Provincia autonoma di Trento Dipartimento della conoscenza Servizio Istruzione Ufficio Infanzia
L’educazione matematica nella scuola dell’infanzia
a cura di
Berta Martini, Irene Foresti, Margherita Francini
Ufficio Infanzia Miriam Pintarelli - Direttore Chiara Vegher Anna Tava
Testi Berta Martini, Irene Foresti, Margherita Francini
2012 - Giunta Provincia autonoma di Trento Dipartimento della Conoscenza Servizio Istruzione Ufficio Infanzia Stampa Centro duplicazioni Provincia autonoma di Trento Settembre 2012
L’educazione matematica nella scuola dell’infanzia
Indice
Presentazione
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1. Sviluppare competenze matematiche nella scuola dell’infanzia Il concetto di competenza. Aspetti pedagogici e didattici La competenza come mobilitazione. Principi psicopedagogici Sviluppare competenza. Come si educa la mobilitazione Competenze e progettazione curricolare Le competenze matematiche
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2. Traguardi di apprendimento. Competenze generali e obiettivi specifici NUMERI GEOMETRIA PROBABILITÁ E STATISTICA MISURA PROBLEMI
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3. Dalle competenze alle attività NUMERI: “La raccolta di materiali nel giardino della scuola” “Le scatole dei numeri” “I tappi colorati” “Il tempo” GEOMETRIA: “Gli oggetti si spostano” “Percorsi” “Dal 3D al 2D con i solidi della psicomotricità” “La storia di Pezzettino” PROBABILITÀ: “Il gioco dei bruchi” “Cosa mangiamo oggi?” MISURA: “Misuriamo le parole” “Che cosa serve per misurare” PROBLEMI: “Il gioco dei barattoli”
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Bibliografia
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Appendice: Giochi matematici
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Autori
Berta Martini, laureata in matematica presso l’Università degli Studi di Bologna e Dottore di ricerca in Pedagogia. È professore associato in Pedagogia generale e sociale presso l’Università degli Studi di Urbino. Ha insegnato Didattica della matematica presso l’Università degli Sudi di Bologna e la Libera Università di Bolzano. Ha pubblicato saggi e volumi sull’educazione matematica. Irene Foresti, laureata in matematica presso l’Università degli Studi di Bologna. Insegna matematica nella scuola secondaria di II grado. È membro del Gruppo di ricerca e sperimentazione in Didattica della matematica dell’Università di Bologna. Formatrice in percorsi di formazione nelle scuole di ogni ordine. Margherita Francini, insegna nella scuola primaria. È membro del Gruppo di ricerca e sperimentazione in Didattica della matematica dell’Università di Bologna. Formatrice in percorsi di formazione nella scuola dell’infanzia e primaria.
L’educazione matematica nella scuola dell’infanzia
Presentazione Questa documentazione si propone quale strumento di lavoro per la programmazione delle attività matematiche nella scuola dell’infanzia. Il contenuto è centrato sui concetti e le metodologie della progettazione curricolare che sono stati oggetto di lavoro nel corso di formazione matematica degli ultimi anni: il concetto di competenza come capacità di coordinamento di conoscenze e abilità, la progettazione secondo nuclei fondanti, la formulazione di traguardi di apprendimento declinati secondo diversi livelli di generalità, i criteri di progressività delle attività didattiche. Il documento è articolato in tre parti. Nella prima parte viene discusso il concetto di competenza, sia in senso teorico, sia in senso metodologico operativo. L’ampiezza e la pluralità delle concezioni riferibili a questo costrutto, infatti, richiede preliminarmente un accordo condiviso sul suo significato. Si opta per un’interpretazione della competenza come mobilitazione di conoscenze, abilità, disposizioni motivazionali e affettive in rapporto ad una situazione sfidante. Nell’ambito di tale documento il rilievo attribuito alla nozione di competenza si giustifica soprattutto in rapporto ai traguardi di apprendimento previsti dalla progettazione curricolare. Infatti esse rappresentano gli obiettivi di lungo periodo dell’intero percorso formativo. Nella seconda parte del documento si formulano i traguardi di apprendimento per l’educazione matematica relativamente ai diversi nuclei fondanti (numeri, geometria, misura, problemi). Tali traguardi sono articolati rispetto a due livelli di generalità: competenze e obiettivi specifici. Le prime definiscono il profilo di uscita per ciò che concerne l’educazione matematica, mentre i secondi sono indicativi dei comportamenti attesi dai bambini in situazioni osservabili. Nella terza parte, infine, si forniscono alcuni esempi paradigmatici di attività didattiche riferibili alle competenze indicate. La descrizione delle unità di lavoro, seppur schematica, include l’indicazione delle possibili variabili didattiche di intervento per la modulazione delle attività nelle varie età: tre, 4 e 5 anni. I traguardi di apprendimento sono declinati in base ai nuclei fondanti e secondo due livelli di generalità (competenze/obiettivi specifici) ma non secondo criteri di progressività (3, 4, e 5 anni). Ciò al fine di evitare di definire i limiti di educabilità dei bambini in base a ciò che predittivamente si ritiene che “possano o non possano fare”. Si tratta infatti di una distinzione che non risponde all’idea di competenza e di flessibilità curricolare. Il criterio di progressività, pur legittimo e necessario ai fini della programmazione, è recuperato attraverso l’esplicitazione di alcune variabili didattiche che consentono agli insegnanti di modulare l’intervento didattico sia in riferimento alla formulazione dei traguardi per i bambini di diverse età, sia in riferimento alla costruzione delle attività didattiche.
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In appendice si propongono alcuni giochi matematici costruiti e sperimentati nelle scuole durante il percorso formativo sull’educazione matematica. Tali materiali, presentati con una scheda illustrativa d’uso, sono un suggerimento operativo per nuove occasioni di gioco da offrire ai bambini.
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L’educazione matematica nella scuola dell’infanzia
1. Sviluppare competenze matematiche nella scuola dell’infanzia
Il concetto di competenza. Aspetti pedagogici e didattici Il concetto di competenza è, da una decina d’anni, al centro di un dibattito1 che riflette le tensioni e i cambiamenti che hanno segnato il modo di concepire la scuola, i processi di insegnamento e apprendimento e, più in generale, la formazione. Semplificando molto, possiamo dire che si è passati da una concezione di tipo “behaviorista” della competenza, ad una di tipo “cognitivista”. La prima, fa coincidere l’idea di competenza con la performance, ossia con i compiti che i soggetti sono in grado di eseguire, distinguendo, su questa base, anche diversi “livelli” di competenza. La seconda concezione, assimila la competenza ad una “strategia”, cioè ad un sistema di conoscenze e abilità che sono mobilitate dal soggetto in relazione ad uno scopo (un compito o un’azione). Da ciò deriva che una competenza è definibile in base alla tipologia del compito o di un insieme di compiti. Dunque un’analisi critica dei concetti di conoscenze, abilità, performance ha contribuito a precisare progressivamente il significato di competenza, attribuendole lo status di specifico e fondamentale obiettivo formativo. Ciò vale anche per la scuola dell’infanzia: la stessa possibilità della scuola di educare ogni bambino ad un comportamento autonomo e responsabile, all’uso corretto del linguaggio, a pensare ed agire in rapporto a sé stesso e agli altri ecc., vengono oggi espresse in termini di “competenze” o, meglio, di repertori di competenze caratteristiche di diversi ambiti di attività. Dal punto di vista pedagogico e didattico, ciò impone una riflessione critica su questo concetto, così da pervenire ad una definizione della “competenza” abbastanza ampia da affrancarla da interpretazioni tecnicistiche e tale da garantirle una sufficiente efficacia come categoria progettuale del curricolo. Oggi, il significato su cui si attesta il concetto di competenza risente, certo, dell’impostazione “cognitivista”, ma con
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In Italia, il dibattito, aperto dalla pubblicazione, nel 1996, del Libro Bianco della Commissione Europea, Insegnare e apprendere. Verso la società conoscitiva, Lussemburgo, si è articolato in diverse tappe, tra le quali ricordiamo i lavori delle due diverse Commissioni di “saggi”. La prima Commissione, operante fra il gennaio e il maggio 1997, elaborò il documento: “Le conoscenza fondamentali per l’apprendimento dei giovani nella scuola italiana dei prossimi decenni”, Studi e documenti degli Annali della Pubblica Istruzione, 78; la seconda Commissione elaborò nel 1998 il documento di sintesi: “Contenuti essenziali per la formazione di base, Annali della Pubblica Istruzione, 1/2.
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un’attenzione specifica al fatto che, essendo i compiti caratterizzati, per chi li deve svolgere, da diversi gradi di complessità, novità, interesse, una competenza si manifesta in modo non indipendente dalla capacità di coordinare insieme conoscenze, abilità e, anche, disposizioni interne motivazionali e affettive. Va in questa direzione, per esempio, l’OCSE, che nell’ambito del programma DeSeCo2 si riferisce alla nozione di competenza come ad una nozione nella quale intervengono diverse componenti: «Fronteggiare efficacemente richieste e compiti complessi comporta non solo il possesso di conoscenze e di abilità, ma anche l’uso di strategie e di routines necessarie per l’applicazione di tali conoscenze e abilità, nonché emozioni e atteggiamenti adeguati e un’efficace gestione di tali componenti»3. Possiamo, dunque, riferirci ad un approccio secondo il quale la messa in opera di una competenza mobilita tre componenti soggettive: le conoscenze, le abilità e le disposizioni interne stabili4. Le prime corrispondono al sapere5 e sono per lo più di natura dichiarativa. Per quanto riguarda i bambini della scuola dell’infanzia esse comprendono i fatti e le idee acquisite attraverso l’osservazione, l’ascolto o l’esperienza: per esempio sapere che la giornata scolastica è scandita da certe routine, conoscere i nomi di alcuni numeri, riconoscere alcune figure geometriche elementari ecc.. Le seconde corrispondono al saper fare ossia a conoscenze di tipo procedurale. Esse vengono usate per designare la capacità di utilizzare le proprie conoscenze in compiti abbastanza semplici: per esempio operare classificazioni o ordinamenti, riprodurre sequenze di azioni linguistiche o operative ecc. Infine, le disposizioni interne possono essere assimilate all’espressione saper essere. Si riferiscono a caratteristiche personali di tipo motivazionale, sociale e affettivo: il grado di interesse e di partecipazione alle attività, il tipo di risposta emotiva di fronte agli eventi ecc. È interessante osservare che in questo modo di intendere le competenze, è implicito il riferimento ad esse come “conoscenze in uso”. Una competenza si rende cioè manifesta attraverso la mobilitazione di altre conoscenze, siano esse dichiarative (come nel caso dei saperi legati ai campi di esperienza) o procedurali (come nel caso delle abilità). Di conseguenza, in generale, né la padronanza di conoscenze, né l’esercizio di specifiche abilità possono, di per sé, generare competenza, a meno che il soggetto sia motivato e si impegni a mobilitare le conoscenze e le abilità corrispondenti in una situazione che le solleciti.
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Definitions and Selection of Competencies: Theoretical and Conceptual Foundations. SCALERA V. (2000) Il progetto Ocse/Pisa, in Istituto nazionale per la Valutazione del Sistema dell’Istruzione (Cede). Ricerche valutative internazionali 2000 (2001), Franco Angeli, Milano. 4 Questo approccio è sostenuto in PELLEREY M.(2003) Le competenze individuali e il portfolio, la Nuova Italia, Firenze, pp. 67-73. 5 FRABBONI F. (1992) Manuale di didattica generale, Laterza, Roma-Bari. 3
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Più specificatamente, la situazione che per il bambino dovrebbe essere debitoria dell’uso delle proprie conoscenze e abilità è di tipo indefinito o, almeno, variabile. Ci si aspetta, cioè, che la stessa competenza, per il fatto di essere tale, si manifesti in situazioni differenti. Il che rende la competenza un concetto che trattiene in sé anche il carattere di trasversalità. Nessuna risorsa (conoscenza o abilità), cioè, appartiene esclusivamente ad una competenza specifica, potendo essere mobilitata anche da altre. Al contrario, ciò è condizione necessaria perché essa possa essere utilizzata in diversi contesti e in diversi momenti, in risposta a diverse situazioni e intenzioni. In sintesi, il possesso di una competenza implica, da parte del soggetto, non solo la capacità d’uso delle risorse interne disponibili (le conoscenze e le abilità possedute fino a quel momento), ma anche il loro trasferimento in contesti (compiti o situazioni) diversi da quelli in cui quelle conoscenze e quelle abilità sono state originariamente apprese. L’idea che una competenza implichi il trasferimento di conoscenze e abilità è, d’altra parte, in linea con la tendenza psico-pedagogica di interpretarla come un apprendimento di livello gerarchicamente elevato. Lo stesso Dewey,6 avverte che l’educazione e la formazione non si situano a livello dei soli contenuti, ma al livello sottostante del processo di formazione di abiti, attitudini e interessi permanenti, cioè di abitudini durevoli (mentali ed emotive), che si formano “nascostamente” e che possono essere messe in atto in diverse situazioni. Questa interpretazione, collima in larga parte con la distinzione di Bateson7 di diversi livelli logici dell’apprendimento. Nella classificazione ipotizzata da Bateson, infatti, il livello gerarchico più elevato, il livello due, detto deuteroapprendimento, corrisponde all’apprendimento di abitudini mentali durature e trasferibili. Nei livelli inferiori (livello zero e livello uno, o protoapprendimento) troviamo, rispettivamente, l’apprendimento di contenuti e l’apprendimento di abilità.8 Infine, possiamo rintracciare una concordanza tra l’idea di competenza che stiamo avanzando e quella di comprensione9 gardneriana. La comprensione, secondo Gardner, rappresenta l’obiettivo fondamentale dell’azione di insegnamento. Essa si realizza quando il soggetto accede a conoscenze e abilità appresi in un certo contesto e le utilizza in un contesto nuovo. Dunque la comprensione, anziché essere inglobata come processo cognitivo nel concetto di competenza, coincide con la possibilità stessa dell’esercizio di questa.
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DEWEY J. (1986) Come pensiamo, La Nuova Italia, Firenze. BATESON G. (1997) Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano. 8 Per una trasposizione in ambito didattico della teoria dei livelli logici dell’apprendimento di Bateson si veda BALDACCI M. (2002) Una scuola a misura d’alunno, Utet, Torino, e, dello stesso autore (2006) Ripensare il curricolo, Carocci, Roma. 9 GARDNER H., Educare al comprendere (1993) Feltrinelli, Milano; Id., Educazione e sviluppo della mente (2005) Erickson, Trento. 7
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In base a quanto abbiamo affermato, il concetto di competenza implica il coordinamento di risorse interne (conoscenze, abilità e disposizioni interne) che devono essere mobilitate, cioè “trasferite” in relazione ad un compito che ne solleciti l’utilizzazione. La competenza viene dunque intesa come la capacità di un soggetto, sostenuto da disposizioni motivazionali e affettive positive, di trasferire/orchestrare/mobilitare le proprie conoscenze, le proprie abilità e le proprie attitudini per affrontare efficacemente un compito. In particolare, queste metafore (trasferimento, orchestrazione, mobilitazione) insistono su tre fattori fondamentali: 1. la disponibilità di un corpus di conoscenze, anche informali, e abilità da far agire; 2. la necessità di un adattamento delle proprie risorse al compito; 3. l’esistenza di una situazione, normalmente una situazione problematica, sufficientemente inedita da affrancare il soggetto dalla ripetizione, ma allo stesso tempo abbastanza familiare da consentirgli l’utilizzazione delle conoscenze e delle abilità possedute. Come è facile intuire, ciascuno di questi fattori suggerisce anche indicazioni sulle condizioni di possibilità di sviluppo e di esercizio della competenza nella scuola dell’infanzia. Ciò a patto di giustificare teoricamente l’incidenza di questi fattori sull’apprendimento. In sintesi La messa in opera di una competenza mobilita tre componenti soggettive: le conoscenze, le abilità e le disposizioni interne. 1. Conoscenze: corrispondono al sapere e sono per lo più di natura dichiarativa. Nei bambini della scuola dell’infanzia, sono paragonabili ai fatti e alle idee acquisite attraverso l’osservazione, l’ascolto o l’esperienza: ad esempio sapere che la giornata scolastica è scandita da certe routine, conoscere i nomi di alcuni numeri, riconoscere alcune figure geometriche elementari ecc. 2. Abilità: corrispondono al saper fare ossia a conoscenze di tipo procedurale. Esse sono usate per designare la capacità di utilizzare le proprie conoscenze in compiti abbastanza semplici: per esempio operare classificazioni o ordinamenti, riprodurre sequenze di azioni linguistiche o operative ecc. 3. Disposizioni interne: possono essere assimilate all’espressione saper essere. Si riferiscono a caratteristiche personali di tipo motivazionale, sociale e affettivo: il grado di interesse e di partecipazione alle attività, il tipo di risposta emotiva di fronte agli eventi ecc. Ai nostri fini, risulta quindi fondamentale ricordare che: - il concetto di competenza implica il coordinamento di risorse interne (conoscenze, abilità e disposizioni interne) che devono essere mobilitate, cioè “trasferite” in relazione ad un compito che ne solleciti l’utilizzazione; - la competenza viene perciò intesa come la capacità di un soggetto, sostenuto da disposizioni motivazionali e affettive positive, di trasferire /orchestrare/mobilitare le proprie conoscenze, le proprie abilità e le proprie attitudini per affrontare efficacemente un compito.
