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1 L’acquisizione del linguaggio: tra normalità e disturbi di Ersilia Menesini
Tutto il sistema nervoso centrale influisce sullo sviluppo del linguaggio, con molteplici funzioni che intervengono su di esso mediante un rapporto interattivo nel quale ogni struttura coinvolta assume una funzione palese oppure agisce a un livello più implicito. Come è possibile dimostrare questo punto di vista, che è alla base dell’approccio su cui si basa il presente lavoro? Possiamo soltanto accettare questo fatto ammettendo che il linguaggio, da un punto di vista strettamente neurologico, corrisponde a una «funzione sovraimposta» che fa intervenire diversi organi e meccanismi del sistema nervoso i quali a loro volta svolgono le loro funzioni mediante associazioni di tipo complesso che rendono biologicamente possibile questo risultato. Il linguaggio non ubbidisce a centri, organi o vie limitate: si tratta di una superstruttura che coinvolge una serie di funzioni, le quali nel loro complesso prendono il nome di «funzione sovraimposta». Si può facilmente osservare che il linguaggio articolato o espressivo e quello comprensivo, nonché quello recepito utilizzando i sensi, si stabilisce sopra organi che hanno ben altre funzioni. La gerarchia a cui sottostà questo fenomeno si evidenzia però partendo dai principali apparati coinvolti nell’azione, ognuno dei quali è di importanza fondamentale (bocca, faringe,
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laringe, orecchie, occhi e tutti gli organi che hanno un ruolo nelle funzioni orolinguofacciali). Se dal punto di vista del sistema nervoso centrale il linguaggio ci appare come una pseudofunzione (cioè una funzione sovraimposta), considerato dal punto di vista ambientale appare come un fenomeno psicosocioculturale (de Quiròs, 1974, p. 72).
Concetti fondamentali nella maturazione dello sviluppo motorio Lo sviluppo motorio normale procede attraverso un’ordinata sequenza di eventi. Il sistema nervoso centrale coordina gli stimoli sensoriali formulando risposte motorie appropriate alle richieste dell’ambiente, e con il suo progressivo sviluppo si ha un incremento significativo dei centri che, aumentando le possibilità di collegamenti, permettono maggiori combinazioni delle azioni muscolari. Per ciò che riguarda l’apprendimento dei movimenti, tutto dipende dall’esperienza sensoriale, quindi una sua eventuale deprivazione viene ad alterare il comportamento influendo sul sistema nervoso centrale. Il bambino normale modifica gli schemi sensomotori dei movimenti primitivi e li adatta gradualmente a funzioni più complesse, utilizzando in questa prima fase soltanto ciò che conosce, quello che ha sentito, ciò di cui ha fatto esperienza e che è in grado di ricordare. Anche il comportamento umano segue, in senso lato, uno schema di maturazione, poiché si evolve secondo stadi precisi e codificati. Gradualmente il bambino comincia a sviluppare schemi fondamentali di movimento e di controllo posturale che gli permettono di adattarsi ai cambiamenti di posizione. Questo processo continua per i primi tre anni di vita, durante i quali vengono appresi gli schemi motori fondamentali di numerose abilità, che successivamente saranno utilizzati in combinazioni sempre più numerose modificandosi e adattandosi in funzione delle attività più complesse. Conoscere le competenze del neonato e i suoi riflessi primitivi è perciò importante non soltanto per capire lo sviluppo umano nella sua totalità, ma anche per evidenziarne ogni applicazione possibile ai fini di una valutazione che riconosca un danno neurologico nel periodo prenatale e perinatale, stabilendo nel caso un’adeguata prognosi. È ragionevole ritenere che lo studio della qualità delle risposte di un neonato, la facilità o la difficoltà di evocarle, così come lo studio dei riflessi primitivi, forniscano informazioni sulla maturazione avvenuta in utero e sugli effetti che questa può avere sulla vita del bambino e del futuro adulto.
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I riflessi primitivi o arcaici Sono stati descritti oltre settanta riflessi primitivi nel periodo neonatale, ma non di tutti è stata accertata l’utilità ai fini della diagnosi di sviluppo. I riflessi che a scopo pratico forniscono informazioni importanti per la diagnosi sono essenzialmente i seguenti: – – – – –
il riflesso di Moro; il riflesso di prensione; il riflesso tonico asimmetrico del collo; i riflessi tendinei (bicipitale e patellare); il riflesso tonico-cervicale asimmetrico.
