essere fatale anche in tempi brevi. Il riscontro di un valore di PaO2 superiore a 60 mmHg, come detto in precedenza, rappresenta invece un limite di relativa sicurezza. Se possibile, compatibilmente con le condizioni cliniche del paziente, la misurazione della PaO2 andrebbe eseguita in aria ambiente, diversa* Ricordiamo come, in base all’equazione del gas alveolare [PAO2 = PiO2 – (PaCO2/R) + F], l’ipossiemia derivante da una ipoventilazione pura possa essere facilmente corretta mediante il semplice incremento della PO2 dell’aria inspirata (PiO2).
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mente va sempre correlata alla FiO2 erogata al momento della raccolta del campione. È evidente infatti come un determinato livello di PaO2, magari 90 mmHg, possa essere normale respirando in aria ambiente, mentre sia indicativo di uno scambio polmonare inadeguato respirando miscele ad elevata FiO2. Dai valori misurati all’emogasanalisi si possono poi calcolare degli indici utili per cogliere precocemente un deficit respiratorio di scambio e per monitorare la risposta alla terapia. La differenza alveolo-arteriosa dell’ossigeno [D(A-a)O2] in aria ambiente è un buon indicatore della presenza di alterazioni del rapporto V/Q. La formula per calcolarne il valore è composta dalla PO2 alveolare ideale, stimata attraverso l’equazione semplificata del gas alveolare, meno la PO2 arteriosa misurata direttamente tramite EGA; in aria ambiente (FiO2 = 0,21), con una pressione parziale del vapor acqueo di 47 mmHg ed un quoziente respiratorio di 0,8, avremo pertanto: D(A-a)O2 = PiO2 – PaCO2/0,8 – PaO2 = [(760-47) × FiO2] – – PaCO2/0,8 – PaO2 = 150 – PaCO2/0,8 – PaO2.
Il valore normale di tale indice in aria ambiente è di 5-15 mmHg e varia approssimativamente con l’età secondo la seguente formula: (età/4) + 4. Valori superiori a 20 indicano la presenza di un deficit dello scambio intrapolmonare, mentre valori superiori a 50 caratterizzano una grave disfunzione polmonare. Dal momento che la formula include la CO2, possono venire individuati deficit di scambio dell’ossigeno anche in condizioni patologiche in cui la PaO2 risulti apparentemente normale per effetto di una iperventilazione compensatoria, come può avvenire nell’embolia polmonare. Al contrario, la D(A-a)O2 sarà normale per un’ipossiemia derivante da un’ipoventilazione pura, come l’ipercapnia compensatoria ad una alcalosi metabolica, quando non sia presente anche una pneumopatia intrinseca sottostante. La D(A-a)O2 è però poco attendibile in corso di ossigenoterapia, potendo correggersi o ridursi se il meccanismo fisiopatologico responsabile dell’ipossiemia è un’alterazione del V/Q o invece peggiorare in caso di shunt. Tale parametro è, pertanto, poco utile nel monitoraggio dei pazienti con insufficienza respiratoria severa, mentre dimostra la sua maggiore utilità nell’identificare precocemente condizioni di alterato scambio gassoso, potenzialmente evolutive, specialmente quando concomiti ipocapnia. Il rapporto tra pressione parziale arteriosa e pressione parziale alveo42
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lare di ossigeno (PaO2/PAO2 0,75-0,8 circa nel soggetto normale) risulta più stabile al variare della FiO2 e sarebbe quindi più utile nel monitoraggio del paziente critico. Il suo analogo, il rapporto P/F (PaO2/FiO2) è però l’indicatore più semplice, ampiamente utilizzato e consolidato dalla letteratura, circa lo scambio intrapolmonare dei gas nel paziente critico. A differenza del rapporto PaO2/PAO2 non tiene conto della CO2, ma questa in relazione al rapporto diviene numericamente trascurabile quando si erogano elevate FiO2. Il P/F, nel soggetto normale che respiri in aria ambiente, deve avere un valore intorno ai 450 (> 400), che corrisponde ad una percentuale di shunt fisiologico del 3-5%. Per esempio, per una PaO2 = 95 mmHg in aria ambiente (FiO2 = 21%), avremo: il P/F = 95/0,21 = 452. Un valore di P/F inferiore ai 200 indica invece uno shunt intrapolmonare superiore al 20% e la necessità di un supporto ventilatorio. Il rapporto P/F costituisce infatti uno dei criteri fondamentali, congiuntamente al quadro clinico-radiologico, per la diagnosi dell’acute respiratory distress syndrome (ARDS) e della sua variante più lieve, l’acute lung injury (ALI): la prima si caratterizza per valori inferiori ai 200 e la seconda per valori inferiori ai 300. Questo rapporto, correlando con la FiO2 ed essendo più stabile della D(A-a)O2, può venire utilizzato per valutare la risposta del paziente al trattamento ventilatorio e per monitorarne l’andamento. Recenti studi matematico-sperimentali hanno però dimostrato come anch’esso possa presentare cambiamenti significativi in rapporto a modificazioni della FiO2, suggerendo che sarebbe sempre e comunque più corretto specificare il livello di FiO2 al quale il P/F viene calcolato. Letture consigliate • Hardie J.A.: Reference values for arterial blood gases in the elderly. Chest 125:2053-2060, 2004. • Karbing D.S.: Variation in the PaO2/FiO2 ratio with FiO2: mathematical and experimental description, and clinical relevance. Crit Care 11:R118, 2007. • Sorbini C.A., Grassi V., Tantucci C.: Pneumologia, Editore UTET 1994. • West J.B.: Fisiopatologia Polmonare, Editore Piccin 1980.
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