L’AMORE
DI
AGO
E
SPILLA
Paolo Valentini ANTEPRIMA GRATUITA
«Vertigini» Collana di narrativa
L’amore di Ago e Spilla © 2014 Paolo Valentini © 2014 Matisklo Edizioni Prima edizione, giugno 2014 ISBN: 978-88-98572-16-8 Copertina di Matteo Anselmo. Illustrazioni di Emanuele Tomasi, E1kel, Francesca Leoncini, Sara Bergomi, Mauro Martin, Giada Cattaneo, Liliana Paganini, Silvana Verduci, Chiara Foresti, Pietro Dichiara, Francesco Capello, Gianluca Mattossovich, Valeria Bianchi Mian, Stella Passi, Daniela Spoto. Matisklo Edizioni S.N.C. di Oddera Cesare & Vico Francesco Via Eremita 14 17045 Mallare (SV)
[email protected] www.matiskloedizioni.com
UN FILO SOTTILISSIMO E UN CERCHIO CHE SI CHIUDE DI CESARE ODDERA Lo scorso anno, durante un viaggio in Polonia in compagnia di un amico, volli a tutti i costi visitare il complesso di Auschwitz-Birkenau. Nel breve tragitto in auto da Cracovia al Lager non dicemmo una parola, rompendo il silenzio solo al cospetto della variopinta folla di «turisti dell’anima» in coda alla biglietteria, quando finalmente il mio amico mi chiese cosa andassi cercando. Risposi che non lo sapevo. Dovevo vedere, semplicemente. Già, ma vedere che cosa? Fino a quel momento, Oświęcim – questo il suo nome prima e dopo l’occupazione tedesca – mi aveva regalato le stesse sensazioni provate nel resto della provincia polacca e che ricordava bene anche Primo Levi: un penetrante odore di malto e di carbone. Eppure, in quella sperduta cittadina al confine fra la Slesia e la Piccola Polonia i nazisti avevano eretto il maggiore dei loro campi di sterminio. Tutto ciò che avevo letto, ascoltato e visto attraverso le vecchie fotografie e i filmati d’epoca era accaduto là. In quel Lager erano stati rinchiusi Elie Wiesel, Elisa Springer, Liana Millu, Bruno Piazza, Liliana Segre, Primo Levi e molti altri. Di là era passata Anne Frank e là erano morti Massimiliano Kolbe, Edith Stein e Irène Némirovsky. Nomi che erano entrati a far parte del mio immaginario fin dall’adolescenza e che non potevo fare a meno di associare alla dimensione assoluta dell’Olocausto. Donne e
uomini passati attraverso l’Apocalisse. Certo, erano sorti altri campi, a dozzine, in tutta Europa, ma Auschwitz-Birkenau, annunciato dalla beffarda insegna «Arbeit macht frei», rappresentava per me il paradigma stesso del Lager, con le sue docce, i «kapo», i crematori, le nere volute di fumo e di cenere. In definitiva, credo volessi provare a capire, cogliere l’essenziale di un processo che, seppur irrevocabilmente consegnato alla storia, continuava a sfuggirmi per via della sua straordinaria complessità e del connaturato abisso di abiezione, che nemmeno il tempo è stato in grado di rischiarare. In modo fin troppo presuntuoso, mi preparavo a penetrare l’abisso, a comprendere l’orrore visitando il massimo monumento all’annientamento. Le cose andarono diversamente. Delle oltre tre ore di visita ricordo ogni particolare, sebbene a farla da padrone – dentro come fuori dal Lager – fossero ancora una volta le sensazioni: l’angoscia e l’oppressione, puntuali, precise. Soprattutto, un’inattesa sensazione di straniamento, che avrei riconosciuto all’istante, se solo avessi fatto tesoro della lezione di Primo Levi e Boris Pahor. I visitatori, anche quelli a prima vista maggiormente consapevoli di quanto era accaduto in quel luogo, mi parevano fuori posto. Lo stesso si dica per la guida, che mi illustrava il campo, dettaglio dopo dettaglio, in perfetto italiano. E i pannelli esplicativi appesi alle pareti dei «block», le teche e le vetrine che esponevano gli oggetti. Tutto mi sembrava troppo «nuovo», troppo vivo. Ricordai prima Pahor, le parole pronunciate al suo
ritorno nel Lager di Natzweiler-Struthof, sentendomi a mia volta un intruso: «non riesco ad accettare fino in fondo l’idea che questo posto di montagna, cardine del mio mondo interiore, sia visitabile da chiunque [...] perché questi sguardi curiosi (ne sono assolutamente certo) non potranno mai penetrare nell’abisso...» (Boris Pahor, «Necropoli», Fazi Editore, Roma 2008). Ecco dove avevo sbagliato. Pahor era un «testimone», un ex deportato. Come potevo io, nato nel 1977, pellegrino su quello che ormai era stato trasformato in un museo e in un luogo di memoria, sperare di afferrarne il senso ultimo? Poco dopo, passeggiando nei pressi della ben nota torre di Birkenau, mi sovvennero anche le parole di Primo Levi: «non siamo noi, i superstiti, i testimoni veri. [...] Noi siamo quelli [...] che non hanno toccato il fondo. Chi lo ha fatto, chi ha visto la Gorgone, non è tornato per raccontare o è tornato muto; ma sono loro, [...] i sommersi, i testimoni integrali» (Primo Levi, «I sommersi e i salvati», Einaudi, Torino 1986). Credo che in questa considerazione – più ancora che in quella di Pahor – sia racchiusa tutta la spaventosa potenza della Shoah, un orrore ardente e perpetuo ma impossibile da dire, che ha portato molti di noi «nati dopo» ad arrendersi all’indecifrabilità, a distogliere lo sguardo, a dubitare, addirittura a negare. Questi due uomini, passati attraverso l’Apocalisse, riescono a sciogliere una parte di quell’abominio nella totalità della storia e a fonderlo con l’imperfezione nel sentire e nel comprendere propria dell’essere umano.
