ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO I
(corso E-N, Prof. Carlo Granelli)
SEMINARIO II – 21 marzo 2013 Aula V Ore 14.00-16.00 (Dott. Emanuele Tuccari)
- La proprietà. Atti emulativi. Immissioni. Comunione e condominio.–
MATERIALI
1. Atti emulativi (Cass., sez. II, 03/04/1999 n. 3275)…......................…………………......p. 2
2. Atti emulativi (Cass. n. 3598/2012) (solo massima)..........................................................p. 6
3. Immissioni (Trib. Palermo, sez. III, 12/11/2008)……………………………..........…...p. 7
4. Condominio minimo (Cass., S.U., 31/01/2006, n. 2046)…………………………….....p. 13
5. Condominio: uso promiscuo della cosa comune (Trib. Bari, 29/10/2009)….………..p. 19
6. Costruzione sopra l’ultimo piano dell’edificio (Cass., sez. un., 30/07/2007, n. 16794) (solo massima)....................................................................................................................p. 25 7. Appendice normativa sul condominio…………………………………………………p. 26
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ATTI EMULATIVI La disciplina degli atti emulativi è contenuta prevalentemente nell'art. 833 del Codice Civile, che dispone:
Art. 833. Atti d'emulazione. Il proprietario non può fare atti i quali non abbiano altro scopo che quello di nuocere o recare molestia ad altri.
Cassazione civile, sez. II 03/04/1999 n. 3275 MASSIMA Per aversi atto emulativo vietato ai sensi dell'art. 833 c.c. è necessario che l'atto di esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo compie e sia posto in essere al solo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri, per cui non è riconducibile a tale categoria di atti l'azione del proprietario che chieda l'eliminazione di una veduta aperta dal vicino a distanza illegale. (Nella specie si è esclusa la natura di atti emulativi dell'acquisto di una striscia di terreno antistante l'immobile in cui si aprono le vedute, in vista dell'aggiudicazione poi mancata del medesimo in sede di asta pubblica, nonché dell'esercizio dell'azione di rispetto delle distanze legali).
Fatto Con ricorso in data 7 luglio 1989 al Pretore di Mantova, sede distaccata di Revere, la s.a.s. Immobiliare Sogno aggiudicataria all'incanto di un fabbricato sito in Poggio Rustico a seguito di decreto 25-2-1989 del giudice dell'esecuzione presso il tribunale della stessa città, chiedeva ex art. 700 cpc di poter occupare per 18 mesi una striscia di terreno larga m. 1,70 e lunga m. 37,30 posta a confine dell'immobile di proprietà della s.r.l. Gheda Immobiliare dovendo eseguire lavori di ristrutturazione. Il pretore accoglieva il 15-7-1989 il ricorso e rimetteva le parti dinanzi al tribunale per il giudizio di merito. Riassunta la causa dall'Immobiliare Sogno si costituiva la Gheda chiedendo in via riconvenzionale che fossero trasformate da vedute in luci le aperture esistenti nel fabbricato della ricorrente perché a distanza inferiore a quella prevista dall'art. 905 c.c.. Con sentenza 30 giugno 1983 il tribunale dichiarava che l'Immobiliare Sogno aveva legittimamente occupato per diciotto mesi la striscia di terreno a confine della sua proprietà; la condannava a ridurre a luci tutte le vedute prospicienti il fondo della Gheda Immobiliare. Le impugnazioni, principale dell'Immobiliare Sogno e incidentale della Gheda, venivano respinte dalla Corte d'Appello di Brescia con sentenza 21-9-1995. Osservava la Corte, per quanto ancora interessa, che ai fini del rispetto delle distanze dell'art. 905 c.c. era sufficiente la possibile futura valorizzazione da parte della Gheda della striscia di terreno 2
chiusa da fondi di altri proprietari; che non poteva definirsi atto di emulazione la domanda della stessa società perché fossero trasformate le vedute in luci. Avverso la sentenza, notificata il 20-6-1996 ha proposto ricorso con atto del 2-10-1996 e con due motivi di censura l'Immobiliare Sogno s.a.s.; resiste con controricorso la Gheda Immobiliare che ha eccepito la nullità della notificazione del ricorso - ha chiesto - il risarcimento dei danni da responsabilità processuale aggravata ex art. 96 cpc ed ha depositato memoria. Diritto L'eccezione sollevata dalla Gheda Immobiliare, di nullità della notificazione del ricorso perché, eseguita in Brescia, Via Vittorio Emanuele Il n. 43 presso l'avv. Antonietta Giannone che nel giudizio di appello era stata domiciliataria del difensore della società avv. Elio Benatti al diverso indirizzo di via C. Cima della stessa città, e perché consegnata la copia dell'atto a persona che non sarebbe stata collega, nè dipendente dell'avv. Giannone, è per quest'ultima parte infondata, perché la consegna dell'atto risulta avvenuta a mani di un'impiegata dello studio legale incaricata della ricezione delle notifiche (Gasparini Patrizia). L'inosservanza poi dell'art. 330 - 1 comma cpc per essere stato il luogo della consegna dell'atto a persona avente diretto riferimento con la destinazione (si trattava sempre dell'avv. Giannone), diverso da quello indicato nell'elezione di domicilio in grado di appello, dà luogo a nullità sanata con efficacia ex tunc (artt. 156 - 3 comma e 164 - 3 comma c.p.c.) dalla proposizione del controricorso. Con il primo motivo denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 905 c.c.; insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.) la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata confermando la sua condanna a trasformare in luci le vedute prospicienti la striscia di terreno della Gheda Immobiliare, non ha tenuto conto del fatto che le disposizioni di legge limitative delle vedute perseguono lo scopo di tutelare il proprietario di immobili contro la molestia costituita dalle vedute stesse a troppo breve distanza, così da violare l'intimità della vita privata (in tal senso: Cass. 2-8-1968 n. 2765); che il terreno in contestazione acquistato dalla Gheda Immobiliare da tali Vincenzi non confina con altre proprietà della stessa; nel rogito di acquisto Breviglieri 12-12-1988 la Gheda aveva consentito che in futuro la zona potesse conteggiarsi in favore dei Vincenzi ai soli fini volumetrici secondo la normativa urbanistica per i limiti di edificabilità della restante proprietà dei venditori. La sentenza, ritenendo possibili due soluzioni alternative per l'utilizzazione del terreno, e cioè l'accorpamento con zone viciniori da acquistarsi ovvero la cessione a terzi confinanti, non ha considerato, quanto alla prima soluzione, che la striscia di terreno confina ad est con via Massarani (già Via Garibaldi); a nord con i Vincenzi che non sono interessati all'acquisto ad ovest con Piazza 1 Maggio; a sud con l'immobile della ricorrente; quanto alla seconda soluzione, non è identificabile un terzo confinante interessato all'acquisto se si escludono i Vincenzi costoro in base alle norme tecniche di attuazione del P.R.G. potrebbero solo realizzare una costruzione di mq. 33 priva di qualsiasi vantaggio economico. Il motivo è infondato. L'art. 905 c.c. è inteso a salvaguardare i fondi dalle indiscrezioni dipendenti dall'apertura di vedute negli edifici vicini (v. Cass. 175 - 19974 n. 4401; Cass. 27-1-1988 n. 7419); il divieto che la norma impone è di carattere assoluto; va rispettato anche se la veduta è limitata dalla presenza di un muro cieco del fabbricato vicino (v. Cass. 6-12-1991 n. 13157); prescinde dal danno che in concreto possa dalla sua violazione derivare (V. Cass. 9-7-1975 n. 2692) e viene meno solo quando tra i due fondi vi sia una strada pubblica. Sono quindi irrilevanti tutte le considerazioni della ricorrente sulla potenzialità edificatoria del terreno della Gheda Immobiliare; l'art. 905 non consente al riguardo distinzioni; la tutela è accordata al proprietario del fondo sottoposto indipendentemente dall'utilizzazione che possa farne. Con il secondo motivo denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 833 insufficiente e contraddittoria motivazione; travisamento dei fatti (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.) la ricorrente lamenta che la sentenza impugnata escludendo la configurabilità di un atto emulativo, nella domanda della 3
Gheda di modificazione in luci delle vedute non ha tenuto conto di alcune circostanze; la Gheda aveva partecipato il 3-11- 1988 all'incontro nel quale era però risultata aggiudicataria dell'immobile la ricorrente; il giorno precedente aveva stipulato con i Vincenzi un contratto per persona da nominare di acquisto della striscia di terreno; aveva proceduto all'electio il 4-11-1988; il frazionamento, già predisposto, redatto il 3-11-1988, era stato depositato presso il Comune il 4-111988 e approvato nella stessa data; il prezzo di 60 milioni era esorbitante perché non suscettibile il terreno di proficua utilizzazione; la trascrizione dell'atto era avvenuta il 25-11-1988 con successiva integrazione il 28-11-1988; nella scrittura privata di vendita i Vincenzi avevano consentito che gli acquirenti dell'immobile già della fallita Gima s.r.l. a confine con la striscia di terreno venduto potessero realizzare vedute anche a distanza inferiore a quella legale; da tutto questo la Corte d'Appello avrebbe dovuto trarre il convincimento che da Gheda si era precostituita una situazione favorevole per l'ipotesi che fosse risultata aggiudicataria dell'immobile e, non avendo realizzato l'intento, la successiva azione era stata proposta al solo fine di nuocere alla ricorrente. La sentenza non ha, infine, considerato che le vedute preesistevano all'acquisto all'incanto dell'immobile della fallita Gima; che dalla striscia di terreno nessun vantaggio la Gheda può ritrarre; che l'acquisto era preordinato a nuocere all'aggiudicataria dell'immobile ove non fosse stata la Gheda; che gli estremi dell'atto emulativo erano ravvisabili nello stesso acquisto della striscia di terreno. Anche questo motivo è infondato. Per aversi atto emulativo vietato dall'art. 833 c.c. e necessario che l'atto di esercizio del diritto non arrechi utilità al proprietario ed abbia solo lo scopo di nuocere o recare molestia ad altri; conseguentemente, non può considerarsi emulativa la domanda di eliminazione di una veduta aperta dal vicino a distanza illegale, perché tende al riconoscimento della libertà del fondo ed alla rimozione di una situazione illegale e pregiudizievole (V. Cass. 26-11-1997 n. 11852; Cass. 22-41992 n. 4803). La sentenza impugnata, senza incorrere nei denunciati vizi di motivazione si è attenuta a questi principi; ha escluso un comportamento emulativo della Gheda Immobiliare nell'azione di rispetto delle distanze legali, rilevando come gli accordi dalla stessa conclusi con i Vincenzi non erano stati fittizi rispondendo al preciso intento della società di accorpare la striscia di terreno con l'immobile confinante ove ne fosse rimasta aggiudicataria o, comunque, a quello di mantenere integra la facciata che sulla stessa sporgeva con aumento di pregio del compendio, ottenendo già dai Vincenzi il consenso a non eliminare le vedute già esistenti. Ha negato quindi la configurabilità di atti emulativi con riguardo sia all'acquisto da parte della Gheda Immobiliare della striscia di terreno, sia alla successiva proposizione della negatoria servitutis. La sentenza ha pure evidenziato l'irrilevanza dell'anteriorità delle vedute all'acquisto della società ricorrente posto che nessuna prova essa aveva fornito di poter esercitare la servitù di veduta per usucapione, per destinazione del padre di famiglia o in base a titolo, rimaneva indifferente l'epoca di creazione delle aperture. Infondata è anche la domanda della controricorrente di condanna dell'Immobiliare Sogno al risarcimento dei danni da responsabilità processuale aggravata ai sensi dell'art. 96 - comma 1 c.p.c.. La norma richiede l'accertamento sia dell'elemento soggettivo dell'illecito (mala fede o colpa grave sia dell'elemento oggettivo (entità del danno sofferto). E, non risultando dagli atti del processo elementi oggettivi dai quali desumere la concreta esistenza del danno, pur in presenza di un ricorso infondato e dilatorio, nulla può essere liquidato ex art. 96 c.p.c., neppure ricorrendo a criteri equitativi (V. Cass. 1-12-1995 n. 12422; Cass. 2-6-1992 n. 6637). Col rigetto del ricorso l'Immobiliare Sogno è tenuta al pagamento delle spese del giudizio liquidate come in dispositivo. p.q.m. 4
La Corte rigetta il ricorso e la domanda di danni ex art. 96 c.p.c.; condanna la ricorrente alle spese liquidate in lire 506.550, oltre lire 3 milioni per onorari. Roma 22-10-98
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Cass., n. 3598/2012 MASSIMA Non costituisce atto emulativo, vietato ai sensi dell’art. 833 c.c., la sostituzione di una siepe con un muro di cemento, volto a precludere ai vicini l’inspectio nel proprio fondo, in quanto, rimanendo la funzione del manufatto identica a quella della siepe, tale sostituzione non può dirsi manifestamente priva di utilità. Invero, ponendosi il carattere emulativo come limite esterno al diritto di proprietà esercitabile dal confinante, lo stesso deve essere valutato in termini restrittivi, con la conseguenza che, se pure la nuova opera possa non rispondere completamente a quei requisiti funzionali che ne avevano giustificato la creazione, tuttavia l’obiettiva idoneità a soddisfarli in gran parte consente di escludere la ravvisabilità dell’atto emulativo.
