Table of Contents Insufficienza respiratoria...................................................................................................................... 2 L'ipossiemia..................................................................................................................................... 2 L'ipercapnia......................................................................................................................................5 La ventilazione..................................................................................................................................... 7 I due tipi di insufficienza respiratoria...................................................................................................8 Diagnosi e terapia dell'insufficienza respiratoria ipossiemica......................................................... 8 Ossigenoterapia........................................................................................................................... 9 PEEP............................................................................................................................................9 Diagnosi e terapia dell'insufficienza respiratoria ipercapnica....................................................... 10 Cenni di ventilazione meccanica........................................................................................................ 10 Ventilazioni controllate. ........................................................................................................... 11 Ventilazioni assistite. ................................................................................................................ 11 CPAP. ........................................................................................................................................11
Insufficienza respiratoria L'insufficienza respiratoria è una condizione in cui sono alterati il processo di ossigenazione del sangue e/o quello di eliminazione di anidride carbonica (CO2) dall'organismo. Questi due processi hanno come rispettiva conseguenza l'ipossiemia e/o l'ipercapnia. Le cause di ipossiemia ed ipercapnia sono profondamente diverse tra di loro.
L'ipossiemia. L'ossigenazione avviene nelle strutture alveloari. Il gas inspirato arriva negli alveoli che sono avvolti da una fitta rete di vasi capillari della circolazione polmonare. Quando respiriamo aria, la pressione parziale di ossigeno negli alveoli (PAO2) è di circa 100 mmHg. Di seguito puoi trovarne (in corsivo) la spiegazione: è un approfondimento interessante ma facoltativo. L'ossigeno nell'aria atmosferica. La pressione atmosferica (a livello del mare) è di 760 mmHg: questa è la pressione totale dei gas che la compongono. Il 21% dell'aria atmosferica è composto da O2, il 78 % da azoto (N2) e il 1% da altri gas. Sappiamo che la pressione totale di una miscela di gas è uguale alla somma della pressione parziale di ogni singolo gas che la compone (legge di Dalton). Questo vuol dire che il N2 ha una pressione parziale pari al 78% della pressione totale, cioè circa 593 mmHg, il O2 una pressione parziale di circa 160 mmHg (il 21% della pressione totale) mentre gli altri gas avranno complessivamente una pressione parziale di circa 8 mmHg, cioè il 1% della pressione atmosferica. L'ossigeno nelle vie aeree. Le vie aeree di conduzione iniziano da naso e bocca e terminano nei bronchioli terminali. Nelle vie aeree la composizione dell'aria cambia rispetto a quella dell'aria atmosferica. Infatti all'interno delle nostre vie aeree l'aria viene umidificata dalle mucose e, a 37°C di temperatura, il vapore acqueo esercita una pressione parziale di 47 mmHg. I 760 mmHg di pressione totale quindi nelle vie aeree sono suddivisi in 47 mmHg di pressione
parziale di vapore acqueo e 713 mmHg di pressione esercitata dai gas che sono presenti nell'atmosfera. L'O 2 rimane sempre il 21% di questi gas e quindi esercita una pressione parziale pari al 21% di 713 mmHg, quindi circa 150 mmHg. L'ossigeno negli alveoli. Il flusso di aria inspirata si ferma al termine delle vie aeree di conduzione (nei bronchioli
terminali). Negli alveoli la composizione dei gas cambia ancora. Infatti negli alveoli diffonde da una parte l'aria presente nei bronchioli terminali (la cui composizione abbiamo visto nel paragrafo precedente) e dall'altra parte i gas che sono contenuti nei capillari polmonari. La CO2 trasportata dai capillari polmonari si equilibra con quella degli alveoli: alla fine dei capillari polmonari la pressione parziale di CO2 è sovrapponibile a quella degli alveoli ed è circa 40 mmHg. La CO2 negli alveoli toglie spazio all'ossigeno che riduce quindi la propria pressione parziale di un valore pari alla PACO2 (pressione parziale di CO2 alveolare) diviso il quoziente respiratorio. Il quoziente respiratorio è il rapporto tra la CO2 prodotta e l'O2 consumato e normalmente è circa 0.8. Quindi la riduzione della pressione parziale di O2 negli alveoli rispetto a quella delle vie aeree è pari a 40 mmHg (la P ACO2) x 0,8 (il quoziente respiratorio) = 50 mmHg. Questo è il motivo per cui la PAO2 è circa 100 mmHg. Tutto questo ragionamento è sintetizzato nell'equazione dei gas alveolari: P AO2= (Patm – PH2O) x FIO2 – PaCO2/QR, dove Patm è la pressione atmosferica, PH2O la pressione di vapore acqueo, FIO2 la frazione inspiratoria di O2 e QR il quoziente respiratorio.
