IL CLUB Anno XVIII n. 106/107 (maggio/agosto 2010) Bimestrale di informazione per i soci del Club Plein Air BdS Pubblicazione periodica a circolazione interna inviata anche ad altre associazioni di campeggio e alla stampa Responsabile editoriale Maurizio Karra Redazione Associazione dei camperisti e degli amanti del plein air del
Mimma Ferrante, Giangiacomo Sideli e Alfio Triolo Hanno collaborato a questo numero Emanuele Amenta, Anna Maria Carabillò, Luigi Fiscella, Fabio Loggia, Enza Messina, Larisa Ponomareva, Giuseppe Eduardo Spadoni, Enzo Triolo e Pasquale Zaffina
Rapporti associativi con
In questo numero Editoriale
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Vita del Club Nel ragusano per la Settimana Santa Archi fioriti e ...non solo Un castello tira l’altro Tra aree megalitiche e antichi manieri I viaggi dell’estate Palmares
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Tecnica e Mercato Sede sociale Via Rosolino Pilo n.33 90139 Palermo Tel 091.608.5152 Fax 091.608.5517 Internet: www.pleinairbds.it E-mail:
[email protected] Comitato di Coordinamento
Maurizio Karra (Presidente); Giangiacomo Sideli (Vice Presidente); Pippo Campo, Massimiliano Magno, Luigi Pastorelli, Giovanni Pitré ed Elio Rea (Consiglieri); Emanuele Amenta, Rossella Costanza Romano, Mimma Ferrante, Pietro Messina, Marcello Oddo, Vittorio Parrino e Alfio Triolo (Collaboratori) Collegio sindacale Luigi Fiscella (Presidente); Sergio Campagna e Adele Crivello (Componenti) Collegio dei Probiviri Rino Tortorici (Presidente); Giuseppe Carollo e Pietro Inzerillo (Componenti)
Arriva il caldo: difendiamoci Risparmiare si può Per la giovane coppia con bambini Il ritorno dello yacht
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Viaggi e Turismo Portogallo: un piccolo Paese dal grande passato Oltre l’azzurro del mare Urbisaglia, uno scrigno di tesori
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Terra di Sicilia La Riviera dei Ciclopi I teatri greci di Sicilia Espressioni siciliane Vizi e virtù dei siracusani
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Rubriche Terza pagina Viaggiare in modo responsabile Il mio camper Musica in camper Riflessioni Cucina in camper Internet, che passione News, notizie in breve L’ultima parola
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In copertina – Parco di Plitvice (Croazia) - foto di Maurizio Karra Questo numero è anche on-line sul nostro sito Internet www.pleinairbds.it
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Editoriale
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gni tanto mi lascio andare ai miei pensieri, gli do corda senza mai sapere dove vanno a finire. Capita a chi comincia, data l’età, a guardarsi anche indietro... A me capita anche quando penso al Club, a quel Club che insieme a pochi altri – fra cui Pippo Campo - fondai diciotto anni addietro (era la fine di marzo del 1992). Lui è l’unico, insieme a me, che ha resistito finora, dato che degli altri sei colleghi della banca che vollero condividere la proposta di creare un gruppo di camperisti targato Banco di Sicilia gli altri quattro hanno nel frattempo venduto il camper o, peggio, purtroppo non sono nemmeno più fra noi. In tanti soci nei mesi successivi si aggiunsero a quel manipolo di pionieri, tanti altri via via negli anni successivi; e parecchie decine sono quindi passati dalla nostra grande famiglia, in alcuni casi per pochi anni, in altri casi rimanendoci felicemente fino a questo momento. Non immaginavo allora che cosa sarebbe diventato il nostro sodalizio; forse se l’avessi ipotizzato non mi sarei buttato in quest’avventura; lo dico perché è stata sempre molto coinvolgente questa avventura, ma da qualche anno è diventata forse “troppo” coinvolgente anche verso le altre associazioni, grazie anche alla Federazione ACTITALIA del cui direttivo sono stato chiamato a far parte nonostante le mie iniziali resistenze. Alla fine è diventato comunque un “lavoro” che si aggiunge al lavoro normale, è un dispendio di
energie, di risorse e di tempo che potrei dedicare a me stesso e alla mia famiglia, e - diciamolo francamente - anche di costi a mio carico ma maniaco come sono dell’etica... Non voglio ripercorrere la storia di questi diciotto anni: sarebbe stupido, dato che sul nostro sito web c’è una sezione dedicata proprio alla nostra storia e chiunque voglia leggerla (o rileggerla) può farlo autonomamente. Non credo sia nemmeno il momento di trionfalismi, forse non ne ho nemmeno voglia, dato anche il clima aziendale che si respira e i venti di riorganizzazione che spirano freddamente anche sul nome Banco di Sicilia (cosa che in un modo o nell’altro finirà forse col coinvolgere anche il nostro Club). Ma, guardando al futuro (perché al futuro intendo comunque guardare), desidero proporvi ventuno pensieri - uno per ogni lettera dell’alfabeto - che ho buttato giù “a caldo” pensando al Club. Un modo non celebrativo ma propositivo di entrare nel diciannovesimo anno di vita della nostra associazione con la consapevolezza del tanto lavoro che vi è stato finora speso e della estrema facilità con cui tutto questo potrebbe finire, in qualunque momento, anche se non venisse a mancare la buona volontà di chi in questi anni all’organizzazione, alla gestione e all’amministrazione dell’associazione ha dato – insieme a me - l’anima.
A – Amicizia: è l’elemento di base che ha sempre costituito il nostro Club e tale deve rimanere, senza se e senza ma, e soprattutto senza falsità e ipocrisie da parte di chicchessia; se viene a mancare il legame di amicizia fra i soci cade la logica stessa su cui si basa fin dalla sua nascita il nostro Club, che in tal modo si trasformerebbe in un semplice sodalizio (magari un po’ snob) di tesserati. Ce ne sono già tanti così... B – Bontà: è più difficile essere buoni che non esserlo; ma spesso si è solo distratti, incuranti, superficiali
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e non realmente cattivi; ad essere buoni, per altro, si è costretti ad ammettere che la bontà alla lunga ripaga sempre. C – Condivisione: nulla e nessun valore assumono importanza e si radicano davvero in un sodalizio se non sono realmente condivisi; senza condivisione non ci sono nemmeno rapporti che possano durare nel tempo.
D – Democrazia: la volontà della maggioranza è alla base della democrazia; non c’è e non può esserci comunità sociale, piccola o grande che sia, che possa vivere senza una logica autenticamente democratica, pena il ricorso alla forza e alla coercizione; questo significa anche che le minoranze hanno il diritto di essere ascoltate e tutelate ma esse hanno anche il dovere di accettare le decisioni assunte dalla maggioranza. E – Equilibrio: non è mai abbastanza e nessuno pensi di averne tanto da poterlo vendere; magari ne avessimo tutti un po’ di più!
F – Faccia: è quella che ci giochiamo con gli altri in occasione di ogni gita, di ogni manifestazione, di ogni cena; ed è quella che io, da presidente, mi gioco in prima battuta ogni giorno con tutti i soci, ma anche con Sindaci e altri interlocutori istituzionali quan-
do rappresento il Club; nessuno lo dimentichi; e nessuno ne approfitti. G – Generosità: non intendiamola tanto o soltanto in senso finanziario; intendiamola prima di tutto come generosità d’animo, come capacità a superare i piccoli dissidi, a dimenticare i piccoli torti eventualmente subiti, a essere positivi anche quando non tutto gira come noi vorremmo. Come la bontà, alla lunga anche la generosità ripaga sempre. H – Humus: è quell’insieme di valori che ha fatto nascere il Club e che lo alimenta quotidianamente; sta a ognuno di noi nutrircene nei rapporti con gli altri soci e alimentarlo sempre con la nostra personale linfa.
P – Pace: pur senza guerre aperte accanto a noi, il nostro tempo non è certamente tempo di pace in nessuna parte del mondo e nemmeno nella nostra piccola Italia; e il clima di contrapposizione emerge nella politica e nella società a tutti i livelli, nei condomini, nelle famiglie... Per quanto ci riguarda, è forse un’utopia aspirare a un sodalizio in cui regni sempre la pace fra tutti?
T – Tolleranza: il carattere varia da individuo a individuo e varia analogamente anche il grado di tolleranza che si è disposti a manifestare rispetto a situazioni e/o persone che siano in contrasto con il nostro modo di pensare e agire; se avessimo tutti lo stesso carattere saremmo automi e non umani. Essere più tolleranti con gli altri non vuol dire essere più stupidi o meno “importanti”!
Q – Qualità: è una delle logiche che sono state sempre alla base delle nostre scelte, fin da quella basilare del numero dei soci; dall’esterno, è la cosa che ci viene sempre riconosciuta; ma per me e molti componenti del direttivo forse ancora non è sufficiente quella raggiunta.
U – Umiltà: è un termine ignoto ancora a tanti, forse perché c’è chi pensa che mostrandone si possa perdere prestigio agli occhi degli altri. Personalmente credo sia fondamentale averla e mostrarla in ogni circostanza. A me non interessa “apparire” ma “essere”, pur con i miei difetti (tanti) e i miei pregi (pochi). Umilmente parlando, s’intende.
I – Invidia: la coesione del gruppo è la logica dello stare insieme senza pensare a chi è migliore o peggiore, a chi è più bravo o meno bravo, a chi sa fare di più o di meno; se un progetto, una gita o qualcos’altro riesce, riesce per tutti, non condividere le esperienze comuni produce solo scollamento e marginalità. L – Lealtà: è uno dei principi di base del mio carattere e della mia storia personale e vorrei che tutte le persone che mi stanno accanto facessero a gara fra loro nel mostrane e ovviamente nell’averne; chi non è leale con gli altri non lo è nemmeno con se stesso. M – Maturità: non guasta mai, e anche qui non è mai sufficiente; in genere si acquista con gli anni, ma talvolta con gli anni capita che si vada perdendo. Gli esempi, in Italia e in ogni campo, non mancano. N – Nobiltà: può dirsi qualcosa di analogo a quanto detto della generosità; non mi riferisco certo alla nobiltà di lignaggio, né al possesso di titoli accademici o ricchezze; un uomo nobile può avere il diploma di scuola elementare e vivere con poco, uno ignobile anche tre lauree o una valanga di soldi...
V – Valori: sono tutti quelli di cui abbiamo parlato finora, dall’amicizia alla bontà, e giù giù dalla tolleranza all’umiltà. Sforziamoci di vivere seguendo tutti questi valori di cui abbiamo parlato.
R – Reciprocità: stare insieme in un gruppo deve essere un fatto coinvolgente; solo così si avrà reciprocità di relazioni, risposte alle domande, supporto ai bisogni: in poche parole un sistema di reciproca assistenza e di attiva complementarietà (vi sembra troppo?). S – Solidarietà: questa voce si lega particolarmente alla precedente: dovrebbe essere ovvio che tutti i soci operino nella vita associativa del Club aiutandosi fra loro in caso di bisogno, prestandosi assistenza laddove necessario e garantendosi reciprocamente solidarietà, elemento collaterale all’amicizia.
O – Opportunità: sono quelle, pratiche e concrete, che ogni nostro socio sa di avere attraverso il Club, servite su un vassoio d’argento: gite, viaggi, visite guidate, informazioni pronte, convenzioni, sconti, ecc.); tanti danno però tutto per ammesso e non comprendono che le opportunità non nascono da sole ma bisogna conquistarsele col sudore della fronte e anche con l’umiltà del quotidiano rapporto con gli altri.
Z – Zavorra: ahimé, è l’insieme delle persone (assai poche in verità) e degli atteggiamenti (rari ma ahimé persistenti) che, anche senza razionale consapevolezza degli autori, rischiano di vanificare anche in parte quello che abbiamo finora detto.
Concludendo: non ho voluto tenere né dare a nessuno lezioni di vita, non mi permetterei mai; ma qualche riflessione spero di averla promossa. L’ho fatto per tutti noi e per il nostro Club, affinché possa avere ancora lunga vita, qualunque sia il destino aziendale del Banco di Sicilia al quale comunque noi siamo stati e siamo finora legati. Per quanto mi riguarda, permettetemi di concludere questo lungo editoriale con un‘ultima considerazione: Finché avrò voce, parlerò; Finché avrò occhi, guarderò; Finché avrò gambe, camminerò; Finché avrò cuore, amerò.
Maurizio Karra
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Nel ragusano per la Settimana Santa Nel corso del nostro tour pasquale, dall’1 al 5 aprile, ci siamo dedicati alle manifestazioni sulla Passione e Resurrezione di Cristo, tra Ispica, Comiso e Modica Nel corso della Settimana Santa ci siamo dedicati alle esplorazioni di alcune delle manifestazioni che si svolgono un po’ in tutta la Sicilia, scegliendo quelle del ragusano, come quella recitata dagli abitanti d’Ispica e come la spettacolare cerimonia pasquale della Madonna Vasa-Vasa a Modica. Gli amici del Club si sono dati appuntamento nella giornata di giovedì 1° aprile a Ispica, presso via Sulla, indicata dall’Amministrazione Comunale per la sosta dei camper. Dopo i saluti di rito i partecipanti si sono dedicati alle prime esplorazioni della cittadina. La città di Ispica è sita sul lembo estremo della Sicilia sud-Orientale ed è posta su una collina a circa 170 metri s.l.m., di origine settecentesca. Sono mantenute e rinnovate alcune delle festività tradizionali, quali le processioni del Cristo alla Colonna del Giovedì Santo e del Cristo alla Croce del venerdì Santo. L’edificio più importante di stile liberty è il palazzo Bruno di Belmonte. Fu costruito a partire dal 1906. A pochi passi il palazzo Bruno che domina la piazza principale R. Margherita e fu realizzato nel 1° ventennio del secolo scorso è un’ulteriore testimonianza dell’importante presenza della famiglia Bruno a Ispica. L’edificio è ricco di colonne, timpani e cornici aderenti ai canoni neo-classici, che congiunti all’imponenza volumetrica dell’impianto liberty di Palazzo Bruno di Belmonte, fanno aderire questa costruzione al gusto eclettico dell’architettura della seconda metà dell’800. Altro monumento di particolare importanza è la Basilica di Santa Maria Maggiore, che fu edificata in due tempi distinti, ossia l’edificio nel ‘700 e la facciata nella seconda metà dell’800. La chiesa domina una piazza delimitata da un loggiato semicircolare risalente alla metà del XVIII sec. Nel pomeriggio di giovedì santo assistiamo alla solenne celebrazione eucaristica con il rito della “lavanda dei piedi”; dopo la messa, la processione e la reposizione del SS. Sacramento. La processione del SS. Cristo Flagellato alla Co-
lonna percorre alcune vie cittadine e a mezzanotte fa rientro dopo i tradizionali “giri” dentro la Basilica. La mattina del venerdì santo è stata dedicata alla visita del Parco Archeologico della Forza nella vicina Cava di Ispica. Il parco si presenta come un tortuoso canyon fluviale di circa 13 km., ed è da considerarsi l’alta rupe della Forza, corruzione volgare del termine “Fortilitium”, ossia piccola fortezza. Si tratta di un possente e quasi del tutto isolato sperone roccioso cal-
careo del Miocene inferiore (tarda era terziaria, età media di circa 20 milioni d’anni). E’ proprio su questo sito che, in mezzo ad una natura dove è possibile trovare ancora in parte la flora e la fauna presenti a Cava Ispica, affiorano accanto o al di sopra di antichi resti preistorici e protostorici i ruderi dell’antica fortezza tardomedievale-rinascimentale. Essa costituisce il nucleo dell’antico centro abitato di Spaccafurno, oggi Ispica. Qui si notano
Un momento della processione e delle reposizione del SS. Sacramento a Ispica, il giovedì santo. In basso i nostri soci al Parco della Forza
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anche i resti della Chiesa della SS. Annunziata (sec. XV-XVII). Nel fondovalle, ai piedi ed all’esterno del Parco Forza, si trova la chiesa
rupestre di S. Maria della Cava. Sono ancora visibili i resti affrescati di una probabile S. Rosalia e di un Crocefisso. A sinistra invece pa-
re che vi fossero dipinti l’Addolorata e S. Ilarione. Nel pomeriggio i nostri soci hanno assistito alla processione del “Cristo alla colonna” preceduta dalla cavalleria, dalle delegazioni di tutte le chiese d’Ispica, con le proprie insegne, dai confrati in abito tradizionale, seguiti dalle autorità civili, militari, dal corpo bandistico e dai fedeli. Alla fine della serata i partecipanti, stanchi per l’intensa giornata, si sono infine rifugiati all’interno dei mezzi itineranti. La mattina del sabato i camper si sono rimessi in moto in direzione di Comiso. Sistemati i camper, a pochi passi dal centro, e dopo il pranzo, abbiamo iniziato le nostre esplorazioni cittadine. Il fascino della città, d’aspetto settecentesco, è dato dal continuo di scale e di vie, lastricate con pietra bianca, che si intrecciano tra la pianura e i monti, dalle piazze asimmetriche e dalle numerose chiese i cui svettanti campanili sovrastano ogni angolo della città.