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La competenza come mobilitazione. Principi psicopedagogici Nel seguito riferiremo pertanto dei principi teorici di tipo prevalentemente psicopedagogico che all’interno del discorso didattico possono essere assunti per giustificare una concettualizzazione della competenza coerente con i fattori caratteristici. È infatti in base ai principi scelti all’interno di una teoria che “ha senso” un certo modo di pensare la competenza. La scelta, nel nostro caso, cade su un orientamento di stampo cognitivista. La ragione risiede in un criterio meramente funzionale: tale prospettiva ci sembra particolarmente produttiva al fine di una lettura in chiave didattica, ossia della individuazione di condizioni e prassi per lo sviluppo della competenza in ambito scolastico. Supponiamo di accettare di descrivere la competenza come mobilitazione. Per rendere operativa questa descrizione, tuttavia, dovremmo disporre di una teoria cognitiva della mobilitazione dalla quale dedurre le condizioni per insegnare ai bambini a “saper mobilitare”. Sebbene non disponiamo di una simile teoria, l’evidenza empirica ci induce a ritenere che non esista un “saper mobilitare” universale, o astratto, indipendente dalle determinazioni specifiche della situazione e del soggetto che agisce al suo interno o tale da configurarsi come la risposta ad una situazione-stimolo. Se così fosse, per ottenere comportamenti competenti sarebbe sufficiente allestire didatticamente situazioni che ne richiedano l’esercizio. In altre parole, la mobilitazione sembra non corrispondere, per così dire, ad un’abilità intrapsichica, bensì essa deve essere “educata”, e questa considerazione ci obbliga a formulare un’ipotesi plausibile circa la sua educabilità. Possiamo infatti supporre, non del tutto a torto, che l’incertezza su come educare alla mobilitazione finisca per legittimare la riduzione di un approccio didattico per competenze all’insegnamento diretto delle conoscenze e delle abilità, essendo queste ultime percepite comunque come utili allo scopo. La domanda allora è: come si costruisce la competenza? Facciamo l’ipotesi che imparare a “mobilitare le proprie risorse” riguardi la possibilità del bambino di costituire schemi d’azione progressivamente più ampi e complessi. Una tale ipotesi è coerente con l’assimilazione del concetto di competenza a quello di habitus. In questo senso, acquisire competenze significa divenire capaci di assumere un abito mentale o, come si dice, una forma mentis, che si dà come modalità specifica di interazione con l’ambiente esterno. Ora, se ci riferiamo alla concezione di habitus proposta da Bourdieu nel saggio Per una teoria della pratica, esso è concepito come «sistema di disposizioni durature e trasferibili che, integrando tutte le esperienze passate, funziona in ogni momento come matrice delle percezioni, delle valutazioni e delle azioni, e rende possibile il compimento di compiti infinitamente differenziati, grazie al trasferimento analogico di schemi che
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permettono di risolvere i problemi aventi la stessa forma».10 Dunque, è nei termini dell’assemblaggio di schemi d’azione in rapporto alla pratiche che è possibile concepire la mobilitazione di risorse individuali a cui affidare l’esercizio della competenza. Potremmo anche dire, in ultima analisi, che una competenza è un’orchestrazione tacita di schemi. Gli schemi cui si fa riferimento sono “schemi di azione” nel senso definito da Piaget (per il quale uno schema è la struttura invariante dell’azione. Esso permane nel caso delle ripetizioni, si consolida con l’esercizio e si applica a situazioni che si riferiscono alla stessa struttura). Vergnaud11 rielabora l’idea piagetiana e definisce uno schema operatorio come un’organizzazione invariante dell’attività per una classe di situazioni date. Non si tratta, dunque, di un’azione, ma di un “modello di azione” capace di sostenere e di guidare ogni altra azione particolare. Costruire competenza implica pertanto, in questo caso, un progressivo organizzarsi e stabilizzarsi di “schemi di azione”. L’ipotesi che abbiamo formulato sembra rispondere efficacemente anche ad un’altra evidenza empirica della competenza. Durante le prassi didattiche, infatti, siamo soliti interpretare il comportamento competente di un bambino sia come padronanza rapida e sicura nelle situazioni più ricorrenti, sia come coordinamento e differenziazione delle sue risorse personali per fronteggiare situazioni nuove. Per esempio interpretiamo come comportamento competente il saper quantificare o il saper contare, ma anche il saper risolvere situazioni problematiche di diverso tipo (aritmetico, geometrico, logico, probabilistico ecc.). In altri termini, siamo soliti riconoscere la competenza tanto in una mobilitazione rapida e immediata, pressoché automatica, quanto in una mobilitazione che, al contrario, richiede tempo, sforzo, valutazione, decisione. Questa circostanza corrisponde al fatto che nel processo di assemblaggio di schemi più semplici in schemi più complessi, i primi si stabilizzano progressivamente dando luogo a comportamenti automatici, ossia a mobilitazioni riflesse. Di più. Anche le azioni suscettibili di ragionamenti espliciti, decisioni, prove ed errori, possono gradualmente divenire automatiche trasformandosi per incasellamenti successivi, seppur non necessariamente secondo una progressione lineare, in schemi più complessi. Un esempio per chiarire. La capacità di ciascuno di noi di guidare un’automobile corrisponde in gran parte all’esercizio di una competenza in cui la mobilitazione di risorse cognitive (la
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BOURDIEU P. (2003 - Ed. or. 1972) Per una teoria della pratica, Cortina, Milano, p. 211. VERGNAUD G. (1990) La théorie des champs conceptuels, Recherches en Didactique des Mathématiques, 10, 23, 133-170; Id. (1994), Le rôle de l’enseignant à la lumière des concepts de schème et de champ conceptuel, in.Artigue M. et al., Vinght ans de didactiques en France, Grenoble, La Pensèe Sauvage, pp. 177-191. 11
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conoscenza del veicolo, del funzionamento delle sue parti, dei segnali stradali, la percezione delle distanze e della velocità ecc.) è pressoché automatica. Tuttavia, quando cercavamo di imparare a guidare, pur disponendo di conoscenze sufficienti, ci siamo dimostrati impacciati e incerti a causa della mancata disponibilità di schemi d’azione stabilizzati e compiuti, pronti ad essere mobilitati con rapidità e sicurezza. Al contrario, anche supponendo di fare molta pratica, non è affatto scontato che diveniamo tanto abili da competere da campioni alla guida di una monoposto su un circuito di Formula uno. In altre parole, ciò che in un certo momento corrisponde ad uno schema complesso, compiuto e stabilizzato e che dà luogo ad una mobilitazione riflessa, in un momento precedente dell’apprendimento corrisponde ad un insieme di schemi non ancora organizzati in un modello d’azione. Allo stesso modo, la capacità di conteggio di un bambino di tre o quattro anni, per esempio, si configura come una competenza in quanto richiede il coordinamento di conoscenze (il carattere ricorsivo dei numeri, i nomi dei numeri ecc.) e di abilità (l’associare a ciascun oggetto una e una sola parola numero, applicare il principio di invarianza dell’ordine ecc.), cioè come un’azione suscettibile di percezioni, valutazioni, prove ed errori. Già in seconda elementare la stessa capacità di conteggio si configura invece come una competenza stabilizzata e riflessa pronta ad essere inglobata in una competenza più complessa. Per esempio, la risoluzione di semplici situazioni problematiche di tipo aritmetico. In sintesi, la competenza assume l’andamento di uno schema complesso che dà luogo ad una mobilitazione istantanea, quando è compiuto e stabilizzato; mentre richiede riflessione, deliberazione interiore, ricorso ad aiuti esterni di cose o persone (si pensi allo scaffolding caratteristico della zona di sviluppo prossimale vigotskijana) quando non lo è.
In sintesi Come si costruisce la competenza? Attraverso un progressivo organizzarsi e stabilizzarsi di “schemi di azione”. Che cosa intendiamo per schema d’azione? - per Piaget uno schema è la struttura invariante dell’azione ed esso permane nel caso delle ripetizioni, si consolida con l’esercizio e si applica a situazioni che si riferiscono alla stessa struttura; - per Vergnaud uno schema è un “modello di azione” capace di sostenere e di guidare ogni altra azione particolare. Costruire competenza implica pertanto, in questo caso, un progressivo organizzarsi e stabilizzarsi di “schemi di azione”.
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Sviluppare competenza. Come si educa la mobilitazione Veniamo alle condizioni di educabilità della mobilitazione. Procederemo cercando di derivare logicamente tali condizioni dall’idea di competenza, così come l’abbiamo delineata fin qui. Ne segnaliamo due, tra altre possibili, in quanto più direttamente collegate ad offrire orientamenti per la pratica didattica. La prima condizione riguarda il tipo di situazioni didattiche che consentono effettivamente lo sviluppo e, quindi, l’esercizio di competenza da parte del bambino. Per quanto ovvia, questa condizione va ribadita, dato che spesso assistiamo alla proposta di situazioni che sebbene vengano allestite per lo sviluppo di competenze, consistono in tipologie di compiti che, di fatto, non richiedono quella mobilitazione di risorse interne (cognitive, motivazionali e affettive) caratteristica del comportamento competente. Per quanto riguarda la matematica, la competenza relativa alla risoluzione di problemi costituisce, in questo senso, un esempio eloquente. Sono molte le occasioni, infatti, nelle quali la proposta di situazioni problematiche (che sono tali se sono sufficientemente nuove e sfidanti per il livello di apprendimento dei bambini cui sono rivolte), si riduce allo svolgimento di compiti noti ai quali associare una certa sequenza di azioni anch’essa nota compromettendo, così facendo, la possibilità di coltivare quelle abitudini mentali delle quali è costituita la competenza. Beninteso, da un punto di vista curricolare, la proposta di compiti di tipo riproduttivo è tanto legittima quanto auspicabile, a patto, però, di finalizzarla consapevolmente all’apprendimento ci conoscenze o abilità procedurali, piuttosto che direttamente allo sviluppo di competenze. Di più. La competenza relativa alla risoluzione di problemi è evidentemente “invisibile” fino a che non si sia specificato quale problema, di quale livello di difficoltà o in quale dominio di sapere si colloca; cioè fino a quando, in definitiva, non si sia dato il contesto all’interno del quale se ne richiede l’esercizio. Quest’ultimo, quindi, non rappresenta la competenza in sé (che avrebbe avuto diversa attualizzazione in un diverso contesto) ma un indicatore di quella. L’attenzione all’allestimento di situazioni didattiche adeguate allo sviluppo della competenza, quindi, è anche il presupposto per la loro osservazione e valutazione. Nel caso specifico dell’educazione matematica alla scuola dell’infanzia, occorre fare riferimento a “compiti” che non siano di sicuro successo, ma tali da comportare l’uso delle conoscenze e delle abilità possedute (di qualunque livello esse siano) e l’attivazione di strategie da parte dei bambini. La seconda condizione riguarda la trasferibilità delle conoscenze e attiene il carattere di trasversalità delle competenze. Una delle difficoltà legate al loro sviluppo, infatti, riguarda il processo di decontestualizzazione e ricontestualizzazione delle conoscenze e delle abilità, come se ogni conoscenza e abilità restasse in qualche modo “prigioniera” del contenuto nel quale è stata acquisita, il che non la renderebbe
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disponibile all’uso in altri contesti. Al contrario, pur essendo più o meno generali, le competenze presuppongono il trasferimento di conoscenze e, dunque, si configurano come “trasversali”, seppure a volte si tratti solo di una trasversalità di tipo “locale”, ossia interna ad un ambito di attività specifico, per esempio un certo campo di esperienza. In questo senso, lo sviluppo delle competenze può essere ricondotto a quello della capacità di transfer di conoscenze e abilità. L’educazione alla trasferibilità delle conoscenze costituisce, allora, la seconda condizione. L’assunto implicito consiste, evidentemente, nel riconoscere che la trasferibilità è educabile, o, detto diversamente, che essa non è direttamente e spontaneamente determinata dal possesso di conoscenze e abilità.
In sintesi Come si promuove lo sviluppo di competenze? Come si educa la mobilitazione? Risultano necessarie due condizioni: 1. l’allestimento e la promozione di situazioni didattiche che consentano al bambino lo sviluppo e, quindi, l’effettivo esercizio di competenza: in concreto, per quanto riguarda l’educazione matematica nella scuola dell’infanzia, occorre fare riferimento a “compiti” che non siano di sicuro successo, ma tali da comportare l’uso delle conoscenze e delle abilità possedute (di qualunque livello esse siano) e l’attivazione di molteplici strategie da parte dei bambini; 2. la trasferibilità delle conoscenze: intendiamo, con questa definizione, il processo per il quale vengano previste una decontestualizzazione e una ricontestualizzazione delle conoscenze e delle abilità, al fine di non renderle prigioniere del contenuto nel quale sono state acquisite, ma, al contrario, così da renderle disponibili all’uso in altri contesti (campi d’esperienza).
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Competenze e progettazione curricolare Discutiamo ora due ricadute didattiche di questo modo di concepire lo sviluppo della competenza relative alla progettazione curricolare. In base a quanto abbiamo sostenuto, possiamo rileggere la differenziazione curricolare tra conoscenze, abilità e competenze in rapporto alla nozione di schema giacché, in questa prospettiva, esso ne risulta il comune denominatore. In particolare, il rapporto tra questi tre diversi livelli logici dell’apprendimento12 (Baldacci, 2006) può essere letto nei termini dei progressivi (benché non lineari) assemblaggi di schemi più semplici in schemi più complessi. Ciò porta a discutere sulla disponibilità, il grado di generalità e l’accessibilità di conoscenze già apprese o invia di apprendimento, dato che conoscenze e competenze si sviluppano in modo collaterale (Baldacci, 2006). Dal punto di vista curricolare, la questione è tutt’altro che irrilevante. Nella progettazione del curricolo, infatti, si è soliti articolare gli obiettivi formativi distinguendo tra conoscenze, abilità e competenze. Per esempio, in un certo momento dell’anno scolastico si possono far corrispondere gli obiettivi specifici a certi livelli di padronanza di conoscenze e abilità e gli obiettivi generali a certi livelli di competenze. Questa articolazione intende sottolineare la differenza, dal punto di vista dell’apprendimento, tra conoscenze dichiarative, procedurali e condizionali. Tuttavia, essa potrebbe indurci, erroneamente, ad un’organizzazione linearizzata delle attività didattiche nella quale le competenze vengano sviluppate solo dopo aver assicurato la massima padronanza degli altri due livelli di apprendimento: le conoscenze e le abilità. Al contrario, sebbene l’esercizio di un certo livello di competenza richieda una qualche padronanza di conoscenze e abilità, esso rimane pur sempre il risultato, magari approssimativo, dell’attivazione di schemi complessi i quali, o sono costruiti “in situazione”, come tentativo di affrontare efficacemente il compito a partire dall’attivazione delle conoscenze e delle abilità già possedute (e che funzionano da schemi più semplici), o rischiano di non essere costruiti affatto. Ciò è molto evidente nell’acquisizione di competenza nell’ambito della risoluzione di problemi. È facile intuire che si tratta di una competenza non raggiungibile attraverso il solo svolgimento di compiti di tipo riproduttivo. Sebbene al bambino sia indispensabile una sufficiente padronanza delle conoscenze e delle abilità connesse al problema, la sua risoluzione dipende piuttosto dal saperle coordinare e ciò richiede, ancora una volta, di compiere valutazioni, inferenze, generalizzazioni, analogie.
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BALDACCI M. (2006) Ripensare il curricolo, Carocci, Roma.
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Tutte operazioni, queste, alle quali occorre educare in quanto corrispondenti a mobilitazioni, ossia alla costruzione di schemi complessi, e ciò è possibile solo facendo agire i bambini nell’ambito di situazioni effettivamente problematiche. Per questa via è possibile anche distinguere diversi livelli di complessità, o “ampiezza” delle competenze. Se infatti pensiamo una competenza come orchestrazione di un insieme di schemi, allora schemi d’azione elementari o che implicano un livello modesto di integrazione di elementi conoscitivi e pratici potranno essere intesi come competenze elementari. Si pensi, per esempio, alla capacità di individuare un percorso per andare da A a B. Viceversa, competenze di una certa complessità che richiedono un livello elevato di elementi conoscitivi e pratici comporteranno la mobilitazione di più schemi di percezione, di valutazione e di pensiero che implicheranno inferenze, trasposizioni analogiche, generalizzazioni, ricerca di informazioni pertinenti, formulazione di una decisione o altro. Si pensi, per esempio, alla capacità di effettuare un percorso vincolato a partire dalla lettura di una mappa simbolica. La seconda considerazione discende direttamente dalla prima e riguarda la tipologia di situazioni didattiche alle quali affidare lo sviluppo della competenza. Alla luce di quanto abbiamo detto, poiché gli schemi per la mobilitazione di differenti risorse cognitive si sviluppano e si stabilizzano mediante la pratica, anche la competenza si caratterizza essenzialmente come sapere pratico, nel senso di un’organizzazione che emerge dall’esperienza e per la quale sono necessari elementi conoscitivi e procedurali. Dal punto di vista didattico, è ragionevole supporre che tale organizzazione si costruisca grazie al ripetersi delle azioni in diverse situazioni (che, come tali, presuppongono conoscenze diverse) e ad una sorta di “riflessione” sulle loro caratteristiche, per quanto possibile con bambini di 3-5 anni. per esempio dopo un’attività ci si può chiedere: che cosa abbiamo fatto? che cosa sarebbe successo se avessimo agito in un altro modo? è stato facile o difficile affrontare il compito? come altro potevamo fare? ecc. ciò richiede al bambino di compiere inferenze, valutazioni, prendere decisioni ecc. che si danno come indizi esterni di mobilitazioni interne. In breve, non solo situazioni a forte valenza pratica, ma anche aperte, sfidanti, ridondanti e sovrabbondanti. In altri termini, e in analogia all’interpretazione della competenza come orchestrazione di schemi di azione, le pratiche connesse al suo sviluppo implicano l’orchestrazione di esperienze di concettualizzazione, di acquisizione di conoscenze, di esercizio di abilità, di riflessione critica. Non solo. Il carattere reiterato e “orchestrato” dell’insieme delle esperienze da promuovere didatticamente suggerisce il riferimento, anziché a situazioni a sé stanti, a “famiglie di situazioni.” Questa nozione, vicina a quella di campo concettuale introdotta da Vergnaud (1990), consente, dal punto di vista didattico, di disporre di criteri per la progettazione curricolare delle attività: in particolare, quello che chiameremo della “rete semantica” e quello dell’“analogia”.
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Immaginiamo di costruire una serie di situazioni afferenti al medesimo campo concettuale, per esempio, i numeri o la misura. Ciò comporta, sebbene a livello implicito, la connessione ad una certa rete, più o meno estesa a seconda del grado di avanzamento dell’attività, di concetti, conoscenze, procedure. In quanto appartenenti alla stessa “famiglia”, tali situazioni identificano un medesimo spettro conoscitivo all’interno del quale mobilitare le risorse. Inoltre esse possono essere organizzate secondo gradi diversi di analogia: da situazioni che presentano una sostanziale identità di struttura logica a situazioni del tutto inedite. Se le situazioni sono simili, per l’allievo sarà più facile il riconoscimento e più facile l’adattamento dello schema; se invece sono diverse, esigeranno una più profonda trasformazione dello schema. In sintesi, l’analogia fra situazioni induce sia la ripetizione degli schemi d’azione in contesti noti, sia l’adattamento e l’invenzione in contesti sufficientemente inediti da non rendere disponibile la ripetizione. Di più. Questo adattamento, nel quale rintracciamo la trasversalità del sapere della competenza, è tanto più probabile quanto più la situazione presenta una difficoltà o un ostacolo. Il che rinvia non solo a famiglie di situazioni, ma a famiglie di situazioni sfidanti, progressivamente più complesse e inedite. La questione è cruciale. Se, com’è ovvio, le competenze del bambino sono il risultato delle situazioni in cui gli capita più sovente di trovarsi, allora il problema riguarda prioritariamente la messa informa didattica dei saperi. In linea con una prospettiva di stampo costruttivista, le situazioni didattiche saranno tanto più adeguate quanto più funzioneranno da “sistemi antagonisti”, ossia quanto più agiranno come contesti che impongono aleatoriamente la coniugazione di ripetizione e variazione.
In sintesi La progettazione curricolare comporta - per gli insegnanti - compiere scelte relativamente a che cosa, quando, come e perché insegnare al fine di promuovere conoscenze, abilità e competenze. Nel lavoro quotidiano degli insegnanti, in concreto, tutto ciò corrisponde ad operazioni di selezione e organizzazione dei contenuti di insegnamento (articolati in ambiti educativi o campi d’esperienza), nonché di allestimento di situazioni didattiche finalizzate al raggiungimento di determinati obiettivi (generali o specifici). In analogia all’interpretazione della competenza come orchestrazione di schemi di azione, le pratiche connesse al suo sviluppo implicano l’orchestrazione di esperienze di concettualizzazione, di acquisizione di conoscenze, di esercizio di abilità, di riflessione critica.
