RIVISTA DELL’ISTITUTO ALBERGHIERO PIETRO d’ABANO
Anno III - N. 5 - Febbraio 2013
ISTITUTO ALBERGHIERO DI STATO “PIETRO d’ABANO” ABANO TERME (Padova) Servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera
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MEDICI E MEDICINE GIUSTE PER LA SCUOLA MALATA
●
IL PROSCIUTTO VENETO DI MONTAGNANA
●
FOCUS - IL TÈ
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CAFFÈ LETTERARI
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CONTRO IL TURISMO SESSUALE
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VIAGGIARE CONSAPEVOLMENTE
●
CONSUMO RESPONSABILE
pratica mente ●
IL PIETRO IN CAMPO
PRATICAMENTE Pietro
IN QUESTO NUMERO
Rivista dell’Istituto Alberghiero “Pietro d’Abano”
Febbraio 2013 - Anno 3 - N. 5
Editoriale
Medici e medicine giuste per la scuola malata
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Il territorio, il mercato, la cucina ● Il prosciutto veneto di Montagnana
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FOCUS - Il tè
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Caffè letterari
● La bottega delle idee ● Thinking&drinking, la geografia dei locali più famosi nel mondo
Turismo sostenibile Viaggiare consapevolmente
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Consumo responsabile
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Tiratura: 2000 copie questo numero è stato chiuso in redazione il 6 febbraio 2013
Luigino Grossele dirigente (direttore editoriale) Gastone Gal docente (direttore) Saverio Mazzacane docente (condirettore)
Redazione Cinzia Baliello studentessa Elisabetta Benvenuti docente
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Maria Chiara Ceresoli docente Alessandra Garrì docente
Il Pietro in campo 2
Stampa Nuova Grafotecnica snc Via Leonardo Da Vinci, 8 - 35020 Casalserugo (PD)
Direzione
Contro il turismo sessuale Incontri speciali Intervista a Paolo Piovan
Direzione, redazione, amministrazione
ISTITUTO ALBERGHIERO DI STATO “PIETRO d’ABANO” Servizi per l’enogastronomia e l’ospitalità alberghiera Via Monteortone, 9 - 35131 Abano Terme Tel. 049.8630000 - Telefax 049.8639707
Renate Gilli docente
● Progetto Comenius: together is better I nostri partners
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Alessia Magagna studentessa
● British school. Una settimana a Londra
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Valentina Sardena studentessa
Lo sport, che spettacolo!
Hanno collaborato a questo numero
● Arco, il “Pietro” che... tira
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Lo scaffale del Pietro
21
Turista... per sempre
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Il notiziario
● La partecipazione del Pietro ● Progetti del POF ● Banqueting e manifestazioni ● Studenti eccellenti dell’Istituto
Degustazione di birra Esercitazione didattica. Classe 3BS (foto Mihaela Tudosanu)
Lucia Ruggeri docente
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Valeria Apostol Francesco Belcaro Jacopo Brunoro Marta Canoppia Luana Carmignotto Sara Cattelan Classe III AR Comitato studentesco Alberto Dal Santo Selene Dell’Anna Andrea Fabris Giada Favaro Giovanni Forza Rebecca Irolsini Ariel Martinez Pietro Rigato Edoardo Sguotti Federica Tognazzo Mihaela Tudosanu
studentessa docente studente studentessa studentessa studentessa studenti e studentesse studenti e studentesse studente studentessa studente studentessa psichiatra studentessa studente studente studente psicologa studentessa
Perché “PRATICAMENTE”? Facile, no?! Perché la pratica che rende unico il nostro istituto nasce non solo dalla manualità e dall’ esperienza, ma anche e soprattutto dalle fatiche della mente. Ed è proprio la maestria di coniugare queste arti a rendere praticamente concreta la nostra passione.
Medici e medicine giuste per la scuola malata
Luigino Grossele
Non ricordo un governo del nostro Paese che non abbia messo ai primi posti della sua politica generale il sistema “Cultura-Educazione-Scuola” (CES). Sia che fossero governi della Democrazia Cristiana (fino ai primi anni ’90) o della Sinistra (prima PDS, poi DS, poi PD) o della Destra (prima FI, poi PDL) o governi e Ministri dell’Istruzione “tecnici “ (Dini-Lombardi nel 1995/96, Amato-De Mauro nel 2000/2001, Monti-Profumo ancora oggi), tutti, senza eccezione alcuna, hanno proclamato il «ruolo decisivo della cultura, dell’educazione e della scuola per il rilancio del Paese». Quasi uno slogan! Lo hanno fatto tutti, tecnici esclusi, in campagna elettorale e, tecnici compresi, durante i primi mesi di vita del loro governo. Poi, rimane un mistero, qualcosa dev’essere andato per il verso sbagliato. Fatto sta che promesse e proclami sono rientrati e il CES ha fatto una fine miseranda. Anno dopo anno, il sistema scolastico italiano, un tempo considerato tra i più solidi ed efficaci al mondo, ha iniziato a perdere colpi e punti nelle classifiche internazionali. E, ancora oggi, il trend negativo non si ferma. I medici, chiamati al capezzale del malato, non riescono a trovare la terapia adeguata. I casi sono due: o il malato è terminale e c’è poco da fare o i medici somministrano medicine sbagliate. Propendo per la seconda ipotesi, con l’aggravante che chi ha prescritto i farmaci, allora e oggi, non aveva e non ha le giuste competenze per farlo. Non ha maturato sufficiente esperienza nel CES! La Scuola, anche se in sofferenza per le terapie sbagliate, malconcia e agonizzante, non è ancora morta. In primo luogo perché, in barba al mito che si vuole imporre, è tutto fuorché un’azienda. In secondo luogo perché i suoi principali lavoratori, i docenti, non smettono di portarle ossigeno. Diversamente da un’azienda e dalle indicazioni di renderla tale, provenienti dai medici di cui si diceva, la Scuola ha rinforzato le sue difese e ha eretto spontanee barriere di protezione contro chi la voleva simile ad una banca o ad un centro commerciale. Rispetto ad un’azienda, la Scuola è diversa in tutto: nei tempi, nei modi, nella gestione dei “clienti”. E’ diversa nel valutare gli esiti della propria azione. Non produce “oggetti” e non ha particolari interessi di rientro economico. La Scuola, inoltre, è diversa perché è sanguigna, perché vive di emozioni e, vivendole, cambia marcia e timbro dall’oggi al domani. E’ diversa perché accetta i fallimenti e sa navigare sia in mare calmo che in mezzo alle tempeste. Se avesse funzionato come un’azienda, a quest’ora, com’è successo a tante aziende, avrebbe già chiuso i battenti. Ma ciò non è accaduto, soprattutto per il secondo motivo: i docenti. Mai, come in questi ultimi anni, sono stati offesi da chi avrebbe avuto il dovere e l’interesse di tutelarli. Ricordiamo tutti l’epiteto di “fannulloni” affibbiato a loro come a tutti gli statali. Più recentemente, si è andati ancora oltre. Proprio il Capo del Governo, probabilmente irritato dal fatto che non sia passata in quattro e quattr’otto la sua idea di aumentare il loro orario di cattedra di un terzo, li ha accusati di corporativismo e conservatorismo. Ciò nonostante, incassando offese e allusioni, hanno continuato a testa bassa ed instancabili la loro opera di educatori, oltre il loro orario di servizio, oltre le loro mansioni e competenze, sapendo che a rimetterci, qualora avessero staccato la spina, sarebbero stati i loro alunni. E’ pur vero che, qua e là, qualche protesta è stata inscenata e che vi è stata una formale astensione da una serie di attività aggiuntive ma, dietro le quinte, il lavoro per gli studenti, anche quello “facoltativo”, non è cessato. A dimostrare, se ce n’era bisogno, che quello dell’insegnante non è un lavoro qualsiasi, un lavoro da impiegato o da timbra cartellino, ma si tratta di un lavoro originale, di qualità, che va in profondità, che guarda più alla sostanza che all’apparenza. E’ un lavoro che si basa sia sulle esperienze e sulle competenze maturate nel tempo e con lo studio sia sulla capacità di dare risposte educative immediate, argomentate al momento, per rispondere alle tante sollecitazioni e dirimere le tante contraddizioni poste dall’attuale società e dagli studenti che, di tale società, sono l’espressione più imprevedibile. Sono tutti i giorni testimone diretto ed imparziale di questa realtà! Ma, se i medici finora hanno fallito, cosa si può fare per salvare il CES? Se il CES è ritenuto una priorità, e non solo a parole, il malato guarisce se si cambiano i medici. A governare la Scuola servono persone che sanno cosa sia la Scuola per averne vissuto direttamente i problemi, dal di dentro e non dal di fuori. Il malato guarisce se vengono investite più risorse economiche. Non ci sono soldi!? E i miliardi spuntati all’improvviso per salvare le banche? E le ingenti spese per foraggiare l’apparato politico (festini, scontrini, regali, case, stipendi, auto blu, enti locali, ecc.). E le spese militari? Ma il CES, è o non è una priorità?
3
Infine, la medicina più importante. Ridiamo dignità agli insegnanti, costretti ad insegnare in una società dove quasi più nessuno ritiene di aver qualcosa da imparare e dove si agisce, purtroppo compresi i “medici”, relegando sapere e cultura (il CES!) a posizioni marginali nella scala dei bisogni. Ridiamo autorevolezza al loro ruolo e ricostruiamo la loro immagine sociale in modo tale che, come invece accade attualmente, non vi siano più allusioni e sospetti sul loro impegno professionale (lavorano poco, stipendi alti, tre mesi di ferie, ecc.). E, non da ultimo, restituiamo loro quella autorevolezza economica che hanno perso da molto tempo. Anche se, ne sono certo, come hanno finora ampiamente dimostrato, gli insegnanti non staccherebbero mai la valvola dell’ossigeno ad una Scuola in agonia, è controproducente e ingiusto abbandonarli ed insultarli. Al contrario, va rimodellato il loro ruolo e vanno premiate la loro abnegazione e la loro passione. Infine, diciamo la verità in merito ai loro stipendi “da favola” e ai loro tempi di lavoro altrettanto “da favola”. Quantifichiamoli, per quanto possibile, e rendiamo visibile il sommerso. A questo riguardo, il Rapporto OCSE sull’Educazione 2012 e il Rapporto Eurydice Teachers’ and School Heads’ Salaries and Allowances in Europe 2011/2012 ci forniscono alcuni dati su cui riflettere. Abbiamo estrapolato quelli che si riferiscono alla scuola secondaria di secondo grado: - L’Italia investe nel settore Istruzione il 4,7% del PIL contro una media OCSE del 5,8% e la spesa pubblica destinata all’istruzione è solo del 9% rispetto al 13% della media OCSE. Siamo al secondo posto, dietro solo al Giappone, tra i Paesi che investono meno nella Scuola. - Il numero di studenti per ogni docente in Italia è pari a 12,1 mentre la media in Europa è del 12,5, però il calcolo del dato italiano comprende anche il notevole numero di docenti di sostegno che assicurano la piena integrazione a scuola degli allievi disabili. L’Italia è l’unico Paese in Europa che attua una politica di piena integrazione dei disabili nelle classi normali. - I docenti italiani hanno un carico di ore di lezione settimanali superiore alla media europea (Paesi comunitari e non, indicati in tabella): 18 contro 17,4. - I salari dei docenti italiani sono tra i più bassi in Europa e il massimo dello stipendio tabellare arriva dopo 35 anni di carriera: $ 45,653 contro la media europea di $53,956 annui.
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Education: Key tables from OECD - ISSN 2075-5120 - © OECD 2012
ORARIO SETTIMANALE DI LEZIONE DEI DOCENTI DI SCUOLA SECONDARIA DI 2° GRADO IN EUROPA Elaborazione dal Rapporto Eurydice 2011-2012
Retribuzione tabellare annua dei docenti di scuola superiore Unità monetaria in dollari convertiti in una moneta convenzionale sulla base degli indici di Parità di Potere di Acquisto nei singoli paesi (PPA)
Posiz.
INIZIALE
DOPO 15 a.
FINALE
Retribuz. max dopo anni
32.680
45.425
66.487
28
4
Belgio (Fl.)
38.939
56.638
68.278
27
Danimarca
5
Belgio (Fr.)
37.736
55.157
66.613
27
Estonia
9
Danimarca
44.640
58.256
58.256
8
25
Estonia
11.876
12.576
17.357
7
14
Finlandia
32.276
42.809
45.377
16
11
Francia
27.420
35.819
51.560
34
Irlanda
Germania
53.963
66.895
76.433
28
Italia
15
Inghilterra R.U.
30.204
44.145
44.145
10
18
Grecia
26.583
32.387
38.934
33
20
Islanda
22.850
28.103
29.399
--
7
Irlanda
32.601
53.677
60.758
22
Rep. Ceca
Italia
29.122
36.582
45.653
35
Rep. Slovacca
Lussemburgo
73.777
101.775
128.181
30
16
Norvegia
35.991
38.817
42.766
--
24
Polonia
12.119
19.791
20.629
10
10
Portogallo
30.825
37.542
54.158
34
22
Rep. Ceca
15.533
21.449
24.117
32
26
Rep. Slovacca
11.028
12.698
13.680
32
12
Scozia R.U.
30.207
48.188
48.188
6
19
Slovenia
26.690
32.436
34074
13
8
Spagna
42.325
48.818
59.269
34
17
Svezia
30.650
36.429
41.675
--
2
Svizzera
59.107
--
90.374
--
21
Turchia
23.780
25.411
27.237
--
23
Ungheria
11.755
15.616
22.963
--
1
3
4
5
6
7
8
9
10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25
Bulgaria
Austria
13
2
Belgio (Fr.)
6
3
1
Belgio (Fl.)
RETRIBUZIONE
PAESE
ore settimanali
Austria
Last updates: 21 September 2012
Cipro
Finlandia Francia Germania Grecia
Lussemburgo Malta Polonia Portogallo
Romania Slovenia Spagna Ungheria
Gli orari indicati si riferiscono esclusivamente agli orari di cattedra (ore frontali d’insegnamento). In quasi tutti i paesi, Italia compresa, sono previsti ulteriori tempi di prestazione lavorativa. Il vigente contratto collettivo nazionale della scuola italiana prevede che i docenti debbano altresì obbligatoriamente: - a livello individuale, preparare le lezioni e le esercitazioni, correggere gli elaborati e tenere i rapporti individuali con le famiglie; - a livello collegiale, prestare 40 ore annue per partecipare alle riunioni del Collegio dei Docenti e alle sue varie articolazioni; - partecipare alle riunioni dei Consigli di classe con un impegno annuale fino a 40 ore; - partecipare agli scrutini e agli esami, compresa la compilazione degli atti valutativi; - trovarsi in classe 5 minuti prima dell’inizio delle lezioni e assistere all’uscita da scuola degli alunni.
IL TERRITORIO, IL MERCATO, LA CUCINA Il prosciutto veneto di Montagnana STORIA Il prosciutto di Montagnana ha origini molto antiche. Infatti già nella Preistoria, nelle colline berico-euganee, il maiale veniva cacciato e conservato con tecniche rudimentali. Nel III secolo a.C., gli storici romani accennavano alla fiorente esportazione di carni conservate da quei luoghi verso i grandi mercati di Roma. Il successivo crollo dell’Impero Romano non mise particolarmente in crisi l’allevamento dei maiali e, man mano che si affermava l’età feudale, chiese, monasteri e signori imponevano il pagamento di decime, costituite anche dal maiale intero o lavorato. Durante il Rinascimento il prosciutto (inteso come pezzi di carne di maiale conservati con moltissimo sale) entra nella grande cucina del tempo e non c’è quasi testo classico che non ne faccia menzione (ad esempio l’Opera di Bartolomeo Scappi del 1570 e un ricettario padovano del ‘600). In epoche più recenti il prosciutto veneto comincia ad essere meno salato e si avvia ad essere apprezzato come prodotto allo stato naturale, ossia crudo. L’affermazione della borghesia, poi, favorisce la nascita delle prime aziende artigiane del Veneto. I risultati non tarderanno ad arrivare. Nel 1881 il ministro Quintino Sella - quello del pareggio di bilancio - firma un diploma di partecipazione e vittoria, di una di queste aziende, all’Esposizione Nazionale di Milano di quell’anno. Nel 1970 a Montagnana viene creata la sede del Consorzio del Prosciutto Veneto Berico Euganeo, nato nell’intento di tutelare il marchio «Prosciutto veneto». Qualche decina di anni più tardi, attraverso la Legge 4/11/1981 n. 628 «Tutela della denominazione d’origine del prosciutto veneto-berico-euganeo», si delimita con precisione la sua zona di produzione. Al 1996 risale infine il riconoscimento della denominazione DOP da parte dell’Unione Europea.
METODOLOGIA DI PRODUZIONE Fregiandosi del marchio di qualità DOP, il «Prosciutto Veneto Berico Euganeo» deve seguire un rigoroso disciplinare di produzione e la lavorazione deve interamente avvenire nel territorio di 15 comuni della Regione Veneto: Montagnana, Saletto, Ospedaletto Euganeo, Este, Pressana, Roveredo di Guà, Noventa Vicentina, Poiana Maggiore, Orgiano, Alonte, Sossano, Lonigo, Sarego, Villaga, Barbarano Vicentino. I suini utilizzati per la produzione, entro il quarantesimo giorno dalla nascita, vengono tatuati sulle cosce e sottoposti ad uno specifico regime alimentare. È proprio dalla accurata alimentazione degli animali che derivano le particolari caratteristiche organolettiche e morfologiche della carne. Le cosce destinate alla lavorazione vengono attentamente selezionate e non possono essere congelate né subire alcun altro trattamento di conserva-
zione. Dopo la selezione, le cosce vengono ricoperte di sale marino e lasciate a riposare per 10 - 15 giorni. Successivamente il prosciutto è leggermente pressato e conservato in ambienti controllati per 60 giorni, in modo da consentire l’asciugatura e la penetrazione del sale. Al termine di questo periodo, il prosciutto viene lavato, rifinito, fatto asciugare al naturale e infine ricoperto con un impasto di farina di cereali e grasso suino. A questa operazione segue poi la stagionatura, che deve durare almeno 13-14 mesi. Per essere posto in commercio, infine, il prosciutto veneto deve essere dotato dei seguenti contrassegni: marchiatura dell’allevamento di provenienza, marchiatura del macello autorizzato, sigillo metallico con il mese e l’anno di salatura, il marchio a fuoco del Consorzio con indicazione dello stabilimento di produzione e del marchio del produttore.