In alto l’interno della chiesetta rupestre di S. Maria della Cava In basso la processione del Cristo alla colonna di Ispica
La Fonte Diana di Comiso In basso i resti delle terme romane
L’abitato di Comiso è aggregato attorno alla Fonte Diana che alimenta antiche terme romane venute alla luce in vari momenti a partire del 1600. Sotto il Palazzo Comunale troviamo le Terme Romane, quindi visitiamo la Chiesa Madre. Il Sagrato della Chiesa costituisce un vero e proprio punto panoramico del centro cittadino. Qui la vista si perde tra i tetti delle case fino ai verdi carrubi degli i-
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blei. Costeggia il sagrato una condotta idrica “a saia”, che faceva funzionare l’antico mulino di S. Maria. Questa condotta idrica, proveniente dalla fonte Diana, alimentava fino agli anni ’60 il lavatoio pubblico. Visitiamo quindi la Chiesa di S. Biagio, patrono della città. Ci incamminiamo per ammirare uno dei gioielli architettonici di Comiso, la Chiesa di S. Francesco all’Immacolata, monumento nazionale: molto bello il portico di stile quattrocentesco e la cappella ad otto punti intorno all’altare maggiore nonché il mausoleo marmoreo di Gaspare II Naselli. Raggiungiamo, piazza delle Erbe, dominata in alto dalla facciata della Chiesa Madre e delimitata dal Mercato Vecchio. Oggi ospita la sede della fondazione “Gesualdo Bufalino”, del museo di Storia Naturale e dell’Ufficio turistico. Salendo vediamo la Chiesa SS. Annunziata. Completato il giro del centro storico ci avviamo ai camper e, quindi, nel tardo pomeriggio ci spostiamo in direzione di Modica. In serata ci sistemiamo nel parcheggio sotto la stazione ferroviaria. La cena la facciamo presso locali caratteristici del centro. Ed eccoci alla mattina di Pasqua: ci avviamo verso Corso Umberto per assistere alla SS. Messa presso il Duomo e partecipare poi alla processione e all’incontro della Madonna e il Cristo risorto. Il giorno più caratteristico dei festeggiamenti pasquali qui cade proprio il giorno di Pasqua, quando il simulacro della Madonna ancora in lutto è portato in processione per la via principale della città; quando si scorge da lontano la statua del Cristo risorto, la processione prevede l’incontro delle due statue, la liberazione del manto nero della Madonna e il volo di colombe. L’evento è noto con l’espressione di “Madonna VasaVasa” perché, nel momento dell’incontro, le due statue si avvicinano per un bacio. Tale bacio si ha nella piazza S. Domenico, vicino il Palazzo di Città. Tale festa risale al 600 ed ha origini spagnole. Finita la bellissima manifestazione, ci siamo poi diretti a piedi all’Osteria Sapori Perduti, dove si sarebbe consumato il pranzo pasquale. Dopo gli ottimi piatti consumati, e con la bocca “dolce”, è seguita una bella passeggiata nel centro storico. Nel tardo pomeriggio ci siamo spostati con i nostri
Il momento clou della processione della “Madonna Vasa Vasa” che si svolge a Modica nella mattina di Pasqua. In basso foto di gruppo dei nostri soci all’Osteria Sapori Perduti
mezzi verso il litorale del ragusano per fermarci in un’area adatta, vicino al mare, per trascorrere in pieno relax l’indomani. Il mattino della pasquetta è sorto con un sole splendente ed un mare azzurro, e questo clima primaverile ha indotto i nostri soci ad effettuare delle lunghe passeggiate in spiaggia e a sistemare poi in vista del pranzo tavolini e sedie in serie per procedere poi alla clas-
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sica “arrustuta”, mentre durante i preparativi un vento spietato faceva alzare la sabbia costringendo pian piano tutti noi ad entrare nei camper per completare il pranzo. Infine, dopo il pranzo e i saluti dei partecipanti, si è ripresa la via di casa.
Testo di Emanuele Amenta Foto di Larisa Ponomareva
Archi fioriti e …non solo Il week-end del 1° maggio nell’agrigentino fra gli splendidi archi di San Biagio Platani, le grotte sicane di Sant’Angelo Muxaro e i vulcanelli di Maccalube, in compagnia di un “padrone di casa” mitico come Mister Five
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rmai siamo arrivati alla bella stagione e con lei la voglia di godere della natura e delle bellezze artistiche della nostra isola tocca il culmine; così nel week-end del 1° maggio siamo andati ad esplorare una zona dell’agrigentino che prometteva numerosi tesori. Il programma prevedeva la visita di San Biagio Platani, paese famoso per la bella manifestazione degli Archi di Pasqua, nel cui parcheggio del campo sportivo si è data appuntamento la nostra carovana di camper. Peccato che l’amministrazione comunale, avvertita da oltre un mese del nostro arrivo, è riuscita a “brillare” per la sua totale assenza e per la mancanza di reale ospitalità, negandoci poche ore prima del raduno anche la guida promessa per la visita della cittadina e soprattutto non fornendoci alcun tipo di assistenza, nemmeno informativa, per l’ingresso al campo sportivo a causa delle strade chiuse al traffico. Per fortuna che a risollevare il morale è arrivato nel primo pomeriggio il nostro mitico, vulcanico e irrefrenabile Mister Five, al secolo Angelo Cinque, in trasferta insieme alla moglie Adriana per la voglia di stare con gli amici vecchi e nuovi del Club, facendosi apprezzare anche da questi ultimi a tempo di record. Così dopo gli abbracci e i baci di rito, ci siamo diretti tutti insieme a visitare i vicini Archi di Pasqua in tutta la loro magnificenza. Infatti tra le manifestazioni siciliane che celebrano la Santa Pasqua, quella che si svolge a San Biagio Platani è sicuramente una delle più suggestive; nasce dal culto della Madonna e di Cristo e le sue radici risalgono al '700, quando ancora il paese non contava mille abitanti. A questa tradizione si deve la nascita delle due confraternite, Madunnara e Signurara, che con tanta passione rinnovano di anno in anno questa manifestazione. La divisione del paese nelle due confraternite non dà origine ad un antagonismo violento, ma ad una competizione vivacissima ed appassionante che si conclude la notte del sabato Santo, quando
Due immagini degli archi di San Biagio Platani
ciascuna confraternita allestisce la parte del “corso” che le compete. La preparazione degli archi, che inizia in vari laboratori qualche mese prima della Pasqua, richiede una grande quantità di materiale, tutto rigorosamente concesso dalla natura. Quelli più largamente usati sono le canne, il salice, l'asparago, l'alloro, il rosmarino, i cereali, i datteri, e il pane oltre che la pasta in mille forme; ognuno di questi materiali è ricco di un alto significato simbolico. La parte più importante è costituita dagli archi centrali, sotto i quali la mattina di Pasqua avviene l'incontro tra Gesù
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risorto e la Madonna, mentre gli archi rimangono al loro posto fino al 1° maggio almeno. Di anno in anno viene cambiata l’architettura degli archi e quindi anche l'estetica di questa strada divisa a metà dalla Chiesa Madre, che fa da spartiacque fra i Madunnara e i Signurara nell’allestimento dei loro archi, mentre resta invariata la struttura architettonica, costituita dall'entrata, dal viale e dall'arco. L'entrata rappresenta la facciata di una chiesa, il viale la navata, e l'arco, opposto all'entrata, l'abside della chiesa stessa.
Ancora due immagini scattate a San Biagio Platani
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Così, dopo alcuni anni che non venivamo da queste parti (e molti non c’erano mai stati), ci siamo ritrovati a passeggiare sotto queste particolarissime navate, realizzate con il materiale concesso dalla natura, ammirando i fantasiosi bassorilievi di pane, i “dipinti” realizzati con pasta, riso e legumi, le sculture in legno che inneggiavano ai prodotti della natura, in un crescendo di meraviglia, tra colori brillanti, forme fantasiose e temi sacri o naturalistici di grande bellezza, proseguendo oltre gli archi fino alla scultura dedicata agli emigranti, che ricorda il passato di povertà del paese. Dopo la visita degli splendidi archi ci siamo diretti a bordo di qualche camper al vicino paese di Sant’Angelo Muxaro, fermandoci presso il ristorante Villa Gioiosa, per degustare una fantastica cena organizzata dal nostro ineffabile Mister Five, con un buffet che contava oltre trenta diverse pietanze, allegramente saccheggiate dalle nostre cavallette, che hanno poi assistito senza partecipare granché anche a una serata di musica e danze, prima di tornare all’accampamento di San Biagio Platani con le panze tese come tamburi; qui alcuni hanno trovato la forza di fare un’ulteriore passeggiata by night ammirando gli archi di Pasqua illuminati in versione notturna, mentre la maggior parte dei presenti è crollata a letto, concedendosi il sonno del giusto. La mattina dopo la carovana dei camper si è diretta nuovamente a Sant’Angelo Muxaro, lasciando la maggior parte dei mezzi al bivio sottostante e raggiungendo la piazza centrale del paese a bordo di qualche camper dati gli spazi a disposizione. Qui l’inarrivabile Mister Five aveva organizzato una ricottata da guiness dei primati, accompagnata da tuma, primosale, focacce e …vino; come se tutto quel bendiddio, spazzolato a tempo di record dalle nostre cavallettepirahna non bastasse, il nostro Angelo ci ha aggiunto anche del saporitissimo pani cunzatu ancora caldo con olio, spezie e primosale, in grado di fare resuscitare anche i moribondi, su cui i famelici presenti si sono gettati senza tante cerimonie. E’ seguita poi una breve e inaspettata visita del piccolo borgo, scandito da vicoli lastricati e da facciate in pietra viva, il cui nome
Muxaro deriva dall'arabo Munsar che significa "serra, catena di monti" poiché il paese è circondato da numerosi rilievi e le cui origini si fanno risalire ad un'antica città sicana, anche se l’abitato attuale nacque con "licentia populandi" solo nel 1506 ad opera della famiglia Aragona Pignatelli. Tra i suoi monumenti più significativi vi è la Chiesa Madre dedicata a Sant’Angelo, di impronta barocca, che ospita alcune icone di matrice bizantina, oltre ad un grande dipinto con il battesimo di Cristo e alcune belle vetrate istoriate. Nel piccolo borgo i nostri soci hanno avuto modo anche di entrare in contatto con alcuni artigiani, epigoni di quegli antichi maestri che un tempo popolavano tutti i piccoli centri, e in particolare si sono recati alla bottega di Lillo Tarallo che realizza ancora oggi, ultraottantenne, oggetti in vimini e canne dalle forme più bizzarre, oltre a cestini e contenitori di gusto siciliano; e nella sua bottega tanti dei presenti hanno potuto acquistare un pezzetto del mondo contadino di una volta. Nella parte bassa dell’abitato il gruppo si è poi fermato per visitare una necropoli protostorica che racchiude fra le altre la cosiddetta "Tomba del Principe", formata da due grandi camere circolari comunicanti; una anteriore molto grande di circa 9 metri di diametro e la seconda più internata e di dimensioni più ridotte, che presenta intagliato nella roccia un lettuccio funebre. E’chiamata anche “Grotta Sant’Angelo”, dal nome del santo protettore che secondo la tradizione avrebbe scelto la grotta per il suo eremitaggio dopo averla liberata dal demonio. All’interno di questa tomba sono stati rinvenuti oltre cento reperti, alcuni dei quali visibili nei musei di Siracusa e di Agrigento, mentre al British Museum di Londra si trova una splendida coppa d’oro decorata a sbalzo raffigurante sei torelli a circolo. In ogni caso i reperti ritrovati rappresentano un raro tesoro di oreficeria di manifattura indigena, con richiami a modelli minoico-micenei. Questi ori, insieme all’incalcolabile quantitativo di materiale archeologico, la particolarità dell’architettura funeraria riscontrata e il richiamo all’ambiente egeo conducono al popolo dei Sicani, dato che proprio
Un momento della ricottata organizzata da Mister Five a Sant’Angelo Muxaro. Nelle foto in basso la bottega di Lillo Tarallo, ultimo intrecciatore di canne e giunchi, visitata dai nostri soci nel corso della visita di questo piccolo centro agrigentino, e l’interno della Tomba del Principe, nella necropoli protostorica alle pendici della collina su cui sorge l’abitato
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in questa valle questo popolo spesso poco conosciuto anche dagli archeologi riuscì a rafforzare la sua presenza controllando il traffico di merci e di prodotti attraverso
la vigilanza delle vie di comunicazione interne, come quella lungo il fiume Platani, che dalla costa africana si spingevano verso l’interno della Sicilia.
Alcune immagini dell’escursione ai Vulcanelli di Maccalube
Molto soddisfatti per avere potuto ammirare tutti questi tesori abbiamo deciso a questo punto di chiudere il raduno in grande stile, andando a visitare i vicini Vulcanelli di Maccalube, situati ai margini di Aragona. Si tratta di piccoli coni di fango, la cui altezza varia da pochi centimetri ad un metro, da cui fuoriesce un gas misto ad acqua e fango in grado di far sobbollire il liquido al loro interno con un effetto quasi trascendentale. Periodicamente i coni vengono sconvolti da estesi rivolgimenti del terreno, che sembra realmente girare su se stesso, provocando esplosioni ed eruzioni accompagnate da forti boati. Questo raro fenomeno geologico, chiamato vulcanesimo sedimentario, è conosciuto da queste parti fin da tempi antichissimi, al punto che ne hanno parlato testimoni d’eccezione come Plinio il Vecchio, Vitruvio, Aristotele e in tempi più recenti Goethe e De Maupassant, contribuendo a creare attorno all’Occhiu di Macalube (appellativo derivante dalla forma circolare della collina e dal colore biancastro del suo sfondo) storie fantastiche, come quella secondo la quale un tempo un’intera città sorgeva sulla collina, prima che fosse spinta nelle viscere della terra a causa di un’offesa fatta ad una divinità, lasciando in superficie soltanto una landa desolata cosparsa di coni di fango. Qui alcuni dei presenti, affascinati da questa ambientazione così inusuale, hanno immerso le mani in questo fango così particolare, hanno respirato l’odore di zolfo e hanno coltivato fantasie da inferno dantesco, prima di tornare alla realtà e ai camper. A questo punto è avvenuto il rito dei commoventi saluti finali con il “nostro” Mister Five, con la promessa di rivederci al più presto e di progettare ancora tanti bei momenti da godere sulle strade del mondo in un clima di grande affetto e amicizia. E poi per consolarci della fine del raduno ci siamo tuffati in un “frugale” pranzo domenicale, accompagnato da sontuosi dolcetti, prima di riprendere la strada verso casa, progettando comunque la prossima uscita…
Testo di Mimma Ferrante Foto di Maurizio Karra
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Un castello tira l’altro Nel week-end di metà maggio siamo andati alla scoperta di due antichi manieri, quello arabo di Misilmeri e quello borbonico di Ficuzza, immersi nella splendida natura siciliana e … in un autentico tornado di vento misto talvolta a pioggia che ha reso la nostra visita decisamente avventurosa
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i dice che le mezze stagioni non esistono più, che si passa direttamente dall’inverno all’estate, che il tempo è impazzito, e così via; e in tutti questi detti c’è sicuramente del vero. Basti pensare che la gita organizzata tra il 15 e il 16 maggio tra Misilmeri, Ficuzza e il lago di Piana degli Albanesi, alla scoperta di castelli, boschi e laghi, doveva essere un’immersione totale nella natura circostante, da godere a pieni polmoni e in abbigliamento estivo, soprattutto dopo le ultime due settimane trascorse in un caldo asfissiante. Invece la mattina del sabato ci siamo svegliati con il rumore della pioggia scrosciante e del vento che ululava, mentre la temperatura aveva avuto un abbassamento repentino netto di oltre 15 gradi! Non ci è rimasto che subirne le conseguenze, affrontando il raduno a muso duro e con determinazione, mentre il freddo ci trafiggeva senza pietà. Peccato, perché la bellezza dei luoghi e delle atmosfere avrebbe meritato condizioni climatiche decisamente meno infelici, ma ciononostante non ci siamo arresi e abbiamo comunque potuto apprezzare questi altri tesori della nostra isola, a pochi chilometri da Palermo, grazie alla protezione sciamanica del nostro presidente e del “Vate Enrico” (come è ormai chiamato il nostro socio Enrico Gristina per le sue “capacità antipioggia”). L’appuntamento per la carovana dei camper era nel parcheggio antistante il castello di Misilmeri, situato ad una manciata di chilometri da Palermo, che è stato raggiunto grazie alla fattiva collaborazione del presidente del locale Camper Club Misilmeri, Gianvito Scaffidi. Subito dopo ha avuto inizio la visita del castello, eretto nel punto più alto dell’abitato tra la fine del X secolo e l’inizio dell’anno Mille per volontà dell’emiro Giafar, all’epoca della dominazione araba in Sicilia, quando proprio gli arabi attuarono un’importante opera di organizzazione del territorio, grazie anche ad un nuovo assetto agrario, caratterizzato dalle opere di
canalizzazione e di irrigazione e dall’introduzione di coltivazioni, come la canna da zucchero, gli agrumi, il baco da seta, mentre lo scacchiere territoriale dell’isola veniva completato con la fondazione di castelli in vista dei fiumi e delle vie di comunicazione più importanti. Infatti, la loro costruzione, originata da esigenze difensive, assolveva anche il compito di gestione del territorio con una localizzazione che disegnava alcune linee principali di collegamento, come quella che andava da Palermo ad Agrigento, attraverso vari castelli, come per l’appunto quello di
Misilmeri, quello di Cefalà Diana, quello di Vicari, ecc.. Con l’avvento dei normanni varie famiglie cristiane si avvicendarono in questa rocca, fino a mutarne la fisionomia, che divenne, oltre che difensiva, anche residenziale, come nel XIV secolo sotto i Chiaramonte; è a questo periodo che risale la costruzione della cappella con le volte a crociera, mentre intorno al cortile centrale si susseguono i diversi ambienti. Con il passare dei secoli l’incuria e il logorio del tempo trasformano il castello in un ammasso informe di pietre, al punto che gli abitanti di Misilmeri non furono più
Il nostro gruppo nel cortile del Castello dell’Emiro di Misilmeri In basso davanti alla Palazzina di caccia dei Borbone a Ficuzza
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in grado di riappropriarsi del “loro” castello, né di immaginarlo sotto la terra e le erbacce, fino a che non viene iniziato il suo restauro che oggi permette di intravedere almeno la sua pianta originaria, scandita da alcuni brani di mura. Questa appassionante storia ce l’ha raccontata l’assessore alla cultura del Comune che, nel darci il benvenuto, ci ha brevemente descritto l’edificio, ci ha parlato delle prigioni riscoperte con i graffiti dei prigionieri in varie lingue sui muri e ci ha anticipato che il vasto cortile sarà adibito quanto prima anche a spazio comune per iniziative culturali. Così nel ridiscendere verso il parcheggio, nonostante il vento gelido che soffiava intono a noi, ci siamo sentiti riscaldare all’idea che anche nella nostra terra si possono portare avanti i progetti e realizzarli per recuperare la nostra memoria e garantire un futuro alle prossime generazioni.