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IMMISSIONI La disciplina delle immissioni è contenuta prevalentemente nell'art. 844 del Codice Civile, che dispone:
Art. 844. Immissioni. Il proprietario di un fondo non può impedire le immissioni di fumo o di calore, le esalazioni, i rumori, gli scuotimenti e simili propagazioni derivanti dal fondo del vicino, se non superano la normale tollerabilità, avuto anche riguardo alla condizione dei luoghi. Nell'applicare questa norma l'autorità giudiziaria deve contemperare le esigenze della produzione con le ragioni della proprietà. Può tener conto della priorità di un determinato uso.
Tribunale Palermo, sez. III, 12/11/2008 MASSIMA In tema di inquinamento elettromagnetico, il rispetto dei limiti normativi , anche per il loro carattere pubblicistico, non implica una presunzione assoluta di liceità delle immissioni, ben potendo sussistere una situazione che, pur rispettosa dei limiti, si riveli in concreto lesiva, anche solo potenzialmente, del diritto alla salute. Pertanto, la tutela giudiziaria del diritto alla salute può essere preventiva e dare luogo a pronunce inibitorie se sia possibile accertare che nella situazione che si avrà una volta iniziato l'esercizio dell'impianto è insito un pericolo di compromissione per la salute di chi agisce in giudizio.
Fatto Con atto di citazione notificato il 4.2.2004, S. L., V. V. ed il Condominio di via Vittorio Emanuele nr. 492, in persona dell'amministratore pro tempore convenivano in giudizio il Ministero dell'Interno al fine di ottenere il risarcimento dei danni cagionati dalle radiazioni promananti dalle antenne ad alta direttività ed omnidirezionali che si trovano sul tetto del complesso ove sono ubicati gli Uffici della Questura di Palermo, complesso confinante con il condominio attore nel quale abitano il S. L. ed il V. V.. Allegavano gli attori di avere accertato tramite due consulenti (ing. A. ed ing. F.) e tramite il Ce.Ri.S.E.P. - Centro Sistemi di Potenza - Laboratorio di compatibilità elettromagnetica che i valori delle onde elettromagnetiche provenienti da dette antenne superavano i limiti previsti dall'art. 4 comma II Decreto Interministeriale nr. 381/98 ed art. 3 D.P.C.M. 8.7.2003 (cfr. consulenza di parte allegata al fascicolo degli attori); di avere quindi agito in sede cautelare, ottenendo dal Tribunale di Palermo in data 29/31.12.2003 un provvedimento ex art. 700 c.p.c. che ordinava al Ministero convenuto la dismissione delle antenne omnidirezionali esistenti sul tetto del Palazzo della Questura e gli inibiva di puntare le antenne direzionali esistenti verso la terrazza del ricorrente (cfr. fascicolo della fase cautelare), provvedimento confermato in sede di reclamo. 7
Richiamando infine gli studi più recenti sugli effetti dannosi legati all'esposizione ad onde elettromagnetiche e lamentando di avere subito un danno patrimoniale consistente, per S. L. e V. V., nel deprezzamento degli immobili di loro proprietà, oltre che un danno alla salute, concludevano gli attori chiedendo al Tribunale di "ritenere e dichiarare che gli impianti per cui è causa producono emissioni di campi elettromagnetici eccedenti i limiti consentiti dal D.I. 381/98 conf dal DPCM 8.7.2003, e/o che sono comunque altamente nocivi per la salute stante la loro potenzialità lesiva; ritenere e dichiarare ex art. 32 Cost. o secondo più opportuna qualificazione giuridica la nocività degli impianti meglio descritti in narrativa e collocati sul tetto dell'immobile della Questura sito in Piazza Vittoria nr. 8, conseguentemente condannare il Ministero degli Interni, in persona del Ministro pro tempore, al risarcimento dei danni per il deprezzamento subito dall'unità immobiliare del prof. S. L., quantificati in euro 9.000, 00 o in quella maggiore o minore somma che il Giudice riterrà opportuna, anche in via equitativa; condannare il Ministero degli Interni, in persona del Ministro pro tempore, al risarcimento dei danni per il deprezzamento subito dall'unità immobiliare del dr. V. V., quantificato in euro 7.000, 00 o in quella maggiore o minore somma che il giudice riterrà opportuna anche in via equitativa; condannare il Ministero degli Interni in persona del Ministro pro tempore, al risarcimento dei danni alla salute e del danno morale a favore del prof S. L. e del dr. V. V. che si stimano nella somma di euro 1.500,00 per ciascuno ovvero nella maggiore o minore somma che il Giudice riterrà opportuna anche in via equitativa; condannare il Ministero degli Interni, in persona del Ministro pro tempore, a rimborsare al Condominio di Corso Vittorio Emanuele nr. 492, in persona del suo amministratore pro tempore, la somma complessiva di euro 6.144,28 come meglio descritta in narrativa, quale pagamento delle somme avanzate per la perizia del Ce. Ri.S.E.P., per la CTU dell'ing. Miraglia e per le spese legali della fase cautelare; con vittoria di spese, competenze, onorari e rimborso forfetario ". Si costituiva il Ministero dell'Interno in persona del Ministro pro tempore che, in via preliminare, eccepiva la carenza di legittimazione attiva del Condominio attore, soggetto che non aveva partecipato alla fase cautelare e che aveva formulato una domanda di rimborso del tutto esulante dal thema decidendum. Contestava poi le richieste attoree, esponendo, in fatto, che, in occasione di entrambe le segnalazioni pervenute dal S. L. e relative alla presenza di antenne e tralicci sul tetto dell'edificio che ospita la Questura, erano stati effettuati gli opportuni e necessari controlli che avevano escluso la non conformità a legge delle antenne e dei tralicci presenti ed il rispetto dei limiti di emissione previsti dalla normativa di settore (in seguito alla prima segnalazione del 13.4.1999, l'AUSL 6 di Palermo aveva effettuato il rilevamento delle emissioni elettromagnetiche constatando che non superavano i valori di legge - cfr. nota del 15.6.1999 in atti -, rilevamento che era stato confermato dalla Polizia di Stato - Zona Telecomunicazioni "Sicilia Occidentale" - cfr. rapporto del 30.6.1999 in atti -; in seguito alla segnalazione del 26.4.2001 era stato accertato che i nuovi tralicci erano inattivi - cfr. nota della Polizia di Stato - Zona Telecomunicazioni "Sicilia Occidentale" del 18.6.2001 - e comunque erano conformi alle disposizioni di legge vigenti - cfr. relazione dell'ing. Capo del 31.7.2001 della SINT s.r.l. per conto di Ericsson Telecomunicazioni s.p.a. -). Richiamava quindi la normativa di settore, sottolineando il particolare scopo cui erano destinate le antenne in oggetto (ossia la tutela della sicurezza pubblica), e rilevava l'insussistenza sia del danno alla salute sia dei danni patrimoniali, come rappresentati dagli attori. Concludeva quindi il Ministero chiedendo al Tribunale di "ritenere e dichiarare che gli impianti radioelettrici della Questura di Palermo, in piazza Vittoria nr. 8, come assemblati prima dell'esecuzione dell'ordinanza cautelare dei 29-13.12.2003 sono conformi alla normativa vigente e che essi non oltrepassano i limiti previsti inizialmente dal D.L. nr. 381/98 ed ora dal D.P.C.M. dell'8.7.2003; per l'effetto, revocare l'ordinanza cautelare come sopra indicata; in linea subordinata, modificare, previo espletamento di CTU da condurre sull'originario assetto degli impianti, la suddetta misura cautelare, adottando gli accorgimenti necessari ad assicurare la piena e regolare operatività degli impianti stessi; in ogni caso, rigettare tutte le domande risarcitorie formulate dal prof S. L. e dal dr. V. V. perché infondate; ritenere e dichiarare il difetto di legittimazione attiva del 8
Condominio di via Vittorio Emanuele nr. 492 e comunque rigettare le domande perché infondate; con condanna degli attori al pagamento delle competenze e degli onorari di giudizio, salve beninteso ed a parte, le spese prenotate a debito, nell'importo che risulterà dalle annotazioni al campione, la cui liquidazione spetta, secondo la normativa in vigore al competente ufficio amministrativo che cura la tenuta del campione stesso". La causa veniva istruita documentalmente e con l'esame di alcuni testimoni; infine, all'udienza del 20.6.2007, veniva trattenuta in decisione con la concessione dei termini di legge per lo scambio delle memoria conclusionali e delle repliche. Diritto Va in primo luogo rigettata l'eccezione relativa alla carenza di legittimazione ad agire del Condominio convenuto. Ed invero, benché quest'ultimo soggetto non sia stato parte della fase cautelare, è ammissibile l'azione dallo stesso esperita unitamente ai ricorrenti S. L. e V. V., attesa l'autonomia della fase cautelare rispetto alla fase di merito (cfr. per tutte Cass. 3646/96). Va poi ulteriormente premesso che il presente procedimento di merito riguarda un provvedimento cautelare emesso ex art. 700 c.p.c. in data antecedente rispetto all'1.3.2006, ossia prima della data di entrata in vigore delle norme che hanno svincolato questo tipo di tutela dalla necessità inesorabile di un successivo giudizio di merito (decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito, con modificazioni, nella legge 14 maggio 2005, n. 80; decreto-legge 30 giugno 2005, n. 115 e legge di conversione 17 agosto 2005, n. 168, nonché decreto-legge n. 273 del 2005, c.d. milleproroghe, convertito nella legge 23 febbraio 2006 n. 51); pur tuttavia, nessuna conferma del provvedimento cautelare va disposta in questa sede: ed invero, già nel vigore della disciplina antecedente alla novella del c.p.c., era esclusa, nella fase di merito, la pronuncia di convalida dei provvedimenti cautelari, attesa la loro natura strumentale che faceva si che rimanessero assorbiti dalla decisione della causa della quale seguivano la sorte e che l'istante era tenuto ad iniziare nel termine perentorio fissato dal Giudice: (Cass. Civ., Sez. 1, 1.4.1983 nr. 2365). Passando al merito della questione, occorre premettere che gli attori hanno spiegato domanda di risarcimento per l'asserita lesione dei diritto alla salute, del quale hanno sostanzialmente invocato la tutela anche con la reintegrazione in forma specifica ex art. 2058; che poi quest'ultimo rimedio si concreti in una richiesta di ordinare al Ministero convenuto un "facere", prima in via provvisoria poi in via definitiva, costituisce una conseguenza normale dell'azione ex art. 2058 c.c. (e nella giurisprudenza di legittimità si è ormai da tempo consolidato il principio secondo il quale a tutela del diritto alla salute il soggetto danneggiato da immissioni può esercitare, anche cumulativamente, l'azione inibitoria ex art. 844 c.c. - a tutela del diritto di proprietà e quindi di natura reale - , l'azione di responsabilità aquiliana e l'azione di risarcimento in forma specifica ex art. 2058 c.c. – vedasi Cass. sez. un. 15/10/1998 n. 10186, Cass. sez. un. 9/4/1973 n. 999 e Cass. 2/6/2000 n. 7420). Deve peraltro ritenersi, sulla scorta della ormai unanime giurisprudenza, che non è necessario che il danno si sia verificato perché il titolare del diritto possa reagire contro la condotta altrui, se essa si manifesta in atti suscettibili di provocarlo, posto che la protezione apprestata dall'ordinamento al titolare di un diritto si estrinseca, prima, nel vietare agli altri consociati di tenere comportamenti che contraddicano il diritto, poi, nel sanzionare gli effetti lesivi della condotta illecita, obbligando il responsabile al risarcimento del danno. Con particolare riferimento al diritto alla salute sarebbe, poi, contraddittorio affermare che esso non tollera interferenze esterne che ne mettano in discussione l'integrità ed ammettere che alla persona sia data la sola tutela del risarcimento del danno e non anche quella preventiva (cfr. Corte Costituzionale sent. nr. 30 del 30.12.1987). È quindi del tutto ammissibile chiedere al giudice di inibire all'amministrazione un comportamento che, iniziando a funzionare con le modalità previste, è accertato possa determinare una situazione di messa in pericolo della salute (Cass. Civ. sez, III, 27.7.2000 nr. 9383). Va poi ulteriormente precisato che, a fronte di un pregiudizio attuale al bene fondamentale della salute, nessuna incidenza sull'accoglimento o meno della domanda può essere attribuito al fatto che 9
