CAPITOLO I – L’AUTONOMIA FINANZIARIA DELLE REGIONI E DEGLI ENTI LOCALI
CAPITOLO I
L’AUTONOMIA FINANZIARIA DELLE REGIONI E DEGLI ENTI LOCALI SOMMARIO: 1. Il concetto di autonomia finanziaria. – 2. Il federalismo fiscale. – 2.1. Le regioni a statuto speciale. – 2.2. Le regioni a statuto ordinario. – 2.2.1. L’autonomia tributaria..
*** 1. IL CONCETTO DI AUTONOMIA FINANZIARIA. La Costituzione dedica particolare attenzione alla disciplina dell’ordinamento regionale e locale. Si tratta di una disciplinata fondata sul concetto di autonomia. Al concetto di autonomia si collegano le potestà che la Costituzione attribuisce agli enti territoriali, che di quell’autonomia sono espressione. Tali enti sono titolari di poteri che consentono di reperire e di utilizzare risorse finanziarie, funzionali al perseguimento delle finalità istituzionali. Il concetto di autonomia degli enti territoriali, dunque, include quello di autonomia finanziaria, agevolmente rappresentato dall’equazione secondo cui alla titolarità di funzioni e poteri devono necessariamente corrispondere le disponibilità finanziarie serventi a sostenerne l’esercizio. Gli elementi che concorrono a denotare la nozione di autonomia finanziaria si estendono dalla determinazione legislativa delle entrate, alla libertà di spesa, e dunque dalla potestà di imposizione tributaria al rapporto tra entrata e spesa come scelta di indirizzo politico. • Il concetto di autonomia finanzia, in questa prospettiva, comprende: i) la potestà degli enti territoriali di assumere proprie determinazioni in ordine alle modalità di reperimento delle risorse di sostegno finanziario; ii) la capacità degli enti territoriali di impiegare per i propri scopi le disponibilità finanziarie, senza particolari vincoli, imposti dallo Stato, rispetto alla destinazione d’uso. Nell’ordinamento italiano, il sistema di finanziamento degli enti territoriali, ed in particolare quello delle Regioni, non esclude la coesistenza di fonti d’entrata di diversa provenienza. In altri termini, fatta salva la possibilità effettiva del pieno esercizio delle funzioni, è concettualmente ammissibile che i mezzi di finanziamento derivino tanto dall’autonoma determinazione dei tributi, quanto dalla compartecipazione al gettito delle imposte statali, oppure, ancora, da 131
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trasferimenti di tipo perequativo, ancorché assistiti da precise condizioni di garanzia dell’autonomia dell’ente ricevente il trasferimento, per esempio tramite l’abolizione dei vincoli di destinazione. Il concetto di autonomia finanziaria, così delineato, ha posto le basi per la costruzione di un apparato capace di operare anche in termini di razionalizzazione della spesa pubblica, favorendo l’avvicinamento del sistema complessivo di finanza pubblica al modello del federalismo fiscale. 2. IL FEDERALISMO FISCALE. Il “federalismo fiscale” ha acquisito un’autonoma rilevanza concettuale nell’ambito della scienza economica alla fine degli anni ‘50 dello scorso secolo, attraverso la considerevole opera di sistemazione delle basi teoriche dell’economia pubblica da parte di R.A. Musgrave. In queste primigenie elaborazioni, il federalismo fiscale è la teoria che si occupa della definizione di regole per l’assegnazione al livello di governo più adeguato delle funzioni pubbliche e delle risorse finanziarie. Più precisamente, questa letteratura dimostra che, in un contesto di preferenze differenziate degli individui riguardo ai beni pubblici locali, la soluzione allocativa più efficiente, ovvero quella in grado di massimizzare il benessere dell’individuo e della collettività, è quella decentrata (c.d. Teorema del decentramento di Oates). Questo approccio, quindi, assume, quale ipotesi fondamentale dell’intera elaborazione teorica, la libertà e razionalità dell’individuo nella scelta dei beni pubblici da consumare. Queste brevi note iniziali permettono di cogliere, in tutta evidenza, che la teoria economica del federalismo fiscale ha quale oggetto di analisi le relazioni finanziarie fra diversi livelli di governo e, più precisamente, la distribuzione dei poteri di spesa e di tassazione e il sistema dei trasferimenti. In