Nomenclatura (importante!): da qui in avanti di darà per scontato che si conosca la nomeclatura che serve a capire il significato delle varie sigle. P= pressione, F=frazione, a=arterioso, v=venoso, A=alveolare, I=inspiratorio, E=espiratorio. Il sangue proveniente dai tessuti ritorna al cuore destro attraverso le vene cave e da qui e viene eiettato in arteria polmonare. L'arteria polmonare contiene quindi sangue venoso che normalmente ha un PvO2 di circa 40 mmHg. I capillari polmonari che entrano in contatto con
strutture alveolari normalmente ventilate, equilibrano con esse la PO2: alla fine del percorso del sangue nel capillare polmonare la PO2 sarà quindi diventata uguale alla PAO2, cioè 100 mmHg.
Immaginiamo ora un alveolo senza ventilazione, ad esempio un alveolo senza aria perchè occupato da batteri, proteine, cellule e liquido come avviene nelle aree di polmone interessate da una polmonite. In questo caso il sangue dei capillari polmonari viene a contatto con un alveolo che non contiene O2 perchè l'alveolo non contiene gas. Quindi la PO2 del capillare sarà circa 40 mmHg quando viene a contatto con l'alveolo e sarà ancora 40 mmHg quando il sangue capillare abbandona la superficie alveolare e si immette nella circolazione venosa polmonare. Il sangue che torna al cuore sinistro (che è il sangue arterioso) non si sarà ossigenato ed avremo ipossiemia. Quando la circolazione polmonare avviene in aeree di polmone non ventilate si parla di shunt, quando invece (come più spesso accade) si hanno aree poco ventilate si parla di effetto shunt.
Nella figura sotto a sinistra è esemplificata una struttura alveolare normalmente ventilata e normalmente perfusa. Da una struttura polmonare di questo tipo ci possiamo aspettare una buona ossigenazione. A destra invece è schematizzata una zona di polmone in cui gli alveoli hanno un contenuto di gas molto ridotto e quindi non sufficiente a ossigenare completamente il sangue dei capillari polmonari: qui avremo un effetto shunt.
Shunt ed effetto shunt sono i meccanismi normalmente responsabili dell'ipossiemia. L'ipossiemia è quindi una condizione che si genera normalmente quando si ha una malattia del parenchima polmonare con una quantità si flusso nei capillari polmonari sproporzionatamente superiore al volume di gas alveolare. Questo spesso si verifica quando gli alveoli ricevono poco gas perchè occupati da fluido e materiali infiammatori come può avvenire in corso di polmonite o edema polmonare. In questi casi la PaCO2 non si modifica molto. Infatti la PvCO2 è normalmente 46 mmHg mentre la PaCO2 è 40 mmHg. Quindi in caso di shunt la PaCO2 aumenterebbe solamente dai teorici 40 a 46 mmHg. Inoltre la CO2 è un gas molto diffusibile e quindi in caso di effetto shunt riesce a passare molto facilmente negli alveoli, equilibrandosi con essi, a patto che poi la CO2 sia poi allontanata dagli alveoli con la ventilazione.
L'ipercapnia. Come abbiamo visto in precedenza, l'aria inspirata non contiene quantità significative di CO2. Gli
alveoli si riempiono di CO2 per la diffusione di quest'ultima dai capillari polmonari. La CO2 che è arrivata negli alveoli viene poi eliminata dall'organismo grazie alla ventilazione, cioè il flusso di aria che entra ed esce dalle vie aeree.
Come abbiamo visto in precedenza la PvCO2, che è uguale alla PCO2 all'inizio del capillare polmonare, è normalmente 46 mmHg e dipende principalmente da metabolismo e circolazione tissutale. Con una ventilazione normale, la rimozione della CO2 con la ventilazione consente all'organismo di mantenere negli alveoli una PACO2 di circa 40 mmHg. Poichè alla fine del capillare polmonare la PCO2 alveolare e capillare sono arrivate all'equilibrio, la PCO2 alla fine del capillare polmonare sarà circa 40 mmHg. I capillari polmonari confluiscono nelle vene polmonari che arrivano alle sezioni sinistre del cuore, dove troviamo il sangue arterioso. Se la ventilazione diminuisce, si riduce la rimozione di CO2 dagli alveoli. Ne consegue che la PACO2 aumenterà e di conseguenza anche la PaCO2. Al contrario, se la ventilazione aumenta, l'eliminazione della CO2 dagli alveoli aumenterà, riducendo la PACO2 e di conseguenza anche la PaCO2. Esiste quindi un costante equilibrio tra P ACO2 e PaCO2.
A questo punto diviene evidente che la causa dell'ipercapnia è l'ipoventilazione.