LA RICETTA RISOTTO COL PROSCIUTTO Uno dei piatti tipici della tradizione di Montagnana è il risotto con il prosciutto crudo autoctono. Eccone la ricetta per 4 persone. Tritare finemente una cipolla con due spicchi d’aglio e far rosolare il tutto con 100 g di prosciutto grasso e magro tagliato a cubetti minutissimi, una noce di burro e due cucchiai di olio d’oliva. Unire 350 g di riso e cominciare a mescolare, in modo che il riso assorba il condimento. Versare poi un bicchiere di vino bianco secco. Iniziare, mescolando sempre, ad aggiungere del buon brodo e, quando il riso è quasi pronto, procedere alla mantecatura con abbondante parmigiano grattugiato ed una noce di burro. Servire infine con una julienne di prosciutto e ciuffi di prezzemolo. LA “FESTA DEL PROSCIUTTO” Un’ottima occasione per conoscere e degustare questo eccellente prodotto è data dalla “Festa del Prosciutto”, creata con il sostegno del Consorzio del Prosciutto Veneto DOP e la collaborazione del Comune di Montagnana. La prima edizione ebbe luogo nel 1997 e, dato l’enorme successo riscosso, da allora si ripropone ogni anno, nel mese di Maggio, come un appuntamento di primo piano a livello regionale e nazionale del turismo culturale ed enogastronomico.
Pietro Rigato e Valentina Sardena
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S U
C O
F
IL TÈ
DA ORIENTE A OCCIDENTE UN PIACERE SENZA TEMPO “I don’t drink coffee I take tea my dear”
così canta Sting nella sua canzone “Englishman in New York”, ovvero “non bevo caffè, bevo tè mia cara” (Sono un inglese a New York). Nell’immaginario comune gli Inglesi detengono il primato di grandi bevitori di tè e non si tratta affatto di uno stereotipo. Il rito del tè, infatti, è senza dubbio prettamente britannico, nonostante il tè non sia nato in Gran Bretagna, lì ci è arrivato sulle navi dei marinai che, finanziati dalla corona, avevano viaggiato in lungo e in largo.
Le origini
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Bere il tè era abitudine cinese molti secoli prima che l’infuso fosse anche solo conosciuto in Europa. Contenitori da tè furono trovati in tombe risalenti alla dinastia degli Han (206-220 a.C.), ma fu sotto la dinastia dei Tang (618-906 d.C.) che il tè divenne la bevanda nazionale della Cina. Tra il 400 e il 600 d.C. il tè, diffusosi nel Sud della Cina, era bevuto prevalentemente con scopi farmacologici. Tra il 600 e il 900 d.C. il tè cominciò ad essere una bevanda più sofisticata, in quanto consumata soprattutto nell’ambiente di corte; successivamente si diffuse fra la popolazione. Il poeta Tang Lu Tong dedicò la sua intera produzione poetica all’amore per il tè, mentre lo scrittore Lu Yu scrisse un intero trattato sull’arte del bere il tè. Le foglie di tè venivano conservate in carta da imballaggio piegata in quattro. Il tè era servito in ciotole di legno e per prepararlo si frantumavano le foglie nell’acqua fino ad ottenerne una poltiglia, che veniva poi essiccata sul fuoco finché diventava morbida. Si pressava l’impasto in appositi stampi e il decotto così preparato veniva servito anche accompagnato da sale e spezie, come chiodi di garofano, zenzero, cipolla, menta o arancia. Sempre durante la dinastia Tang il tè venne introdotto anche in Giappone, portato da un monaco buddista giapponese che aveva viaggiato in Cina per studiare. A partire dal IX secolo bere il tè fu Secondo una nota leggenda il tè fu scoperto dall’imperatore Shennong dell’epoca dei Tre Regni (220-265 d.C.). Shennong era seduto sotto un albero mentre il suo servo aveva messo acqua a bollire; l’aria calda di un ramo che bruciava spostò delle foglie di tè in aria e il vento le fece cadere nella pentola di acqua bollente. L’albero era una Camellia sinensis, ovvero la pianta dalle cui foglie viene prodotto il tè ormai da circa duemila anni. Shennong, soprannominato “il divino coltivatore”, insegnò ai cinesi le pratiche dell’agricoltura e in particolare l’uso delle erbe medicinali tra cui il tè, da lui classificato come antidoto al veleno di circa 70 erbe diverse. Egli sarebbe morto proprio a causa delle sue sperimentazioni, poiché di consuetudine amava provare le piante medicinali direttamente sul suo corpo che, sempre secondo la leggenda, era trasparente così da consentire di vedere gli effetti che avevano i vari medicinali.
parte essenziale anche della cultura giapponese, come è facile intuire dalla diffusione della famosa cerimonia del tè, che esalta minuziosamente e magicamente i singoli passaggi della degustazione.
Dalla Cina all’Europa Dopo la dinastia Tang, arrivò la dinastia Song (960-1279 d.C.) durante la quale il tè divenne bevanda spirituale ed elegiaca. Sotto la guida di un imperatore dedito ai piaceri, la popolazione si dedicava ad una vita sociale abbastanza attiva. Venivano organizzate feste popolari, durante le quali si esibivano acrobati, attori, incantatori di serpenti, musicisti e cantanti e venivano imbanditi lauti banchetti. Si diffuse l’abitudine di frequentare locali come i club del tè, circoli esotici per veri intenditori. Fu sotto la dinastia dei Ming (1368-1644 d.C.) che venne creato “l’ufficio del tè e dei cavalli”, ovvero l’ufficio che gestiva il baratto. L’opportunità di scambiare il tè con i cavalli allettava i contadini che cominciarono a coltivare sempre più alberi da tè. Contemporaneamente si diffondeva la manifattura della ceramica, offrendo impulso alla diffusione degli utensili per l’arte del tè. Per la prima volta nella storia del tè si introdusse l’uso della foglia intera, e si privilegiò l’uso di tale metodo piuttosto che l’utilizzo della polvere o del tè pressato in tavolette. Verso la fine del regno dei Ming il tè inizio a diffondersi in Europa, ovvero intorno alla seconda metà del XVI secolo. I primi a portarlo nel nostro continente furono i Portoghesi che erano andati in oriente come commercianti o missionari. I Portoghesi, però, pare trasportassero il tè solo per uso personale, mentre i primi a farne un vero commercio furono gli Olandesi. La prima consegna di tè dalla Cina all’Olanda sembra essere avvenuta nel 1606. La bevanda in Cina era ed è chiamata Chà, pertanto i carichi venivano distinti segnando sulle grandi casse la lettera “T”(iniziale fonetica di “Chà”), da qui il nome della bevanda. Da allora in poi si rinforzerà l’utilizzo del tè in Olanda fino a diventare una moda. Chiaramente all’inizio il prezzo era molto alto, pertanto la bevanda si diffuse soltanto nelle famiglie benestanti.
Il tè inglese Nonostante la Gran Bretagna sia storicamente sospettosa rispetto alle tendenze europee, in breve il tè comparve anche nell’isola e la nazione acquisì il primato per numero di bevitori di tè. Il tè era sicuramente già conosciuto in qualche famiglia inglese, poiché i marinai in servizio sulle navi britanniche verosimilmente lo portavano a casa quale regalo ricevuto da popolazioni indigene. Tuttavia il primo riferimento documentato della presenza del tè in Gran Bretagna risale al 1658: sul quotidiano londinese Mercurius Politicus si annunciava che una bevanda cinese chiamata “Tcha” era in commercio presso le coffee houses in città. Dopo Cromwell, con la restaurazione della monarchia sot-
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IL TÈ
DA ORIENTE A OCCIDENTE UN PIACERE SENZA TEMPO
to Carlo II, Caterina di Braganza, moglie del re inglese, nonché figlia del re del Portogallo, portò con sé l’abitudine di bere il tè – prodotto di cui pare fosse maniaca -, contagiando molti tra la popolazione di corte. Caterina portò in dote anche i territori indiani di Bombay e Tangeri e questo permise alla Compagnia delle Indie Orientali inglese di costruire una base commerciale permanente per poter sostenere e alimentare la richiesta di tè del mercato britannico. Il primo carico importato risale al 1664 e dall’ordine si legge «100 libbre di tè cinese da essere consegnato da Java». La Compagnia delle Indie Orientali, fondata con decreto reale da Elisabetta I il 31 dicembre del 1600, fu la più grande importatrice di tè in Inghilterra per un paio di secoli. Essa ebbe il monopolio del commercio del tè, inizialmente importato solo dall’India, poi dal 1711 anche dal sud della Cina. La domanda di questa pianta era altissima, i profitti potrebbero essere equiparati a quelli di un colosso petrolifero moderno. La compagnia delle Indie possedeva un proprio esercito di soldati, gestiva alcune colonie e combatteva guerre per assicurarsi le migliori rotte commerciali. Il monopolio della Compagnia venne scalfito con il Navigation Act del 1849, che di fatto liberalizzava il commercio dando la possibilità anche ad altri soggetti privati inglesi di comprare e vendere tè. Perdendo il predominio commerciale, alla Compagnia venne anche revocato il suo potere politico, dopo un ammutinamento di truppe indigene in India nel 1857.
Il tè delle cinque Il tè del pomeriggio divenne abitudine diffusa in Inghilterra a partire dal 1840. La leggenda narra che la duchessa di Bedford, donna di compagnia della regina Vittoria, promosse a corte l’idea del tè per combattere i languori pomeridiani. La regina Vittoria accolse entusiasticamente la novità, dando impulso alla nuova moda tra gli aristocratici londinesi: bere il tè al pomeriggio, ospitando nella propria casa l’entourage di rilievo della classe aristocratica. Il tè delle cinque prese ad essere servito con i tradizionali scones, ma anche con sandwiches, torte salate, biscotti, torte assortite e persino gelato. Le donne dell’epoca si contendevano il primato del miglior servizio da tè, della migliore ceramica, della migliore atmosfera e compagnia pomeridiana all’insegna della bevanda. Con l’aumento delle importazioni il prezzo del tè iniziò a scendere, diventando man mano un prodotto di massa e sorpassando la birra che fino ad allora era la bevanda nazionale.
Il “Boston Tea Party” A partire dal XVIII secolo il tè diventò molto popolare anche nelle colonie inglesi e in particolare nelle prospere colonie del Nord America. La bevanda era motivo di forte malcontento in America a causa della sua altissima tassazione a favore dell’Inghilterra. Ciò portò a un boicottaggio del commercio del tè da parte di molti coloni americani, finché nel 1773 tre velieri con una partita di tè cinese ar-
rivarono nel porto di Boston, in Massachusetts, dopo che lo scarico era stato rifiutato in tanti altri porti della costa est dell’America del Nord. Le tre navi tentarono di rompere il blocco con la protezione e la minaccia di un nave da guerra di scorta, quando un gruppo di ribelli (“I figli della libertà”) si impossessò dei vascelli e gettò a mare il tè. Le autorità inglesi ordinarono la chiusura immediata del porto, tuttavia l’episodio, noto come “Boston tea party”, aveva ormai avviato un processo importante: l’inizio della guerra di indipendenza americana. Si dice che da allora gli Americani abbiano iniziato a bere più caffè che tè, e gli Inglesi contestualmente abbiano associato il tè ad un forte sentimento patriottico.
Il tè e Londra Uno dei più grandi spacci di tè a Londra è dal 1707 il Fortnum & Mason a Piccadilly, che vende circa 60 varietà di tè, senza contare altri infusi e tisane. Il più grande commerciante di tè, Thomas Lipton, di Glasgow, fece diventare il suo nome quasi un sinonimo della bevanda. In origine il tè veniva venduto solo nelle farmacie e si divideva in due tipi, il tè verde, che andava per la maggiore tra i cinesi, e il tè nero, preferito da inglesi e occidentali in genere. Oggi Londra offre numerose tea rooms e, nonostante ci siano tante altre varietà di tè, il tè verde e il tè nero sono ancora quelle più diffuse. La marca di tè più venduta in Gran Bretagna è il PG Tips, seguito dal Tetleys e dal Typhoo. Il tè viene bevuto in tutte le case inglesi. Ogni giorno in Gran Bretagna sono bevute 165 milioni di tazze di tè, ovvero 60,2 miliardi di tazze di tè all’anno. Gli Inglesi consumano una media di 2,1 chili di tè pro capite all’anno, uno dei più alti tassi al mondo insieme agli Irlandesi e ai Turchi.
Alessandra Garrì
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DA ORIENTE A OCCIDENTE UN PIACERE SENZA TEMPO LE SPECIE
I GIARDINI DI DARJEELING Riconosciuto come lo “champagne dei tè neri”, il darjeeling è il tè fermentato per eccellenza, amato per l’aroma sottile e incomparabile di mandorla fresca o moscato. Il first flush (prima raccolta, da marzo ad aprile) è apprezzato per le foglie più verdi, il sapore astringente che ricorda la castagna, il moscato e la mandorla verde e la buona persistenza in bocca; il second flush (seconda raccolta, da maggio a giugno), invece, è caratterizzato da foglie brune, dal gusto fruttato di nocciole e pesche mature meno astringente e più rotondo, che danno un bel colore caramello. L’origine di questo infuso risale alla prima metà del XIX secolo quando il botanico inglese Robert Fortune spedì alcune piantine cinesi nel nord-est del paese, più precisamente nei pressi di Darjeeling, sulle pendici dell’Hymalaya, tra i 1000 e 2000 metri d’altitudine.
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GLI OOLONG O TÈ VERDE-BLU Tè semi-fermentati e poveri di teina, hanno la particolarità di avere le foglie attorcigliate, le quali, una volta messe nella teiera, assumono le posizioni del drago, da qui il soprannome “tè del drago”. La loro provenienza discende dalla Cina continentale e da Taiwan. Le foglie sono sottoposte a fermentazione leggera (dal 12 al 15%) o media (40%), a Taiwan, al contrario, la fermentazione è più lunga (dal 50 al 60%). Questi infusi sono apprezzati per il sapore di bosco, spiccatamente rotondo al palato, e per il retrogusto pronunciato di pesca. I TÈ AROMATIZZATI Sono tè (a foglia intera o broken) a cui si aggiungono, attraverso un processo di centrifugazione, oli essenziali di piante e frutti. Earl Grey. Aromatizzato al bergamotto, si prepara utilizzando una base di tè rosso cinese (yunnan) o altre varità (ceylon, darjeeling). Secondo alcuni deve il suo nome al visconte di Fallodon, Edward Grey, ministro britannico degli Esteri agli inizi del Novecento; secondo altri, invece, l’origine della denominazione è da attribuire all’esploratore e Primo Ministro sir George Grey. Infusi di gusto russo. Tè originari della Cina, dell’India o di Ceylon, aromatizzati agli agrumi, quali arancia, bergamotto, limone, lime, arancia amara, arancia sanguigna e pompelmo. Il più antico tè russo di questo genere risale al XIX secolo ed è chiamato “Bouquet di fiori n. 108”. I TÈ BIANCHI CINESI Prodotti nelle province del Fujian e dello Hunan, le foglie di questi tè, riconoscibili dalla peluria bianca, vengono sottoposte solo alle fasi di appassimento ed essicazione durante la lavorazione, dopo essere state raccolte a mano. Gli infusi, rinfrescanti e poveri di tannini, si possono conservare tranquillamente per due anni. Tra gli infusi più rinomati il Pai mu tan (o bai mu dan) dal colore giallo chiaro, il cui sapore presenta una nota amarognola e un’altra fiorita che rimanda all’uva; e lo Yin zhen dal sapore fresco, leggermente zuccherino e acidulo.
I TÈ DELL’ASSAM Situata nella valle del Brahmaputra, a nord-est dell’India, l’Assam è la regione più piovosa al mondo. Questi tè neri fermentati, la cui diffusione si deve, dalla seconda metà dell’Ottocento, allo scozzese Robert Bruce, costituiscono i tre quarti della produzione indiana. I grandi giardini dell’Assam – Keelung, Napuk, Numalighur, Thowra – danno infusi color arancione o rosso intenso; le foglie, dall’insolita lunghezza, si mescolano alle gemme con varie sfumature di marrone chiaro e scuro. Il sapore di malto, torba, piuttosto aromatico e possente, è deciso, tannico e astringente. I TÈ DI CEYLON L’origine di questi tè è da attribuire all’abilità dello scozzese James Taylor, che intuì la possibilità di adattare al terreno e al clima di questa regione le piante di tè dell’Assam; nel 1872 inventò una macchina per “rullare” le foglie. I tè di Ceylon provengono da cinque aree diverse e in genere sono molto astringenti. Le foglie, dopo la raccolta, si presentano in varie forme: intere, sminuzzate, tritate o polverizzate. I tè a foglia intera (orange pekoe) hanno un gusto spiccatamente rotondo e un aroma di cioccolato. In particolare, la regione montuosa del Nuwara Eliya fornisce una specie di grande qualità. I TÈ CINESI ALLE FRAGRANZE DI FIORI La tradizione dei ‘tè alle fragranze di fiori’ risale alla dinastia Tang. Da allora ai tè neri e agli oolong si mescolano petali e boccioli. Tra i più diffusi i tè alla rosa, al gelsomino, al crisantemo e al loto. I TÈ ROSSI E I TÈ NERI CINESI Il tè rosso, fermentato al 100%, ha un colore rosso arancia; il tè nero, invece, è un tè postfermentato e maturato lentamente, che dà un infuso color rosso scuro. Yunnan (detto “moka del tè”e conosciuto anche come Dianhong). Deve il suo nome alla provincia montuosa a sud-ovest della Cina, presenta foglie nero pece con germogli dorati che sprigionano un aroma gradevole e danno un infuso dal gusto rotondo, maltato e che persiste a lungo in bocca. Pu-erh. Anch’esso originario dello Yunnan, questo tè nero a fermentazione tardiva, tostato prima dell’infusione, è preparato dagli abitanti per “allontanare il fuoco” e rinfrescare il corpo. Si presenta sotto forma di compresse, gallette o tavolette; ha riflessi rosso scuro e un gusto dalle note vegetali che ricorda la terra bagnata. Sichuan. Tè dalle foglie brune, sottili, e dalle gemme dorate, deve il suo nome alla regione a nord dello Yunnan, dove viene prodotto. Presenta un sapore rotondo e fragrante, non molto persistente in bocca e un colore arancione. Keemun. Detto anche Qimen hong, viene coltivato fin dalla fine del XIX secolo sulle montagne dell’Anhui. Le sue foglie, corte e scure, povere di teina, producono un infuso rosso brillante tendente all’arancione e dal sapore di cioccolato e zucchero.
