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9 Indicazioni e tipologia degli interventi chirurgici CAPITOLO
Maurizio Marchesi, Matteo De Stefano, Enrico De Antoni Tumori maligni differenziati Le indicazioni e la tipologia degli interventi per carcinoma differenziato della tiroide sono condizionati dall’istotipo, dall’età del paziente e dall’estensione locale e sistemica della malattia. Per quanto riguarda l’istotipo, i carcinomi differenziati possono essere distinti in due categorie anatomopatologiche: i tumori ben differenziati (carcinoma papillifero ben differenziato, microcarcinoma papillifero, carcinoma papillifero incapsulato, carcinoma follicolare minimamente invasivo); i tumori a minore differenziazione o “aggressivi” (carcinoma papillifero variante a cellule alte, variante colonnare, variante sclerosante diffusa; carcinoma follicolare ampiamente invasivo; carcinoma a cellule di Hürthle oppure ossifilo; carcinoma insulare) 18, 27, 32, 61, 93, 95, 126, 129. I tumori ben differenziati sono caratterizzati da una ridotta aggressività oncologica (scarsa invasività locale ed ematogena, metastasi linfonodali non determinanti sulla prognosi) che consente sopravvivenze a distanza superiori al 90% a dieci anni 8, 10, 11, 21-23, 25-27, 31, 39, 41, 56, 57, 65, 67, 78, 98, 100, 101, 104, 108, 110, 113, 128 . Tuttavia le caratteristiche biologiche in-
fluenzano in modo determinante la condotta terapeutica: alla multicentricità e alla linfofilia delle neoplasie papillifere sono subordinate infatti sia l’estensione dell’intervento chirurgico sia le modalità del trattamento oncologico postoperatorio. Il carcinoma papillifero della tiroide è multicentrico e bilaterale nel 2080% dei casi, mentre nel 35-65% dei casi sono presenti metastasi linfonodali cervico-mediastiniche 3, 6, 8, 26, 32, 62, 88, 98, 106, 134. I carcinomi follicolari, più rari dei papilliferi, sono invece raramente multicentrici e hanno scarsa tendenza a dare metastasi linfonodali, mentre dimostrano, soprattutto nella variante ampiamente invasiva, una spiccata tendenza alle metastasi ematogene polmonari e ossee 13, 51, 55, 61, 63, 70, 104, 108. La presenza di metastasi linfonodali cervicomediastiniche a partenza da un carcinoma follicolare è, a differenza di quanto accade per i papilliferi, un fattore prognostico fortemente negativo. Gli istotipi “aggressivi” hanno un’accentuata malignità, caratterizzata da una spiccata invasività locale e da metastasi linfonodali (ciò non riguarda generalmente il carcinoma follicolare ampiamente invasivo) e sistemiche a scarsa differenziazione, di difficile trattamento radiometabolico, con conseguenti so-
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pravvivenze inferiori anche al 50-60% dei casi a cinque anni 5, 18, 27, 57, 61, 78, 129. Qualora sia possibile riconoscere pre o intraoperatoriamente (mediante citologia su agoaspirato o con una istologia estemporanea) una varietà papillifera a prognosi sfavorevole, un carcinoma ossifilo o un carcinoma insulare (le varianti a cellule alte, colonnari e sclerosanti diffuse sono diagnosticabili con sicurezza solo all’esame istologico definitivo; il carcinoma follicolare ampiamente invasivo ha una bassa linfofilia) in uno stadio intratiroideo è perciò necessario, anche in assenza di metastasi linfonodali macroscopiche, procedere comunque ad una linfectomia centrale, per evitare di essere costretti a farla in un secondo tempo – in ambiente cicatriziale e quindi con forte rischio per l’integrità dei nervi ricorrenti e delle paratiroidi – quando compaiano eventualmente metastasi linfonodali macroscopiche, spesso scarsamente sensibili o addirittura non captanti lo iodio 5, 6, 9, 26, 27, 58, 62, 131. L’età del paziente è fondamentale come parametro di rischio – e quindi come variabile di cui tener conto nella pianificazione del trattamento – in tutti i sistemi di classificazione clinico-prognostica. Per fare riferimento ai più noti, il TNM pone come limite i 45 anni (con una stadiazione più elevata per i pazienti oltre questo limite), mentre l’AMES considera i 40 anni per i maschi e i 50 anni per le femmine nella differenziazione delle due categorie, rispettivamente a basso e ad alto rischio. In effetti il dato dell’età, comune a tutti i sistemi clinico-prognostici, è singolare per queste neoplasie in cui, a differenza della maggior parte degli altri tumori maligni, l’età avanzata corrisponde a una minore sopravvivenza oncologica, in pratica ad una mortalità tumore-spe-
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cifica più elevata ma soprattutto più precoce 8, 29, 37, 110, 128. In effetti questa particolarità è spesso trascurata nella pratica clinica, perché i pazienti più giovani vengono di preferenza trattati con maggiore aggressività – estensione della tiroidectomia e della linfectomia – di quanto sia effettivamente necessario, mentre i pazienti più anziani, che richiederebbero interventi più estesi, vengono invece sottoposti a procedure limitate e in qualche caso incomplete; questo paradosso è dimostrato in un recente lavoro di Haigh sul SEER database (Surveillance, Epidemiology and End Results del National Cancer Institute, aperto nel 2001), costituito da 9 226 pazienti affetti da neoplasia maligna differenziata della tiroide (“…Age is one of the most important prognostic factors in many of the prognostic indices, and most endocrine surgeons would recommend more aggressive surgery in the older patients…”) 37. L’estensione locale e sistemica della malattia può essere codificata in un insieme costituito sostanzialmente dalla combinazione di vari parametri riguardanti il tumore primitivo, le metastasi linfonodali e le metastasi a distanza. Si tratta di sistemi clinico-prognostici come TNM, AMES, AGES, MACIS, EORTC e altri – analizzati in un capitolo specifico – che hanno l’obiettivo di collocare ogni paziente in un determinato stadio oncologico, che faccia riferimento a una classe di rischio e quindi a una probabile sopravvivenza a distanza. Questi sistemi derivano dai risultati delle analisi di regressione multipla, di diversi fattori prognostici tra loro combinati e condotti su ampie casistiche retrospettive. Nessuno degli scoring system sembra tuttavia essere superiore al TNM, che rimane il sistema internazio-
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Indicazioni e tipologia degli interventi chirurgici Tab. 1 Stadiazione TNM, sesta edizione, 2002 Tx
tumore primitivo non valutabile
T0
mancata evidenza di tumore primitivo
T1
tumore con diametro massimo pari o inferiore a 2 cm, limitato alla tiroide
T2
tumore con diametro massimo superiore a 2 cm ma inferiore a 4 cm, limitato alla tiroide
T3
tumore con diametro massimo superiore a 4 cm, limitato alla tiroide; tumore di qualsiasi diametro con minima estensione extratiroidea (tessuti molli peritiroidei, muscoli pretiroidei)
T4a
