L’importanza della misura
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sporcometro t (seconda par
Un elenco dei differenti metodi di misura e analisi della contaminazione residua presente sui pezzi, successivamente alle operazioni di lavaggio Quanto riportato è stato estratto da articoli e pubblicazioni presenti sulla stampa specializzata nazionale ed estera nonché, per talune tecniche, da colloqui diretti con operatori del settore. La misura e l’analisi della contaminazione residua può essere effettuata mediante metodi diretti e metodi indiretti. Nei metodi diretti, l’analisi e la misura del grado di contaminazione di una superficie vengono effettuati intervenendo direttamente sulla superficie stessa. I metodi indiretti prevedono, al contrario, l’analisi e la misura della contaminazione solo dopo la sua estrazione ed allontanamento dalla superficie.
METODI DIRETTI Ispezione visiva Adatta solo per contaminazioni grossolane. Ha il grosso limite di essere soggettiva. UV black light In una camera oscura la superficie da analizzare viene investita da una radiazione UV proveniente da una lampada Wood (lunghezza d’onda 366 nm). E’ un’analisi adatta a rivelare contaminazioni fluorescenti su superfici non fluorescenti se investite da questa radiazione. Nel caso di contaminante fluorescente infatti, il passaggio della luce UV è in grado di eccitare gli elettroni dell’elemento contaminante, portandoli ad uno stato elettronico più elevato. L’instabilità degli elettroni in questo stato energetico
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sporcometro è la causa del successivo processo di rilassamento in cui l’elettrone torna allo stato fondamentale. L’energia precedentemente assorbita viene allora rilasciata sotto forma di fotoni. Il fenomeno della fluorescenza permette di avere una indicazione visiva della zona in cui sono localizzati i contaminanti sulla superficie di interesse, ma non permette l’identificazione del tipo di sostanza. La misura dell’intensità della radiazione emessa mediante una opportuna strumentazione permette invece di conoscere il grado di contaminazione della superficie. Spettrofotometria UV a diodi E’ una tecnica particolarmente adatta ad essere utilizzata on-line sugli impianti di pulizia sia a solvente che ad acqua, facilitando quindi l’ottimizzazione dei parametri di processo. Si basa sulla caratteristica che molte sostanze mostrano spettri di assorbimento nell’ultravioletto (UV), visibile (VIS) o vicino infrarosso (SWNIR) e quindi possono essere monitorate utilizzando tecniche spettroscopiche. L’assorbimento o l’emissione di luce a diversa lunghezza d’onda l può essere posta in relazione alla concentrazione della specie assorbente. La quantità di luce assorbita, infatti, è data dalla differenza tra la radiazione incidente Io e quella trasmessa I e può essere espressa sia utilizzando la trasmittanza T che l’assorbanza A. T = I/Io A = log(Io/I) La legge di Berr pone in relazione l’assorbanza con la concentrazione C di un dato componente ad una certa lunghezza d’onda A(l) = e(l)Cd dove d è la lunghezza del cammino. Uno spettro di assorbanza è un grafico che riporta il valore dell’assorbanza a diverse lunghezze d’onda. I composti di interesse sono generalmente altamente assorbenti permettendo un limite di rilevabilità molto