detto accoglimento possa incidere sulle concrete modalità di erogazione del servizio: nel caso di specie, quindi, a nulla rileva il richiamo operato dal Ministero convenuto a quegli "svariati inconvenienti tecnici nell'utilizzo delle ricetrasmittenti da parte delle Forze dell'Ordine", lamentati ma non dimostrati come ricollegabili alla ordinata dismissione delle antenne oggetto di causa (vedasi sul punto Cass. sez. un. 20/2/1992 n. 2092: "qualora la Pubblica amministrazione, nell'installazione di un impianto di depurazione con inosservanza delle distanze minime prescritte, leda il diritto di salute del proprietario del fondo vicino, a quest'ultimo deve riconoscersi la facoltà di adire il giudice ordinario non soltanto con azione risarcitoria, ma anche con richiesta di condanna alla rimozione dell'opera, atteso che quel fatto lesivo, rispetto ad un diritto non suscettibile di affievolimento, non è ricollegabile ad atti o provvedimenti amministrativi e si configura come attività materiale illecita"). Quanto al quadro normativo di riferimento, la disciplina delle emissioni di onde elettromagnetiche é regolamentata dalla Legge Quadro 22.2.2001 nr. 36 (sulla protezione della popolazione dalle esposizione a campi elettromagnetici), che ha disciplinato in modo organico la materia, fissandone i principi fondamentali, indicando anche le ripartizioni di competenze tra Stato ed Enti locali sulla base del principio che compete esclusivamente allo Stato la fissazione delle soglie di esposizione e la determinazione dei limiti di esposizione (come confermato anche dalla sentenza della Corte Costituzionale nr. 103 dell'8.2.2006), in quanto titolare esclusivo della determinazione dei profili della tutela ambientale e della salute pubblica. Detta legge si ispira, poi, al principio di precauzione (richiamato espressamente dall'art. 1 comma primo, punto b, quando indica, tra le finalità della normativa, quella di "promuovere la ricerca scientifica per la valutazione degli effetti a lungo termine e attivare misure di cautela in applicazione del principio di precauzione di cui all'art. 174, paragrafo 2, del trattato istitutivo dell'Unione Europea") in base al quale sono stati fissati a livello nazionale dei valori soglia (non derogabili da parte delle Regioni nemmeno in senso più restrittivo e rappresentanti il punto di equilibrio fra le esigenze contrapposte di evitare al massimo l'impatto delle emissioni elettromagnetiche, e di realizzare impianti necessari al paese), il cui superamento determina una presunzione di pericolosità delle immissioni stesse. Quanto ai limiti di esposizione, l'art. 4 comma II lett. A) rinvia al D.P.C.M. del 18.7.2003 ("Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni ai campi elettromagnetici generati dalle frequenze comprese tra 100 KHz e 300 GHz"); i limiti di esposizione ed i valori di attenzione ivi fissati dall'art. 3 II comma, ricalcano le disposizioni di cui al Decreto Interministeriale nr. 381/98 "Regolamento recante norme per la determinazione dei tetti di radiofrequenze compatibili con la salute umana" - emanato in attuazione della delega contenuta nell'art. 1 comma 6 lett. A) nr. 15 L. 249/1979. Sempre l'art. 4, al comma II, prevede che, in corrispondenza di edifici adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore, non devono essere superati i seguenti valori, indipendentemente dalla frequenza: 6 V/M per il campo elettrico, 0,0, 16°A/m per il campo magnetico e per le frequenze comprese tra 3 mhz e 300 ghz, 0,10 W/m° per la densità di potenza: detti valori sono riproposti nel D.P.CM. attuativo della legge quadro (tabella 2 del decreto). Proprio l'esistenza di una siffatta disciplina dimostra inequivocabilmente che, allo stato delle conoscenze scientifiche, l'esposizione ai campi elettrici, se siano superati determinati limiti massimi, è considerata fonte di possibili effetti negativi sulla conservazione dello stato (ed infatti, il D.P.C.M. è stato adottato all'esito di una istruttoria in cui sono intervenuti il Ministro della salute ed il Comitato Internazionale di valutazione per l'indagine sui rischi sanitari derivanti dall'esposizione ai campi elettromagnetici ed i limiti fissati dalle normative citate sono stati determinati in base ai risultati raggiunti dalla comunità scientifica sugli effetti acuti e cronici dell'esposizione): detta disciplina ha quindi lo scopo di impedire che possa essere tenuta una condotta che vi contrasti (ed a tal fine sono previste anche sanzioni amministrative per i trasgressori). La giurisprudenza prevalente ritiene, poi, che il rispetto dei limiti normativi, anche per il loro carattere pubblicistico, non implichi una presunzione assoluta di liceità delle immissioni, ben 10
potendo sussistere una situazione che, pur rispettosa dei limiti, si riveli in concreto lesiva, anche solo potenzialmente, del diritto alla salute - ed il principio é stato affermato dalla sentenza Cass. 27/7/2000 n. 9893 riguardante proprio un caso di inquinamento elettromagnetico -. La tutela giudiziaria del diritto alla salute nei confronti della pubblica amministrazione può, infatti, essere preventiva e dare luogo a pronunce inibitorie se, prima ancora che l'opera pubblica venga messa in esercizio nei modi previsti, sia possibile accertare, considerando la situazione che si avrà una volta iniziato l'esercizio, che nella medesima situazione è insito un pericolo di compromissione per la salute di chi agisce in giudizio. Orbene, nel caso in esame, è risultata provata la presunzione di pericolosità concreta delle emissioni. La consulenza espletata nel corso del giudizio cautelare, infatti, ha accertato che le antenne contestate producono onde elettromagnetiche cd. ad alta frequenza, che si irradiano nell'ambiente circostante sia sul piano orizzontale che su quello verticale: sulla base delle attuali conoscenze scientifiche, a distanza dalla sorgente i campi elettromagnetici si distribuiscono su specifici sempre più ampie e la loro intensità diminuisce man mano che si propagano. È evidente allora che la concentrazione massima delle radiazioni si ha appunto nei luoghi immediatamente vicini alle antenne, quali il condominio attore ed, in particolare, le abitazioni del S. L. e del V. V., posizionate a ridosso dell'edificio della Questura ed a pochi metri da esso (circostanza questa non contestata). Il consulente nominato d'ufficio, poi, pur avendo accertato che, al momento della perizia, i limiti di legge sopra richiamati non erano stati superati, ha però sottolineato che gli impianti oggetto di causa sono idonei a superare detti limiti e che l'unica misura realmente idonea a tutelare il diritto dei ricorrente è costituita dalla dismissione delle antenne omnidirezionali e dalla inibizione di puntare le antenne direzionali verso l'area di pertinenza dei ricorrenti, tenuto conto che il Ministero convenuto non ha fornito elementi sulla base dei quali valutare gli effettivi stato ed utilizzazione dell'impianto e che la potenza massima delle apparecchiature può essere variata in ogni momento, sia regolando quelle esistenti sia con eventuali sostituzioni con altre antenne dello stesso tipo e dimensioni. Proprio le cennate conclusioni, pienamente condivisibili in quanto ben motivate ed esaustive, rendono da un lato superfluo il rinnovo della consulenza richiesto dal Ministero convenuto, diretto "ad appurare se sia possibile ripristinare lo stato originario degli impianti, adottando eventuali accorgimenti tecnici volti a prevenire il pericolo di immissioni elettromagnetiche soprasoglia" (l'individuazione di siffatti accorgimenti tecnici avrebbe potuto essere effettuata autonomamente ed allegata - dal convenuto, avendo il Ministero dell'Interno senz'altro la possibilità di accedere ai mezzi tecnici ed alle professionalità necessarie a tal fine), dall'altro, confermano la bontà dei risultati cui sono giunti i consulenti di parte Ing. A. ed ing. F. utilizzando i risultati della campagna di misure effettuate il 30 e 31 luglio 2001 presso il Palazzo Asmundo dal Ce.Ri.S.E.P. (organismo della cui attendibilità scientifica non vi è motivo di dubitare, anche se interessato alla misurazione dalla parte in causa) che registrò valori di molto superiori ai limiti di legge, così superando quella presunzione di non pericolosità che assiste il limite di cui al D.M. 387/98. Ne consegue allora che il pericolo che l'utilizzo delle antenne in oggetto determini il superamento di quei limiti posti a tutela della salute pubblica deve ritenersi accertato in concreto. Peraltro, non può essere sottaciuto che il Ministero convenuto si é limitato a depositare documentazione relativa allo stato delle antenne e dei tralicci presenti sul Palazzo ove ha sede alla Questura nel 1999 (come accertato in seguito alla prima segnalazione proveniente dal S. L.), mentre, con riferimento alla situazione alla data della seconda segnalazione dell'attore, ha depositato esclusivamente il certificato di conformità rilasciato dalla SINT s.r.l. per conto della Ericsson Telecomunicazioni s.p.a. nel quale, però, i risultati non sono stati ottenuti mediante la misurazione delle emissioni ad antenne operanti, bensì sulla scorta dell'aggiunta, ai valori ottenuti dalla misurazione dei campi magnetici preesistenti, di quegli che sarebbe stati provocati dalle nuove antenne calcolati in via presuntiva: trattasi quindi di certificazione di conformità che non esclude affatto, come è stato più sopra illustrato, il superamento dei limiti previsti dalla normativa di settore. 11