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Le competenze matematiche Le considerazioni precedenti ci permettono di circoscrivere l’idea di competenza. Tuttavia ci chiediamo: quando una competenza può dirsi disciplinare o relativa ad un campo di esperienza specifico? In quanto “competenza”, quella disciplinare trattiene in sé qualche cosa di “generale” (che riguarda in senso a-disciplinare l’idea stessa di competenza) e qualche cosa di specifico (che riguarda l’ambito di attività all’interno del quale essa viene riferita). La competenza disciplinare è tale in quanto si sviluppa nell’ambito di uno specifico dominio (per noi il campo di esperienza della matematica) attraverso compiti che ne presuppongono le conoscenze e ne riflettono la specifica modalità di pensiero. Essa rappresenta cioè il repertorio di conoscenze, abilità e disposizioni interne che riteniamo di dover fare acquisire in un certo ambito e che riflette, in senso sia oggettivo sia soggettivo, il valore formativo della disciplina. Dal punto di vista didattico, dunque, possiamo far dipendere il significato di competenza disciplinare dalle caratteristiche dello specifico sapere. D’altra parte, l’insegnamento di una disciplina consiste (o dovrebbe consistere) proprio nella sua acquisizione come forma di cultura, come prospettiva conoscitiva o, per dirla con Bruner, come “utensile” intellettuale per interpretare e agire nella realtà. Questo è possibile, tuttavia, a patto di una trasposizione autentica della disciplina, capace di rifletterne la natura epistemologica e il senso formativo. Dobbiamo dunque innanzitutto interrogarci sulla disciplina, su quali sono le sue caratteristiche, come sono relazionate tra loro, quali sono le pratiche che vale la pena insegnare e apprendere. La possibilità di rispondere a queste domande comporta che le competenze siano pensate congiuntamente all’oggetto da studiare, il che equivale a sostenere che un modello delle competenze disciplinari presuppone l’assunzione di un modello epistemologico della disciplina. Se come modello epistemologico della disciplina assumiamo, intuitivamente, il sistema logicamente organizzato dei suoi oggetti, dei suoi metodi e dei suoi linguaggi, allora potremmo caratterizzare il sistema di competenze relativo al campo di esperienza matematico in senso contenutistico, linguistico e metodologico: ciò significa individuare, rispettivamente, le competenze relative alla padronanza e all’uso di concetti e regole; all’uso rappresentativo e comunicativo di codici e registri linguistici diversi; all’adozione progressivamente più evoluta di schemi mentali e di strumenti intellettuali per la costruzione di nuove conoscenze. L’adesione ad un modello epistemologico della disciplina determina, di conseguenza, anche un’opzione curricolare che ruota intorno a nuclei tematici fondamentali, ossia ad oggetti, modi di operare e principi che strutturano la disciplina in senso storico-
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epistemologico, e che contemporaneamente ne supportano l’apprendimento in senso psicologico-didattico. Dal punto di vista operativo, organizzare curricolarmente la disciplina secondo criteri di essenzializzazione significa individuare aree tematiche omogenee e unitarie, saperi-chiave rappresentativi delle strutture concettuali e metodologiche della disciplina. Classicamente, per il campo di esperienza matematico: i numeri, lo spazio, la misura, la probabilità, la logica, i problemi. Tuttavia, è utile osservare che ciò non significa necessariamente far corrispondere il repertorio delle competenze a quello dei suoi nuclei fondamentali, pur essendo le competenze disciplinari complessivamente comprensive del riferimento ad essi. I nuclei non si insegnano come si insegnerebbero delle nozioni. In quanto corrispondono alle dimensioni epistemologiche della disciplina essi sono piuttosto funzionali ad esprimerne il “senso”, come specifica modalità di leggere e interpretare la realtà. Da questo punto di vista, l’organizzazione curricolare (dei saperi e delle competenze) in direzione epistemologica si fa strumento di coordinazione pluridimensionale della componente epistemologica e didattica della disciplina. L’attributo “disciplinare” associato al termine competenza, dunque, allude a qualche cosa di definito dalla disciplina stessa: è proprio in base alle caratteristiche del sapere matematico, infatti, che è possibile individuare il significato di “competenza matematica”. D’altra parte, l’educazione matematica consiste (o dovrebbe consistere) proprio nell’acquisizione della disciplina come forma di cultura, come prospettiva conoscitiva per interpretare e agire nella realtà. Questo è possibile, tuttavia, a patto di una trasposizione autentica della disciplina, capace di rifletterne la natura epistemologica e il senso formativo. A titolo esemplificativo, se individuiamo i nuclei tra le componenti correlative dell’epistemologia della disciplina, ossia tra oggetti, linguaggi e metodi, allora tra le competenze di carattere contenutistico possiamo segnalare: la capacità di comprendere e utilizzare concetti; di riconoscere proprietà invarianti, analogie e differenze tra oggetti e situazioni differenti; le competenze di carattere linguistico, invece, concernono l’uso del linguaggio matematico, dapprima intuitivo e del tutto interno alla lingua naturale, poi progressivamente più consistente ed esplicito attraverso l’uso di diversi codici (verbale, simbolico, figurale, grafico, ecc.). Infine, tra le competenze di carattere metodologico si possono segnalare: la costruzione di significati secondo procedimenti di tipo induttivo o deduttivo; la individuazione degli elementi caratterizzanti un problema; il riconoscimento degli elementi di essenzialità di una situazione oggetto di osservazione; la formulazione di strategie risolutive di differenti classi di problemi ecc. Osserviamo, a margine, che queste specificazioni attributive corrispondono ad una possibile categorizzazione “orizzontale” delle competenze matematiche (nel senso che a ciascuna specificazione si riconosce il medesimo valore da un punto di vista
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formativo). Ciascuna di tali specificazioni dovrebbe essere declinata poi in direzione “verticale”, nel senso di individuare, secondo criteri di progressività, competenze adeguate ai processi di apprendimento dei bambini di diverse età. Nel concreto dell’azione didattica, infatti, il riferimento non è a competenze “assolute”, ma solo a competenze “relative”, cioè a “livelli di competenza” di volta in volta adeguati ai soggetti e ai contesti. Ciò dipende, ancora una volta, dal carattere complesso delle competenze matematiche (ma in generale delle competenze disciplinari) per le quali, almeno nella scuola dell’infanzia, non è opportuno stabilire univocamente indicatori e soglie di padronanza. In direzione epistemologica si muove anche Juan Godino13 il quale lega la corrispondenza tra caratteristiche del sapere e competenze matematiche a tre aspetti distinti. 1. La matematica è un’attività umana che implica la soluzione di problemi. Gli oggetti, le tecniche, le regole e le loro giustificazioni evolvono a partire dalla ricerca di soluzioni a problemi che, quindi, costituiscono un dispositivo epistemologico generativo della stessa disciplina. Analogamente, saper porre e risolvere problemi rappresenta una specifica competenza matematica che richiede, oltre alla padronanza di diversi contenuti e l’esercizio di differenti abilità (applicative o strategiche) anche la messa in atto di disposizioni interne (atteggiamenti motivazionali e affettivi) che consentano all’allievo, negli anni, di accedere, utilizzare e controllare le proprie risorse. 2. La matematica utilizza diversi codici linguistici (quello della lingua naturale, quello figurale, quello simbolico) a scopo sia comunicativo, sia strumentale. Analogamente, saper utilizzare i mezzi linguistici matematici come una modalità rappresentativa e comunicativa corrisponde ad una competenza matematica di fondamentale importanza per poter pensare e agire matematicamente. 3. La matematica è un sapere costituito da un sistema regole organizzato in modo formale, logico e unitario. Analogamente, comprendere e saper utilizzare regole, sapersi muovere all’interno dei paradigmi da queste definiti, esprime una precisa competenza matematica, utile a collocare in maniera pertinente oggetti e problemi nell’ambito di certi domini conoscitivi. In sintesi, sulla base dell’analisi offerta da Godino, è possibile in generale individuare almeno tre diverse tipologie di competenze matematiche: le competenze legate alla componente “pratica” dell’attività matematica, relativa ai problemi e alle procedure per la loro soluzione; le competenze legate alla componente “teorica” della 13
GODINO D. J. (2002) Competencia y comprensión matemática: Qué son y como se consiguen?, Uno, 29, 9. Una traduzione in italiano è apparsa su La matematica e la sua didattica, 1 (2003) 4-16.
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matematica, relativa ai sistemi di regole e, laddove è possibile, di giustificazione formale; infine le competenze legate alla componente “linguistica” della matematica, relativa all’uso dei diversi registri del linguaggio matematico. Tali componenti, che evidentemente trovano una diversa formulazione nei diversi ordini scolastici, suggeriscono comunque, anche per la scuola dell’infanzia, un’aderenza della trasposizione didattica del sapere matematico alla disciplina. Aderenza espressa operativamente, dal nostro punto di vista, dall’individuazione dei nuclei fondamentali della disciplina sui quali articolare il percorso curricolare.
In sintesi La competenza disciplinare: -
Quella che si sviluppa nell’ambito di uno specifico dominio (nel nostro caso nel campo di esperienza della matematica) attraverso compiti che ne presuppongono le conoscenze e ne riflettono la specifica modalità di pensiero;
-
rappresenta il repertorio di conoscenze, abilità e disposizioni interne che riteniamo di dover fare acquisire in un certo ambito e che riflette, in senso sia oggettivo sia soggettivo, il valore formativo della disciplina.
Le competenze matematiche: ne distinguiamo almeno tre diverse tipologie: 1. competenze legate alla componente “pratica” dell’attività matematica, relativa cioè ai problemi e alle procedure per la loro soluzione; 2. competenze legate alla componente “teorica” della matematica, relativa cioè ai sistemi di regole e, laddove è possibile, di giustificazione formale; 3. competenze legate alla componente “linguistica” della matematica, relativa cioè all’uso dei diversi registri del linguaggio matematico.
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2. Traguardi di apprendimento. Competenze generali e obiettivi specifici
In questa parte si analizza come declinare alcuni esempi di competenze generali in obiettivi specifici relativi ai nuclei fondanti della Matematica, che verranno poi ripresi nella terza parte con esempi concreti di situazioni didattiche. Ovviamente non riteniamo esaustivo l’elenco delle competenze generali presentate: intendiamo offrire alcune possibili tracce di lavoro, che a nostro avviso sembrano più significative.
NUMERI Competenza generale Sa classificare, raggruppare e quantificare una raccolta di elementi.
Obiettivi specifici -
Saper riconoscere uguaglianze tra due oggetti o persone (ha lo stesso colore, stessa forma, stessa età...).
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Saper costruire raccolte di oggetti (insiemi) con una caratteristica di uguaglianza.
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Saper individuare se un oggetto appartiene o no ad una raccolta data.
-
Saper mettere in corrispondenza oggetti tra due insiemi (relazioni).
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Saper riconoscere uguaglianze tra tre oggetti.
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Saper riconoscere la caratteristica utilizzata in una raccolta (insieme) data.
-
Saper raggruppare in base al possesso o alla mancanza di un attributo.
-
Saper stabilire relazioni tra due raggruppamenti.
-
Saper riconoscere insiemi equipotenti (in relazione biunivoca).
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Saper raggruppare per due, per tre, per quattro…
-
Saper raggruppare gli stessi oggetti (da due a cinque) per più caratteristiche, e riconoscere nell’insieme dato la caratteristica del raggruppamento.
-
Saper esprimere verbalmente con un numero la numerosità di un insieme.
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Saper utilizzare i simboli numerici fino a…
-
Saper rappresentare correttamente il numero.
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Osservazioni Il saper riconoscere l’uguaglianza tra due e tra tre oggetti sono stati distinti in quanto implicano rispettivamente l’uso implicito da parte del bambino delle proprietà simmetrica e transitiva: l’insegnante deve però essere consapevole di questo fatto, in modo da poter presentare al momento opportuno situazioni problematiche adatte all’obiettivo da raggiungere. Non viene indicato fino a quale numero il bambino debba saper contare perché sia l’ambiente in cui il bambino vive sia la frequenza con cui l’insegnante propone attività relative al numero possono far variare in maniera molto ampia questo limite. L’ultimo obiettivo prevede la rappresentazione del numero in quanto punto di arrivo del percorso, pur non essendo esplicitamente indicato nella competenza. Riteniamo che tutti i percorsi relativi al numero debbano portare a una simbolizzazione e lettura dei numeri stessi, anche se siamo consapevoli del fatto che non tutti i bambini sono in grado di raggiungere gli stessi livelli con gli stessi tempi. Vogliamo soltanto ricordare alcune tra le innumerevoli occasioni in cui il bambino è chiamato ad occuparsi di numeri: il telecomando della televisione che lui usa, il telefono cellulare di chi gli è vicino, le età dei parenti ed amici più prossimi, le pubblicità e le insegne che vede per strada o in televisione. Si deve a nostro avviso rivalutare fortemente il ruolo dell’extrascuola, per evitare di annoiare i bambini proponendo situazioni di gioco poco stimolanti ed interessanti. Competenza generale Sa eseguire ordinamenti, quantificazioni e rappresentazioni di esse.
Obiettivi specifici
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-
Riconoscere le differenze tra 2 oggetti (è più lungo, è più alto, è più pesante….).
-
Saper confrontare, ad occhio, piccole raccolte (max 6 oggetti) stabilendo relazioni del tipo: è più numeroso…, ci sono più…, ci sono tanti… quanti…, contiene di più…
-
Saper rappresentare situazioni concrete utilizzando i quantificatori numerici (uno, pochi, tanti, tanti- quanti…).
-
Saper seriare 5-6 oggetti in base ad una caratteristica.
-
Saper individuare la caratteristica utilizzata in una serie già data.
-
Saper fare relazioni del tipo: ne ha uno in più, ne ha uno in meno, hanno lo stesso numero.
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-
Saper mettere in ordine raccolte (max 4) di oggetti per numerosità (dal più numeroso al meno numeroso o viceversa).
-
Saper mettere in ordine i simboli numerici fino al…
-
Saper costruire relazioni transitive.
-
Saper rappresentare correttamente la sequenza numerica fino al numero…
Osservazioni I primi obiettivi potrebbero sembrare gli stessi della competenza 1, ma in realtà qui mettiamo l’attenzione sugli elementi di disuguaglianza (e non di uguaglianza) necessari per creare una successione. La disuguaglianza consente di operare per seriazione, ordinando una raccolta data ed operando con l’aspetto ordinale del numero. In alcuni obiettivi dove si richiede di ordinare o seriare un certo numero di oggetti specifichiamo il numero perché il bambino possa avere il controllo anche visivo della situazione. Nel caso di ordinamento di raccolte per numerosità, il numero indicato è minore in quanto la situazione è più complessa da gestire. Competenza generale Riconosce la ricorsività, anche quella numerica.
Obiettivi specifici -
Riconoscere regolarità e ritmi.
-
Saper riprodurre con il corpo o con i suoni semplici ritmi.
-
Saper costruire un ritmo dati alcuni oggetti.
-
Saper individuare l’oggetto ricorsivo in una successione data.
-
Saper riconoscere l’aspetto ricorsivo nei numeri.
-
Saper individuare invarianze in successioni date.
-
Saper rappresentare semplici sequenze.
Osservazioni È importante nella rappresentazione grafica del ritmo rappresentare anche la pausa; la pausa nei suoni ha una funzione analoga a quella dello zero nella notazione posizionale dei numeri. Inoltre riteniamo utile portare l’attenzione sul fatto che lo tesso brano prestato con un ritmo lento o veloce può sembrare molto diverso, quindi è necessario trovare uno stratagemma per una sua rappresentazione.
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GEOMETRIA Competenza generale Localizza oggetti ed effettua spostamenti nello spazio rispetto a se stesso e rispetto ad altri oggetti, sa controllare linguisticamente tali operazioni.
Obiettivi specifici -
Situarsi ed esprimere la propria posizione in rapporto a se stessi.
-
Orientarsi nello spazio (sono a destra di…).
-
Situare ed esprimere la posizione di un oggetto o di una persona in rapporto a se stessi (la sedia è davanti a me…).
-
Localizzare ed esprimere l’orientamento di un oggetto o di una persona in rapporto a se stessi (la sedia e alla mia sinistra…).
-
Localizzare ed esprimere uno spostamento in rapporto a se stessi (salire, scendere, avanzare, passare dietro a).
-
Descrivere posizioni relative o spostamenti con l’aiuto di indicatori spaziali e in relazione a riferimenti stabiliti (la poltrona è di fronte alla televisione, a destra di…).
-
Descrivere un ambiente vicino con un vocabolario preciso.
-
Rappresentare lo spazio di un ambiente vicino (disegno di osservazione, mappa, plastico).
-
Utilizzare riferimenti spaziali.
-
Collocare oggetti in rapporto ad altri oggetti.
-
Distinguere dei punti di riferimento per posizionare oggetti nello spazio.
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Collocare indipendentemente dalla propria posizione nello spazio un oggetto in rapporto ad un altro.
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Collocare un oggetto in rapporto ad un altro nel piano.
-
Collocare un oggetto in rapporto ad un altro nello spazio.
-
Utilizzare un vocabolario preciso.
Osservazioni In questi obiettivi è implicita la Topologia: ricordiamo che sono dicotomie topologiche dentro-fuori, linea aperta-linea chiusa, e che sono invarianti topologici l’intersezione, l’appartenenza di un punto, i confini, le regioni… Contrariamente a quanto si crede non sono dicotomie topologiche destra-sinistra, vicino-lontano, sopra-sotto, davanti-dietro.
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Destra-sinistra, sopra-sotto, davanti-dietro sono relazioni spaziali che dipendono dal punto di vista dell’osservatore: anche su queste relazioni è utile proporre attività, evitando però errori e misconcezioni. È utile a nostra parere per il raggiungimento di questi obiettivi sollecitare il bambino a immaginare che cosa vedrebbe se si trovasse in altre posizione (al posto di un compagno, sopra una scala, affacciato ad una finestra…). In questo modo si avvia, attraverso l’immaginazione, un processo di astrazione. Competenza generale Esegue, descrive o rappresenta un semplice percorso
Obiettivi specifici -
Seguire un percorso descritto oralmente.
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Descrivere un percorso compiuto.
-
Rappresentare un percorso compiuto (plastico, mappa, disegno…).
-
Eseguire un percorso seguendo le indicazioni di una mappa.
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Dare indicazioni perché un compagno esegua un percorso.
Osservazioni L’insegnate deve essere consapevole che per il bambino saper eseguire, descrivere verbalmente, rappresentare su foglio o con un plastico un percorso richiedono abilità molto diverse, per cui l’errata rappresentazione grafica di un percorso non implica necessariamente che egli non abbia fatto propri i concetti topologici o spaziali relativi alle attività svolte. Quindi invitiamo a non valutare il bambino dalla rappresentazione grafica del percorso eseguito. Lo spazio in cui il bambino effettua il percorso è tridimensionale: è pertanto utile prima di passare alla rappresentazione su foglio (bidimensionale) ricreare anche simbolicamente il percorso in 3D. Infine il dare indicazioni relativamente ad un percorso che un compagno deve eseguire prevede estrema chiarezza, l’uso di un linguaggio chiaro e decodificabile da parte di chi ascolta, la sequenza corretta delle azioni da svolgere: è pertanto un obiettivo di livello elevato, che non tutti i bambini di cinque anni riescono a conseguire.
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Competenza generale Riconosce, classifica e nomina forme solide presenti nella vita reale (cubo, cono, cilindro, parallelepipedo…).
Obiettivi specifici -
Riconoscere le forme solide nella vita reale.
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Saper classificare le forme solide.
-
Riconoscere, con il tatto (ad occhi chiusi), le forme solide della vita corrente.
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Confrontare tra loro le forme solide e cogliere differenze e analogie.
-
Memorizzare il nome delle forme solide.
-
Riconoscere le forme solide qualunque sia la loro dimensione o orientamento nello spazio.
-
Classificare le forme solide secondo criteri dati.
-
Manipolare le forme solide.