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basso (≤1 ppm). La strumentazione necessaria a questo tipo di analisi consiste in una sorgente di radiazione elettromagnetica UV, VIS, SWNIR (lampada al tungsteno e al deuterio), un elemento disperdente in grado di separare la radiazione nelle varie lunghezze d’onda (griglia olografica concava), l’area di campionamento e il rivelatore di intensità della radiazione. Quest’ultimo è costituito da una batteria di fotodiodi (1024 elementi) posti in sequenza in grado di misurare contemporaneamente tutte le l provenienti dalla zona di campionamento. Una opportuna scansione elettronica operata sulla serie di diodi permette di raccogliere lo spettro istantaneo da 190 a 1100 nm. All’inizio è stato affermato che questa tecnica permette l’analisi dei contaminanti sia per sistemi ad acqua che a solvente. In realtà è particolarmente adatta a questi ultimi poiché, per mostrare uno spettro accurato, è importante che i contaminanti siano ben solubilizzati. Nel caso molto comune di contaminanti organici ed idrofobi quindi, l’uso di acqua come liquido di
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lavaggio può non garantire questa condizione. In alcuni casi però, come ad esempio l’olio da taglio, è possibile ovviare all’inconveniente mediante l’aggiunta di un additivo solubile sia nel contaminante che in acqua. Ellissometria Tecnica adatta ad una analisi sia qualitativa che quantitativa della contaminazione di una superficie. Sulla superficie da analizzare viene inviato un fascio di luce laser polarizzato sia parallelamente che perpendicolarmente alla superficie stessa. Viene analizzata la variazione della polarizzazione della luce riflessa che risulta in relazione sia al tipo di contaminante che alla quantità presente. Phase imaging (Immagini di fase) E’ una tecnica di mappatura della superficie che utilizza una sonda oscillante posta a leggero contatto con la superficie. L’ampiezza delle oscillazioni varia in funzione della topografia superficiale del campione. Le superfici vengono illustrate mediante aree chiare e scure.
sporcometro Questa tecnica è in grado di localizzare aree di contaminazione superficiale che risultano visibili perché topograficamente diverse. Analisi spettroscopiche (XPS, spettroscopia fotoelettronica a raggi X - ESCA, spettroscopia elettronica per analisi chimica) Sono analisi costose che richiedono strumentazione sofisticata e vengono quindi utilizzate quando sono necessarie analisi particolarmente accurate ed approfondite delle superfici. Il campione in esame viene posizionato in una camera a vuoto spinto e bombardato con raggi X. Per effetto fotoelettrico il materiale emette elettroni che vengono catturati da un apposito detector, analizzati in funzione della loro energia e contati. E’ proprio il numero e l’energia degli elettroni che permette di risalire alla quantità e al tipo di elemento chimico presente sulla superficie del materiale analizzato e a quali altri elementi questo è legato. A causa della natura penetrante dei raggi X, l’analisi delle superfici viene effettuata “sfiorando” la superficie con il fascio incidente. Le informazioni ottenute sono relative ad un’area avente diametro compreso tra pochi mm e 50 micron appartenente allo strato più esterno (2-6 nanometri) della superficie da analizzare.
Queste tecniche vengono considerate non distruttive e permettono l’identificazione della struttura chimica, il legame e lo stato di ossidazione degli atomi. Risulta inoltre molto utile nell’identificazione dei composti organici. Rinunciando alla non distruttività della tecnica e rimuovendo strati di materiale spessi pochi nanometri mediante sputtering (bombardamento della superficie con Argo), è possibile analizzare sezioni successive del campione, avendo quindi una analisi in profondità delle contaminazioni presenti.
energetici coinvolti. L’energia ceduta in queste transizioni può essere emessa sotto forma di raggi X o utilizzata per emettere un elettrone del guscio più esterno. Quest’ultimo effetto è noto come effetto Auger. L’analisi di questi elettroni emessi, chiamati elettroni Auger, permette l’identificazione degli atomi da cui essi provengono. E’ una analisi distruttiva ma è utile per lo studio di piccole aree contaminate e fornisce informazioni anche di tipo quantitativo. La profondità dello strato analizzato è di 20 – 50 Angstrom.