Alessia Magagna
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DA ORIENTE A OCCIDENTE UN PIACERE SENZA TEMPO
L’ARTE DELLA PREPARAZIONE
Cosa può influenzare la preparazione del tè? L’acqua - Tradizionalmente dovrebbe essere utilizzata acqua sorgiva, ma la si può sostituire con l’acqua oligominerale o minerale. Se si utilizza l’acqua di rubinetto, l’ideale sarebbe bollirla, lasciarla raffreddare, travasarla in un altro recipiente e quindi usarla per la preparazione del tè; in questo modo viene eliminato l’odore di cloro che può alterare l’aroma finale della bevanda. La temperatura dell’acqua - Dipende dal tipo di tè che si intende preparare. Per i tè neri si utilizza l’acqua appena inizia a bollire. Per i tè semifermentati, occorre togliere l’acqua dal fuoco quando comincia a bollire e attendere che la temperatura scenda a 90°C. Per il tè verde il procedimento è analogo, ma la temperatura deve raggiungere i 75-80° C. La teiera - Deve avere sempre il beccuccio molto lungo per garantire al tè di prendere aria mentre viene versato. È buona norma lavare tutte le teiere a mano con acqua, farle asciugare capovolte e utilizzarle solamente per l’infusione del tè. Il tannino, infatti, forma all’interno una patina che, con il passare del tempo, può rovinare il gusto delle nuove preparazioni. Per evitare ciò, di tanto in tanto bisogna ripulire la teiera con una soluzione di bicarbonato di soda. Le teiere possono essere distinte in base al materiale di cui sono costituite. - Teiere di ghisa. Di origine giapponese, adatte ad ogni tipo di tè. Considerate le teiere per eccellenza. - Teiere in porcellana. Le più diffuse, possono essere usate per tutti i tipi di tè, perché non assorbono i profumi delle diverse varietà - Teiere in terracotta e silver plated. Adatte ai tè neri, che macchiano facilmente le pareti. - Teiere in vetro. Poiché non trattengono gli aromi, sono consigliate per i tè profumati. - Teiere di Yixing. Di origine cinese, hanno il pregio di non disperdere l’aroma del tè. All’interno di esse si forma una patina Teiera di Yixing dovuta ai tannini, non essendo smaltate. Proprio per questo bisognerebbe riservarne una per ogni qualità di tè. AGGIUNTE Latte. Permette di attenuare l’astringenza del tè. Il latte viene servito freddo in un piccolo bricco. L’ideale è versarne 5-10 g sul fondo della tazza prima del tè. Limone o Arancia. Modifica il sapore e il colore dell’infuso. La fettina viene tagliata a rondelle, disposta su un piattino e accompagnata da una piccola forchetta per trasferirla nella tazza. Acquavite. Viene servita a parte in un piccolo bricco. Zucchero. Non è consigliato nel caso dei delicati tè
bianchi. E’ preferibile, per addolcire, un po’ di miele o dello sciroppo d’acero. Se non vi si vuole rinunciare, scegliere quello di canna o i classici bastoncini di zucchero cristallizzato. Il tè per ogni momento della giornata Per la prima colazione, le varietà appropriate sono l’English Breakfast, dal sapore deciso e vagamente tostato, oppure il Prince of Wales per un’alternativa meno energetica. Per lo spuntino mattutino o pomeridiano sono adatti l’Earl Grey, l’Orange Pekoe dal retrogusto di malto, ma anche il tè verde e il tè rosso, per qualsiasi ora. Per accompagnare i pasti, invece, la scelta dipende dalla portata: i cibi piccanti si sposano con il Ceylon e l’Oolong, le carni con il Jasmine, il pesce con il Darjeeling, leggero e dolce. Quest’ultimo è anche il tè delle cinque per antonomasia, mentre i tè verdi e bianchi si adattano anche ai formaggi saporiti, oppure a fine pasto per favorire la digestione. Oggi sono molto diffusi anche i tè floreali, fruttati o speziati, perfetti nelle ore serali. In genere si tratta di tè nero aromatizzato (al gelsomino, alla vaniglia, alla pesca, alla fragola, ecc...) senza dimenticare il famoso Lady Grey, un tè per tutte le ore, che richiama i profumi di arancia, limone e bergamotto. CURIOSITÀ L’abitudine “british” di zuccherare e macchiare il tè con il latte è nata durante la Seconda guerra mondiale, quando la qualità era talmente scarsa da imporre un surplus di gusto. A quell’epoca il tè era considerato dal governo britannico un prezioso sostegno per il morale delle truppe, al punto che le giacenze di tè furono “evacuate” da Londra e immagazzinate in depositi sicuri, lontani dalle bombe.
Cinzia Baliello
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CAFFÈ LETTERARI La bottega delle idee
La bottega del caffè di Carlo Goldoni
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«Tutti cercan di fare quello che fanno gli altri. Una volta correva l’acquavite, adesso è in voga il caffè» così Ridolfo, il padrone della bottega del caffè, si rivolge al suo servitore, Trappola, nella Bottega del caffè di Goldoni. L’affermazione di Ridolfo testimonia la grande diffusione della bevanda nel XVIII secolo, una diffusione che non conosceva frontiere. Nel Cinquecento il caffè di Moka (nello Yemen) era una bevanda tipica dei soli paesi arabi, ma un secolo dopo, grazie ai compatrioti di Goldoni, cioè i Veneziani, il liquido nero e bollente giunse in Europa e nel 1689 (esattamente un secolo prima dello scoppio della rivoluzione) a Parigi venne aperta la prima sala da caffè e da lì la moda si diffuse in tutta Europa. La domanda divenne ben presto superiore all’offerta e i mercanti europei trapiantarono le piante del caffè ovunque fosse possibile e la diffusione fu mondiale. Il modello parigino della sala da caffè fece sì che la bevanda fosse associata al locale pubblico e a metà del Settecento Parigi contava 700 botteghe del caffè, ben presto luogo d’incontro degli intellettuali illuministi. La discussione cordiale che lì avveniva al termine degli impegni giornalieri, per scambiarsi notizie e opinioni, in un ambiente confortevole e stimolante, anche per merito della nera bevanda, favoriva la circolazione delle idee e aveva fini pragmatici di rinnovamento della società. Era la necessaria conclusione dell’analisi critica della realtà sottoposta al vaglio della ragione, il cui vigore veniva alimentato dalla discussione e dalla diffusione delle informazioni, non più patrimonio ristretto delle Accademie tradizionali. È per rispondere alla necessità di divulgare le conoscenze (pensiamo alla realizzazione dell’Enciclopedia di Diderot e d’Alembert, vero e proprio tentativo di ridefinizione generale del sapere umano) che nel secolo dei lumi le gazzette (così erano chiamate a Venezia le monete di poco valore con cui si potevano acquistare i “fogli di notizie” di 8-16 pagine, che uscivano una o due volte la settimana fin dai primi decenni del Seicento) diventano fogli quotidiani, si intensifica la produzione di libri e nascono le “riviste di opinione” sulle quali si formerà il giornalismo moderno. Dal febbraio 1704 “The Review”, il settimanale, e poi subito trisettimanale, di orientamento tory che aveva come editore e redattore Daniel Defoe, fu il
Accademia dei Pugni
modello di questo genere di stampa. Ma fu ancora maggiore il successo del quotidiano “The Spectator”, edito dal 1711 al 1712, che, attraverso la finzione della conversazione dei membri di un club, proponeva una critica di costume ironica e moderata. Fu il modello per “Il Caffè”, la rivista milanese dell’ “Accademia dei Pugni”, che aveva come redattori Pietro e Alessandro Verri oltre a Cesare Beccaria. “Il Caffè” uscì nel 1764, ma fu stampato a Brescia, allora territorio veneto, per sfuggire alla censura austriaca.
La citazione dall’articolo di apertura del primo numero del periodico (giugno 1764) richiama sia il cosmopolitismo illuminista (Il Caffè sarà una «piccola enciclopedia dell’Illuminismo italiano» che si proponeva di «risvegliare con caffè purissimo tutti i dormienti», così come i “Pugni” volevano scuotere l’opinione pubblica) sia l’importanza dei caffè letterari, vera fucina di idee, che da allora in poi continueranno ad esistere come luogo privilegiato di incontro di intellettuali, sia pure in numero decisamente ridotto e non più pervasi dall’ingenuo ottimismo illuminista.
Gastone Gal
Bottega inglese di caffè del 1700
CAFFÈ LETTERARI THINKING&DRINKING, la geografia dei locali più famosi del mondo IN ITALIA FIRENZE Caffè Gilli, dal 1733, via Roma 1R. Fondato da una famiglia di pasticceri svizzeri nella prima metà del XVIII secolo, agli inizi del 1900 divenne l’elegante Caffè degli intellettuali “ordinati”, quando la scena culturale cittadina era dominata dalle turbolenze futuriste. Vi sostava Carducci, mentre Prezzolini incontrava i suoi redattori de “La Voce”. Caffè Giubbe Rosse, dal 1890, piazza della Repubblica 13/14. Fumando e sorseggiando assenzio, qui trascorrevano le notti le anime esaltate del Futurismo fiorentino, ma anche i redattori di “Lacerba” e de “La Voce”. C’erano Boccioni, Balla, Severini, Marinetti, cui si univano Papini, Prezzolini, Slapater, Palazzeschi, Rosai, Stuparich. E fu proprio alle “Giubbe Rosse” che, nel bel mezzo della polemica fra vociani e futuristi, Boccioni schiaffeggiò Soffici, che reagì scatenando una rissa colossale. Negli anni, il Caffè fu meta anche di Vittorini, Gadda e Montale. MILANO Caffè Cova, dal 1817, via Montenapoleone 8. Aperto accanto alla “Scala” da Antonio Cova, un soldato dell’armata napoleonica che faceva l’offelliere, il locale fu apprezzato dall’aristocrazia milanese e dai patrioti che qui si riunivano “a far l’Italia”. Pesantemente bombardato nel 1943, il Caffè fu trasferito nell’attuale sede nel 1950. Negli ultimi anni il “Cova” si è internazionalizzato, aprendo caffetterie in Giappone, a Singapore e a Shangai. NAPOLI Gran Caffè Gambrinus, dal 1860, via Chiaia1. Grande salotto della Napoli di fine Ottocento, è tuttora centro politico e intellettuale della città. Qui D’Annunzio scrisse i versi della canzone “A vucchella”, qui sedevano giornalisti, artisti e notabili cittadini (Salvatore Di Giacomo, Edoardo Scarfoglio, Murolo, Bovio) almeno fino al 1938, quando un decreto prefettizio dispose la chiusura del locale perché luogo di ritrovo degli oppositori del fascismo. PADOVA Caffè Pedrocchi, dal 1831, via Otto Febbraio 15. Opera neoclassica dell’architetto veneziano Jappelli, voluta da Antonio Pedrocchi, ha l’imponenza di un tempio, con le magiche sale greca, romana, ercolana, rinascimentale, moresca, egizia e “Rossini”. Da sempre è il centro culturale, politico e mondano della città del Santo. Vi hanno fatto sosta tutti i Savoia, Carducci, Giacosa, la Duse. Nelle sale superiori, aperte nel 1842, accanto al piano nobile, troviamo il Museo del Risorgimento, a ricordare l’impegno degli studenti-patrioti che si riunivano nello “stabilimento” patavino.
ROMA Antico Caffè Greco, dal 1760, via Condotti 86. Nella celebre saletta “omnibus” sono passati Liszt, Bizet, Gogol, Wagner, Goethe, Casanova, Stendhal, Guttuso. E, insieme a loro, tanti grandi pensatori, artisti, letterati e patrioti, stimolati dallo scambio di idee e dal clima di effervescenza culturale che vi si respirava. E se un cardinale siede al Greco? La leggenda vuole che diventi papa. Accadde a Gioacchino Pecci, divenuto Leone XIII nel 1878.
TORINO Al Bicerin, dal 1763, piazza della Consolata 5. Una bevanda di caffè, cioccolato, latte e sciroppo, servita con un gustoso “armamentario” di bicchieri, che è divenuta un’istituzione. È il “bicerin”, golosa tradizione torinese, nata tra i muri di questo Caffè, che annoverò, fra i clienti più assidui, il patriota Silvio Pellico e il compositore Giacomo Puccini, il filosofo Nietzsche, il ministro Cavour, il poeta Gozzano, gli scrittori Calvino e Soldati. Sia l’esterno che l’interno documentano fedelmente l’aspetto delle cioccolaterie torinesi dell’Ottocento.
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Caffè San Carlo, dal 1822, piazza San Carlo 156. Tradizionale ritrovo della società politica piemontese e non, frequentato, negli anni, da D’Azeglio, Cavour, Lamarmora, Rattazzi, Giolitti. Qui Crispi convinse la Sinistra a intervenire in Africa e Gramsci maturò il proposito di fondare “L’Ordine Nuovo”. L’ammiraglio Cagni e il Duca degli Abruzzi vi concepirono la spedizione nell’Artide del 1899 con la Stella Polare. Facevano sosta culturale al “San Carlo” Einaudi, Croce, De Amicis, Casorati, Gobetti, Medardo Rosso e Bontempelli. TRIESTE Caffè Tommaseo, già Tomaso, dal 1830, riva 3 Novembre 5. Tutti i precursori triestini del Risorgimento hanno fatto sosta in questo locale carico di storia. L’arredamento è ancora quello originario e, con gli stucchi dell’epoca, conserva le specchiere acquistate in Belgio nel 1830, i tavolini in marmo e ghisa e una pendola del 1839, con il nome del primo proprietario, il padovano Tomaso Marcato. Dal 1954 è tutelato come monumento storico e artistico. Caffè San Marco, dal 1914, via Battisti 18. “Laboratorio” di produzione di passaporti falsi - dopo la tragedia di Sarajevo - per strappare soldati all’esercito di Francesco Giuseppe, ritrovo di giovani irredentisti, fu devastato dai soldati austroungarici nel 1915. Restaurato solo nel secondo dopoguerra, questo Caffè conserva intatti l’arredamento e le decorazioni originarie in stile Secessione viennese. Fra i suoi frequentatori Svevo e Joyce, Saba e Stuparic. Oggi un tavolo è sempre a disposizione di Claudio Magris, che ha scritto del “San Marco” nel suo Microcosmi.
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VENEZIA Caffè Florian, dal 1720, piazza San Marco 56. Casanova vi corteggiava le dame, Goldoni vi entrò ragazzo. Lo frequentarono Gozzi, Parini, Pellico, Berchet, lord Byron, Foscolo, Goethe, Rousseau. Durante l’insurrezione del 1848 contro l’Austria, fu quartier generale dei capi della rivolta. Nelle splendide sale, profumi e fascino sono rimasti quelli dei tempi del suo fondatore, Floriano Francesconi, Florian per gli amici.
Budapest - Gerbeaud Café
BUENOS AIRES Gran Café Tortoni, dal 1858, avenida de Mayo 825. Un pezzo di storia della capitale argentina, circolo di letterati, pittori, musicisti. Due nomi su tutti: il grande Borges e il leggendario Carlos Gardel, il cantante di tanghi più amato di tutti i tempi.
Caffè Florian - interno
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Caffè Quadri, dal 1775, piazza San Marco 120. Il mercante Giorgio Quadri aprì il suo locale sotto i portici delle Procuratie Vecchie quando in San Marco esistevano già oltre venti botteghe del caffè. Presto divenuto circolo di aristocratici e intellettuali, il Quadri fu ampliato nel 1830 e decorato con stucchi color pastello e dipinti che ritraggono scene di vita veneziana. Fra i clienti più famosi Stendhal, Dumas padre, Wagner, Proust e, in tempi più recenti, Gorbacev, Mitterand e Woody Allen.
NEL MONDO BERLINO Romanisches Café, dal 1897 al 1943. Sorgeva sul Kurfürstendamm questo imponente Caffè, frequentato, in un’atmosfera di ovattata eleganza, da Kurt Weill, Bertold Brecht, Egon Friedell, Oscar Homolka e altri intellettuali. I bombardamenti dell’aviazione britannica lo rasero al suolo una notte di novembre del ‘43. Un altro bel Caffè letterario fu il non lontano Café des Westens, che aveva fra i suoi habitués il pittore dada George Grosz e il critico e saggista Walter Benjamin. BUDAPEST Gerbeaud, dal 1858, Vörösmarty tér 7-8. Aperto dallo svizzero Kugler e rilevato dal suo connazionale Gerbeaud nel 1884, questo Caffè dispone di una sala da tè in stile viennese, con decorazioni barocche e pareti tappezzate in verde pastello. L’intellighenzia magiara lo ha eletto a salotto e cenacolo: la circolazione delle idee è qui favorita dalla degustazione di prelibatissime torte preparate secondo le ricette originarie. New York Café (Hungária in epoca comunista), Erzsébet körút 9-11. Un trionfo di colonne, stucchi e specchi dorati, lampadari veneziani e affreschi ottocenteschi. Si racconta che lo scrittore Ferenc Molnar, il giorno dell’inaugurazione, gettò le chiavi del Caffè nel Danubio perché non chiudesse mai.
LISBONA A Brasileira, dal 1905, rua Garrett 120 (Chiado). Café de tertúlia (di conversazioni letterarie, potremmo tradurre), fu centro di aggregazione degli intellettuali che animarono per una ventina d’anni il primo e il secondo Modernismo portoghese. Ad accoglierci all’ingresso del locale una statua di Fernando Pessoa, il poeta più grande, che peraltro frequentava anche il “Café Martinho da Arcada”, in Praça do Comércio. LONDRA Ye Olde Cock Tavern, dal 1880, Fleet street 22. Fortemente danneggiato da un incendio nel 1990, resta tuttavia un must della capitale del Regno Unito. Fra i suoi frequentatori Samuel Pepys, Alfred Tennyson e Charles Dickens. NEW YORK White Horse Tavern, dal 1880, Hudson street 567 (Manhattan). Divenne famoso negli anni ‘50 e ‘60 quando artists and writers frequentavano il Greenwich Village. Qualche nome? Jim Morrison, Bob Dylan, Norman Mailer ed il grandissimo Jack Kerouac, che abitava a due passi. PRAGA Caffè Slavia, dal 1881, Národní třída 1. Qui Rainer Maria Rilke ambientò alcune parti dei suoi racconti Re Bobush e Fratello e sorella, mentre il poeta Jaroslav Seifert e lo scrittore Ota Filip dedicarono a questo austero locale Art Decò due loro opere (una poesia e un romanzo) intitolate, appunto, Caffè Slavia. Anche Václav Havel, in tempi recenti, ne è stato un affezionato frequentatore. RIO DE JANEIRO Confeitaria Colombo, dal 1894, rua Gonçalves Dias 32 (centro). Simbolo della belle epoque carioca, arredato con specchi provenienti dal Belgio, mobili di jacarandá e marmi italiani, ha ospitato il re Alberto del Belgio nel 1920 e la regina Elisabetta II di Inghilterra nel 1968. Fra i letterati che lo hanno frequentato il poeta parnassiano Olavo Bilac e il grande Machado de Assis.