questo senso, lo studio del federalismo fiscale condivide i caratteri e i valori fondamentali della teoria politica del federalismo, delimitandone i confini alle sole relazioni finanziarie. In una prospettiva di metodo, quindi, lo studio del federalismo fiscale consente di far emergere quelle relazioni particolari che, nello studio del più ampio fenomeno del federalismo, sono spesso trascurate. Diversamente, nella prospettiva dei contenuti, rivela la coincidenza dei valori che connotano il federalismo e il federalismo fiscale, ovvero libertà, sussidiarietà e responsabilità. Sul piano giuridico, il federalismo fiscale è un concetto piuttosto recente, coincidente con l’approvazione e l’entrata in vigore della legge delega n. 133/1999, rubricata “Disposizioni in materia di perequazione, razionalizzazione e federalismo fiscale”. Il nuovo assetto dei rapporti economico‐finanziari tra lo Stato e le autonomie 132
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territoriali delineato dal federalismo fiscale è incentrato sul superamento del sistema di finanza derivata e sull’attribuzione di una maggiore autonomia di entrata e di spesa agli enti decentrati, nel rispetto dei principi di solidarietà, riequilibrio territoriale e coesione sociale sottesi al nostro sistema costituzionale. A tal fine la legge n. 42 del 2009 stabilisce in modo puntuale la struttura fondamentale delle entrate di regioni ed enti locali, definisce i principi che regoleranno l’assegnazione di risorse perequative agli enti dotati di minori capacità di autofinanziamento e delinea gli strumenti attraverso cui è garantito il coordinamento fra i diversi livelli di governo in materia di finanza pubblica. Il federalismo fiscale ha assunto il significato di decentramento dei poteri di entrata e di spesa. Il decentramento, tuttavia, è diverso a seconda che si tratti di regioni ordinarie o di regioni a statuto speciale. 2.1. LE REGIONI A STATUTO SPECIALE. Si detto che il federalismo fiscale assume una diversa configurazione a seconda che si tratti di regioni ordinarie o di regioni a statuto speciale Rispetto alle regioni ordinarie, le cinque Regioni a statuto speciale e le due Provincie autonome «dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia» (art. 116, comma 1, Cost.). La specialità regionale (e provinciale) si caratterizza per una più ampia autonomia riconosciuta a tali Regioni rispetto a quelle ordinarie, che trova concreta specificazione nel riconoscimento statutario di maggiori competenze e di una peculiare disciplina finanziaria. Tale disciplina trova la propria fonte direttamente negli statuti regionali e nelle disposizioni attuative degli statuti, che prevedono specifiche fonti di finanziamento e, di conseguenza, peculiari forme di coordinamento fra la finanza statale e quella regionale. I diversi sistemi di finanza pubblica delle Regioni a statuto speciale presentano, nondimeno, alcune caratteristiche comuni. - In primo luogo, il finanziamento delle competenze delle Regioni a statuto speciale è affidato, in maniera preponderante, a quote di tributi statali riscossi nel territorio regionale (o provinciale). - Le Regioni a statuto speciale dispongono, inoltre, di un’ampia potestà impositiva, da esercitare in armonia con i “principi del sistema tributario statale”. Il potere tributario regionale può indubbiamente essere esercitato in relazione a fatti economici che manifestano capacità 133
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contributiva non ancora assoggettati a imposizione statale, ma si estende anche a quei fatti già colpiti dalla legge statale. Dai principi costituzionali in materia tributaria non discende, dunque, un divieto di doppia imposizione per le Regioni a statuto speciale, se non nei termini generalissimi di un limite assoluto o di ragionevolezza di imposizione del medesimo fatto economico (art. 53, comma 1, Cost.). Da ultimo, le Regioni a statuto speciale dispongono di tributi istituiti dallo Stato il cui gettito è destinato al finanziamento del bilancio regionale (c.d. tributi propri derivati). Rispetto a tali tributi, la disciplina statutaria o attuativa regionale può prevedere poteri di intervento