Spettroscopia Auger (AES) E’ una tecnica utile per svolgere una analisi composizionale e permettere l’identificazione dei tipi di atomi presenti su una superficie. Un fascio di elettroni incidente sul campione da analizzare provoca la ionizzazione degli atomi della superficie in seguito alla rimozione degli elettroni appartenenti alle shell più interne. Gli atomi si trovano quindi in uno stato eccitato e tendono a rilassarsi emettendo energia. Il processo di rilassamento è dovuto al passaggio di un elettrone da un livello energetico pieno più esterno a quello vuoto più interno. La transizione di rilassamento in realtà può coinvolgere più di un elettrone in una vera e propria “cascata” in funzione dei livelli
Test di rottura del velo d’acqua In questo test, sulla superficie da analizzare viene mandata dell’acqua. Se essa forma delle gocce, la superficie è considerata contaminata da sostanze idrofobe (oli/grassi). Se il velo d’acqua si rompe o scivola via la superficie è considerata pulita. Maggiore precisione si ha misurando l’angolo di contatto. Uno dei limiti di questo test è la soggettività dell’operatore. Essendo un test visivo è infatti legato al giudizio dell’osservatore. Un altro limite è che contaminazioni molto leggere o disperse possono non essere rilevate. L’analisi, infatti, non coinvolge tutta la superficie, ma solo alcune zone dove, nel caso di una contaminazione bassa o dispersa, il contaminante può non essere presente. Molte sostanze inorganiche, inoltre, sono solubili in acqua, alterando il risultato del test. Una classe di materiali per cui l’uso di questo test è critico è quello delle plastiche, a causa del valore della loro tensione superficiale. Questo tipo di test resta comunque pratico, rapido ed economico, in grado di dare un’idea dello stato di pulizia delle superfici, senza però avere un valore determinante soprattutto quando il valore della pulizia risulta essere un fattore particolarmente critico nel processo.
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sporcometro Angolo di contatto (angolo di bagnabilità) E’ una analisi che non fornisce informazioni sul tipo di contaminante ma, mediante la misura dell’energia superficiale, permette una valutazione rapida e a basso costo dell’efficacia dei trattamenti di pulizia effettuati sul materiale. Rispetto ad altre tecniche ha inoltre il vantaggio di analizzare lo strato più esterno della superficie, coinvolgendo uno spessore di materiale di 0 - 1 nm. Una goccia d’acqua, o di un altro liquido idoneo, di piccole dimensioni viene depositata mediante una siringa sulla superficie da analizzare. L’angolo compreso tra la superficie del materiale e la goccia è in relazione al grado di pulizia della superficie stessa. L’energia superficiale di un materiale aumenta all’aumentare del grado di pulizia e quindi l’angolo di contatto (Q) di una superficie perfettamente pulita dovrebbe essere pari a 0°, condizione non raggiungibile nella realtà. Generalmente l’angolo di contatto viene misurato su una goccia in condizioni statiche. E’ possibile fare misure dell’angolo avanzante o recedente, anche se più difficili e meno ripetibili. Nella tecnica dell’angolo avanzante, il volume del liquido della goccia depositata viene aumentato misurando contemporaneamente l’angolo che si forma prima che la goccia cominci ad avanzare (massimo valore di Q). Nella tecnica dell’angolo recedente, al contrario, il liquido della goccia viene aspirato e l’angolo viene misurato prima che la goccia cominci ad arretrare. A parità di liquido impiegato la forma della goccia è più schiacciata (Q più piccolo) quanto più alta è l’energia superficiale del solido, cioè quanto più risulta pulito il materiale. La tecnica dell’angolo di contatto recedente sembra essere la più efficace per l’analisi del grado di pulizia della superficie di un polimero per