CAFFÈ LETTERARI THINKING&DRINKING, la geografia dei locali più famosi del mondo
E A PARIGI... Parigi è, senza alcun dubbio, la capitale mondiale dei caffè storici. I “luoghi letterari” sono numerosissimi e l’elencarli tutti ruberebbe lo spazio dell’intera rivista, anche a non voler risalire alle caffetterie dell’epoca illuministica e dell’età napoleonica. Il successo dei locali della Ville Lumière scandisce l’evoluzione delle lettere e delle arti in Francia e nel resto d’Europa. Così, sul finire del XIX secolo, gli impressionisti, che eleggono Montmartre centro propulsivo della loro attività, fecero del Caffè un soggetto assai frequente dei loro dipinti (Degas, Renoir, Van Gogh, Manet). Tanti intellettuali - Picasso, Utrillo, Braque, Satie, Apollinaire - si riunivano all’Au Lapin Agile (rue des Saules 22, oggi cabaret) e lì, eccitati dai vapori dell’alcool, non c’era notte che passassero senza una baruffa o una scazzottatura. Verso gli anni Venti del Novecento, imborghesitasi Montmartre, gli artisti e i letterati si trasferiscono a Montparnasse, in abitazioni e ateliers per lo più umili e precari. Hemingway e Scott Fizgerald scrivevano ai tavolini de La Closerie des Lilas (boulevard du Montparnasse 171, ancora oggi ristorantebrasserie elegantissimo). Nel ‘27 aprì La Coupole (boulevard du Montparnasse 102), destinata a diventare un mito: vi si esibì una scandalosa Josephine Baker vestita di un gonnellino fatto solo di banane e vi sostarono Henry Miller, Louis Aragon, Man Ray, Luis Buñuel, Salvador Dalì e altri surrealisti. Dopo la seconda guerra mondiale è il quartiere di Saint Germain-de-Prés che diventa l’epicentro dell’intellettualità europea. Camus, Sartre, Simon de Beauvoir e i cineasti della Nouvelle Vague (Godard, Chabrol, Rohmer...) sedevano buona parte della giornata a discutere ai tavoli de Les Deux Magots (place de Saint-Germain-des-Prés 6) o del Cafè Flore (boulevard Saint-Germain 172), mentre altri intellettuali ed uomini politici frequentavano la vicina Brasserie Lipp (boulevard Saint-Germain 151) o Le Procope, (rue de l’Ancienne Comédie 13), il caffè più antico d’Europa. VIENNA Kaffeehaus Demel, dal 1786, Kolhmart 14. Impossibile ignorare questo elegante Caffè che produce dolci di alta qualità e fu fornitore della monarchia austro-ungarica. A lungo, nel secolo scorso, contese (ma invano, visto l’esito della causa) la paternità della sachertorte all’Hotel
Disegno di Alberto Dal Santo
Sacher, altro celebre ritrovo della capitale, frequentato da una clientela internazionale ed elitaria. Café Landtmann, dal 1873, Dr. Karl Lueger – Ring. Dichiarato monumento nazionale, ha accolto lo scrittore Joseph Roth e Sigmund Freud, Max Reinhardt, Marlene Dietrich. Café Central, dal 1876, Herrengasse 14. Un Caffè d’atmosfera nel cuore della città. Fra i suoi più illustri clienti il “Socrate di Vienna” Peter Altenberg e poi Egon Friedell, Robert Musil e Stefan Zweig. Freud veniva anche qui e si liberava la mente giocando a carte, mentre Trotzkij, prima della Rivoluzione del ‘17, fece di questo locale la sua seconda dimora. Café Museum, dal 1899, Friedrichstrasse 6. Progettato da Adolf Loos, fu ritrovo degli artisti della Secessione e non solo: Klimt, Kraus, Musil, Wedekind e molti altri. Questo Caffè ispirò il Nobel Elias Canetti quando, ai tempi della sua permanenza a Vienna, scrisse Auto da fé.
Saverio Mazzacane
Vienna - Café Landtmann
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TURISMO SOSTENIBILE VIAGGIARE CONSAPEVOLMENTE Lucia Ruggeri
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In un contesto sempre più globalizzato, con frontiere tra i Paesi sempre più facilmente superabili e mezzi di trasporto dai costi ormai accessibili, il turismo è diventato un fenomeno di enormi proporzioni, destinato a crescere ulteriormente e rapidamente nei prossimi decenni. Qualche dato – fornito dall’OMT, Organizzazione Mondiale del Turismo - può aiutare a capire meglio le proporzioni dei flussi turistici: nel 2012 ha viaggiato all’estero circa un miliardo di persone; includendo invece i movimenti all’interno del medesimo Paese, la cifra aveva raggiunto i cinque miliardi già un decennio fa. Inoltre, gli introiti derivanti dal turismo hanno superato, nel 2011, un miliardo di dollari. Si può perciò facilmente comprendere come le implicazioni sociali, culturali e ambientali che il turismo comporta siano anch’esse di notevole importanza e non possano più essere ignorate. Già dalla fine degli anni Ottanta, era maturata a livello internazionale, da parte di associazioni, gruppi ambientalisti, mondo della solidarietà, la consapevolezza del forte impatto che il turismo ha sui luoghi e le popolazioni visitate, considerando anche che la maggior parte dei turisti proviene solo da una ventina di Paesi, quelli più sviluppati, i cui cittadini possono concedersi dei periodi di svago e riposo, spesso in Paesi molto più poveri. Il viaggio, infatti, è un privilegio che circa due terzi della popolazione mondiale non possono permettersi, spesso nemmeno all’interno dei propri confini. Da qui, la nascita di un nuovo approccio al turismo, basato su una visione etica e sulla responsabilità del viaggiatore. In Italia, l’interesse verso queste tematiche si è sviluppato solo negli anni Novanta e nel 1998 si è costituita l’Associazione Italiana Turismo Responsabile (AITR) con lo scopo di promuovere e divulgare la pratica di questo tipo di turismo, oltre a sensibilizzare viaggiatori e organizzazioni del settore e coordinare gli operatori di viaggio che ne sono soci. In base ai suoi principi ispiratori, AITR ha formulato la seguente definizione: «Il turismo responsabile è il turismo attuato secondo principi di giustizia sociale ed economica e nel pieno rispetto dell’ambiente e delle culture. Il turismo responsabile riconosce la centralità della comunità locale ospitante e il suo diritto a essere protagonista nello sviluppo turistico sostenibile e socialmente responsabile del proprio territorio. Opera favorendo la positiva interazione tra industria del turismo, comunità locali e viaggiatori». Ma come si caratterizza un viaggio sostenibile e responsabile? Sia che il viaggiatore si organizzi autonomamente sia che si rivolga a un operatore specializzato in questo settore, ci sono alcuni principi fondamentali da tenere presenti. Anzitutto, la preparazione che precede la partenza: il viaggiatore, infatti, deve rendersi consapevole e partecipe della propria scelta di viaggio, impegnandosi a informarsi sul paese che visiterà, sulla sua cultura e tradizioni, sulle condizioni politiche e ambientali. Questo permette di organizzarsi al meglio, di non offendere la cultura locale con atteggiamenti inadeguati e, non ultimo, di evitare situazioni sgradevoli o pericolose. Una volta arrivati sul posto, uno dei concetti cardine del turismo responsabile
è - come indicato proprio nella definizione riportata sopra - la centralità della popolazione locale e delle comunità ospitanti, come protagoniste dello sviluppo turistico del proprio Paese. Ecco quindi che gli alloggi potranno essere piccole strutture gestite dai residenti, anziché resort internazionali i cui profitti contribuiscono solo in minima parte all’economia locale. Mercati, piazze, botteghe, mezzi di trasporto frequentati dagli abitanti del posto sono tutti luoghi che permettono di interagire reciprocamente, favorendo uno scambio tra visitatori e visitati che arricchisce entrambi e dà valore al viaggio. Anche l’assaggio della cucina locale, l’acquisto di prodotti o la partecipazione a manifestazioni che siano autenticamente del luogo – evitando i falsi folcloristici - sono esperienze che permettono di condividere almeno un po’ la vita quotidiana della gente del posto. La conoscenza della cultura e delle tradizioni del Paese ospitante ne comporta anche il rispetto; una religione diversa dalla nostra, ad esempio, può implicare l’osservanza di regole nell’abbigliamento, nell’atteggiamento, nell’alimentazione e nell’approccio sociale che anche il turista non deve ignorare. Le persone inoltre – come ricordano i vademecum sul turismo responsabile – «non fanno parte del paesaggio» nel senso che non è per niente scontato il diritto di fotografarle senza avere il loro permesso. L’uso del denaro è un altro problema che - specie visitando Paesi molto poveri – non dev’essere sottovalutato. Andrebbero evitate mance e donazioni “gratuite”, nonostante spesso siano elargite con slanci di vera generosità da viaggiatori commossi, per esempio, dall’incontro con bambini che vivono in estrema povertà. Le donazioni in denaro, infatti, possono portare squilibri all’interno delle famiglie o delle comunità e si prestano anche ad essere un incentivo a mendicare, anziché lavorare o – per i ragazzi- frequentare la scuola. E’ molto più produttivo dare denaro in cambio di un servizio, o per fare un acquisto, a prezzi equi e adeguati al tenore di vita del luogo. Sono, questi, tutti principi che stanno anche alla base del commercio equo e solidale, che col turismo sostenibile è strettamente collegato. I viaggi di turismo responsabile spesso prevedono anche visite a progetti di cooperazione per lo sviluppo locale: in questo caso, essendo realizzati da associazioni affidabili, già conosciute dagli organizzatori, il denaro donato – che a volte è già incluso nelle voci della quota di viaggio - va a beneficio di tutta una comunità, in quanto contribuisce a costruire qualcosa di utile e a soddisfare bisogni reali. E’ chiaro che l’incontro con le popolazioni locali durante un viaggio è per sua natura breve e non può avere obiettivi paragonabili a quelli di una ricerca antropologica o di un progetto di cooperazione. A volte, però, si instaurano rapporti più duraturi, magari per rispondere a richieste avanzate da persone del luogo. Anche in questo caso sono fondamentali la correttezza e la sincerità, evitando di fare promesse che poi forse non si potranno mantenere: dal semplice invio di una cartolina, una volta rientrati, al recapito di un pacchetto a un parente immigrato nel nostro Paese, a promesse più impegnative, come dare ospitalità o aiuto per emigrare. Viceversa, possiamo far continuare il viaggio anche al nostro ritorno in modo costruttivo, mantenendo i contatti con le persone conosciute, continuando a informarci sul Paese visitato, condividendo la valutazione dell’esperienza fatta con i compagni di viaggio, anche al fine continua alla pagina successiva
CONTRO IL TURISMO SESSUALE
DallaThailandia al Brasile, le testimonianze più evidenti di sfruttamenti e abusi Il turismo sessuale consiste nel fenomeno dell’abuso e dello sfruttamento sessuale di minori, che si realizza attraverso l’organizzazione di viaggi con il fine di procurarsi rapporti sessuali a pagamento con bambini e adolescenti, sia in quei Paesi dove la prostituzione è legalmente riconosciuta sia in quelli in cui essa è considerata un reato. I turisti del sesso sono, in massima parte, cittadini occidentali (olandesi, spagnoli, ma soprattutto italiani, i più presenti in Kenia). Lo sfruttamento sessuale dei minori, certamente agevolato dalla condizione di indigenza delle vittime, in Paesi caratterizzati dalla presenza di ampie sacche di povertà, è divenuto ormai un business dalle proporzioni inquietanti. Basterà ricordare il caso di M.S., un cittadino italiano che aveva affittato un appartamento in Thailandia per fornire vitto, alloggio e trasporto da e per l’aeroporto, dietro compenso, ai turisti del sesso, in modo da produrre anche tutto il materiale pedopornografico necessario a confezionare i cataloghi di “viaggio”. La vicenda, ripresa in video, ha destato scalpore ed il protagonista è stato bloccato e processato: il reato è stato punito da un giudice italiano con 14 anni di reclusione, € 65.000 di multa, più le spese processuali e l’interdizione da scuole, uffici o strutture pubbliche frequentate da minori. La legge italiana applicata nel caso citato (n. 269/1998 integrata dalla legge n. 38/2006 con le modifiche apportate dalla legge n. 172/2012) ha l’obiettivo primario della «tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico,
psicologico, spirituale, morale e sociale»; salvo che il fatto non costituisca più grave reato, «chiunque, con qualsiasi mezzo e con qualsiasi forma di espressione, pubblicamente istiga o esalta a commettere uno o più delitti, anche se relativi a materiale pedopornografico, è punito con la reclusione da un anno e sei mesi a cinque anni». La normativa, inoltre, prevede anche che le autorità nazionali possano perseguire i cittadini responsabili di tale reato, ovunque questo venga commesso, dunque anche al di fuori del territorio nazionale. Per fortuna, non solo la legislazione opera per reprimere questi odiosi comportamenti. Anche la società civile si è mobilitata e le organizzazioni che denunciano il fenomeno del turismo sessuale si stanno moltiplicando dappertutto. Grande rilevanza ha avuto, negli ultimi mesi, l’attività esercitata dai volontari dell’ECPAT (End Child Prostitution, Pornography and Trafficking), un’organizzazione senza scopo di lucro, presente in 70 paesi (compresa l’Italia), che difende i diritti dei minori, fa conoscere il fenomeno del turismo sessuale e sensibilizza le imprese turistiche sul problema dello sfruttamento. Lídia Rodríguez, volontaria che da anni lavora ad un progetto per il recupero dei giovani transessuali della città brasiliana di Fortaleza, trascorre ore e ore sulle strade per cercare di conquistare la fiducia dei ragazzi, cercando di convincerli ad abbandonare la prostituzione per un ritorno ad una vita normale. In seguito, con i suoi compagni, provvede alla distribuzione di preservativi e lubrificanti per poi arrivare al confronto con i genitori del minore ed infine all’incontro con psicologi e assistenti sociali. Per spiegare la realtà del fenomeno che combatte, Lídia ha dichiarato al Corriere della Sera: «Quando la tua immagine conta di più delle tue capacità l’unico modo per sopravvivere è la prostituzione». Come lei, Brigitte, lavoratrice in una parte della rete ECPAT, aggiunge: «A chi mi chiede se considero il mio lavoro una missione rispondo di no. Lo faccio per dare una chance a chi non ne ha». Lídia, Brigitte e tutti i componenti dell’organizzazione hanno avviato per lo scorso Natale la campagna “I(n)soliti regali” , per raccogliere fondi da destinare ai bambini brasiliani che rischiano lo sfruttamento.
Sara Cattelan segue dalla pagina precedente
di suggerire dei possibili miglioramenti per gli itinerari di chi partirà per quei luoghi dopo di noi. Tutte le considerazioni finora svolte non devono indurre, però, a pensare che si possa fare del turismo responsabile solo in Paesi lontani e poco sviluppati. Se l’attività di AITR si era concentrata inizialmente su queste destinazioni, da anni oramai è maturata la consapevolezza che anche l’Europa e l’Italia si prestano a esperienze di viaggio che evitino i negativi impatti del turismo di massa. Nel nostro Paese, sono ormai molte le proposte improntate non solo al rispetto del patrimonio ambientale e storico, ma anche alla valorizzazione dei luoghi meno conosciuti e delle culture locali, all’ospitalità in alberghi diffusi o presso associazioni impegnate nel sociale, allo spostamento “lento” per chi cammina, va in bicicletta o monta a cavallo. Le possibilità sono davvero svariate in tutta la Penisola, dai trekking in montagna alla “pescaturismo” lungo le coste dell’Italia meridionale. Un’attività per tutte va menzionata, poiché si collega anche a un progetto sostenuto dal nostro Istituto e già descritto lo scorso anno in questa rivista. Si tratta di quella promossa dall’associazione “Libera Terra Mediterraneo” che offre ospitalità, oltre a ottimi prodotti di agricoltura biologica, ottenuti nei terreni confiscati alla mafia, promuovendo così l’occupazione dei giovani e lo sviluppo del territorio secondo criteri di etica e giustizia sociale. Un esempio positivo di turismo in cui il piacere della scoperta dei luoghi e della buona tavola, per i visitatori, si abbina ad un miglioramento concreto del tessuto sociale locale.
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CONSUMO RESPONSABILE SPEGNI LO SPRECO, ACCENDI IL RISPARMIO Tra perdite di alimenti lungo la filiera, scarti di produzione e spreco domestico, oltre il 30% della produzione totale di cibo destinata al consumo umano viene sprecata. E’ quanto emerge da uno studio inedito sullo spreco del cibo, curato dal Barilla Center e presentato il 23 maggio scorso a Milano. In particolare, ogni anno nei Paesi industrializzati vengono buttate 222 miliardi di tonnellate di generi alimentari, una quantità che sarebbe sufficiente a sfamare l’intera popolazione del Sudafrica.
– Acquistare più ingredienti (da cucinare, ovviamente) e meno cibi pronti – Impostare il menu sulla base di ciò che offre il mercato ed acquistare in base alla stagionalità e alla freschezza del prodotto – Preferire l’acquisto di prodotti il cui imballaggio è a più basso impatto ambientale (leggi smaltimento). L’importante è il contenuto, non il contenitore (l’apparenza inganna!) – Cucinare con gli avanzi e gli scarti e, se continuerete a leggerci, troverete una ricetta da prendere come spunto
COME RIUTILIZZARE IL CIBO AVANZATO? Quando avete degli avanzi di carne cotta oppure della carne macinata mista, di bovino e suino, potete considerare l’opportunità di preparare questo semplice piatto, il polpettone al forno. E’ una pietanza sostanziosa, ma di facile realizzazione, che sicuramente soddisfa tutti i palati, anche quelli dei più piccoli. Noi lo ricordiamo sulla tavola della nonna, quando voleva consumare la carne lessa avanzata, poco gradita, che magicamente diventava un piatto appetitoso. Allora, prendete nota...
LA RICETTA IL POLPETTONE DI CARNE (RICICLATA)
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Soltanto in Europa, lo spreco ammonta a 89 milioni di tonnellate, ovvero a 180 kg pro capite. L’Italia vi contribuisce nella misura del 10% del totale, con 8,8 milioni di tonnellate, pari a 27 kg a testa, per un costo di 454 euro all’anno per famiglia. A fronte di tanto cibo gettato nella spazzatura, c’è un miliardo di persone che non ha accesso a sufficienti risorse alimentari. Gli sprechi alimentari avvengono durante i processi di trasformazione industriale delle materie prime, distribuzione e consumo finale e dipendono da molteplici fattori, quali ragioni di ordine economico dettate da standard estetici e qualitativi, regolamentazioni in materia, convenienza delle operazioni di raccolta, mancanza di cultura/conoscenza/informazioni dei consumatori finali.
SI SPENDE TROPPO PERCHE’ SI SPRECA TROPPO Una diversa concezione del consumo appare indispensabile per realizzare un’inversione di tendenza che possa portare, da un lato, a comportamenti individuali più virtuosi e, da un altro, a risparmiare nell’acquisto di generi alimentari. Una voce di spesa, che, secondo le più recenti statistiche, incide sempre di più sul budget a disposizione delle famiglie. Ma come fare, quali le strategie da adottare?