Va quindi accolta la domanda relativa all'accertamento della potenzialità lesiva per la salute delle antenne ad alta direttività ed omnidirezionali che si trovano sul tetto del complesso ove sono ubicati gli Uffici della Questura di Palermo. Vanno invece rigettate le domande risarcitorie relative al danno alla salute, posto che nessuna patologia è stata né accertata, né tantomeno lamentata e che non è possibile procedere alla liquidazione di un danno biologico soltanto ipotetico (cfr. Cass. Civ., sez. II, 23.1.2007 nr. 1391), ed al danno per il deprezzamento dell'immobile, tenuto conto che nessuna prova hanno fornito sul punto gli attori, i quali non hanno nemmeno allegato quale fosse il valore degli immobili medesimi. Va altresì rigettata la richiesta di risarcimento del danno morale quale, appunto, conseguenza di un fatto illecito astrattamente inquadrabile in una ipotesi di reato: è vero, infatti, che il fenomeno dell'inquinamento provocato da onde elettromagnetiche è riconducibile alla previsione dell'art. 674 c.p., ma solo laddove i valori del campo elettromagnetico superino i limiti indicati dalla normativa vigente in materia e, nel caso di specie, è stata accertata la sola potenzialità lesiva delle emissioni elettromagnetiche promananti dalle antenne oggetto di giudizio. Va infine rigettata la domanda di risarcimento avente ad oggetto le spese sostenute per la redazione della consulenza di parte spiegata dal condominio. Dette spese, essendo inerenti ad una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, vanno considerate spese relative all'attività stragiudiziale posta in essere dal difensore e dal consulente della parte, ossia spese strettamente dipendenti dal mandato relativo alla difesa: pertanto, anche queste spese hanno natura di prestazioni giudiziali (Cassazione civile sez. II, 1 marzo 1994, n° 2034) posto che la consulenza tecnica di parte altro non é che un particolare modo dell'esercizio dei poteri di difesa della parte (e non una posta di danno riconducibile all'illecito). Il Ministero convenuto andrà infine condannato alla rifusione delle spese di giudizio sostenute dagli attori, nella fase cautelare e di merito, attesa la sua sostanziale soccombenza sul punto fondamentale della controversia. p.q.m. Il Tribunale di Palermo in composizione monocratica definitivamente pronunciando sulla domanda proposta con citazione del 3-2-2004 da S. L., V. V. e dal Condominio di via Vittorio Emanuele nr. 492, in persona del legale rappresentante pro tempore, - dichiara la potenzialità lesiva delle antenne ad alta direttività ed omnidirezionali che si trovano sul tetto del complesso ove sono ubicati gli Uffici della Questura di Palermo; - per l'effetto, ordina la dismissione delle antenne omnidirezionali esistenti sul tetto del Palazzo della Questura e confinanti con le proprietà S. L. e V. V. ed inibisce il convenuto al puntare l'asse delle antenne direzionali verso la medesima terrazza; - rigetta tutte la altre domande; - condanna il Ministero dell'Interno, in persona del Ministro pro tempore , a rifondere agli attori le spese di giudizio - ivi comprese quelle della fase cautelare - che liquida in complessivi euro 8.150,00 di cui euro 6.250,00 per diritti ed onorari, ivi comprese le spese di ctu, oltre IVA e CPA come per legge. Palermo, 7 maggio 2008 Depositata 12 novembre 2008
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CONDOMINIO MINIMO La disciplina del condomino è contenuta al Capo II (artt. 1117-1139 cod. civ.), all’interno del Titolo VII del codice civile sulla Comunione (artt. 1100 e ss.).
Cass., sez. un., 31-01-2006, n. 2046. MASSIMA La diversa disciplina dettata dagli art. 1110 e 1134 c.c. in materia di rimborso delle spese sostenute dal partecipante per la conservazione della cosa comune, rispettivamente, nella comunione e nel condominio di edifici, che condiziona il relativo diritto, in un caso, a mera trascuranza degli altri partecipanti e, nell’altro caso, al diverso e più stringente presupposto dell’urgenza, trova fondamento nella considerazione che, nella comunione, i beni comuni costituiscono l’utilità finale del diritto dei partecipanti, i quali, se non vogliono chiedere lo scioglimento, possono decidere di provvedere personalmente alla loro conservazione, mentre nel condominio i beni predetti rappresentano utilità strumentali al godimento dei beni individuali, sicché la legge regolamenta con maggior rigore la possibilità che il singolo possa interferire nella loro amministrazione; ne discende che, istaurandosi il condominio sul fondamento della relazione di accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali, poiché tale situazione si riscontra anche nel caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile solo nel caso in cui abbia i requisiti dell’urgenza, ai sensi dell’art. 1134 c.c. La disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, non rappresentando un ostacolo l’impossibilità di applicare, in tema di funzionamento dell’assemblea, il principio maggioritario, atteso che nessuna norma vieta che le decisioni vengano assunte con un criterio diverso, nella specie all’unanimità, quanto, a fortiori, con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti, tra cui quella che disciplina il diritto al rimborso delle spese fatte per la conservazione delle cose comuni.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - Con citazione 16 novembre 1989, Nicola Cersosimo convenne, davanti al Tribunale di Lagonegro, i coniugi Alfredo Cozzetto e La Gamma Rosa. Espose di essere proprietario, in ragione della metà assieme ai convenuti, di un edificio sito in Rotonda via Garibaldi, e di aver effettuato delle riparazioni alle parti comuni (beneficiando del contributo previsto dalla L. n. 219 del 1981, per i danni subiti dal fabbricato a seguito del sisma del 1980 e del 1982). Domandò la condanna dei convenuti alla restituzione della quota da loro dovuta pari a L. 7.334.737. I convenuti chiesero l'assoluzione da ogni avversa pretesa e il Tribunale, con sentenza 5 dicembre 1995 - 5 gennaio 1996, rigettò la domanda. - Decidendo sull'impugnazione principale proposta dal Cersosimo e sull'appello incidentale proposto da coniugi Alfredo Cozzetto e Rosa La Gamma (limitatamente alle spese), la Corte 13
d'Appello di Potenza, con sentenza 17 novembre - 28 dicembre 1999, respinse ambedue le impugnazioni. Premesso che la legislazione speciale non aveva introdotto nessuna deroga alla disciplina civilistica, concernente il rimborso delle spese per la conservazione delle cose comuni erogate da un proprietario, al condominio costituito da due soli partecipanti si applicava la norma di cui all'art. 1134 cod. civ., che al condomino riconosce il diritto al rimborso soltanto per le spese urgenti, ragion per cui non operava la disposizione dettata in tema di comunione in generale dell'art. 1110 cod. civ., secondo cui il rimborso delle spese per la conservazione era subordinato solamente alla trascuranza degli altri comproprietari. Nel condominio composto da due soli condomini non si applicavano soltanto le disposizioni stabilite dall'art. 1136 cod. civ. relativamente alla costituzione ed alle votazioni in assemblea. - Ha proposto ricorso per Cassazione Cersosimo; hanno resistito con controricorso Alfredo Cozzetto e Rosa La Gamma. - Con ordinanza interlocutoria 10 marzo 2004, la Seconda Sezione civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, avendo rilevato un contrasto di giurisprudenza in materia di rimborso delle spese per la conservazione delle cose comuni nel caso di condominio composto da due soli partecipanti (il cosiddetto "condominio minimo"), giacchè dalla Corte Suprema talora era stata affermata l'applicabilità dell'art. 1110 cod. civ. (Cass., Sez. 2^, 18 ottobre 1988, n. 5664), talaltro era stata ritenuta la applicabilità dell'art. 1134 cod. civ. (Cass., Sez. 2^, 26 maggio 1993, n. 5914 e Cass., Sez. 2^, 4 agosto 1997, n. 7181). MOTIVI DELLA DECISIONE 1.- Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1110 e 1134 cod. civ., poichè erroneamente la sentenza della Corte d'Appello aveva ritenuto applicabile al condominio costituito da due soli partecipanti la disposizione di cui all'art. 1134 cod. civ., anzichè quella prevista dall'art. 1110 c.c., ragion per cui al condomino, che aveva sostenuto le spese necessaire per la conservazione delle cose comuni, doveva riconoscersi il diritto al rimborso alla sola condizione della trascuranza dell'altro partecipante. - Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione della L. 14 maggio 1981, n. 219, artt. 9, 10, 12 e 14 e successive modificazioni, perchè erroneamente la sentenza impugnata non aveva considerato la deroga alle norme civilistiche apportate dalle norme speciali, con il diritto del condomino di procedere all'esecuzione delle opere, in sostituzione ed a spese del proprietario inadempiente. Con il terzo motivo, infine, il ricorrente censura ancora la violazione delle norme speciali ricordate sopra, che dalla sentenza impugnata non erano state ritenute applicabili a tutti gli immobili danneggiati dal sisma, in ragione dello stato di urgenza dei lavori per adeguare gli edifici alla normativa antisismica, a pena di decadenza dal beneficio del sussidio statale. 2.1.- La questione di diritto, che le Sezioni Unite sono chiamate a risolvere per decidere la controversia, è se, nel caso di edificio in condominio composto da due soli partecipanti (il cosiddetto "condominio minimo"), il rimborso delle spese per la conservazione delle parti comuni anticipate da un condomino sta regolato dalla norma di cui all'art. 1134 cod. civ., che riconosce il diritto al rimirano soltanto per le spese urgenti; ovvero se, in considerazione della peculiarità della situazione di fatto e di diritto configurata dalla presenza di due soli proprietari, e dalla susseguente inapplicabilità del principio di maggioranza, la fattispecie venga ad essere regolata dalla norma dettata dall'art. 1110 cod. civ. per la comunione in generale, secondo cui il rimborso è subordinato alla mera trascuranza degli altri condomini. Il diverso il regime del rimborso delle spese anticipate dal condomino e dal comproprietario, a seguito della inerzia degli altri partecipanti (o dell'amministratore) - è noto - si fonda sul diverso presupposto oggettivo dell'urgenza e della trascuranza. In materia di condominio negli edifici, il concetto di urgenza, impiegato nell'art. 1134 cod. civ., viene ricavato dal significato proprio della parola, che designa la stretta necessità: la necessità immediata ed impellente. Afferma la giurisprudenza che, ai fini dell'applicabilità dell'art. 1134 cod. civ. concernente il rimborso delle spese per le cose comuni fatte da un condomino, va considerata 14