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valutarne la verniciabilità. Nell’ultima evoluzione di questa tecnica vengono utilizzati tre liquidi, generalmente acqua, glicerina e di-iodiometano. Questa formulazione risulta essere più efficace, semplice e pratica e fornisce, in tempi molto brevi, informazioni sull’energia superficiale totale, sulla componente apolare, e sulle componenti acido-base (nel senso di Lewis). Spettrometria infrarossa a trasformata di Fourier (FTIR) Con questa tecnica è possibile rivelare i gruppi funzionali presenti nei composti organici. L’utilizzo della tecnica ATR, in cui il materiale da analizzare è posto in intimo contatto con un opportuno cristallo, permette di acquisire informazioni sui legami chimici dello strato più esterno di un materiale plastico piano. Lo spettrogramma attribuibile alla presenza di contaminanti o a variazioni superficiali viene ottenuto sottraendo allo spettro del campione contaminato o alterato quello del materiale base. Lo spettrogramma risultante viene poi paragonato con quelli presenti nelle banche dati elettroniche di spettri infrarossi permettendo l’identificazione della famiglia chimica di appartenenza. Qualora si tratti di un unico materiale/prodotto, può arrivare ad una identificazione esatta. Questo tipo di analisi viene generalmente utilizzata a posteriori per stabilire le cause di un problema o difetto. SIMS (spettroscopia di massa con ioni secondari) E’ una tecnica che viene usata per l’analisi composizionale della superficie. Un fascio primario di ioni (Ar+, Cs+, N2+, O2+) con una determinata energia viene inviato alla superficie da analizzare. La conseguente emissioni di atomi della superficie genera un fascio di ioni secondari. Questo processo è noto
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come “sputtering”. Il fascio secondario viene analizzato spettroscopicamente. Questa tecnica permette l’identificazione degli elementi presenti, ma non consente l’analisi dei legami, come nel caso dell’ESCA. Il SIMS può rilevare sia gli ioni positivi sia negativi, permettendo di stabilire la natura della carica del contaminante nel caso sia carico. Lo strato superficiale analizzato è generalmente dell’ordine di 2 - 6 Angstroms. SEM - EDS - STEM (microscopio elettronico a scansione-trasmissione) Il campione da analizzare viene posto sottovuoto e bombardato con un fascio di elettroni opportunamente accelerato. L’interazione di questo fascio con la superficie provoca la dispersione degli elettroni. In particolare, atomi ad elevato numero atomico generano uno scattering maggiore rispetto a quelli a basso numero atomico. Gli elettroni analizzati possono essere sia quelli retrodispersi che quelli secondari. I primi seguono una traiettoria rettilinea mentre i secondi una curvilinea. L’analisi di entrambi questi tipi di elettroni mediante due rivelatori differenti permette sia la visione dell’immagine superficiale del campione, sia un’analisi qualitativa del materiale. Il SEM è in grado di mostrare la topografia della superficie con una immagine 3-D e la capacità di ingrandimento di questo microscopio è di circa 100.000 volte. Questo permette l’identificazione della presenza di particolato e disuniformità su film spessi di contaminanti. Non lavora molto bene nel caso di film molto sottili e non uniformi ed inoltre non è adatto all’analisi di vaste aree di superficie. Nel caso di analisi di campioni molto sottili è possibile utilizzare una tecnica modificata del SEM che è la microscopia elettronica in
sporcometro trasmissione, in cui viene analizzato il fascio trasmesso (STEM). Queste tecniche vengono utilizzate per un’analisi comparativa del materiale, nel senso che il campione viene paragonato ad uno standard conosciuto e pulito in modo da evidenziare le differenze. Le tecniche microscopiche vengono utilizzate per contare le particelle di diverse dimensioni. Ovviamente questo può richiedere molto tempo. Per questo motivo vengono contate le particelle presenti in un’area ben definita e il valore ottenuto viene successivamente moltiplicato per un opportuno valore, che dipende dalle dimensioni dell’oggetto analizzato. Polarizzazione elettrochimica della superficie La superficie da analizzare è sottoposta a tensione mediante galvanizzazione statica con elettrolita a corrente anodica molto bassa. Viene poi misurata la polarizzazione elettrochimica della superficie che risulta funzione di corrente/tempo e dipende dal tipo e dalla qualità di contaminante presente e/o dall’attività della superficie stessa. Emissione di elettroni stimolata elettricamente (OSEE) L’elevata energia associata alla luce UV che incide su una superficie in molti casi genera emissione di elettroni. E’ quindi possibile misurare una corrente foto-indotta che dipende dalla funzione lavoro del materiale analizzato, cioè dalla quantità di energia che serve per liberare gli elettroni dal loro legame atomico. In genere, materiali caratterizzati da una funzione lavoro inferiore a circa 7 elettronVolt (eV) sono foto-emittenti. La presenza di contaminanti non foto-emittenti svolge la funzione di una resistenza poiché la corrente viene attenuata a causa delle interazioni tra gli elettroni ed i contami-