I CONSIGLI DI GIADA E LUANA – Redigere una lista della spesa sulla base delle proprie esigenze reali e attenervisi – Effettuare acquisti più frequenti e “più leggeri”, evitando il “megashopping” mensile, che ti fa comprare spesso cose inutili – Acquistare direttamente dai produttori (possibilmente). Ottimi i prodotti a “km 0” – Prediligere i piccoli produttori che rispettano l’ambiente
Ingredienti: 500 g. di carne lessa o macinata mista avanzata, 4 fette di pane raffermo, 1 uovo, 50 g. di Grana Padano grattugiato, 1 spicchio d’aglio intero, 1 ciuffo di prezzemolo fresco, una manciata di pane grattugiato, olio extravergine di oliva q.b., sale q.b., pepe q.b., latte intero q.b. Preparazione. Prima di tutto mettere il pane raffermo a bagno con un po’ di latte tiepido, poi collocare la carne in un recipiente capiente perchè possa amalgamarsi con gli altri ingredienti. Aggiungere il pane sbriciolato e ben strizzato, l’uovo, il Grana Padano, l’aglio e il prezzemolo tritato, un cucchiaio d’olio, il sale e il pepe. Poi procedere mescolando bene tutti i componenti utilizzati. Quando avrete ottenuto un composto compatto, date una forma al polpettone e passatelo delicatamente nel pangrattato. Poi potete infornarlo (in una teglia da forno con un filo d’olio) a 180 gradi e cuocerlo per 40 minuti circa, avendo cura di rosolarlo da entrambi i lati. A cottura ultimata dovrete attendere che si raffreddi un po’, per servirlo poi con il vostro contorno preferito. Giada Favaro e Luana Carmignotto
INCONTRI SPECIALI EX STUDENTI ALLA RIBALTA Maria Chiara Ceresoli
Maria Chiara Ceresoli
INTERVISTA A PAOLO PIOVAN Paolo Piovan ha trentadue anni e lavora ai fornelli del ristorante “Boccadoro” di Noventa Padovana, l’azienda di famiglia. Diplomatosi al “Pietro d’Abano”, è stato allievo di Alfredo Chiocchetti, chef “stellato Michelin” de “Lo Scrigno del Duomo” di Trento, ha lavorato con Massimiliano Alajmo e partecipato a famosi concorsi culinari in Europa e negli Stati Uniti. Imparare e lavorare. Partiamo da qui, prima la scuola, poi il mondo del lavoro. Qual è la tua opinione? Come dicono tutti, c’è sempre da imparare, in particolar modo nel nostro settore, mai come oggi in così costante evoluzione. L’esperienza scolastica resta quindi importante, anche per diventare un bravo cuoco... La scuola in questo è fondamentale perché ti dà le basi, quello che viene ancora prima dell’abc della cucina, ti “sporca” di piccole nozioni, ti fa capire se quello sarà il tuo futuro o almeno la prima parte del tuo futuro. Impari a “giocare” con gli alimenti e con i compagni, metti per la prima volta “ le mani in pasta”, fai i primi errori, capisci l’importanza della divisa, della pulizia personale e della pulizia del luogo di lavoro, conosci il lavoro di gruppo! Però non serve solo questo per il nostro lavoro, ecco che il resto - la tecnica, le cotture ecc. - lo apprendi fuori, nei ristoranti, bar, hotel, pizzerie, gelaterie, pasticcerie. Fuori dalla scuola ti rendi conto di cosa vuol dire essere un cuoco, si diventa più seri, impari ad essere più responsabile, vedi tecniche nuove, diverse, vedi le novità e incontri tante persone ognuna con le sue esperienze. Io ho girato abbastanza prima di fermarmi nella mia cucina, ma, se avessi potuto, avrei girato ancora di più… anche se ogni tanto lo faccio ancora! La curiosità mi ha aiutato molto e, anche, la capacità di chiedere appena avevo un dubbio. Qualche ricordo del “Pietro”, qualche aneddoto, magari un fatto particolarmente significativo per la tua formazione... Non ho un particolare ricordo di scuola che abbia segnato il mio futuro, però voglio rievocare un episodio che mi ha aiutato a crescere: è stato durante l’esame di terza area, alla fine della scuola, e dovevamo eseguire un menu medioevale per un centinaio di persone. Ricordo che il nostro professore di terza area, il giorno del banchetto, era impegnato nella commissione d’esame e noi quindi dovemmo lavorare autonomamente. Non fu facile, ma alla fine il banchetto fu un successone anche senza la guida di una persona “grande”. Quell’esperienza è stata molto stimolante per tutti noi e in particolare per me. Del resto gli ostacoli non mancano, a scuola come nel lavoro... Nel mio percorso scolastico non ho incontrato ostacoli particolari, a parte i compiti di matematica, le interrogazioni di inglese, i temi di italiano, le verifiche di diritto, là sì che ce n’erano e di belli grossi. Ma, a parte questo, a scuola sono stato bene, ho
imparato molto e i professori mi hanno dato molto. Certo negli ultimi due anni avrei preferito fare molte più ore di pratica, ma purtroppo l’ordinamento degli istituti alberghieri non lo prevede ed è un peccato, perché a quel punto gli studenti sono ormai vicini all’ingresso nel mercato del lavoro. Dopo la scuola, invece, l’ostacolo più grande è stato quello di lavorare e discutere di cucina con persone molto più grandi di me, però poi con il tempo questo problema è andato attenuandosi. Cosa fa la differenza in cucina? Forse, la voglia di fare la differenza… Credo di sì, tutti vorrebbero essere “viziati” da buon cibo e da buon vino, basti pensare che alla fine di una riunione, di un duro lavoro, di un contratto, per festeggiare la nascita di qualcosa o la fine di qualcos’altro o anche per il solo gusto di farlo senza un particolare motivo, ci si trova spesso e volentieri con le gambe sotto il tavolo. Se il cibo è top e il vino super è ancora tutto decisamente migliore! Quali sono i piatti che “senti” di più? Non ci sono creazioni preferite, anche perché penso di non aver “creato” ancora nulla! Diciamo che mi piacciono tutti i piatti che inseriamo in menu, però c’è sempre quello più simpatico... la piovra arrostita morbida e croccante è uno di questi, la gaina imbriaga anche, i tortelli di taleggio conditi con il ragù di coda di vitellone brasato... uno dei miei preferiti, le gocce di patata americana e guancialino di vitello, il percorso al cioccolato. Né potrei mai rinunciare ai piatti della nostra tradizione, come il baccalà, il fegato, le carni della corte padovana, i vini dei Colli Euganei ed il Prosecco. Una bella compagnia… Congediamoci con qualche riflessione in libertà... Non mi sento in grado di dare consigli a nessuno, ma ci tengo a dire che la professione del cuoco è bellissima, anche se dura e pesante. Tutto ciò viene però ripagato alla fine, dalla passione che hai dentro e dalla soddisfazione di vedere i tuoi clienti andar via contenti, almeno per me è cosi! Il nostro territorio è ricco di ottimi prodotti e di una tradizione culinaria eccellente, quindi l’obiettivo dei ristoratori e della stessa scuola dovrebbe essere quello di valorizzare gli uni e serbare l’altra. Non serve toccare le stelle per diventare grandi cuochi, basta semplicemente fare bene ciò che si sa fare!
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IL PIETRO IN CAMPO PROGETTO COMENIUS: TOGETHER IS BETTER LE SCUOLE NOSTRE PARTNER MANNHEIM (REPUBBLICA FEDERALE DI GERMANIA)
a cura di Renate Gilli quentata da circa 300 alunni/e. Una parte dei corsi ha durata triennale. Si conseguono i diplomi di cuoco, maitre di sala, pasticcere, panificatore, macellaio, affumicatore. Esiste anche un corso quadriennale di “Gastronomia”, che si conclude con una prova simile all’esame di stato, mentre coloro che frequentano il corso triennale hanno anche la possibilità di continuare gli studi per affrontare l’esame di stato nell’ambito dell’attività di gestione. Nella scuola ci sono una cucina, una sala da pranzo, una pasticceria, un panificio e una macelleria. I prodotti che vengono preparati dagli alunni sono venduti in due mense scolastiche. Nell’area della scuola si trovano inoltre un convitto e una palestra.
OPOLE (POLONIA)
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La Justus von Liebig Schule di Mannheim (Repubblica Federale di Germania) è una scuola professionale ed un centro di formazione professionale. I circa 1500 iscritti provengono da tutta la Regione Metropolitana del Rhein-Neckar (che è ormai il nome dato ad una ampia zona con le città di Mannheim e Ludwigshafen, che formano di fatto una grande area urbana e di produzione industriale). Negli ambiti “Alimentazione”, “Gastronomia e Hotel”, “Estetista”, “Lavorazione tessile e arredo” la formazione avviene con il sistema “duale”: ogni studente ha un contratto di apprendistato presso un’azienda nella quale lavora per 3-4 giorni alla settimana, mentre frequenta la scuola nelle 1-2 giornate restanti. Inoltre da alcuni anni sono stati organizzati corsi di formazione per giovani che non hanno un posto di lavoro, ma che vogliono acquisire una preparazione in uno dei settori sopracitati. Dallo scorso gennaio è stato attivato un corso attinente al profilo professionale di sales-manager nel settore del commercio alimentare.
JESENÍK (REPUBBLICA CECA) La scuola si trova a Jeseník, una cittadina di cure termali di 12.000 abitanti nella regione del Hrubý Jeseník, una zona montuosa nella Slesia (il monte più alto è il Praděd (Altvater) con 1.491m s.l.m.), nell’est della Cechia, vicino al confine con la Polonia. Jeseník, nel cui territorio si trovano circa ottanta fonti di acque minerali (ognuna col suo nome), è conosciuta in tutto il mondo come la cittadina che ha dato vita all’idroterapia moderna in quanto il primo istituto idroterapeutico fu fondato qui e venne diretto dal medico Vincenz Priessnitz, chiamato anche ‘il dottor acquatico’. L’avvio dell’attività della scuola risale al 1952. Oggi è fre-
La scuola Zespól Szkół Zawodowych nr 4 - Istituto di Formazione Numero 4 di Opole - è al terzo posto in Polonia tra gli istituti di formazione professionale nell’ambito della gastronomia. La scuola si trova nella regione di Opole, Slesia, caratterizzata da una grande varietà di nazionalità: vi convivono Polacchi, Slesiani e una minoranza di Tedeschi. L’Istituto si divide in una scuola superiore di formazione con gli indirizzi Tecnico alberghiero, Tecnico turistico, Tecnico delle scienze dell’alimentazione e Tecnico commerciale. La seconda tipologia di percorso riguarda la scuola di formazione professionale per cuochi, pasticcieri, panificatori e venditori. La scuola offre anche corsi che affiancano le professioni in vari settori (barkeeping, carving, guide turistiche ecc.). Operano inoltre gruppi di lavoro in diversi campi e un volontariato ben funzionante. Durante le lezioni di lingua straniera (tedesco, inglese e francese) si impartisce anche l’insegnamento della microlingua di settore. Le lezioni pratiche di Gastronomia si svolgono in laboratori interni ben attrezzati, mentre per i corsi di Hotellerie e Turismo la scuola si appoggia al cosiddetto centro per la formazione pratica. Gli studenti dei corsi di formazione professionale frequentano la scuola per due giorni e lavorano gli altri tre o viceversa. Gli alunni hanno anche l’opportunità di frequentare stage in importanti località polacche e straniere. Quest’anno hanno lavorato un mese a Malta, nell’ambito di un progetto Europeo, mentre in passato sono stati spesso impegnati in Germania. A caratterizzare la scuola è un’atmosfera di collaborazione amichevole tra studenti, docenti e genitori, e gli ottimi risultati raggiunti dalla maggior parte degli alunni all’esame finale ne sono la conferma. Lo slogan dell’Istituto è «una scuola vicina ai giovani!».
IL PIETRO IN CAMPO BRITISH SCHOOL, UNA SETTIMANA A LONDRA L’esperienza di un gruppo di studenti del “Pietro” per visitare la capitale e scoprire il sistema scolastico inglese
Erano i raggi di sole che illuminavano un qualsiasi sabato mattina di quel freddo novembre. Erano gli stessi raggi che quel 24 novembre 2012 avevano svegliato l’eccitazione di un gruppo di ragazzi che aspettavano quel momento da mesi, ormai. Mentre per chiunque sarebbe stata una giornata qualsiasi, per loro il sole assumeva sfumature totalmente diverse dal solito: sapevano che sarebbe cambiato qualcosa nel profondo del loro animo; sapevano che un aereo li attendeva da lì a poco... In meno di un paio di ore nessuno avrebbe immediatamente capito il loro linguaggio, a meno che... In meno di un paio di ore si sarebbero ritrovati in un’altra realtà... Non parlo di mondi paralleli o scene da film fantasy. Era semplicemente il sogno ricorrente di quei ventuno ragazzi, i pensieri e le chiacchere delle ultime settimane: il salutare la Regina, l’accarezzare gli scoiattoli e guardare il famoso Eye... Il London Eye... La destinazione di quella mattina era la storica capitale inglese. Una settimana a disposizione per visitare, conoscere e imparare. Una settimana per mettere in pratica gli sforzi e gli studi di un intero decennio. L’inglese è un’optional? Mmm, non in questo caso. Una hostfamily, una Purley Language School e un mitico Phil a loro disposizione per raggiungere il loro obiettivo: to speak English better than Italian! L’arrivo era stato alquanto elettrizzante. Tutto ciò che stava attorno era diventato la cornice di uno splendido quadro. Persino l’attesa dei bagagli era diventata come l’inizio di una nuova dimensione e il badge della scuola il pass per accedervi. E sin dall’inizio percepivano che qualcosa di profondamente diverso c’era: all’aeroporto li attendevano le responsabili scolastiche con un plico, all’interno del quale decine di pagine in lingua inglese spiegavano quali erano le regole che qualunque studente appartenente all’ordine scolastico britannico doveva rispettare. Gli occhi sbarrati dei ragazzi guardavano stupiti il fascicolo presentatogli. Regole irremovibili? Sì, regole ribadite pure sui cartelloni appesi ai muri nelle varie aule: be on time (sii puntuale), do your homework (fai i compiti), be quiet in class (sii tranquillo in classe), respect your teacher and your classmates (sii rispettoso nei confronti dell’insegnante e dei compagni di classe), ecc. ecc. ecc. Il divertimento è contemplato, gli avevano detto, ma guai a infrangere il regolamento. E non si potevano nemmeno ingegnare: gli amici non potevano coprirli, d’altronde con classi composte da dieci persone avrebbero dovuto fare i miracoli. Qui la domanda scatta automaticamente: e cosa succede ai “trasgressori”? Succede che il ritardo di due minuti può costare una lezione intera; i compiti non svolti comportano il doppio da fare per il giorno dopo; il disturbare la lezione, l’esclusione dall’aula. Questi ragazzi d’impatto avevano pensato che sarebbe stata molto dura e i primi sogni italiani di divertimento in terra inglese iniziavano a svanire. Tra pensieri e preoccupazioni si ritrovavano divisi in gruppetti di 3-4, pronti per essere accolti dalle famiglie ospitanti. Catapultati in stanze più o meno grandi, riassaporavano il profumo di casa rilasciato dalle valigie fino ad ora rimaste chiuse. La prima sera “inglese” era stata caratterizzata da una cena “tipica” (che di gran lunga si allontanava dagli standard italiani) a base di pasta stracotta al ragù di un non ben definito animale. Due chiacchiere di presentazione anticipavano il quasi immediato riposo notturno. L’indomani il programma avrebbe previsto una lunga camminata tra i meravigliosi monumenti londinesi. Changing the guard (il cambio della guardia) e Buckingham Palace, British Museum, Saint James Park, Trafalgar Square con la Nelson’s column e la National Gallery alle sue spalle... tradizioni e monumenti, sotto il magnifico sole che rendeva tiepida l’atmosfera ed esaltava le emozioni che quei ragazzi provavano. Le loro sensazioni oscillavano tra lo stupore per la bellezza e la maestosità dei monumenti e l’euforia di trovarsi in quel momento, sotto quel sole, in quella città. Stendersi sul letto la sera per riposarsi non era mai stato così difficile: da un lato il corpo
esigeva una pausa, dall’altro l’animo voleva continuare il tour. La mattina dopo la lunga colazione all’inglese non aveva impedito loro di arrivare puntuali al college. Ad accoglierli c’era un preavvisato test d’ingresso che, comunque, non aveva lasciato indifferenti gli studenti. Copiare? Quasi impossibile. Nessuno però avrebbe potuto sfuggire al test orale che veniva fatto ad ogni singolo candidato. Ma le sorprese non erano ancora finite: un’appassionante “caccia al tesoro” li aveva accompagnati attraverso le strade e le vetrine della piccola cittadina di Purley che accoglieva la scuola. Dulcis in fundo: i risultati dei test d’ingresso avevano diviso completamente il gruppo. Un veloce pranzo al sacco aveva ridato le forze ai giovani “esploratori”, che in quel pomeriggio si ritrovavano immersi nell’affascinante leggenda della Tower of London: attuale sede dei gioielli della Regina, questo castello è stato in passato una prigione per i traditori della famiglia reale, il cui accesso era un pesante cancello metallico nero. Si narra che, quando qualcuno entrava nella prigione attraverso quel cancello, era l’ultima volta che fosse visto vivo. I giorni seguenti non erano stati meno emozionanti. Piccadilly Circus (che non è un circo come molti di noi avrebbero potuto credere), Oxford Street e Harrods (il paradiso della parte femminile del gruppo), Westminster Abbey (con le tombe e lapidi che rimembrano i grandi nomi della storia e della letteratura, partendo da Winston Churchill, passando per Darwin e Wilde, fino ad arrivare a Enrico VII), Big Ben e House of Parlament, St Paul’s Cathedral, Millennium Bridge fino ad arrivare al Shakespeare’s Globe. Tra il piangere del cielo, l’ululare del vento e il giocare a nascondino del sole, queste meraviglie si erano rivelate ai giovani studenti come il sorriso celato della Gioconda: incantevole ed ipnotizzante… Tutto ciò però era accompagnato da una costante frequentazione della scuola e dallo svolgimento dei compiti assegnati. Il resistere alla tentazione di avere sempre il telefono in mano e mandare messaggi è stata una dura prova. Ciò però ha contribuito all’attenzione rivolta alle spiegazioni e alla scoperta di cose interessanti che altrimenti nessuno di loro avrebbe conosciuto. La fatica di questi ragazzi, alla fine, è stata premiata, perché il loro impegno non è stato inutile. Il diploma, che inizialmente si immaginava un traguardo irragiungibile, per loro non lo è stato. La settimana era volata come un albatros sopra un’immensa spiaggia sconosciuta agli occhi mortali. La valigia del ritorno non era mai pesata così tanto perché carica, stavolta, di emozioni ed esperienze irripetibili, amicizie preziose e incontri indimenticabili. Estremamente difficile è stato, per quel gruppo, tornare alla solita quotidianità. La sveglia che ritorna alle 6 di mattina per strappare dalle braccia di Morfeo quei giovani sognatori. Il ritorno alla scuola italiana: il ritorno ad una dimensione totalmente ordinaria, dove i ritardi sono cose di tutti i giorni e le lezioni sembrano, in certi casi, un concerto Rock ‘n’ Roll. Adesso però c’è qualcosa di diverso; qualcosa che prima nessuno di loro ha mai notato. I muri di quella scuola, che li ha accolti per quattro-cinque anni, nascondono forse un tacito messaggio, mille storie, lacrime e sorrisi. Pure le voci, che rompono il silenzio monotono dei corridoi, e le facce, che scivolano tra i colori pastello delle pareti, sembrano diversi. Quel mondo pare appartenere a un’altra realtà. Sembra di aver subito un totale cambiamento... o forse, sono gli occhi di quei ragazzi ad essere cambiati?