Dopo il mio ritorno in Italia, il mese seguente, insieme a Francesco Vico fondai la «Matisklo Edizioni». Fui io a suggerire il nome, memore dell’esperienza polacca, traendolo proprio da una delle pagine più toccanti de «La tregua», nel tentativo – magari goffo, ma immune a qualsiasi intellettualismo e frutto della buona fede – di recuperare un frammento della vasta letteratura dello sterminio – la parola del piccolo Hurbinek, il figlio della morte – per fissarlo nel nostro presente. Sei mesi più tardi, a Roma, ai primi di dicembre, Francesco ed io incontrammo Paolo Valentini e parlammo a lungo di «L’amore di Ago e Spilla». Allora non accennai a nulla, ma mi appariva chiaro come i tasselli ancora mancanti si stessero incastrando alla perfezione, andando a chiudere il cerchio apertosi qualche tempo prima. L’idea di lavorare ad un testo sulla Shoah mi stuzzicava molto. Una fiaba, per giunta, un’opera priva di qualsiasi limite spaziale o temporale e dal potenziale enorme, che partendo dal contesto divenisse metafora del bisogno di libertà comune a tutti i popoli del mondo. Ho accettato quindi con gioia di pubblicare questo eBook, naturalmente non quale «testimonianza», ma – consapevole del fatto che il trascorrere del tempo e la mortalità umana stingono i segni, che preferiremmo certo immaginare eterni, di quell’indicibile tragedia – come operazione di «memoria». Ero e sono tuttora convinto, infatti, dell’esistenza di un legame sottilissimo che unisce Levi e tutti gli altri a Paolo Valentini, a me e a tutti noi «nati dopo», non ultimi i
bambini e gli adolescenti a cui principalmente «L’amore di Ago e Spilla» si rivolge. Si tratta di un filo talmente esile da riuscire ad entrare senza sforzi nella cruna del nostro amico Ago. Ma c’è, di questo sono sicuro, e non è un dettaglio marginale. Qualcuno la definisce «Storia», ma i piccoli e grandi lettori di questa fiaba sono autorizzati a chiamarla «Magia». Come editore, desidero ringraziare qui tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione del testo. In particolar modo, il pensiero della redazione di Matisklo va agli illustratori, che con il loro lavoro hanno impreziosito immensamente quello di Paolo e il nostro. Trovate i loro nomi e le loro biografie complete in coda al testo. Infine, voglio chiudere salutando proprio i più piccini fra i nostri lettori, con l’augurio che il messaggio di fratellanza e giustizia assoluta contenuto in «L’amore di Ago e Spilla» vi aiuti – per dirla una volta ancora con Primo Levi – a conquistarvi l’entrata nel mondo degli uomini. Possa l’umanità tutta, libera, testimoniare e ricordare attraverso voi. Buona lettura. Cesare Oddera
Mallare, 3 maggio 2014
L’AMORE
DI
AGO
E
SPILLA
A Lory e Naty, due grandissimi cuori in petti d’acciaio.
Sopra le altre Spille, tramortite per la stessa ragione che aveva colpito Ago, sopra tutte loro, ora riposava a terra la sua Spilla. Volete davvero sapere come tutto ciò fosse stato possibile? Se ne siete ancora capaci, voi grandi, regalate un sogno ad un piccolo, perché sarà l’unico, lui solo, a trasformarlo in qualcosa di immensamente grande.