Osservazioni Da anni la ricerca in Didattica della Matematica consiglia di introdurre la Geometria a partire dal tridimensionale in quanto l’esperienza che ognuno di noi ha fin dai primi anni è appunto in tre dimensioni. Tra l’altro, la manipolazione avviene con oggetti solidi e le forme piane si possono ottenere solo con proiezioni opportune di essi. Il riferimento alla presentazione di figure solide orientate in vario modo nello spazio consente di non creare stereotipi nel bambini e perciò agevola il riconoscimento della figura anche in situazioni non standard.
Obiettivo generale Riconosce, classifica e nomina forme geometriche piane presenti nella vita reale (quadrato, triangolo, rettangolo, cerchio…)
Obiettivi specifici
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-
Riconoscere le forme geometriche piane nella vita quotidiana.
-
Riconoscere con il tatto (ad occhi chiusi) le forme geometriche piane.
-
Confrontare tra loro le forme geometriche piane per individuare differenze e analogie.
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Memorizzare il nome delle forme geometriche piane (quadrato, triangolo, cerchio, rettangolo…).
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Riconoscere le forme geometriche piane qualunque sia la loro dimensione e orientamento nello spazio.
-
Classificare le forme geometriche piane.
-
Classificare le forme geometriche piane secondo criteri dati.
-
Manipolare le forme geometriche piane.
Osservazioni È opportuno ricordare che nella realtà siamo soliti considerare piana ogni figura che abbia la terza dimensione trascurabile o molto ridotta rispetto alle altre due: è astrazione, dal momento che nessun oggetto reale è privo della terza dimensione. Quando parliamo di manipolazione di figure piane o di loro riconoscimento al tatto intendiamo fare riferimento a figure di questo tipo o per lo meno a facce di solidi. Non è certo necessario esplicitare al bambino questa osservazione, ma è importante che l’insegnante ne sia consapevole, per poter gestire eventuali fraintendimenti.
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PROBABILITÁ E STATISTICA Competenza generale Sa prevedere gli eventi in caso di incertezza e rappresentarli Obiettivi specifici - Saper riconoscere in situazioni di gioco i termini “possibile”, “impossibile”, “certo”. -
Saper comprendere il significato dei termini “possibile”, “impossibile”, “certo”.
-
Saper utilizzare in maniera appropriata i termini “possibile”, “impossibile”, “certo”.
-
Saper riconoscere in condizioni di gioco la maggiore o minore probabilità di un evento.
-
Saper comprendere il significato dei termini “è più/meno probabile”.
-
Saper utilizzare in maniera appropriata i termini “è più/meno probabile”.
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Saper riconoscere e comprendere in situazioni ludiche la stessa probabilità di un evento.
-
Saper rappresentare con semplici diagrammi le uscite di un evento.
-
Saper compiere osservazioni e rilevamenti statistici semplici.
Osservazioni Sappiamo per esperienza che gli insegnanti di scuola dell’infanzia ritengono questo nucleo difficile da affrontare in quanto pensano richieda l’uso di una Matematica “alta”, che quasi mai viene affrontata durante il corso di studi. In realtà gli obiettivi sono di tipo linguistico e logico-strategico, quindi facilmente raggiungibili da parte dei bambini tramite la ripetizione assidua delle attività proposte accompagnata da domande che sollecitino il ragionamento e la scelta delle strategie di gioco. I giochi relativi alla probabilità, oltre ad essere molto coinvolgenti, possono essere proposti sin dai tre anni, ovviamente con gli adeguati adattamenti. Competenza generale Sa costruire e rappresentare semplici combinazioni di eventi. Obiettivi specifici
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Riuscire a scoprire combinazioni proposte mediante semplici giochi.
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Saper rappresentare le combinazioni precedentemente scoperte.
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-
Saper rappresentare le combinazioni di attività di routine.
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Saper prevedere quale probabilità di combinazione è più o meno alta.
Osservazioni Gli obiettivi di combinatoria e probabilità si prestano all’introduzione e all’applicazione dei connettivi logici “e – o – non”, mentre l’implicazione logica “se…, allora…” ci sembra essere un obiettivo un po’ troppo elevato per questa fascia di età. Tra i vari modi di rappresentare combinazioni di eventi la tabella a doppia entrata risulta essere uno strumento agile ed efficace. I bambini imparano in tempi rapidi e senza difficoltà ad usarlo. Utile è anche il grafo ad albero, se non sono rappresentate troppe alternative, cioè se non sono presenti troppi “rami”.
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MISURA Competenza generale Riconosce ciò che può essere misurato in un oggetto.
Obiettivi specifici -
Riconoscere le qualità che possono essere misurate in un oggetto ossia le grandezze misurabili.
-
Riconoscere in oggetti diversi la stessa qualità che può essere misurata.
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Individuare tali qualità mediante un linguaggio appropriato.
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Favorire la nascita del colpo d’occhio.
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Saper classificare gli oggetti in base alla grandezza misurabile scelta e condivisa.
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Saper ordinare dal maggiore al minore e viceversa degli oggetti rispetto ad una grandezza misurabile.
Osservazioni L’aspetto fondamentale di questa competenza è il riconoscimento della misurabilità o meno di una qualità che richiama nella teoria degli insiemi il criterio oggettivo e non soggettivo di appartenenza o meno di un insieme. Sono qualità misurabili l’altezza, lo spessore, il peso, la capacità…; non sono qualità misurabili la bontà, la bellezza, la sincerità… Abituare il bambino a valutare a colpo d’occhio la misura di una determinata grandezza lo porterà in futuro a sviluppare la capacità di fare stime sugli ordini di grandezza. Quando si parla di confronti spesso si usa il termine “grande” che però è fonte di notevole ambiguità: consigliamo di usare il termine specifico relativo alla grandezza che si sta considerando (alto, largo, spesso, capiente…) Competenza generale Sa compiere semplici misurazioni con strumenti convenzionale e non. Obiettivi specifici
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Saper confrontare direttamente una grandezza misurabile con un’unità di misura scelta.
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Saper compiere misurazioni con parti del proprio corpo.
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Saper scegliere uno strumento di misura adeguato alla grandezza misurabile.
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Saper compiere misurazioni con uno strumento non convenzionale.
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Saper compiere misurazioni con uno strumento convenzionale.
Osservazioni Le misurazioni nella vita quotidiana sono frequenti, ma questo non implica che misurare sia un fatto semplice. È importante che i bambini esplicitino le loro esperienze riguardanti le procedure relative alla misura. La scelta di un’unità di misura omogenea può essere arbitraria o convenzionale: arbitraria significa che persone diverse possono scegliere unità di misure diverse; convenzionale è l’unità di misura adottata universalmente. Le attività relative alla misura possono prevedere confronti (per sovrapposizione, inserimento di un oggetto in un altro, accostamenti) oppure vere e proprie misurazioni con conteggio: queste ultime si possono quindi affrontare quando i bambini sono in grado di contare con sufficiente autonomia, perché possano concentrarsi sulla procedura del misurare senza difficoltà di altro genere.
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PROBLEMI Nel percorso di formazione si è scelto di non affrontare questa parte della Matematica come un nucleo a sé stante, ma piuttosto di vederla come metodologia di lavoro trasversale utile a stimolare il bambino all’approccio di situazioni di gioco inusuali e che presentassero una difficoltà da superare, cioè un “problema” da risolvere. La nostra è, quindi, una visione del problema di tipo strutturale, che lo assume come costrutto epistemologico e metodologico intorno al quale articolare le pratiche di organizzazione curricolare. Nel corso delle attività proponiamo quindi di porre spesso domande del tipo “Che cosa succederebbe se/se non…?” “E se…?” “E se non…?” per portare il bambino ad esplicitare i propri pensieri, a fare ipotesi, ad elaborare nuove strategie e a sviluppare il pensiero critico. Nella scuola dell’infanzia, non è ancora presente in maniera vincolante il contratto didattico legato alla soluzione dei problemi di tipo tradizionale. Quando un’insegnante presenta una situazione problematica il comportamento dei bambini in genere si differenzia: alcuni di loro tentano una soluzione (con modalità spontanee, non preconfezionate dall’insegnante), ma altri che non sentono il testo-stimolo come una sollecitazione a trovare una soluzione, lo vedono come una narrazione, e si comportano di conseguenza. Comunque parrebbe di poter dire che i problemi hanno diritto di cittadinanza nella scuola dell’infanzia, anzi, l’affrontare situazioni problematiche può contribuire non poco allo sviluppo delle potenzialità cognitive dei bambini. Ad un patto: che si faccia lo sforzo di liberarsi da una visione ingessata dei problemi, talvolta racchiusi in formalismi e procedure eccessivi che alla fine rendono asfittica la curiosità, l’intuizione, la forza del ragionamento. Competenza generale Sa riconoscere una situazione problematica e formulare strategie per risolverla.
Obiettivi specifici
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Saper riconoscere la situazione problematica tra due proposte.
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Saper descrivere una situazione problematica vissuta.
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Saper rappresentare una situazione problematica vissuta
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Saper scegliere una strategia risolutiva tra quelle proposte (dall’insegnante o dai compagni)
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Saper trovare autonomamente strategie risolutive
L’educazione matematica nella scuola dell’infanzia
-
Saper esplicitare la strategie risolutiva adottata
-
Saper determinare se una situazione problematica ha o non ha soluzioni
Osservazioni I bambini di questa fascia di età hanno un’idea di problema legata a fatti gravi, di solito malattie o incidenti, con riferimenti legati alla vita quotidiana. Non hanno ancora l’idea di problema inteso in senso scolastico. Qualche volta il problema comprende il saper risolvere un gioco in cui ci siano dei numeri: gioco dell’oca, carte, dadi... È quindi bene proporre situazioni problematiche piuttosto che problemi strutturati in maniera rigida, per evitare che nasca anzitempo il contratto didattico. In queste attività notevole importanza è rivestita dalla discussione per capire come i bambini giungono ad applicare determinate strategie; è importante anche per l’insegnante perché così può risalire al ragionamento che ha portato ad una determinata conclusione. L’ultimo obiettivo indicato è di notevole importanza in quanto crea nel bambino la consapevolezza che non sempre si può avere una soluzione per i problemi che si incontrano e quindi lo aiuta ad avere una maggiore elasticità mentale.
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L’educazione matematica nella scuola dell’infanzia
3. Dalle competenze alle attività NUCLEI
OBIETTIVI
Sa classificare, raggruppare e quantificare una raccolta di elementi.
TITOLO ATTIVITÀ
“La raccolta di materiali nel giardino della scuola” “Le scatole dei numeri”
NUMERI
Sa eseguire ordinamenti, quantificazioni e rappresentazioni di esse. Riconosce la ricorsività anche quella numerica. Localizza oggetti ed effettua spostamenti nello spazio rispetto a se stesso e rispetto ad altri oggetti, sa controllare linguisticamente tali operazioni.
GEOMETRIA
PROBABILITÀ
MISURA
PROBLEMI
Esegue, descrive o rappresenta un semplice percorso.
“I tappi colorati”
“Il tempo”
“Gli oggetti si spostano”
“Percorsi”
Riconosce, classifica e nomina forme solide presenti nella vita reale (cubo, cono, cilindro, parallelepipedo…).
“Dal 3D al 2D con i solidi della psicomotricità”
Riconosce, classifica e nomina forme geometriche piane presenti nella vita reale (quadrato, triangolo, rettangolo, cerchio…)
“La storia di Pezzettino”
Sa prevedere gli eventi in caso di incertezza e rappresentarli.
“Il gioco dei bruchi”
Sa costruire e rappresentare semplici combinazioni di eventi.
“Cosa mangiamo oggi?”
Riconosce ciò che può essere misurato in un oggetto.
“Misuriamo le parole”
Sa compiere semplici misurazioni con strumenti convenzionale e non.
“Che cosa serve per misurare”
Sa riconoscere una situazione problematica e formulare strategie per risolverla.
“Il gioco dei barattoli”
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NUMERI: “La raccolta di materiali nel giardino della scuola” Competenza generale Sa classificare, raggruppare e quantificare una raccolta di elementi.
Obiettivi specifici -
Saper riconoscere uguaglianze tra oggetti.
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Saper costruire raccolte di oggetti (insiemi) con una caratteristica di uguaglianza.
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Saper individuare se un oggetto appartiene o no ad una raccolta data.
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Saper riconoscere la caratteristica utilizzata in una raccolta (insieme) data.
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Saper raggruppare in base al possesso di un attributo.
Metodologie di lavoro e organizzazione L’attività è stata svolta con i bambini di tre anni durante la mattina per cinque giorni consecutivi; il lavoro aveva una durata di circa venti minuti. L’uscita in giardino è stata essenziale per lo svolgimento dell’esperienza e per la sua rielaborazione in sezione. Sono stati necessari dei secchielli, per raccogliere il materiale all’aperto, e delle vecchie riviste.
Attività Fase 1 Si portano i bambini in giardino, un’occasione speciale potrebbe essere l’autunno, ma va bene qualsiasi altro momento dell’anno. Dopo aver osservato il giardino si mostrano loro i secchielli con i rispettivi simboli: uno con la foglia, uno con il sasso, uno con il rametto, uno con il fiore e si assegna loro il comando: “Dovete cercare del materiale e metterlo nel secchiello giusto”. I bambini a quel punto partono per la loro caccia al tesoro portando ogni volta ciò che trovano e dopo averlo osservato decidono dove metterlo. Le maestre non intervengono in maniera direttiva se un bambino sbaglia, ma con domande stimolo aiutano i bambini incerti su dove sistemare il loro tesoro. A questo punto si riportano i secchielli con il materiali in sezione. Fase 2 La volta successiva riprendiamo i secchielli e dopo aver controllato insieme ai bambini che il materiale contenuto in ogni secchiello sia appropriato, lo si attacca su un cartellone con il rispettivo simbolo. Quindi si avranno il cartellone delle
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foglie, il cartellone dei rametti, il cartellone dei fiori e quello dei sassi. Alla fine ogni bambino ha riprodotto su un foglio il gruppo/insieme che a lui piace di più. Fase 3 Si riportano i bambini in giardino, ma questa volta dividendoli a piccoli gruppi, massimo tre; si assegna a ciascuno di loro un secchiello con uno dei simboli già noti. Partono per la caccia al tesoro cercando di riempire il loro secchiello. Dopo un tempo stabilito dalle insegnanti, li richiamiamo e controlliamo tutti insieme l’esattezza del contenuto di ciascun secchiello senza, come sempre, dichiarare sbagliato un elemento inesatto, ma facendoli arrivare a riconoscere da loro stessi, attraverso domande guida, che l’oggetto “non appartiene” a quel gruppo/insieme. Fase 4 La volta successiva in sezione presentiamo ai bambini dei secchielli realizzati con il cartoncino bristol, in ogni secchiello ci sarà il simbolo ormai noto ai bambini. Forniamo loro delle vecchie riviste dalle quali dovranno ritagliare gli oggetti che dovranno inserire nei vari secchielli. Controlliamo sempre che ciò avvenga eseguito in maniera appropriata e interveniamo al momento giusto con domande stimolo e guida.
Verifica Ogni volta che i bambini hanno raccolto e classificato gli elementi abbiamo avuto la possibilità sia di verificare sia di valutare l’avvenuta acquisizione degli apprendimenti. Possiamo comunque creare una verifica su misura; diamo ad ogni bambino una scheda con disegnati 4 secchielli con i 4 simboli ormai conosciuti. Forniamo loro delle figure che rappresentino gli elementi raccolti. La consegna sarà di inserire, incollando, le figure nel secchiello giusto.
Possibile prosecuzione L’attività può proseguire inserendo nelle raccolte note ai bambini un intruso; loro dovranno riconoscere e motivare perché quell’oggetto non può appartenere a quella raccolta. Questa caccia all’intruso si ripeterà più volte in modo tale da farlo sperimentare a tutti bambini o per lo meno fino a quando il gioco attira l’interesse dei bambini stessi. Inoltre potremmo creare altre raccolte con gli oggetti della sezione, ma questa volta saranno i bambini stessi ad individuare la caratteristica del gruppo/insieme. Quindi creiamo nell’aula o delle ceste con i simboli o delle casette dove inseriamo i vari oggetti della raccolta. E non si sa mai che una notte una strega dispettosa non venga e metta tutto in disordine? O che porti nelle casette degli oggetti misteriosi?....
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Si può continuare così a sviluppare e approfondire l’argomento di appartenenza o no ad un dato insieme e a far riconoscerne le caratteristiche degli elementi o degli intrusi, per potenziare le capacità del bambino.
Note Questa attività di classificazione, oltre ad essere fondamentale per arrivare alla costruzione dell’idea di numero e di numerosità, è importantissima per il linguaggio al quale si deve prestare molta attenzione. Il bambino nel motivare l’appartenenza o la non appartenenza di un elemento ad un dato insieme deve utilizzare degli enunciati e degli attributi, stimolato dall’insegnante, quindi arricchisce il proprio linguaggio comune. Non obbligheremo il bambino ad adoperare i termini “appartiene” o “non appartiene”, “insieme” ma noi li useremo in maniera appropriata, in modo tale che comunque gli siano noti, anche se da lui accetteremo anche i sinonimi.
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L’educazione matematica nella scuola dell’infanzia
NUMERI: “Le scatole dei numeri” Competenza generale Sa classificare, raggruppare e quantificare una raccolta di elementi.
Obiettivi specifici -
Saper costruire raccolte di oggetti (insiemi) con una caratteristica di uguaglianza.
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Saper individuare se un oggetto appartiene o no ad una raccolta data.
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Saper mettere in corrispondenza oggetti tra due insiemi (relazioni).
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Saper raggruppare in base al possesso o alla mancanza di un attributo.
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Saper stabilire relazioni tra due raggruppamenti.
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Saper riconoscere insiemi equipotenti (in relazione biunivoca).
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Saper esprimere verbalmente con un numero la numerosità di un insieme.
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Saper utilizzare i simboli numerici fino a…
-
Saper rappresentare correttamente il numero.
Metodologie di lavoro e organizzazione Con l’intero gruppo, in classe, per periodi di 30-40 minuti, tutti i giorni per due settimane. In seguito un paio di volte alla settimana. Vengono date delle consegne da svolgere a casa. Sono necessarie alcune grandi scatole che verranno etichettate con i simboli numerici, in cui raccogliere oggetti o raccolte di oggetti, da lasciare ben visibili in classe, e sacchetti per raccogliere le collezioni di oggetti. L’attività è rivolta in particolare ai bambini di tre anni ed il periodo in cui cominciare il percorso può essere un qualunque momento della seconda parte dell’anno scolastico. Nelle prime fasi del lavoro sarebbe bene lasciare le raccolte di oggetti a disposizione, per poter proseguire il giorno successivo.
Attività Fase 1 Chiediamo ai bambini di riunire alcuni oggetti che presentano un carattere, ben identificabile, in comune: i giocattoli con le ruote, gli oggetti che servono per disegnare, gli oggetti che rotolano. Dopo averli raccolti controlliamo che abbiano effettivamente la caratteristica richiesta e proviamo a contarli: “Chi è capace?”