tumore di qualsiasi diametro con estensione oltre la capsula tiroidea ed invasione di tessuti molli sottocutanei, laringe, trachea, esofago o nervo laringeo inferiore
T4b
tumore che invade la fascia prevertebrale o ingloba l’arteria carotide o i vasi mediastinici
Nx
linfonodi regionali non valutabili
N0
assenza di metastasi linfonodali
N1
metastasi nei linfonodi regionali
N1a
metastasi al VI livello (linfonodi pretracheali, paratracheali, prelaringei e “delfici”)
N1b
metastasi omolaterali, controlaterali o bilaterali ai linfonodi cervicali o mediastinici superiori
Mx
metastasi a distanza non valutabili
M0
assenza di metastasi a distanza
M1
presenza di metastasi a distanza
nale di riferimento 9, 57, 78. La stadiazione TNM attuale è la sesta edizione del 2002 34, riportata nella Tab. 1. I parametri T, N ed M, considerati con una quarta variabile costituita dall’età, minore o maggiore di 45 anni, costituiscono 4 stadi che definiscono altrettante classi di rischio di mortalità tumore-specifica (Tab. 2). Rispetto al TNM, la stadiazione proposta da DeGroot et al. nel 1990 23 ha una maggiore applicabilità pratica per la programmazione del trattamento chirurgico, ed è comunque confrontabile con il sistema TNM (Tab. 3). Questo schema è criticabile per l’assenza dei parametri di età e sesso; tuttavia, essendo semplice e attendibile dal punto di vista prognostico, esso viene utilizzato
da molti Autori per stabilire in sintesi le indicazioni e la tipologia degli interventi chirurgici per i tumori maligni differenziati. Nella Tab. 4 vengono considerate, oltre allo stadio clinico, le caratteristiche anatomopatologiche delle neoplasie e l’età dei pazienti. Il trattamento iniziale di un carcinoma tiroideo deve soddisfare una serie di requisiti 57: essere il più radicale possibile per eliminare tutti i focolai tumorali; tendere a ottenere una guarigione definitiva; essere associato a una bassa incidenza di recidive locali e di metastasi a distanza; permettere una qualità di vita soddisfacente, evitando complicanze iatrogene o demolizioni mutilanti. L’attuale controversia sull’estensione
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Il carcinoma differenziato della tiroide Tab. 2 Stadi TNM per rischio di mortalità tumore-specifica Età minore di 45 anni Stadio
T
N
M
T
N
M
I
qualsiasi T
qualsiasi N
M0
T1
N0
M0
II
qualsiasi T
qualsiasi N
M1
T2
N0
M0
III
T3 T1-T3
N0 N1a
M0 M0
IVa
T4a T4a T1-T4a
N0 N1a N1b
M0 M0 M0
IVb
T4b
qualsiasi N
M0
IVc
qualsiasi T
qualsiasi N
M1
della resezione tiroidea è sostenuta dalle limitazioni dei sistemi di punteggio prognostico 11 e dalla morbidità della tiroidectomia totale eseguita al di fuori dei centri chirurgici di riferimento. Per esempio Hay et al. riportavano nel 1987 che i pazienti trattati alla Mayo Clinic per carcinomi papilliferi a basso rischio (punteggio MACIS < 3.99) non avevano maggiore sopravvivenza a distanza se sottoposti a procedure più estese della lobectomia, concludendo che una chirurgia più aggressiva era indicata solo per i pazienti con punteggi MACIS Tab. 3 Comparazione tra gli stadi clinici secondo DeGroot et al. e la classificazione TNM
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Età pari o superiore a 45 anni
Stadio clinico
Stadio TNM
I. neoplasia intratiroidea
T0, T1, T2, N0, M0
II. neoplasia intratiroidea con metastasi linfonodali
T0-T2, N1a, N1b, M0
III. neoplasia extratiroidea
T3, T4a, T4b M0
IV. metastasi a distanza
M1
più elevati 43. D’altra parte nel 1998 lo stesso centro ha pubblicato i risultati di uno studio designato per paragonare la mortalità tumore-specifica e l’incidenza di recidiva dopo lobectomia o tiroidectomia totale: lo studio, comprendente pazienti con carcinomi papilliferi della tiroide considerati a basso rischio secondo i criteri AMES, non ha messo in evidenza differenze significative per mortalità tumore-specifica o per metastasi a distanza tra i due gruppi, mentre le incidenze di recidiva locale e di metastasi a distanza dopo lobectomia sono state rispettivamente del 14% e del 19%, quindi significativamente più alte di quelle dopo tiroidectomia totale (rispettivamente 2% e 6%). Sulla base di queste osservazioni, Hay et al. hanno concluso che la tiroidectomia totale è l’intervento da preferire alla lobectomia anche nei pazienti a basso rischio AMES 42. Alcuni Autori 20, 45, 46, 78, 107, 109, 125 indicano tuttavia la lobectomia tiroidea nel trattamento dei carcinomi differenziati a basso rischio (tumori papilliferi intratiroidei unifocali, di diametro inferiore al centimetro, in pazienti in età inferiore ai
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Indicazioni e tipologia degli interventi chirurgici Tab. 4 Indicazioni e tipologia degli interventi chirurgici in funzione del tipo istologico e dello stadio clinico Tipo istologico
Stadio clinico
Intervento chirurgico
Carcinoma follicolare
I. neoplasia intratiroidea
tiroidectomia totale
Carcinoma papillifero < 2 cm e < 45 anni
I. neoplasia intratiroidea
tiroidectomia totale
Carcinoma papillifero > 2 cm o > 45 anni; varianti papillifere a prognosi sfavorevole*; carcinoma ossifilo; carcinoma insulare
I. neoplasia intratiroidea
tiroidectomia totale + linfectomia centrale di principio
Carcinoma papillifero o follicolare; varianti papillifere a prognosi sfavorevole*; carcinoma ossifilo; carcinoma insulare
II. neoplasia intratiroidea con metastasi linfonodali
tiroidectomia totale + linfectomia centrale di principio + linfectomia cervicale omolaterale o bilaterale di necessità (modalità “funzionale” o RND se metastasi extracapsulari)
Carcinoma papillifero o follicolare; varianti papillifere a prognosi sfavorevole*; carcinoma ossifilo; carcinoma insulare
III. neoplasia extratiroidea
tiroidectomia totale con resezione, se possibile non mutilante, delle strutture cervicali infiltrate + linfectomia centrale di principio + linfectomia cervicale omolaterale o bilaterale di necessità (modalità “funzionale” o RND se metastasi extracapsulari)
Qualsiasi tumore M1
IV. metastasi a distanza
tiroidectomia totale + linfectomia centrale di principio + linfectomia cervicale di necessità + metastasectomie ossee, polmonari, cerebrali eccetera
* (variante a cellule alte, variante colonnare, variante sclerosante diffusa)
45 anni e superiore ai 15 anni, senza metastasi a distanza e senza pregressa radioterapia cervicale; tumori follicolari minimamente invasivi di diametro inferiore ai quattro centimetri), considerando che meno del 5% delle recidive si localizza nella sede della pregressa lobectomia, e in circa il 50% dei casi è possi-
bile trattare la recidiva locale con un reintervento; che la multifocalità neoplastica ha scarsa rilevanza clinica; che la tiroidectomia totale ha un’incidenza di complicanze specifiche superiore a quella delle resezioni parziali; che la maggior parte dei pazienti operati per un carcinoma ben differenziato a basso