1. DI STRAVENDIROBA E DI UN PICCOLO VILLAGGIO Si sa, le cose grandi vincono sempre... o quasi. Avete mai provato a provocare qualcuno più grande di voi? Se l’avete fatto siete degli sciocchi, ma con un occhio nero e un bel livido avrete sicuramente imparato la lezione. I più grandi vincono sempre... o quasi. Certo ci sono delle eccezioni, però sono rischiose e spesso finiscono in malo modo e con strani rumori. Spiach!, per esempio, è il rumore di una mosca che credeva di farla franca sotto il naso d’un tizio infuriato. Povera mosca e povero naso! Pssss... Bum! invece è il suono che una zanzara sentì uscire da una bomboletta colorata, anche se realtà si fermò al P! «Che buon profumo!», urlò estasiata appena udito il sibilo, ma furono le sue ultime parole prima di stramazzare al suolo. Ancora un fortissimo Spiach! fu l’ultimo suono che un topolino fece appena in tempo a percepire prima di diventare una poltiglia maleodorante sotto le zampe d’un elefante. Purtroppo il grande s’era liberato il pancione proprio accanto al poverino. Due grandi contro un piccolino, ma in che mondo viviamo! Certo i topi sono assai più intelligenti delle zanzare e non ci è dato sapere in che modo il topolino arrivò a sentire l’intero Spiach! senza fermarsi alla sola S. Si dice che è per questa unica ragione che i topi vengono preferiti alle zan-
zare in quasi tutti gli esperimenti scientifici. Sono sicuro che ognuno di voi ricorderà almeno un doloroso Spiach! che si è abbattuto sulle sue guance quando era piccolo. Alcuni pure da grandi, perché da cresciutelli non è diverso. Pensate ad un grande che, senza libere e democratiche elezioni, si arroga il diritto d’insegnar la buona educazione ad un piccolo. Quindi, come si è detto, i piccoli perdono e i grandi vincono, però esistono alcuni rari casi di onorevoli pareggi. E non sempre si deve andare a sfrugugliare tra le candide bestioline perché sembra che questo accada anche per le cose inanimate. Tra l’altro, un onorevole pari e patta certe volte ha veramente il gusto della vittoria. Prendete ad esempio un villaggio di piccole e graziose casette, tutti vivono in una dimensione umanamente piccola, la maggior parte delle volte si sorride e, quando si litiga, rimane sempre e solo una cosa piccola. Piccolo il villaggio, piccola l’arrabbiatura. Tutto, in un mondo come questo, è a misura di braccia e, visto che trattiamo del piccolo, diciamo che è a misura di pollice. «Vado a prendere il pane a tre pollici dall’angolo e torno», dice la mamma alla figlia lasciata davanti ad un televisore da poco più di cinque pollici. «Esco un attimo a comprare un francobollo da tre quarti di pollice», sussurra il contadino alle orecchie d’una mucca che era lì lì per riempire il suo secchiello di latte. Ancora un paio di pollici e avrebbe finito. Cose piccole, che funzionano bene fino a che non decide d’arrivare un grande, magari un Vendiroba, o ancor peggio uno Stravendiroba, ed immediatamente verranno su
come funghi migliaia di Producase. Come? Vi state perdendo? Forse bisognerà fare un po’ di chiarezza con queste faccende di Vendiroba e Stravendiroba, soprattutto perché non vi ho neppure accennato ai Strastravendiroba. Non è che a Piccolo Villaggio nessuno vendesse nulla prima dell’arrivo di un grande Vendiroba. Anzi, come vedremo, le botteghe non mancavano. Ma si sa, i modelli di sviluppo cambiano! Se si vende roba bisogna dirlo e, se non basta, bisogna stradirlo! Chiaro il concetto? E le Producase? Uffici, ma molto più grandi, dove si aveva immediatamente chiaro il fine di ogni singola giornata spesa in quei luoghi: straprodurre roba da stravendere. Lo so che sono faccende noiose e per nulla divertenti, ma non ci posso fare niente. È che non siete aggiornati e quindi non adeguati con gli attuali modelli di sviluppo, come dicono sempre nelle Producase. Torniamo per un momento al discorso dei grandi e dei piccoli e alla storia del pareggio. Torniamo pure al piccolo e armonioso villaggio, quello dei pollici, e vediamo insieme come andarono le cose. Anche a Piccolo Villaggio un giorno arrivò un Vendiroba e si fece largo a spese di alcune piccole case e qualche bottega, obbligata a chiudere per pochi spiccioli. Come al solito quindi un grande la spuntò sui piccoli, così come vuole la regola. Nei trenta e più piani del nuovo Vendiroba faceva bella mostra di sé tanta merce che neppure dieci e più generazioni di abitanti di Piccolo Villaggio avrebbero mai potuto comprare.
«Un Vendiroba si inserisce in un piccolo luogo per farlo crescere, guardando sempre al bene delle future generazioni», spiegò il direttore Megavendaurus in un’intervista sulla Piccola Voce di Piccolo Villaggio, il giornalino locale. Nel Vendiroba gli abitanti passavano delle bellissime giornate e Megavendaurus era soddisfatto. Poco dopo cominciarono ad apparire le prime Producase, piene di strani personaggi vestiti con abiti buffi e scomodi che a Piccolo Villaggio non si erano mai visti. Le Producase erano all’interno dei Produlazzi, che non erano semplici palazzi pieni di Producase, bensì interi quartieri che crescevano cancellando le piccole case e mangiando prati, fiori e boschi sempre verdi, perché è così che funzionano le cose nelle migliori fiabe. Tutto sembrava andare secondo la solita logica: i grandi vincono sempre... solo che a Piccolo Villaggio si parlò d’un onorevole pareggio, che di solito arriva quando due grandi cominciano a discutere tra loro dimenticandosi dei piccoli. Avete mai pensato, voi piccoli, a quanti Spiach! vi siete risparmiati semplicemente perché al momento della punizione due grandi, molto ma molto vicini a voi, hanno cominciato a discutere tra loro, facendo volare tanti altri Spiach! in nuove direzioni? A Piccolo Villaggio andò esattamente nello stesso modo. Lo Stravendiroba del grande Megavendaurus fu presto affiancato da un altro Stravendiroba, dell’ancora più famoso e giovane Rodoclients, e i due si misero a litigare. I loro altissimi Stravendiroba sorgevano l’uno attaccato all’altro. Ma proprio attaccati? In tutta sincerità no.