specifici, più ampi rispetto a quelli consentiti dalla legge statali istitutiva. La descritta specialità finanziaria è confermata dall’art. 1, comma 2, della legge delega in materia di federalismo fiscale: il coordinamento, da parte dello Stato, della finanza delle regioni a statuto speciale si riduce alla perequazione e solidarietà e all’esercizio dei diritti e doveri da essi derivanti, ai vincoli derivanti dal patto di stabilità interno e dagli obblighi previsti dall’ordinamento dell’Unione europea e al “graduale superamento del criterio della spesa storica” ed è realizzato attraverso «criteri e modalità stabiliti da norme di attuazione dei rispettivi statuti, da definire, con le procedure previste dagli statuti medesimi» (art. 27, comma 1). La legge delega n. 133/1999 non realizza, dunque, un coordinamento generale della finanza pubblica delle Regioni a statuto speciale con quella nazionale, bensì un coordinamento limitato a specifici obiettivi, alcuni dei quali mera reiterazione degli obblighi derivanti, rispettivamente, dalla Costituzione e dai Trattati europei. In ogni caso, la legge delega affida alla negoziazione bilaterale i contenuti del coordinamento finanziario.
2.2. LE REGIONI A STATUTO ORDINARIO. La disciplina dei rapporti fra Stato e Regioni a statuto ordinario è stata integralmente riscritta dall’art. 5 della legge Cost. n. 3/2001, che ha riformato il Titolo V della Costituzione. La legge Cost. n. 1/2012 ha ulteriormente emendato l’art. 119, 1° e 6° co., Cost., costituzionalizzando i vincoli del pareggio di bilancio per le autonomie locali. Conformemente al nuovo criterio di riparto introdotto con la riforma del Titolo V della Costituzione, lo Stato ha competenza esclusiva in relazione al sistema tributario e contabile dello Stato, all’armonizzazione dei bilanci pubblici e alla perequazione delle risorse finanziarie. 134
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A Comuni, Città metropolitane, Provincie e Regioni a statuto ordinario, l’art. 119, comma 1, Cost. riconosce autonomia finanziaria di entrata e di spesa, fra cui rientra il potere di stabilire e applicare “tributi propri”. Sul piano generale, dunque, la Riforma del Titolo V ha disegnato un ordinamento nazionale composto da una pluralità di sistemi finanziari e ha definitivo i poteri essenziali spettanti a ciascun livello di governo che compone la Repubblica. La potestà tributaria delle autonomie locali, ai sensi dell’art. 119, comma 2, Cost., dev’essere esercitata «secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario». Il coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario appartiene al novero delle competenze concorrenti, il cui esercizio è ripartito fra legge statale (principi fondamentali) e legge regionale (regole di dettaglio) (art. 117, comma 3, Cost.). Il Titolo V della Costituzione prevede che i principi fondamentali di coordinamento del sistema tributario costituiscano la cornice normativa entro cui l’autonomia tributaria regionale deve essere esercitata (art. 119, 2° co., Cost.). In questo senso, i principi fondamentali di coordinamento costituiscono la vera chiave di lettura delle relazioni finanziarie fra Stato e autonomie locali come disegnate dal nuovo Titolo V della Costituzione, poiché la definizione del “modello” di federalismo fiscale è affidata, per larga parte, a tali principi (BIZIOLI). La riforma del Titolo V della Costituzione, infine, ha introdotto la cosiddetta clausola di congruità, in ragione della quale le risorse finanziarie delle autonomie locali devono assicurare l’integrale finanziamento delle funzioni assegnate (art. 119, 4° co.) e, nel caso di trasferimento di nuove competenze, un corrispondente adeguamento delle risorse finanziarie. La clausola congruità riguarda, dunque, il volume complessivo delle risorse finanziarie destinate alle autonomie locali (BIZIOLI). 2.2.1. L’AUTONOMIA TRIBUTARIA. Ai sensi dell’art. 119 Cost., le risorse delle autonomie locali sono costituire da: i) tributi e altre entrate proprie; ii) compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al territorio; iii) fondo perequativo. La distinzione tra tributi propri della Regione e tributi statali si basa sulla fonte istitutiva del tributo: i tributi “propri” delle Regioni sono quelli istituiti con legge regionale; non possono essere annoverati fra i tributi propri in senso stretto quelli stabiliti e regolati con legge statale il cui gettito e/o altri poteri sono attribuiti alla potestà regionale. Si parla, in questo caso, di tributi propri derivati, che non realizzano appieno l’autonomia tributaria regionale, in quanto è la legge statale sovrana della disciplina del tributo. 135