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È bene ripetere molte volte questa fase, chiedendo anche di cercare oggetti che NON hanno una determinata caratteristica: i giocattoli che non sono di plastica, gli oggetti che non tagliano… Avremo modo di lavorare sul “non” e sull’osservazione delle caratteristiche dei vari oggetti presenti in aula. Lasciamo le raccolte in classe per riprendere l’attività il giorno dopo. Fase 2 Presentiamo altri oggetti e controlliamo se si possono inserire nella raccolta o nelle raccolte del giorno prima: “Cosa succede al gruppo, diventa più grande, più piccolo, rimane uguale? Se ieri aveva tre oggetti, oggi quanti ne ha?” Controlliamo quali numeri i bambini conoscono e fino a dove sanno contare. Controlliamo anche la conoscenza del simbolo numerico: “Chi sa come si scrive tre?” Scegliamo delle rappresentazioni del numero condivise da tutti. Fase 3 Proviamo a confrontare due raccolte: “Quale sarà la più numerosa?” Se gli oggetti che compongono le raccolte sono in numero “controllabile” dai bambini non ci saranno problemi, ma se le raccolte sono troppo numerose bisognerà trovare delle strategie alternative di confronto: l’abbinamento uno a uno degli oggetti delle due raccolte potrebbe risolvere il problema, purché la richiesta sia di “confrontare” le raccolte e non di “contare” i loro elementi. Quando la procedura di confronto dei raggruppamenti sarà stata acquisita, si potranno ordinare le raccolte dalla meno alla più numerosa. Fase 4 Ora che i bambini sono in grado di confrontare la numerosità di due raggruppamenti, cominciamo a raccogliere in sacchetti trasparenti le varie raccolte: ogni sacchetto verrà poi sistemato, in base al numero dei suoi elementi, in una scatola che resterà in classe, a disposizione di tutti, contrassegnata dal simbolo scelto. Il simbolo potrà essere la cifra oppure qualche altro “segno” condiviso dal gruppo: una carta da gioco, il numero ritagliato dal calendario…. Fase 5 Una mattina, all’arrivo a scuola, i bambini trovano le scatole vuote e le varie raccolte, nei loro sacchetti, tutte insieme e mescolate. Ogni bambino dovrà prendere un sacchettino e sistemarlo nella scatola opportuna: si possono anche far trovare le scatole non in ordine e chiedere ai bambini di metterle nell’ordine corretto. Ogni volta che troveremo un nuovo numero con il suo simbolo, creeremo una nuova scatola dove potremo sistemare le raccolte contenenti quel numero di elementi.
Verifica Ogni volta che si dovrà contare, numerare, inserire una raccolta nella scatola corretta avremo modo di valutare gli apprendimenti. Possiamo anche chiedere ai bambini di portare da casa raccolte di un certo numero di oggetti; al momento dell’arrivo a scuola un altro bambino controllerà il numero ed inserirà la raccolta nel contenitore opportuno.
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Possibile prosecuzione L’attività può proseguire teoricamente fino alla fine dell’anno e comunque fino a che i bambini saranno interessati. Senza forzare gli apprendimenti si può arrivare fino a numeri considerati elevati per la scuola dell’infanzia.
Note Le attività relative alla classificazione sono fondamentali per arrivare a costruire l’idea di numero e di numerosità: consentono infatti di avviare i processi di discriminazione e confronto che portano a differenziare e quindi ad ordinare e numerare una raccolta di oggetti. Consentono inoltre di lavorare sui connettivi logici “e”, “o”, “non” e sui concetti di vero/falso senza dover fare affidamento su strumenti fin troppo usati in passato, risultati poco utili dal punto di vista dell’apprendimento. Nella fase 1 si possono anche richiedere oggetti che abbiano due caratteristiche, usando il connettivo “e”. L’“o” invece potrà essere introdotto in un momento successivo, dal momento che i bambini più piccoli non sempre riescono a coglierne l’idea di esclusività. Spesso si sottovalutano le conoscenze che i bambini acquisiscono al di fuori dell’ambiente scolastico: è importante controllare cosa i bambini sanno, per evitare di annoiarli ripetendo cose per loro ovvie. In ambito numerico l’uso di telecomandi, telefoni cellulari ed in generale apparecchiature con apparati digitali sono un continuo stimolo per il riconoscimento e la memorizzazione di cifre e numeri, e le conoscenze di un bambino di 3 anni sono molto superiori a quelle di un coetaneo di dieci anni fa. La lettura del calendario, che moltissime insegnanti fanno al momento dell’ingresso a scuola ogni mattina, aiuta molto nel riconoscimento del simbolo numerico, ma riconoscere la scrittura non vuol dir saperla riprodurre e tanto meno collegarla ad un insieme con quel numero di elementi. Al momento del confronto tra insiemi prestiamo attenzione a non usare il termine “grande”, che può essere fonte di notevoli ambiguità: un insieme sarà più numeroso di un altro, non più grande. I bambini potrebbero confondere il numero degli elementi con le dimensione degli oggetti raccolti: una raccolta di due peluches potrebbe essere più grande di una raccolta di quattro matite a causa delle dimensioni degli oggetti. La fase 5 consentirà all’insegnante di vedere quale numero e simbolo il bambino conosce ed usa con sicurezza: nel corso del tempo la “linea dei numeri” così creata aumenterà, ed eventualmente si potrà anche inserire la scatola dello zero, contenente dei sacchetti vuoti ottenuti quando abbiamo cercato oggetti con una proprietà senza riuscire a trovarli. Non è detto che la rappresentazione corretta del numero si riesca ad ottenere da tutti i bambini, e soprattutto alcuni sapranno contare le varie raccolte speditamente, mentre altri avranno bisogno di confrontare tramite una corrispondenza biunivoca a lungo prima di essere sufficientemente autonomi.
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NUMERI: “I tappi colorati” Competenza generale Sa eseguire ordinamenti, quantificazioni e rappresentazioni di esse
Obiettivi specifici -
Saper confrontare, ad occhio, piccole raccolte stabilendo relazioni del tipo: è più numeroso…, ci sono più..., ci sono tanti... quanti..., contiene di più…
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Saper rappresentare situazioni concrete utilizzando i quantificatori numerici (uno, pochi, tanti, tanti- quanti…).
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Saper seriare oggetti in base ad una caratteristica.
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Saper fare relazioni del tipo: ne ha uno in più, ne ha uno in meno, hanno lo stesso numero.
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Saper mettere in ordine raccolte di oggetti per numerosità (dal più numeroso al meno numeroso o viceversa).
-
Saper costruire relazioni transitive.
Metodologie di lavoro e organizzazione La seguente attività è stata svolta da tre gruppi: due gruppi di piccoli (tre anni) e un gruppo di medi (4 anni) la mattina nel momento dell’intersezione. La durata di ogni attività è stata di circa un’ora ed è stata ripetuta più volte; ogni gruppo partecipava individualmente a rotazione. Il lavoro è stato svolto anche in palestra, in modo tale che i bambini avessero più spazio per muoversi e per seguire ciò che facevano gli altri. Per questa attività occorrono vari tappi di plastica di almeno 3 o 4 colori diversi.
Azioni Fase 1 Portiamo i bambini in palestra e li sistemiamo in cerchio al centro del quale mettiamo il mucchio dei tappi colorati (la quantità di ogni colore sarà diversa). Dopo averglieli fatti osservare chiediamo loro come potremmo suddividerli e, facilitati dal colore, i raggruppamenti sorgeranno spontanei. A questo punto formati gli insiemi, chiediamogli “Qual è il gruppo più numeroso? Qual è il gruppo meno numeroso? Ci sono più tappi gialli o tappi rossi?”… Ascoltiamo le loro risposte e chiediamo anche come poter verificare ciò che hanno detto. Facciamo sperimentare le loro ipotesi sia con il confronto diretto dei tappi sia con il conteggio, stando attenti che tutti i bambini riescano a farlo almeno una volta.
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L’educazione matematica nella scuola dell’infanzia
Ad ogni bambino faremo anche verbalizzare la propria scoperta ossia “I gialli sono di più dei rossi”, “I blu sono tanti quanti i bianchi”, “I blu sono meno numerosi dei rossi”… Fase 2 Torniamo in palestra soprattutto con i piccoli e presentiamo loro due mucchi di tappi uno rosso e uno blu. I tappi rossi ad esempio saranno un numero minore ma messi in modo più distanziato fra loro e i tappi blu invece saranno in numero maggiore ma più raggruppati. Chiediamo a loro qual è il gruppo più numeroso e in seguito di verificare. Dopo i loro vari tentativi chiediamogli di compiere la corrispondenza biunivoca: “Prova a formare le coppie e vediamo se ne avanza qualcuno”. Ripetiamo l’attività anche modificando il numero dei tappi degli insiemi e ogni volta facciamo verbalizzare che cosa si è verificato: “I tappi rossi sono di più di quelli blu”, “I tappi blu sono di meno dei tappi rossi”, “I tappi rossi sono tanti quanti i tappi blu”. Fase 3 Ritorniamo in palestra con tutto il gruppo e con i tappi di tutti i colori (massimo quattro come all’inizio). Questa volta glieli disponiamo già suddivisi per colore e chiediamo loro di confrontarli fra loro, lasciandoli sempre liberi di provare le loro strategie. Dopo che avranno sperimentato suggeriamo, se non sarà già emerso, di allineare i tappi e di avvicinare le linee di ogni colore in modo di avere il confronto diretto. A questo punto chiediamo loro di contare i tappi di ogni linea e poi: “Quali sono i tappi più numerosi? Quali sono i meno numerosi? I tappi rossi sono tanti quanti quelli bianchi?”… Continuiamo a questo punto sistemando i tappi dal meno numeroso al più numeroso e viceversa, in modo già da dare un inizio di successione numerica e di ordine crescente e decrescente. Sicuramente i bambini, dato che con i tappi si sono formate delle linee e che loro possono avere denominato la loro realizzazione in vari modi, potranno uscire anche definizioni come più lungo, più alto, più corto, più basso, non diamole per sbagliate, ma noi puntiamo sul concetto di numerosità. Fase 4 In sezione dividiamo i bambini a piccoli gruppi e a ciascuno diamo dei tappi di diversi colori. Il loro compito sarà quello di ripetere l’esperienza fatta in palestra: dividerli per colore, ordinarli dal meno numeroso al più numeroso e rappresentare ciò che hanno ottenuto su un foglio. Interessante sarà osservare come i bambini interagiscono fra di loro e ascoltare le loro conversazioni. Fase 5
Per avviare la memorizzazione dei numeri una filastrocca aiuta sempre.
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Filastrocca sui numeri Un due tre Nel castello ci sta il re Ci sta il re con la regina Che fa il bagno ogni mattina Quattro cinque sei La regina ha sei nei Ha sei nei sopra la guancia E ne ha uno sulla pancia Sette otto nove I reali fan le prove Fan le prove per il ballo E i vestiti son di giallo Un due tre Continuare puoi da te Puoi da te trovar la rima Per il re e la regina Verifica La fase quattro è già di per sé una verifica, anche se in piccolo gruppo, ma proprio perché insieme agli altri il bambino deve motivare ai suoi coetanei la propria scelta e compiere così un lavoro metacognitivo, di riflessione sulle proprie conquiste, su ciò che ha appreso. Un’altra possibile verifica è di fornire ad ogni bambino dei tappi di carta di vario colore e di diversa quantità (a seconda dell’età), dovrà raggrupparli e metterli in ordine dal meno numeroso al più numeroso su un foglio di carta.
Possibile prosecuzione Possiamo proseguire inserendo la successione numerica utilizzando sempre i nostri tappi. Partiamo da quelli che abbiamo e quindi dai numeri conosciuti e possiamo aggiungere e/o togliere un tappo per scoprire i nuovi numeri che si formano. I vari insiemi ottenuti li incolliamo su un foglio e ci inseriamo i vari simboli che rappresentano il numero: in cifre, in lettere e perché no anche con le dita, che possono essere fatte con le impronte dei bambini. I cartelli realizzati possono essere appesi al muro e dare inizio alla nostra linea dei numeri.
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Note La Fase 2 non è così banale come sembra perché i bambini, soprattutto quelli piccoli, sono tratti in inganno dal fatto che un insieme di tappi occupando più spazio sia più numeroso di un altro che ne occupa meno e viceversa, come se esistesse un’analogia tra le due cose. Questa attività serve proprio per far superare al bambino questa difficoltà percettiva spaziale tipica dell’età; ripetendola più volte acquisisca che la numerosità dell’insieme dipende dalla quantità degli oggetti e non dallo spazio che essi occupano.
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NUMERI: “Il tempo” Competenza generale Riconosce la ricorsività anche quella numerica
Obiettivi specifici -
Riconoscere regolarità e ritmi
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Saper individuare l’oggetto ricorsivo in una successione data
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Saper riconoscere l’aspetto ricorsivo nei numeri
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Saper individuare invarianze in successioni date
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Saper rappresentare semplici sequenze
Metodologie di lavoro e organizzazione L’attività è stata svolta con tutto il gruppo sezione composto da bambini di tre, quattro e cinque anni. È stata svolta durante tutto l’anno, ma non tutti i giorni; i tempi sono stati scanditi soprattutto dagli interessi dei bambini. Si è trattato il calendario settimanale, il calendario mensile, il calendario annuale, il calendario dell’avvento e il calendario quaresimale. Occorrono due calendari mensili a fogli grandi: uno per l’anno che finisce e uno per l’anno che inizierà da utilizzare per l’attività annuale e dei vecchi calendari a fogli per l’attività iniziale. Per il periodo d’Avvento una corona d’Avvento con 4 candele.
Attività Fase 1 Per questa prima fase prendiamo dei vecchi calendari a fogli mensili, li diamo ai bambini e li lasciamo un po’ liberi di sfogliarli, prima ricordiamoci di togliere le copertine iniziali e finali, in modo che siano solo i fogli dei 12 mesi. Osserviamo poi tutti insieme il calendario e chiediamo loro: “Sapete che cosa è? Conoscete i nomi scritti in alto (i nomi dei mesi)? Da quanti fogli è composto? Ogni foglio a che cosa corrisponde? Quanti giorni ci sono in un mese? I mesi hanno tutti lo stesso numero di giorni? Che cosa sono i vari simboli o sigle dopo o prima dei numeri? Quanti giorni ci sono in una settimana? Quante settimane in un mese? I numeri nel mese di febbraio sono uguali al mese di marzo?…” Ascoltiamo le loro risposte e registriamo quanti e quanto già conoscono sui numeri.
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A questo punto appenderemo il nostro calendario in un luogo ben visibile e alla portata del bambino; spiegheremo loro che questo sarà il calendario che utilizzeremo durante tutto l’anno scolastico. Fase 2 Quando ormai le attività scolastiche sono avviate, prepareremo i simboli di ogni attività, decisi e condivisi con i bambini: una palla per motoria, un tamburo per musica, la bandiera britannica per inglese, … All’inizio della settimana con i bambini sistemiamo i simboli delle attività nei giorni della settimana corrispondenti. Iniziamo la conversazione puntando non solo sul giorno della settimana, ma soprattutto sul numero del giorno e facendo notare ad esempio su “Quanti giorni mancano a Motoria? Fra quanti giorni ci sarà Inglese? Se oggi è… domani sarà…? In che giorno ci sarà Musica?” Questa conversazione può essere ripresa più volte durante la settimana e nel mese, ripetendo e modificando le domande poste ai bambini. Creiamo inoltre tre cartellini con scritto ieri, oggi e domani, di colori diversi, che giornalmente possiamo far sistemare anche ai più piccoli, puntando soprattutto sul numero del girono. Fase 3 Prepariamo dei simboli con delle torte di compleanno, tante quante sono i bambini della sezione, e poi sistemiamoli nei calendari, occorrerà anche quello dell’anno successivo. Iniziamo l’osservazione e la conversazione: “Quanti bambini compiono gli anni nel mese di…?, Quanti nel mese di..?, C’è un mese dove non si festeggiano compleanni? C’è qualcuno che lo festeggia lo stesso giorno? C’è qualcuno che ha lo stesso numero?...” Se in quel mese c’è già un bambino che festeggia il compleanno possiamo anche chiedere “Quanti giorni mancano al compleanno di…?” E ogni giorno faremo il conto alla rovescia; potremmo anche creare dei cartellini con dei numeri da attaccare al calendario così da visualizzare il numero dei giorni mancanti; questo si potrà ripetere per ogni compleanno e per ogni evento particolare della sezione (gite, festa di Carnevale, recita di Natale,…), agevoleremo così anche il conteggio al contrario. Fase 4 All’inizio dell’Avvento procuriamoci una corona d’Avvento con le 4 candele e 28 candeline di cartoncino che ci serviranno da attaccare al nostro calendario. Dopo aver spiegato che cosa è l’Avvento e aver acceso la nostra candela attaccheremo la candelina di cartoncino sul calendario con scritto 1 per il primo giorno; il secondo giorno attaccheremo la seconda candelina con il numero 2, e così via. Alla fine della settimana osserveremo quante candeline abbiamo attaccato: una settimana 7 candeline. Anche la seconda settimana accenderemo la seconda candela dell’Avvento e inizieremo ad attaccare le nostre candeline; alla fine della settimana faremo la stessa osservazione, ma questa volta noteremo anche che sono passate 2 settimane e le candeline ora sono14. Continueremo così anche per la terza e infine per la quarta, chiedendo ogni volta quante candeline abbiamo acceso
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quella settimana e quante candeline in tutto fino a quel momento e alla fine dell’Avvento. Possiamo realizzare contemporaneamente anche un cartellone con le candeline suddividendole per ogni settimana e rappresentando il numero totale di ogni settimana e quello complessivo finale; i bambini visualizzeranno meglio la quantità delle candeline settimanali e di quelle totali. La stessa cosa si potrà ripetere in Quaresima, scegliendo un simbolo diverso.
Verifica Nel corso di una qualunque fase dell’attività il momento in cui si pongono domande è già occasione di verifica e di valutazione dell’avanzamento delle capacità del bambino. Come ulteriore verifica, alla fine dell’anno, possiamo fornire ogni bambino di un foglio di un vecchio calendario e dei cartoncini con scritto i numeri, logicamente massimo 31; a seconda dell’età o devono riprodurre la successione numerica del mese o devono inserire i numeri mancanti, che gli insegnanti prima hanno opportunamente cancellato.
Possibile prosecuzione Il calendario può essere utilizzato anche per segnare i giorni in cui si viene a scuola e i giorni in cui si rimane a casa, con simboli diversi. Alla fine del mese contiamo quanti sono i giorni che siamo venuti a scuola e quelli in cui siamo rimasti a casa; poi li possiamo confrontare e rappresentare anche con un istogramma, per notare meglio e verbalizzare “Sono di più i giorni che siamo venuti a scuola”, “Sono di meno i giorni che siamo rimasti a casa”. Possiamo verbalizzarlo anche con i numeri ricordandoci di usare però i termini maggiore e minore. L’esperienza possiamo ripeterla più volte, anche in un mese dove siamo sicuri che rimaniamo di più a casa, forse dicembre. Un’altra attività interessante, utilizzando il calendario, è di provare a contare tutti i giorni dell’anno. Dopo aver sentito tutte le loro proposte e averle sperimentate, se non fosse emersa, possiamo anche noi fornire la nostra. Prendiamo i giorni di ogni mese e li mettiamo tutti insieme. In questo caso ci facciamo aiutare dalla calcolatrice che incuriosirà molto i bambini (ce ne sono anche di grandi dimensioni). Dopo avergliela fatta esplorare, probabilmente qualcuno già la conosce, avendo fratelli più grandi, ci avviamo all’operazione e… magia otterremo il risultato. Con un vecchio calendario possiamo fare un cartellone, evidenziando per ogni mese il numero dei giorni e infine il numero totale dei giorni in un anno. Non facciamoci impaurire dal numero “grande” perché i bambini giocando continuamente ai videogiochi ne conoscono di più grandi!