Immaginiamo di avere un bel paio d’ali e di spiccare il volo per ammirare Piccolo Villaggio dall’alto, non troppo dall’alto naturalmente. Quel che vediamo subito sono tantissimi Vendiroba, un’infinità di Produlazzi e qualche rara ma efficientissima Produimpara, la nuova scuola di Piccolo Villaggio. Se però aguzziamo lo sguardo, ci accorgeremo che laggiù, in mezzo ai due giganteschi Stravendiroba, giusto a due pollici dai loro ingressi, è rimasta una bottega minuscola e graziosa, aperta e in buona forma. Un luogo dove presto avremo la gioia di entrare: la Bottega dei Fili. Una cosa del genere vi sembra normale? Certo che no! È una cosa ben strana, tanto strana che ne parlò anche la Piccola (ma produttiva) Voce di Piccolo Villaggio. E certo non era normale per quei bellimbusti di Megavendaurus e Rodoclients, che spesso, armati di cannocchiale, guardavano ambedue giù in basso verso quella minuscola casetta strizzata tra i loro due colossi pronti a papparsela. Dai due Stravendiroba partivano ogni giorno lunghissime lettere, anche di dieci pagine e dove apparivano numeri con centinaia di zeri, indirizzate alla proprietaria della Bottega dei Fili, l’anziana Nuvoletta Gentile. Come fosse d’aspetto questa signora non è il caso di spiegarlo, perché è esattamente come ve la immaginate: candida e dolce come una nuvola. «Ahh, se avessi ricevuto parole d’amore come queste quando ero giovane!», pensava Nuvoletta Gentile leggendo le tante pagine d’apprezzamento contenute in quelle offerte economiche, convinta che a scriverle fossero stati Megavendaurus e Rodoclients in persona. In realtà a scrivere quelle lettere erano centinaia di
Produttori delle Producase, che si alambiccavano il cervello per giorni e giorni in interminabili riunioni. Era un lavoro difficile e anche rischioso, perché ogni lettera senza risposta aveva come conseguenza la retrocessione della Producasa che l’aveva prodotta. All’interno di un Vendiroba, una Producasa che mal produceva passava via via ai piani inferiori, poi agli scantinati, poi i dipendenti dovevano assolvere loro stessi alle pulizie interne, poi venivano privati dei bagni ed infine, cosa considerata terribile e quasi mortale, privati del famoso abito atto a produrre, il vestito da lavoro, considerato il bene più importante. Si trattava di meravigliosi abiti splendenti, che emanavano una loro luce propria. I vestiti dei capi facevano naturalmente una gran luce, ma anche i subalterni non erano da meno. Detto questo, immaginate cosa potesse significare per i poveretti perdere il tanto agognato abito. Era come se si spegnessero, e purtroppo Nuvoletta Gentile ne aveva spenti a dozzine, tanti da spingere alcuni di loro a fare la coda davanti alla Bottega dei Fili pregandola di accettare le proposte che arrivavano da Megavendaurus o Rodoclients. «Sono due bravi ragazzi e non vorrei ferirli», ripeteva lei, arrossendo un pochino, come succede nelle faccende di cuore. Intanto i due continuavano a litigare e a gareggiare fra loro. Megavendaurus, impetuoso per natura, decise di rincarare la dose e, nel giro di una notte, sostituì il suo Stravendiroba con un ancor più alto Strastravendiroba. La risposta di Rodoclients non si fece attendere e l’indomani, sfruttando la pausa pranzo, moltiplicò per dieci il suo Stra-
vendiroba, che evito di nominare, per limiti di spazio. Così il minuscolo negozio di Nuvoletta Gentile venne a trovarsi così in basso da essere praticamente invisibile. La situazione, già critica, precipitò del tutto quando i due bellimbusti pensarono di suddividersi anche il cielo che si ergeva sopra la Bottega dei Fili, uno spazio strettissimo e alto centinaia di migliaia di piani, oltre le nuvole. Lassù erano arrivati ormai i due Stravendiroba. Non ci volle poi molto perché la stretta cavità rettangolare in cui era inserita la Bottega dei Fili divenisse per metà una vetrina dell’astuto Rodoclients. Con l’altra metà, Megavendaurus, che non voleva essere da meno, fece altrettanto. Naturalmente a Nuvoletta Gentile arrivavano ancora fantastiche lettere, anche se la sua bottega era diventata merce da esposizione. Megavendaurus e Rodoclients erano concordi su un principio universale delle Producase: una cosa che non si può comprare la si espone come fosse propria. In questi casi la musica aiuta sempre. Cosa? C’è che la musica, spesso, chiarisce le idee ed è come quando si dice: mi faccia un esempio. In un Piccolo Villaggio, c’è un ambiente gaio e saggio, Si lavora in armonia, ed il tempo vola via. Quando un grande arriva e incalza, spesso un piccolo stramazza. Diffidate della resa, di quel piccolo,
Dio mio che impresa! Sarà lunga sofferenza, ma l’amor vuole pazienza. Aghi e Spille su la testa, or che il mondo a voi s’appresta! C’indicate un sol giusto cammino, perché strada sia mai più d’infido spino. Raccontiamo ora la storia, brutta o bella, boh? Fatta di gloria. Ascoltate certo, ascoltate, ma vi prego ora guardate... cosa può far solo “L’amore di Ago e Spilla”.
Si trattava d’una filastrocca molto strana e sembra provenisse proprio dalla Bottega dei Fili.