Dopo esserci spostati nell’area dei vicini campi sportivi di Piano Maglio per un veloce pranzo in una splendida oasi di verde, nel primo pomeriggio ci siamo quindi diretti a Ficuzza, sistemandoci nel parcheggio dell’agriturismo “Antica stazione”, così chiamato perché occupa il sito dell’antica stazione ferroviaria che, con treni a scartamento ridotto, collegavano Palermo a Corleone. Da qui ci siamo spostati di qualche centinaio di metri fino alla Palazzina Reale dei Borboni, fatta costruire dall’architetto Venanzio Marvuglia su incarico del re Ferdinando III per essere utilizzata come casina di caccia, dato che si trova nel cuore di quella che oggi è la Riserva del bosco di Ficuzza, all’ombra di Rocca Busambra che dai suoi 1.600 metri domina il territorio circostante. L’edificio venne costruito tra il 1802 e il 1807 con una facciata scandita dalle calde tonalità
Due immagini dei nostri soci all’interno della reggia di Ficuzza
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dell’arenaria, sovrastata dallo stemma dei Borbone e delimitata dalle due ali staccate degli ambienti di servizio a mo’ di corte esterna. Al suo interno, recentemente riaperto al pubblico dopo lunghi lavori di restauro, si visitano l’imponente scalone in marmo rosso, diversi saloni, in cui sono visibili mostre di pittura e di scultura moderna, la notevole camera da letto del re, scandita da affreschi e colonne, il sottotetto in cui è visibile il meccanismo degli orologi che decorano la facciata, la cappella reale, collegata alla palazzina da un balcone da cui il re poteva assistere alla messa, senza mischiarsi con i suoi sudditi, e le cantine in roccia viva, in cui venivano conservati vino e provviste, dove trovava posto anche un locale adibito a neviera, per la conservazione della neve fino all’estate così da ottenere un frigorifero naturale e poter ottenere delle granite estive per il sollazzo della corte quando c’era tropo caldo. Dopo essere tornati ai camper ed esserci riposati al riparo del vento gelido che soffiava, ci siamo preparati per la succulenta cena della sera che avremmo gustato presso l’agriturismo, che ha visto le cavallette targate BdS in grande forma, pronte a spazzolare una dozzina di antipasti, un bis di primi di cui facevano parte delle strepitose tagliatelle al ragù e ai funghi porcini, la grigliata di carne e il dolce alla ricotta a tempo di record. E poi, dopo aver affrontato il gelo esterno, ci siamo rintanati all’interno dei camper per goderci il sonno dei giusti. Il mattino della domenica ci siamo svegliati sotto un pallido sole che, anche se la temperatura rimaneva fredda, ci ha permesso di effettuare la prevista passeggiata all’interno della Riserva di Ficuzza, un vasto ed esteso altopiano boscoso che ricopre il versante settentrionale della Rocca Busambra con 4.000 ettari di querce, al cui interno si incontrano i cosiddetti “gorghi”, piccole pozze di acqua presenti in alcune radure. Qui nel corso della visita guidata con un valente naturalista si è raggiunto il cosiddetto Trono del Re, un enorme masso parzialmente scavato fino a formare una scala e un piccolo trono alla sommità presso cui veniva condotto in portantina Federico III che, a causa del sovrappeso, si sedeva su questo originale sedile in pietra e cac-
ciava da seduto! E poi il gruppo ha raggiunto il bellissimo belvedere su Rocca Busambra per ammiarre il bosco sottostante e, dalla parte opposta, le sagome di Godrano, Cefalà Diana e Villafrati, come tre piccoli presepi distesi sulle colline di rimpetto alla Rocca Busambra. La tappa seguente è stata presso il cosiddetto ospedale dei rapaci, cioè il centro regionale di recupero della Lipu, al cui interno vengono curati duemila animali l’anno, in buona parte uccelli, che sono trovati feriti a causa di colpi di bracconieri o per incidenti vari. Il centro, che è il più grande della Sicilia, ospita una sala chirurgica, una nursery per i cuccioli, voliere i convalescenza, di riabilitazione e di ambientamento e cura ogni anno circa 2.000 esemplari, in prevalenza rapaci, ma anche tartarughe e altri animali, riuscendo a rimetterne in libertà dopo le cure circa il 40%; per tutti gli altri che non sono in grado di tornare in libertà il centro funge da rifugio e casa. Tra questi ultimi abbiamo avuto la possibilità di vedere diversi rapaci, tra cui il gufo reale Ciccio, che ha spento le 25 candeline e non potrà mai volare perché gli sono state tagliate le ali da piccolo, ed Emma, una poiana ferita troppo gravemente per tornare in libertà; la loro vista ci commuove e insieme ci rattrista il sapere che si trovano in cattività per la stupidità umana, anche se è sempre grazie all’uomo che sono stati curati e sono vivi. Dopo questo piacevole contatto con la natura, spesso preclusa a noi che abitiamo nelle città e che siamo circondati da mura di cemento, si siamo spostati con i camper presso il vicino lago di Piana degli Albanesi, fermandoci presso l’antica stazione dimessa, nei pressi della diga. Qui le cavallette si sono risvegliate, dapprima al cospetto del pranzo domenicale, e quindi davanti alla magnifica guantiera di cannoli offerti dal Club, portati dal vicino paese da Rossella Romano; inutile descrivere la goduria con cui i presenti si sono precipitati a divorare i dolci, riempiendo anche nasi, guance e dita della soffice crema di ricotta. E con questo dolce arrivederci, anche il ritorno a casa è stato più ...digeribile, mentre intorno a noi il vento continuava ad ululare. E la chiamano estate…
I soci del Club appollaiati sul cosiddetto Trono del Re, un enorme masso all’interno della Riserva di Ficuzza, parzialmente scavato fino a formare una scala e un piccolo trono alla sommità presso cui veniva condotto in portantina Federico III di Borbone per cacciare. In basso un momento della passeggiata nei boschi e il momento più dolce della gita, quello della scorpacciata di cannoli, la domenica dopo pranzo, sul Lago di Piana degli Albanesi
Testo di Mimma Ferrante Foto di Maurizio Karra
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Tra aree megalitiche e antichi manieri La gita del 29 e 30 maggio a Montalbano Elicona e al Bosco di Malabotta
L
a bella stagione continua a farsi desiderare e il caldo si alterna con il vento e la pioggia; questo però non ci scoraggia e noi continuiamo imperterriti ad esplorare la nostra bella isola, piena di tesori famosi o nascosti. A caccia di questi ultimi siamo andati nel week-end del 29-30 maggio, con un raduno organizzato dal nostro Vittorio Parrino, nel borgo di Montalbano Elicona, situato nell’entroterra messinese all’interno del Parco dei Nebrodi tra Patti e Falcone, la cui visita era già stata rimandata due volte lo scorso autunno a causa del forte maltempo. Questa volta la visita ha avuto finalmente luogo, ma le nostre esplorazioni non sono andate troppo bene non solo a causa del tempo, non ancora del tutto stabilizzatosi nonostante si fosse a fine maggio, ma anche per alcuni disservizi organizzativi con il Comune e la guida che ci era stata assegnata. L’appuntamento per la carovana dei camper era nel parcheggio vicino le scuole e la Guardia Medica, nella parte bassa dell’abitato, dove i nostri soci si sono ritrovati nel corso della mattinata del sabato e da dove, dopo il pranzo, si sono mossi puntuali alle 15, come convenuto, per incontrare davanti ai locali dell’Ufficio Turistico del Comune la guida che ci avrebbe condotto nella visita del centro storico del paese. Ma, in preda agli effetti di un asfissiante scirocco, la guida promessaci non si è fatta vedere nonostante una decina di telefonate e così, dopo oltre un’ora di attesa inutile, non ci è rimasto che andarcene a zonzo da soli. Peccato, perché la cittadina meritava un’esplorazione più approfondita di quanto evidentemente da soli è stato possibile attuare. Montalbano Elicona si innalza ad oltre 900 metri di altitudine nel Parco dei Nebrodi e da qui è possibile osservare da un lato il mare Tirreno con le isole Eolie e dall’altro i boschi circostanti e perfino la sagoma dell’Etna. Situata in quello che viene considerato uno dei crocevia più importanti della storia della Sicilia - il valico che nell’antichità metteva in collegamento la colonia greca di Tindari
Panorama di Montalbano Elicona dal belvedere del castello con quella di Naxos – la cittadina ha visto susseguirsi numerose dominazioni, anche se il centro abitato cominciò ad assumere l’impronta giunta fino a noi sotto la dominazione normanna, vivendo la sua epoca d’oro sotto Federico II d’Aragona che trasformò il preesistente castello normanno nella sua residenza estiva e in un luogo nevralgico a guardia del territorio circostante. I tesori custoditi dalla cittadina sono serviti a includerla nel prestigioso club de “I borghi più belli d’Italia”. E in effetti, il borgo antico è caratterizzato da stradine acciottolate e facciate in pietra viva che fanno da contorno alla vasta
Piazza del Municipio e che si inerpicano fino alla Chiesa Madre, che risale al XII secolo ed è dedicata al Patrono San Nicolò, al cui interno si ammira uno splendido Cristo ligneo d’età medievale e un pregevole altare barocco, oltre a sculture della scuola del Gagini. Nelle vicinanze si possono ammirare anche alcuni bei portali barocchi di palazzi nobiliari che si affacciano in via Mastropaolo; mentre di fronte alla chiesa si innalza Casa Parlavecchio, al cui interno è ospitato il Museo storico fotografico Belfiore, con foto d’epoca della cittadina e dei suoi abitanti, in grado di fare rivivere il recente passato del borgo.
I nostri soci davanti all’ingresso del castello
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La sala delle armi all’interno del castello Ma la presenza più autorevole, da un punto di vista monumentale, è sicuramente quella del castello, che si staglia sul punto più alto dell’abitato e che è costituito da un fortilizio normanno-svevo, chiuso da due torri, una a pianta quadrata e l’altra a pianta pentagonale; all’interno del complesso, recentemente restaurato e riaperto al pubblico, si distinguono un salone per armigeri, preceduto dalle carceri, un salone di rappresentanza e la cappella reale, caratterizzata da tre absidi. L’edificio ospita anche il Museo delle Armi Bianche e il Museo didattico degli strumenti musicali antichi, mentre a ridosso del cortile di ingresso è visibile l’antica chiesetta di Santa Caterina, di impronta gotico catalana. Non meno interessante è poi il quartiere sottostante, denominato Medieval Resort, dove sono visibili un intero gruppo di antiche case medievali con cortili, ballatoi e parti adibite fino a pochi anni fa a stalle, pazientemente risistemate e trasformate dal Comune in un insieme di case-albergo dove in estate soggiornano studenti stranieri in vacanza studio. A questo punto le nostre cavallette si sono risvegliate andando all’esplorazione anche delle ottime provole locali, del pane casereccio e dei tanti dolci tipici del paese, e infine di una pizzeria dove hanno concluso la serata mettendo in moto le mandibole, come da consolidata tradizione. Il mattino della domenica era prevista la visita della misteriosa area megalitica dell’Argimusco, dove la guida del giorno precedente aveva promesso di essere stavolta presen-
te; ma, dopo una lunga attesa, solo a metà mattina siamo stati raggiunti e siamo finalmente riusciti a metter-
ci in moto per raggiungere l’area naturalistica, attraverso uno scenario di boschi rigogliosi e di verde dalle mille tonalità. Qui giunti, la nostra guida si è però fatta “distrarre” dall’arrivo di un pullman di turisti che, a suo dire, gli era stato anch’esso affidato dal Comune, con il risultato che noi ci siamo ritrovati di colpo a far parte di un gruppo allargato di oltre 80 persone, per altro male assortite (gran parte delle persone scese dal pullman era formato da anziane signore con, ai piedi, scarpe con i tacchi a spillo!); e così ben presto i nostri soci sono stati costretti a effettuare anche la visita dell’area dell’Argimusco in totale autonomia. Ci siamo ritrovati a inerpicarci anche in piccoli gruppi attraverso i pendii e i sentieri della bella area naturalistica che si estende a 1.200 metri di altitudine su un alto-
I nostri soci mentre si avviano a visitare l’area megalitica dell’Argimusco In basso uno degli enormi megaliti
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piano del vicino Bosco di Malabotta; in uno scenario aperto di campi verdeggianti qui affiorano alcuni enormi massi di granito, che vengono identificati come i resti di un villaggio preistorico, nei cui pressi si distinguono menhir utilizzati probabilmente per la costituzione di calendari astronomici che servivano a determinare i solstizi e gli equinozi. Tra gli affioramenti più suggestivi ve ne è uno che ricorda una gigantesca aquila, mentre un altro è denominato della Dea o dell’Orante a causa di quella che sembra essere la sagoma di una donna scavata nella roccia nell’atto di pregare; al cui culmine si trova anche una vasca sacrificale che non può che colpire vivamente la fantasia e stuzzicare la curiosità. L’area rimanda ad antichi riti propiziatori scritti all’alba dei tempi, e su tutto aleggia un’atmosfera magica in cui elfi e folletti sembrano giungere da antiche fiabe celtiche, in un mondo di incantesimi e di mostri che bisogna stare bene attenti a non risvegliare dal letargo. Nelle vicinanze non manca neanche una necropoli composta da dolmen e da “cubburi”, manufatti in pietra sormontati da una cupola semisferica, mentre un po’ ovunque sono visibili le cosiddette uova di pietra, cioè formazioni sferiche che la roccia arenaria espelle, in seguito alla erosione degli elementi atmosferici. Si tratta dell’unico sito megalitico presente in Sicilia e risale ad oltre 5.000 anni fa. Alla fine del giro dei megaliti, con una temperatura che nel frattempo era scesa di oltre 15 gradi in meno di 24 ore e un vento a volte assassino, ci siamo quindi ritrovati nel vicino spiazzo erboso dove erano stati sistemati i camper per il pranzo domenicale, alla fine del quale pian piano è iniziata la discesa verso la costa e il ritorno a casa. E così si è conclusa la nostra visita a Montalbano Elicona, un bellissimo borgo con un altrettanto splendido territorio tutt’attorno, raggiungibile solo percorrendo oltre 20 km. di strade terribili dopo aver lasciato l’autostrada; una cittadina dalle grandi potenzialità turistiche ancora da mettere però in gran parte a frutto con una più attenta politica dell’accoglienza, nonostante la già avvenuta inclusione fra i Borghi più belli d’Italia.
Il megalite della Dea o dell’Orante, così chiamato perché sembra essere la sagoma di una donna nell’atto di pregare. In basso un uovo di pietra affiorante sempre nell’area dell’Argimusco: si tratta di formazioni sferiche che la roccia arenaria espelle in seguito alla erosione degli elementi atmosferici
Testo di Mimma Ferrante Foto di Maurizio Karra
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I viaggi dell’estate I programmi dei nostri soci in barba (o nonostante) la crisi...
E’
indubbio che la crisi economica e finanziaria si sta facendo avvertire dappertutto, anche fra noi; qualche nostro socio in questi mesi ci ha lasciato vendendo il camper (non per acquistarne uno nuovo), altri soci anche abituali presenze nelle varie gite - si sono visti un po’ meno e anche noi abbiamo cercato di programmare occasioni di incontro badando più del solito al costo complessivo, per non scoraggiare la partecipazione. Ma sarebbe falso dire che non ci stiamo accorgendo della stretta economica e che non proviamo, anche noi bancari, a stringere dove possiamo...