urgente la spesa, che deve essere eseguita senza ritardo (Cass., Sez. 2^, 26 marzo 2001, n. 4364); la spesa, la cui erogazione non può essere differita senza danno o pericolo, secondo il criterio del buon padre di famiglia (Cass., Sez. 2^, 12 settembre 1980, n. 5256). Trascuranza, invece, significa negligenza, trascuratezza, omessa cura come si dovrebbe. Relativamente alle spese necessarie per la conservazione delle cose comuni, l'art. 1110 cit. riconduce il diritto al rimborso alla semplice inattività (Cass., Sez. 2^, 3 agosto 2001, n. 10738). Il maggior rigore della disciplina in tema di condominio negli edifici rispetto alla comunione dipende dalla diversa utilità dei beni, che formano oggetto dei differenti diritti; l'utilità strumentale per i beni in condominio e l'utilità finale per i beni in comunione. La indivisibilità dei beni in condominio (art. 1119 cod. civ.) dipende dalla utilità strumentale, essendo strettamente legata al godimento delle unità immobiliari. Dalla virtuale perpetuità del condominio deriva l'opportunità che i condomini non interferiscono nella amministrazione delle parti comuni dell'edificio. Dalla normale divisibilità nella comunione, invece, segue che il comunista insoddisfatto dell'altrui inattività, se non vuole chiedere lo scioglimento (art. 1111 cod. civ.), può decidere di provvedere personalmente. 2.2 – [Il condominio in generale] L'espressione "condominio" designa il diritto soggettivo di natura reale (la proprietà comune) concernente le parti dell'edificio di uso comune e, ad un tempo, l'organizzazione del gruppo dei condomini, composta essenzialmente dalle figure dell'assemblea e dell'amministratore: organizzazione finalizzata alla gestione delle cose, degli impianti e dei servizi. La specifica fisionomia giuridica del condominio negli edifici - la tipicità, che distingue l'istituto dalla comunione di proprietà in generale e dalle altre formazioni sociali di tipo associativo - si fonda sulla relazione che, nel fabbricato, lega i beni propri e comuni, riflettendosi sui diritti, dei quali i beni formano oggetto (la proprietà esclusiva e il condominio). Le norme dettate dagli artt. 1117, 1139 cod. civ. si applicano all'edificio, nel quale più piani o porzioni di piano appartengono in proprietà solitaria a persone diverse e un certo numero di cose, impianti e servizi di uso comune sono legati alle unità abitative dalla relazione di accessorietà. L'art. 1117 cod. civ., elencati a titolo esemplificativo talune cose, impianti e servizi di uso comune, stabilisce che "sono oggetto di proprietà comune"... "in genere tutte le parti dell'edificio necessarie per l'uso comune" (n. 1); i locali destinati "per simili servizi in comune" (n. 2); le opere, le istallazioni, i manufatti "di qualunque genere che servono all'uso o al godimento comune". Secondo l'interpretazione consolidata, ai fini della attribuzione del diritto di condominio la norma conferisce rilevanza al collegamento tra le parti comuni e le unità immobiliari in proprietà solitaria: collegamento, che può essere materiale o funzionale. Il primo tipo di legame, consistente nella incorporazione tra entità inscindibili, ovvero nella congiunzione stabile tra entità separabili, si concreta nella necessità delle cose, dei servizi e degli impianti per l'esistenza o per l'uso dei piani o delle porzioni di piano; il secondo si esaurisce nella destinazione funzionale delle parti comuni all'uso o al servizio delle unità immobiliari (tra le tante: Cass., Sez. 2^, 9 giugno 2000, n. 7889). Il collegamento tra beni propri e comuni, consistente nella necessità per l'esistenza o per l'uso, ovvero nella destinazione all'uso o al servizio, si definisce come relazione di accessorietà, perchè l'espressione mette in evidenza, ad un tempo, il legame funzionale e la connessione materiale. Il termine accessorietà, sul piano funzionale, enuncia il difetto di utilità fine a se stessa e la subordinazione strumentale delle parti comuni; esprime, altresì, la connessione materiale, che determina la mancanza di autonomia fisica dei beni comuni rispetto ai beni in proprietà esclusiva e, nondimeno, non esclude la loro perdurante individualità giuridica nell'orbita della incorporazione o della relazione stabile. Il regime del condominio negli edifici - inteso come diritto e come organizzazione - si istaura per legge nel fabbricato, nel quale esistono più piani o porzioni di piano, che appartengono in proprietà esclusiva a persone diverse, ai quali dalla relazione di accessorietà è legato un certo numero di cose, impianti e servizi comuni. Il condominio si costituisce (ex lege) non appena, per qualsivoglia fatto traslativo, i piani o le porzioni di piano del fabbricato vengono ad appartenere a soggetti differenti. Segue che, in un edificio composto da più unità immobiliari appartenenti in proprietà esclusiva a persone diverse, la disciplina delle cose, degli impianti e dei servizi di uso comune, legati ai piani o 15
alle porzioni di piano dalla relazione di accessorietà, sia per quanto riguarda la disposizione sia per ciò che concerne la gestione, è regolata dalle norme sul condominio. In definitiva, l'esistenza del condominio e l'applicabilità delle norme in materia non dipende dal numero delle persone, che ad esso partecipano. Prima di chiudere sul punto, conviene ribadire le ragioni, che determinano la disciplina differente del condominio e della comunione in generale. La ragione di fondo è la diversa utilità dei beni, che formano oggetto del condominio e della comunione: rispettivamente, l'utilità strumentale e l'utilità finale. Le parti comuni dal codice sono considerate beni strumentali al godimento dei piani o delle porzioni di piano in proprietà esclusiva; cose in comunione costituiscono beni autonomi, suscettibili di utilità fine a se stessa e come tali sono considerate. 2.3.- [La questione specifica] D'altra parte, nessuna norma prevede che le disposizioni dettate per il condominio negli edifici non si applichino al "condominio minimo", composto da due soli proprietari. Per la verità, le due sole norme concernenti il numero dei partecipanti riguardano la nomina dell'amministratore ed il regolamento di condominio (L'art. 1129 cod. civ. fissa l'obbligatorietà della nomina dell'amministratore quando i condomini sono più di quattro; l'art. 1138 prevede che il regolamento di condominio debba essere approvato dall'assemblea quando il numero dei condomini è superiore a dieci). Nessuna norma dettata in materia di condominio contempla il numero minimo (due) dei condomini. Pertanto, se nell'edificio ameno due piani o porzioni di piano appartengono in proprietà solitaria a persone diverse, il condominio - considerato come situazione soggettiva o come organizzazione sussiste sulla base della relazione di accessorietà tra cose proprie e comuni e, per conseguenza, indipendentemente dal numero dei partecipanti trovano applicazione le norme specificamente previste per il condominio negli edifici. 2.4.- Si contesta l'applicabilità di talune delle norme di organizzazione (artt. 1120, 1121, 1129, 1130, 1131, 1132, 1133, 1135, 1136, 1137, 1138 cod. civ.), specialmente di quelle riguardanti il funzionamento del collegio sulla base del principio di maggioranza. Ciò sulla base dell'asserita inapplicabilità del metodo collegiale e del principio maggioritario in presenza di due soli condomini. Ma non è esatta l'affermazione che l'impossibilità di impiegare il principio maggioritario renda inapplicabili ai condomini minimi le norme procedimentali sul funzionamento dell'assemblea e determini automaticamente il ricorso alle norme sulla comunione in generale (tra le altre: Cass., Sez. n, 30 marzo 2001, n. 4721; Cass., Sez. 2^, 26 maggio 1993, n. 5914; Cass., Sez. U, 6 febbraio 1978, n. 535; Cass., Sez. n, 24 aprile 1975, n. 1604). Nessuna norma contempla l'impossibilità, logica e tecnica, che le decisioni vengano assunte con un criterio diverso da quello maggioritario. In altre parole, nessuna norma impedisce che l'assemblea, nel caso di condominio formato da due soli condomini, si costituisca validamente con la presenza di tutti e due i condomini e all'unanimità decida validamente. Dalla interpretazione logico-sistematica non si ricava la necessità di operare sempre e comunque con il metodo collegiale e con il principio maggioritario, quindi il divieto categorico di decidere con criteri diversi dal principio di maggioranza (per esempio, all'unanimità): si ricava la disciplina per il caso in cui non si possa decidere, a causa della impossibilità pratica di formare la maggioranza: il che vale non soltanto per il condominio minimo. La disposizione dell'art. 1136 cod. civ. è applicabile anche al condominio composto da due soli partecipanti: peraltro, se non si raggiunge l'unanimità e non si decide, poichè la maggioranza non può formarsi in concreto diventa necessario ricorrere all'autorità giudiziaria, siccome previsto ai sensi del collegato disposto degli artt. 1105 e 1139 cod. civ. L'ipotesi del condominio minimo è del tutto simile ad altre, nelle quali la maggioranza in concreto non si forma. Si pensi al caso del condominio composto da più partecipanti, in cui gli schieramenti opposti si equivalgono e non si determinano maggioranza e minoranza; oppure al caso di un condominio, del pari composto da più partecipanti, in cui un impianto risulti destinato al servizio di 16
due soli condomini, i quali da soli sono chiamati a deliberare sulla gestione. In entrambi i casi, se in concreto la maggioranza non si forma si ricorre all'autorità giudiziaria ex art. 1105 cod. civ. cit. A fortiori non sussistono ostacoli all'applicazione anche al condominio minimo delle norme concernenti la situazione soggettiva (artt. 1117, 1118, 1119, 1122, 1123, 1124, 1135, 1136, 1137, 1138 cod. civ.) Quindi, nulla osta che nel caso delle spese anticipate da un condomino trovi applicazione l'art. 1134 cod. civ.. Per la verità, il contemperamento di interessi dettato da questa disposizione si fonda sulla relazione di accessorietà tra beni propri e comuni, essendo la disciplina del rimborso delle spese per le cose, gli impianti ed i servizi comuni dell'edificio stabilita in funzione del carattere strumentale di queste parti rispetto al godimento dei piani o delle porzioni di piano in proprietà solitaria, avuto riguardo alla necessità che i condomini sulla gestione interferiscano il meno possibile. 2.5.- In conclusione, il condominio si istaura, sul fondamento della relazione di accessorietà tra le cose, gli impianti ed i servizi rispetto ai piani o le porzioni di piano in proprietà solitaria, ogni qual volta nel fabbricato esistono più piani o porzioni di piano in proprietà esclusiva; la relazione di accessorio a principale conferisce all'istituto la fisionomia specifica, per cui si differenzia dalla comunione e dalle altre formazioni sociali di tipo associativo; d'altra parte, nessuna disposizione prevede l'inapplicabilità delle norme concernenti il condominio negli edifici al "condominio minimo", composto da due soli partecipanti, posto che le sole norme in materia concernenti il numero dei condomini riguardano la nomina dell'amministratore e la formazione del regolamento (gli artt. 1129 e 1138 c.c.). Tutto ciò considerato, nel caso di edificio in condominio composto da due soli condomini (il cosiddetto "condominio minimo"), il rimborso delle spese per la conservazione delle parti comuni anticipate da un condomino viene ad essere regolato dalla norma stabilita dall'art. 1134 cod. civ., da cui il diritto al rimborso è riconosciuto soltanto per le spese urgenti: ovverosia, soltanto per le spese impellenti, che devono essere eseguite senza ritardo e la cui erogazione non può essere differita senza danno. Il primo motivo di ricorso deve essere respinto. 