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rischio ha un’eccellente prognosi a distanza quale sia l’estensione dell’intervento chirurgico. Altri ritengono sufficiente un intervento di lobectomia e istmectomia nel caso di un carcinoma papillifero unifocale di diametro inferiore a 1 centimetro, scoperto incidentalmente all’istologia definitiva dopo interventi parziali eseguiti per una patologia tiroidea ritenuta inizialmente benigna (carcinoma incidentale) 54, 57, 78, 96. La rinuncia alla totalizzazione deve peraltro essere discussa con il paziente dopo una chiara esposizione del problema, informandolo sui rischi relativi alla possibile presenza di focolai neoplastici nel parenchima residuo, anche in presenza di un unico focolaio nel lobo asportato. Alcuni Autori raccomandano infatti la totalizzazione della tiroidectomia per tumori al di sopra del centimetro, perché circa il 50% dei pazienti con neoplasie di queste dimensioni ha focolai nel lobo controlaterale 86. In un lavoro del 1998, Miccoli et al. hanno riscontrato che il 61% dei bambini con carcinoma papillifero sviluppato in conseguenza dell’incidente di Chernobyl e trattati con lobectomia tiroidea avevano metastasi linfonodali o polmonari non riconosciute, messe successivamente in evidenza solo dopo una totalizzazione 72. In un altro studio, i pazienti sottoposti a totalizzazione entro sei mesi da una lobectomia per carcinoma papillifero avevano sviluppato un numero di recidive e di metastasi ematogene inferiore rispetto a quelli sottoposti a totalizzazione oltre sei mesi dopo la lobectomia 102. Per molti Autori, la tiroidectomia totale rappresenta quindi l’intervento chirurgico di minima nel trattamento di ogni lesione maligna della tiroide 9, 21, 25, 26, 32, 36, 48, 56, 66 un intervento di tiroidectomia quasi-
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totale – cioè la rimozione completa del lobo affetto associata ad istmectomia e a lobectomia quasi totale controlaterale, tale da lasciare in sede una minima quantità di tessuto tiroideo (< 2 grammi) per proteggere ipoteticamente il nervo laringeo inferiore – può essere ammessa solo in circostanze tecnicamente difficoltose in ambienti chirurgici non specializzati in chirurgia oncologica tiroidea). La tiroidectomia totale elimina infatti ogni possibilità di persistenza di malattia intratiroidea legata alla multifocalità, presente fino all’80% nei carcinomi papilliferi e con percentuali non trascurabili anche per i follicolari (7-30%); rende più efficaci il controllo scintigrafico postoperatorio con iodio 131 e il trattamento ablativo nei confronti di eventuali residui parenchimali normali o di recidive locali o a distanza; i livelli sierici postoperatori di tireoglobulina hanno attendibilità solo in caso di asportazione completa del parenchima tiroideo 54, 96. Alcuni studi hanno riportato incidenze di recidiva nel lobo controlaterale a una lobectomia per cancro dal 5% al 10% dei casi 43, 68, con un’incidenza complessiva di recidiva del 30% 65 e un’elevata incidenza (11%) di metastasi polmonari successive in follow-up prolungati 63, contro l’1% dopo tiroidectomia totale e terapia radiometabolica 65. Una recidiva/persistenza di carcinoma differenziato della tiroide dopo lobectomia può essere trattata con un reintervento e un’ablazione radiometabolica, ma circa il 50% di questi pazienti ha una mortalità tumore-specifica e il reintervento è comunque gravato da un’incidenza elevata di complicanze. Diversi studi retrospettivi hanno dimostrato che la tiroidectomia totale, anche nei pazienti a basso rischio o negli stadi clinici meno avanzati, è associata a ri-
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dotte percentuali di recidiva e a più elevate percentuali di sopravvivenza a distanza 23, 32, 42, 65, 100. Nel 1996 Udelsman et al. hanno messo in evidenza che uno studio prospettico randomizzato con dati significativi è pressoché irrealizzabile, a causa delle enormi dimensioni dei campioni statistici necessari per dimostrare eventualmente piccole differenze di sopravvivenza tra pazienti trattati con lobectomia o con tiroidectomia totale 125. Udelsman et al. hanno infatti dimostrato che uno studio prospettico randomizzato fatto per valutare l’estensione ottimale dell’exeresi tiroidea (tiroidectomia totale contro lobectomia) in caso di carcinoma differenziato richiederebbe l’esame di circa 12 000 pazienti solo per paragonare l’incidenza di complicanze specifiche, di oltre 800 per paragonare l’incidenza di recidiva, e di almeno 3 100 per paragonare la mortalità oncologica specifica. Inoltre tale comparazione richiederebbe numeri ancora più elevati se si volesse circoscrivere l’analisi ai tumori differenziati a basso rischio. Le analisi matematiche svolte per superare le difficoltà dei campioni statistici messe in luce da Udelsman e coll. hanno finora provato la maggiore capacità curativa della tiroidectomia totale nei confronti della lobectomia, anche nelle indicazioni specifiche di questa (tumori a basso rischio) 26, 48. Infine nei confronti della principale obiezione alla tiroidectomia totale – cioè un elevato rischio di lesioni ricorrenziali e di ipoparatiroidismo – le analisi statistiche più recenti hanno dimostrato che nei centri di specializzazione endocrinochirurgica l’incidenza di tali complicanze è bassa, con percentuali uguali o di poco superiori (lesioni ricorrenziali < 1.5-2%; ipoparatiroidismo dopo tiroidectomia totale senza linfectomia cen-
trale < 2%) a quelle delle resezioni subtotali o quasi totali 9, 57, 78. Per quanto riguarda la chirurgia delle metastasi linfonodali, lo svuotamento del compartimento centrale o linfectomia centrale dovrebbe essere eseguito di principio 57, con l’eccezione dei carcinomi follicolari e dei carcinomi papilliferi intratiroidei, di diametro inferiore ai 2 cm (T1) ed in pazienti in età inferiore ai 45 anni. Si intende per linfectomia centrale l’exeresi dei linfonodi peritiroidei, periricorrenziali, pretracheali, paratracheali e precricoidei (“delfici”), situati nella regione anatomo-chirurgica delimitata lateralmente dagli assi carotidei, superiormente dal piano dell’osso ioide e inferiormente dal piano dei grandi vasi mediastinici (è compreso quindi il VI livello della classificazione del Memorial SloanKettering Cancer Center). La linfectomia delle altre catene cervicali (linfonodi perigiugulari superiori, medi ed inferiori – II, III, IV livello MSKCC –, linfonodi sopraclaveari e del nervo accessorio spinale – V livello) non ha indicazioni “di principio” ma solo “di necessità”, cioè in caso di metastasi linfonodali documentate ecograficamente e/o con esame citologico e/o con dosaggio della tireoglobulina sul liquido di lavaggio dell’ago utilizzato per eseguire la ago-aspirazione o in caso di metastasi linfonodali dimostrate dall’esplorazione chirurgica. La linfectomia deve essere omolaterale alla sede della lesione neoplastica primitiva, bilaterale solo in caso di evidenti metastasi controlaterali. In effetti alcuni Autori giapponesi mantengono l’indicazione alla linfectomia cervicale di principio, con estensione omolaterale alla neoplasia e ai linfonodi paratracheali controlaterali, da eseguire anche nei carcinomi follicolari (per i quali Qubain ha riscontrato un’incidenza di micrometastasi linfono-