La copertina di un famoso disco degli 883: quest’anno per i viaggi estivi dei nostri soci sembra vi sia molto est, un po’ di nord, ancora meno di ovest e niente sud! Cartina di tornasole di questa congiuntura economica che sta attanagliando sia i lavoratori a reddito fisso che i liberi professionisti, e ancor di più i pensionati che vedono sempre più decrescere ineluttabilmente il proprio potere d’acquisto, è anche la progettazione dei viaggi estivi di gruppo del nostro Club: quest’anno avevamo proposto ai nostri soci di utilizzare il nuovo strumento informatico della bacheca (nell’area ad essi riservata del nostro portale web) per ogni esigenza informativa sui viaggi e sulle destinazioni, per condividere progetti, per chiedere compagnia in un dato viaggio, e spera-
vamo (magari temevamo) un aumento considerevole del numero dei viaggi che sarebbero stati alla fine proposti. Invece, nonostante il ricorso alla bacheca, si è evidenziata rispetto agli anni passati sia una contrazione nel numero complessivo delle organizzazioni, sia una drastica riduzione degli itinerari più lontani, in favore di scelte che privilegiano se non l’Italia, Paesi europei più vicini ai nostri confini, cosa che ovviamente può rendere meno gravoso il costo del viaggio almeno per il chilometraggio complessivamente percorso. L’unica vera eccezione è data da un tour di ben 50 giorni in programma fra Russia e Repubbliche Baltiche a cui parteciperanno i nostri soci Michele Giaconia, Mimmo Napoli ed Eduardo Spadoni e che è stato proposto agli altri soci del Club già a fine aprile; un tour di grande respiro da effettuare da fine giugno a metà agosto e che prevede in salita la visita accurata della Polonia orientale, della Lituania e della Lettonia; quindi l’ingresso in Russia con un tour completo di Mosca, dell’Anello d’oro e di Sankt-Peterburg gestito da guide della società SanPietroburgo.it; in uscita l’Estonia, la Lettonia e la Lituania con completamento della loro visita e con possibile attraversamento del territorio di Kaliningrad se le condizioni lo permetteranno; infine l’arrivo in Polonia a Danzica con possibile discesa dalla stessa Polonia o dalla Germania ex-orientale. Un altro tour che mira lontano (ma non quanto il precedente) è quello che da fine luglio a tutto agosto, con un itinerario di 6.000 km. oltre alle tratte in traghetto per e da Civitavecchia, prevede di seguire il fiume Reno dalla Svizzera, dove nasce, all’Olanda, dove sfocia, attraverso la Germania, dove percorre il maggiore suo tratto. Il tour, con spiccate motivazioni culturali e naturalistiche, dovrebbe toccare in Svizzera Ilanz, Coira, Arbon, quindi il Lago di Costanza fra Svizzera e Germania dove il Reno entra per poi uscirne vicino Sciaf-
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fusa; dopo Basilea, nella parte tedesca della Valle del Reno, Breisach, Spira, Worms, Magonza, Bacharach, St. Goar, Coblenza, Bonn, Colonia e Xanten; quindi in Olanda, dopo una divagazione verso il Mare del Nord con Nimega, Kampen, Sneek, Enkhuizen, l'area metropolitana di Amsterdam e l'Aia, fino alla foce del grande fiume; infine rientro via Belgio e Francia in Italia. A questo tour dovrebbero partecipare i soci Paolo Carabillò, Luigi Fiscella e Maurizio Karra. Fra Germania e Francia, e in particolare in Alsazia, Lorena e Foresta Nera, si svolgerà il tour , di circa 20 giorni, organizzato da Sergio Campagna. La partenza è prevista il 16 luglio con traghetto per Genova. Le località da visitare sono, dopo Torino e l’attraversamento del Frejus, Lione, Epinal, Nancy, Metz, Strasburgo, Colmar, Mulhouse, Besançon, Offenburg, Triberg e Friburgo, con circa 2.500 Km. previsti oltre alle tratte in nave Palermo–Genova a/r. Il viaggio sarà dedicato alla conoscenza delle città principali delle regioni visitate, oltre alle visite fugaci di Torino e Lione, dedicando tutto il tempo disponibile alla visita di musei, monumenti e chiese. I pernottamenti avverranno esclusivamente in campeggi o in alternativa in aree attrezzate. La Francia – essa sola sarà meta di altri due diversi viaggi, il primo dei quali organizzato da Francesco Bonsangue, a cui si aggregherà di certo Nino Neri e forse qualche altro socio; questo tour avrà luogo ad agosto e sarà dedicato in particolare a due regioni della Francia meridionale, la Provence e il Midi con il Languedoc-Russillon, raggiunte con traghetto per e da Genova. Il viaggio prevede brevi spostamenti giornalieri e molte passeggiate in bicicletta, con visite dei centri turisticamente più rinomati che dei piccoli borghi. In programma la visita di Saint Paul de Vince, Antibes, Grasse, Aix-enProvence, La Calanques di Cassis (Tolone), Arles e l’Abbaye del Montmajour, la Camargue e Saintes-Maries-de-la-Mer, Tarascon,
Saint-Remy-de-Provence e il vicino Borgo di Les Baux-deProvence, Avignone, Orange, Vaison Le Romain, Pont--du-gard, Nimes, Aigues-Mortes, Montpellier e St Guilhem Le Desert, Beziers, Narbonne, Villefranche de Confluent, Rennes le Chateaux, Carcassonne, Castres, Tolosa, Auch, Albi, Cordes, Villefranchede-Rouergue, Cahors, Rocamadour. Il rientro da Annecy attraverso il tunnel del Monte Bianco per Aosta e Torino. Il secondo tour francese è quello organizzato da Giovanni Anello a partire dalla vigilia del Ferragosto e per tre settimane e specificatamente dedicato a famiglie con bambini; lo scopo del viaggio è quello di far conoscere a dei bambini i luoghi più classici della Francia turistica, comunque consapevoli che, essendo in alta stagione, si incontrerà certamente molto affollamento. In questo caso la prima tappa avrà luogo tra Chambery e Aix les Bains scavalcando il Moncenisio; quindi, percorrendo strade esclusivamente statali, si raggiungerà la regione della Loira per visitare quattro castelli: Chambord, Chenonceau, Azay le Ridau e Amboise. La tappa successiva sarà il parco dei divertimenti di Disneyland e quindi Parigi. Dopo la visita della capitale, il tour prevede di raggiungere la costa atlantica della Normandia per visitare nei giorni successivi i luoghi dello sbarco americano, la cittadina di Honfleur e Mont St-Michel per assistere al fenomeno delle maree. Ma anche la Slovenia e la Croazia dovrebbero essere nazioni molto gettonate, grazie a diversi programmi organizzati da alcuni soci. Il primo programma, con partenza a fine giugno, è quello di Rino Tortorici, che dovrebbe vedere protagonisti anche Renzo Migliore e Filippo Santonocito; questo tour toccherà dopo Trieste le Grotte di Postumia, Lubiana e Kamnik in Slovenia, quindi in Crozia Zagabria, il Parco di Plitvicka e il Parco di Krka, Mostar (nell’enclave di Bosnia), e poi ancora Dubrovnik; da qui lungo la costa adriatica si tornerà verso nord con la visita di Split, Trogir, Sibenik, Zadar, Opatija, Pula, Rovinj, Porec e, rientrati dal confine di Trieste, si farà rientro dopo tre settimane a Palermo. Scopo del viaggio, di tipo culturale-naturalistico, è conoscere am-
bienti e paesaggi che, nonostante abbiamo subito in tempi non lontani l’onta della guerra, sono di straordinaria bellezza e pieni di storia. Un itinerario simile dovrebbe essere percorso dopo poche settimane anche dai soci Adele Crivello ed Elio Rea, mentre Mario Tomasino ed Enrico Gristina hanno in programma di dedicare, sempre nella stessa area fra Balcani e Adriatico, maggiore attenzione alla Slovenia in un tour con spiccata vocazione naturalistica in cui prevedono belle escursioni soprattutto fra i boschi e i laghi sloveni. Marcello La Barbera pregusta invece l’imminente ritorno nella Repubblica Ceca, per dedicare gli ultimi giorni di giugno e la prima parte del mese luglio, possibilmente insieme ad altri soci, alla visita delle piazze incantate delle città della Boemia e della Moravia e a lunghe passeggiate nelle riserve boschive e naturalistiche nazionali. Infine il Bel Paese: “Città d'Italia” è il progetto di viaggio estivo organizzato da Ninni Fiorentino da fine luglio per circa un mese con partenza e rientro a Palermo con traghetti per Napoli e da Civitavecchia. Si tratta di un viaggio di tutto relax, dai ritmi lenti e con pernottamenti tutti in campeggio, con soste a Roma, Sarteano, Siena, Montecatini, Verona, Lago di Garda, Castiglione del Lago, Bologna, Assisi, Napoli, Pompei e Sorrento.
Palmares Siamo a metà del 2010 e, fra le altre cose, desideriamo fornire a tutti i nostri soci la “classifica”, aggiornata alla chiusura di questo numero del nostro bimestrale, dei punteggi per l’attribuzione a fine anno del titolo di “socio dell’anno”. Le “regole del gioco” prevedono l’assegnazione di 1 punto per: - la partecipazione a ogni gita di durata massima di 4 giorni; - l’organizzazione di una gita o di un’altra attività; - ogni contributo reso alla pubblicazione del giornalino (articolo, servizio fotografico, ecc.); - la partecipazione a ogni incontro ufficiale (assemblea dei soci, riunione di direttivo, ecc.); - la stipula di una nuova convenzione; - la partecipazione ai concorsi del Club (fotografico, giornalistico); - l’implementazione di dati delle schede sui Paesi esteri o di “Parking & Sleeping in Italy”; - ogni implementazione e/o modifica al sito Internet del Club. E’ prevista, invece, l’assegnazione di 2 punti per la partecipazione a ogni tour o viaggio organizzato dal Club della durata di almeno 5 giorni, di 3 punti se il tour è di almeno 15 giorni. Di seguito, la situazione dei primi classificati alla data di chiusura di questo giornalino. PUNTI
NOME DEL SOCIO
87
KARRA Maurizio
21
SIDELI Giangiacomo
15
TRIOLO Alfio
12
AMENTA Emanuele
12
CARABILLO' Paolo
10
BONURA Pino
10
CAMPO Pippo
9
AMICO Giovanna
9
NERI Nino
Camper lungo la strada, un’immagine che ci fa pregustare la nostra prossima estate, vicino o lontano da casa, ma comunque lontani dalla routine quotidiana
9
PARRINO Vittorio
8
BONSANGUE Francesco
8
ROMANO Mimmo
8
SPADONI G. Eduardo
A tutti, anche a coloro che decideranno all’ultimo minuto l’itinerario del loro viaggio o addirittura se partire o no, una serena estate e tanta buona strada!
8
TUMMINELLO Anna
7
FISCELLA Luigi
7
NAPOLI Mimmo
7
REA Elio
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Arriva il caldo: difendiamoci Un accessorio costoso ma utile: il climatizzatore per la cellula del camper
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opo essersi diffuso in ambito domestico ed in ambito automobilistico, ormai il climatizzatore sta diventando un accessorio importante anche per le cellule abitative degli autocaravan. Da alcuni anni i furgoni che fungono da base per l'allestimento degli autocaravan offrono, chi di serie e chi a richiesta, il climatizzatore per la cabina di guida; essendo ormai tutti noi abituati a viaggiare al fresco anche a 40°C (credo non ci sia praticamente più nessuno che ha l'automobile senza climatizzatore), il clima per la cabina sta diventando pressoché "obbligatorio". Quindi, in viaggio chi siede nei sedili anteriori viaggia comodamente al fresco, con grande beneficio anche per la sicurezza stessa, visto che il troppo calore affatica e la fatica è nemica della sicurezza. Chi viaggia nella dinette, se il caldo non è davvero troppo, gode comunque di un certo refrigerio. Solo che una volta fermi e spento il motore, la temperatura interna torna prepotentemente uguale a quella esterna. Se la sosta avviene in zona ombreggiata e magari c'è un po' di vento, allora si sta benissimo anche in Sardegna ad agosto, ma se si è costretti a sostare al sole, e l'aria è ferma ed umida, allora stare all'interno del camper diventa una sofferenza, gli oblò e le finestre aperte non bastano e la notte si rischia di non dormire bene per il caldo. Appare quindi evidente l'utilità di un sistema che consenta di rinfrescare l'aria all'interno della cellula anche (e magari non solo) a motore spento. Sul mercato esistono essenzialmente due tipi di apparecchi che possono essere installati su una autocaravan: i condizionatori evaporativi ed i climatizzatori. La differenza nell'uso è che mentre i primi servono solo quando c'è troppo caldo, i secondi possono sia raffreddare che riscaldare l'aria, sono quindi usabili in tutte le stagioni. Ovviamente la differenza nell'uso è dovuta ad una differenza concettuale: i condizionatori evaporativi fanno passare, tramite un ventilatore, un flusso d'aria (ambiente) su una sorta di filtro costituito da legno e carta tenuto umido; l'aria attraversando questo filtro cede all'ac-
qua (facendola evaporare) una parte del suo calore latente, all'uscita risulta quindi più fresca. I climatizzatori invece funzionano come le pompe di calore domestiche o anche come il frigorifero: c'è' un fluido refrigerante che evapora raffreddando e deumidificando l'aria e che poi viene ricondensato, tramite un compressore, per ricominciare il ciclo.
In alto un condizionatore evaporativo Viesa; in basso un climatizzatore Dometic
Già da quanto sopra si intuiscono i pregi ed i difetti di ciascuna soluzione. I condizionatori evaporativi sono economici all'acquisto e nell'uso, consumano poca energia (quella sufficiente al ventilatore) ed un po' d'acqua, sono silenziosissimi (quanto un ventilatore), però la loro capacità di rinfrescare l'aria non è eccezionale: con questi sistemi, infatti, si può abbassare la temperatura di non oltre 5°C. I climatizzatori hanno un compressore, questo significa un consumo di energia notevole (poi vedremo quanto), una certa rumorosità di funzionamento, però garantiscono una possibilità di raffreddamento molto elevata (anche 15°C in meno rispetto all'esterno) e, invertendo il ciclo, possono essere usati anche per riscaldare, anche se le prestazioni in questo caso sono inferiori. Il consumo energetico è certamente una cosa importantissima per i camperisti, il consumo di un condizionatore evaporativo è minimo
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e la sua alimentazione può avvenire anche con la corrente a 12 V, quindi la sua installazione non pesa molto energeticamente parlando e si integra bene con l'impianto elettrico originale del mezzo. Inoltre anche dal punto di vista della massa, il sistema è leggero e poco ingombrante, cosa che ne rende l'installazione possibile anche in cassapanche ed in vani angusti (ma è sempre meglio montarli il più in alto possibile visto che il calore tende a salire). Il climatizzatore, invece, richiede la corrente a 220 V, cosa che a sua volta impone di essere allacciati alla rete elettrica (nelle aree di sosta) oppure di installare un generatore di corrente. Un semplice inverter, infatti, produrrebbe la corrente a 220 V partendo dai 12 V della batteria, ma a causa dell'elevato assorbimento, dai 600 ai 1200 W, la durata della batteria sarebbe ridottissima (spannometricamente una batteria da 120 Ah durerebbe meno di un'ora). Non solo, il sistema prevede un'unità interna (diffusore) ed un'unità esterna (compressore), esattamente come negli impianti domestici, che va installata obbligatoriamente sul tetto, il quale deve avere spazio e resistenza idonei, sfruttando il foro di un oblò oppure praticando un'apertura apposita, e pesa una buona trentina di chili. A questo peso va aggiunto chiaramente il peso del generatore di corrente se lo si vuole usare in sosta libera. Arrivando ai costi, un buon condizionatore evaporativo richiede una spesa di un migliaio di euro, montaggio compreso, un climatizzatore da tetto costa parecchio di più, orientativamente il doppio, la sua installazione è assai più invasiva e decisamente più costosa, il totale quindi supera normalmente i 2.000 euro. Il conto economico è effettivamente elevato, quasi scoraggiante, ma si deve sempre considerare, oltre alla comodità che un impianto di condizionamento/climatizzazione offre, anche il maggior valore che il mezzo acquista con la sua installazione; su mezzi non eccessivamente vecchi questo maggior valore è di importo molto simile al costo dell'impianto.
Fabio Loggia
Risparmiare si può... Un semintegrale davvero interessante in tempi di crisi
E’
indubbio che il mercato dei veicoli ricreazionali sta pesantemente risentendo ormai da oltre un anno della crisi in atto ed è altrettanto ovvio che le varie case si siano industriate a trovare varie soluzioni per diminuire il più possibile la contrazione delle proprie vendite. Se aver rivisto l’organizzazione interna, dalla produzione al magazzino alla rete di vendita, è stata la soluzione alla base di tutte le politiche di riallineamento al mercato, è altrettanto ovvio che molte aziende abbiano anche provato ad abbassare i
Elnagh Baron 420 L
L’esterno del semintegrale della Elnagh In basso la zona living anteriore
Tipologia: semintegrale Meccanica: Fiat Ducato 2.3 130 cv Lunghezza: m. 7,00 Larghezza: m. 2,35 Altezza: m. 2,85 Posti omologati: n. 4 Posti letto: n. 4 (1 matrimoniale alla francese in coda + 1 matrimoniale ottenibile da trasformazione della dinette centrale) Serbatoio acque chiare: l. 100 Serbatoio acque grigie: l. 100 WC: kasset l. 18 Riscaldamento e boiler: sistema integrato a gas Truma Combi 40 Frigorifero: trivalente l. 150 Cucina: piano cottura 3 fuochi Oblò: 1 cm. 40x40 + 1 funghetto in bagno Prezzo: € 39.000 + immatricolazione e messa su strada
prezzi di alcuni modelli, quelli definiti “entry level”, per favorire il più possibile l’incontro fra domanda e offerta. La Elnagh, in particolare con la linea Baron, ha risposto a pieno a questa esigenza, con proposte interessanti che hanno il vantaggio di ricevere l’eredità di un grande nome e di una grande esperienza costruttiva rinunziando, ovviamente, a tutta una serie di accessori e componentistica di particolare pregio per arrivare al risultato finale del contenimento del costo finale senza però rinun-
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ziare a obiettivi di standard qualitativo ed estetico. Il Baron 420L è un semintegrale dalla pianta classica perfettamente allineato a questa logica costruttiva, che la Elnagh riesce a proporre a un prezzo eccezionale, poco più di 40.000 euro chiavi in mano, senza che l’acquirente debba rinunziare a nulla di “fondamentale” per il proprio benessere in viaggio e in sosta. Partiamo infatti dalla motorizzazione: il veicolo è allestito sul confortevole Fiat Ducato 2.3
da 130 cavalli; all’esterno si presenta con una bella linea filante con carrozzeria in vetroresina; un risparmio viene ottenuto dalla scelta di montare finestre ...non di ultima generazione e dall’assenza di un maxi-oblo (è richiedibile però come optional); in effetti il veicolo dispone solo di un oblò centrale e anche in bagno è sistemato solo un funghetto per il passaggio dell’aria. Un altro risparmio è ottenuto dal mobilio non proprio all’avan-guardia, diciamo un po’ spartano, ma comunque funzionale. E dall’assenza di forno e cappa aspirante nella zona cucina.
Una visione d’insieme della parte posteriore del veicolo passeggero in cabina; allungando il tavolo e girando i sedili della cabina, si può così stare seduti anche a tavola comodamente in sei. Alle spalle della seimidinette c’è l’angolo cucina a elle e alle sua spalle il letto alla francese, sotto il quale trova posto una maxigavone accessibile sia dall’interno che dall’esterno. Sulla parete opposta, accanto alla porta di ingresso alla cellula c’è il frigorifero doppia porta da 150 litri, quindi l’armadio e infine il comodo bagnetto con vano doccia separata ma senza la porta rigida di chiusura che troviamo ormai in molti mezzi, sostituita dalla classica tendina paraspruzzi.
La luminosità dell’insie-me è garantita dall’ampia finestratura laterale e dal sapiente accostamento cromatico delle tappezzerie (colore avorio e azzurro) e del mobilio (colore ciliegio). E anche questo induce a considerare questo semintegrale un ottimo esempio di modello entry-level, che la coppia può avere a disposizione senza spendere una fortuna e risparmiando comunque almeno una decina di migliaia di euro da quella fascia attorno ai 50-60 mila euro in cui si attesta la maggior parte della produzione di semintegrali sia italiana che d’oltralpe.
Maurizio Karra
L’angolo cucina: per contenere i costi manca la cappa di aspirazione e il forno può essere richiesto solo come optional Detto questo, tutto il resto è assolutamente in linea con gli standard migliori della casa, dal frigorifero da 150 litri alla rete con doghe del letto matrimoniale posteriore, dalla doccia separata in bagno - ancorché senza porta rigida di chiusura - all’angolo cucina ad elle centrale; altre cose di serie su modelli di fascia più elevata qui possono essere richiesti come optional: parlavamo del maxi-oblò sulla dinette, ma possiamo aggiungere la tappezzeria dei sedili della cabina uguale a quella dei divani della dinette, ecc). La pianta di questo mezzo, dicevamo, è classica; davanti c’è una semidinette sul lato sinistro e un divano laterale su quello destro,, alle spalle del sedile del
Il bagnetto del Baron 420L: è comodo e funzionale ma, rispetto a modelli più costosi, manca della porta rigida di chiusura della doccia (c’è solo la tendina) e dell’oblò sul tetto (sostituito da un aeratore a funghetto)
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Per la giovane coppia con bambini Dalla Mc Louis un classico mansardato compatto e a un prezzo davvero eccezionale
R
icordate i camper di quindici o vent’anni fa, pressoché tutti mansardati (i semintegrali non erano ancora nati), da sei metri di lunghezza al massimo, in cui riuscivano ad entrare “comodamente” anche sei persone? Sem-
a chi deve farsi le ossa con la guida... Tutto questo è il Lagan 211, in questo momento in offerta speciale presso il concessionario Mc Louis di Palermo ad appena 32.900 euro, chiavi in mano! Vediamolo da vicino. Nasce sul Ducato 2.2 da 100 cavalli, ma
L’esterno del Lagan 211 bra che non ce ne siano più, e i pochi ancora in circolazione sono visti dai proprietari dei moderni veicoli da sette e più metri di lunghezza con tanta aria di sufficienza. Insomma, trovare oggi un veicolo di sei metri è davvero un’impresa, ancor maggiore se si cerca nei listini del nuovo; e se il veicolo in questione è pure omologato per sei persone e dispone di sei posti letto diventa un’assoluta rarità. Noi ne abbiamo scoperto uno, prodotto dalla Mc Louis, che può essere considerato un eccellente punto di inizio per camperisti neofiti che, pur non disponendo di grosse cifre o di grosse capacità di indebitamento mensile, non vogliono acquistare un mezzo usato e, avendo due bambini, hanno comunque bisogno di disporre di quattro letti sempre pronti. Insomma un veicolo nuovo al costo di un usato, e per di più dalle dimensioni compatte, quindi adatto
è disponibile anche sul più potente Ducato 2.3 da 130 cavalli e misura circa sei metri e trenta centimetri.