Oltre a quelli sopra citati è in ogni caso interessante analizzarne anche altri e darne la relativa spiegazione. Riflesso di Moro Viene evocato sollevando capo e spalle del bambino dal piano e facendo cadere leggermente all’improvviso il capo all’indietro. Come risposta gli arti superiori e le dita si abducono, si estendono e ruotano esternamente. Il riflesso persiste da 0 a 4 mesi d’età circa. Riflesso di prensione Questo riflesso è composto di due fasi: il riflesso di prensione e la risposta alla trazione. Il riflesso di prensione è evocato introducendo nel palmo della mano un dito o un oggetto adeguato. Quando il palmo viene stimolato si produce la flessione delle dita che stringono l’oggetto stimolante. Una volta ottenuto il riflesso di prensione, il dito può essere tirato verso l’alto lentamente. Come conseguenza la presa si rinforza e si osserva una progressiva tensione di tutti i muscoli dal polso fino alla spalla. Questo riflesso scompare entro il secondo/terzo mese di vita. Riflessi tonici del collo Questi riflessi sono sia asimmetrici che simmetrici. Il riflesso asimmetrico è più conosciuto e si osserva non continuativamente fino a quando il bambino raggiunge l’età di 2 mesi. È noto che, quando il piccolo si trova in posizione supina e non sta piangendo, il capo è esteso e ruotato da un lato; il braccio verso cui è rivolta la faccia è anch’esso esteso, mentre la
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gamba controlaterale è spesso flessa. La rotazione passiva della testa causa un certo aumento del tono dell’arto superiore dal lato verso il quale ha avuto luogo la rotazione. Questo riflesso scompare entro il secondo/terzo mese di vita. Il riflesso tonico simmetrico del collo si evoca flettendo ed estendendo il collo del bambino. Sollevandone la testa mentre si trova in ginocchio, il tono estensorio degli arti superiori aumenta e diminuisce quello degli arti inferiori. Se il riflesso è vivace, gli arti superiori vengono estesi e quelli inferiori flessi, mentre con la flessione passiva del collo si ottiene l’effetto opposto. Riflessi tendinei I riflessi tendinei più facilmente evocabili sono il riflesso bicipitale e quello patellare. Il riflesso bicipitale viene ricercato iniziando dalla spalla e stimolando successivamente le aree inferiori fino a raggiungere il tendine del bicipite. Per il riflesso patellare si inizia a percuotere dal dorso della caviglia fino a raggiungere il tendine patellare. Il tallone deve essere appoggiato sul piano e l’arto rilasciato. Riflesso tonico-cervicale asimmetrico Nel bambino appena nato, il riflesso tonico-cervicale asimmetrico è il risultato della tendenza a mantenere la testa rivolta verso uno o l’altro lato, attitudine che si verifica in posizione sia ventrale che dorsale. L’asimmetria posturale cefalica provoca cambi tonici asimmetrici sui muscoli del collo, che vengono percepiti dalle terminazioni corrispondenti alle radici posteriori dei primi tre nervi cervicali. Da lì parte la via afferente che porta ai centri subcorticali legati al labirinto. La risposta motoria che chiude l’arco riflesso determina l’estensione degli arti mandibolari, sui quali si orienta il volto, e la flessione di quelli opposti, gli arti nucali. Questo riflesso è importante per la conoscenza della mano. Grazie ad esso, la mano, come oggetto mobile, attraversa frequentemente il campo visivo del bambino. La ripetizione dello stimolo visivo farà sì che il bambino fissi la sua attenzione sulla mano stessa fino a quando gli diventerà familiare. Riflesso dei punti cardinali Il riflesso è evocato strofinando lievemente l’angolo della bocca del bambino verso l’esterno. Come risposta, il labbro inferiore si abbassa dal lato stimolato, la lingua si muove verso lo stimolo e il capo si volta per seguirla. Il riflesso persiste per circa 3-4 mesi e per 7 durante il sonno.