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Il novero delle risorse finanziarie delle autonomie locali è completato dalle compartecipazioni erariali e dal fondo perequativo. Tali risorse sono accomunate dalla fonte istitutiva e regolatrice: la legge statale. Ma presentano tra loro rilevanti differenze. Le compartecipazioni al gettito dei tributi erariali realizzano i valori propri del federalismo fiscale, in particolare quello della sussidiarietà, poiché attribuiscono il gettito alle diverse autonomie locali in ragione del territorio ove il fatto economico (o il presupposto) è realizzato. In proporzione, quindi, i territori economicamente più sviluppati godono di maggiori risorse finanziarie. All’opposto, il fondo perequativo è trasferito ai “territori con minore capacità fiscale per abitante” al fine di garantire un integrale finanziamento delle funzioni assegnate anche ai territori economicamente meno sviluppati. In questo senso, la perequazione costituisce una “deviazione” rispetto ai valori del federalismo fiscale, poiché strumento diretto alla riduzione delle differenze fra le diverse autonomie locali, ma consente di realizzare imprescindibili esigenze di solidarietà economica, e quindi di eguaglianza, fra le diverse aree territoriali (BIZIOLI). Nell’ambito del delineato quadro costituzionale, la legge delega n. 133/1999 assegna alla finanza regionale un ruolo significativo nel sistema della finanza pubblica nazionale, soprattutto in termini di coordinamento e di promozione dell’autonomia finanziaria degli enti locali. Tale legge attribuisce alle Regioni la potestà di istituire tributi degli enti locali [art. 12, comma 1, lett. g)], la potestà di “gestire” la perequazione a favore degli enti territoriali situati all’interno del proprio territorio [art. 13, comma 1, lett. a) e h)] e la potestà di istituire compartecipazioni al gettito dei tributi regionali a favore degli enti locali (art. 11). Al contempo, tuttavia, l’art. 12 della legge delega assegna, in primo luogo, alla legge statale un ruolo centrale nella determinazione degli ambiti dell’autonomia tributaria comunale e provinciale, nonché del coordinamento fra i due sistemi. La medesima previsione consente alle Regioni l’istituzione di nuovi tributi dei Comuni, delle Provincie e delle Città metropolitane e assegna loro un ruolo esecutivo di coordinamento finanziario. Ne deriva un modello di finanza locale, sul piano strutturale e dei contenuti, perfettamente simmetrico. Quanto all’autonomia tributaria, l’art. 12 della legge delega prevede che la legge statale: i) individui “tributi propri dei Comuni e delle Provincie” attraverso la definizione dei presupposti, dei soggetti passivi e della base imponibile; ii) disciplini tributi di scopo. Lo stesso art. 12 assegna alla legge regionale il potere di istituire tributi degli enti locali. L’art. 119, comma 6, Cost., infine, regola il ricorso all’indebitamento, ammesso solo per il finanziamento di spese per investimenti e, a decorrere dall’esercizio finanziario 2014, «con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a 136
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condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio» (v. amplius infra).
QUESTIONARIO 1. Cosa si intende per “autonomia finanziaria” (I, 1) 2. In cosa si sostanzia il federalismo fiscale? (I, 2) 3. Qual è la disciplina del federalismo fiscale? (I, 2) 4. Come si applica il federalismo fiscale alle regioni a statuto speciale? (I, 2.1) 5. Come si applica il federalismo fiscale alle regioni a statuto ordinario? (I, 2.2) 6. Cosa si intende per “autonomia tributaria”? (I, 2.2.1)
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