La ventilazione. La ventilazione è uguale al volume corrente (o tidal volume, VT) per la frequenza respiratoria (FR). Il volume corrente è la quantità di aria che entra ed esce dalle vie aeree in un singolo respiro e fisiologicamente è di circa 500 ml. La frequenza respiratoria a riposo è circa di 12 respiri al minuto, il volume espirato (VE) ogni minuto è circa 6 l/min. Tuttavia la ventilazione che arriva agli alveoli (ventilazione alveolare, VA) è minore della VE. Infatti una parte del volume corrente si ferma nelle vie aeree, definite anche spazio morto poiché non partecipano agli scambi gassosi che avvengono a livello alveolare. In un soggetto normale il volume dello spazio morto (dead space, VD) è di circa 150 ml. La ventilazione alveolare è quindi uguale a: VA = (VT – VD)/FR. La PaCO2 dipende dalla ventilazione alveolare VA, non dalla ventilazione totale VE, e dalla produzione di CO2 dell'organismo (V'CO2) secondo la seguente relazione: PaCO2 = k x V'CO2/VA. Questo significa che le variazioni di ventilazione alveolare producono variazioni inversamente proporzionali di PaCO2 a parità di produzione di CO2. Si può avere quindi ipercapnia quando si riduce la frequenza respiratoria. Questo normalmente avviene quando è depressa l'attività dei centri del respiro localizzati a livello del tronco dell'encefalo, ad esempio come conseguenza di farmaci (oppioidi, anestetici), traumi, emorragie o ischemie cerebrali. L'ipercapnia può anche essere conseguenza di una riduzione del volume corrente, come ad esempio nei casi di debolezza muscolare. Questi possono essere legati a malattie (sindrome di GuillainBarrè, sclerosi laterale amiotrofica), farmaci (bloccanti neuromuscolari) o fatica dei muscoli respiratori. La riduzione del volume corrente può ovviamente avvenire anche per ostruzione delle vie aeree o per l'inefficienza della ventilazione secondaria alla presenza di numerose fratture costali.
I due tipi di insufficienza respiratoria. Possiamo ora capire bene la differenza tra l'insufficienza respiratoria ipossiemica e quella ipercapnica. La prima si configura come un'insufficienza del parenchima polmonare mentre la seconda come un'insufficienza della pompa respiratoria, cioè quel sistema neuro-osteo-muscolare che fa muovere la gabbia toracica generando la ventilazione.
Vista la differenza tra le cause di insufficienza respiratoria ipossiemica ed ipercapnica, ovviamente anche la terapia sarà completamente diversa.
Diagnosi e terapia dell'insufficienza respiratoria ipossiemica. La diagnosi di insufficienza respiratoria ipossiemica è posta in caso di ipossiemia. Su molti testi l'ipossiemia è definita come una PaO2 inferiore a 60 mmHg. Poichè però spesso abbiamo a che fare con pazienti che ricevono O2, risulta più utile fare uso uno strumento di valutazione dell'ipossiemia che tenga conto della quantità di O2 somministrato al paziente. Per questo motivo si utilizza il rapporto PaO2/FIO2. La FIO2 è la percentuale di O2 somministrato divisa per 100. Se ad esempio stiamo somministrando il 60% di O2, la FIO2 sarà di 0.6. Se la PaO2 ottenuta fosse 90 mmHg, il PaO2/FIO2 sarebbe 150 mmHg. Questo ci consente di
confrontare la gravità dell'ipossiemia ottenuta con FIO2 differenti. (Per approfondimenti sul valore del PaO2/FIO2 per valutare la gravità dell'insufficienza respiratoria, vedi il SOFA nella presentazione sull'insufficienza respiratoria).
La terapia dell'insufficienza respiratoria ipossiemica poggia su somministrazione di O2 e PEEP.
Ossigenoterapia. L'ossigenoterapia è efficace nel trattamento delle forme meno gravi di ipossiemia. Aumentando la FIO2 aumentiamo la PAO2 e questo ci può portare ad un'incremnto della PaO2. Tutto ciò funziona se riusciamo a fare arrivare una maggior quantità di ossigeno negli alveoli. (Per approfondimenti sulle modalità di somministrazione dell'ossigenoterapia vedi la presentazione sull'insufficienza respiratoria).
PEEP. Se non si ha un sufficiente miglioramento dell'ossigenazione con l'ossigenoterapia, si deve agire sul meccanismo che determina l'ipossiemia, cioè sull'effetto shunt. Abbiamo visto in precedenza che l'effetto shunt si produce quando il volume di gas negli alveoli si riduce. Per aumentare il volume degli alveoli bisogna applicare una pressione positiva, cioè una pressione superiore a quella atmosferica che apra e mantenga ben aperti alla ventilazione il maggior numero di alveoli. Questa pressione positiva prende il nome pressione positiva di fine espirazione (positive end-expiratory pressure, PEEP). In sostanza si impedisce che alla fine dell'espirazione la pressione alveolare ritorni a zero (cioè al valore della pressione atmosferica) ma si impone una pressione leggermente superiore a quella atmosferica (di solito 5-15 cmH2O più elevata).