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L’educazione matematica nella scuola dell’infanzia
Note Le esperienze che il bambino fa con i numeri fin dall’infanzia costituiscono il primo, imprescindibile tassello sul quale egli costruisce il suo «sapere numerico». Scopo della scuola dell’infanzia è di evidenziare tali competenze, cercando di formare quel substrato linguistico e concettuale sul quale poi, a tempo debito, la scuola primaria interverrà in modo esplicito e sistematico. In questa attività oltre all’idea di numero ricorsivo, ordinale, cardinale e di misura, abbiamo gettato anche le basi per il concetto di sottrazione “quanto manca a..”, addizione “quanti sono in tutto” e di confronto: maggiore, minore; in maniera ludica, concreta e problematizzando una situazione reale.
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GEOMETRIA: “Gli oggetti si spostano” Competenza generale Localizza oggetti ed effettua spostamenti nello spazio rispetto a se stesso e rispetto ad altri oggetti, sa controllare linguisticamente tali operazioni.
Obiettivi specifici -
Situare ed esprimere la posizione di un oggetto o di una persona in rapporto a se stessi (la sedia è davanti a me…).
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Localizzare ed esprimere l’orientamento di un oggetto o di una persona in rapporto a se stessi (la sedia è alla mia sinistra…).
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Localizzare ed esprimere uno spostamento in rapporto a se stessi (salire, scendere, avanzare, passare dietro a).
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Collocare oggetti in rapporto ad altri oggetti.
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Collocare un oggetto in rapporto ad un altro nello spazio.
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Utilizzare un vocabolario preciso.
Metodologie di lavoro e organizzazione Il lavoro si svolge in classe, individualmente o in piccoli gruppi, con bambini di tre anni, verso la fine dell’anno scolastico, quando i bambini sono già in grado di esprimere la propria posizione rispetto ad oggetti. Si tratta di organizzare una specie di “caccia all’oggetto” basato sulla verbalizzazione e non tanto sulla ricerca effettiva, dedicando alle varie fasi al massimo 30 minuti ciascuna, per mantenere viva l’attenzione.
Attività Fase 1 Ai bambini si chiede dove si trova nell’aula un determinato oggetto ed in base alle risposte si insiste nel descrivere la sua posizione: “Dove si trova il barattolo con i pennarelli? È sopra la libreria, vicino/a destra del contenitore del materiale di cancelleria, più in alto dei fogli, sotto ai disegni del gioco...” È importante in questa fase analizzare il linguaggio di bambini e verificare la consapevolezza dell’uso e la ricchezza dei termini. Fase 2 Analogamente a quanto fatto in precedenza, si considera ora la posizione dell’oggetto che varia per effetto di rotazioni. Servendosi di peluche o bambole chiediamo di descrivere come sono posizionati, verso quale direzione sono girati, e di modificare il loro orientamento. Es: la bambola è davanti alla finestra,
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girata verso/in direzione della porta, a destra del tavolo con i lavori di cartapesta… Per poter definire un “davanti” dell’oggetto, in modo da esplicitarne l’orientamento, non è necessario usare soltanto bambole o animaletti dove convenzionalmente il “davanti” è rappresentato dal viso o dal muso: si possono anche usare oggetti con facce che presentano diversi colori o caratteristiche e far loro riferimento: “Dove è rivolta la faccia rosa del cubo? Da quale parte si trova la punta del berretto?” Fase 3 In questa fase i bambini effettuano o descrivono spostamenti di oggetti o persone rispetto a se stessi: si può chiedere loro di raccontare una storia dove un animaletto o un compagno si muove nell’aula, o comunque in un ambiente conosciuto. Dovranno essere descritti i movimenti, e nelle classi dove è stata svolta questa attività, alcune in segnanti hanno predisposto una scala, o comunque un oggetto su cui i bambini potessero salire, in modo da descrivere gli oggetti da un punto di vista insolito. Fase 4 Ora chiediamo ai bambini di collocare oggetti secondo nostre indicazioni all’interno dall’aula, o in un secondo momento di un altro ambiente a loro familiare. Avremo così modo di controllare la comprensione dei termini usati. In seguito dividiamo i bambini a gruppi di tre e chiediamo ad ognuno di loro, a turno, di dare indicazioni ad uno dei compagni; il terzo bambino controllerà che le indicazioni siano chiare ed i comandi eseguiti correttamente. Ognuno dei bambini ricoprirà a turno ogni ruolo e l’insegnante avrà modo di valutare l’uso corretto dei termini oggetto d’apprendimento. Fase 5 Ripetiamo la fase precedente, ma questa volta usiamo come termini di riferimento non gli oggetti presenti nell’aula ed eventualmente mobili, ma riferimenti che potremmo definire “assoluti”, cioè non modificabili da parte nostra (la finestra, il lampadario….), usando comparativi (più in alto, più vicino….) o superlativi (il più in basso possibile, il più lontano da….) o consideriamo aspetti del paesaggio visibili dall’aula o dal giardino della scuola. Fase 6 Facciamo descrivere ai bambini i movimenti che avvengono in aula, o gli spostamenti di particolari oggetti: possiamo chieder loro di inventare una storia su un “viaggio” all’interno dell’aula, esprimerla verbalmente e disegnarla.
Verifica Nel corso di una qualunque uscita da scuola sarà opportuno porre domande su dove si trovano oggetti (semaforo, negozi, alberi…) per vedere come i bambini rispondono, sollecitando da parte loro la descrizione di quello che vedono, facendo anche finta di non capire (dove hai detto che è?) per porli in una situazione problematica che richieda di fornire particolari accurati.
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Possibile prosecuzione Questa attività può costituire il punto di partenza per due linee di lavoro molto ampie e molto amate dagli insegnanti della scuola dell’infanzia: quella sui percorsi e sulla descrizione dell’ambiente. Un gruppo di insegnanti che ha scelto questa linea di lavoro per due anni consecutivi ha realizzato, alla fine del secondo anno, dei plastici in scala di tutta la scuola ed il cortile, veramente notevoli, portando i bambini ad un livello di precisione nella descrizione di ciò che vedevano molto buono.
Note Il tempo dedicato a questa attività può essere ricavato in ogni occasione in cui si debbano andare a prendere o portare oggetti, spostare oggetti, attrezzare l’aula per un’attività specifica. Nella fase 3 non è da sottovalutare l’importanza della visione dall’alto. Molto spesso come adulti dimentichiamo che un bambino ha una visione dell’ambiente molto diversa dalla nostra; a volte ne prendiamo nota quando ci sediamo sulle seggioline al tavolo con loro, ma anche quando attacchiamo alle pareti tabelloni, disegni e lavori ci dimentichiamo di metterli “ad altezza bambino”. Il salire in alto (su una scala, su un tavolo, in cima allo scivolo…) e fermarsi ad osservare, consente al bambino di sperimentare un punto di vista diverso, diverso anche da quello che sperimenta immaginando di essere “al posto di” qualcun altro: descrivere dall’alto può voler dire vedere cose nascoste dietro ad altre, controllare ed osservare movimenti che avvengono dietro oggetti non trasparenti ed appropriarsi di una visione d’insieme dell’ambiente più ampia.
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GEOMETRIA: “Percorsi” Competenza generale Esegue, descrive o rappresenta un semplice percorso.
Obiettivi specifici -
Seguire un percorso descritto oralmente.
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Descrivere un percorso compiuto.
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Rappresentare un percorso compiuto (plastico, mappa, disegno…).
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Eseguire un percorso seguendo le indicazioni di una mappa.
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Dare indicazioni perché un compagno esegua un percorso.
Metodologie di lavoro e organizzazione L’attività si svolge con l’intero gruppo, diversificando gli obiettivi a seconda della fascia di età: i primi tre obiettivi saranno perseguiti dai bambini più piccoli, il secondo, terzo e quarto dai medi, gli ultimi tre dai più grandi. Queste indicazioni sono rivolte agli insegnanti che intendono lavorare a lungo su questa linea e si consiglia di prevedere un’ora alla settimana: d’altra parte l’argomento “percorsi” resta fondamentale per garantire al bambino il raggiungimento di una buona autonomia. I percorsi possono essere inizialmente preparati in classe, o in cortile o in palestra, con l’aiuto di blocchi di legno, tavoli, sedie, scatoloni: è importante che i bambini possano concentrarsi sull’osservazione dei percorsi, per poterli ricordare ed apprendere le parole nuove che vengono pronunciate per descriverli. Allo svolgimento di questa attività ha collaborato una scuola dove i bambini lavoravano tutti insieme fino alle vacanze natalizie ed in seguito divisi per età: si è dunque iniziato il percorso tutti insieme, diversificando poi gli obiettivi dopo Natale.
Attività Fase 1 Accompagniamo i bambini, in gruppo o singolarmente, lungo un percorso preparato in precedenza o comunque nuovo per loro, descrivendo quello che incontriamo ed avendo l’accortezza di usare termini che indicano la posizione di oggetti (davanti, sopra, a destra, a fianco...). Con domande opportune chiediamo anche a loro di descrivere quello che vedono. In un momento successivo chiediamo di ricordare e descrivere il percorso fatto. Per aiutare i bambini più piccoli possiamo anche inventare un racconto. Questa fase verrà ripetuta più volte, fino a quando i bambini avranno compreso il significato dei termini specifici.
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Fase 2 Dopo aver preparato un percorso inedito, o in occasione di un’uscita da scuola, chiediamo ai bambini di descrivere il percorso mentre viene effettuato. In questo modo valuteremo gli apprendimenti e le capacità di osservazione e descrizione. Al rientro in aula chiediamo di disegnare il percorso fatto, in base a quello che ognuno ricorda. Fase 3 Prepariamo un percorso (o ricordiamo il percorso della fase precedente, se non è troppo lontana nel tempo) e prepariamo una rappresentazione grafica del percorso. Dopo aver effettuato il percorso descrivendolo, ripercorriamolo sulla mappa, ricordando i punti in cui ci siamo fermati, abbiamo svoltato, siamo saliti sulla scala o scesi in cortile o altro. Chiediamo ai bambini di indicare quali sono i vari punti salienti. Questa fase potrà essere ripetuta più volte, mantenendo o modificando il percorso. Si potrà anche costruire un piccolo plastico, così da alternare rappresentazioni in due ed in tre dimensioni. Fase 4 Quando i bambini avranno raggiunto una certa familiarità con le attività già svolte, mostriamo sulla mappa o sul plastico il percorso che faremo ed in seguito percorriamo il tragitto di cui abbiamo parlato; questa fase inverte quanto fatto in precedenza, partendo dalla parte più astratta dell’attività e ritrovando poi concretamente quello di cui si era parlato in precedenza. Ripetiamola più volte, avendo cura di presentare sempre percorsi molto semplici. Fase 5 È il momento di un gioco a squadre, una caccia al tesoro dove ai capisquadra viene date una mappa da interpretare per arrivare a scoprire il tesoro nascosto. Le maestre che hanno preparato queste attività hanno diviso in bambini in gruppi di livello, preparando mappe più complicate per i bambini che erano risultati più rapidi nell’apprendimento. Si possono prevedere non solo mappe diverse, ma anche premi diversi per ogni squadra, in modo che tutti raggiungano il loro obiettivo. Fase 6 I bambini più grandi potranno ora allenarsi a dare indicazioni ai compagni per eseguire un percorso. A turno tutti daranno le indicazioni e tutti eseguiranno quelle che verranno loro date. Inizialmente le indicazioni saranno date mentre i bambini eseguono il percorso, poi verranno date in partenza, così che tutti debbano fare un piccolo sforzo mnemonico; in seguito si potrà fare uso di disegni.
Verifica Come si è visto le prove di verifica sono già previste all’interno del percorso didattico: ogni volta che si deciderà di chiedere la descrizione di un percorso si potrà vedere se il bambino sta migliorando le sue conoscenze e competenze. “Quale strada fai per venire la mattina a scuola?” è una possibile domanda per valutare gli apprendimenti.
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Possibile prosecuzione Il percorso è potenzialmente in grado di coprire un tempo molto lungo, anche i tre anni completi: diversificando gli obiettivi e cercando di arrivare alla rappresentazione grafica o tridimensionale si possono presentare ai bambini attività simili che riguardano prima la sezione e la scuola, poi le zone vicine alla scuola, infine le zone sconosciute, che vengono analizzate con i nuovi strumenti linguistici ed espressivi. Le attività sui percorsi hanno come proseguimento “naturale” quelle che riguardano la misura e consentono di collegare i nuclei “geometria” e “numeri”.
Note La parte della Geometria al centro di queste attività è la Topologia: è la “geometria della gomma”, l’analisi di ciò che rimane invariato in un disegno fatto su un foglio di gomma che viene “tirato” in varie direzioni possibili. Se sul disegno compaiono strade che si incrociano, anche tirando il foglio di gomma in vari modi le strade continueranno ad incrociarsi, e le zone recintate e chiuse resteranno recintate e chiuse: potranno invece cambiare le traiettorie, perché ciò che era rettilineo potrebbe diventare curvilineo a causa dello “stiramento”. Le attività sui percorsi, tipiche della scuola dell’infanzia, vengono qui ad essere il fulcro di un lavoro pluriennale che porta il bambino ad esprimere autonomamente quello che vede intorno a sé, affinando le capacità di osservazione, descrizione e rappresentazione. È bene osservare che spesso i tempi per l’osservazione vengono compressi, fornendo molte sollecitazioni sensoriali in modo veloce e continuo: la capacità di osservare con attenzione, prendendosi il tempo necessario a notare i cambiamenti ed i particolari, è una abitudine che si può consolidare proprio a questa età, fornendo ai bambini una struttura mentale di analisi che sarà per loro sempre molto utile. Alcune insegnanti hanno portato avanti il lavoro seguendo questa traccia, svolgendo anche attività relative alla misura: alla fine di due anni, con i bambini in uscita dalla scuola dell’infanzia, sono riuscite a ricostruire un plastico della scuola che non solo era estremamente realistico, ma presentava anche gli spazi in scala: i bambini avevano cercato di mantenere le proporzioni tra i vari locali.
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GEOMETRIA: “Dal 3D al 2D con i solidi della psicomotricità” Competenza generale Riconosce, classifica e nomina forme solide presenti nella vita reale (cubo, cono, cilindro, parallelepipedo…)
Obiettivi specifici -
Saper classificare le forme solide.
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Riconoscere, con il tatto le forme solide della vita corrente.
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Memorizzare il nome delle forme solide.
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Riconoscere le forme solide qualunque sia la loro dimensione o orientamento nello spazio.
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Classificare le forme solide secondo criteri dati.
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Manipolare le forme solide.
Metodologie di lavoro e organizzazione Questa attività è stata svolta con 9 bambini grandi (5 anni) del tempo prolungato, mentre i piccoli facevano la “nanna”, quindi il tempo era limitato ad una quarantina di minuti a volta, ma ripreso in più giorni. È stata eseguita nello spazio a disposizione per il posticipo, utilizzando il materiale tridimensionale della psicomotricità. In questo particolare caso le maestre hanno scelto 4 figure di due soli colori (blu e verde): il cilindro, un parallelepipedo, un cubo e un prisma a base triangolare.
Attività Fase 1 Scelti i solidi della psicomotricità da proporre ai bambini, sia nel colore sia nella forma, li mettiamo a loro disposizione per poterci giocare. Dopo che li hanno potuti esplorare con il corpo, chiediamo loro se sanno come si chiamano queste forme. Ascoltiamo le loro risposte che sicuramente si avvicinano di più a quelle di “quadrato, rettangolo, cerchio, triangolo” che a quelle corrette. Interveniamo dicendo che il quadrato non è il nome del solido, ma della sua faccia, mentre il suo vero nome è cubo. La stessa cosa la faremo per il parallelepipedo, il cilindro e il prisma. Cercheremo a questo punto di far memorizzare i nomi anche scandendo le parole e aiutati dal battito delle mani, saltando, abbinandoci un movimento. Fase 2 La volta successiva riproponiamo le forme scelte il giorno precedente e dopo aver ripetuto insieme i nomi dei solidi, chiediamo loro di realizzare una
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costruzione. Lasciamoli liberi di discutere e di fare vari tentativi. Quando tutti saranno d’accordo, osserviamo insieme ciò che hanno realizzato. Ad esempio “Il cilindro è sotto il cubo.” “Il prisma sta sopra il parallelepipedo”. “Il cilindro è appoggiato sulla faccia a forma di cerchio”… Dopodiché diamo a ciascuno di loro un foglio e i colori per poter disegnare la composizione dei solidi. Quello che a noi interessa è che i bambini riproducano tutti i solidi nella giusta posizione; non stiamo a valutare la perfezione della rappresentazione grafica tridimensionale dei solidi: questa è difficile anche per i bambini più grandi, a volte anche per gli adulti! Verifichiamo insieme a loro l’esattezza del disegno.
Verifica La rappresentazione grafica nella seconda fase è già di per sé una verifica. Questo non toglie che ne possiamo riproporre un’altra molto simile, questa volta però con i solidi di legno o di plastica delle costruzioni (ma senza incastri) che abbiamo in sezione. Realizziamo la composizione, anche con più forme, ma non troppe, e i bambini la riproducono sempre nel foglio; il vantaggio è che ora possono guardarla da più punti di vista: anche dall’alto.
Possibile prosecuzione Continuiamo aumentando non soltanto il numero dei solidi, ma anche le forme, inserendo ad esempio il cono e ripetendo le attività precedenti. Possiamo inoltre invertire le fasi del gioco: dal 2D al 3D. Diamo ai bambini una foto o un disegno colorato di una costruzione di solidi e chiediamo di riprodurla con i materiali della psicomotricità. Lasciamoli liberi di discutere e di provare insieme a trovare la soluzione giusta. Mettiamo anche in una scatola varie foto o disegni di composizioni di solidi che loro liberamente potranno riprodurre quando vogliono con le costruzioni che hanno a disposizione in sezione.
Note Vale forse la pena di osservare che iniziare lo studio della Geometria dalle figure a tre dimensioni, per poi passare successivamente a quelle in due dimensioni, non coincide, a qualsiasi livello scolastico, con la normale pratica didattica. Più spesso si tende a fare il contrario. Innegabilmente la geometria dello spazio presenta, a livello adulto, maggiori difficoltà di sistemazione razionale, rispetto alla geometria del piano; tuttavia, fermo restando che qualsiasi figura geometrica, piana o solida che sia, dal punto di vista matematico è comunque frutto di un’astrazione (nessuna figura geometrica esiste nella realtà!), l’idea di figura piana è comunque più sofisticata, dal
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punto di vista concettuale di quella di figura solida. Inoltre, l’esperienza concreta del bambino avviene nello spazio tridimensionale. Dunque, coinvolgere bambini della scuola dell’infanzia in attività su figure solide, prima che su figure piane, acquista un forte significato didattico. In questa attività la geometria prende le mosse dall’esperienza spaziale, visiva, tattile (vedere e toccare gli oggetti), e anche motoria: i bambini si sono mossi tra gli oggetti e li hanno spostati. È stato un primo approccio alla geometria di tipo fisico. Ha acquistato un forte significato didattico coinvolgere i bambini in attività che sono partite prima da figure solide per poi passare al piano. L’importanza della geometria in 3D ha rappresentato una lettura della realtà più intuitiva per il bambino, essendo “visibile” e immediata. Si è cercato così di sviluppare la visione spaziale, di favorire l’immaginazione spaziale e di migliorarne la capacità di espressione linguistica.
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GEOMETRIA: “La storia di Pezzettino” Competenza generale Riconosce, classifica e nomina forme geometriche piane presenti nella vita reale (quadrato, triangolo, rettangolo, cerchio,…)
Obiettivi specifici -
Riconoscere le forme geometriche piane nella vita quotidiana. Riconoscere con il tatto (ad occhi chiusi) le forme geometriche piane. Confrontare tra loro le forme geometriche piane per individuare differenze e analogie. Memorizzare il nome delle forme geometriche piane (quadrato, triangolo, cerchio, rettangolo…). Riconoscere le forme geometriche piane qualunque sia la loro dimensione e orientamento nello spazio. Classificare le forme geometriche piane. Classificare le forme geometriche piane secondo criteri dati. Manipolare le forme geometriche piane.