Una panoramica posteriore
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Mc Louis Lagan 211
Tipologia: mansardato Meccanica: Fiat Ducato 2.2 da 100 cv (optional 2.3 da 130 cv) Lunghezza: m. 6,32 Larghezza: m. 2,30 Altezza: m. 3,05 Posti omologati: n. 6 Posti letto: n. 6 (1 matrimoniale in mansarda + 1 matrimoniale ottenibile da trasformazione della dinette centrale + 2 singoli a castello in coda) Serbatoio acque chiare: l. 110 Serbatoio acque grigie: l. 100 WC: kasset l. 18 Riscaldamento: a gas Truma SL3002 Boiler: a gas Truma da 10 litri Frigorifero: trivalente l. 110 Cucina: piano cottura 3 fuochi Oblò: 2 cm. 40x40 Prezzo: in offerta speciale a € 32.900 chiavi in mano (senza permuta) Ha una pianta classica con letto matrimoniale in mansarda e letti a castello in coda, doppia dinette sulla sinistra con tavolo, frigo basso dietro il sedile del passeggero e, al centro, la zona servizi, con il bagnetto contrapposto al bancone lavello e cucina, chiuso dalla colonna armadio. Tutto questo in 6 metri e 32 centimetri e, ripetiamo, acquistabile con meno di 33.000 euro.
Alcune immagini del Mc Louis Lagan 211. In basso il bagnetto
Ma i costi si contengono anche evitando il riscaldamento Webasto e optando per la classica stufa Truma a gas; o evitando i maxi oblo al tetto e sistemandone solo due di dimensione standard: il maxioblo sulla dinette, infatti, è richiedibile solo come optional, ma purtroppo si sente la mancanza di uno di essi sia nella mansarda sia in bagno, dove comunque c’è la finestra. Anche nel bagnetto, che non manca di niente, troviamo la doccia separata, ma senza cabina con porte scorrevoli (troviamo la tendina sparapruzzi). E in coda, rinunziando al più basso dei due letti a castello, il gavone si trasforma in un garage portabiciclette, accessibile da ambedue le fiancate.
Un particolare della parete destra del veicolo, con in primo piano il frigo basso e, a seguire, la porta di ingresso alla cellula abitativa e il bancone cucina
Non manca nulla all’interno, anche se ovviamente accessori e componentistica sono scelti fra quelli non al top di gamma per contenere i costi, e alcune cose non sono di serie ma
ottenibili come optional. Certo, soprattutto per riuscire a starci dentro con le dimensioni, qualche sacrificio si deve fare: come per il frigorifero, che non è a doppia porta da 150 litri, ma da 110 litri.
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Insomma, non manca nulla e, al di là della pianta funzionale e comoda, anche i colori del mobilio e della tappezzeria contribuiscono a farne un veicolo delizioso proprio per la coppia con uno o due bambini o ragazzi. In Italia, in un periodo come il nostro appesantito dalla crisi, c’è molta voglia inespressa di pleinair: il Lagan 211 di Mc Louis è uno di quesi veicoli che può certamente contribuire a concretizzarla.
Maurizio Karra
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Il ritorno dello Yacht Una scommessa di grande qualità firmata Mobilvetta
E
ra qualche anno, dopo l’accasamento nel gruppo SEA, che Mobilvetta aveva abbandonato la produzione dei motorhome, troppi per il suo pubblico più affezionato; ma dopo qualche tempo che se ne parlava anche fra gli addetti ai lavori, un nuovo motorhome targato Mobilvetta da poche settimane è entrato in produzione dopo la presentazione del modello a Mondo Natura 2009 ed è ormai realtà: si tratta del K-Yacht che, secondo alcuni, è addirittura il primo modello di una nuova serie
Mobilvetta K-Yacht
Con il K-Yacht la Mobilvetta è tornata, dopo alcuni anni di assenza, alla produzione di motorhome. In alto l’esterno del veicolo, in basso una proiezione del flusso d’aria a contatto con la carrozzeria evidenzia lo studio progettuale che ha portato a ottenere un ottimo coefficiente aerodinamico. Nella terza foto un particolare della dinette a elle del lato destro con tappezzeria in pelle
Tipologia: mansardato Meccanica: Fiat Ducato 2.3 130 cv Lunghezza: m. 7,00 Larghezza: m. 2,35 Altezza: m. 2,78 Posti omologati: n. 4 Posti letto: n. 4 (1 matrimoniale trasversale in coda + 1 matrimoniale basculante) Serbatoio acque chiare: l. 130 Serbatoio acque grigie: l. 140 WC: Dometiic in porcellana con cassetto estraibile l. 17 Riscaldamento: a gasolio Webasto Airtop3500 Boiler: a gas Truma da 10 litri Frigorifero: trivalente l. 180 Cucina: piano cottura 3 fuochi + forno a gas con cappa aspirante Oblò: 1 maxi Heiki 70x50 + 2 cm. 40x40 + 1 aerazione nella cabina doccia Prezzo: € 62.870 + immatricolazione e messa su strada
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La parte posteriore del motorhome, al di là dell’area centrale dedicata alla cucina, è composta da una vera e propria camera, chiudibile con porta scorrevole dove trova posto il letto matrimoniale e, ai due lati colonna doccia da un lato e wc e lavello dall’altro che entro un paio di anni dovrebbe essere più compiutamente allargata. Ovviamente, tanta attesa non poteva non essere ripagata da un prodotto di grande qualità, disegnato nella galleria del vento come una vettura da competizione (cfr. immagine del progetto nella pagina precedente) e realizzato con i migliori materiali sia all’esterno che all’interno, senza alcun risparmio: dal rollbar nella struttura della cabina per garantire la massima sicurezza degli occupanti, alla porta di ingresso della cellula abitativa con zanzariera pattumiera e finestra incorporate; dalla componentistica di alto livello dove sono di serie il forno a gas, il maxifrigo da 180 litri, il wc in porcellana e la selleria in nanotex tipo pelle di colore chiaro, al sistema idraulico che consente la discesa del letto basculante con un solo dito, dalla ampia finestratura Seitz ai vari oblò e maxioblò al tetto che garantiscono ovunque il ricambio d’aria, e così via. Questo modello ha una pianta sostanzialmente divisa in due parti: la zona giorno, che occupa tutta la parte anteriore (a parte il letto basculante di cui non vi è apparente traccia in posizione chiusa); e la parte notte, occultabile con una doppia porta scorrevole in legno. Partiamo proprio da quest’ultima, una vera camera da letto che vede la sistemazione di un matrimoniale trasversale a
Passiamo adesso alla zona giorno. Il living è strutturato con una dinette a elle dietro al sedile del guidatore e da un altro divanetto appoggiato alla parete di sinistra; al centro il tavolo, apribile a compasso per garantire un più facile accesso alla cabina in posizione chiusa e la possibilità di stare seduti e mangiare a tavola comodamente in 6-7 girando i due sedili della cabina. Nella parte centrale, fra il living e la zona notte, a sinistra della porta di accesso alla cellula si trovano l’armadio e il maxifrigo da 180 litri sul quale è sistemato anche il forno; dalla parte opposta l’angolo cucina a elle con piano cottura, cappa aspirante, lavello e gocciolatoio, oltre a mobili bassi e pensili studiati nei minimi dettagli per garantire il massimo dello stivaggio.
media altezza, illuminato da finestra posteriore e oblò al tetto, sotto il quale trova posto un maxigavone-garage con accesso da ambedue le fiancate laterali; fra la porta di accesso e il letto sono ricavati ai due lati due diversi minivani-servizi accessibili mediante porte scorrevoli a soffietto: in quello di destra si trova la cabina doccia rotonda, con sfiato al tetto di grandezza pari al vano stesso; dalla parte opposta wc e lavandino con allestimento particolarmente curato, finestra e oblò al tetto.
L’angolo cucina del K-Yacht
Il vano bagnetto, sulla sinistra del letto matrimoniale in coda; la doccia si trova dalla parte opposta
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Insomma, ci troviamo di fronte a un veicolo che non tradisce le aspettative della vigilia, che anzi evidenzia tutta la qualità del progetto costruttivo originario e la capacità di Mobilvetta di produrre veicoli “belli” e nel contempo “funzionali”, dove sicurezza, comodità, funzionalità ed eleganza trovano una sintesi felice. Anche il prezzo non spaventa: certo non è quello di un veicolo entry-level e, si sa, i motorhome costano molto più degli altri motorizzati; ma con circa 64.000 euro si ha chiavi in mano un veicolo da sogno, a dispetto degli esterofili, anche un perfetto testimone del migliore made in Italy.
Maurizio Karra
Portogallo: un piccolo Paese dal grande passato Arte, storia, natura: alla scoperta di un Paese che ad un ambiente naturale straordinario aggiunge tesori d’ arte e la memoria di una storia antica
S
tretto tra la grande Spagna e l’Oceano Atlantico, il piccolo e isolato Portogallo ha trovato proprio in quest’ultimo lo sbocco naturale e la ragione del suo benessere nei secoli passati. Tra il quindicesimo e il sedicesimo secolo, infatti, i navigatori portoghesi si spinsero in ogni angolo del mondo, aprendo al paese innumerevoli relazioni e basi commerciali soprattutto verso oriente, in India, Giappone, Cina, mentre da parte dei re portoghesi veniva avviata una politica di espansione coloniale: in breve tempo si costituì un vasto impero, che ebbe del tutto fine solo al termine del secolo scorso. I portoghesi si insediarono nella Canarie, nelle Azzorre, a Madeira, scoprirono e occuparono il Brasile, stabilirono basi in Africa, alle Molucche, a Goa. Le colonie fornivano zucchero, grano, oro, avorio, diamanti, mentre in Africa occidentale i possedimenti dell’Angola e del Mozambico permettevano la costruzione di numerosi porti nei quali le navi potessero sostare dopo che Bartolomeo Diaz, doppiando nel 1488 il Capo di Buona Speranza, aveva aperto la strada ai viaggi di Vasco da Gama per il commercio delle spezie con l’India e i paesi dell’estremo oriente. Purtroppo da questi porti fu anche avviato il florido commercio degli schiavi che contribuì alla ricchezza del paese per oltre quattro secoli. Sono portoghesi i nomi dei più grandi esploratori, da Magellano a Caboto, Bartolomeo Diaz, Cabral, Vasco da Gama. Ancora oggi il Paese è orgoglioso della propria storia e legato ai nomi di coloro che furono i promotori della sua antica fortuna, tra tutti particolarmente all’Infante Don Henrique il Navigatore, il principe lungimirante che tra i primi comprese le straordinarie possibilità offerte delle scoperte e che a Vila do Infante, la cittadella da lui voluta a Sagres, il promontorio roccioso proteso sul mare nella punta sud-occidentale del Portogallo, costituì un centro di cultura scientifica e marinara, riunendovi astronomi, cartografi, naviganti.
Ma già alla fine del sedicesimo secolo iniziò il lento declino e la decadenza del grande impero coloniale, tra insurrezioni, crisi politiche, ostruzionismo delle grandi potenze europee, lotte per l’indipendenza e conseguente perdita graduale delle colonie. Si avviò un periodo di crisi economica, con forte emigrazione verso la Spagna e la Francia, ed una notevole instabilità nella guida del paese. Nel 1910 venne rovesciata la monarchia e istaurata la repubblica. Dopo la lunga parentesi della dittatura militare che governò per oltre mezzo secolo, nel 1974 questa venne abbattuta e nello stesso tempo venne completato il processo di indipendenza delle restanti colonie. Nel 1986 il Portogallo entrò a far parte dell’Unione europea. Nel programmare questo viaggio siamo stati mossi non soltanto dalla curiosità per un paese dal passato così interessante, ma anche, e forse soprattutto, dal fascino della sua posizione geografica all’estremità dell’Europa, di fronte al mare sconfinato al di là del quale l’immaginazione vola all’immenso continente americano. Non siamo stati delusi: abbiamo scoperto una terra ricca di arte e di
tradizioni, gente riservata e gentile, paesaggi inconsueti, un mare da favola che lambisce lunghissime spiagge di sabbia dorata o si infrange violento e spumeggiante su alte scogliere. Dopo alcune tappe di trasferimento attraverso la Francia meridionale il nostro itinerario ha inizio lungo le belle spiagge della Spagna settentrionale con soste nei centri più interessanti: San Sebastian, vivace ed elegante, A Coruña, dalle tipiche case “a veranda”, Santiago de Compostela, affollata da turisti e pellegrini devoti a San Giacomo. Ci concediamo poi un piccolo ma impegnativo giro nella parte più occidentale della Galizia, costeggiando le Rias, le grandi e profonde insenature dove l’oceano si incunea, bellissime nella splendida giornata soleggiata e fresca di metà agosto (“Costa da Morte” è il nome significativo di questo tratto di costa spagnola, teatro di numerosi naufragi), fino a Cabo Fisterra, il punto più occidentale della Spagna, dove vediamo il primo della lunga serie di fari che incontreremo nel nostro percorso. In un paesaggio sereno e ridente, tra pini ed eucalipti, tra i tanti vigneti che si estendono at-
Porto e il lungofiume (il Douro) che la separa dal sobborgo di Vila Nova De Gaia, dove si trovano le cantine del famoso vino
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torno alle case sparse nella campagna, finalmente entriamo in Portogallo e ci fermiamo a Porto. Dal campeggio, situato nel sobborgo della Maddalena, in circa quaranta minuti il bus porta comodamente in città. Qui incontriamo i primi esempi di azulejos, le tipiche mattonelle bianche e azzurre che ricoprono pareti, pavimenti, soffitti, oppure sono montate in pannelli: nel grande atrio della Stazione ferroviaria i pannelli raffigurano paesaggi e scene di conquiste portoghesi, nel chiostro della Cattedrale, la Sé, intere pareti ne sono completamente ricoperte.