3.- Deve essere rigettato, del pari, il secondo motivo, che al primo è strettamente connesso. La L. speciale 14 maggio 1981, n. 219 non deroga affatto alle disposizioni del codice civile in materia di condominio. Al contrario, la L. speciale, art. 12 cpv., ultimo conferma che le deliberazioni collegiali concernenti le opere di ricostruzione o di riparazione devono essere approvate con la maggioranza di cui all'art. 1136 cod. civ., comma 2: in piena conformità, quindi, con quanto dispone in generale lo stesso art. 1136 c.c., comma 4, per la ricostruzione dell'edificio o le riparazioni straordinarie di notevole entità. Allo stesso tempo, le norme concernenti i contributi per la riparazione degli immobili non irrimediabilmente danneggiati riguardano, di regola, i soggetti titolari del diritto di proprietà alla data del sisma (legge citata, art. 10). Peraltro, i contributi per la riparazione previsti in favore del proprietario, a norma della legge citata, art. 11, possono essere assegnati eccezionalmente anche al conduttore o ad altri detentori alla duplice condizione che: a) sia decorso il termine di 90 giorni dalla comunicazione, con lettera raccomandata, che i predetti soggetti sono tenuti a inviare al proprietario, di voler eseguire direttamente le opere necessaria senza che il proprietario abbia presentato al sindaco la prescritta domanda di autorizzazione; b) nel termine di 90 giorni dall'autorizzazione del sindaco, il proprietario non abbia dato inizio ai lavori. Nella specie, nessuna di tali modalità procedimentali si deduce essere stata osservata. 4.- Appare del tutto nuovo e, come tale, inammissibile il terzo motivo di ricorso. È risaputo che i motivi del ricorso per Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove e nuovi temi non trattati nella fase di merito. Orbene, non risulta prospettata in appello la doglianza concernente l'urgenza ex se delle opere occorrenti per adeguare l'edificio alla normativa antisismica, posto che in sede di gravame Nicola Cersosimo, con il primo motivo aveva lamentato la mancata ammissione della richiesta consulenza tecnica indispensabile per valutare l'applicabilità nella fattispecie della disposizione di cui all'art. 1110 cod. civ. e, con il secondo, aveva censurato l'affermazione circa l'insussistenza della prova relativa alla ultimazione dei lavori. 5.- Rigettato il ricorso, sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese processuali.
P.Q.M. La Corte, pronunziando a Sezioni Unite: 17
rigetta il ricorso e compensa le spese.
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USO PROMISCUO DELLA COSA COMUNE
Tribunale Bari, sez. III, 29 ottobre 2009, n. 3237 MASSIMA
In tema di condominio negli edifici, l'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi dell'art. 1102, c.c., al duplice divieto di alterarne la destinazione ed impedire agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto. Pertanto, deve ritenersi che la condotta del condomino, consistente nella stabile occupazione - mediante il parcheggio per lunghi periodi di tempo della propria autovettura o motorino - di una porzione del cortile comune, configuri un abuso, poiché impedisce agli altri condomini di partecipare all'utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento, in tal modo, alterando l'equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione del 30.3.2003 il Condomino di viale Kennedy n. 83/B – Bariconveniva in giudizio davanti al Giudice di pace di Bari il sig. M. N. per sentire "dichiarare la illegittimità dell'utilizzazione, da parte del convenuto, degli spazi condominiali a scopo di parcheggio di un motociclo; per l'effetto, ordinare al convenuto la cessazione dei comportamenti sopradetti... " Assumeva l'attore: - di essersi dotato di un regolamento condominale nel quale era stato espressamente previsto il divieto di occupare stabilmente con costruzioni provvisorie e con oggetti di qualsiasi tipo, le scale i ripiani, gli anditi e, in genere, i locali e gli spazi di proprietà ed uso comuni (art. 14); - che il M. consentiva alla propria figlia minore di parcheggiare abitualmente il motorino tipo Aprilia all'interno dello spazio condominiale "in corrispondenza del prospetto secondario"; - di essere stato indotto, a seguito delle proteste degli altri condomini, a diffidare il M. e di aver convocato alcune assemblee condominiali per la soluzione del problema in questione, tutte conclusesi con delibere contrarie alla utilizzazione delle aree comuni nel senso indicato. Con comparsa depositata il 9.7.2003 si costituiva in giudizio il M. chiedendo il rigetto della domanda e deducendo: - che la figlia non aveva mai occupato stabilmente l'area comune, ma aveva fatto solo saltuarie e momentanee soste all'interno del cortile e per un limitato spazio di tempo; - che quindi la figlia non aveva mai alterato la destinazione d'uso della cosa comune, né aveva mai impedito agli altri condomini di farne a loro volta uso; - che l'azione proposta doveva considerarsi infondata perché il regolamento condominiale, alla sezione dedicata all'uso dei giardini, impediva espressamente solo la circolazione dei motorini ma non anche la sosta temporanea degli stessi; 19
- che nella assemblee condominiali in cui il problema era stato discusso non era stata adottata alcuna determinazione, ma erano state manifestati solo alcuni pareri da parte di singoli condomini, culminati nell'approvazione a maggioranza, durante la assemblea del 12.11.2002, di una proposta di "collocazione di cavalletti in ferro davanti ai cancelli di ingresso da via Niceforo". Istruita la causa, con sentenza del 27.6.2005 n. 3350/05 il Giudice di pace di Bari rigettava la domanda, non riscontrando alcuna contrarietà del comportamento del M. al regolamento condominiale, e condannava il Condominio al pagamento delle spese del procedimento. Avverso la sentenza indicata ha proposto appello il Condominio di viale Kennedy 82BBari, adducendo il difetto di motivazione della sentenza impugnata, non avendo, a dire dell'appellante, esplicitato il Giudice di prime cure la ricostruzione dello svolgimento del processo, le questioni dibattute nonchè, più in generale, il ragionamento probatorio osservato. Di qui la necessità di riproporre le stesse questioni già portate alla cognizione del primo giudice e, in particolare, - che il comportamento del M. si poneva in contrasto con l'art. 1102 c.c., attesa la sua incidenza sulla destinazione del cortile/giardino; - che l'istruttoria del giudizio di primo grado aveva accertato, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, che la figlia del M. aveva parcheggiato il motorino nelle zone in questione sia di notte che di giorno; - che di tali risultanze istruttorie il giudice non aveva tenuto alcun conto, essendosi limitato ad una interpretazione letterale dei termini utilizzati nell'art. 14 del regolamento condominiale, senza porre in connessione la disposizione in questione con gli altri atti a sua disposizione, e soprattutto, con quanto previsto nei preliminari di vendita degli immobili, in cui era statuito espressamene il divieto di parcheggio nelle aree comuni di qualsiasi veicolo di sorta; - la omessa considerazione da parte del giudice di primo grado di quanto previsto nello stesso Regolamento condominiale che. a) all'art. 14 farebbe divieto di occupazione di ogni spazio comune con oggetti mobili di qualsiasi genere; 2) all'art. 1 lett. F) vieterebbe esplicitamente la circolazione di motocicli; 3) il regolamento di portineria la sosta di motocicli e biciclette. Con comparsa del 10.1.2006 si è costituito in giudizio il M., sostenendo: - la sufficienza e logicità della motivazione della sentenza impugnata, - la correttezza del comportamento del M., attesa la sua conformità a quanto previsto dall'art. 14 del Regolamento condominiale, non avendo la di lui figlia occupato stabilmente gli spazi di uso comune; - l'inammissibilità dell'appello per difformità delle conclusioni rassegnate rispetto a quelle formulate nel giudizio di primo grado. Costituite le parti all'udienza del 10.1.2006, dopo un rinvio interlocutorio, all'udienza del 14.4.2009, dopo la precisazione delle conclusione delle parti, il Tribunale, nella persona di questo magistrato, disponeva lo scambio delle comparse conclusionali e delle repliche riservandosi per la decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello è fondato e va pertanto accolto. In punto di fatto, non è in contestazione tra le parti il dato fattuale che il Condominio in questione sia costituito da una palazzina posta all'interno di un più esteso complesso 20
abitativo, isolato dalla pubblica via da una recinzione che delimita una zona al cui interno vi sono cortili, giardini e viali, cioè zone strumentali a consentire il raggiungimento delle varie abitazioni. Ciò detto, è necessario ricostruire le risultanze istruttorie acquisite nel corso del giudizio di primo grado, rispetto alle quali non è dato comprendere quale sia stata la valutazione del Giudice di prime cure, essendosi questi limitato, in quattro righi, ad alcune affermazioni, senza tuttavia chiarire in cosa consistesse il comportamento in concreto tenuto dalla sig.na M. e perché quel comportamento dovesse considerarsi, a suo dire, non violativo delle disposizioni regolamentari relative all'uso delle cose comuni. Nel corso dell'interrogatorio formale tenuto all'udienza del 19.5.2004, l'amministratore del Condominio dichiarò: - di ricoprire tale carica del febbraio del 2004 e di non aver mai notato nessun motorino circolare nei viali del condominio, pur non essendo presente sui posti tutti i giorni; - di aver sempre visto il motorino del M. parcheggiato, di mattina, di pomeriggio e in serata, negli spazi sottostanti la fila di balconi del complesso; - che il motorino accedeva all'interno del complesso dal cancello di Via Niceforo "a pochi metri dalla zona dove parcheggia". Il teste N. V., moglie del M., escussa in udienza, riferì: - di aver sempre visto, da circa trent'anni, parcheggiare all'interno del complesso biciclette e motorini di altri condomini; - che la figlia attraversava, conducendo a mani il motorino spento, il viale pedonale per giungere sul posto dove sostava il mezzo, in uno spazio condominiale; - che la sosta del motorino sarebbe stata saltuaria "qualche volta sì e qualche volta no"; - che da circa due mesi la figlia non parcheggiava più il motorino all'interno del complesso; - che il motorino, nelle volte in cui veniva parcheggiato all'interno, veniva legato con una catena alle ringhiere. All'udienza del 10.12.2004 fu assunta la deposizione del sig. V. M., fidanzato, all'epoca dei fatti, della figlia dell'appellato, il quale dichiarò: - di aver visto in occasione delle visite a casa M., altri motorini e biciclette parcheggiate nel cortile, che "loro" "appoggiavano" il motorino "in quel cortile" solo per il tempo necessario e che il mezzo veniva legato con una catena; - che il motore veniva spento al momento in cui entravano all'interno del complesso; - che da parecchio tempo il motorino non sostava più in quella zona; - che il motorino spesso veniva parcheggiato nel suo garage. A sua volta, il teste C. G., soggetto che si occupava della pulizia del viale, riferì: - di aver pulito i viali del condominio in diverse ore della giornata, sia della mattina che del pomeriggio, e di aver visto "in varie ore" il motorino del M.; - di aver visto la figlia “utilizzarlo e quindi parcheggiarlo vicino alla ringhiera”; - di aver visto "spesso" il motorino parcheggiato soprattutto le volte in cui si recava al lavoro la mattina "presto alle sei circa.. a quell'ora il motorino era sempre parcheggiato lì"; - di non vedere più da qualche mese il motorino parcheggiato; - di svolgere l'attività in questione per circa 3-.4 ore al giorno da circa otto anni. Il teste C. E. riferì: -di aver visto durante le ore della giornata, il motorino parcheggiato con una catena a una ringhiera in una zona pedonale, che gli altri condomini parcheggiavano fuori dallo stabile; - che fino a 4-5 anni prima "anche altri motorini" venivano parcheggiati all'interno "anche io parcheggio all'interno del Condominio in virtù di una semplice cortesia. Ma quando alcuni 21