Valeria Apostol
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LO SPORT, CHE SPETTACOLO! ARCO, IL “PIETRO” CHE... TIRA
LA DISCIPLINA
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Le origini dell’arco risalgono a milioni di anni fa e furono rappresentate addirittura nelle pitture rupestri. Fino a 600 anni fa gli archi venivano raramente usati a fini agonistici, come, al contrario, avviene oggi, ma essenzialmente per la caccia e la guerra. In entrambi i casi non vi era tempo per mirare e concentrarsi: il tiro era istintivo e velocissimo nella caccia, cadenzato e molto pesante in guerra. Ancora oggi gli archi sono fabbricati esclusivamente con materiali forniti dalla natura. La materia prima fondamentale di un arco storico è ovviamente il legno. Per ottenere un buon arco esistono diversi tipi di legno, ma non tutti sono indicati per la sua costruzione; i legni più pregiati che vengono utilizzati sono il noce, che rende l’arco molto flessibile ed elastico; il maggiociondolo, che ha buona flessibilità e ottima elasticità; il nocciolo, l’olmo, il sambuco, il corniolo, il frassino e il bagolaro (chiamato anche “spaccasassi” per la sua resistenza e potenza). Un’altra parte fondamentale dell’arco è la freccia, che è composta dall’asta in legno, dalla punta (o cuspide), dall’impennaggio e dalla cocca. La capacità offensiva di una freccia dipende dalla velocità, dal suo peso e dalle caratteristiche della punta di cui è munita. Le frecce leggere consentono di ottenere lunghe gittate, ma il loro impatto risulterà meno dannoso di quello prodotto da un proiettile più pesante. Ultima parte, ma non meno importante, è la corda, che al tempo era composta da tendini di animali, ma che ora è di filo di lino intrecciato. Una corda, così, può resistere fino a 60/70 Lbs (che corrispondono a 28/32 Kg di peso). Al giorno d’oggi ovviamente non si va più a caccia o in guerra con arco e frecce, ma si praticano gare o tornei in luoghi che rievocano i tempi e la storia del medioevo. Per citarne alcuni qui vicino: Monselice, Este e Montagnana, ma non solo. Durante le gare, nelle quali i partecipanti devono vestire un abbigliamento esclusivamente medievale, i bersagli sono molteplici e di fantasia: ad esempio si possono trovare anche degli animali in 3D di gomma o corde appese o altri oggetti di diverse dimensioni, che l’arciere deve colpire da varie distanze, per cui vi sono, in ogni gara, differenti coefficienti di difficoltà.
Quella del tiro con l’arco è una specialità, come posso testimoniare personalmente, che “prende” ed entusiasma; rilassa la mente e il corpo, distoglie dai pensieri e aiuta a concentrarsi. Uno sport che arricchisce il proprio bagaglio di esperienze.
Edoardo Sguotti UNA GIOVANE PROMESSA Ciao a tutti, mi chiamo Jacopo, mi hanno chiesto di scrivere un articolo per parlare della mia esperienza di campione del Veneto di tiro con l’arco storico. Tutto iniziò quattro anni fa dopo la mia prima comunione, quando ricevetti dal mio vicino di casa Francesco un arco in legno. L’arco che uso è formato da tre pezzi: i due flettenti e l’impugnatura, poi una corda fatta di lino, mentre le frecce sono composte da un’asta e tre piume d’oca, e infine una punta di ferro. Da quando ho l’arco coltivo una passione molto grande dentro di me. La prima gara che ho disputato è stata a Novellara, dove mi sono classificato terzo su dieci arcieri. Lì ho capito che, col tempo, allenandomi sempre di più, avrei raggiunto un buon livello: e infatti, pochi mesi dopo, ho partecipato a San Marino a una gara del circuito nazionale in cui mi sono classificato quarto su cinquanta partecipanti della mia categoria. Ci sono, nella specialità, più categorie, distinte sia in base all’età sia al tipo di arco che si usa. Oggi sono passati tre anni da quando ho iniziato a tirare e la mia attuale categoria è la “maschile tradizionale”. Tre mesi fa ho preso parte al campionato regionale e mi sono classificato primo! Così oggi posso fregiarmi del titolo di campione del Veneto! Da circa un anno sto partecipando anche al campionato nazionale FITAST (Federazione Italiana Tiro con l’Arco Storico e Tradizionale), che si svolge nelle Marche. Dopo una decina di gare sono riuscito a classificarmi quinto su ben ottanta partecipanti. Per ottenere questi risultati ho dovuto fare molti sacrifici: dal rinunciare ad uscire alla domenica con gli amici allo stare meno tempo con la mia famiglia. Ma finora ne è valsa la pena, sono soddisfatto!
Jacopo Brunoro Jacopo Brunoro in azione
LO SCAFFALE DEL PIETRO Saverio Mazzacane Faciolince, Agnello Hornby, BrillatSavarin, Bruno, Leggere di gusto, Sellerio, 2012, euro 35 Cofanetto con quattro volumi (vendibili anche separatamente)
giusta, i piaceri – del corpo, della mente, del palato – diventano per tutti (politici, manager, avventurieri) merce preziosa. Il talento del cuoco – vendute 400.000 copie in Svizzera, Germania e Austria, tradotto in quindici lingue - racconta con tono ironico ma riflessivo il sesso, il cibo e i paradossi di un ingranaggio sociale iniquo e incomprensibile, che finisce per rimescolare e stravolgere le esistenze individuali. Un quadro grigio, ravvivato però dall’idea che soltanto gli umili che vengono da lontano riusciranno (forse) a salvare i destini della vecchia Europa. Appassionante come un giallo.
Héctor Abad Faciolince, Trattato di culinaria per donne tristi E’ un piccolo, affettuoso trattato per donne infelici. Contiene un bel pò di istruzioni (e riflessioni, consigli...) in merito alla preparazione di quei piatti che, secondo Faciolince, sono capaci di lenire tutte le possibili ragioni di infelicità delle nostre amiche: tradimento, vedovanza, irritazione, invecchiamento, gestazione. L’autore, colombiano, dispensa pillole di saggezza e ha un rimedio o un suggerimento per tutto. Insomma: come affrontare al meglio i dispiaceri della vita. Utile Simonetta Agnello Hornby, Un filo d’olio Con 28 ricette di Chiara Agnello Fra memorie familiari e romanzo autobiografico un piccolo affresco della Sicilia degli anni Cinquanta. Simonetta Agnello Hornby rievoca le estati trascorse nella vecchia masseria di famiglia e racconta con nostalgia le abitudini e le pratiche – i riti, si direbbe - legati alla cucina della sua casa d’origine. E infatti sono proprio le ricette della sorella Chiara, i piatti della tradizione familiare, gli odori e i sapori forti della campagna, ad impreziosire ogni capitolo di questo libriccino. Intenso Anthelme Brillat-Savarin, Fisiologia del gusto Riflessioni sui piaceri della tavola, meditazioni filosofiche, considerazioni sul cibo. Questo è Fisiologia del gusto: un classico divertente, intessuto di aneddoti e curiosità, ma anche attualissimo (l’opera è del 1825...) per la capacità di Brillat-Savarin di delineare, con abbondante anticipo, la dimensione sociale della cucina in un’epoca in cui contava soprattutto il piacere del palato. Dotto Alda Bruno, Tacchino farcito Una chicca tratta da questo bel libro che, con umorismo, racconta del conformismo di certe famiglie attente solo a moltiplicare la roba. «Per raggiungere il gusto compiuto del tacchino farcito, i Malaspina impiegarono quattro generazioni in cui l’abitudine di sposarsi e risposarsi tra di loro, se non portò un tocco di originalità nei loro inveterati valori di posizione, aggiunse una folata d’innovazione se non altro nella pancia disossata del tacchino». Ironico, spumeggiante, irriverente. Paolo Rumiz, Trans Europa Express, Feltrinelli, 2012, euro 18 Nel 2008 Paolo Rumiz intraprende l’ennesimo viaggio, un percorso in treno di seimila chilometri dalla città finlandese di Rovaniemi a Odessa, in Ucraina. Passan-
do attraverso dogane, recinzioni, barriere munite di sinistre torrette d’osservazione, attese interminabili e controlli alle frontiere, come sempre Rumiz coglie anche la generosità degli uomini e delle donne che incontra sul suo cammino: un pescatore di granchi giganti, delle floride venditrici di mirtilli e panna acida, un Rambo della guerra cecena fattosi prete. Tutti hanno una storia da raccontare, tutti hanno una parola da aggiungere al romanzo di un continente disunito e dilaniato da troppe guerre. Il taccuino di Rumiz - uno degli ultimi giornalisti-viaggiatori - si riempie di paesaggi e personaggi, rumori e sapori: ancora una volta l’autore ci porta al centro dell’Europa, nel cuore stesso dell’Europa, ancora una volta sperimentiamo affascinati quanto il viaggiare favorisca la comprensione dell’altro. Suggestivo. Martin Suter, Il talento del cuoco, Sellerio, 2012, euro 16 Nelle cucine di un top-ristorante di Zurigo lavora Maravan, un giovane tamil che viene dallo Sri Lanka, come molti suoi connazionali fuggito dalla guerra e dalla povertà. Nel ristorante gli vengono assegnati solo i compiti più umili, ma lui non se la prende. Ha un carattere mansueto ed è, soprattutto, un ragazzo ottimista perché sa di essere un cuoco dalle qualità straordinarie. La prima a scoprirlo è la disinibita Andrea, una cameriera dello stesso locale, che, nel corso di una cena indimenticabile, avrà un’idea che cambierà il loro futuro: dovranno mettersi in proprio e aprire una ditta. Si chiamerà «Love Food» e proporrà un “Love Menu”, la consegna a domicilio di raffinati manicaretti afrodisiaci capaci di stimolare il desiderio delle coppie annoiate. La voce si sparge velocemente e il successo è assicurato perché, in una società sempre più instabile e in-
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Julio Cortázar, Carol Dunlop, Gli autonauti della cosmostrada ovvero Un viaggio atemporale Parigi-Marsiglia, Einaudi, 2012, euro 21 Nei trentatré giorni che trascorrono sull’autostrada Parigi-Marsiglia a bordo di un pulmino Volkswagen, Julio Cortázar (il Lupo) e sua moglie Carol Dunlop (l’Orsetta), i due «autonauti», scoprono un mondo dentro al mondo: comico, grottesco, drammatico, a volte tragico. E a quattro mani scrivono un libro che è un diario di viaggio, ricco di storie e di aneddoti, ma anche un pretesto per una riflessione sulla vita e sull’uomo, con quel singolare miscuglio di realtà e sogno tanto caro al Cortázar delle opere maggiori. L’avventura della coppia (siamo nella primavera del 1982) si concluderà al Vieux Port di Marsiglia con un pizzico di malinconia perché il viaggio è finito. Ma soprattutto perché presto si spegnerà anche la vita dei protagonisti, che avevano preso la strada sapendo già di essere gravemente malati. Carol morirà pochi mesi dopo, Julio due anni più tardi. Cortázar è stato uno dei più grandi scrittori del Novecento. Di lui scrisse Neruda: «Chi non legge Cortázar è spacciato. Non leggerlo è una malattia molto seria e invisibile, che col tempo può avere conseguenze terribili». Struggente.
TURISTA... PER SEMPRE PADOVA PER NOI, CURIOSANDO PER LA CITTA’
Questa volta la rubrica che ospita questo articolo non prevede la proposta di un itinerario - almeno in senso tradizionale - , di quelli cioè che vengono organizzati per consentire la visita di luoghi, monumenti e musei. Abbiamo pensato che, trovandoci in una città familiare come Padova (alcuni di noi ci sono nati e ci vivono, altri, residenti nei paesi della provincia, ci vengono da sempre), sarebbe stato più divertente andare alla ricerca di aneddoti e curiosità sui luoghi che abbiamo visitato piuttosto che elencare, in modo ordinato e strutturato, le tappe del percorso e la storia di opere architettoniche, scultoriche o pittoriche. L’occasione di scrivere questo articolo ci è stata offerta da una bella passeggiata didattica (con annessa visita ad un hotel) per le vie del centro di Padova – nelle Piazze, nel Ghetto – che abbiamo fatto di recente in compagnia dei nostri insegnanti Maria Chiara Ceresoli, curatrice di questa rubrica della rivista, e Francesco Belcaro. Ecco allora quello che abbiamo raccolto.
Lo sapevi che… ? Fin dai primi anni dalla sua fondazione (1831), il Caffè Pedrocchi divenne noto come “il caffè senza porte” sia
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perché fino al 1916 era aperto giorno e notte sia per l’accoglienza dettata proprio dalla sua struttura. Il porticato aperto e, allora, senza vetrate, era infatti una sorta di “passaggio” collegato alla città. I prezzi non erano cari, nonostante il luogo fosse già di gran lusso per quei tempi, e Il proprietario, Antonio Pedrocchi, fu il primo che illuminò a gas il suo Caffè. Egli trattava i suoi clienti in modo assai diverso da quanto accade nei caffè di oggi: chiunque poteva sedere ai tavoli senza ordinare e trattenersi a leggere i libri e i giornali, come “Il Caffè Pedrocchi” (il primo dei sei giornali intitolato al nome del Caffè) messi a disposizione dal locale. Alle donne erano offerti in dono fiori e, in caso di pioggia improvvisa, ai clienti veniva prestato un ombrello. Nella sala bianca del Caffè, nella parete di sinistra (per chi entra dall’esterno), si trova ancora il foro di una pallottola sparata dagli Austriaci contro gli studenti che erano insorti l’8 febbraio 1848.
Lo sapevi che…? Il Prato della Valle è una grande piazza ellittica, una delle più grandi d’Europa (misura 88.620 mq), seconda solo alla Piazza Rossa di Mosca.
Prato della Valle. Canaletta con ponticello
Nell’antichità, sebbene si trovasse a ridosso delle mura della città, continuò a mantenere per lungo tempo il suo aspetto paludoso e malsano, dovuto alla conformazione a
catino del terreno, dove l’acqua ristagnava, tanto da assumere quell’aspetto di “valle” che giustifica il nome. Secondo le cronache, per la realizzazione dell’isola Memmia, dei ponti e della canaletta bastarono 44 giorni e senza aggravio per l’erario in quanto Andrea Memmo usò anche il suo denaro. Era noto anche come “il prato senza erba” a causa della carenza di erba dovuta alla presenza di troppi alberi. Oggi invece è completamente erboso, poiché degli alberi originari ne è sopravvissuto solamente uno.
Lo sapevi che…? Nella zona a sud di Piazza delle Erbe si snoda un labirinto di strade strette e di piazzette che formano il Ghetto ebraico operante dal 1603 al 1797. I primi ebrei si insediarono nel XII secolo, ma la comunità crebbe molto in fretta perché l’Università di Padova era una delle poche in Europa ad accettare studenti e docenti di ogni religione. Sono ancora visibili i cardini delle porte che chiudevano il Ghetto durante la notte ed impedivano agli abitanti di uscire dalla zona. Date un’occhiata in alto, nell’incrocio tra via S. Martino e Solferino (ex via Sirena) e via Roma, pensate che dal 1603 Una via del Ghetto ebraico le porte erano quattro, ognuna sorvegliata da un cristiano e da un ebreo. I cristiani non potevano soggiornare nel Ghetto né “tener bottega” . Infatti le attività commerciali nella zona erano fiorenti (nel 1600 c’erano addirittura 63 botteghe) e si vendeva di tutto; molti si dedicavano all’arte della “strazzaria”, ossia al commercio delle cose usate (oggi ci sono eleganti negozi di oggetti vintage…), oppure all’industria degli argentieri. Poi, nel 1777, la Repubblica Veneta permise solo il mestiere della “strazzaria”. Gli ebrei non potevano entrare nelle Corporazioni di Arti e Mestieri e quindi, se non erano “strazzaroi”, avevano la possibilità di praticare solo il prestito del denaro (vietato da sempre ai cristiani), che garantì loro il diritto di residenza. Si rivolgevano ai loro “banchi” per prestiti e pegni molti studenti e professori universitari, ma anche molti signori e nobili che avevano urgente bisogno di denaro liquido. Non potendo risiedere fuori del Ghetto, gli ebrei elaborarono un sistema architettonico particolare. Le loro case, infatti, si sono sviluppate in altezza, hanno realizzato torrette sopraelevate e soppalchi. Vuoi vedere degli esempi di ”case-torri”? Basta andare in Via dell’Arco o nella Corte Lenguazza (bellissima la loggetta e la parte posteriore della Sinagoga tedesca). Proprio nell’angolo di questa Corte esisteva una florida azienda ebraica che salvò dalla povertà molte famiglie di cristiani dando lavoro ad un centinaio di persone.
TURISTA... PER SEMPRE PADOVA PER NOI, CURIOSANDO PER LA CITTA’
L’espressione “restare in bolletta” è di origine padovana. Gli studenti senza soldi (spesso anche gli insegnanti…) vendevano il loro mantello agli “strazzaroi” del Ghetto e ricevevano in cambio una carta bollata (la bolletta appunto).
Piazza dei Signori con la Torre dell’Orologio
Lo sapevi che…? Nel cuore dell’antico Ghetto di Padova in un palazzo cinquecentesco, già sede della scuola rabbinica, si trova l’hotel Majestic Toscanelli. L’hotel, esempio di tradizionale e raffinata ospitalità padovana, nato nel secondo dopoguerra come trattoria e trasformato in albergo nel 1969, è ancora oggi gestito dalla famiglia Morosi di origini toscane, da cui il nome “Toscanelli” . A due passi dall’Università Patavina, ha ospitato personaggi illustri fra i quali i premi Nobel Rita Levi Montalcini e Carlo Rubbia.