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dali del 44%!). In particolare sarebbe sufficiente, in assenza di linfoadenopatie clinicamente evidenti, una linfectomia selettiva limitata ai linfocentri di primo drenaggio, in base alla localizzazione intratiroidea (III superiore, III medio, III inferiore, istmo) della neoplasia. Questa preferenza dei giapponesi per la linfectomia di principio è dovuta all’avversione (motivata dal 1945…) verso i trattamenti radiometabolici, che consentono tuttavia agli occidentali il controllo delle micrometastasi linfonodali. Può sembrare paradossale, a noi occidentali, che la linfectomia di principio venga associata spesso ad una semplice lobectomia. In presenza di metastasi linfonodali in fase intracapsulare, cioè senza infiltrazione diretta delle strutture cervicali e/o mediastiniche peri-linfonodali, la linfectomia deve essere eseguita in modalità “funzionale”, cioè risparmiando l’integrità della vena giugulare interna, del nervo accessorio spinale e del muscolo sternocleidomastoideo (l’asportazione di una o più di queste strutture configura una Radical Neck Dissection sec. Crile, che deve essere limitata al sacrificio delle strutture effettivamente non dissecabili dalle linfoadenopatie metastatiche in fase extracapsulare e non eseguita di prassi nella sua totalità). In caso di linfectomia cervicale bilaterale contemporanea è necessario salvaguardare l’integrità di almeno una vena giugulare profonda, per evitare possibili sofferenze cerebrali. Alcuni Autori hanno proposto la metodica basata sulla biopsia del linfonodo sentinella (SLNB, Sentinel Lymph Node Biopsy), alla stregua di quanto si fa nell’ambito del trattamento del carcinoma mammario, allo scopo di determinare l’effettiva necessità di associare la linfectomia alla tiroidectomia totale 2, 14, 15, 30, 89, 118, 132 . Dalle esperienze riportate in let-
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teratura si evince che, di fronte ad una buona fattibilità e a risultati relativamente soddisfacenti per quanto riguarda la capacità predittiva – soprattutto se si adotta una tecnica combinata con l’impiego di coloranti vitali e radioisotopi – in realtà la SLNB non è in genere adottata nella routine terapeutica nei centri endocrinochirurgici. Le ragioni sono sostanzialmente legate al fatto che, nella maggior parte dei casi, nella stadiazione di un carcinoma tiroideo è possibile documentare preoperatoriamente o intraoperatoriamente la presenza di linfonodi peritiroidei o comunque cervicali sospetti per metastasi; nel caso in cui non vi sia invece un’evidenza pre- o intraoperatoria macroscopica di linfoadenopatie, la linfectomia per eventuali micrometastasi linfonodali non ha significato diagnostico o terapeutico in quanto la ricognizione e l’eventuale bonifica di queste ultime è affidata ai radioisotopi; in effetti, adottando lo schema terapeutico di cui alla Tab. 4, è evidente che la linfectomia centrale viene omessa solo in casi oncologicamente assai favorevoli, in cui l’associazione della tiroidectomia totale con l’ablazione radiometabolica dà risultati estremamente soddisfacenti, rendendo l’impiego della SLNB di scarsa utilità ai fini della completezza del trattamento. I paragrafi seguenti analizzano nel dettaglio le indicazioni e le tipologie degli interventi, suddivise per stadio clinico.
Trattamento chirurgico dei tumori maligni differenziati: stadio I (lesione intratiroidea) La tiroidectomia totale è l’intervento di scelta nel caso di un carcinoma follicola-
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re intratiroideo: questo tumore ha infatti un basso rischio di metastasi linfonodali occulte. Anche un carcinoma papillifero di diametro inferiore ai 2 cm (T1) in un paziente di sesso maschile o femminile in età inferiore ai 45 anni e senza evidenza pre o intraoperatoria di metastasi linfonodali macroscopiche può essere trattato con la sola tiroidectomia totale 66, 78, affidando la terapia di eventuali metastasi linfonodali occulte al trattamento radiometabolico postoperatorio con iodio 131 57. Altri Autori non sono d’accordo su questa indicazione e propongono la tiroidectomia totale con linfectomia centrale per qualsiasi carcinoma papillifero clinicamente intratiroideo 9, 57, 87. La maggior parte degli endocrinochirurghi è comunque d’accordo che nei casi di carcinoma papillifero con diametro maggiore di 2 cm (T2), di carcinoma papillifero in pazienti con età maggiore di 45 anni, di varianti papillifere a prognosi sfavorevole (variante a cellule alte, variante colonnare, variante sclerosante diffusa), di carcinoma ossifilo o di carcinoma insulare, l’intervento di base sia la tiroidectomia totale con linfectomia centrale. Le varianti papillifere a prognosi sfavorevole, gli ossifili e gli insulari sono peraltro di difficile riconoscimento preoperatorio e possono essere al meglio “ipotizzati” all’istologia estemporanea: nel dubbio, è bene procedere comunque alla linfectomia centrale. L’indicazione alla linfectomia cervicale completa (mediastinica e laterocervicale omolaterale o bilaterale) in forma profilattica non è invece attualmente giustificata dalla maggioranza degli Autori 10, 22, 23, 25, 26, 28, 31, 48, 56, 57, 61, 65, 78, 84, 86, 96, 100, 104, 111, 118, 125. La linfectomia centrale ha un rischio di complicanze specifiche (lesioni ricorrenziali, ipoparatiroidismo) circa tre volte maggiore rispetto alla sola tiroidecto-
mia totale, per la necessità di preparare distalmente i nervi laringei inferiori e di distinguere e salvaguardare le paratiroidi inferiori nel tessuto cellulo-linfatico pre- e paratracheale 16, 52, 62, 75, 76. D’altra parte tale linfectomia “di principio” è giustificata per queste classi neoplastiche sia dall’elevata incidenza di metastasi linfonodali occulte, in grado di svilupparsi clinicamente nel follow-up postchirurgico con una caratteristica tendenza alla perdita di differenziazione e quindi della sensibilità alla terapia radiometabolica 57, sia dal fatto che l’esecuzione della stessa linfectomia per una successiva evidenza clinica delle metastasi linfonodali comporta il massimo rischio di complicanze specifiche, eseguendo l’intervento nel tessuto cicatriziale della precedente tiroidectomia totale 4, 16, 62, 76, 82. Alcuni Autori sottolineano non tanto il rischio, quanto l’impossibilità di portare a termine una linfectomia centrale adeguata senza rimuovere o per lo meno devascolarizzare deliberatamente le paratiroidi inferiori, e suggeriscono di individuarle nella dissezione e di reimpiantarle nello sternocleidomastoideo 24, 44.