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Riflesso di suzione Si posa un dito sulla labbra del bambino e si ha un’immediata azione di suzione delle labbra. La mandibola si abbassa e si innalza ritmicamente. Il riflesso persiste per circa 3-4 mesi. Riflessi oculari – Riflessi palpebrali. Stimoli diversi provocano lo sbattimento delle palpebre anche se il bambino è addormentato o i suoi occhi sono chiusi. Ad esempio, un rumore improvviso provoca il riflesso cocleo-palpebrale; una luce brillante provoca il riflesso visuopalpebrale in cui si osserva sbattimento di palpebre o chiusura degli occhi; una stimolazione dolorifica provoca il riflesso cutaneopalpebrale. Il riflesso naso-palpebrale consiste nello sbattimento delle palpebre in risposta a una lieve stimolazione del naso. – Risposta a occhio di bambola. Viene definita così perché quando la testa ruota, il movimento degli occhi è ritardato. Se la testa è ruotata lentamente a destra o a sinistra gli occhi non si muovono con essa. Questo riflesso è presente nei primi dieci giorni e scompare quando si sviluppa la fissazione oculare. Riflesso di estensione crociata Il riflesso si provoca mantenendo estesa la gamba all’altezza del ginocchio, esercitando una pressione sulla pianta del piede o percuotendola dallo stesso lato. L’arto inferiore controlaterale si flette, poi si estende e si adduce, mentre le dita del piede si estendono e si aprono a ventaglio. Il riflesso persiste per circa un mese. Reazione di marcia automatica Si ottiene mantenendo il bambino in posizione verticale sopra un tavolo, in maniera che la pianta del piede prema sul piano d’appoggio. Ciò determina la flessione reciproca e l’estensione degli arti inferiori, tipo marcia. Questo riflesso scompare nel bambino normale entro la 5a-6a settimana. Posizione seduta automatica Si applica pressione sulle cosce e sul capo flesso del bambino, il quale si raddrizza automaticamente fino a raggiungere la posizione seduta. La reazione persiste per circa 6-8 settimane.
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Deambulazione primaria In posizione eretta, il bambino viene sorretto sotto le ascelle e inclinato in avanti. Compie passi automatici, che a quest’età sono ritmici e sui talloni. Quando raggiunge un ostacolo, lo supera senza incespicare. La deambulazione primaria persiste per un tempo variabile, anche per parecchie settimane. Riflesso di Galant o di incurvamento Si strofina la cute tra la dodicesima costola e la cresta iliaca. La flessione laterale del tronco verso il lato stimolato è la risposta che si ottiene da parte del bambino. Il riflesso persiste per circa 2 mesi. Riflesso di Landau Quando il bambino è mantenuto in sospensione ventrale, il capo, la colonna e le gambe si estendono. Quando la testa viene abbassata, l’anca, le ginocchia e i gomiti si flettono. Questa reazione compare all’età di tre mesi e scompare alla fine del secondo anno di vita. Reazione di paracadute Compare tra il sesto e il nono mese d’età e persiste per tutta la vita. Questo riflesso può essere evocato quando il bambino è mantenuto sospeso ventralmente abbassandolo di colpo verso il piano d’appoggio. Le braccia si estendono a protezione dalla caduta. Fra il quinto e il settimo mese, spingendo un bambino seduto o di lato o all’indietro, si osserva l’estensione degli arti superiori per proteggersi dal pericolo di cadere. Riflesso palmo-mentoniero Babkin ha descritto un riflesso di apertura della bocca quando si esercita una pressione sulla mano. Toccando il collo di un bambino che dorme in posizione supina, la mano si indirizza verso il collo mentre la testa ruota. Se si sfiora l’orecchio destro, la mano sinistra tocca il collo. Se la stimolazione è portata sul naso, entrambe le mani si indirizzano al viso. Questo riflesso, in genere, è presente nei primi tre anni di vita. La persistenza e/o molteplicità dei riflessi primitivi e l’assenza di reazioni più mature possono avere valore diagnostico, così come indicano l’eventuale necessità di valutazione e trattamento precoce.