GLI
ILLUSTRATORI
MATTEO ANSELMO HA REALIZZATO LA COPERTINA Matteo Anselmo, classe 1985, nasce, vive e lavora a Genova. In età scolastica inizia il suo percorso di fumettista/illustratore che lo porterà a vincere svariati concorsi (finalista a «Reality Draws 2012», «Eur-Hope 2013/2014» e «Tapirulan 2013», vincitore di «I love Pazienza 2013») e a pubblicare per varie riviste e case editrici. Nel 2013 illustra «Me l’ha detto Frank Zappa» (Editrice Zona / Matisklo Edizioni) libro d’esordio del cantautore ligure Zibba. Contamina il mondo della pittura con quello della musica, collaborando con locali e musicisti realizzando grafiche, poster, illustrazioni e spettacoli di live painting.
EMANUELE TOMASI HA ILLUSTRATO IL CAPITOLO 1 Vincitore del contest per illustratori «Un’illustrazione per Ago e Spilla», Emanuele Tomasi è un’artista eterogeneo, autenticamente rivolto alle aspettative e alle percezioni immediate dello spettatore. Nato nel 1987, comincia a rendere pubblici i suoi lavori solo nel 2014 – utilizzando il Web e partecipando a vari eventi artistici – ed è conosciuto in particolare per i suoi Trips, veri e propri viaggi nell’inconscio, ottenuti attraverso dedali e grovigli lineari che occorre seguire attentamente e regalano all’osservatore sensazioni differenti a seconda dello stato d’animo contingente. Specialista della computer grafica, dal 2008 scolpisce e fotografa i cosiddetti poligoni, materiale esclusivamente virtuale con cui crea immagini e illustrazioni dal sapore contemporaneo.
E1KEL HA ILLUSTRATO IL CAPITOLO 2 E1kel nasce nell’ottobre del 1971, giusto in tempo per perdere «Live at Pompei» dei Pink Floyd. Trascorre l’adolescenza cantando nel gruppo punk de «I Topi Unti» e cadendo svariate volte dallo skate. Verso gli inizi degli anni ’90 comincia ad interessarsi alla Street Art scegliendo lo stencil come forma d’espressione. Le potenzialità offerte da tale tecnica lo entusiasmano così tanto da spingerlo a sperimentare varie modalità d’esecuzione e a ricorrere a differenti materiali in una continua ricerca di perfezione stilistica. Si trasferisce a Londra, dove lavora come barman in un locale, diventando cintura nera di cocktail. L’esperienza londinese lo proietta in una realtà cosmopolita e moderna, cosa che influenzerà notevolmente la sua arte. Trascorre parecchio tempo anche ad Amsterdam, prima di avere la pessima idea di tornare in Italia. Insieme alla sua compagna apre un negozio di bombolette in liguria, dove vive tuttora. Si specializza nella tecnica dello stencil multilivello e comincia a partecipare ad alcune mostre, ottenendo una buona risposta da parte di critica e pubblico.
FRANCESCA LEONCINI HA ILLUSTRATO IL CAPITOLO 3 Nata a Savona nel 1984, Francesca Leoncini ha studiato presso l’Accademia di belle arti di Roma e partecipa attivamente a mostre ed eventi culturali. Dedita totalmente alla decorazione, spazia dalla pittura alla fotografia, dal design degli interni alla scenografia, passando per la scultura, la ceramica e, soprattutto, l’illustrazione, vero grande amore. Le sue opere sono presenti in molti libri, tra cui: «Niente parole d’amore per un fucile» (Edizioni CFR) di Cesare Oddera e «Per un’ora di nuoto» (Matisklo Edizioni) di Laura Salvai. Altre sue immagini sono state pubblicate su riviste e siti Internet. Ha iniziato a dipingere fin da bambina per un forte bisogno di comunicazione e di interpretazione di se stessa. La tecnica che predilige è l’acquerello, grazie al quale la carta ruvida accoglie quasi sempre un soggetto principale circondato da macchie di colore appositamente volute, seppur nella loro casualità naturale, insieme agli immancabili segni liberi in inchiostro nero. Nelle sue opere cerca di esprimere la coscienza delle cose e di dare un’anima ad ogni singolo oggetto, rielaborando visioni, emozioni e ricordi personali, per arrivare ad una realtà-irreale di materia onirica, universalmente riconoscibile e immediatamente condivisibile dall’osservatore.
SARA BERGOMI HA ILLUSTRATO IL CAPITOLO 4 Nata a Borgomanero nel 1975, da sempre intimamente legata all’arte e al disegno, Sara Bergomi studiato al Liceo Artistico Statale di Novara e si è laureata in Architettura al Politecnico di Milano, specializzandosi in progettazione ospedaliera. Dopo molti anni in cui si è occupata esclusivamente della sua professione, nel 2012 riprende a disegnare per la propria bimba. Col tempo, torna a realizzare illustrazioni, quadri e gioielli e comincia a collaborare con le autrici Laura Bertolini e Vera Libertà, alle quali è legata da profonda amicizia. Attualmente si divide fra i vari ruoli di mamma, architetto, illustratrice e donna. Lo scopo è quello di vivere a fondo ogni giorno, imparare e creare sempre qualcosa di nuovo di cui essere fiera.