Lo sapevi che… ?
rologio progettato da Dondi... manca il segno della Bilancia e lo Scorpione occupa un’area molto ampia. Accadde che i pagamenti non furono correttamente corrisposti e la mancanza di giustizia, unita all’acredine del costruttore, fu segnalata con l’assenza della bilancia. Nel Medioevo, all’angolo di Piazza delle Erbe, davanti alla “scala del vino”, si acquistavano i vini del padovano e dei Colli Euganei. Accanto ai venditori, c’erano i portatori di vino che svolgevano, in caso di bisogno, anche la funzione di pompieri (immaginiamo di vederli alle prese con i frequenti incendi utilizzando mastelli pieni d’acqua, nella speranza che non si confondessero con damigiane di vino...). Guardando dalla parte opposta, si può notare la vecchia iscrizione di via Manin, Via delle Beccherie vecchie, perché qui vi era la corporazione dei macellai, chiamati infatti “beccari”. Nella zona davanti alla Piazza, dalla parte del Ghetto, vi erano molte osterie e banchetti gestiti da giocatori di tarocchi.
L’origine della tipica La Pietra del Vituperio espressione veneta “restare in braghe de tea” si deve alla Pietra del Vituperio, collocata nell’angolo nord-orientale del Gran Salone del Palazzo della Ragione fin dall’inizio del 1200. Su questa pietra i debitori insolventi erano obbligati, dopo essersi spogliati e rimasti in mutande, a battere per tre volte le natiche pronunciando “cedo bonis” (“rinuncio ai miei beni”). Classe III AR Piazza dei frutti anti(hanno collaborato Maria Chiara Ceresoli camente era chiamata del “Peronio”, perché si vendevano e Francesco Belcaro) vicino alla prima colonna zoccoli e stivaletti (dal latino perones). Questa colonna romanica è ancor oggi visibile all’imbocco di via Breda, è costruita in pietra d’Istria e riporta lo stemma della città di Padova, uno scudo con croce e l’effige di San Prosdocimo, primo vescovo della città. Anticamente il primo giovedì di maggio gli “strazzaroi” davano qui spettacolo con l’albero della cuccagna. Era chiamata “festa della Borsa” e, a ricordarlo, è scolpita una borsa marmorea nel Palazzo, in via Marsilio da Padova. In Piazza dei Signori c’è una splendida Torre con un orologio che segna le ore e i minuti, il mese, le fasi lunari e il “luogo astrologiPiazza delle Erbe. Una suggestiva immagine ripresa alle prime luci del giorno co”. Date un’occhiata all’o-
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NOTIZIARIO LA PARTECIPAZIONE DEL PIETRO QUI COMITATO STUDENTESCO NOI CI PROVIAMO
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Cari ragazzi, sono ormai passati pochi mesi dall’inizio di ciò che si potrebbe definire un’avventura. La Nostra avventura! “Nostra” perché il Comitato Studentesco è il cuore pulsante dell’Istituto, è la voce di ogni singolo studente, è il mezzo per far valere le proprie idee ed opinioni. Ma per chi ancora non ci conoscesse, siamo un gruppo di ragazzi che, armati di voglia di fare ( e di una buona dose di pazienza), ha deciso di unire le forze per cercare di dar vita ad un cambiamento concreto che possa rendere questa scuola migliore. Certo, essendo nuovi del “mestiere” inizialmente eravamo terrorizzati dall’idea di deludere le vostre aspettative, però con grande sorpresa abbiamo scoperto di non essere soli. Il sostegno, la partecipazione e l’affetto che ci dimostrate sono la prova di come la Nostra scuola stia diventando unita e sempre più attiva in tutti i campi. Come scordare la fiaccolata, in cui una nostra piccola rappresentanza ha sfilato con onore a fianco delle altre scuole di Padova, o la manifestazione creata in collaborazione con l’Istituto Alberti, che ha dimostrato la volontà e l’impegno delle scuole superiori aponensi a partecipare attivamente alle iniziative studentesche di protesta. Altri due importantissimi traguardi raggiunti sono stati confermati dal successo della festa di Natale e dall’enorme gradimento che il nuovo servizio di fornitura di panini (e non solo) riscuote. E’ davvero molto importante avere il vostro sostegno come fondamento per continuare a costruire un futuro migliore per l’Istituto. Inoltre siamo fieri di annunciarvi che la tanto invocata autogestione (che sarà realizzata sotto forma di cogestione) non solo ha ottenuto il pieno appoggio del preside, ma è già in fase di progettazione e attende solo di essere completata con i vostri suggerimenti. Per questo vi invitiamo a partecipare numerosi ai prossimi collettivi dove potrete farci presente qualsiasi vostro dubbio o darci consigli su qualsiasi argomento. Con la speranza che il nostro lavoro possa servire da traccia anche per gli anni a venire, vi salutiamo con questa frase, che vuol essere di buon auspicio: “Cominciate col fare ciò che è necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”. I vostri rappresentanti
Alessia, Cinzia, Francesco, Pietro, Alberto, Giulia e Valentina
Rubrica a cura di Elisabetta Benvenuti
IL NOTIZIARIO DEL PIETRO PROGETTI DEL POF «FUMI? NO, HO IL VIZIO DI RESPIRARE!»
Progetto “Il vizio di respirare” dell’ Istituto Oncologico Veneto IRCCS
Il progetto “Il vizio di respirare”, iniziato nel 2009 in diversi istituti scolastici di Padova e provincia, si è posto l’obiettivo di prevenire la sperimentazione del fumo negli adolescenti e il successivo passaggio a divenire fumatori consolidati. L’Istituto Alberghiero Pietro d’Abano è caratterizzato, rispetto agli altri istituti superiori, da una maggiore prevalenza di fumatori fin dalla prima classe (29,2% di fumatori nell’ultima settimana di rilevazione all’inizio dell’anno, rispetto alla media di tutti gli altri istituti del 26,4%). Nelle classi successive alla prima il dato è in continua crescita e raggiunge il 45,9% di fumatori nell’ultima settimana fra i ragazzi delle quinte.
LA SIGARETTA ELETTRONICA BOCCIATA DALL’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ Recentemente, con una dettagliata relazione inviata al Ministro della Sanità, l’Istituto Superiore di Sanità ha bocciato l’uso delle sigarette elettroniche con nicotina in quanto presenterebbero “livelli di assunzione di nicotina tali da non poter escludere effetti dannosi per la salute umana, in particolare per i consumatori in giovane età”. La dichiarazione suggerisce al consumatore di tenere un atteggiamento di estrema prudenza e di messa in guardia di fronte ad eventuali rischi derivanti dall’uso del prodotto. Non è neppure dimostrato che il dispositivo sia efficace per dissuadere il dipendente cronico dal fumare la classica bionda. Non solo, ma sembrerebbe che, per i novizi, le sigarette elettroniche costituiscano una sorta di avviamento al fumo di sigaretta. Non esistono ancora ricerche definitive, ma uno dei più recenti studi sull’argomento condotto dalla dottoressa Christina Gratziou dell’Università di Atene e comunicato a Vienna nel settembre 2012, in occasione del meeting della European Respiratory Society, dimostrerebbe la nocività dell’impiego del dispositivo elettronico. Lo studio è stato condotto su 32 soggetti non fumatori e fumatori a cui è stato chiesto di fumare una sigaretta elettronica per 10 minuti. L’assunzione del fumo ha determinato broncospasmo con un aumento della resistenza delle vie aeree fino ad un massimo del 206% nei soggetti non fumatori e del 220% nei fumatori.
* Classi in cui si è attuato l’intervento di prevenzione. E’ evidente dal grafico come l’intervento di prevenzione, unito all’iniziativa “scuola libera dal fumo”, abbia conseguito un'efficacia significativa: al termine dell’anno scolastico, nelle due classi in cui si è attuato l’intervento (I e III), si rileva una minore percentuale di fumatori nell’ ultima settimana. E’ importante ricordare come tutto ciò sia stato ottenuto assieme agli studenti, sia costruendo un consenso sull’iniziativa sia tenendo conto delle critiche e dei suggerimenti emersi durante il lavoro fatto in comune. E’ stato quindi svolto un ottimo lavoro che crediamo possa essere valorizzato anche in termini di immagine positiva della scuola, che sceglie di essere un ambiente educativo libero dal fumo. Una scuola da bollino blu! Federica Tognazzo - psicologa Giovanni Forza - psichiatra tossicologo
OFFICINA DELLA LEGALITA’ «L’essenza della libertà è sempre consistita nella capacità di scegliere come si vuole scegliere e perché così si vuole, senza costrizioni o intimidazioni, senza che un sistema immenso ci inghiotta; e nel diritto di resistere, di essere impopolare, di schierarti per le tue convinzioni per il solo fatto che sono tue. La vera libertà è questa, e senza di essa non c’è mai libertà, di nessun genere, e nemmeno l’illusione di averla», affermava il filosofo Isaiah Berlin, noto per il saggio Due concetti di libertà, capostipite del Liberalismo inteso come limitazione dell’intromissione dello Stato nella vita sociale, economica e culturale all’interno della comunità. Sul tema della legalità, il 15 novembre 2012, si è tenuto nella nostra scuola un incontro con gli esponenti di “Libera”, organizzazione non governativa che da più di quindici anni si impegna nella lotta alle mafie promuovendo la giustizia. Nata nel 1995, come prima iniziativa si è impegnata nel raccogliere circa un milione di firme per una proposta di legge riguardante il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie, in ambito sociale; questione
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NOTIZIARIO DEL PIETRO PROGETTI DEL POF
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tramutata in legge l’anno successivo. Presidente dell’organizzazione è don Luigi Ciotti, attivo fin dalla gioventù nel sociale. L’esperienza ci ha permesso di apprendere, tramite testimonianze, sia gli aspetti dell’illegalità sia la volontà d’animo di queste persone che lottano quotidianamente contro di essa. Il termine legalità interessa molti ambiti della vita di ciascuna persona. Già dai primi anni di scuola ci viene insegnato il rispetto delle regole in modo tale da impedirci di commettere errori futuri. Anche nello sport, fattore importante della crescita fisica e morale, ci vengono trasmessi alcuni principi di legalità come il rispetto dell’avversario, dell’allenatore, del regolamento e soprattutto il concetto di lealtà. A tal proposito sono intervenuti durante l’incontro alcuni dei maggiori esponenti dello sport veneto, tra cui la nuotatrice campionessa italiana Elena Gemo ed il velocista Jacques Riparelli, i quali hanno ribadito i principi fondamentali per raggiungere soddisfazioni nella carriera sportiva. Un fatto eclatante, che possiamo citare a questo proposito, trova come protagonista il ciclista americano Lance Armstrong, pluricampione ritenuto da tutta la critica il più forte ciclista al mondo. Già nel 2004 veniva accusato di aver utilizzato sostanze stupefacenti le quali lo portarono alla squalifica a vita dal mondo del ciclismo. All’inizio del 2013, in un’intervista rilasciata ad un’emittente americana, affermò di essersi affidato al “doping” per riuscire a vincere numerose gare. Per questo fu oggetto di critiche e non solo da esponenti del ciclismo; furono così demoliti
L’ex ciclista americano Lance Armstrong
la sua carriera e gli aspetti principali di una vita fondata sullo sport. La legalità, inoltre, deve essere alla base di ogni Stato e soprattutto deve essere presente nelle persone che lo rappresentano. In questo periodo, in prossimità delle elezioni politiche, tutti i partiti hanno usato il concetto di legalità come punto principale nella loro campagna elettorale, promettendo di escludere dalle loro liste i deputati coinvolti nei processi penali. Purtroppo c’è una notevole differenza tra “il dire ed il fare”. Quindi, se non sono i nostri rappresentanti i primi a rispettare il significato di legalità, non comprendiamo in quale modo il nostro paese possa cambiare... Selene Dell’Anna, Andrea Fabris, Rebecca Irolsini UNA TESTIMONIANZA Giovedì 15 novembre scorso, con l’aiuto della testimonianza di alcuni atleti olimpionici, che hanno raccontato la loro avventura e descritto l’ambiente sportivo a cui appartenevano, sono riuscito a distinguere quello che è legale da tutto ciò che non lo è e a percepire che l’illegalità può facilmente entrare a far parte della nostra vita. Naturalmente molte persone agiscono in modo da non favorire tutti quei comportamenti che poco si adattano allo sport, ma purtroppo ce ne sono anche altre che non si fanno scrupolo ad utilizzare qualsiasi metodo per raggiungere i propri scopi.
Abbiamo sentito le storie di una nuotatrice e di un atleta che corre i 100 metri. Entrambi hanno raccontato i grandi sacrifici che lo sport richiede a quei livelli, ma hanno anche evidenziato l’importanza della volontà e della tenacia per raggiungere gli obiettivi che di volta in volta si erano prefissati. Ascoltando questi atleti ho intuito che la vita è nelle nostre mani e solo con la determinazione e la costanza possiamo modificare il nostro destino, che a volta ci sembra già segnato dalla mediocrità. La nostra vita e il mondo a cui apparteniamo saranno belli o brutti a seconda di cosa scegliamo noi. Scegliere la legalità nel quotidia-
no a volte è difficile, ma penso sia necessario. ...E visto che frequentiamo “L’officina della legalità” è semplicemente questione di fissare bene le viti e serrare i bulloni! Ariel Martinez VISITA AL SIGEP DI RIMINI Accompagnati dagli insegnanti Davide Nicoletto Sergio Torresin, Maurizio Ricci, Saverio Mazzacane e Luca Lupia, le classi III AC, IV AR, IV BR e V AR hanno visitato, lo scorso 22 gennaio, il SIGEP - Salone internazionale di gelateria, pasticceria e panificazione artigianali - presso la Fiera di Rimini. Giunta alla XXXIV edizione, la manifestazione si è confermata la più importante vetrina internazionale nei settori della gelateria, del dolciario e del caffè, e dei prodotti panificati. In rassegna tutte le novità riguardanti materie prime ed ingredienti, ma anche impianti, attrezzature, strumenti di lavoro, arredamento e servizi di supporto. I visitatori e gli operatori dei diversi settori, accorsi come ogni anno in gran numero, hanno potuto assistere a dimostrazioni ed esposizioni e partecipare a corsi e seminari di aggiornamento. ARRIVEREMO AL COPIONE! Il mercoledì è il nostro giorno, il giorno in cui noi, “apprendisti attori del Pietro”, ci troviamo per affrontare le “lezioni di recitazione”. Quando la squadra è al completo si inizia e ci si mette seduti in cerchio. E’ lì che si percepiscono le belle sensazioni che legano il gruppo, ed è lì che, a volte, i professori Bortolami e Benvenuti ci riferiscono le novità e le notizie, anche quelle spiacevoli, come ad esempio la sospensione delle attività tra le quali anche quella del nostro amato teatro. Il gruppo, all’arrivo della notizia, si è “spento”, si è creata una sorta di assenza di “elettricità” tra di noi, ma la forza e l’unione ci hanno dato la speranza di credere che queste attività possano essere riprese e tutto torni a scorrere più veloce di prima. Per il nostro gruppo il teatro è una sorta di complicità con noi stessi e con gli altri. Con il teatro si impara a conoscersi e a crescere, oltre che a conoscere persone nuove, divertirsi e, perché no, anche innamorarsi… Marta Canoppia
IL NOTIZIARIO DEL PIETRO PROGETTI DEL POF GIOCHI STUDENTESCHI DI CORSA CAMPESTRE
Il 4 dicembre 2012, presso il Parco dell’Istituto Alberti, si è svolta la fase d’Istituto dei giochi studenteschi di corsa campestre. Ecco i risultati (primi tre arrivati per categoria):
75° ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DELLA SCUOLA ALBERGHIERA DI ABANO TERME MASCHERE E MASCHERAMENTI Le classi III AR e IV AT/CR, in collaborazione con il prestigioso “Museo Internazionale della Maschera Amleto e Donato Sartori” di Abano Terme e con il contributo della Provincia di Padova, hanno avviato il progetto “Maschere e mascheramenti”, che si concluderà entro la fine dell’anno scolastico. L’obiettivo principale dell’iniziativa è quello di far conseguire ai nostri studenti un’adeguata conoscenza dei mestieri legati all’arte, alla tradizione e al teatro, in una dimensione di valorizzazione della cultura veneta e di quella locale in particolare. Il progetto, coordinato dai proff. M.Chiara Ceresoli e Francesco Belcaro e dalla direttrice del museo architetto Paola Piizzi, è articolato in una serie di iniziative. - Saranno organizzati incontri informativi sulla storia della maschera, da tenersi sia in Istituto sia presso il museo Sartori. In questa sede sarà sviluppato un itinerario guidato anche allo scopo di accostarsi alla gestione museale. - Si svolgerà una visita guidata a Venezia, durante le celebrazioni del Carnevale, per effettuare un’analisi critica dei mascheramenti artistici. - Un incontro si terrà il prossimo 8 marzo, Festa della donna, per approfondire il tema dei mascheramenti al femminile. - Saranno realizzati un videocorso sulla maschera e alcune schede didattiche con lo scopo di portare gli studenti a conoscere la tradizione, i mestieri, il teatro, attraverso le maschere che saranno prese in considerazione. A maggio, infine, presso il nostro Istituto, sarà organizzata una serata di gala per la narrazione dell’esperienza e la traduzione di quanto appreso in una cena a tema, aperta al pubblico.
È già ora di pensare al 2014, anno in cui festeggeremo il 75° anniversario della nascita della Scuola Alberghiera di Abano Terme. Si tratta di un evento di particolare importanza, sia per l’Istituto che per l’intera comunità aponense. Dal 1939, da quando fu avviato il primo corso annuale per la formazione di “Tecnici per l’industria alberghiera”, ne abbiamo fatta di strada, diventando un esempio da seguire nel settore dell’enogastronomia, dell’ospitalità alberghiera e dell’accoglienza turistica. Per la realizzazione dell’evento chiameremo a collaborare con noi tutte le forze politiche e socio-economiche del territorio e quanti hanno a cuore le sorti future del Pietro.
CATEGORIA ALLIEVI MASCHILE 1. ANDREA FORCATO 2FP 2. GIANLUCA BORTOLAMI 2G 3. ANDREA MAGGIOLO 2H
CATEGORIA JUNIOR MASCHILE 1. MATTEO PARTON 4DR 2. MASSIMO CARRARO 4BR 3. ALESSIO ANTONELLO 3BS
“IL CARCERE ENTRA A SCUOLA E LA SCUOLA ENTRA IN CARCERE”. Il 23 gennaio si è concluso il progetto “Il carcere entra a scuola e la scuola entra in carcere” che ha visto coinvolte tutte le classi quarte. Anche questa volta i ragazzi, visitando l’Istituto di pena “Due Palazzi” di Padova dove hanno incontrato i detenuti che curano la pubblicazione della rivista “Ristretti Orizzonti”, si sono dimostrati attenti e sensibili. Hanno abbandonato pregiudizi e luoghi comuni per abbracciare l’umanità delle persone incontrate.