Trattamento chirurgico dei tumori maligni differenziati: stadio II (neoplasia intratiroidea con metastasi linfonodali) L’importanza prognostica delle metastasi linfonodali da carcinoma tiroideo è dubbia. In uno studio del 1993 su 8 029 pazienti affetti da carcinoma differenziato della tiroide, Mazzaferrri et al. hanno riscontrato un’incidenza di metastasi linfonodali nel 36% dei carcinomi papilliferi, nel 17% dei carcinomi follicolari e fino all’80% dei carcinomi papil-
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liferi in età pediatrica 68. Machens et al. hanno riscontrato un’incidenza significativamente più elevata di metastasi linfonodali (e di metastasi a distanza) nei pazienti con carcinoma papillifero di diametro maggiore di 2 cm 60. Passler et al. nel 2005 non hanno al contrario confermato tale correlazione tra dimensioni tumorali e coinvolgimento linfonodale 87. Alcuni studi hanno dimostrato che la presenza di metastasi linfonodali non ha effetti sull’incidenza di recidive o sulla sopravvivenza 11, 41. Altri hanno riscontrato al contrario che le metastasi linfonodali sono un fattore di rischio per la recidiva locale e per la mortalità tumore-specifica, e sono correlate con lo sviluppo di metastasi a distanza, specialmente se le linfoadenopatie sono bilaterali o mediastiniche oppure se vi è un’infiltrazione extracapsulare linfonodale 23, 65, 124. In uno studio di Sellers et al. del 1992 la mortalità tumore-specifica nel follow-up dei pazienti con metastasi linfonodali è risultata essere del 15%, contro lo zero dei pazienti con carcinoma tiroideo senza metastasi linfonodali evidenti 106. Anche Mazzaferri et al. hanno riscontrato che i pazienti con carcinoma differenziato e metastasi linfonodali mediastiniche o cervicali hanno una mortalità tumore-specifica (10%) più elevata dei pazienti senza metastasi linfonodali (6%) 65. Nel 1970 Noguchi et al. accertarono un’incidenza dell’80% di metastasi linfonodali occulte dopo linfectomia cervicale completa profilattica 81. Nel 1971 Attie et al. riportarono dopo linfectomia completa profilattica un’incidenza di micrometastasi del 68% 3. Rossi et al., pur convalidando l’elevata incidenza di micrometastasi nei carcinomi papilliferi, hanno verificato che queste metastasi linfonodali occulte non modifica-
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no la prognosi dei pazienti, perché vengono effettivamente curate dalla terapia radiometabolica postoperatoria, giustificando quindi un orientamento conservativo nella terapia chirurgica dei pazienti con neoplasia clinicamente intratiroidea 98. In uno studio del 2003 su 2 097 pazienti sottoposti a linfectomia, di cui 880 a linfectomia selettiva (asportazione delle linfoadenopatie macroscopiche o node o cherry picking) e 1 217 a linfectomia cervicomediastinica completa, Bhattacharyya ha riscontrato che la linfectomia selettiva comporta sopravvivenze simili a quelle dei pazienti che hanno subito le linfectomie più estese; l’Autore conclude pertanto che una dissezione del collo regolata non è necessaria per l’effettivo trattamento delle metastasi linfonodali da cancro differenziato della tiroide 6. Al contrario, per Schlumberger et al. la linfectomia regolata deve essere preferita sempre al node picking 104 e questa indicazione prevale attualmente nella letteratura 9, 57, 78, 87. Nel 2002 Gemnsenjager et al. riferiscono, dopo un follow-up fino a 25 anni su 264 pazienti affetti da cancro differenziato della tiroide, di non aver osservato alcuna influenza sui risultati terapeutici a distanza in uno studio comparativo tra pazienti sottoposti a linfectomia cervicale completa di principio e pazienti sottoposti a linfectomia di necessità 32. Attualmente la maggior parte degli endocrinochirurghi ritiene quindi che la linfectomia cervicale, omolaterale o bilaterale, debba essere eseguita di necessità, cioè solo in caso di metastasi linfonodali cervicali documentate pre- o intraoperatoriamente 4, 6, 9, 22, 57, 62, 75, 78, 82, 87, 88, 104, 106, 134 . Solo alcuni Autori sostengono indicazioni più aggressive, mantenendo un’indicazione alla linfectomia completa di principio: Scheumann et al. hanno
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riscontrato dopo linfectomia cervicale di principio un’elevata incidenza di N1 (82%) e un miglioramento della sopravvivenza a distanza associato ad un minor tasso di recidive locoregionali 103. Ohshima et al. hanno verificato che la linfectomia cervicale bilaterale di principio in pazienti con parametri di rischio (diametro della neoplasia principale maggiore di 4 cm, multifocalità, coinvolgimento dell’istmo, neoplasia recidiva) determina un miglioramento della prognosi 82. La linfectomia laterocervicale deve essere eseguita, in presenza di metastasi linfonodali in fase intracapsulare, con modalità “funzionale”, cioè salvaguardando le strutture cervicali limitrofe alle catene linfonodali come la vena giugulare profonda, il nervo accessorio spinale ed il muscolo sternocleidomastoideo 3, 6, 16, 22, 32, 52, 62, 76, 82, 88, 106, 134; in caso di dissezione bilaterale, deve essere posta particolare attenzione all’integrità di almeno una vena giugulare profonda, per evitare sofferenze cerebrali. Tecnicamente la linfectomia viene realizzata prolungando la cervicotomia sul margine anteriore dello sternocleidomastoideo verso la mastoide omolaterale. In molti casi è possibile condurre la dissezione conservando l’integrità dello sternocleidomastoideo. In caso di metastasi voluminose e/o situate prevalentemente nei linfocentri iuxtacranici (linfonodi perigiugulari superiori, linfonodi “alti” della catena dell’accessorio spinale) può essere necessario sezionare lo sternocleidomastoideo all’inserzione distale per ribaltarlo verso l’alto, facilitando così la dissezione. In caso di metastasi linfonodali in sede mediastinica non raggiungibili per via tradizionale si rende necessaria la gestione in ambito di chirurgia toracica 3, 57. L’intervento può,
dove possibile, essere effettuato con tecnica chirurgica radioguidata mediante sonda collimata in grado di rilevare, dopo somministrazione di iodio 131, le sedi di captazione in fase intraoperatoria e di verificare successivamente la radicalità dell’intervento 57, 99. Le metastasi linfonodali in fase extracapsulare richiedono una linfectomia regolata con modalità Radical Neck Dissection, cioè resecando lo sternocleidomastoideo, la vena giugulare interna e il nervo accessorio spinale. Dove possibile è opportuno limitare l’asportazione alle sole strutture effettivamente infiltrate, dissecando le altre con modalità “funzionale”.