MAURO MARTIN HA ILLUSTRATO IL CAPITOLO 5 Nato a Pinerolo, in Piemonte, Mauro Martin studia presso il Liceo Artistico e il Politecnico di Torino, dove si laurea in Architettura. Parallelamente, frequenta l’atèlier del noto pittore surrealista torinese Raffaele Ponte Corvo e stringe legami con il mondo artistico veneziano. Nel periodo 1975-1980 la sua opera è incentrata sulla rilettura del ’400 in chiave strutturalista; coniugando questa prima esperienza con una concezione neometafisica dell’arte, la sua pittura approda al Realismo Magico. Dal 1995, contestualmente alle opere figurative, inizia la produzione di dipinti informali o astratti, avvalendosi dal 2006 dell’uso della scultura e della fotografia. Al centro della sua attenzione c’è sempre la composizione, la struttura dell’opera. Ad ogni linguaggio visivo, infatti, per Martin sottende la medesima regola: quella pulizia formale e quel rigore di impostazione che nel Rinascimento era alla base di ogni creazione artistica. Artista completo – spazia dal disegno alla fotografia, passando per la pittura – ha iniziato la carriera artistica nel 1977 esponendo alla «Galleria San Vidal» di Venezia; da allora, la sua attività è andata via via intensificandosi, frequentando le migliori piazze europee ed internazionali.
GIADA CATTANEO HA ILLUSTRATO IL CAPITOLO 6 Laureanda presso il D.A.M.S. di Bologna, Giada Cattaneo collabora come illustratrice con diverse case editrici e associazioni culturali, fra cui: Enrico Folci Editore (Roma), Eventualmente Edizioni (Palermo), SensoInverso Edizioni (Ravenna), Cacofonico Editore (Faenza), Freaks Edizioni (Faenza), Associazione Culturale Zacem (Savona), Fermenti Editrice (Roma), Moby Dick Editore (Faenza), Giampaolo Milzi Editore (Ancona), Progetto Flaneri (Roma). Dipinge fin dal primo anno del Liceo Artistico, ma solo negli ultimi anni il disegno è diventato per lei una vera e propria necessità spirituale. Una sua illustrazione è stata esposta a Palazzo Isimbardi, a Milano. Trasferitasi da pochi mesi negli Stati Uniti, dove è conosciuta come Honey Jade, ha esposto i suoi dipinti a Miami, presso la «Jakmel Art Gallery», Wynwood Arts District.
LILIANA PAGANINI HA ILLUSTRATO IL CAPITOLO 7 Nata a Roma, Liliana Paganini si diploma in Pittura all’Accademia di Belle Arti di Roma e si laurea al D.A.M.S. nella Specialistica di Scienze dello spettacolo e Tecnologie multimediali. Attrice, pittrice, scrittrice e regista, ha frequentato a Parigi l’École Internationale de Théâtre Jacques Lecoq. Come attrice ha lavorato con alcuni dei migliori registi della scena italiana come Luigi Squarzina, Mario Missiroli, Roberto Guicciardini, Maurizio Scaparro e Pietro Carriglio. Nel cinema, è stata diretta da Federico Fellini e Beppe Ferrara. Come autrice teatrale ha ricevuto diverse segnalazioni e riconoscimenti. Ha esposto le sue opere – per la maggior parte acquerelli – a Roma, Palermo, Gibellina, Torino, Tunisi e Istanbul. Dal 2007 ha curato la regia di diversi video-arte digitali che sono stati proiettati a Miami, Budapest, Atene e Tiznit (Marocco). Nel suo lavoro pittorico sovrappone immagini e segni, scritte che hanno perso il loro significato originario per divenire forme aperte, in cui l’uso dell’acetato suggerisce citazioni pop leggere e poetiche.
SILVANA VERDUCI HA ILLUSTRATO IL CAPITOLO 8 Diplomata in Grafica e Fotografia Pubblicitaria, Silvana Verduci ha proseguito la speculazione artistica sperimentando tecniche e materiali diversi. Ha avuto un’attività artigianale per la lavorazione di maioliche e sculture poi dedicata alla pittura, al bricolage e frequentato alcuni corsi alla Scuola Internazionale di Illustrazione per l’Infanzia di Sarmede (TV). L’interesse per il linguaggio muto delle immagini si è rafforzato durante un’esperienza emozionale molto forte. Un giorno di molti anni fa ho indossato il naso rosso per i bambini in ospedale come clown di corsia. In quel periodo è nata la raccolta di illustrazioni «Un Sorriso per il Buonumore», diventato oggi un progetto che sostiene e promuove l’espressione artistica, la creatività e l’affettività affinché non vengano negate anche in quei luoghi di estremo dolore e disagio sociale. Ha disegnato per Unicef Campania, LAV, Il Quadrifoglio, La Quercia editore.