Un tipico azulejos Dalla Cattedrale, attraverso viuzze strette e in forte pendenza, giungiamo alla chiesa di São Francisco. La semplice facciata non lascia immaginare la straordinaria sontuosità dell’interno, interamente rivestito di legno dorato riccamente intagliato, la cosiddetta “talha dourada”, nel barocco più ridondante: l’impatto visivo è straordinario. L’oro era donato dai ricchi mercanti della città che scelsero la semplice chiesa francescana come loro Pantheon. In seguito alle leggi degli anni successivi, i corpi furono poi inumati in un cimitero a parte. Rimane questo sfarzo dell’edificio che testimonia la straordinaria ricchezza della città, la cui borghesia si arricchiva con i commerci in Europa e nelle colonie. Contrasta, in un angolo all’ingresso della chiesa, una rozza statua di San Francesco in un unico blocco di granito. Di fronte alla chiesa, il monumento all’Infante Henrique domina la piazza. In una visita a Porto non si può ovviamente prescindere dal
suo famoso vino, apprezzato in tutto il mondo e prodotto esclusivamente dai vigneti che in condizioni climatiche ottimali si estendono nella valle del Douro. Il fiume attraversa la città e la divide dal sobborgo di Vila Nova De Gaia, dove si possono visitare le cantine in cui il vino viene lasciato invecchiare. Noi visitiamo la cantina Ferreira, una delle più antiche, tra le più note e apprezzate in Portogallo. Tra botti di tutte le dimensioni, quadri ed etichette, alcuni manifesti ricordano Donna Antonia Adelaide Ferreira, la Ferreirinha, come veniva simpaticamente chiamata, che dedicò la sua vita allo sviluppo di questo vino, introducendo nuovi vitigni e innovando i metodi di invecchiamento. Nella cantina si trova in mostra il calesse su cui era solita girare tra le sue proprietà. Lungo le rive del Douro sono attraccate le barche cariche di barilotti analoghe a quelle che trasportavano il vino dai luoghi di produzione alle cantine di Vila Nova de Gaia. Lasciata Porto, prima di arrivare a Coimbra, abbandoniamo l’autostrada e ci interniamo fino a Luso, da dove entriamo nel Parco Nazionale del Buçaco. Una comoda strada pavimentata ci conduce su fino al Palace Hotel, ex convento carmelitano, poi residenza estiva della famiglia reale, oggi lussuoso luogo di soggiorno per persone desiderose di relax e contatto con la natura. In un ambiente lussureggiante di alberi e fiori,
l’edificio è decoratissimo nel tipico stile manuelino che prende il nome dal re Manuel I e che all’inizio del 1500 si diffuse per tutto l’impero. E’ uno stile sontuoso, ricco di elaborati motivi marinari, come ancore, navi, conchiglie, di motivi floreali come foglie di quercia e di vite, grappoli d’uva, piante tropicali, che ricoprono portali, arcate, colonne in una straordinaria e sovrabbondante profusione di motivi. Giungiamo a Coimbra, l’antica e famosa città universitaria, per qualche tempo anche capitale del Portogallo. Arrampicandoci coraggiosamente su per le ripide stradine, attraversiamo l’Arco de Almedina, antica porta che immetteva nella medina araba, visitiamo la Sé Velha, la semplice e austera cattedrale romanica, e giungiamo infine alla Universidade. Sul cortile principale, dominato dalla statua del re D. João I, si aprono i due edifici più interessanti e particolari del complesso, la capela de Sao Miguel e la biblioteca: la cappella dedicata a San Michele ha le pareti completamente ricoperte da azulejos del tipo “tapis” (sono infatti una sorta di tappeto), soffitto istoriato e uno stupendo organo rococò. La biblioteca è magnifica: di epoca settecentesca, è realizzata in legno prezioso e ricoperto da lamine d’oro, riccamente intarsiato in stile barocco, con soffitti affrescati. Per proteggere le scaffalature e i grandi tavoli in legno pregiato vengono mantenute costanti temperatura e umidità, mentre
Lo stile manuelino del Grand Hotel nel Parco Nazionale del Buçaco
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particolari accorgimenti impediscono che insetti nocivi ne mettano a rischio la conservazione. Da Coimbra, facciamo sosta a Conìmbriga, tra i resti dell’antica e fiorente città romana, trasferita nella vicina e più sicura Coimbra all’arrivo dei barbari. Dichiarata nel 1910 monumento nazionale, l’area è attualmente in via di sistemazione. Alcuni ambienti sono già stati ricostruiti; nella casa degli zampilli tra musica e giochi d’acqua si possono ammirare bellissimi mosaici. Mosaici altrettanto notevoli si trovano in altre parti del sito, in case private e nelle terme. Il vicino museo espone reperti ritrovati durante gli scavi, ricostruendo tramite oggetti di uso quotidiano, sculture, mosaici, frammenti, l’evoluzione della città dai primi insediamenti preistorici al periodo romano e alla conquista dei barbari. Sostiamo quindi al Santuario di Fatima, che domina il vasto piazzale affollato di pellegrini che a piedi o in ginocchio si dirigono verso la grande basilica. Ci soffermiamo nella moderna cappella dell’apparizione, poi di fronte alla statua di papa Giovanni XXIII, gironzoliamo tra i tanti negozietti che vendono articoli sacri di ogni tipo. La tappa successiva è il Monastero di Alcobaça, la grande abbazia cistercense patrimonio dell’UNESCO. Il complesso è imponente: la chiesa, severa e slanciata, è la più grande del Portogallo e stupisce per la sua grandiosità. All’interno, notevole per lo slancio e la luminosità della pietra chiara utilizzata, si possono ammirare, uno di fronte all’altro, due stupendi sarcofagi in stile gotico finemente scolpiti, legati alla tragica storia d’amore vissuta nel 1300 da Don Pedro, primogenito del re Alfonso IV, e la spagnola Inés de Castro, dama di corte della moglie. Costretta per questo a tornare in Spagna, Inés rientrò in Portogallo alla morte di questa, ma venne assassinata con il consenso del re che temeva ingerenze spagnole nel suo regno. Divenuto re a sua volta, Don Pedro fece uccidere coloro che avevano partecipato all’omicidio e fece costruire i due sarcofagi ad Alcobaça. La leggenda racconta che fece anche riesumare la salma della moglie e costrinse i sudditi a baciarne la mano! Il monastero ha parecchi ambienti di notevole interesse: tra le tante sale che si possono visita-
re, spiccano il medievale Claustro do Silencio o di Don Dinis, dalle eleganti bifore scolpite, il grande Dormitorio, il cui soffitto è sostenuto da colonne con bei capitelli decorati, la Sala dei Re, del XVIII secolo, con mensole a metà parete su cui sono collocate statue dei re portoghesi e grandi azulejos raffiguranti episodi relativi alla storia del convento, il Refettorio, dove dal Pulpito del Lettore venivano letti brani della Bibbia durante i pasti dei monaci. Particolare la cucina, ricoperta di maioliche, con un ampio e altissimo camino, che sorprende per le sue dimensioni. Grandi vasche ricevono ancora oggi l’acqua proveniente dal fiume Alcoa che attraversa la cittadina dove sorge il convento. Non lontano da Alcobaça si trova il Monastero di Batalha, sorto in seguito a un voto fatto alla Vergine da don João I d’Avis, futuro re portoghese, per ottenere la vittoria sull’esercito castigliano nella battaglia che si svolse nel 1385 ad Aljubarrota, poco lontano dall’attuale cittadina di Batalha. Affidato all’Ordine dei Domenicani, il monastero divenne il pantheon reale nel XV secolo: vi sono infatti sepolti, nella Capela do Fundador, il re João I, la moglie, i figli, alcuni discendenti. Magnifico edificio patrimonio dell’UNESCO, il monastero è un gioiello del gotico portoghese: dal grandioso esterno, ricco di statue, guglie, pinnacoli, privo di torre campanaria secondo la tradizione domenicana, l’elaborato portale, riccamente decorato e adorno di statue, immette nell’interno slanciato e austero, il soffitto sostenuto da alti pilastri. Tra i locali del monastero visitiamo la casa do Capitulo, che ospita la tomba del milite ignoto, il claustro real delimitato da splendide trifore, il sobrio claustro de Alfonso V. Eccezionali le capelas imperfeitas, le sette cappelle incompiute che si aprono attorno ad un cortile centrale a cielo aperto. Vi si accede attraverso una magnifica porta nel più sontuoso stile manuelino, tutta fittamente decorata con motivi geometrici e vegetali. Anche la parte alta delle cappelle è in ornatissimo stile manuelino. Dopo la visita ai due monasteri, il nostro giro prosegue verso sud. Sostiamo ad Óbidos, l’antica cittadina circondata da alte mura con camminamenti ancora oggi percorribili. Óbidos è molto
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graziosa: la strada principale, lunga e stretta, affiancata da linde case bianche e azzurre, con una profusione di bouganville fiorite, sale su fino al castello, tra i tanti negozietti per turisti dove, insieme a vari oggetti dell’artigianato locale, si trovano i tipici galletti portoghesi, dalla cresta rossa e il corpo nero dai coloratissimi disegni. La storia è curiosa: la leggenda narra che un mercante ingiustamente condannato a morte, dopo aver invocato la Vergine, chiese di essere portato a casa del giudice. Giunto all’ora di pranzo, trovò il giudice che si accingeva a mangiare un pollo arrosto. Disse allora che se il gallo avesse cantato, quella sarebbe stata la prova della sua innocenza. Il gallo effettivamente cantò e il mercante fu salvo. Come ringraziamento per la grazia ricevuta, realizzò allora un galletto in terracotta, nero con la cresta rossa. Da allora il galletto rimase come divertente simbolo del Portogallo, simbolo di fede, fortuna e giustizia. A sud di Óbidos, la penisola di Peniche, piccolo centro di pesca, termina con il Cabo Carvoeiro, dove tra alte falesie su cui l’erosione ha creato bizzarre figure si aprono splendidi panorami sul mare. Nelle vicinanze, nel piccolo villaggio di Remédios, la cappella di Nossa Senhora dos Remédios è completamente rivestita dalle pareti al soffitto di splendidi azulejos del 1700. Ed eccoci a Lisbona, l’antica e affascinante capitale del Portogallo, centro della vita di tutta la nazione e principale porto del Paese, adagiata lungo il Tago e da sempre in stretta simbiosi con l’oceano che la fronteggia. Dal comodo campeggio, il Monsanto, il bus n.714 porta facilmente in città: ci fermiamo a Praça do Comércio, la vasta piazza attorniata su tre lati da eleganti edifici settecenteschi e aperta sul quarto direttamente sul Tago, da dove giungevano, accolti al Cais das Colunas (il Molo delle Colonne), i visitatori più illustri. Ancora oggi due colonne che si innalzano dal fiume individuano il punto dell’approdo. Da qui vari itinerari portano alla scoperta della città. Come Roma, Lisbona si distende su sette colli: i tipici tram gialli o rossi, ormai tra i suoi simboli più caratteristici, si inerpicano sferragliando su per le ripide e tortuose stradine del centro storico, sfiorano la Sé Patriarcal, l’austera
cattedrale dalla severa facciata a due torrioni che affiancano il semplice e profondo portale, scoprono angoli nascosti dell’antico quartiere dell’Alfama con il suo dedalo di stradine e piccole piazze, pittoresco e chiassoso. Nelle vicinanze, la luminosa chiesa di Sao Antonio da Sé è costruita sul sito della casa natale del santo cui gli abitanti di Lisbona sono particolarmente legati: il santo nacque proprio a Lisbona e fu professore a Coimbra, prima di partire per il Marocco e poi per l’Italia. Durante il soggiorno a Lisbona le nostre gambe lavorano non poco su e giù da un capo all’altro della città! Una lunga passeggiata ci porta da Plaça do Comércio fino al Rossio e alla Praça D.Pedro IV dal caratteristico pavimento a lunghe onde bianche e nere dal particolare effetto visivo. Il monumentale Arco Trionfale immette nella pedonale Rua Augusta, l’asse centrale del quartiere della Baixa: strade animate ed eleganti si intersecano a scacchiera secondo la rigorosa geometria voluta dal marchese di Pombal che ne promosse la ricostruzione dopo il disastroso terremoto del 1755. Il monumento a lui dedicato nella grande Praça do Marques de Pombal chiude la moderna Avenida da Liberdade, l’ampio viale alberato che conduce al bel Parque Eduardo VII, così chiamato per commemorare la visita di Edoardo VII alla città. Saliamo verso il Bairro Alto, l’antico quartiere popolare che, come l’Alfama, è oggi centro animato della vita artistica e notturna della capitale. Qui visitiamo la gesuita I-
Il Padrão dos Descombrimentos, il monumento alle scoperte, è uno dei simboli del quartiere di Belém, nella capitale portoghese Lisbona greja de São Roque. Austera e lineare all’esterno, la chiesa è fastosamente barocca al suo interno: il soffitto è magnificamente affrescato, azulejos, marmi, mosaici e legno dorato arricchiscono le splendide cappelle laterali, particolarmente la settecentesca capela de São João Baptista. Commissionata a Roma dal re João V, la cappella è una meraviglia dell’arte italiana, considerata tra i maggiori capolavori dell’arte europea. Vi sono utilizzati materiali preziosi come bronzi dorati e marmi policromi, e poi una miriade di pietre dure, lapislazzuli, alabastro, ametista, giada. Il pavimento è a mosaico, medaglioni e angeli in marmo di Carrara…
La torre di Belém
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Scendiamo poi al Chiado, il quartiere che prende il nome dal poeta Antonio Ribera, vissuto nel 1500, che era chiamato “o chiado”, l’astuto, dalla cui statua, un po’ grottesca, ha inizio l’elegante rua Garrett, strada pedonale ricca di negozi di firme famose, ristoranti, caffè. Di fronte a uno di questi, il cafè A Brasileira, si trova la statua in bronzo di Fernando Pessoa, seduto ad un tavolino. Come è ovvio, turisti fanno a gara per farsi fotografare con le mani familiarmente appoggiate sulle spalle dello scrittore… Saliamo quindi sul colle dove sorge il Castelo de São Jorge, il fortificato nucleo originario della città, da cui passarono fenici, romani, visigoti, arabi e infine i re portoghesi, finché questi, in seguito al nuovo benessere, trasferirono la loro sede sulla riva del Tago. Il castello ha camminamenti ancora in parte percorribili, torri, vasti ambienti ben conservati, il bastione da cui si gode un’ampia vista della città. Ultima tappa del nostro giro, è Belém, il bel quartiere ricco di musei e monumenti importanti. Sulla grande Praça do Impeiro, proprio sulla riva del Tago, il Padrão dos Descombrimentos è il monumento alle scoperte, costruito nel 1960 in occasione del 500° anniversario della morte di Enrico il Navigatore. Come la grande prua di una nave il monumento si protende sul fiume, memoria di quel periodo glorioso delle scoperte e dei viaggi portoghesi verso tutto il mondo: sui suoi fianchi una successione di statue rappresentanti Enrico, i navigatori, i re, i religiosi, tutti coinvolti nelle grandi imprese del passato.
Poco distante, la Torre de Belém, simbolo di Lisbona, si erge come sentinella alla foce del Tago, costruita nel 1500 e utilizzata nei secoli come difesa e anche come faro e prigione. E’ minuziosamente decorata in stile manuelino e presenta anche dei tratti arabeggianti. Al suo interno, i locali delle armi da fuoco, la cappella, la terrazza che si affaccia sul Tago e sull’oceano. In lontananza il ponte 25 Aprile fa ormai parte del panorama tipico della città. Sempre nella praça do Imperio si trova quello che è certamente il monumento più interessante e famoso di Lisbona, il Mosteiro dos Jeronimos de Belém, patrimonio dell’UNESCO, capolavoro dello stile manuelino. Il portale di accesso, tra pinnacoli e statue, immette nel magnifico interno: ai lati dell’ingresso si trovano le tombe di Vasco da Gama e di Luis de Camões, il maggiore poeta portoghese; le colonne che separano le tre navate sono tutte fittamente ricoperte da bassorilievi minuziosamente decorati, le pareti impreziosite dai luminosi colori delle belle vetrate. Splendido il chiostro, delimitato dal portico chiuso da finestre bifore i cui archi sono decorati con squisiti bassorilievi che appaiono come ricami di pietra. Ai lati, piccole porte attraverso le quali venivano confessati marinai e passanti, la grande sala capitolare, il refettorio dalle pareti ornate da azulejos. Dal chiostro saliamo al coro superiore da dove si ha una bella vista ravvicinata della volte gotica solcata da nervature e delle splendide colonne. Una coinvolgente Ave Maria di Schubert ci accompagna nella visita della chiesa, dove si sta svolgendo un matrimonio: la suggestione del canto è resa ancora più profonda dall’ambiente straordinario in cui ci troviamo. A conclusione del soggiorno a Lisbona non può mancare uno spettacolo di fado. Il tradizionale canto portoghese, introdotto a Lisbona solo nel XIX secolo, era il canto dei marinai che salpavano per mete sconosciute e non sapevano se e quando sarebbero tornati, era il canto della tristezza e del rimpianto, espressione della saudade, il termine portoghese che esprime la malinconia, la nostalgia per ciò che si è perduto o è irrealizzabile. E’ un canto triste ed intenso, che ci aveva già accompagnato con le sue note struggenti in
Il chiostro del Mosteiro dos Jeronimos de Belém varie altre occasioni, lungo le stradine di Óbidos o nel centro storico di Lisbona, dove, tra il brusio dei passanti, si levava la voce inconfondibile di Amalia Rodriguez, “la regina del fado”, che ne fu tra le maggiori e più amate interpreti. In un locale del centro storico due artisti al suono della chitarra classica e della tipica chitarra portoghese a forma di pera cantano l’amore per la loro città, il dolore per l’ amore finito, la disperazione per l’abbandono o il tradimento. Lasciamo con rimpianto Lisbona, continuiamo nel nostro itinerario verso sud e ci spostiamo subito direttamente sull’oceano, a Cabo da Roca, il punto più ad occidente del continente europeo. Il capo è una grande spianata a picco sul mare a tratti invisibile nella nebbia fitta, attraversata da sentieri che conducono sul ciglio da cui solo ad intervalli possiamo intravedere gli splendidi scorci dell’alta costa frastagliata. Una colonna situata proprio al limite dell’altopiano reca alla sommità una croce e un’iscrizione dove sono incisi versi di Camões: “Cabo da Roca… là dove la terra finisce e comincia il mare…” Continuiamo sempre seguendo il litorale, lungo la Costa do Estoril, tra larghe spiagge, belle ville, cittadine curate ed eleganti. Alle porte di Cascais, sostiamo alla …Boca do Inferno. Proprio così, si tratta di un posto veramente selvaggio, con grosse rocce scure su cui il mare si infrange con forza e penetra spumeggiando là dove la roccia si apre quasi a formare come
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grosse fauci da cui viene inghiottito. È poi la volta di Cabo Espichel, una spianata arida e selvaggia alla punta della penisola di Setúbal. Qui la nebbia è molto fitta ma noi rinunciamo a spingerci fino al faro, da dove a intervalli regolari una sirena invisibile lancia un richiamo per segnalare la vicinanza della costa. A tratti la nebbia si apre e ancora una volta ci colpisce lo spettacolo straordinario di questo magnifico litorale. Attraversiamo quindi la Serra da Arrábida, dalla bassa e fitta vegetazione mediterranea, lungo la strada che corre alta sul mare, aprendo a tratti spettacolari vedute. Scendiamo poi lungo l’Alentejo occidentale in un monotono e strano paesaggio brullo e dal terreno sabbioso. Più a sud grandi estensioni di cereali si alternano a boschetti di giovani pini e a paesini dalle piccole case bianche e azzurre che danno una nota chiara di colore. E siamo nell’Algarve, la regione più meridionale del Portogallo. La nostra meta, l’ultima, è il Cabo de São Vicente, il promontorio roccioso all’estremo sud occidentale del Portogallo su cui sorge la cittadina di Sagres. Il capo è bellissimo, forse il più bello di quelli che abbiamo visto: dalla grande spianata brulla si ammira la lunga costa caratterizzata da ripide pareti a strapiombo; nel mare agitato onde spumeggianti presto si infrangono, marosi si rovesciano violenti alla base delle alte falesie. Il vento è fortissimo, scuote gli abiti, fa ondeggiare macchine fotografiche e videocamere. È impressionante avvicinarsi al bordo e può
anche essere pericoloso (una targa commemora la morte di due giovani tedeschi forse troppo imprudenti). Il faro sorge sul sito di un antico convento nella cui chiesa adiacente venne ospitato il corpo di San Vincenzo, martirizzato a Valencia e portato qui per proteggerlo dagli arabi. Al tranquillo campeggio dove passiamo la notte ancora vento e freddo, ma il cielo rosa annuncia un’altra bellissima giornata. Sulla punta del promontorio visitiamo la Fortaleza de Sagres, l’antica fortezza nucleo della Vila do Infante: nel 1443 l’Infante Don Henrique ottenne
dal fratello, il reggente Don Pedro, l’autorizzazione a creare su questo sperone di roccia una città, un grande porto che fosse base per le spedizioni. Qui egli visse e morì nel 1460, da qui sono datate alcune lettere e il suo testamento, ma il suo sogno non poté realizzarsi a causa dell’aridità del luogo e la mancanza d’acqua. La spianata su cui sorge la fortezza è infatti arida e pietrosa, aperta ai venti dell’Atlantico. Rimangono alcuni resti della muraglia, una torre-cisterna, la piccola cappella dedicata a Nossa Senhora de Graça, l’antica residenza del governatore ritenuta,
Cabo de São Vicente, il promontorio roccioso all’estremo sud occidentale del Portogallo. In basso lLa costa dell’Algarve
forse erroneamente, la casa dell’Infante. All’interno delle mura, al di sopra della porta, una lastra del 1840 è il monumento ad Henrique. Attualmente si sta disponendo un centro per esposizioni, conferenze e servizi di appoggio ai visitatori. Ma ciò che colpisce di più in questo luogo è il paesaggio: la lunga scogliera a perdita d’occhio, il mare di un blu incredibile, il cielo senza una nuvola, il vento che scuote ogni cosa… Prendiamo quindi la strada verso est, lungo la costa meridionale. Ci fermiamo per la notte nella cittadina di Olhão, al campeggio dei “Bancarios” (!), un bel campeggio ordinato e piacevole. Peccato per le voraci zanzare… La E1 si snoda in un paesaggio vario tra zone selvagge e aree agricole coltivate a cereali. La zona lagunare, la Ria Formosa, è una delle tante riserve naturali del territorio e luogo di sosta per centinaia di specie diverse di uccelli. Le lunghe spiagge, la bellezza dei paesaggi, la natura incontaminata nelle parti più interne, hanno fatto decollare il turismo, che è una delle principali risorse della regione. Percorrendo l’autostrada notiamo sui tetti delle case, basse e dipinte di bianco, bizzarri comignoli traforati di stile arabeggiante simili a lanterne e in effetti Olhão e un po’ tutta questa zona hanno sempre mantenuto rapporti commerciali con le città del nordafrica. Il ponte sulla Guadiana segna il confine con la Spagna, che attraversiamo rapidamente: “fuggiamo” dal caldo soffocante di Cordoba, sostiamo piacevolmente a Barcellona e poi via verso casa. Altre mete ci attendono, ma rifaremmo subito ogni tappa di questo viaggio particolare: ci ha affascinato il mare immenso e spettacolare, quieto nel suo blu più intenso oppure violento e indomabile quando è bianco di spuma, abbiamo fantasticato sulle sorti di uomini audaci che in tempi remoti hanno sfidato l’ignoto, ci siamo lasciati conquistare dalla natura selvaggia e magnifica che ci ha regalato emozioni forti e ricordi incancellabili.