condomini si sono lamentati e poi si è discusso in assemblea , invocando il rispetto del Regolamento condominiale che vieta il transito e la sosta di veicoli ho rimosso il mio motorino come hanno fatto tutti gli altri, tranne il sig. M. che ha continuato a parcheggiare ed a transitare a motore acceso nel viale di accesso di via Niceforo". Dalle prove assunte emerge un quadro di riferimento generale sufficientemente chiaro, e cioè: - che almeno in un dato momento storico non era infrequente che i condomini entrassero e parcheggiassero i loro motorini all'interno del complesso; - che ciò suscitò le proteste di altri condomini e che il Condominio decise di porre fine a tale prassi"; - che il M. continuò anche successivamente a fare uso del motorino all'interno del complesso. È emerso dalle deposizioni assunte che il motorino faceva ingresso all'interno del complesso e veniva parcheggiato in una zona comune, dove era legato con una catena ad una ringhiera, nelle occasioni in cui ciò era ritenuto necessario dalla M., nel senso che il mezzo veniva parcheggiato all'interno quando non era nella disponibilità del fidanzato della M., ovvero quando i giovani avevano la necessità, durante il giorno, di salire in casa, ovvero quando, parcheggiato fino alle prime ore del giorno, veniva notato dall'addetto alle pulizie. Sulla base di tale quadro di riferimento, il punto di partenza della decisione non può che essere l'art. 1102 c.c., a mente del quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune "purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto". La giurisprudenza nomofilattica ha chiarito che le limitazioni poste dall'art. 1102 c.c. al diritto di ciascun partecipante alla comunione di servirsi della cosa comune, rappresentate dal divieto di alterare la destinazione della cosa stessa e di impedire agli altri partecipanti di fame parimenti uso secondo il loro diritto, vanno riguardate in concreto, cioè con riferimento alla effettiva utilizzazione che il condomino intende farne e alle modalità di tale utilizzazione, essendo, in ogni caso, vietato al singolo condomino di attrarre la cosa comune o una parte di essa nell'orbita della propria disponibilità esclusiva e di sottrarla in tal snodo alla possibilità di godimento degli altri condomini (cfr. Cass., 28.4.2004, n. 8119: Cass., 22.3.2001, n. 4135; Cass., 26.1. 2000, n. 855). In tale contesto, l'art. 14 del Regolamento del condominio in questione, richiamato a lungo nel corso del processo, vieta alla lett. c) di occupare "stabilmente ..con oggetti mobili di qualsiasi specie gli spazi di proprietà ad uso comune. Secondo l'appellato, l'uso che la M. avrebbe fatto dello spazio condominiale non sarebbe stato di stabile occupazione e, comunque, non avrebbe alterato la destinazione della cosa comune. L'assunto, valorizzato apoditticamente in sentenza dal Giudice di prime cure, non può essere condiviso. Considerato che non pare dubbio che un motorino sia "un oggetto mobile di qualsiasi tipo", il riferimento alla occupazione stabile attiene, sul piano semantico, alla occupazione duratura, destinata, cioè, a durare nel tempo, che, tuttavia, può essere non necessariamente continua, cioè senza interruzione, atteso che si può occupare stabilmente uno spazio, pur non occupandolo in maniera continua, ma ogni qual volta sia necessario. Nella fattispecie, è in atti la prova che la sig.na M. utilizzasse lo spazio comune, che non poteva essere destinato a parcheggio, per parcheggiare il proprio motorino durante la notte. 22
Il teste C., della cui attendibilità non si ha motivo di dubitare, non essendo stato anche solo prospettato un qualche interesse inquinante, ha chiarito di aver visto spesso il motorino parcheggiato all'interno del cortile alle primo ore della giornata, cioè alle sei del mattino, circostanza, questa, da cui è possibile inferire che il motorino era rimasto parcheggiato in quel posto per tutta la notte. Non è decisiva la circostanza che il motorino non fosse sempre, ogni notte, parcheggiato all'interno, perché ciò che rileva è che la sig.na M. piegasse alle proprie esigenze individuali, avendone una disponibilità funzionale, uno spazio comune che aveva una destinazione diversa. Sotto altro profilo, si è già detto, che il motorino faceva ingresso all'interno del complesso, durante il giorno, nelle occasioni più disparate e veniva ogni volta parcheggiato con una catena ad una ringhiera comune nel giardino interno. Anche in tal caso, non pare decisivo la circostanza che potessero esservi giornate in cui il motorino non fosse parcheggiato, perché ciò non impediva affatto alla M. di disporre stabilmente, cioè con continuità, dello spazio comune per parcheggiare il proprio mezzo meccanico. La sentenza impugnata non è quindi condivisibile nella parte in cui afferma che nel Regolamento condominiale non vi sarebbe stata norma che vietasse il parcheggio di ciclomotori nel cortile interno. L'assunto non solo è smentito da quanto detto, ma anche da quanto previsto dallo stesso regolamento condominiale in relazione al servizio di portierato, contemplando l'art 6, tra i compiti del portiere, quello di vietare che nel giardino di ingresso sostassero motociclette; si tratta di un dato indirettamente confermativo del divieto di sosta dei motorini nel giardino. La Corte di cassazione ha sul tema statuito in maniera condivisibile che in tema di condominio negli edifici, l'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi dell'art. 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto. Pertanto, deve ritenersi che la condotta del condomino, consistente nella stabile occupazione - mediante il parcheggio per lunghi periodi di tempo della propria autovettura - di una porzione del cortile comune, configuri un abuso, poiché impedisce agli altri condomini di partecipare all'utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento ed alterando l'equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà. (Cassazione civile, sez. II, 24 febbraio 2004, n. 3640). Ne discende che sul punto l'appello è fondato e la sentenza deve essere riformata. Sulla inammissibilità dell'appello. L'appellato ha eccepito, come argomento finale, la inammissibilità dell'atto di appello perché le conclusioni ivi rassegnate sarebbero più ampie di quelle formulate nel corso del giudizio di primo grado. L'eccezione è infondata. Nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado il Condominio aveva chiesto la declaratoria di illegittimità della utilizzazione, da parte del convenuto, degli spazi condominiali a scopo di parcheggio di un motociclo e, per l'effetto, ordinare la cessazione dei comportamenti sopra descritti. Nell'atto di impugnazione, l'appellante ha chiesto la declaratoria che le modalità d'uso del cortile/giardino come parcheggio di motorini, perpetrata dal M., non "sarebbe consentita per tutti i motivi dedotti in narrativa, e quindi vietata, ponendosi in contrasto con la funzionale destinazione della predetta area comune (da ritenersi alterata ai sensi dell'art. 1102 c.c.) e 23
con i vincoli (divieto di parcheggio/occupazione delle aree comuni) imposti sia dalle previsioni contenute nel vigente regolamento e elle assemblee condominiali". Il riscontro delle conclusioni formulate dalla parte nei due gradi di giudizio consente agevolmente di affermare che, pur nella diversità della formulazione letterale, le conclusioni rassegnate in grado di appello sono sovrapponibili, in funzione meramente esplicativa, rispetto a quelle formulate nel giudizio di primo grado, e non strumentali ad ottenere un diverso provvedimento. In definitiva, la sentenza impugnata deve essere riformata, atteso l'uso illegittimo degli spazi condominiali da parte del M., per avere questi destinato gli stessi a parcheggio del proprio motorino; all'appellato deve essere ordinata la cessazione del uso in questione. Le spese di entrambi i gradi di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sull'appello proposto dal Condominio di Viale Kennedy 83B - Bari-, in persona dell'Amministratore pro-tempore, avverso la sentenza emessa dal Giudice di pace di Bari n.3350/05 il 20-27/6/2005 nel processo n. 5447/03 R.G., accoglie l'appello, e, in riforma della sentenza impugnata, dichiara illegittimo e, quindi, vieta l'uso dello spazio condominiale da parte dell'appellato per destinarlo a parcheggio del proprio motorino; Condanna M. N. al pagamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio in favore del Condominio di Viale Kennedy 83/B - Bari - che si liquidano in complessivi 3.464,5 euro, di cui 414,5 euro per spese, 1.050,00 euro per diritti, e 2.000,00 euro per onorari. Così deciso in Bari, il 16 settembre 2009. Giudice Pietro Silvestri
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COSTRUZIONE SOPRA L’ULTIMO PIANO DELL’EDIFICIO
Cass., sez. un., 30-07-2007, n. 16794
MASSIMA
L’indennità di sopraelevazione è dovuta dal proprietario dell’ultimo piano di un edificio condominiale ai sensi dell’art. 1127 non solo in caso di realizzazione di nuovi piani o nuove fabbriche, ma anche per la trasformazione dei locali preesistenti mediante l’incremento delle superfici e delle volumetrie indipendentemente dall’aumento dell’altezza del fabbricato. Tale indennità trae fondamento dall’aumento proporzionale del diritto di comproprietà sulle parti comuni conseguente all’incremento della porzione di proprietà esclusiva e, in applicazione del principio di proporzionalità, si determina sulla base del maggior valore dell’area occupata ai sensi dell’art. 1127, c. 4, cod. civ.