CHIARA FORESTI HA ILLUSTRATO IL CAPITOLO 9 Nata ad Alzano Lombardo (BG) nel 1985, Chiara Foresti ha studiato all’Istituto d’Arte Fantoni e si è laureata all’Accademia di Belle Arti di Carrara. Vive nel mondo dell’arte da sempre, grazie alla madre, decoratrice e artista. Nella prima infanzia avviene l’incontro con l’alter ego Ciris – un albero incorporeo – che ispirerà il suo primo lavoro, un videoracconto in cui fantasia e realtà si fondono all’ombra del grande albero. Decoratrice e restauratrice, prima come assistente della madre e poi da sola, nel 2007 è stata apprendista restauratrice al Castello Visconteo di Trezzo sull’Adda per conto di «Ars Restauri» (2007). È autrice di «Anima» (2008), raccolta di pensieri, disegni, poesie o microbiografie, successivamente ripresa in «Anime/A name» (2010), evoluzione che coinvolge il pubblico in una semiseria dichiarazione d’identità. Una cabina di compensato con la parte anteriore trasformata in gigantesca «polaroid» diventa la finestra a cui affacciarsi, scrivendo un messaggio a scelta sulle mani o dove si vuole. Fra i suoi numerosi progetti artistici ricordiamo: la raccolta di stampe «Il tempo per inciso» (2008), ottenute passando l’inchiostro su tavoli e panche di bar e pub, il racconto per immagini «Sublimazione» (2009) e «Amore dove sei?» (2010), una rivisitazione ironica e neopop del tema eterno dell’amore, in senso allargato. Nel luglio del 2013 nasce «NO WAR» un Work In Progress tuttora attivo (www.nowarproject.blogspot.it).
PIETRO DICHIARA HA ILLUSTRATO IL CAPITOLO 10 Nato nel 1958, Pietro Dichiara vive ad Ancona, dove si occupa di illustrazione editoriale per ragazzi – inclusa la scolastica e la didattica – e di cinema d’animazione. Collabora con moltissime realtà culturali ed editoriali italiane e internazionali, fra cui: Eli Publishing, Elmedi, Lang Pearson Longman, Paravia, Bruno Mondadori, Edizioni Curci, Loescher Editore Helbling, Cideb-Black Cat Publishing, Raffaello Editrice, De Agostini Scuola, Editrice Tresei Scuola, Ardea Editrice, Cedam, Clementoni, Centro Sperimentale Poliarte Ancona e Gruppo Editoriale Il Capitello. Per Edizioni Rainbow ha creato i personaggi per il CD-Rom e la serie animata «Tommy & Oscar». Ha collaborato alla realizzazione di illustrazioni per alcune collane «Winx» e «Popixie» e realizzato alcuni bozzetti per lo story di «Opopomoz», il film di Enzo D’Alò. Per il Gruppo Alcuni ha realizzato storyboard per la serie «Cuccioli», mentre per la Piemme varie illustrazioni di «Mistero a Parigi» della collana «Tea Sisters».
FRANCESCO CAPELLO HA ILLUSTRATO IL CAPITOLO 11 Francesco Capello è nato a Chivasso, in provincia di Torino, nel 1944. Dopo la maturità artistica, ha frequentato l’Accademia Albertina di Belle Arti di Torino, dove si è diplomato conseguendo il premio riservato ai migliori allievi. Dal 1970 al 1973 è stato docente di Discipline Pittoriche al Liceo Artistico Arturo Martini di Savona e, fino al 1994, al Primo Liceo Artistico di Torino. Da sempre si è interessato alla pittura di immagine, dopo varie esplorazioni nel campo figurativo, nei primi anni Settanta radicalizza la tecnica realistica rendendo penetrante il suo discorso con soggetti che evidenziano il mondo legato alla società contemporanea. In questo decennio ha approfondito la sua ricerca inconsciamente molto vicina all’iperrealismo americano. La prima mostra personale è nel 1967 alla «Galleria Civica Palazzo Centori», a Vercelli. Successivamente numerose mostre, personali e collettive, lo fanno conoscere in Italia e all’estero. Dopo una serie di prestigiose mostre negli Stati Uniti ed in Europa, nel 1999 gli viene dedicata una personale nella «Sala delle Colonne» al Castello del Valentino di Torino, un tempo residenza Reale e oggi sede della Facoltà di Architettura. Nel 2002 ha esposto a Monaco, al Metropole Palace in una mostra organizzata dal Rotary Club e sotto l’alto patronato del Principe Ereditario Alberto di Monaco.
Nello stesso anno un’opera di Capello è stata selezionata per il progetto «Luci d’Artista, ManifesTO», rassegna ideata dalla città di Torino, curata dalla GAM e dal Castello di Rivoli, che ha visto le gigantografie delle opere scelte diventare arredo urbano della città di Torino. Nel 2004 la città di Chiasso gli dedica una mostra antologica nello spazio pubblico di Palazzo Einaudi, presentata e presenziata da Vittorio Sgarbi. Negli anni successivi oltre, ad esporre in prestigiose gallerie italiane, tra cui la «Galleria Marieschi» di Milano e la «Galleria 44» di Torino, ha lavorato negli Stati Uniti collaborando con la «Gallery Biba» di Palm Beach – partecipando alla fiera «Art Fire Palm Beach 3» – e con la «Bernarducci Meisel Gallery» di New York, dove è presente nella mostra collettiva «Summer Sweet». Negli ultimi tempi, oltre ad aver partecipato a mostre collettive, ha lavorato quasi esclusivamente su commissione, sia in Italia che all’estero.
GIANLUCA MATTOSSOVICH HA ILLUSTRATO IL CAPITOLO 12 Nato a Genova nel 1972, Gianluca Mattossovich frequenta l’Accademia Ligustica di Belle Arti. La passione per il fumetto lo accompagna nel tempo. Realizza i disegni per diversi videogiochi ed avventure grafiche, tra i quali «Sturmtruppen» e «Dylan Dog». Collabora inoltre con le case editrici Garzanti e De Agostini per diversi progetti multimediali. Tra i progetti più recenti, la realizzazione dei personaggi per un’avventura grafica e per un libro per ragazzi. Vive a Genova insieme a svariati cinghiali e lumache di peluche. Da diversi anni, offre rifugio ad alcune rondini che hanno fatto il nido in casa sua.