Testo di Anna Maria Carabillò Foto di Enzo Triolo
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Oltre l’azzurro del mare A due passi dal confine italiano, al di là dell’Adriatico, alla scoperta dei tesori storici e naturalistici della Croazia
L
a Croazia è sinonimo di coste frastagliate, scenari mozzafiato, mare splendido e incontaminato e un groviglio di mille e più isole dove perdersi alla ricerca di eden perduti. Ma non è solo questo, sarebbe riduttivo e oltretutto non renderebbe merito agli stessi croati che hanno saputo conservare in tutto il loro territorio un habitat naturalistico praticamente intatto oltre a splendidi esempi monumentali e artistici di ogni epoca - romana, bizantina, veneziana - che nemmeno i conflitti più recenti sono riusciti a cancellare.
L’Istria Il primo contatto con la Croazia, per chi la raggiunge via terra dal confine di Trieste, è la regione istriana, separata dall’Italia da pochi chilometri di terra slovena. Porec-Parenzo (da questo momento di ogni località proporremo il toponimo croato e, laddove noto, anche quello italiano) è certamente la prima città di grande importanza dal punto di vista turistico: si pensi che alla sua periferia si trova addirittura una vera città satellite formata da un agglomerato di hotel, campeggi, discoteche e altre infrastrutture dedicate alle vacanze. Nel cuore antico dell’abitato vi sono ancora resti della cinta muraria veneziana e antichi palazzetti nobiliari dello stesso periodo. Il centro storico cittadino si allunga sul Decumano, inframezzato da cortiletti acciottolati in pietra bianca, sui cui si affacciano palazzetti dai colori pastello da cui emergono vetrine che mettono in mostra la tipica lavorazione dei gioielli in filigrana d’argento e d’oro. Il monumento più importante è la Basilica Eufrasiana, magnifico esempio di arte bizantina risalente al VI secolo, che ospita un’abside ornata da magnifici affreschi a sfondo dorato e un elegante ciborio. Di fianco alla basilica, inserita dall’Unesco nel registro del patrimonio dell’umanità, sono ancora visibili i resti del pavimento musivo dell’oratorio di San Mauro, risalente al IV secolo, oltre al Battistero ottagonale e al Palazzo Diocesano, con
L’interno della Basilica di Porec-Parenzo; in basso il prospetto di un edificio della città che conserva chiarissime tracce della dominazione di Venezia
resti di capitelli romani e di pavimenti musivi. Un’altra perla della costa istriana è senza dubbio RovinjRovigno, trenta chilometri a sud di Porec, protesa sul mare su una penisoletta dove è forte l’impronta veneziana soprattutto nelle facciate degli antichi palazzi nobiliari. Su tutto domina la chiesa dedicata a Sant’Eufemia, Patrona cittadina, con
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il suo sepolcro che, secondo la tradizione, era rimasto incagliato durante un viaggio per mare proprio sulle coste cittadine nel IX secolo. Alla spalle dell’Arco dei Balbi, antica porta cittadina ornata dal leone di San Marco, si allarga poi una vasta piazza ornata dalla Torre dell’Orologio che si affaccia direttamente sullo scenografico porticciolo, affollato delle barche dei pescatori e di yacht.
Croati e serbi: un conflitto durato più di un secolo
Un’immagine di Rovinj-Rovigno, protesa sul mare su una penisoletta dove è forte l’impronta veneziana Continuiamo a scendere verso il sud della penisola istriana fino a Pula-Pola, con numerose testimonianze di epoca romana, come il grandioso anfiteatro romano, costruito nel I secolo d.C. per ospitare le lotte dei gladiatori in grado di ospitare ben 20.000 persone. Oltre all’anfiteatro, anche il resto del centro storico cittadino è disseminato da testimonianze di epoca romana, come la Porta Gemina, elegante costruzione a due archi del II secolo, l’Arco dei Sergi, innalzato nel I secolo a.C. per celebrare una nobile famiglia romana, o come l’area del Foro, in cui sorge il tempio di Roma e Augusto, e l’adiacente Palazzo Comunale del XIII secolo. Nei pressi si innalza la sagoma della Cattedrale, sorta nel luogo in cui si raccoglievano i primi cristiani all’epoca delle persecuzioni romane, risalente al V secolo, ma rimaneggiata fino al XVIII; su una collinetta al centro della città si innalzano invece i resti del castello, costruito nel XVII secolo dai Veneziani a pianta stellare con quattro bastioni angolari.
Mille e più isole Già dalla terraferma dell’Istria meridionale appare evidente che tutta la costa croata è letteralmente disseminata di isole: il loro numero non è mai stato accertato con assoluta precisione dato che, accanto a una sessantina fra quelle più grandi, ve ne sono tantissime di più piccole, alcune equivalenti a uno scoglio o poco più. Qualcuno parla di un migliaio, il governo croato, nel censirle una per una, ne ha contato fino a 1185; ma la verità è che, una più o una meno, la loro caratteristica è quella di confondersi in un orizzonte sconfinato dove la sagoma di una finisce con il legarsi con quella di un’altra.
Gli ultimi centoventi anni sono stati cruciali per la storia della Croazia: i primi scontri fra croati e serbi risalgono, in effetti, alla seconda metà dell’800, quando lo strapotere dello stato asburgico portò all’annessione della Bosnia Erzegovina e alla lenta e inesorabile limitazione dell’autonomia dei vicini stati croato e serbo; i serbi provarono a quel punto a creare un movimento pan-slavo di opposizione che ebbe il suo epilogo a Sarajevo il 28 giugno 1914 con l’assassinio del principe ereditario Francesco Ferdinando, evento questo da cui ebbe di fatto inizio la prima guerra mondiale. Alla fine del conflitto, si costituì uno stato unico fra istriani, sloveni, croati, serbi e montenegrini nel quale i serbi cercarono subito di essere i dominanti mentre gli altri popoli provavano invece a contrastare il centralismo dominante con tentativi di federalismo più o meno formale. La crisi si acuì con il trattato di Rapallo del 1920 col quale l’Istria, dove forte era ancora la presenza di italiani, passò all’Italia. Il malcontento dei croati esplose ancor più violento fino alla nascita del Regno di Jugoslavia, andato in briciole all’inizio della seconda guerra mondiale quando i croati si consegnarono alle truppe di Hitler, scatenando una guerra civile interna fra le varie etnie che si concluse solo con la fine del conflitto e la creazione di uno stato federale jugoslavo trasformato in Repubblica Popolare dal maresciallo Tito che riuscì a tenere unita la federazione con la creazione di un regime assai simile al modello sovietico. Morto il dittatore, nel 1980, la federazione entrò definitivamente in crisi e la caduta del Muro di Berlino fece il resto: indette le prime elezioni libere, i comunisti persero la maggioranza fittizia che avevano fin lì avuto e rinacque quindi la spinta centrifuga dei popoli sloveno e croato. Nel 1991 sloveni e croati scelsero, sulla base di un referendum popolare, la via dell’autonomia. I carri armati serbi, con Milosevic nel frattempo giunto al potere, invasero subito i due Paesi; ma mentre la Slovenia riuscì a limitare al massimo i danni e a essere ben presto riconosciuta come stato sovrano, la stessa cosa non accadde con la Croazia, dove la guerra causò fra l’inverno del 1991 e la primavera del 1992, con alcuni “ritorni di fiamma” negli anni seguenti, ben 12.000 morti, 20.000 feriti e 300.000 profughi; in quei tragici mesi i bombardamenti serbi portarono la distruzione anche nei parchi naturalistici, nella capitale Zagabria e nelle principali d’arte come Dubrovnik. Si deve quindi alla sagacia dei croati se, con il ritorno alla normalità, siano stati immediatamente avviati i lavori di restauro dei luoghi d’arte, nonché la ricostruzione di tutte le principali vie di comunicazione, a tal punto che oggi tutte le località più legate al turismo (e la stessa Dubrovnik) non evidenziano più alcuna traccia di quel tragico periodo. Ma l’odio etnico non è stato dimenticato e non è raro vedere edifici appartenuti ai serbi abbandonati anche a distanza di anni perché nessun croato vuole subentrarvi come proprietario.
Maurizio Karra
La costa croata è costellata di isole e capita spesso di incontrare regate veliche fra le isole stesse Non c’è, fra nord e sud, una zona nella quale la concentra-
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zione sia più fitta; a partire dall’arcipelago delle Brioni, di fronte a Pula, via via alle isole Incoronate (Kornati), di fronte alla Dalmazia centrale, per finire alle grandi isole di Hvar e Korkula, di fronte a Spalato, e a Mljet e Lastovo, di fronte a Dubrovnik, è tutto un pullulare di tesori naturalistici, spesso tutelati dalla creazione di altrettanti Parchi Nazionali. Fra tutte le isole croate, alcune sono offlimits per i veicoli (come le Brioni), e sono quindi raggiungibili solo con barconi privati che effettuano minicrociere giornaliere; altre, come l’arcipelago delle Incoronate, sono
invece la meta prediletta di chi ama il mare “più da vicino”, come velisti e surfisti, nonché dai sub che possono esplorare pur se con varie limitazioni i meravigliosi fondali tutelati dall’ente parco. Ma c’è un’isola, fra le più grandi del mare adriatico della Crozia, che è sinonimo stesso di paradiso: Hvar. Se c’è quindi la voglia (o la possibilità) di visitare una e una sola isola, la scelta non può che ricadere su di essa, famosa per i campi di lavanda e ginestra. Stari Grad, la seconda cittadina di questa isola lunga e stretta, è il porto dove attracca il traghetto che parte da Spalato dopo essere stato costretto per due ore a serpeggiare e a incunearsi fra tantissime altre isole; il suo centro sorge attorno ad una bella chiesa e ai resti di una chiesetta bizantina che ospita pavimenti musivi del VI secolo, e si sviluppa in un gomitolo di cortiletti labirintici che si partono dal porticciolo e si perdono fra le campagne circostanti dove i cespugli viola della lavanda fanno da contrappunto al rosmarino, al biancospino e alla ginestra, mentre i bianchi muretti di pietre a secco eretti dall’uomo dividono le aspre colline e incorniciano il mare sottostante. Nell’estremità occidentale dell’isola si trova Hvar Grad, il capoluogo dell’isola e certamente il centro abitato di maggiore charme, con un grandioso centro storico di impronta veneziana chiuso al traffico veicolare costellato ai suoi margini da alcuni comodi parcheggi, dove è possibile anche pernottare all’interno del camper. Già al primo assaggio la cittadina conquista con la sua vasta piazza incantata che incornicia la chiesa madre, la loggia con la torre dell’orologio, l’arsenale e il porticciolo, colmo di barche e yacht di tutte le stazze, su cui domina una grande fortezza e nelle cui acque si riflettono le luci serali di ristoranti e pub; mentre al di là della piazza, fra vicoletti interrotti da scalinate, si aprono all’improvviso cortiletti delimitati da palazzetti nobiliari di impronta veneziana. Fra gli altri centri dell’isola di Hvar vi è Vrboska, un delizioso borgo peschereccio scandito dal campanile cinquecentesco della chiesa di Santa Maria, raro esempio di chiesa fortificata dalmata; e vi è Jelsa, località balneare con
Il porto turistico di Hvar, capoluogo dell’omonima isola e, in basso, la fortezza
belle spiagge e un piccolo centro storico in pietra bianca. Da qui si parte la strada stretta e tortuosa che conduce nella parte orientale dell’isola, incuneandosi fra magici campi di lavanda e piccole fattorie, salendo a picco verso le varie alture e poi scendendo radente sul mare; la strada si conclude nella punta estrema orientale dell’isola, a Sucuraj, dove è possibile imbarcarsi su un altro piccolo traghetto che in mezz’ora riporta sulla terraferma, a Drvenik, cento chilometri a nord di Dubrovnik.
I grandi parchi naturali Se Croazia per i più vuol dire mare, come si fa a tralasciare
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le paradisiache scenografie dei grandi parchi naturalistici dell’interno? Situato ai margini della statale 11, che collega Zagabria a Zara, e raggiungibile dalla costa dalmata anche con la statale 5 che si parte da Senj, a sud di Fiume, il Parco Nazionale di Plitvice è senz’altro il più famoso e il più frequentato di tutta la nazione, inserito nel Patrimonio dell’Umanità dal 1979 dall’Unesco; prima di giungervi, qualsiasi sia la strada che si percorra, si attraversano però diverse cittadine che recano evidenti non solo segni di povertà, ben diversi dal benessere manifesto delle cittadine costiere, ma anche segni inequivocabili dei lutti più recenti della storia croata: come ad Oto-
tac, che conserva ancora diverse facciate di costruzioni danneggiate dai proiettili di mitragliatrici e di cannoni dell’artiglieria serba. Una volta giunti, però, lo scenario di incomparabile suggestione che si offre ai nostri occhi è unico: si succedono in una boscosa vallata di otto chilometri ben sedici laghi, situati a differenti altitudini, che sono collegati tra loro da suggestive cascate e specchi d’acqua che danno vita ad un autentico paradiso terrestre. Il percorso a piedi, che collega i laghi superiori, accessibili dall’ingresso numero due del parco, a quelli inferiori, accessibili dall’ingresso numero uno, si
snoda per diversi chilometri, permettendo di attraversare il parco su passerelle di legno. Per collegare le diverse zone vi sono anche trenini elettrici con ruote in gomma e battelli che scivolano silenziosi sui laghi; per effettuare il percorso completo sono comunque necessarie almeno cinque-sei ore di tempo. Se Plitvice è il parco più famoso della Croazia, un altro, un po’ più a sud nell’entroterra di Sibenik, merita la massima attenzione: è il Parco Nazionale di Krka, che fu anch’esso teatro della guerra contro la Serbia, nonostante fosse sotto tutela dal 1985, a tal punto che proprio l’area del parco
servì per alcuni mesi da confine tra le due milizie che si fronteggiavano in questa regione. Vi si accede da Skradin, un piccolo borgo immerso in un magico scenario di terra e di acqua, da dove ci si imbarca per una placida traversata del fiume Krka che porta in 20 minuti fino a delle magnifiche cascate. Penetrando nel folto bosco del parco e procedendo lungo le passerelle sospese in legno si colgono prospettive mozzafiato delle cascate, che scrosciano fragorosamente bagnandoci con i loro spruzzi, mentre nel laghetto che ne trae origine la gente fa il bagno. A lato dei sentieri si allungano varie bancarelle che vendono frutta secca e grappe aromatizzate, mentre lungo il percorso si snoda un antico villaggio, con una chiesetta del XVII secolo, un mulino ad acqua e un museo etnografico.
La costa dalmata a sud di Zara
Due immagini dei bellissimi parchi naturali croati In alto uno dei laghetti di Plitvice, in basso una cascata di Krka
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Da Zara a Dubrovnik si stende infine la magnifica costa dalmata. Zadar-Zara si presenta ancora oggi racchiusa da possenti mura, aperte sulla scenografica Piazza delle Erbe, trasformata in una sorta di museo archeologico all’aperto che si apre sul lungomare, con reperti di epoca romana sparsi qua e là, come colonne e capitelli che testimoniano la lunga storia cittadina. Sulla stessa piazza si affaccia l’originale sagoma di San Donato, bell’esempio di architettura bizantina, il cui interno mostra ampie tracce di reimpiego di materiale di epoca romana. Accanto sorge lo slanciato campanile della Cattedrale, la cui facciata del XIV secolo si innalza alle sue spalle con due magnifici rosoni e una serie di arcatelle cieche. Sempre in Piazza delle Erbe sorge anche la chiesa di Santa Maria, con una facciata rinascimentale veneziana e un campanile romanico, che ospita nell’annesso convento benedettino un notevole museo di arte sacra, con capolavori di arte bizantina, romanica e gotica. Tutto il resto del centro storico si allunga su viuzze lastricate di pietra bianca e larghe piazze, come la Piazza dei Signori, su cui si affaccia la Loggia della Grande Guardia con la Torre dell’Orologio e la Loggia di Città, o come la Piazza dei Cinque Pozzi, così chiamata per le cinque cisterne che vi si allungano e che sono circondate da un breve tratto di mura.