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Nozioni riguardanti i grandi periodi dello sviluppo del linguaggio nel bambino del nostro ambiente Il bambino tra 0 e 9 mesi Se consideriamo il linguaggio non come una funzione innata ma come un fenomeno acquisito, non è lecito definire come tale nessuna delle manifestazioni tipiche del neonato, così come non si può accettare l’utilizzo di questo termine nel corso dei suoi primi nove mesi. Pertanto questa particolare tappa va considerata «prelinguistica». Sappiamo che il bambino ascolta già i suoni prima di nascere, mentre il prematuro di 7 o 8 mesi reagisce con il riflesso cocleo-palpebrale a stimoli sonori adeguati. Resta tuttavia evidente che, sebbene egli sia in grado di sentire, non attribuisce ai suoni un significato preciso. Durante i primi mesi la sua percezione delle manifestazioni sonore risulta palese, ma non altrettanto il significato di ciò che viene percepito. In questo caso debbo pormi in disaccordo con alcuni autori — dei quali ho tuttavia molto rispetto — per ciò che riguarda il significato come acquisizione precedente rispetto al significante, poiché non risulta chiara la valenza che il bambino attribuisce a ciò che sente. Tra gli 8 e 9 mesi di vita extrauterina, egli comincia le imitazioni del mondo sonoro e la sua prima attenzione la rivolge alle proprie emissioni, che in quel periodo sono sillabiche. Questa osservazione permette di circoscrivere la tappa prelinguistica entro il raggiungimento del nono mese di vita. Durante i primi 8 mesi esisterà una continua reazione riflessa di fronte a stimoli tattili, chinestesici, uditivi e visivi, così come sarà evidente un’evoluzione nella postura e nel movimento volontario. Tutto ciò contribuisce al formarsi di un’esperienza concreta del proprio corpo e del mondo circostante, che è condizione necessaria per la comparsa del linguaggio. Ugualmente importante sarà realizzare movimenti fonici e articolatori che, lavorando attraverso circuiti chiusi o aperti, determineranno — mediante un sistema di feedback (retroalimentazione) — una serie di caratteristiche utili a impostare comprensione ed espressione come meccanismi basilari del comunicare. Patologicamente un bambino può saltare qualche parte della tappa prelinguistica, ma risulta ovvio che, per poter sviluppare appieno il linguaggio e la sua articolazione, essa dovrà essere compiuta. Se ciò non dovesse accadere, prima o poi si presenteranno alterazioni che modificheranno o ritarderanno lo sviluppo linguistico normale, poiché ogni volta che viene saltato un gradino nelle prime tappe evolutive significa che presto o tardi ci sarà un tributo da pagare. In relazione all’apparire dei diversi elementi fonici durante i primi mesi, alcuni autori hanno preteso di stabilire a priori un ordine determinato. Non
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credo che esista alcuna gerarchia prestabilita nella comparsa dei suoni del lattante, cosa affermata per altro anche da Minkowsky in studi non più recenti (1948). Se volessimo stabilire una guida schematica generale, si potrebbe indicare una regola molto semplice: durante i primi tre mesi esiste un predominio di vocalizzazioni, dal terzo al sesto mese si aggregano le consonantizzazioni e dal sesto al nono le sillabazioni. Il bambino prossimo al nono mese ripete già in forma riflessa sillabe come «ma ma», «pa pa», «te te», e presto comincerà con le autoimitazioni. Una serie di fenomeni accompagna questi meccanismi fonici prelinguistici: il sorriso selettivo del secondo mese, la postura tonico-cervicale asimmetrica fino al terzo mese, il sostegno della testa tra il secondo e terzo mese, la postura tonico-cervicale simmetrica predominante dal terzo al sesto mese, l’allenamento posturale riflesso (ad esempio delle mani) al quarto mese, rimanere seduto al sesto, mettersi in piedi al nono. Il bambino tra 9 e 18 mesi Tra il nono e il diciottesimo mese il bambino evidenzia attenzione e risposta quando sente il suo nome, al decimo mese capisce o sembra capire i significati standard di «no» e di «mamma», anche se all’inizio il significato attribuito ad alcune parole come queste può non essere lo stesso che appartiene a un adulto. Intorno ai 12 mesi è già capace di realizzare azioni motorie e di considerare consegne che gli arrivano oralmente come il «dammi» e il «prendi», le prime azioni di contenuto verbale transitivo che capterà. Inoltre, riesce a cogliere una grande quantità di stati emotivi come l’allegria e il dolore, il piacere e la paura, la rabbia e la soddisfazione, il