nanti. In generale più il contaminante è spesso e maggiore è la resistenza e quindi più ampia la diminuzione del segnale osservato. Questo metodo permette la rilevazione di bassi livelli di contaminazione sia ionica che non ionica, organica e non, ma non è in grado di identificarne la specie. Non è inoltre sensibile alla presenza del particolato e, data la dipendenza della corrente dalla temperatura, è necessario mantenere costanti le condizioni termiche. Data la sensibilità della tecnica OSEE allo stato chimico della superficie è possibile utilizzarla nella misura della pulizia superficiale, nella valutazione della presenza o meno di un rivestimento, nella misura dello spessore di film molto sottili o rivestimenti. Nel caso dell’analisi della pulizia delle superfici OSEE è in grado di dare una misura quantitativa del grado di pulizia raggiunto da un processo specifico favorendone l’eventuale ottimizzazione, e permette di paragonare processi differenti. Inoltre è una tecnica che può essere utilizzata sia per lavaggi interoperazionali, sia a fine ciclo. Velocità di evaporazione (MESERAN) Viene utilizzato il decadimento radioattivo per quantificare la contaminazione organica della superficie. Può essere svolta con metodi diretti o indiretti in seguito ad estrazione con solvente. L’estensione della radioattività dipende dall’estensione della contaminazione superficiale presente. Il limite di rilevabilità raggiungibile è di 2 ng/cm2.
METODI INDIRETTI Analisi del carbonio organico totale (TOC) Un’analizzatore di carbonio organico totale può essere utilizzato per quantificare il materiale organico
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presente su una superficie. Tale metodo è inoltre utile per il controllo dell’acqua di processo in un sistema chiuso. L’analisi TOC è in grado di misurare la quantità di carbonio presente in una sostanza organica, ma non permette l’identificazione e la quantificazione della singola specie. Gascromatografia/spettrometria di massa (GC/MS) E’ una tecnica utilizzata per identificare le contaminazioni superficiali dopo estrazione mediante opportuno solvente. I composti organici vengono separati utilizzando un gascromatografo e poi analizzati in funzione del loro peso molecolare con uno spettrometro di massa. Analisi gravimetrica Fornisce la quantità in peso di contaminanti asportati durante il lavaggio. Si usa generalmente nel caso di campioni raccolti utilizzando i metodi di agitazione meccanica, risciacquo in pressione, ultrasuoni. Viene generalmente effettuato mettendo due membrane una sopra l’altra su un contenitore all’interno del quale viene fatto il vuoto. Il liquido da analizzare viene versato sulle membrane che hanno un grado di filtrazione inferiore a 1 micron. La prima membrana riceve il contaminante, mentre la seconda serve da riferimento. Entrambe subiscono poi un trattamento di essiccazione in stufa ed in forno e vengono successivamente pesate. La differenza di peso fornisce la quantità di contaminante. Non è un metodo selettivo sulle particelle, ma è solo quantitativo. Analisi del residuo non volatile (NVR) Il contaminante viene estratto utilizzando un opportuno solvente che viene successivamente fatto evaporare. L’operazione si svolge in un contenitore di peso conosciuto. La quantità di residuo non volatile