HANNO ILLUSTRATO IL TESTO TEATRALE OPERE FINALISTE AL CONTEST PER ARTISTI «UN’ILLUSTRAZIONE PER AGO E SPILLA»
VALERIA BIANCHI MIAN Nata a Milano nel 1971, Valeria Bianchi Mian abita a Torino da vent’anni. Da molti anni lavora con bambini, giovani e adulti, conducendo laboratori in mette in relazione la sua professione di psicologa, psicoterapeuta e psicodrammatista junghiana con il teatro e le tecniche espressive. Ha coordinato diversi spettacoli teatrali in una comunità per tossicodipendenti, un documentario e un cortometraggio nelle scuole superiori. Nel 2002 un suo progetto laboratoriale ha vinto il «Sottodiciotto Film Festival» («Rabbia allo schermo» - sezione scuole superiori). È anche scrittrice e tecnico ceramista: con le terre plasma le sue favole; fiabe che illustra anche con disegni e fotografie. Il suo recente progetto legato al blog «Favolevelte – Spot Stories», nato il 31 dicembre 2013, raccoglie filastrocche, poesie e brevi prose narrative, illustrate di suo pugno. Il blog si autodistruggerà una volta raggiunte le 365 creazioni illustrate, in vista di una futura pubblicazione.
STELLA PASSI Nata a Genova nel 1982, Stella Passi vive a Cogoleto, a pochi passi dal capoluogo ligure. Studia al Liceo Artistico A. Martini di Savona, dove sboccia definitivamente la passione per l’arte, già presente in lei fin dall’infanzia. Nel 2001 si iscrive al D.A.M.S. di Imperia dove, tuttavia, non trova ciò che sta cercando. Sei mesi dopo l’ingresso nell’ateneo, infatti, decide di abbandonare gli studi, iniziando a fare la barista a tempo pieno, lavoro già svolto durante le stagioni estive. È titolare del Bar/torrefazione «Stellin Caffè», nel centro storico di Cogoleto e continua a dedicarsi all’arte nel tempo libero, dipingendo con grande passione.
DANIELA SPOTO Daniela Spoto è un’illustratrice nuorese, classe 1986. Dopo aver studiato Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Sassari, si trasferisce a Berlino. Lavora tra la capitale tedesca e l’Italia, partecipando a numerose mostre collettive e prendendo parte a vari progetti editoriali. La vivacità e la freschezza della vita culturale berlinese si dimostrano un terreno fertile per felici collaborazioni con registi, musicisti e scrittori e progetti creativi di svariata natura. Le sue illustrazioni, elaborazioni grafiche o disegni ad acquerello e grafite su carta, sono una commistione giocosa di riferimenti autobiografici e non, racconti del quotidiano talvolta inquinati da personaggi merlettati di ere passate. Il tutto con una elegante e, se necessario, velenosa dose di ironia. Il suo blog è: http://danielaspoto.blogspot.it
L’AUTORE Nato a Roma nel 1959, giornalista internazionale impegnato nella narrativa e nel teatro, Paolo Valentini ha curato vari reportage. L’ultimo, sulla transessualità in arte, si è evoluto, dopo un originale passaggio fotografico e pittorico, nell’opera «Et ainsi une soir...», che ha innescato la trilogia «Stati di Normale Euforia», pluripremiata in vari festival teatrali. Sul versante narrativo, ha pubblicato «Il piccolo, piccolo principe» (Becco Giallo Edizioni), dissacrante ghaphic story – le illustrazioni sono di Alfred Moir – sul Berlusconismo che muove dal capolavoro di Saint-Exupéry. In campo teatrale, numerosissime sono le opere andate in scena. Di particolare rilievo è il «Progetto ItinerArte», che da circa un decennio propone pièces su Maderno, Tiziano, Caravaggio, Leonardo, Michelangelo e, per il 2014, un’opera su Raffaello, «Imago Christi», in scena in varie località in tutta Italia. È presidente di «N.I.T.A.M. (Les Nomades Italiens Du Théâtre Des Arts Et Des Métiers)», art factory con sede a Roma, che si occupa di arte, teatro ed eventi culturali.
INDICE Un filo sottilissimo e un cerchio che si chiude L’amore di Ago e Spilla 1. Di Stravendiroba e di un Piccolo Villaggio 2. Nella Bottega dei Fili 3. Cassetto! Cassetto! 4. La Magica Zona dei Vapori Argentati 5. Due grandi cuoi in petti d’acciaio 6. Una sbirciatina oltre la feritoia 7. Una mano sconosciuta e una voce misteriosa 8. Qualche pollice indietro nel tempo 9. Batuffolo Cleverino e la grande quercia 10. Un abito per una principessa 11. La lunga pioggia d’autunno 12. Un nuovo inizio L’amore di Ago e Spilla (sceneggiatura teatrale) Personaggi totali I quadro espositivo Sceneggiatura I quadro espositivo
II quadro espositivo Sceneggiatura II quadro espositivo III quadro espositivo Sceneggiatura III quadro espositivo IV quadro espositivo Sceneggiatura IV quadro espositivo Gli illustratori L’autore