rifiuto e l’affetto, la tranquillità o l’angoscia, ecc. In questo caso si può parlare della comprensione di quegli stati ancor prima che ci sia una vera comprensione della parola. Tra i 12 e i 18 mesi arriva a esprimersi con una media di 15 parole, cominciando con «mamma» e «papà», a cui attribuisce un ampio significato che prosegue con un gergo e si accentua sempre più man mano che le sue possibilità fonoarticolatorie aumentano, fino al momento in cui la tappa comprensiva raggiunge uno sviluppo sufficiente per superare l’impasse. Come si è già detto precedentemente, lo sviluppo del linguaggio si innesta ora sulla base delle sue conoscenze (riferite al corpo e all’ambiente) e di conseguenza dovremo utilizzare consegne semplici e riferite all’immediato per richiamare l’azione e provocare stimoli adeguati a ottenere la sua collaborazione attiva. Non si deve dimenticare che a questa età le distrazioni sono frequenti, ma nonostante ciò le consegne
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come «Apri la bocca» o «Portami la palla» possono essere comprese dalla maggioranza dei bambini e realizzate convenientemente. Occorre chiarire infine che le consegne che si discostano dall’azione semplice e immediata possono portare a credere che il bambino non abbia capito (ad esempio, due consegne corte successive delle quali il bambino riesce a coglierne soltanto una e a volte nessuna): questo fenomeno è riscontrabile soprattutto nelle mamme molto ansiose che vogliono far sì che il bambino faccia varie cose allo stesso tempo, non ottenendo alcun risultato. Il bambino tra 18 e 36 mesi Nel nostro ambiente il bambino prossimo ai 2 anni possiede circa 300 parole, anche se conviene precisare che molte di queste sono dei semplici giochi fonoarticolatori e uditivi piacevoli ma senza significato. Questo si può osservare quando si considerano le combinazioni sonore che risultano attrattive per il bambino, che tra l’altro inizia in questa fase a perdere il gergo acquisendo la parola con significato di frase. Così ad esempio la parola «acqua» verrà a significare «voglio dell’acqua»,«sta piovendo», «lì c’è il mare» oppure «andiamo a giocare con l’acqua», ecc. Il bambino tra 3 e 6 anni Attorno ai 3 anni, il bambino ha già acquisito molte parole nuove, approssimandosi a 1.000. A questa età usa frasi e risponde a domande semplici. Nonostante ciò, nessuna di queste manifestazioni infantili indica con precisione che il bambino comprenda, poiché assieme a forme linguistiche composte di legami di parole con significato preciso si trovano altri elementi che possono portare all’errore, come nuove combinazioni sonore di parole appena imparate, esercitazioni melodico-ritmiche o errori fatti apposta con senso dell’umorismo infantile. Esistono diverse prove che sono indicative dello sviluppo del linguaggio, ma è necessario ricordare che di fronte a ogni tipo di domanda l’eventuale valutazione di competenza dovrà interpretare la conoscenza specifica che il bambino possiede sul tema in modo totalmente indipendente rispetto alla sua possibilità di comprensione o di espressione. In questo caso non interessa che la risposta sia esatta: è sufficiente che indichi la corretta comprensione della domanda. Ad esempio, di fronte al quesito «Cosa fai quando hai sete?», la risposta può essere «Lo dico alla mamma». Dipenderà dall’abilità dell’osservatore attribuire un’esatta qualificazione alle risposte, avendo cura di non confondere la mancata compren-
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sione con timidezza, inibizione, mancanza di simpatia o assenza del desiderio di rispondere. Il bambino di 4 anni possiede un vocabolario di circa 1.500 parole. Questa è la fase in cui egli domanda senza scegliere un interlocutore preciso ed è concentrato quasi esclusivamente sulle risposte che ottiene per adattarle alla sua personale visione del mondo. Si tratta del bambino che accetta le risposte in modo globale, senza arrivare all’analisi dei contenuti, e che gioca deliberatamente con termini che sa scorretti per l’uso che ne fa, differendo spesso le risposte a domande concrete (meccanismo di risposta differita). Il bambino di 5 anni ha esteso il suo vocabolario fino a 2.500 parole, utilizzate con pochi o nessun difetto di articolazione. Si presenta molto più serio e pratico, fatto che a volte porta all’errore di pensare che alcune delle sue reazioni emotive di fronte a programmi televisivi o scene traumatiche si avvicinino a quelle dell’adulto. Occorre tenere conto del fatto che non è così, perché la sua interpretazione di