CATEGORIA ALLIEVE FEMMINILE 1. ERIKA CESAROTTO 1H 2. ANNACHIARA PATERNICO’ 1C 3. EVELIN FAVARIN 1D CATEGORIA JUNIOR FEMMINILE 1. CATERINA CALLEGARO 5CR 2. VALERIA BRAMANTE 4DR 3. ILENIA PASQUALATO 4DR
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IL NOTIZIARIO DEL PIETRO BANQUETING E MANIFESTAZIONI CENA DI NATALE DI CONFINDUSTRIA DELEGAZIONE OVEST COLLI
Nella suggestiva cornice dell’Abbazia di Praglia, in un’atmosfera calda e ovattata, vista l’abbondante nevicata del pomeriggio, la sera del 20 dicembre 2012 si è svolta la cena di Natale di Confindustria - Delegazione Ovest Colli. E’ stata un’eccellente occasione per condurre una complessa esercitazione didattica con gli studenti di cucina, sala e ricevimento dell’Istituto. Il presidente della sezione padovana di Confindustria, dr. Massimo Pavin, ha elogiato l’attività dell’Istituto Alberghiero “Pietro d’Abano” e ha indicato nei nostri «laboriosi studenti, tutti ordinati, eleganti e senza cianfrusaglie in testa e nel capo» (parole testuali), il futuro del Paese. Visto il target del tutto particolare, l’evento era stato predisposto per tempo dal personale dell’Istituto e il risultato è stato ottimo. Ecco il menu servito a finger food:
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Aperitivo Pietro D’Abano, Sfogliatine, Minibruschette, Verdure pastellate, Tris tricolore di crocchelle Pasticcio autunnale di radicchio di Treviso e formaggi Riso saltato con dadolata di verdure croccanti Filetto di pesce marinato al timo d’Otranto con scapece di zucca Brisée al peperone con insalatina di finocchio e rotolo di merluzzo con gamberi marinati all’arancio Baccalà alla vicentina e polenta Spiedino di polipo fritto con rondelle di peperoni in agrodolce Chutney di pollo laccato Crocchetta di riso allo zafferano con porro e mousse di pollo al curry Ossocollo in porchetta con insalatina e patate saltate Involtino di verdure e mozzarella Pitta di patate con capperi giganti e salsa mediterranea Parmigiana di melanzane in versione moderna Pasticceria mignon, Crostatine di Linz Tartufino, Girella alla nocciola, Zaletti, Tartellette alla frutta, Baci di dama, Bignè alla crema VINI Spumante extra dry Sengiari Chardonnay Parco del Venda Novello 2012 Parco del Venda Moscato Fior d’arancio Sengiari Moscato Fior d’arancio passito Sengiari
Le studentesse di ricevimento con la dr.ssa Sara Bellini e il Presidente Massimo Pavin
CONCORSO DOLCE NATALE
Giovedì 20 dicembre, presso i laboratori di sala e cucina dell’Istituto, si è tenuto il Concorso “Dolce Natale”, che ha coinvolto gli studenti delle classi 2^E e 2^F e i loro genitori,nella preparazione di dolci natalizi della tradizione familiare. L’iniziativa ha calato i genitori nella realtà scolastica dei figli, coinvolgendoli in un’esperienza che, andando oltre la gara a premi, ha regalato a tutti alcuni momenti di serenità in vista delle festività natalizie. Non è mancato, ovviamente, l’aspetto più propriamente didattico e formativo, considerato che le ricette proposte sono state approfondite dai “pasticcieri”, sia per quanto riguarda la tipologia e il dosaggio degli ingredienti sia per la storia dei dolci proposti. Il progetto, coordinato dalla prof.ssa Ivana Toma, ha avuto un lusinghiero successo anche grazie alla collaborazione del personale tecnico e ausiliario, nonché dei componenti la giuria (proff. Crivellaro, de Saraca, Fanciullo, Grossele, Mandruzzato, D. Nicoletto, Torresin) che, dopo gli assaggi di tutte le torte, hanno espresso il loro verdetto.
OLI Frantoio extra vergine Colli Euganei Rasara extra vergine Colli Euganei (Casa Geremia - Arquà Petrarca) RECEPTION e DECORAZIONI Renate Gilli e gli studenti della classe 4^ AT STAFF DI SALA- SERVIZIO SOMMELIER Fabio Ghirardello e la brigata di sala della classe 3^ AS
Gli studenti di sala e di cucina
CHEF DI CUCINA Vito Fanciullo Davide Nicoletto, Sergio Torresin e la brigata di cucina della classe 3CC
RISULTATI 1° premio - “Soufflé di panettone con semifreddo all’arancio”. Chiara Peranzoni e papà - 2F 2° premio “Torta di pere e cioccolato”. Marco Cecchini e papà - 2F 3° premio - Cheesecake ai frutti di bosco”. Erik Costa e mamma - 2E Premio speciale per dolce tipico extra confine - “Il bacio”. Olga Bondarenko e mamma - 2F
IL NOTIZIARIO DEL PIETRO BANQUETING E MANIFESTAZIONI
A partire dalla foto in alto: - La prof.ssa Ivana Toma dà suggerimenti ai suoi allievi per la miglior riuscita delle torte. - Studenti e genitori alle prese con la lavorazione delle torte. - I proff. Luigi Mandruzzato (Cipriani di Adria) e Sergio Torresin (Pietro d’Abano) effettuano una prima valutazione delle produzioni. - Il Presidente dell’Associazione Cuochi Terme Euganee Claudio Crivellaro premia la studentessa Chiara Peranzoni classificatasi al primo posto.
IL VENETO SI SCOPRE A TAVOLA TRA TRADIZIONE E INNOVAZIONE Grande festa al Pietro d’Abano in prossimità delle festività natalizie! Il 13 dicembre scorso gli studenti della classe 5BR, guidati dalla prof.ssa di Laboratorio di Organizzazione e Gestione dei Servizi Ristorativi, Ivana Toma, e dallo chef Nicola Michieletto, hanno organizzato uno speciale banchetto, nell’ambito del Project Work di “Alternanza Scuola-Lavoro”. Prendendo lo spunto dal programma di studio delle classi quinte e considerando le modalità di svolgimento degli Esami di Stato, che prevedono la realizzazione di moduli pluridisciplinari, l’attività didattica si è sviluppata con l’apporto dei docenti di più discipline. Gli alunni, infatti, guidati dall’insegnante di Italiano e Storia, prof.ssa Irene Slaviero, hanno effettuato una ricerca sul “banchetto” nella storia, nella cultura e nella tradizione del Veneto e hanno esposto le loro conoscenze sull’argomento nelle lingue straniere studiate: inglese, francese e tedesco. Da metà pentamestre, infine, seguiranno le lezioni della prof.ssa Mariantonietta Stacchiotti sulle caratteristiche nutrizionali dei piatti predisposti per il banchetto. La realizzazione del banchetto, discussa in classe e pianificata per tempo, ha mirato a perfezionare negli studenti le abilità e le competenze acquisite nel triennio di qualifica e nelle esperienze di “Alternanza Scuola-Lavoro” svolte in classe quarta. Nello specifico, gli alunni hanno dovuto dimostrare di conoscere e saper valutare i problemi della programmazione e del coordinamento del personale addetto a un reparto, controllare l’efficacia del lavoro e favorire la comunicazione e l’interscambio funzionale tra i membri del reparto stesso. Al banchetto, ispirato alla tradizione veneta e al gran bollito, hanno partecipato il dirigente scolastico e il presidente del Consiglio d’Istituto, i docenti del Consiglio di classe e numerose autorità in rappresentanza di Enti e Associazioni tra cui il sindaco di Abano Terme Luca Claudio, i dirigenti scolastici Andrea Bergamo dell’Ufficio scolastico provinciale e Paolo Merlo dell’I.C. di Abano Terme, l’ex preside del Pietro d’Abano Paolo Rosaspina, lo chef Claudio Crivellaro della FIC, il maître Lorenzo Demarco dell’AMIRA, il delegato dell’AIS Bruno Maniero, il segretario dell’APPE Angelo Luni. Il servizio di sala è stato curato dalla
brigata di sala della classe 5CR coordinata dal prof. Fabio Ghirardello. Ecco il menu: Aperitivo di benvenuto. Nido di polentina con funghi chiodini trifolati, Asiago e soppressa nostrana. Tortellini di carne in brodo di cappone. Risotto di tastasal leggermente brasato al barolo con radicchio di Treviso IGT. Gran bollito misto alla padovana: testina di vitello, copertina di manzo, cotechino, lingua e gallina di corte con salsa verde al rafano e salsa cren. Purea di patate. Pomodorini al gratin. Mousse di cioccolato bianco. I vini, tra cui il pluripremiato Lambrusco Marcello IGP (Gran medaglia d’oro al Vinitaly 2011 come miglior vino rosso frizzante al mondo)sono stati forniti dall’Azienda vitivinicola Ariola di Parma.
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A partire dalla foto in alto: i proff. Nicola Micheletto e Ivana Toma, l’assessore Bordin, il sindaco Luca Claudio, il preside Paolo Merlo, lo chef Claudio Crivellaro e il maître Lorenzo Demarco, il segretario dell’APPE Angelo Luni e la prof.ssa Gabriella Orlandini e altri ospiti del tavolo imperiale.
IL NOTIZIARIO DEL PIETRO EVENTI E MANIFESTAZIONI SALUTO DI NATALE DEL PREFETTO DI PADOVA Il nostro Istituto ha ricevuto l’incarico dal Prefetto di Padova, dott. Ennio Maria Sodano, di predisporre i servizi di accoglienza e di sala-bar in Prefettura, il pomeriggio di giovedi 20 dicembre 2012, in occasione del consueto saluto di Natale che il Prefetto rivolge ai Sindaci della provincia di Padova e alle autorità del territorio. Il servizio prestato in attività di Alternanza Scuola-Lavoro, è stato realizzato dal prof. Andrea Ferrarese con gli studenti delle classi 5CR e 4CR, per l’attività di sala, e 4AT per l’attività di ricevimento. Il Prefetto si è congratulato per la qualità del servizio assicurato dal nostro l’Istituto e ha inviato una lettera di ringraziamento.
DEGUSTAZIONI presso la Sala rossa dell’Istituto
BIRRA - Il 14 novembre 2013 si è svolta una lezione speciale di sala-
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bar. Il prof. Mario Semenzato, coadiuvato dai suoi studenti di 3BS ha condotto una degustazione con panel test su alcune birre, tra quelle più conosciute in commercio. Ospiti d’onore il Preside e i proff. Lucia Trevisan (principi di Alimentazione) e Sergio Torresin (Laboratorio di cucina). Sono state degustate e messe a confronto le seguenti birre: - Guinness stout - Moretti La Rossa doppio malto - Warsteiner Pilsen Gli studenti e il prof. Semenzato, ancora prima del test, hanno presentato una breve storia della birra e alcune curiosità relative al suo consumo in Italia e nel mondo.
PORTE APERTE Il dr. Domenico Alberti illustra agli studenti le caratteristiche di varie qualità di formaggi italiani e francesi
FORMAGGI - Venerdì 18 gennaio scorso è stato ospite dell’Istituto il dr. Domenico Alberti, funzionario della Ambrosi Spa ed esperto nel settore lattiero-caseario. Coadiuvato dal prof. Lorenzo Tonello, ha tenuto una lezione sulle caratteristiche dei formaggi agli studenti della classe 3AS. Per l’occasione gli alunni erano stati adeguatamente preparati dai loro docenti, prof.ssa Daniela Coccato e prof. Fabio Ghirardello. L’illustrazione delle caratteristiche dei formaggi francesi e del loro abbinamento con i vini - in particolare un ottimo Champagne e un Sauternes d’annata- è stata l’occasione per una piacevole conversazione in lingua francese. Le diverse fragranze dei formaggi, l’ottimo vino e la raffinata lingua d’oltralpe hanno creato un’atmosfera particolare molto apprezzata da ospiti e studenti.
A SCUOLA DI CUCINA CON IL GRANA PADANO - La Prof.ssa Mariantonietta Stacchiotti collabora da 8 anni con il Sig. Paolo Parisse, esperto formatore del Consorzio Grana Padano, che illustra agli studenti le caratteristiche di questo straordinario prodotto. Inizialmente venivano coinvolte, nelle lezioni conoscitive e nell’attività di degustazione, solo le classi terze. Ora questo progetto è rivolto alle classi quinte e vi è abbinato un concorso per la preparazione di una ricetta a base di Grana Padano del tutto inedita e originale. Le classi coinvolte sono state, il 29 gennaio scorso, la 5AR e la 5BR.
Nei giorni 2 dicembre 2012 e 12 gennaio 2013 si sono svolti i consueti incontri di “Porte aperte”, riservati agli studenti delle scuole medie che, entro il 28 febbraio, dovranno scegliere la scuola secondaria di secondo grado nella quale iscriversi per il prossimo anno scolastico. I visitatori, numerosissimi, sono stati accolti in hall dal preside e dagli insegnanti di ricevimento. Dopo una prima presentazione dell’Istituto, hanno visitato la scuola e partecipato agli incontri di approfondimento sui temi della riforma, del POF, dell’inserimento degli studenti stranieri e di quelli diversamente abili, nonché sulle iniziative riguardanti gli scambi culturali e sull’insegnamento delle lingue straniere. Al termine del tour, gli allievi di ricevimento, sala, cucina e i loro docenti hanno intrattenuto gli ospiti, illustrando le principali caratteristiche dei laboratori specialistici. Non è mancato il buffet finale, predisposto con il prezioso aiuto del personale assistente e dei collaboratori scolastici. I ragazzi in servizio per l’occasione hanno dato il meglio di sé, ricevendo molti elogi dagli intervenuti.
Riprese le attività extracurricolari Con delibera del 30 gennaio 2013, il Collegio dei Docenti ha approvato di riavviare tutte le attività extracurricolari, bloccate a metà dicembre per protestare contro la miope politica scolastica del governo
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Via Appia, 9 Abano Terme (PD) - Tel. 049/812571
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Anna Zaffin, centina all’Esame di Stato 2011- Sara Cattelan, primo premio eccellenza secondo Rebecca Santimaria, primo premio eccellenza 2012, premiata dal Vicesindaco di Abano Terme biennio, premiata dalla Presidente di Inner Wheel primo biennio, premiata dalla dr.ssa Elisabetta Sabrina Moretto. Maria Viscidi Maggiolo. Mattiello di Inner Wheel.
STUDENTI ECCELLENTI DELL’ISTITUTO Con delibera n°70 dell’11 settembre 2012, il Consiglio d’Istituto ha istituito il Premio Studenti Eccellenti conferito agli allievi che, nel corso dell’anno scolastico 2011/2012, si sono particolarmente distinti nelle attività scolastiche ed extrascolastiche dell’Istituto. I premi, costituiti da borse di studio in denaro o da buoni libro o da pubblicazioni di pregio, unitamente ad un diploma di merito, sono stati consegnati ai vincitori nell’ambito di una cerimonia abbinata ad un pranzo di gala, svoltasi sabato 26 gennaio 2013. Erano presenti, oltre agli studenti, anche i loro genitori, i loro insegnanti e varie autorità, nonché i responsabili del Club Inner Wheel – Distretto 206 di Abano-Montegrotto e dell’Associazione Italiana Sommelier, enti che hanno assegnato alcune borse di studio. Dopo i saluti del Dirigente scolastico Luigino Grossele, del Presidente del Consiglio d’Istituto Beniamino Benetazzo, dell’Assessore provinciale Gilberto Bonetto e del Vicesindaco di Abano Terme Sabrina Moretto, gli studenti eccellenti sono stati premiati ad uno ad uno, con sottofondo il suono di scroscianti applausi. La premiazione si è conclusa con la comunicazione che l’iniziativa sarà riproposta ogni anno, in forma permanente, con la piena adesione e la rinnovata disponibilità delle associazioni e degli Enti locali presenti. STUDENTI ECCELLENTI - 2011/2012
Cinzia Baliello, secondo premio al Concorso nazionale Sommelier Junior e il suo mentore prof. Fabio Ghirardello, sono premiati dal delegato dell’AIS Veneto prof. Bruno Maniero
LE MIGLIORI PAGELLE - 1° biennio REBECCA SANTIMARIA - Primo premio ALESSIO LIONELLO - Secondo premio ANDREA FABRIS - Terzo premio LUCA BIANCO - Quarto premio SARA SANTIMARIA - Quinto premio LE MIGLIORI PAGELLE - 2° biennio SARA CATTELAN - Primo premio GESSICA SGUOTTI - Secondo premio MASSIMO CARRARO - Terzo premio ex aeq. GIACOMO FABRIS - Terzo premio ex aeq. PIETRO RIGATO - Quinto premio
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Aperitivo di benvenuto Tortino di sfoglia salata con cipolle e pancetta alla lionese con salsa allo zafferano Risotto di tastasal leggermente brasato con radicchio rosso di Treviso IGT Crespelle di grano saraceno alla ricotta e spinaci gratinati in stile fiorentino Spalla di Vitello al forno aromatizzata al rosmarino Patate Parmentier profumate all’aglio e timo - Pomodori al Gratin Mousse di cioccolato bianco
ABBINAMENTO VINI Claudia – Rosè Spumante (Cantina Ariola - PR) Traminer aromatico (Cantina Ronchi S.Giuseppe - UD) Soave classico (Cantina Tommasi Viticoltori - VR) Morellino di Scansano (Cantina Val delle rose - GR) Desideria (Cantina Ariola - PR)
LA MIGLIORE PAGELLA DI STUDENTI DI NAZIONALITA NON ITALIANA XIAO SHAO PAN
STAFF
IL MIGLIOR ESITO ALL’ESAME DI STATO ANNA ZAFFIN (100/100) LA MIGLIORE TESI DI STAGE CL. 3^ GIULIA RIATTI IL MIGLIOR SOMMELIER JUNIOR AL CONCORSO NAZIONALE CINZIA BALIELLO - Seconda classificata
Gessica Sguotti (sopra) e Alessio Lionello (sotto), seconde migliori pagelle rispettivamente del secondo e primo biennio, premiati dall'assessore provinciale Gilberto Bonetto.
Giulia Riatti, migliore tesi di stage di classe 3^, premiata dalla Consigliere comunale delegata all’istruzione Adriana Ottaviano Xiao Shao Pan, migliore pagella di studenti di nazionalità non italiana, premiata dal Preside Luigino Grossele.
Altri momenti della cerimonia di premiazione. Studenti della brigata di cucina al termine del pranzo di gala e lo chef Fabio Momolo che saluta gli ospiti.
Reception: studenti classe 3AR (Prof. F. Belcaro) Sala: studenti classi 4BR, 4DR e 2E (Prof. L. Tonello) Servizio di sommelier: AIS (Capo servizio A. Peretto) Cucina: studenti classi 5BR, 4AR e 2E (Proff. F. Momolo, D. Nicoletto e I. Toma) Per la realizzazione dell’evento hanno collaborato: la DSGA, gli assistenti amministrativi e tecnici di cucina, sala, ricevimento, guardaroba, informatica e magazzino, i collaboratori scolastici