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sporcometro viene poi determinata tramite pesata, sottraendo ovviamente il peso del contenitore. Questo metodo non è adatto nel caso di film molto sottili, poiché sarebbe necessaria l’estrazione di zone molto grandi di area superficiale per poter ottenere dati accurati. Termogravimetria I metodi termogravimetrici vengono utilizzati per verificare la quantità e la qualità della contaminazione di una superficie, mediante incremento controllato della temperatura del pezzo. L’aumento della temperatura provoca il desorbimento o la decomposizione dei contaminanti chimicamente adsorbiti dalla superficie, con conseguente diminuzione del peso del pezzo; tale diminuzione viene rilevata con una termobilancia. Il risultato dell’analisi viene generalmente espresso mediante un grafico massa/temperatura, il quale fornisce indicazioni sul contenuto di umidità, il tipo e la quantità di contaminante presente. Analisi chimiche Consistono nell’analisi UV o IR dei liquidi di lavaggio. Conteggio particellare E’ un metodo sia quantitativo che qualitativo e può essere effettuato con differenti strumentazioni. Le più comuni si basano sulle tecniche di assorbimento e/o dispersione della luce da parte del contaminante contenuto nel campione da analizzare, quando questo viene investito da un fascio di luce, generalmente laser. La tecnica di assorbimento prevede il rilevamento, da parte di un fotodiodo, dell’ombra proiettata dalla particella, che fluisce attraverso la camera di misura, quando viene colpita dalla luce di un raggio laser. La variazione di tensione ai capi del fotodiodo è indice dell’ombra e quindi delle dimensioni della particella. Tale dimensione è però
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espressa in termini di diametro equivalente di una particella sferica che proietta la stessa superficie d’ombra rilevata e quindi, nel caso di differenze notevoli tra le due dimensioni della particella, tali differenze non vengono percepite. Il rischio è che ci siano errori nell’attribuzione delle classi di appartenenza. Un altro limite di questa tecnica deriva dal fatto che se la particella ha dimensioni lineari superiori rispetto al fascio di luce laser che la investe, la particella viene percepita di dimensioni inferiori alla realtà. Infine, nel caso di mascheramento tra particelle, il dato rilevato non è reale. La tecnica della dispersione prevede invece la misura dell’intensità della luce che viene diffusa dalla particella colpita dal fascio di luce. La scelta del metodo da utilizzare dipende dal tipo di particelle che bisogna analizzare. La tecnica dell’assorbimento è adatta per particelle aventi dimensioni maggiori di 1 micron, mentre quella della dispersione è utile per particelle più piccole. Il limite inferiore di questa tecnica è di 0.1 micron. La tecnica della dispersione permette comunque di rilevare particelle fino a 25 micron, valore oltre il quale il segnale diventa troppo complesso e sensibile anche ad altre caratteristiche delle particelle oltre che alla dimensione. La scelta della tecnica di analisi deve essere fatta a priori perché da essa dipende il tipo di rivelatore da utilizzare. Nel caso dell’assorbimento, il rivelatore deve essere in grado di raccogliere tutto il fascio e deve essere in linea con esso. Nel caso della dispersione, invece, il rivelatore non vede mai il fascio primario, ma raccoglie solo la luce diffusa. Quest’ultimo sensore, inoltre non è adatto alla rilevazione di particelle metalliche ed è più sensibile alla composizione della particella, rispetto ai sensori per assorbimento, quando si analizzano
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particelle di dimensione maggiore di 10 – 15 micron. I problemi associati a questa tecnica sono dovuti sia alla natura genericamente non sferica delle particelle, sia alla presenza di bolle nel liquido di prova. Inoltre, essendo i contatori di particelle degli strumenti ottici, risentono dell’opacità della soluzione in esame e della sua temperatura. E’ quindi importante raffreddare la soluzione al di sotto del suo punto di rugiada. Un altro fattore importante è la velocità del flusso, che deve essere mantenuta sempre costante, anche tra prove differenti. Particolarmente delicata è inoltre la fase di calibrazione dello strumento, che deve essere fatta mediante l’utilizzo di standard noti e le cui condizioni vanno poi mantenute costanti durante le varie prove. Questo è uno dei fattori che rendono difficile paragonare risultati ottenuti con sensori calibrati diversamente o operanti in condizioni non paragonabili. Un ulteriore parametro importante per l’accuratezza dei risultati è la conoscenza ed osservazione del limite di concentrazione