ciò che vede è molto egocentrica ed empirica. Egli non possiede ancora la capacità necessaria per poter generalizzare quei fatti giungendo a comprendere il dramma profondo che racchiudono, perché a questa età potrà giocare con spontaneità a «uccidere» suo fratello o sua madre con una pistola giocattolo o con la mano che simula una pistola. Evoluzione delle funzioni vegetative collegate al linguaggio articolato Il linguaggio articolato si stabilisce una volta che le funzioni vegetative come la respirazione, la masticazione, la suzione e la deglutizione si sono affermate. In questa fase risulta di particolare interesse considerarne l’evoluzione, almeno durante i primi mesi di vita. Con la nascita il bambino deve adattarsi a una nuova forma di sopravvivenza, perché durante la gestazione il cordone ombelicale gli somministrava tutti gli elementi necessari per la crescita e una corretta maturazione, mentre l’ossigeno giungeva per mezzo della placenta. Durante il parto si produce un brusco cambiamento di questa situazione, unito a un energico stimolo dato dal freddo esterno a livello dell’albero respiratorio. Questo provoca l’irruzione di un vero riflesso di Hering-Breuer: si tratta di un’espulsione della secrezione provocata con un’ispirazione brusca, che provoca di conseguenza una nuova espulsione riflessa che si traduce in grida, pianto e tosse. Nel bambino appena nato troviamo alcuni riflessi ben definiti che risultano di particolare interesse, soprattutto quelli di suzione e di deglutizione, ed esiste anche un lieve movimento mandibolare che tuttavia non può ancora essere definito come movimento di masticazione perché in questa fase basta soltanto la
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stimolazione della mucosa della bocca o delle labbra per scatenare il riflesso condizionato. Durante i primi mesi, a volte con una certa frequenza, possono apparire vere soffocazioni dopo ogni momento di alimentazione. Ciò contribuisce a provocare il risveglio della sensibilità delle zone faringo-laringee, migliorando al contempo l’evoluzione fonatoria; indipendentemente da tutto ciò, il soffocamento rafforza anche la tonicità dei muscoli del collo. Successivamente, tra il terzo e il sesto mese, la respirazione inizia a migliorare e i suoni inarticolati scompaiono gradualmente. Il passaggio di aria dalle vie digestive si presenta con una certa frequenza nel lattante, ma per evitare questo malessere è sufficiente somministrargli una serie di piccole pacche quando si trova in posizione prona dopo l’allattamento, perché con ciò si scatena una serie di ruttini che contribuiscono a tranquillizzarlo. Queste sensazioni servono anche a determinare quegli stimoli che facilitano lo sviluppo fonoarticolatorio. Nel sesto mese di vita il bambino riesce già a bere dalla tazza e, sebbene perda ancora liquidi e saliva attraverso le labbra, dimostra un vero progresso nel raggiungimento della funzione comunicativa. Alcuni autori attribuiscono questa scialorrea alla comparsa dei denti. In genere il bambino inizia a sedersi, a sollevare le braccia (sollecitando di essere alzato) a sorridere davanti alla sua immagine riflessa nello specchio, a dimostrare piacere o disagio di fronte a estranei che lo avvicinano. Nonostante ciò è soltanto al settimo mese che comincia ad avere un vero dominio della lingua e inizia la masticazione. La lingua fino a questo momento tendeva alla protusione mentre questa posizione diventa ora più controllata raggiungendo la lateralizzazione e la mobilizzazione del bolo alimentare. Con l’acquisizione di queste nuove funzioni il bambino può cominciare con l’alimentazione semisolida. Si può anche osservare che a 7 mesi utilizza vari suoni diversi dal grido (tra questi la tosse) per richiamare l’attenzione, mentre dall’ottavo mese in avanti si esercita nel riconoscimento di molteplici oggetti attraverso la bocca succhiando e masticando. Dopo qualche tempo potrà ingerire alimenti solidi, e un po’ più tardi riuscirà a bere volontariamente da una tazza (11 mesi), utilizzare il cucchiaio (15 mesi) e finalmente ad alimentarsi autonomamente intorno al diciottesimo mese. Ciascuna di queste tappe indica il lento sviluppo che porta alla piena acquisizione delle funzioni masticatorie, della deglutizione e della respirazione, ed è per loro tramite che il bambino progredisce nell’espressione linguistica. Lo sviluppo vero e proprio dell’espressione orale è però posteriore allo sviluppo della respirazione e alimentazione, anche se in tutte queste funzioni partecipano gli stessi organi periferici.