Diagnosi e terapia dell'insufficienza respiratoria ipercapnica. La diagnosi di insufficienza respiratoria ipercapnica acuta si può fare quando un aumento della PaCO2 (> 45 nnHg) si associa ad una riduzione del pH (< 7.35). Quando l'aumento della PaCO2 è concomitante ad un pH tra 7.35 e 7.40 la condizione è cronica. Se l'ipercapnia si associa ad un pH > 7,40 probabilmente siamo di fronte ad un'alcalosi metabolica con compenso respiratorio. (Per approfondimenti sulla diagnosi acido-base vedi la presentazione sull'insufficienza respiratoria).
La terapia dell'insufficienza respiratoria ipercapnica è la ventilazione meccanica che consente di erogare al paziente una VE senza necessità della sua attività muscolare.
Cenni di ventilazione meccanica. L'inspirazione fisiologica inizia quando i muscoli inspiratori (principalmente il diaframma) si contraggono. La contrazione dei muscoli inspiratori aumenta la dimensione dei polmoni riducendo la pressione al loro interno al di sotto del valore di pressione atmosferica. L'aria va sempre dalle zone di pressione più elevata a quelle con meno pressione, e quindi un flusso di aria si sposta dall'ambiente ai polmoni. L'espirazione inizia quando i muscoli inspiratori si rilasciano, la gabbia toracica ed i polmoni ritornano alla loro dimensione iniziale, i gas al loro interno aumentano di pressione generando un flusso verso l'esterno che cessa quando la pressione dentro i polmoni ritorna uguale a quella atmosferica.
La ventilazione meccanica agisce in maniera molto diversa. L'inspirazione (meglio definita come insfufflazione) avviene perchè la pressione aumenta nel ventilatore meccanico che è collegato ai polmoni del paziente. L'aumento di pressione nel ventilatore meccanico determina un flusso di aria verso i polmoni che cessa (all'equilibrio) quando le pressioni nei polmoni diventano uguali a quelle del ventilatore meccanico. L'espirazione comincia quando la pressione del ventilatore meccanico si riduce: a questo punto l'aria passerà dai polmoni verso il ventilatore. La pressione che il ventilatore mantiene durante l'espirazione è la PEEP. Durante l'inspirazione verrà applicata una pressione superiore alla PEEP. Maggiore è il volume di gas che si vuole dare al paziente, maggiore sarà la pressione che il ventilatore genera durante l'insufflazione.
Ventilazioni controllate. Esistono modalità di ventilazione dove il paziente è completamente passivo e tutta la ventilazione è a carico del ventilatore meccanico. Sarà quindi questo a determinare sia il volume corrente che la frequenza respiratoria, secondo le impostazioni decise dal medico che imposta la ventilazione meccanica. Le ventilazioni controllate sono normalmente utilizzate nelle sale operatorie durante l'anestesia generale e nelle Terapie Intensive per trattare i pazienti nella fasi più gravi delle insufficienze respiratorie.
Ventilazioni assistite. In Terapia Intensiva si cerca, appena possibile, di fare condividere il carico della ventilazione tra ventilatore meccanico e paziente. Le modalità di ventilazione che consentono questo sono definite ventilazioni assistite. In queste di norma è il paziente che decide la frequenza respiratoria: quando il paziente inspira, il ventilatore meccanico aiuta l'inspirazione aumentando la pressione e generando un flusso di aria verso il paziente.
CPAP. La pressione positiva continua nelle vie aeree (continuous positive airway pressure, CPAP) è un respiro spontaneo con una pressione positiva costante sempre presente nelle vie aeree. Il ventilatore non modifica mai la pressione, si limita a mantenere costante una pressione positiva
durante tutto il ciclo respiratorio (inspirazione ed espirazione). Fisiologicamente respiriamo avendo una pressione di zero (cioè uguale alla pressione atmosferica, ovvero 760 mmHg che corrispondono a 1013 cmH2O) all'apertura delle nostre vie aeree. Come si genera la ventilazione spontanea in queste condizioni lo abbiamo visto all'inizio del paragrafo. Con la CPAP facciamo esattamente la stessa cosa, ma la nostra pressione alla bocca è sempre costantemente più alta della pressione atmosferica. Ad esempio una CPAP di 10 cmH2O significa che all'apertura delle nostre vie aeree avremo sempre una pressione di 10 cmH2O più alta di quella atmosferica. Esprimendoci in termini di pressioni assolute, in respiro spontaneo abbiamo sempre 1013 cmH2O di pressione all'apertura delle vie aeree, mentre in CPAP 10 cmH2O avremo sempre 1023 cmHO2 di pressione all'apertura delle nostre vie aeree.