Metodologie di lavoro e organizzazione L’attività è stata proposta ad un gruppo di 7-10 bambini eterogeneo per età, nella fascia pomeridiana dalle 14.50 alle 15.30. Il numero dei bambini variava sia nel numero di componenti sia nelle età proprio perché appartenente al tempo prolungato. L’esperienza ha avuto la durata di circa due settimane. Oltre al materiale di facile consumo, è necessario procurarsi delle vecchie riviste, un sacchetto di stoffa, una benda per i bambini e i blocchi logici. Attività Fase 1
Leggiamo ai bambini “La Storia di Pezzettino”.
C’era una volta un cerchietto piccolo, piccolo tutto giallo di nome Pezzettino. Gli amici di Pezzettino erano tutti grandi e vivevano avventure bellissime: l’amico pesce nuotava veloce e scopriva tutte le meraviglie del mare, il gabbiano volava e scopriva terre lontane, la scimmietta saltava da un albero all’altro trovando nuovi nascondigli. Soltanto lui era piccolo, così piccolo che pensava di essere un pezzetto di qualcosa, “Ma di che cosa?”, si chiedeva Pezzettino.
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Un giorno decise di scoprirlo e iniziò il suo viaggio per il mondo. Una mattina mentre passeggiava in un prato incontrò una farfalla dalle grandi ali azzurre e le chiese: “Ciao farfalla, manca un pezzetto rotondo alle tue ali?” La farfalla rispose: “No, se mancasse un pezzetto alle mie ali come farei a volare?”. Pezzettino sconsolato proseguì il suo viaggio. Sopra una collina vide una casetta in costruzione e pensò che forse poteva essere utile per terminarla, ma la casetta aveva già tutti i pezzetti pronti e non aveva bisogno di un cerchietto piccolo e giallo. Pezzettino era molto triste perché si sentiva solo, ma all’improvviso mentre attraversava il bosco sentì una vocina: “Ciao amico dove vai tutto solo e triste?”, era una piccola coccinella rossa con i puntini neri. Egli si fermò e rispose: “Ciao coccinella, sono triste perché mi sento solo, penso di essere un pezzetto di qualcosa ma non so di che cosa.” “Vai sulla spiaggia - rispose la coccinella - là incontrerai qualcuno che ti potrà aiutare.” Pezzettino attraversò il bosco rotolando più veloce che poteva e finalmente arrivò in riva al mare. Che sorpresa! Sulla spiaggia c’erano altri pezzetti piccoli come lui che cercavano qualcosa che li avesse persi. Pezzettino ebbe un’idea: “Perché non proviamo a costruire qualcosa, forse tutti insieme riusciremo a fare qualcosa di grande.” Provarono e riprovarono e finalmente riuscirono a costruire un omino così poterono saltare, correre, giocare e fu così che gli amici pezzettini smisero di cercare quel “qualcosa” e rimasero sempre uniti. Finita la storia mostriamo ai bambini le figure geometriche piane presenti sulla spiaggia, realizzate con il cartoncino di varie dimensioni e colori, e facciamo un’indagine sulla loro conoscenze riguardo ai nomi delle varie figure (brainstorming). Infine presentiamo ufficialmente le forme geometriche con il loro nome, aiutandoci anche con una filastrocca. La filastrocca delle Forme Son quadrato e son perfetto assomiglio a un fazzoletto, se mi allungo un pochettino faccio un bel rettangolino. Triangolo mi han chiamato, da tre punte son formato, sono un poco spigoloso ma non son pericoloso. Sono un cerchio e son rotondo giro spesso nel bel mondo, giro in tondo in bicicletta con l'auto e la motocicletta.
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Questa filastrocca, che avremo rappresentato su un cartellone con delle immagini, la facciamo memorizzare ai bambini, per aiutarli a ricordare i nomi e le caratteristiche delle figure geometriche piane. Fase 2 Riprendiamo le nostre forme e dopo averle osservate e confrontate, individuiamo insieme ai bambini le uguaglianze e le differenze. La distinzione rettangolo-quadrato a volte può risultare difficoltosa soprattutto per i piccoli, per questo per far notare la differenza possiamo misurare i lati delle forme utilizzando delle mollettine. I bambini, sperimentando direttamente, verificano che per il quadrato serve lo stesso numero di mollette per ogni lato, mentre per il rettangolo due lati hanno bisogno di meno mollette rispetto agli altri due. Dopo l’osservazione e il confronto, le varie forme di carta le classifichiamo in base sia al colore sia alla forma. Predisponiamo quattro vassoi dove i bambini sono invitati ad inserire le forme prima secondo il criterio del colore e successivamente secondo il criterio della forma. Al termine del gioco si rimescolano le forme e in un foglio, diviso in quattro caselle, i bambini sono invitati a inserire e incollare le figure avendo come criterio la classificazione in base alla forma. Fase 3 Utilizziamo i blocchi logici con lo spessore minore, pur sapendo che non sono figure piane ma solide. Anche ai bambini specifichiamo che le figure piane non hanno spessore e che nella realtà infatti non si trovano, così per questo gioco prendiamo in prestito i blocchi logici perché consideriamo solo la faccia del solido. Gliele facciamo osservare e manipolare e riconoscere in essi la figura geometrica che ci interessa. Prendiamo un sacchetto di stoffa dove viene inserito a loro insaputa un blocco logico e i bambini bendati, sono invitati a inserire le mani ed indovinare il nome della forma solo toccando il blocco logico. Si aumenta la difficoltà del gioco inserendo 2-3 blocchi alla volta. Si continua fino a quando tutti hanno giocato. Fase 4 Prepariamo tante forme di carta colorate che daremo ai bambini per costruire figure in modo libero. Prima in piccoli gruppi, poi ognuno sul proprio foglio. Invitiamoli così a diventare degli artisti e creare dei quadri utilizzando solo forme geometriche: il risultato sarà stupefacente! Fase 5 Forniamo i bambini di riviste nelle quali devono ricercare le forme che conoscono; le ritagliano e le incollano sul foglio, le contornano con il pennarello per evidenziare la forma geometrica. Ogni bambino è invitato a nominare le forme ritagliate in modo tale che la maestra possa scriverne il nome.
Verifica La fase 5 è già di per sé una verifica, ma possiamo crearne un’altra dando una scheda dove sono disegnate delle casette contrassegnate con le forme geometriche
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note: quadrato, rettangolo, cerchio e triangolo. Mettiamo a disposizione varie forme di carta che il bambino deve incollare nella casetta giusta.
Possibile prosecuzione Una possibile prosecuzione è di andare a caccia per la scuola di forme geometriche, per poi tornare in sezione e rappresentare su un cartellone gli oggetti che corrispondono alle figure geometriche. Il gioco del Tangram con tutti i suoi sviluppi appassiona i bambini e stimola e sviluppa le capacità riguardanti le figure geometriche piane.
Note Qualsiasi figura geometrica, piana o solida che sia, dal punto di vista matematico è comunque frutto di un’astrazione (nessuna figura geometrica esiste nella realtà!), inoltre l’idea di figura piana è comunque più sofisticata, dal punto di vista concettuale di quella di figura solida in quanto ha due sole dimensioni la lunghezza e la larghezza. Nella realtà è difficile trovare anche una sola rappresentazione corretta perché qualsiasi cosa prendiamo come modello ha sempre uno spessore, anche se pur minimo. Di questo gli insegnanti devono tenere conto: non esistono gli oggetti matematici, ma dei modelli, delle loro rappresentazioni, che hanno sempre, anche se minimo, un limite.
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PROBABILITÀ: “Il gioco dei bruchi” Competenza generale Sa prevedere gli eventi in caso di incertezza e rappresentarli.
Obiettivi specifici -
Saper riconoscere in situazioni di gioco i termini “possibile”, “impossibile”, “certo”.
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Saper utilizzare in maniera appropriata i termini “possibile”, “impossibile”, “certo”.
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Saper riconoscere e comprendere in situazioni ludiche la stessa probabilità di un evento.
Metodologie di lavoro e organizzazione L’attività è svolta in aula, con l’intero gruppo di bambini di tre anni e riproposta per varie settimane. Le varie fasi sono previste di 30/40 minuti ognuna. Vengono predisposte dalle maestre monete e dadi con i colori necessari al gioco: inizialmente quattro monete rispettivamente di colore giallo/verde, giallo/giallo, verde/verde, verde/bianco. E due disegni di bruchi (uguali tra loro e costituiti da testa, coda e tre o quattro segmenti intermedi che i bambini dovranno colorare o di verde o di giallo.
Attività Fase 1 I bambini sono divisi in due squadre, quella verde e quella gialla; l’obbiettivo del gioco è di colorare completamente il rispettivo bruco. Per poter colorare a turno, ogni bambino sceglie una moneta, la lancia e colora un segmento soltanto se è uscito il colore della sua squadra. La maestra chiede ad ogni bambino prima che scelga la moneta quale secondo lui renderà CERTA, IMPOSSIBILE o POSSIBILE l’uscita del colore richiesto, invitandolo a ragionare per una scelta “conveniente”. Il colore bianco sarà un “perdo il turno di gioco e non coloro”. Fase 2 Viene tolta una moneta monocolore, per esempio quella verde/verde. I bambini che avranno capito lo spirito del gioco si renderanno conto che la vittoria della squadra verde ora è molto più improbabile e si ragiona sul fatto che la squadra gialla ha ancora a disposizione l’evento certo, mentre quella verde ha sola eventi possibili al 50%. Si analizza quali sono le monete favorevoli ad una squadra e quali all’altra e se sono tutte favorevoli “allo stesso modo”. Fase 3 Si sostituiscono dei dadi alle monete: un dado con tre facce verdi e tre gialle, uno con quattro verdi e due gialle, uno con tre verdi, una bianca e due gialle.
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Si gioca come nelle fasi precedenti e l’insegnante sollecita osservazioni su quale squadra vince più facilmente, cercando una spiegazione. Si possono sostituire i dadi in qualunque momento, lasciando ai bambini il tempo per analizzarli prima di scegliere con quale effettuare il lancio: se si vuole rendere esplicita la correlazione tra la squadra vincente ed il numero di facce del dado di quel colore si possono usare tre dadi dove una squadra ha rispettivamente tre, quattro e cinque facce del suo colore.
Verifica L’attività è essa stessa valutativa: con la riproposizione del gioco nei giorni successivi i bambini miglioreranno prima la comprensione ed in seguito l’uso dei termini indicati, arrivando ad usarli anche in altre situazioni: si possono fare domande su eventi che possono accadere e sentire le loro risposte, si può proporre il gioco in piccoli gruppi dove ogni bambino avrà il proprio disegno da completare ed eventualmente inserire altri colori nei disegni e nei dadi.
Possibile prosecuzione L’obbiettivo successivo, già in parte accennato, può essere il confronto tra le probabilità di due eventi: riprendendo le monete si osservano quando le probabilità di uscita di giallo e verde sono le stesse e quando lo stesso colore ha la stessa possibilità di uscire con due monete diverse. Poi si passa ai dadi che sono stati usati. Con la pratica si può avviare il conteggio delle facce, in modo da ragionare a priori sull’uscita più probabile di un colore e non limitarsi ad una scelta casuale o di tipo affettivo.
Note Non si deve pretendere da bambini così piccoli l’uso dei termini indicati: quelli che hanno abilità linguistiche più sviluppate impareranno prima ad usare i termini “certo”, “possibile” e “impossibile”, per gli altri sono accettabilissimi anche i sinonimi che rendano però palese l’acquisizione del concetto.
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PROBABILITÀ: “COSA MANGIAMO OGGI?” Competenza generale Sa costruire e rappresentare semplici combinazioni di eventi.
Obiettivi specifici -
Saper riconoscere e comprendere in situazioni di gioco la probabilità del verificarsi di un evento.
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Saper scoprire combinazioni di eventi.
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Saper rappresentare le combinazioni scoperte.
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Saper individuare da una rappresentazione quali combinazioni sono possibili.
Metodologie di lavoro e organizzazione L’attività è svolta in aula, con l’intero gruppo di bambini di cinque anni, e riproposta per vari giorni. Ogni fase ha tempi variabili: la raccolta delle risposte e la preparazione dei materiali richiedono un paio d’ore, le fasi successive circa 30/40 minuti ognuna. Vengono predisposte monete e dadi su cui i bambini incollano le figure date loro dall’insegnante ed il tabellone dove registrare le combinazioni.
Attività Fase 1 L’insegnante chiede ai bambini cosa pensano che mangeranno a pranzo. Si raccolgono le risposte e si dividono in base all’ordine delle portate: come primo pasta o minestra, come secondo carne o pesce, in chiusura frutta o dolce. Vengono date ai bambini delle figure che rappresentano queste portate e si decide come incollarle sulle monete: una moneta per i primi, una per i secondi, una per l’ultima portata. Le stesse figure serviranno per rappresentare le combinazioni uscite nel tabellone. L’insegnante sollecita i bambini ad osservare che due eventi rappresentati sulla stessa moneta non possono avvenire contemporaneamente. Se avessimo invece una moneta con pasta e carne, “Potremmo mangiare le penne al pomodoro e lo spezzatino nello stesso pasto?” Si discute la scelta più opportuna per la “creazione” delle monete appropriate per questo caso. Fase 2 Comincia il gioco. A turno gruppi di tre bambini lanciano ciascuno una moneta per “creare” il possibile pranzo. Si riportano le combinazioni sul tabellone, mettendo in sequenza le figure: quando una sequenza si ripete non viene riportata. Lasciamo le monete in posizione fino a quando non abbiamo riportato la combinazione sul tabellone: il pranzo. Ragioniamo su quante sequenze possiamo
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ottenere: abbiamo due possibilità per ogni portata, quindi in totale otto. Nel momento in cui saranno tutte rappresentate sul tabellone, verificheremo che non ne esistono altre. Fase 3 In realtà le possibilità potrebbero non essere soltanto due: come primo potremmo dover inserire il riso, come secondo anche il formaggio, o le uova o gli affettati. Le monete quindi possono non essere più utili e la maestra le sostituisce con dadi: un dado per i primi, che contiene due volte il riso, due la pasta, due la minestra; uno per i secondi (quale secondo verrà usato due volte? Quale mangiamo più spesso?) e possiamo tenere la moneta, o sostituirla con un dado con tre frutti e tre dolci. Le combinazioni aumentano: non è detto che si debbano ottenere tutte, ma possiamo comunque continuare la registrazione delle uscite. Fase 4 Una volta che i bambini abbiano raggiunto una certa pratica con la registrazione delle combinazioni si può chiedere loro di “leggere” quello che avranno per pranzo al momento del loro arrivo a scuola: troveranno una sequenza e dovranno interpretarla. Oppure, a turno dopo il pranzo, indicheranno con i consueti simboli quello che hanno appena mangiato e lo registreranno sul tabellone. Questa attività è un inizio di rilevamento statistico: alla fine della settimana o del mese si potrà vedere cosa è stato servito più spesso.
Verifica Una qualunque modifica dell’attività può essere utile per la valutazione. Alcune insegnanti hanno deciso di proporre i capi di vestiario con colori diversi: pantaloni o tuta e magliette di due o tre colori da combinare tra loro, oppure il gioco di “Regina Reginella quanti passi devo fare” modificato con due dadi contenenti uno diversi animali (formica, cane, elefante, orso, canguro e lumachina; l’altro i numeri da 1 a 6). Riproponendo le fasi è stato verificato il raggiungimento o meno degli obiettivi.
Possibile prosecuzione I suggerimenti presenti nella fase di verifica possono essere visti anche come prosecuzione. È possibile proporre questa attività anche a bambini più piccoli, limitando il numero delle combinazioni a quelle ottenute per esempio con due sole monete o due soli dadi e registrando le combinazioni con una tabella a doppia entrata, dove indicare con un segno nell’incrocio della riga e della colonna il risultato ottenuto.
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Note Invece del passaggio ai dadi è possibile aggiungere nuove monete: nel caso per esempio dei secondi, si potrebbe aggiungere una moneta con i salumi i formaggi. Si pone allora il problema di decidere come scegliere quale moneta usare: decide il bambino che deve lanciare in base al gusto personale, usiamo la moneta che non è stata usata la volta precedente o altro. Anche qui è importante far notare che scegliendo un oggetto si escludono automaticamente due possibilità. È anche possibile utilizzare dadi che i bambini definiscono “strani”: si tratta di tetraedri (a quattro facce triangolari) o ottaedri (otto facce, sempre triangolari) in vendita nelle cartolerie e molto usati per i giochi di ruolo. Quando i bambini avranno acquisito dimestichezza con la rappresentazione si potrà proporre loro quella ad albero, dove sono indicate tutte le possibilità: il tabellone potrà essere preparato dalle maestre o insieme ed ogni giorno si indicherà tramite un segnaposto quale percorso rappresenta il pasto servito.
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MISURA: “Misuriamo le parole” Competenza generale Riconosce ciò che può essere misurato in un oggetto
Obiettivi specifici -
Riconoscere le qualità che possono essere misurate in un oggetto ossia le grandezze misurabili
-
Individuare tali qualità mediante un linguaggio appropriato
-
Favorire la nascita del colpo d’occhio
-
Saper classificare gli oggetti in base alla grandezza misurabile scelta e condivisa
-
Saper ordinare dal maggiore al minore e viceversa degli oggetti rispetto ad una grandezza misurabile
Metodologie di lavoro e organizzazione L’attività è stata svolta durante la mattina nella fascia oraria dell’intersezione, in modo tale da sfruttare la presenza di due insegnanti; la durata di ogni fase era di un’ora per il periodo di una settimana. È stata svolta con 15 bambini grandi nella seconda parte dell’anno, perciò alcuni avevano già compiuto 6 anni. Gli spazi utilizzati sono stati il corridoio e la sezione. Non occorre del materiale particolare solo quello di facile consumo; bisogna prepararsi prima i cartoncini con le parole. Sono state scelte le parole come oggetto da misurare per continuità didattica con quello che facevano già nel campo di esperienza del linguaggio, infatti erano parole conosciute dai bambini.
Attività Fase 1 Andiamo con i bambini in corridoio o in palestra e mostriamo loro i cartoncini con parole che conoscono, ma di lunghezza diversa. Chiediamo che cosa si può misurare di una parola (certo devono già sapere che cosa significa misurare). La risposta più probabile è la lunghezza: è quella più ovvia e anche quella che i bambini riconoscono maggiormente. A questo punto chiediamo loro come possiamo fare per misurare le parole. Uscirà il confronto dei cartoncini e lo eseguiremo, ma proponiamo anche di misurarle usando i piedi.