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Importanza della valutazione neurologica e psicopedagogica del linguaggio Il linguaggio è un’abilità che si acquisisce in un momento preciso dell’evoluzione neuropsichica, poiché è necessario uno sviluppo adeguato del sistema nervoso centrale e un ambiente che permetta l’insorgere delle manifestazioni (comprensive, espressive e di interiorizzazione) che diventeranno linguaggio. Nell’approccio a questo fenomeno occorre essere consapevoli dell’importanza di esplorarlo dal punto di vista neuropsicopedagogico. Adottando un punto di vista neurologico verrà tenuto conto del fatto che il corretto sviluppo della funzione linguistica dipende, nella sua fase iniziale, dall’evoluzione motoria del bambino. È noto che fino ai 3 anni di età un’analisi accurata dello sviluppo motorio del bambino permette di supporre il suo livello psicointellettivo, anche se questo parallelismo non è sempre possibile. All’interno di uno schema psicopedagogico del linguaggio, il processo deve verificarsi almeno durante la tappa formativa posta alla base del linguaggio e della comprensione, tranne nei casi di patologie rilevanti relative al sistema nervoso centrale. Una forma di espressione esplicitata con il linguaggio è costituita dal gesto. Il linguaggio gestuale precede e accompagna quello verbale e articolato; quindi, sia nella motricità dei movimenti espressivi facciali che in quelli delle braccia e delle mani, esiste già un contenuto comunicativo che si avvicina molto al linguaggio propriamente inteso. Questa comunicazione primitiva è molto forte, soprattutto nei casi di lesioni cerebrali, e accompagna la persona durante lo sviluppo di tutti i legami sociali. Diversi autori moderni riprendono la formula di Ribot (1914) applicandola al bambino: «L’uomo pensa con i suoi muscoli». Parafrasando questo assunto possiamo dire che «l’uomo comunica con gli altri e con se stesso attraverso i suoi muscoli», quindi lo studio del loro stato è molto importante nei primi anni di vita. Nell’evoluzione della conoscenza, il bambino parte dalla nozione del proprio corpo per acquistare successivamente la proiezione verso lo spazio e la comunicazione gestuale che gradualmente sostituirà quella basata sul concreto. Qui avviene lo snodo tra la comunicazione per percezione eidetica (cioè la facoltà mnemonica fondata sulla percezione visiva) e la comunicazione basata sul contenuto verbale (comunicazione per percezione noètica, cioè attraverso l’attività conoscitiva immediata). Gli esperti di rieducazione in genere, e in modo particolare i fisioterapisti, sanno che migliorando il movimento e le possibilità del controllo volontario sulla motricità migliora significativamente la psiche della persona e aumentano le possibilità di comunicazione.
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Altre considerazioni di carattere neurologico Tra le alterazioni psichiche pure che disturbano l’evoluzione dell’abilità linguistica vanno considerate la schizofrenia e gli atteggiamenti autistici infantili. La cattiva relazione del bambino con l’ambiente esterno è sufficiente a ritardare il suo sviluppo del linguaggio, con la possibilità di ulteriori peggioramenti causati per esempio da sovraprotezione o ipoprotezione. Per poter parlare egli deve sentire la necessità di farlo, spinto non solo dal desiderio di comunicazione, alla quale volendo può arrivare anche in modo gestuale, ma basandosi sull’imperiosa esigenza di sentirsi compreso nelle sue necessità e nei suoi desideri. Nonostante ciò, per avere la spinta necessaria deve trovarsi in un ambiente psicologicamente adeguato che lo supporti in questa fase della sua evoluzione. Per studiare in maniera corretta la situazione è necessario affrontare l’analisi dell’ambiente famigliare che fa da contesto allo sviluppo del soggetto, considerando tutte le possibili relazioni e ponendo particolare attenzione all’evoluzione emotiva e comportamentale.