Trattamento chirurgico dei tumori maligni differenziati: stadio III (neoplasia extratiroidea) I pazienti affetti da una neoplasia in fase extratiroidea (situazione definibile come “malattia locale avanzata”) devono essere sottoposti a una dissezione radicale evitando se possibile mutilazioni. Poiché per le neoplasie tiroidee la sopravvivenza non è direttamente correlata con l’estensione della dissezione chirurgica104, 111, l’indicazione all’asportazione di una o più delle strutture cervicali è giustificata solo in caso di evidente infiltrazione extracapsulare da parte della neoplasia primitiva, tale da non permettere la conservazione delle strutture cervicali stesse senza lasciare un residuo neoplastico macroscopico. D’altra parte, in un paziente in giovane età è lecito lasciare un minimo residuo neoplastico in corrispondenza dell’infiltrazione di un nervo vago o di un nervo laringeo inferiore (shave resection), affidando alla terapia radiometabolica o al-
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la radioterapia esterna il completamento della cura. Una paralisi ricorrenziale da infiltrazione diretta o da metastasi linfonodale, documentata preoperatoriamente, giustifica al contrario la resezione “en bloc” del nervo. L’incidenza di un’estensione extratiroidea da parte di un tumore differenziato varia dal 3% al 16%. La sede più comune di infiltrazione extratiroidea è costituita dai muscoli pretiroidei, mentre un’invasione delle vie aerodigestive superiori (laringe, trachea, esofago) è inferiore al 4% 69. Un’infiltrazione neoplastica diretta del laringe coinvolge più spesso la parte cartilaginea, senza interessamento endoluminale. Un’infiltrazione laringea esterna superficiale può essere trattata con una dissezione condotta nel piano pericondrale (shave resection), anche se questa tecnica non è da tutti considerata curativa 59. In uno studio del 1997 Czaja e McCaffrey hanno rilevato che non vi sono differenze di sopravvivenza tra pazienti sottoposti a shave resection e pazienti sottoposti a resezioni radicali d’organo, se la shave resection non ha lasciato residui macroscopici. Un’infiltrazione profonda richiede invece tecniche di dissezione regolate sulle specifiche cartilagini coinvolte dalla neoplasia: cartilagine tiroide, cricoide, membrana cricotiroidea. Un’infiltrazione iniziale, spesso unilaterale, consente una resezione parziale con possibilità di conservare la funzione vocale. In caso di infiltrazione di meno di 1/3 di cartilagine cricoide è indicata una resezione laringea con ricostruzione laringo-tracheoplastica; se l’infiltrazione è più estesa, oppure se è infiltrata la membrana cricotiroidea, è necessaria una laringectomia totale 35. L’invasione della trachea e l’invasione dell’esofago sono le due complicanze
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neoplastiche più temibili e sono spesso determinate da un carcinoma papillifero o follicolare (o, ancor più, da una variante a prognosi sfavorevole) in età sopra i 45 anni, condizionando significativamente la prognosi; al contrario, l’infiltrazione dei muscoli pretiroidei o dello sternocleidomastoideo, del laringe o del nervo ricorrente non la influenzano 4, 28, 65, 101. Un’infiltrazione tracheale circoscritta può essere resecata chiudendo direttamente la breccia tracheotomica oppure ricoprendola con un flap muscolocutaneo dallo sternocleidomastoideo o dal latissimus dorsi 116; un’infiltrazione più estesa richiede una sleeve resection circonferenziale con anastomosi termino-terminale; è possibile resecare fino a 7/9 anelli tracheali, considerando come margini di sicurezza almeno un anello tracheale oltre i limiti macroscopici del tumore, utilizzando eventualmente la tecnica del rilasciamento laringeo 35, 83, 116, 121, 123. Il rilasciamento laringeo si ottiene mediante la sezione dei muscoli tiroioidei e della membrana tiroioidea (1 cm di avvicinamento), con l’eventuale sezione bilaterale dei corni cartilaginei tiroidei superiori (fino a 2.5 cm di avvicinamento). Nella pianificazione del trattamento è comunque opportuno valutare alternative terapeutiche meno mutilanti (ipertermia endotracheale, brachiterapia con iridio 192, radioterapia intraoperatoria), considerando che trattamenti molto aggressivi modificano di poco la sopravvivenza a distanza 57. Un’invasione endoluminale del faringe o dell’esofago è rara. La mucosa esofagea agisce come barriera contro l’infiltrazione neoplastica, sebbene la tonaca muscolare possa essere coinvolta, determinando comunque una grave disfagia. Il trattamento chirurgico è proporzionato all’infiltrazione parietale del viscere:
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se la neoplasia interessa tutto lo spessore esofageo con invasione endoluminale, si rende necessaria una esofagectomia con esofagogastroplastica, con interposizione di ansa digiunale libera o con flap miocutaneo peduncolato 59, 69. In caso di neoplasia infiltrante non oltre la sottomucosa, è possibile eseguire una resezione parziale delle tonache muscolare e sottomucosa, senza interruzione della mucosa, chiudendo direttamente la breccia parietale 4, 71.
Trattamento chirurgico dei tumori maligni differenziati: stadio IV (metastasi a distanza) Nel 5-10% dei pazienti con carcinoma differenziato della tiroide sono presenti metastasi a distanza al momento della diagnosi iniziale 39, 40. Dopo tiroidectomia e ablazione radiometabolica, fino al 30% dei pazienti sviluppa una malattia metastatica extracervicale, che può divenire resistente al trattamento radiometabolico 17, 85, 133. Le metastasi possono essere, in ordine di frequenza, polmonari, ossee, epatiche, cerebrali, cutanee, surrenaliche, renali, nella sottomucosa bronchiale, nell’apparato digerente e nell’omento 85. Il trattamento radiometabolico con iodio 131 può essere sufficiente per eradicare metastasi microscopiche linfonodali e nel parenchima polmonare 13, 93, 133; questa terapia non è altrettanto valida nei confronti di metastasi macroscopiche nelle stesse localizzazioni e di metastasi ossee, cerebrali, spinali e intra-addominali 91, 103 perché la dose radioattiva necessaria per eliminare la metastasi è molto superiore a quella effettivamente captata dalla metastasi stessa 64. In ogni caso le metastasi ossee determinano una
prognosi peggiore delle metastasi polmonari 55, 136. Una metastasectomia chirurgica trova quindi indicazione in presenza di metastasi solitarie o di oligometastasi, con le seguenti limitazioni: assenza di malattia plurimetastatica; precedente eradicazione del tumore tiroideo primitivo mediante tiroidectomia totale e ablazione radiometabolica postoperatoria; assenza di controindicazioni generali alla chirurgia; funzione polmonare in grado di tollerare resezioni polmonari più o meno estese; basso rischio di instabilità ortopedica dopo resezione ossea; basso rischio di sequele neurologiche dopo resezioni cerebrali o paraspinali 70, 85. I risultati sono discreti: Khan et al. 51 hanno riportato il 58% di sopravvivenza a 5 anni in pazienti sottoposti a resezione polmonare per metastasi da carcinoma differenziato della tiroide. Nello studio di Stojadinovic et al. 119 basato su 59 pazienti, la sopravvivenza a 5 anni dopo metastasectomia completa è stata del 78%, e dopo metastasectomia incompleta/palliativa è stata del 43%. Nello studio di Pak et al. 85, su 29 pazienti sottoposti a vari tipi di metastasectomia (resezioni cerebrali, nefrectomie, resezioni chirurgiche di metastasi ossee, resezioni chirurgiche di metastasi spinali, lobectomie e metastasectomie polmonari) la sopravvivenza cumulativa è stata del 78.5% a cinque anni e del 50% a dieci anni dalla prima metastasectomia.