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Ad ogni bambino assegneremo un cartoncino con una parola e si sposterà muovendo un piede alla volta, di tanti passi/piedi quante sono le lettere della sua parola. Alla fine quando tutti i bambini avranno compiuto tutti gli spostamenti, osserviamo chi è arrivato più lontano, chi è rimasto più vicino alla linea di partenza e domandiamo “Qual è la parola più lunga? Qual è la parola più corta? Ci sono due parole lunghe uguali?…”. Fase 2 Questa volta in sezione assegniamo ai bambini i soliti cartoncini con le parole, ma assicurandoci di dargliele diverse dalla volta precedente; questa volta il sistema di misurazione sarà diverso: useremo delle tesserine di uguale misura. Mettiamo a disposizione dei bambini molte tesserine e partendo da una linea comune di partenza appoggiano una tesserina sopra l’altra per ogni lettera della parola. Si formerà così un “lombrico” che corrisponde alla lunghezza della parola stessa. Anche in questo modo possono visualizzare e confrontare direttamente le lunghezze delle parole. A questo punto abbiamo formato una rappresentazione ad istogrammi che possiamo incollare su un cartellone. Fase 3 Riprendiamo i cartoncini e le tesserine, facciamo realizzare nuovamente gli istogrammi, ma questa volta ogni parola in un foglio da disegno, cercando di far attaccare i cartoncini partendo tutti dallo stesso lato del foglio e dal margine. Quando ogni bambino avrà finito la sua realizzazione, invitiamo i bambini a mettere i cartoncini che rappresentano la lunghezza delle parole in ordine crescente: dalla parola più lunga alla più corta e viceversa, aiutandoci anche con il conteggio delle tesserine.
Verifica Per la verifica assegniamo ad ogni bambino due cartoncini con parole nuove e chiediamo loro di misurarle con la tecnica delle tesserine incollandole in un foglio, per stabilire tra le due qual è la più lunga e quale la più corta. Volendo è un’attività che si può fare eseguire anche a coppie; in questo caso prestiamo molta attenzione alle loro conversazioni e discussioni, perché interessante sarà cosa si diranno per mettersi d’accordo in caso di dissenso.
Possibile prosecuzione Ricerchiamo in sezione e poi nella scuola altri oggetti di cui possiamo misurare la lunghezza, per vedere se ormai i bambini riescono a cogliere questa grandezza misurabile e facciamo un cartellone con gli oggetti “lunghi”. Facciamo osservare ulteriormente sempre gli stessi oggetti e chiediamo se di questi oggetti si potrebbe misurare qualcos’altro, quindi se riescono a trovare qualche altra
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grandezza misurabile. Possiamo così raggruppare gli oggetti in base alla nuova grandezza misurabile scoperta.
Note Si sa che misurare un oggetto non è possibile, ma si possono misurare alcune sue qualità. Qualità che sono appunto misurabili, oggettive, non soggettive o imputabili al gusto di chi sta osservando l’oggetto. Per questo è importante rendere i bambini consapevoli del significato relativo alla misura e compiere attività al riguardo. Nel bambino il discorso della misura è legato a quello dell’interpretazione di una realtà esterna a sé e quindi è indispensabile che egli sia in grado di creare un rapporto tra sé e il mondo, che sappia operare delle stime, dare dei propri giudizi e confrontare il proprio giudizio soggettivo con dei dati esterni oggettivi, attraverso giochi e pratiche laboratoriali, per gettare così le basi del concetto di misura, che non è semplice da acquisire, come può sembrare a prima vista.
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MISURA: “Che cosa serve per misurare” Competenza generale Sa compiere semplici misurazioni con strumenti convenzionali e non
Obiettivi specifici -
Saper confrontare direttamente una grandezza misurabile con un’unità di misura scelta.
-
Saper scegliere uno strumento di misura adeguato alla grandezza misurabile.
-
Saper compiere misurazioni con uno strumento non convenzionale.
-
Saper compiere misurazioni con uno strumento convenzionale.
Metodologie di lavoro e organizzazione Le attività sono state svolte durante il posticipo, quindi con un gruppo di bambini variabile sia nel numero di componenti sia nelle età. I tempi sono limitati a un massimo di trenta minuti per volta e la situazione didattica è stata proposta per circa due settimane. I bambini avevano già svolto attività sulla misura durante il tempo normale. I materiali utilizzati sono stati oggetti presenti in aula (righelli, bilancia, metro, termometro), dizionario.
Attività Fase 1 Discussione con domande stimolo del tipo “Cosa vuol dire misurare?”, “Che cosa si misura?”, “Come si misura?” … Questa conversazione aveva lo scopo di controllare quanto i bambini ricordavano delle attività svolte in precedenza e consentire ai più di rafforzare la competenza (n°1 Misura). In questo momento è stato utilizzato il dizionario per la ricerca del significato condiviso della parola “misurare”. Fase 2 Scelta, fra vari oggetti proposti dall’insegnante, di uno di essi e di una sua qualità da misurare. I bambini hanno scelto oggetti diversi e quindi sono stati divisi in gruppi; in quanto alla proprietà quasi tutti hanno scelto la lunghezza perché la più facile da individuare per loro. Fase 3 Scelta di uno strumento, tra quelli presenti in aula, per misurare la qualità misurabile individuata nell’oggetto selezionato. L’insegnante con domande
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opportune (problem posing) sollecita il ragionamento che guida nella scelta dello strumento adeguato. Fase 4 I bambini misurano la proprietà misurabile dell’oggetto scelto esplicitando via via le loro intenzioni, sollecitati eventualmente dall’insegnante. È in questa fase che generalmente si incontrano le maggiori difficoltà: la corretta procedura di misurazione prevede, infatti, una buona manualità e accuratezza nell’accostare ripetutamente lo strumento utilizzato come unità di misura. Fase 5 avvenuto.
Disegno individuale relativo all’attività svolta e narrazione di quanto
Fase 6 Discussione sull’opportunità di usare tutti lo stesso strumento di misura, richiamando anche il vissuto dei bambini: il papà che utilizza il metro, il pediatra che usa il metro e la bilancia... Fase 7 I bambini misurano l’oggetto scelto in precedenza con il righello. Il lavoro è stato svolto in piccoli gruppi misti per età, in modo tale che i grandi aiutassero i più piccoli. Resta comunque elevata la difficoltà di lettura del righello.
Verifica È stato richiesto ai bambini di misurare la proprietà precedente (la lunghezza) in un oggetto assegnato dall’insegnante con uno strumento scelto liberamente dai bambini di 3 anni, mentre per i 4-5 anni era dato dall’insegnante. Infine rappresentazione grafica dell’attività.
Possibile prosecuzione Misurare altre qualità come il peso o la capacità, ripetendo le attività indicate.
Note È consigliabile fare riferimento a proprietà di cui il bambino ha esperienza, come la lunghezza, la capacità ed il peso, richiamando spesso quanto egli vede eseguire in casa nel corso di attività quotidiane. Queste proposte consentono anche di rafforzare le capacità di lettura dei simboli numerici; in particolare nel caso del peso consigliamo di usare sia la bilancia analogica sia quella digitale: la prima consente di porre l’attenzione sul confronto della proprietà tra due oggetti e sull’additività, la seconda sulla lettura del numero. La bilancia analogica permette a tutti i bambini, anche a coloro che non sanno leggere i numeri, di poter compiere seriazioni di oggetti in base al peso.
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Il confronto tra superfici risulta essere particolarmente difficile; se le due superfici sono tali che sovrapponendo una all’altra la prima è completamente contenuta nella seconda il bambino non ha difficoltà a indicare qual è la maggiore o la minore, ma quanto a misurarle con un’unità di misura questo risulta agevole solo con figure opportunamente scelte (con un rettangolo i cui lati siano multipli dell’unità di misura). Se al momento della sovrapposizione delle figure non si verifica il caso precedente, il confronto diventa impossibile perché il bambino non possiede ancora il concetto di conservazione della misura dell’area come si può sperimentare operando in classe con il Tangram.
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PROBLEMI: “Il gioco dei barattoli” Competenza generale Sa riconoscere una situazione problematica e formulare strategie per risolverla.
Obiettivi specifici -
Saper riconoscere i numeri.
-
Saper sommare i numeri 1, 2, 3 ed indicare il risultato.
-
Saper registrare il risultato dei lanci.
Metodologie di lavoro e organizzazione Le attività sono svolte in aula da bambini di quattro anni. Il gioco richiede un tempo di 30/40 minuti, ma in precedenza i bambini hanno preparato il materiale necessario: nella prima fase sono necessari 6 barattoli su cui vengono incollati i simboli 1,2,3.
Attività Fase 1 I bambini, dopo aver applicato su tre barattoli il numero 1, su due il numero 2 e sull’ultimo il numero 3, dispongono i barattoli come in un tiro a segno del Luna Park, con i numeri 1 più in basso e più vicini, i 2 un po’ più in alto e lontano, il 3 nel punto più alto e più difficile da colpire. La maestra decide da quale distanza si devono fare i lanci, segnando la posizione in terra con un nastro adesivo colorato. I bambini vengono divisi in gruppi (due squadre o più, con al massimo quattro giocatori ciascuna), e si decide il turno di lancio delle squadre ed il turno di lancio all’interno di ogni squadra. I bambini hanno ciascuno a disposizione un lancio, con cui devono centrare un barattolo: quando riescono a centrarlo registrano su un foglio il loro punteggio ed al termine del giro si sommano i risultati. Vince la squadra che ha registrato il punteggio più alto. Fase 2 Viene assegnato dalla maestra un punteggio che deve essere raggiunto: vincerà la squadra che riesce ad ottenerlo per prima. I turni di lancio delle squadre e dei bambini vengono sorteggiati, si lancia e si registra il primo risultato: al momento del lancio successivo potrebbe essere necessario discutere quale barattolo porta più vicini alla vittoria, quindi cercare di centrare un barattolo ben preciso e non casuale. Si crea quindi una situazione problematica, in cui la maestra, con opportune domande, porterà i bambini a discutere e ragionare sulla risoluzione, considerando le proprie capacità e le possibilità degli avversari di vincere a loro volta.
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Fase 3 Appena i bambini hanno raggiunto una certa familiarità con le addizioni fino al 10, si possono aggiungere nuovi barattoli con altri numeri; inizialmente si continuerà a posizionare più in alto i numeri più grandi, poi invece si possono sistemare in maniera diversa, cercando di verificare il “riconoscimento” del simbolo numerico.
Verifica Il gioco stesso si presta facilmente ad essere prova di valutazione. Il bambino che è in grado di dichiarare quale barattolo deve essere centrato se deve ottenere un totale di 12 quando la squadra ha già ottenuto 9, per esempio, ha pienamente raggiunto l’obiettivo più elevato.
Possibile prosecuzione L’aumento delle cifre sui barattoli può proseguire anche arrivando al numero 9, avendo cura comunque di non ottenere valori troppo alti per le somme. È interessante vedere cosa succede se vengono tolti alcuni numeri, così da impedire determinati risultati. Una volta che si abbia una consistente collezione di barattoli si può decidere volta per volta quali usare (solo quelli pari: i risultati delle somme saranno ancora pari?), oppure si può decidere di posizionare i numeri in ordine crescente o decrescente (una prima introduzione alla retta dei numeri).
Note Se i bambini non sono ancora in grado di gestire il simbolo numerico possono indicare il risultato ottenuto con altri simboli (pallini, crocette, mattoncini) ma alla fine dovranno comunque confrontare il loro risultato, anche tramite una corrispondenza biunivoca, con quello degli avversari, e decretare vincitore il gruppo che ha ottenuto la “quantità” maggiore. Interessante sarà annotare le strategie che i bambini adotteranno per compiere le addizioni e trovare così il punteggio totale raggiunto. Potremmo fargliele verbalizzare; innanzitutto per svolgere un lavoro metacognitivo, cioè renderli consapevoli di una conquista e di una competenza acquisita. Inoltre potranno condividere un sapere conquistato in modo tale che l’insegnante possa confermare la conquista del bambino e istituzionalizzare così le conoscenze acquisite. È possibile, con domande adeguate, introdurre la sottrazione “per completamento”: “Che numero ti serve per arrivare a…?” “Quanto manca per avere...?”
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Appendice Giochi matematici In aggiunta alle attività didattiche sopra illustrate si propongono alcuni giochi matematici ideati, costruiti e sperimentati nelle scuole durante il percorso formativo sull’educazione matematica. Tali materiali sono stati anche proposti, insieme a numerosi altri ideati e costruiti nelle scuole dell’infanzia, in un laboratorio della manifestazione Educa 2010 “Dal pallottoliere al pc. L’allegra matematica”, dove sono stati utilizzati con entusiasmo da molti bambini. Successivamente, nell’intento di diffondere ancora di più una cultura della matematica come esperienza del quotidiano, l’Ufficio ha ritenuto importante far costruire alcuni di questi giochi in legno. I sussidi sono collocati presso i circoli di coordinamento a disposizione delle scuole. I giochi in scatola vogliono essere un sussidio utile per la progettazione di situazioni didattiche in grado di coinvolgere i bambini in processi di riconoscimento, manipolazione e rappresentazione di concetti matematici. Sono accompagnati da una scheda illustrativa dove sono evidenziate le competenze che il sussidio può sviluppare, i relativi obiettivi didattici e le istruzioni d’uso. La loro presentazione vuole essere anche un suggerimento per la costruzione di giochi simili con materiali a disposizione nelle scuole.
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POLIMINI
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Competenze • • • •
saper riconoscere un evento certo, possibile o impossibile saper spiegare e argomentare con il linguaggio appropriato della probabilità saper riconoscere che un evento è indipendente da aspettative e desideri personali saper registrare il verificarsi di un evento.
Obiettivi didattici • • • • • •
formulare ipotesi e confrontarle con il verificarsi o meno dell’evento prevedere situazioni utilizzare il linguaggio della probabilità in modo appropriato registrare dati tramite istogrammi interpretare dati spiegare in termini di probabilità il verificarsi o meno di un evento.
Istruzioni di gioco Materiale
Una scacchiera da 64 caselle e 15 diversi polimini (i polimini sono figure ottenute accostando due o più quadretti, in particolare si chiamano monomino il quadretto base, duomino due quadretti, trimini tre quadretti, tetramini quattro, pentamini cinque...).
Numero giocatori
2 giocatori che si sfidano.
Scopo del gioco
Occupare lo spazio della scacchiera con i polimini, facendo in modo di bloccare l’avversario.
Inizio del gioco
All’inizio la scacchiera è vuota e i polimini sono tutti a disposizione dei giocatori; a turno, ciascun giocatore dispone un polimino, a propria scelta, sulle caselle vuote nella posizione che desidera.
Fine del gioco
Se i giocatori collocano tutti i polimini, la partita è patta; perde invece il giocatore che non trova più spazio sufficiente per collocare un altro polimino.
Consigli e variabili
Gli insegnanti possono posizionare alcuni pezzi per agevolare o problematizzare il gioco. Il gioco si può fare in solitario come attività di piastrellatura.
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SUDOKU
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Competenze • • •
saper compiere analisi saper individuare opportune strategie risolutive in situazioni di gioco saper eseguire semplici attività combinatorie.
Obiettivi didattici • • • • •
individuare elementi mancanti in una sequenza assegnata individuare le possibili combinazioni di oggetti (in numero limitato) esprimere semplici ragionamenti del tipo “se… allora…” esprimere semplici ragionamenti con l’uso della negazione rappresentare una sequenza di colori rispettando la regola indicata.
Istruzioni di gioco Materiale
Una scacchiera con 16 caselle. 16 tasselli colorati in 4 colori differenti.
Numero giocatori
1 o 2 giocatori. Nel caso di gioco a due i giocatori collaborano alla riuscita.
Scopo del gioco
Riuscire a posizionare tutti i tasselli colorati in modo che il colore dei tasselli sia presente una sola volta in ogni riga e in ogni colonna e quindi non si ripeta.
Inizio del gioco
Il giocatore posiziona i tasselli secondo la regola, se i giocatori sono due si fa a turno.
Fine del gioco
Il gioco è concluso quando tutti i tasselli sono stati posizionati sulla scacchiera in modo corretto.
Consigli e variabili
Dopo aver fatto esperienza, si può inserire una clessidra per dare un tempo entro cui completare il gioco. Il livello di difficoltà più elevato prevede di dividere in quattro quadrati più piccoli la scacchiera e in ognuno di questi quadrati deve essere presente ogni colore una sola volta.
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IL COSTRUTTORE
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Competenze • • • •
saper passare dal bidimensionale (2D) al tridimensionale (3D) saper operare con figure geometriche saper osservare e descrivere con linguaggio appropriato saper utilizzare strategie risolutive in situazioni di gioco.
Obiettivi didattici • • • • •
riprodurre in 3D l’oggetto rappresentato nell’immagine verbalizzare in maniera corretta la posizione delle singole parti della figura saper descrivere con un linguaggio corretto la figura ottenuta esprimere criteri di scelta sui pezzi più appropriati per la costruzione saper descrivere la procedura seguita per la costruzione della figura.
Istruzioni di gioco Materiale
24 parallelepipedi in 8 colori. Carte da gioco con le fotografie delle composizioni.
Numero giocatori
Da 1 a 4 giocatori. Il gioco può svolgersi in modo individuale o in una partita a due in cui vince chi compone per primo la figura della foto assegnata. La sfida può svolgersi anche a squadre.
Scopo del gioco
Riprodurre le composizioni presenti nelle foto, rispettando posizione e colore.
Inizio del gioco
A turno uno dei giocatori pesca una carta dal mazzo coperto e si inizia.
Fine del gioco
Quando la figura è composta correttamente (un compagno può fare da controllore). In partita vince chi termina per primo la figura in modo corretto.
Consigli e variabili
Si può mettere l’immagine distante dal tavolo di costruzione, in questo modo il giocatore corre a vederla, decide il pezzo da mettere e deve tenerlo a mente (si prende un pezzo per volta). Si può introdurre l’uso di una clessidra per dare un limite di tempo entro cui comporre la figura.
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LA RUOTA DELLE PROBABILITÀ
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Competenze • • • •
saper riconoscere un evento certo, possibile o impossibile saper spiegare e argomentare con il linguaggio appropriato della probabilità saper riconoscere che un evento è indipendente da aspettative e desideri personali saper registrare il verificarsi di un evento.
Obiettivi didattici • • • • • •
formulare ipotesi e confrontarle con il verificarsi o meno dell’evento prevedere situazioni utilizzare il linguaggio della probabilità in modo appropriato registrare dati tramite istogrammi interpretare dati spiegare in termini di probabilità il verificarsi o meno di un evento.
Istruzioni di gioco Materiale
Un piatto rotante su cui posizionare i diversi dischi. 5 dischi colorati che presentano proporzioni diverse espresse in misura e colore. 3 dischi non colorati che servono per posizionarci immagini usando scotch o strap. Si usano dei cartoncini o tappi per rendere visibile la raccolta di punti.
Numero giocatori
Da 1 a 4 giocatori.
Scopo del gioco
Riuscire a indovinare il colore che uscirà, considerando le proporzioni e quindi le probabilità. Si evidenzia il concetto di probabilità secondo la definizione assiomatica, cioè in termini di misura.
Inizio del gioco
Per arrivare gradualmente all’obiettivo di comprensione delle probabilità da parte del bambino, si parte utilizzando il disco con gli 8 colori, per poi passare a quello con proporzioni diverse. Decisi in gruppo il numero di giri per la partita, ad esempio 10, ogni giocatore sceglie il colore su cui puntare. Chi ha vinto la puntata precedente è il primo a puntare nella successiva. I giocatori che seguono possono scegliere solo i colori rimanenti. La ruota gira, chi indovina vince un punto.
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Fine del gioco
Il gioco ha fine quando un giocatore ha raggiunto il numero sufficiente di punti deciso ad inizio partita, quando sono stati compiuti tutti i giri di ruota stabiliti oppure si è raggiunto il limite di vincita prefissato.
Consigli e variabili Se il gioco è organizzato in forma di partita, usare dei cartoncini o tappi per rendere visibile la raccolta di punti. Registrare le uscite per mezzo di tabelle, in seguito realizzare degli istogrammi.
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