I grandi problemi del linguaggio infantile Se si desidera fare una classificazione dei problemi relativi al linguaggio infantile è possibile, schematizzando, parlare di disturbi nell’integrazione del linguaggio, disturbi dell’organizzazione del linguaggio e disturbi del linguaggio già organizzato. Nella prima infanzia essi assumono nomi diversi perché sono considerati processi distinti, ma è noto che, sebbene si riscontrino sintomatologie differenti, il quadro clinico di base li rende simili e rispondenti a una patogenìa comune. Durante la fase relativa alla comparsa del linguaggio si possono notare disturbi a predominio psicologico (nevrosi, psicosi), disturbi a predominio neurologico (afasie) o disturbi di origine psiconeurologica, alcuni di carattere sensoriale (sordità) e altri di matrice intellettiva (ritardo mentale) o genetica (errori genetici del metabolismo). Tutti questi fattori possono far sì che il bambino non inizi a parlare in tempi considerati normali. Ogni volta che ci si trova di fronte a un ritardo di maturazione (psicologico, neurologico o psiconeurologico) può verificarsi un ritardo nella comparsa del linguaggio, che, se inerente soltanto alla maturazione, sarà eventualmente compensato in un secondo momento. Normalmente si inizia a parlare entro i 18 mesi, ma il bambino che non comincia entro i 3 anni, riuscendo però a compensare il linguaggio in forma spontanea o con aiuto, potrà non presentare differenze rispetto ai coetanei in un’età più avanzata (3 anni e mezzo) pur non avendo seguito uno sviluppo
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normale. Questo è definito ritardo semplice e può essere causa di disturbi funzionali o a carattere organico, seppur lievi, nella maturità. Basandosi esclusivamente su questa tipologia di dati, il pediatra rischia però di attendere fino ai 3 anni per essere sicuro che il bambino non parli, trascurando un tempo prezioso ai fini di intervenire su ritardi per cui sarebbe necessaria una rieducazione specialistica immediata. Tutte le altre cause, con eccezione parziale della sordità periferica, sono problemi psicologici e/o neurologici rilevanti. Il caso della sordità periferica è contemplato perché questo disturbo non altera di per sé il linguaggio, ma richiede un intervento basato su uno sviluppo culturale dell’ambiente che permetta di effettuare il recupero della competenza attraverso tecniche appropriate e utilizzando vie diverse da quelle uditive. Le altre cause di ritardo di origine neuropsichica sono: – lesioni cerebrali che colpiscono zone della corteccia connesse al linguaggio (quello che alcuni autori chiamano afasia o anartria infantile) o lesioni subcorticali (che talvolta danno origine a gravi disturbi nell’acquisizione del linguaggio parlato); – le schizofrenie infantili e i gravi disturbi psicologici che comportano un ritardo nella comparsa del linguaggio; – i ritardi mentali; – gli errori genetici del metabolismo (dovuti a disturbi proteici, dei lipidi o carboidrati). Passando al linguaggio che possiede già un’organizzazione elementare va considerato che anche in questa fase possono manifestarsi una serie di disturbi che assumono diverse connotazioni, tra i quali i più importanti sono balbuzie, dislessia, dislalia, disartria, disprassia e disfagia. Essi si presentano in maniera che può essere definita quasi pura, cioè con la manifestazione linguistica tipica predominante, oppure in forma complessa sotto forma di sindrome multipla. Quando il disturbo linguistico è in forma pura generalmente risponde a cause psichiche (o funzionali), anche se non si deve dimenticare che il linguaggio è una forma di interazione e dipende da una serie di fattori che incidono sulla condotta umana. Va segnalato comunque che possono esistere componenti di origine genetica che favoriscono una predisposizione verso la sindrome stessa. Quando questi disturbi si presentano in veste di sindromi complesse, le cause potrebbero essere neurologiche, anche se si manifestano associate pressoché costantemente a diverse sintomatologie di carattere psichico. A tutti i disturbi inerenti l’organizzazione del linguaggio infantile fanno riscontro certe caratteristiche comuni, relative soprattutto alla fase della sua formazione, mentre nell’adulto possono presentarsi sintomi simili (mai uguali)
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LINGUAGGIO : TRA NORMALITÀ E DISTURBI
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solo a causa di lesioni neurologiche. Ciascuna di queste manifestazioni, inoltre, può presentarsi in modo sintomatico esplicitandosi attraverso un disturbo del linguaggio. In terzo luogo, ciascuna di queste patologie può essere associata a disturbi emotivi e neurovegetativi, che migliorano quando l’integrazione e l’organizzazione del linguaggio raggiungono una maggiore maturità. A volte tuttavia possono presentarsi dei periodi in cui si verifica un peggioramento coincidente con disturbi di origine affettivo-emotiva. Un modo semplice e pratico per controllare le tappe evolutive dei bambini è la tabella guida per il controllo dello sviluppo, che presentiamo nelle pagine seguenti (si veda la tabella 1.1). La scheda di controllo dello sviluppo è divisa in tre aree: comprensione, espressione e interiorizzazione. Questa modalità facilita il controllo e consente di individuare il livello e l’area che si sviluppa in ritardo e in questo modo permette di realizzare una stimolazione attiva su di essa. I parametri evolutivi sono stati tratti dagli insegnamenti di Piaget e Gesell.