Trattamento chirurgico della persistenza o recidiva di malattia Una persistenza di malattia o una recidiva dopo trattamento di un carcinoma differenziato della tiroide si manifesta
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in circa il 35% dei pazienti. Nella maggior parte dei casi si manifesta nei primi anni dal trattamento iniziale, nei 2/3 dei casi nella prima decade di followup e in una piccola percentuale entro venti anni dalla diagnosi. Le recidive locali rappresentano il 70%, le recidive a distanza il 30% del totale. La diagnosi precoce delle recidive aumenta significativamente la sopravvivenza dei pazienti 57, 78. Le recidive locali possono interessare il letto tiroideo, i linfonodi loco-regionali, i tessuti molli, le vie aeree o le vie digestive superiori. La persistenza di malattia o la recidiva nel letto tiroideo (5-20% del totale) sono conseguenza di un atto chirurgico incompleto o di una particolare aggressività del tumore, non completamente eradicato al primo intervento. La scintigrafia total body dopo tiroidectomia totale consente di individuare eventuali persistenze o recidive captanti e, se queste sono di piccole dimensioni, di eliminarle con dosi terapeutiche. Le lesioni di maggiori dimensioni, palpabili o visualizzabili con ecografia, TC/RMN o PET devono essere asportate chirurgicamente. Nel caso di una precedente resezione tiroidea incompleta è necessario procedere alla totalizzazione della tiroidectomia, con linfectomia di principio del compartimento centrale e linfectomia laterocervicale di necessità. In questo caso il paziente deve essere informato sull’incremento del rischio specifico di lesioni ricorrenziali e di ipoparatiroidismo, conseguente alla dissezione nella cicatrice della precedente resezione tiroidea. Se l’aggressività locale della persistenza/recidiva non rende invece possibile l’asportazione chirurgica, si ricorre a un trattamento radiometabolico (in caso di lesioni comunque captanti) o a
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una radioterapia esterna/chemioterapia, in seguito alla quale si può eventualmente rivalutare la resecabilità della lesione 78. Le recidive linfonodali rappresentano il 70% circa delle recidive loco-regionali: sono a volte evidenziabili all’esame obiettivo del collo ma è comunque necessario studiarne la diffusione nei vari compartimenti cervicali mediante ecografia, e in caso di lesione sospetta effettuando un’agoaspirazione ecoguidata per esame citologico ed eventuale dosaggio della tireoglobulina su liquido di lavaggio dell’ago. Se la positività linfonodale viene confermata, poiché il trattamento radiometabolico è efficace solo nelle metastasi iodocaptanti di piccole dimensioni è necessario procedere ad una linfectomia cervicale completa omolaterale, se possibile con modalità “funzionale”, eventualmente estesa al mediastino anteriore-superiore se questo non era stato trattato nel primo intervento, con le stesse precauzioni in ordine al consenso informato circa l’aumento del rischio operatorio specifico. Circa il 30% dei pazienti affetti da carcinoma differenziato della tiroide sviluppa, a distanza di tempo dalla diagnosi primitiva, metastasi a distanza, con una mortalità di circa il 50% nei followup a lungo termine 31. Le possibili sedi di metastasi sono le stesse riportate nel precedente paragrafo sul IV stadio clinico, così come le modalità di trattamento. Anche in questi casi la terapia radiometabolica è efficace solo nelle piccole lesioni metastatiche, in particolare polmonari; le lesioni di maggiori dimensioni devono essere trattate, se possibile, con resezioni chirurgiche eventualmente seguite da una terapia radiometabolica, se captanti, o da radio/chemioterapia.
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Tumori anaplastici Si tratta di neoplasie dotate della massima aggressività, con una mortalità specifica che si avvicina in pratica al 100%. I pazienti con carcinoma anaplastico sono più anziani di quelli con carcinoma differenziato, con un’età media alla diagnosi di 65 anni. Meno del 10% dei pazienti ha meno di 50 anni e circa il 70% è di sesso femminile. In circa il 50-75% dei casi è possibile dimostrare la presenza di un carcinoma differenziato coesistente o precedente l’anaplastico 120; i meccanismi che portano all’evoluzione di un tumore maligno differenziato in un anaplastico non sono peraltro ancora chiari, anche se sembra dimostrata una perdita dell’onco-soppressore p53 77, 120. Il carcinoma anaplastico è considerato sempre un IV stadio TNM/AJCC: si presenta generalmente con un’invasività locale massiva – solo il 7.5% dei pazienti si presenta con una lesione intratiroidea 49 – e le metastasi a distanza possono essere dimostrate alla diagnosi iniziale nel 20-50% dei pazienti, con localizzazioni ossee (5-15%), cerebrali (5%), polmonari, cutanee, epatiche, renali, pancreatiche, cardiache e surrenaliche 114. Non esiste attualmente un trattamento curativo per un carcinoma anaplastico clinicamente evidente. La sopravvivenza media dalla diagnosi varia da 3 a 7 mesi. I pazienti con una neoplasia ancora confinata nel collo hanno una sopravvivenza media di 8 mesi, mentre quelli con una malattia extracervicale (interessamento mediastinico, metastasi a distanza) hanno una sopravvivenza non superiore ai 3 mesi 49, 127. Alcune sopravvivenze superiori ai 2 anni, riportate in passato, sono da attribuire ad una diagnosi istologica errata di carcinoma anaplastico in pazienti in realtà affetti
da un carcinoma midollare, da un linfoma, da un carcinoma insulare 12. L’evenienza di un focolaio di carcinoma anaplastico nell’ambito di un carcinoma differenziato della tiroide configura invece una situazione di rischio di poco superiore a quella costituita dallo stesso carcinoma differenziato, con una sopravvivenza a 3 anni superiore al 90% dei pazienti 90, 120. La tiroidectomia totale può prolungare la sopravvivenza nei pazienti in cui il carcinoma anaplastico sia di piccole dimensioni e comunque confinato nella tiroide, mentre non ha alcun effetto sulla sopravvivenza quando sia effettuata, anche con apparente radicalità, nei pazienti con un carcinoma anaplastico extratiroideo 47, 127. Oltre alla localizzazione intratiroidea, anche l’età inferiore ai 60 anni è un fattore prognostico favorevole in caso di resezione ad intento curativo 49. Se il tumore appare resecabile è comunque indicata una tiroidectomia totale con eventuale resezione delle strutture cervicali infiltrate e una linfectomia centrale e omolaterale alla massa; tuttavia ciò è possibile in non più del 20-25% dei pazienti 90. In letteratura sono descritte estese demolizioni chirurgiche (faringolaringectomia totale e ricostruzione dell’esofago cervicale con un’ansa libera digiunale) con sopravvivenze superiori ad un anno nel 50% dei casi 120. Nel caso in cui non sia possibile asportare completamente la neoplasia, è preferibile comunque effettuare un debulking, per ritardare la progressione locale dell’infiltrazione neoplastica e decomprimere l’asse laringo-tracheale e l’esofago. Un trattamento combinato, costituito da radioterapia ad alte dosi (> 45 Gy) iperfrazionata, associata a dosi radiosensibilizzanti di doxorubicina + 5-fluorouracile + cisplatino e successivo
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debulking chirurgico, ha dimostrato un’efficacia significativa sulla mortalità tumore-specifica nell’80% dei pazienti, prolungandone la sopravvivenza mediana fino ad oltre 12 mesi. Il CA4P (combrestatin A4 phosphate) ha dato qualche sporadico risultato, con sopravvivenze superiori ai 2 anni, mentre il paclitaxel non ha confermato un’iniziale ipotetica efficacia 1, 49, 53, 78, 90, 120. In più del 50% dei casi anche una resezione palliativa è impossibile e si rende pertanto necessaria una tracheostomia, da realizzare se possibile con uno sportello tracheale a perno inferiore che faciliti il mantenimento della pervietà dello stoma e il cambio della cannula tracheale90.