applicabile per non incorrere in errore di coincidenza. Se la concentrazione di particelle è troppo elevata, infatti, la sovrapposizione di due particelle può essere considerata come un’unica particella di dimensione maggiore. Il limite di concentrazione è in genere del 5-10 %. E’ inoltre importante valutare la compatibilità tra sensore e campione. Un altro strumento utilizzato è quello che opera un flussaggio del liquido di prova, attraverso una membrana da 5 o da 15 micron, alternatamente in entrambe le direzioni, rilevando la differenza di pressione ai capi della membrana stessa. Nel tempo l’incremento della differenza di pressione assume una forma caratteristica, che può essere confrontata con curve simili
sporcometro note; dal confronto, per estrapolazione e con una certa approssimazione, è possibile risalire ad una stima del numero di particelle presenti sulla membrana. E’ di fatto un metodo indiretto che si basa su librerie di curve ottenute con quantità note di particelle. Microscopia ottica Una determinata quantità di fluido contaminato viene fatta passare attraverso una membrana filtrante che successivamente viene analizzata al microscopio ottico. Il quantitativo e le dimensioni delle particelle trattenute sulla membrana forniscono una misura del livello di contaminazione, mentre il loro aspetto - metallo brillante, metallo ossidato, silice, fibre, gomma, plastica etc... fornisce una indicazione delle possibili sorgenti di contaminazione. Con i microscopi ottici è possibile analizzare direttamente la superficie di un campione permettendo la visione di residui di oli, grassi, flussante, particelle o anomalie superficiali. E’ una tecnica rapida ed efficiente ma non adatta all’analisi a livello molecolare o nel caso di contaminazione ionica. Inoltre questa tecnica è generalmente influenzata dalla soggettività dell’osservatore. Esistono però dei metodi automatizzati in grado di analizzare la forma e valutare le dimensioni delle particelle. Un computer associato al microscopio e dotato di un opportuno software, abbastanza sofisticato, è in grado di analizzare le particelle secondo differenti modelli: dimensione minima e massima del rettangolo occupato, asse lungo e sezione trasversale più ampia, lunghezza curvilinea e larghezza maggiore, area circoscritta, area di contrasto. Ovviamente, più le particelle hanno una geometria articolata e maggiore è la discrepanza delle aree ottenute con i diversi metodi. E’ quindi opportuno analizzare a
priori il tipo di analisi necessaria in funzione degli scopi per cui si svolge la ricerca. • Titolazione colorimetrica E’ una tecnica adatta a misurare la quantità di residui contenenti carbonio presenti sulla superficie di un campione mediante la valutazione della quantità di biossido di carbonio prodotto dalla combustione. Il campione viene posto in forno a 460°C in presenza di ossigeno, in modo che le contaminazioni organiche si possano trasformare in CO2. Il biossido di carbonio prodotto viene fatto reagire con una soluzione di etanolamina, così da formare un acido forte. Questo acido viene titolato con una base generata elettrochimicamente. La quantità di contaminante contenente carbonio presente alla superficie del campione viene quindi espressa in µg di carbonio, misurando la carica totale richiesta per generare elettrochimicamente la base. La quantità di contaminante inorganico contenente carbonio viene misurata nello stesso modo, scaldando però il campione a 590°C per convertire i contaminanti superficiali in CO2. Bibliografia • Mantosh Chawla - “Measuring surface cleanliness” - June 1997 (da The magazine of critical cleaning technology - Article archives - Parts cleaning web) • Thomas A. Woodrow “Coulometric titration verifies cleaning capabilities” - September 1997 (da The magazine of critical cleaning technology - Article archives) • Yael & Yoav Barshad - “The spectrophotometer” - May 1999 (da The magazine of critical cleaning technology - Article archives Parts cleaning web) • Charles Montague - “Optical particle counters size up process cleanliness” - December 1999 (da
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Per ulteriori informazioni segnare 3 sull’apposita cartolina in fondo alla rivista
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