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APPENDICE NORMATIVA SUL CONDOMINIO
Legge 11 dicembre 2012, n. 220 La novella circa le “Modifiche alla disciplina del condominio negli edifici”, è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 293 del 17/12/2012. Le nuove norme entrano in vigore il 18 giugno 2013.
Profili principali della riforma in tema di condominio:
Accesso agli atti. Sancito il diritto dei singoli condòmini di accedere ai documenti del condominio e ottenerne copia. Amministratore. Nomina obbligatoria quando i condòmini sono più di otto. Possesso di polizza di R.C. professionale su richiesta dell’assemblea. Passaggio di consegne senza ulteriore compenso. Rinnovo tacito dell’incarico annuale, salvo delibera di revoca. Specifica analitica delle competenze all’atto della nomina o rinnovo, pena la nullità dell’incarico. Nomina di amministratore anche per i casi di edilizia popolare ed economica e residenziale pubblica. Obbligo per l’amministratore di adempiere agli obblighi fiscali del condominio. Redazione del rendiconto entro 180 giorni. Possesso di requisiti morali pena la revoca: assenza di precedenti reati contro il patrimonio, non deve essere stato sottoposto a misure di prevenzione e non deve risultare protestato. Possesso di requisiti professionali: diploma di scuola media di secondo grado e corso di formazione e aggiornamento professionale. Animali. I regolamenti di condominio non possono vietare la detenzione degli animali domestici. Al riguardo va comunque precisato che la Commissione Giustizia, con apposito ordine del giorno, ha rilevato come il divieto in parola non riguarda i regolamenti cosiddetti contrattuali che sono approvati da tutti i condomini con l'adesione al regolamento formulato dal costruttore prima della costituzione del condominio, ovvero con una deliberazione assembleare unanime, perché la disposizione è collocata all'interno dell'articolo che disciplina il regolamento condominiale. Tale formula di compromesso è di fondamentale importanza perché consente da un lato di rispettare la sensibilità degli amanti degli animali, e dall'altro, in coerenza con i principi di autonomia contrattuale (articolo 1322 del codice civile), consente ai condomini di deliberare all'unanimità limitazioni ai diritti dominicali loro spettanti avuto riguardo allo stato dei luoghi. Per quanto riguarda l'efficacia nei confronti dei terzi, occorre ricordare che il carattere reale delle limitazioni convenzionali della proprietà nel condominio determina la loro opponibilità agli acquirenti a titolo particolare delle unità immobiliari, purché tali limitazioni risultino trascritte presso la Conservatoria dei registri immobiliari a norma dell'articolo 2643 del codice civile e ciò si verifica quando sia trascritto il regolamento, ovvero quando sia trascritto l'atto di acquisto che indichi, con 26
precisione, i vincoli a cui è sottoposto il bene oggetto della compravendita. In assenza di trascrizione, i vincoli saranno opponibili solo quando l'acquirente li abbia espressamente accettati. Antenne. Riconosciuto il diritto del singolo condòmino alla ricezione radiotelevisiva con impianti individuali. Avviso di convocazione. Invio tramite raccomandata, PEC, fax o consegna a mano. Annullabilità della delibera entro 30 gg. per omessa, tardiva o incompleta convocazione. Consiglio di condominio. Possibilità di nomina del consiglio di condominio di 3 membri (se edificio con più di 11 unità immobiliari). Contabilità. Obbligo di rendiconto di bilancio con redazione dello stato patrimoniale del condominio e relazione accompagnatoria. Conservazione decennale della documentazione e la possibilità di nominare un revisore. Conto Corrente Condominiale. Tutti i flussi finanziari del condominio (sia in entrata che in uscita) devono obbligatoriamente transitare attraverso un apposito c/c intestato al condominio. Delega. Obbligo della forma scritta. Limitazione di delega: in caso di più di 20 condòmini il delegato non può rappresentare più di 1/5 dei condòmini e 1/5 del valore. Divieto di delega all’amministratore. In caso di supercondomini, all’assemblea dei condominii partecipa un delegato per edificio quando per ogni condominio autonomo si abbiano più di 60 partecipanti. Destinazione d’uso parti comuni. Il nuovo art. 1117-ter prevede il cambio della destinazione d’uso delle parti comuni con il voto dei 4/5 dei partecipanti e 4/5 del valore, il tutto con un nuovo e preciso iter di convocazione assembleare. Distacco dall’impianto centralizzato. Il condomino può rinunciare all'utilizzo dell'impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell'impianto e per la sua conservazione e messa a norma. Impianti di energia da fonti rinnovabili esclusivi. Possibilità di installare impianti di energia da fonti rinnovabili ad uso esclusivo su lastrici tetti comuni con attività di solo controllo da parte dell’assemblea ma senza autorizzazione. Innovazioni. Il quorum deliberativo è ridotto alla maggioranza degli intervenuti + ½ del valore per innovazioni di particolare interesse sociale: sicurezza, salubrità, barriere architettoniche, contenimento energetico, impianti di energie rinnovabili, parcheggi, impianti di ricezione radiotelevisivi e telematici centralizzati. Nuovo l’iter di convocazione specifico. Per le innovazioni ordinarie è richiesto il voto della maggioranza degli intervenuti per almeno 2/3 del valore. Lavori su parti esclusive. Prevista la preventiva comunicazione all’amministratore per interventi su parti di proprietà o uso individuale. Mediazione. Disciplinato il rito della media-conciliazione in materia di condominio, con relativi obblighi dell’amministratore.
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Morosità e decreto ingiuntivo. Obbligo per l’amministratore di attivarsi per il decreto ingiuntivo entro sei mesi dal rendiconto da cui risulta la morosità, salvo dispensa assembleare. Parti comuni. Il nuovo art. 1117 c.c. annovera tra le parti comuni anche gli impianti di ricezione radiotelevisivi, di flussi telematici e i sottotetti con caratteristiche strutturali e funzionali comuni. Previsto il concetto di multiproprietà con godimento periodico. Perché un bene utile a tutti i condòmini non sia da ritenersi parte comune, occorre una espressa previsione contraria da parte del titolo. La divisione delle parti comuni ai sensi dell’art. 1119 cc può avvenire solo con il consenso unanime di tutti i partecipanti al condominio. Procedure concorsuali. I crediti del condominio, ove esigibili ai sensi dell’art. 63 disp. att. cod. civ. 1° comma, sono ritenuti prededucibili e preferiti ai crediti privilegiati e chirografari durante le procedure concorsuali. Novità, questa, tra le più interessanti e poco divulgata. Quorum costitutivo. Abbassato il quorum costitutivo di prima convocazione alla maggioranza dei partecipanti per 2/3 del valore. Fissato chiaramente il quorum costitutivo in seconda seduta in 1/3 del valore dell’edificio e 1/3 dei partecipanti. Quorum deliberativo generico per seconda convocazione. Maggioranza degli intervenuti per almeno 1/3 del valore. Registri. Obbligo di tenuta dei registri dell’anagrafe condominiale, dei verbali, di nomina dell’amministratore e di contabilità. Sanzioni previste dal regolamento. Incremento delle sanzioni da € 200 e fino a € 800 in caso di recidiva. Sito web condominiale. Attivazione di sito web condominiale con esportazione dei dati contabili e dei verbali, su richiesta dell’assemblea. Solidarietà dei condòmini nelle spese. Vincolo di solidarietà dei condòmini verso i terzi, sussidiario rispetto alla preventiva escussione dei morosi. Comunicazione dei morosi ai fornitori creditori. Obbligo di solidarietà nelle spese tra nudo proprietario e usufruttuario Supercondominio. Il nuovo art. 1117-bis prevede l’applicabilità della legge al supercondominio. Tabelle millesimali. Rettifica o modifica delle tabelle all’unanimità. Modifica o rettifica maggioranza nei casi di errore, alterazione per più di 1/5 anche di una sola u.i. per innovazioni o sopraelevazioni con spese a carico di chi ha dato luogo alla variazione. In caso di revisione giudiziaria non è previsto il litisconsorzio necessario. Estesi gli stessi principi anche alle tabelle convenzionali. Videosorveglianza. L’installazione di impianti di videosorveglianza sulle parti comuni è approvata con la maggioranza degli intervenuti e 1/2 del valore.
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