Tumori midollari Il carcinoma midollare della tiroide (CMT) è sporadico nel 75% ed ereditario nel 25% dei casi. Le forme ereditarie comprendono il CMT familiare nonMEN e le MEN 2A (CMT, iperparatiroidismo, feocromocitoma) e 2B (CMT, feocromocitoma, ganglioneuromatosi mucosa e costituzione marfanoide), e sono tutte conseguenza di varie mutazioni del proto-oncogene ret. Le linee guida per il trattamento chirurgico del CMT eredo-familiare sono state tracciate nel 2001 7 e successivamente convalidate 60, 135: nel protocollo risultante viene stabilito che le indicazioni e la tipologia dell’intervento devono tener conto principalmente delle valutazioni, mediante analisi del DNA, sulle diverse mutazioni ret. Le linee guida stratificano infatti le sindromi MEN in tre categorie, con il relativo timing degli interventi chirurgici:
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– livello 3: le mutazioni dei codoni 883, 918, 922 (MEN 2B) caratterizzano i CMT più aggressivi e precoci. In questi pazienti è indicata la tiroidectomia totale con linfectomia centrale di principio fin dal primo mese di vita e comunque non oltre i sei mesi; – livello 2: anche le mutazioni dei codoni 634, 620, 618, 611 determinano CMT aggressivi e precoci ma a estrinsecazione clinica più tardiva, per cui è indicata la tiroidectomia totale con linfectomia centrale comunque non oltre i cinque anni di vita; – livello 1: le mutazioni dei codoni 609, 768, 790, 791, 804, 891 determinano i CMT meno aggressivi e precoci. Le opzioni di trattamento, sulle quali il panel di esperti che ha dato origine alle linee guida non è tuttavia concorde, variano dalla tiroidectomia entro i cinque o dieci anni di vita alla tiroidectomia basata sui valori di calcitonina basale o stimolata. Il CMT familiare non-MEN è associato a varie mutazioni ret a basso rischio, paragonabili al livello 1 delle MEN, con le stesse indicazioni di trattamento. Dal punto di vista tecnico il trattamento chirurgico del CMT è influenzato da diversi fattori 92. Anzitutto, si tratta di un tumore decisamente più aggressivo dei carcinomi differenziati tiroidei, con elevate percentuali di recidiva e alta mortalità, specialmente nei pazienti più giovani. Le cellule neoplastiche del tumore midollare non captano lo iodio radioattivo e la radioterapia esterna/chemioterapia non si è comunque dimostrata efficace nella cura della malattia. Il CMT in forma familiare è multicentrico nel 90% dei pazienti, il CMT sporadico lo è almeno nel 20% dei casi. Le metastasi linfonodali sono presenti nel 70% dei
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pazienti con un CMT clinicamente evidente. Infine la determinazione postoperatoria della calcitoninemia consente una valutazione dell’accuratezza dell’exeresi chirurgica. Per quanto riguarda la chirurgia preventiva nelle forme ereditarie del CMT, esistono due opzioni, costituite dalla semplice tiroidectomia totale e dalla tiroidectomia totale con linfectomia centrale di principio. Nelle MEN 2a è necessaria anche una paratiroidectomia totale con autotrapianto di un frammento paratiroideo nell’avambraccio non dominante. Il vantaggio della linfectomia centrale di principio, giustificata dall’elevata incidenza di metastasi linfonodali anche non evidenti nel CMT, è costituito, come nei tumori differenziati, dalla possibilità di evitare successive linfectomie di necessità nell’ambiente cicatriziale conseguente alla precedente tiroidectomia. Alcuni Autori sottolineano non tanto il rischio, quanto l’impossibilità di portare a termine una linfectomia centrale adeguata senza rimuovere o per lo meno devascolarizzare deliberatamente le paratiroidi inferiori, e suggeriscono di individuarle nella dissezione, di asportarle e di reimpiantarle direttamente nello sternocleidomastoideo 24, 44. Nelle MEN accertate è indispensabile una valutazione preliminare morfo-funzionale delle ghiandole surrenali, per escludere la presenza di un feocromocitoma che richieda un trattamento chirurgico che preceda la tiroidectomia. In linea di massima nelle forme sporadiche clinicamente evidenti ma senza apparente coinvolgimento linfonodale l’indicazione chirurgica è la tiroidectomia totale con linfectomia centrale di principio 50, 92, 105. L’indicazione alla linfectomia laterocervicale omo- o bilaterale è invece contro-
versa. In un lavoro del 1999, Moley et al. hanno valutato l’incidenza di metastasi linfonodali da CMT nei vari compartimenti cervicali, riscontrandone l’80% nel compartimento centrale, il 75% nei linfonodi giugulari omolaterali ed il 47% nei linfonodi giugulari controlaterali; gli Autori affermano inoltre che la determinazione intraoperatoria sulla positività linfonodale è inattendibile e che l’asportazione dei soli linfonodi clinicamente colpiti è pericolosa, mancando la possibilità di una successiva terapia adiuvante radiometabolica sull’eventuale persistenza/recidiva di malattia 75. In un lavoro più recente lo stesso Autore consiglia quantomeno una linfectomia centrale e laterocervicale omolaterale alla sede della neoplasia 92. Le linee guida della SSO (Society of Surgical Oncology) indicano una linfectomia cervicale omolaterale alla neoplasia solo in caso di metastasi linfonodali laterocervicali palpabili o in presenza di metastasi linfonodali nel compartimento centrale 50. Secondo le linee guida NCCN 78 sono consigliate una linfectomia cervicale omolaterale in caso di CMT sporadico di diametro superiore a 1 cm, e una linfectomia cervicale bilaterale in caso di multifocalità bilaterale tiroidea; nei pazienti con CMT sporadico di diametro inferiore a 1 cm (microcarcinoma midollare) è indicata solo la linfectomia centrale. Hamy e Kraimps, in base ai risultati di uno studio su 43 pazienti affetti da CMT sporadico di diametro inferiore al centimetro (micro-CMT), non ritengono invece necessaria, in questi casi, una linfectomia, data l’assenza di un coinvolgimento linfonodale (0 linfonodi positivi/601 linfonodi campionati dopo linfectomia di principio in pazienti con micro-CMT). Secondo Weber 130 in caso di CMT eredofamiliare è sempre necessaria una linfec-
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tomia centrale e cervicale bilaterale, mentre nel CMT sporadico è sufficiente una linfectomia omolaterale, estesa bilateralmente solo in presenza di metastasi linfonodali palpabili nel lato opposto alla neoplasia. In base ai risultati ottenuti su 101 pazienti affetti da CMT e trattati consecutivamente in una stessa istituzione, Scollo e Schlumberger 105 indicano per qualsiasi CMT una linfectomia centrale e cervicale bilaterale, con la sola eccezione dei pazienti con unifocalità neoplastica tiroidea e negatività dei linfonodi centrali e omo-
laterali all’esame istologico estemporaneo. Le metastasi a distanza, così come le recidive o le persistenze di malattia, hanno eventualmente le stesse indicazioni al trattamento chirurgico specialistico (neurochirurgico, ortopedico, toracico ecc.) già citate per i carcinomi differenziati. In caso di metastatizzazione diffusa e non trattabile chirurgicamente, i protocolli attuali prevedono radioterapia esterna e chemioterapia (dacarbazina, imatinib mesilato, bifosfonati) con discreti risultati sulla sopravvivenza a distanza 78.
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