Il campanile della Cattedrale di Zadar-Zara Anche Sibenik-Sebenico merita ampiamente la sosta, con il suo centro storico proteso verso il mare e intervallato da vicoletti e cortiletti lastricati con i tavolini dei caffé all’aperto, cui fanno da sfondo suggestive facciate di chiese dimenticate. Molto bella è la Cattedrale di San Giacomo, arricchita da un notevole portale e da un rosone traforato, in tutto simile ad un merletto, e con il celebre portale sinistro sorvegliato da maestosi leoni di impronta romanica e da una carrellata di testine umane, una diversa dall’altra, a testimonianza dei numerosi “tipi” in circolazione in Dalmazia nel periodo medievale, dai barbari, ai greci ai turchi. Appena qualche decina di chilometri e si incontra TrogirTraù, deliziosa cittadina situata su una penisoletta protesa verso il mare, tutelata dall’Unesco. Lungo i suoi vicoletti acciottolati è facile
assaporare l’atmosfera veneziana, caratterizzata dalla presenza di finestre gotiche e portali sovrastati dall’onnipresente leone di San Marco. Si penetra nella sua cerchia di mura perfettamente conservate attraverso la Porta di Terraferma e subito ci si ritrova in un intreccio di vicoletti che si snodano in un labirinto di pietra. Nella piazza principale si innalza la magnifica Cattedrale del XIII secolo, dedicata a San Lorenzo, sul cui portale si snoda il racconto della storia dell’uomo, da Adamo ed Eva alla Crocifissione. Sempre sulla stessa piazza si affacciano il Palazzo Cippico, ornato da belle finestre gotico-veneziane, e la Loggia pubblica, sormontata da sei colonne con capitelli romani. Sul lungomare prospetta, invece, la facciata romanico-gotica di San Domenico, il Castello del Camerlengo, costruito dai Veneziani all’inizio del ‘400, e la Torre di San Marco. Lasciata Trogir, sempre seguendo la strada costiera verso sud, si incontra quasi subito SplitSpalato, grande centro portuale e industriale che ospita un centro storico di epoca romana davvero ben conservato, sul quale si sono andate stratificando tracce bizantine, gotiche e barocche in un caleidoscopio artistico e insieme storico di grande impatto. Il suo nucleo più antico, situato a pochi passi dal porto, coincide con il perimetro del Palazzo di Diocleziano, fatto costruire dall’imperatore romano, originario del vicino centro
Il Palazzo di Diocleziano a Split-Spalato
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di Salona, nel III secolo d.C. per trascorrervi i suoi ultimi anni. Dopo la sua morte i Bizantini, i Veneziani e gli Austriaci vi si susseguirono, lasciando ciascuno qualche traccia, con il risultato che ai giorni nostri ci si trova davanti un complesso artistico unico al mondo.
Ricami e gioielli in filigrana d’oro, alcuni dei prodotti tipici dell’artigianato croato
Così, penetrando nel complesso attraverso la Porta Argentea, ci si trova davanti la facciata arricchita da timpani e colonne del Palazzo imperiale, nelle cui fondamenta è stata realizzata una sorta di galleria di negozietti di artigianato; alla sua sinistra si innalza la Cattedrale, sorvegliata da due leoni, simbolo della Serenissima, e perfino da una Sfinge egizia della XX dinastia. Tutt’attorno si stende il peristilio, con un maestoso colonnato che incornicia palazzi gotici e barocchi, mentre dovunque si posi lo sguardo si allungano colonne corinzie e vari tempietti, come quello dedicato a Giove; da qui prende il via un intrico di vicoletti acciottolati che si incunea con effetto labirintico nel tessuto urbano, per poi allargarsi all’improvviso in alcune vaste piazze, come quella del Popolo, in cui le tracce della Serenissima sono ancora più marcate grazie alla presenza di vari palazzi gotici, come quello del Museo Etnografico.
strada costiera si possono cogliere paesaggi mozzafiato, con un susseguirsi di calette dalle acque trasparenti che invitano continuamente a fermarsi per un bagno. Prima di raggiungere la città ci si ritrova a superare la frontiera con la Bosnia che, per i 9 chilometri seguenti di costa, ha ottenuto nel recente trattato di pace questo sbocco a mare. E’ una situazione strana, quasi surreale, questo ritrovarsi per pochi chilometri in un’altra nazione, ma in realtà ha dei precedenti storici, perché questo tratto di costa era stato concesso dalla repubblica indipendente di Dubrovnik ai turchi, per poter avere una sorta di zona cuscinetto tra la piccola repubblica e lo strapotere della vicina Serenissima che occupava anche la regione di Zadar. Dubrovnik non è solo il punto di arrivo del nostro itinerario lungo la costa dalmata, ma è anche la tappa più significativa dal punto di vista storico e monumentale di tutta la Croazia. Vi si accede oggi attraverso un ponte modernissimo e piuttosto scenografico, da cui non è evidente la presenza della città murata: tutto l’antico centro è infatti racchiuso da una cortina muraria edificata a partire dal X secolo fino al XVII a difesa di una città-stato che, a prezzo di tributi ai veneziani, agli austriaci e ai turchi, riuscì dal XIII alla fine del XVIII secolo ad avere una certa autonomia e che, grazie alla sua funzione di stato-cuscinetto tra la
Serenissima e l’impero ottomano, divenne talmente prospera da giungere a possedere una flotta di numerosi vascelli (le “caracche”) da poter rivaleggiare con i nascenti stati nazionali europei. Le mura racchiudono un nucleo storico di grande bellezza, composto da torri, campanili, chiese in pietra bianca, e ciò nonostante il terremoto che nel 1667 le procurò gravi danni. Fin dal 1979 l’Unesco aveva iscritto la città fra il patrimonio dell’umanità, ma la consapevolezza di trovarsi davanti ad un autentico gioiello in pietra non ha fermato i bombardamenti serbi che, a partire dal 6 dicembre del 1991, e per alcuni mesi, ne distrussero in parte il centro storico, mandando in rovina una gran quantità di tetti e anche alcune costruzioni intere, così come è documentato da diversi pannelli esplicativi che si trovano all’interno della cittadella, danni che sono stati completamente cancellati grazie ad un’accorta ricostruzione filologica. L’ingresso alla città murata avviene da Porta Pile e quasi subito ci si ritrova in una vasta piazza, ornata dalla grande Fontana di Onofrio, usata dalla metà del XV secolo come serbatoio cittadino, e dal vasto convento dei Francescani, con un portale in gotico fiorito, un magnifico chiostro caratterizzato da capitelli romanici dai mille intrecci e il relativo museo, ospitato nella Sala Capitolare, che conserva reliquiari in argento, dipinti medievali e un antico
Dubrovnik, la perla dell’Adriatico Scendendo ancora a sud di Split verso Dubrovnik, lungo la
Un’istantanea dello Stradun di Dubrovnik
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laboratorio farmaceutico. Da qui si apre lo Stradùn, l’arteria che taglia a metà la città vecchia, sulla quale si affacciano numerosi palazzetti costruiti dopo il terremoto del 1667 e diverse gioiellerie che mettono in mostra la magnifica lavorazione in filigrana in oro e argento. Alla parte opposta si trova Piazza delle Erbe, dove ogni giorno si svolge un mercatino di oggetti di artigianato (fra cui gli splendidi merletti), fiori e frutta; nelle vicinanze si innalza anche la chiesa ortodossa e nel palazzo adiacente vi è un pregevole museo delle icone. A pochi passi si trova la Cattedrale, risalente al XVII secolo, che ospita il tesoro con un prezioso reliquiario bizantino di San Biagio, patrono cittadino; poco oltre si apre la Luza, centro della vita pubblica, su cui si affacciano, come in una quinta teatrale di grande suggestione, chiese, torri e palazzi, fra cui quello della Gran Guardia, con la cosiddetta piccola Fontana di Onofrio, e quello dei Rettori, con un pregevole portico ornato da colonne con capitelli incisi, con puttini, motivi floreali e addirittura con la rappresentazione di una farmacia medievale, al cui interno è ospitato il Museo Civico con arredi originali, dipinti e reperti archeologici. Salendo oltre lo Stradun si giunge al Convento dei Domenicani che domina il porto turistico e che ospita un museo con oreficerie sacre, dipinti e gioielli in filigrana che testimoniano la bravura degli orefici cittadini dal medioevo in poi.
Una torre della fortezza di Dubrovnik Tutt’attorno si innalzano le mura della cittadella, su cui è possibile fare una sorta di giro di ronda, con un magnifico spettacolo che si apre sulla roccaforte e sulle acque che la circondano. E’ l’ultimo splendido panorama che rimane negli occhi prima di salpare dal porto con il traghetto che riporta in Italia.
Mimma Ferrante
Notizie utili L’itinerario, le strade, i traghetti: L’itinerario descritto parte da Trieste e tocca Porec, Rovigno, Pula, Fiume, il Parco di Plitivice, Pag, Zara, Sebenico, il Parco di Krka, Traù, Split, l’isola di Hvar e Dubrovnik, da cui è possibile poi rientrare in Italia con traghetto per Bari. La rete stradale croata è abbastanza buona, soprattutto nelle zone a forte dominanza turistica; solo nell’interno e sulle isole le strade hanno standard inferiori, così come inferiori per numero rispetto all’Italia sono i distributori di carburante, dal costo comunque leggermente più basso che da noi. Si può raggiungere la Croazia, oltre che via terra (da Trieste) anche con i traghetti della compagnia di navigazione Jadrolinija (da Ancona per Spalato, da Bari per Dubrovnik; info: Agenzia Marittima Lorusso & C. di Bari, tel. 080.5217643). In estate anche Adriatica e SNAV collegano alcuni porti italiani (Venezia, Ancona e Pescara) a Spalato. Soste e pernottamenti: In Croazia il campeggio libero è vietato; vi è comunque una buona copertura di strutture, in particolare lungo la costa dove, accanto ai grandi campeggi-vacanza, anche alcuni privati si sono attrezzati negli ultimi anni per offrire in mini-camping più o meno improvvisati ospitalità anche nel giardino di casa. Il costo per un equipaggio di due persone con camper oscilla dai 15 ai 30 euro a notte, a seconda dello standard della struttura. Vi è anche abbondanza di parcheggi, spesso custoditi e a pagamento, in vicinanza dei centri storici e dei parchi nazionali; in alcuni di essi, laddove non vi siano campeggi cittadini, è possibile anche pernottare. Per il giorno, ovviamente, non vi sono problemi di parcheggio. Le soste da noi consigliate (le località sono in ordine alfabetico): • a Dubrovnik: Camping Solitudo, sul mare alla periferia ovest della città, con bus n.6 per il centro a 300 metri; • al Parco di Plitvice: Camping Korana, a 5 km. dall'ingresso n.1 del Parco (per il giorno si possono utilizzare i parcheggi 1 e 2); • a Porec-Parenzo: Camping Zelena Laguna, a 6 km. dal centro (parcheggio diurno sul lungomare); • a Pula-Pola: Camping Stoja, a 2,5 km. a nord della città (parcheggio diurno sul lungomare sotto l’Anfiteatro); • a Rovinij: Camping Polari o Porton Biondi, alla periferia della città (parcheggio diurno sul lungomare); • a Sibenik-Sebenico: Hotel-Camping Solaris, a 5 km. a sud dell’abitato, oppure Camping Krak, a 10 km. dal Parco di Krka (parcheggio diurno vicino il lungomare dietro la stazione dei bus); • a Split-Spalato: Camping Trstenik, sul mare, alla periferia della città; • a Trau-Trogir: parcheggio privato custodito ai margini della statale, vicino al ponte di accesso pedonale per il centro storico; • a Zadar-Zara: Camping Village Borik, a 3 km. dalla città, sul mare oppure Camping Zatan, in loc. Nin (a sud di Zadar esistono tantissimi minicampeggi sul mare); • nell’isola di Hvar ci sono sei campeggi, alcuni per nudisti; ma è possibile pernottare anche nel parcheggio a pagamento all’ingresso di Hvar Grad, nel parcheggio gratuito all’ingresso di Stari Grad, vicino la fermata dei pullman e sulla baia del porticciolo di Vrnoska. Un’ultima curiosità: la Croazia è sempre stata meta prediletta per i nudisti ed è quindi facile imbattersi in campeggi che riservano una parte delle proprie strutture al naturismo o a campeggi che sono esclusivamente riservati ai nudisti (contrassegnati con “FKK”). Shopping: In considerazione di un costo della vita un po’ più basso rispetto a quello italiano, è difficile lasciare la Croazia senza aver acquistato pregevoli merletti dalle stesse donne che li realizzano o gioielli in filigrana d’argento e d’oro (a 14 carati); si trovano anche belle icone, retaggio della dominazione serba, a Split e Dubrovnik; non mancano poi gli articoli marinari, come conchiglie, spugne marine e velieri, oltre all’ottimo vino e alle grappe aromatizzate. Una kuna croata vale oggi al cambio circa 0,14 euro. Informazioni utili: Ente Nazionale Croato per il Turismo - Milano, Piazzetta Pattari n. 1/3 - tel. 02.86454497/43, fax 02.86454574, email
[email protected] - sito Web www.croatia.hr
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Urbisaglia, uno scrigno di tesori Il Parco archeologico di Urbs Salvia e l’Abbadia di Fiastra
I
l sogno di ogni visitatore: natura, storia, arte, buona cucina... Tutto questo nell’incantevole scenario della Riserva Naturale Abbadia di Fiastra, là dove la città romana di Urbs Salvia e l’Abbazia cistercense di Chiaravalle di Fiastra si fondono in un territorio che saprà conquistarvi con i suoi tesori, inaspettati e sorprendenti. Con i suoi 40 ettari di estensione, il Parco Archeologico di Urbs Salvia è il più importante e spettacolare delle Marche. Percorrendo un tracciato in discesa di circa un chilometro, resterete affascinati dai monumenti che vi riporteranno ai fasti dell’età imperiale. Fra questi vi sono le Cisterne dell’acquedotto, che rifornivano d’acqua la città sottostante, e il Teatro, uno dei più grandi d’Italia e l’unico che conservi ancora intatte tracce consistenti di intonaco dipinto, nel quale nei mesi di luglio e agosto, ha luogo un'importante stagione di teatro classico antico, in cui la qualità degli spettacoli si abbina alla suggestione dei luoghi. Ma sono da ammirare anche l’Edificio a nicchioni, scenografico raccordo dei vari livelli della città, l’Area Sacra, costituita dal Tempio della Salus Augusta e da un Criptoportico, sorprendente corridoio sotterraneo decorato da affreschi, l’Anfiteatro, dove si svolgevano i giochi gladiatori. Il percorso di visita, che si snoda in gradevoli sentieri, scende lungo il declivio della collina attraverso un comodo tracciato di circa un chilometro e ci consente di cogliere nella sua interezza la struttura di una tipica città romana. La visita è completata dal Museo Archeologico Statale, che ospita alcuni dei reperti più significativi rinvenuti nelle varie campagne di scavo, tra cui un pregevole cratere neoattico in marmo risalente alla fine del I secolo a.C. Assolutamente da non mancare ad Urbisaglia è anche la visita della maestosa Rocca Medievale, eretta nel XVI secolo dai Tolentinati che dominavano la città, inglobando come mastio una torre feudale del XII secolo.
In alto il teatro all’aperto del Parco Archeologico di Urbs Salvia. In basso la Rocca di Urbisaglia
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Ammirata la scarpatura esterna, potrete percorrere gli antichi camminamenti di ronda, osservare i vari apparati difensivi e salire
fino in cima al mastio, dove lo sguardo si perde dai Sibillini al mare. Poco distante si trova la chiesa dell’Addolorata, con un por-
Alcune immagini dell’Abbazia di Fiastra
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tale di origine romana e affreschi del primo Cinquecento. Nel cuore della Riserva Naturale Abbadia di Fiastra si trova quindi l’Abbazia cistercense di Chiaravalle di Fiastra, la cui visita vi farà dimenticare per un attimo lo scorrere frenetico del tempo, avvolgendovi in un’atmosfera di silenzio e di quiete. Fondata nel XII secolo da monaci provenienti dall’abbazia madre di Chiaravalle di Milano, questa di Urbisaglia è uno dei monumenti più significativi dell’architettura cistercense in Italia. I monaci cistercensi sceglievano con gran cura il luogo delle loro abbazie, in conformità alle esigenze della vita monastica, non molto vicino ai centri abitati per salvaguardare la loro solitudine, non molto lontano dalle grandi vie di comunicazione per esercitare l'accoglienza dei pellegrini. Preferivano le valli, più adatte all'agricoltura, e la vicinanza di un corso d'acqua per l’irrigazione dei campi, il funzionamento del mulino e delle altre officine del monastero. L'edificio sviluppa un modulo spaziale quadrato, ispirato ai modelli biblici, in particolare alla Gerusalemme celeste. La misura, il numero, l'ordine che compongono in armonia le parti, costituiscono la caratteristica dello stile e creano quel senso di mistico e di arcano che si percepisce entrando in un monastero cistercense. Potrete visitare i locali più importanti del monastero nonché gli ambienti di lavoro un tempo utilizzati dai monaci. Tutt’intorno al complesso abbaziale, una serie di comodi sentieri vi permetterà di immergervi in una natura incantata, tra il fruscio delle foglie, la corrente del fiume e il cinguettio degli uccelli... e non dovrete meravigliarvi nell’incontrare bambi! Il Parco Archeologico di Urbs Salvia e l’Abbadia di Fiastra si trovano a soli 20 minuti dalla A.14 (e dal mare), a 15 minuti da Macerata e a 30 chilometri dal Parco Nazionale dei Monti Sibillini. Facili da raggiungere, difficili da dimenticare. Un ampio parcheggio è disponibile anche per i camper. Per maggiori informazioni si può visitare il sito www.abbadiafiastra.net
La Riviera dei Ciclopi Aci Castello, Acitrezza, Capo Mulini: nel blu profondo di queste acque risuonano antiche leggende ed echi letterari, dai faraglioni che, secondo Omero, il Ciclope scagliò contro Ulisse e i suoi uomini, fino alla storia sventurata dei Malavoglia di Verga
A
uto, rumori, tecnologia: a che vale vivere nella terra del mito se poi ci rintaniamo in casa a guardare la tv? Abitiamo nella mitica Sicilia, magari proprio davanti al mare, e ci attacchiamo a una parabola satellitare per succhiar sogni sognati da gente che parla una lingua non nostra e narra di posti improbabili come New York, Londra, Miami, Parigi? Avanti, spegnete quel diavolo di apparecchio e uscite fuori, che l'aria comincia a esser di nuovo calda e profumata. Socchiudete gli occhi e tendete le orecchie: si comincia. E' un lamento, certo, quel che udite, un pianto, una struggente invocazione: la sottile ninfa Galatea, candida d'alma e di petto, è disperata. Dopo averlo tanto cercato, ha capito che il suo amato, il pastorello Aci, non tornerà mai più da lei. Al Capo dei Molini ha visto scorrere il suo sangue, rosso: un fiume che si getta a mare. Polifemo l'ha ucciso, lui, il ciclope geloso, l'iroso figlio di Nettuno. "Dei!" una voce da demone sfodera la fragile ninfa, il fuoco dell'Etna negli occhi. Non implora, non chiede: ordina. "Mutatemi in onda, ché possa io abbracciare il mio amato per l'eternità". E subito si divide in miliardi di minutissime goccioline di rugiada (questi sì che sono effetti speciali, altro che Hollywood!) mentre urla un'ultima maledizione contro il mostro assassino: "Che te possino cecà!". Vabbé, forse questa è esagerata: Ma mi serviva per legare un mito ad un altro: dalla premiata ditta Aci & Galatea alla nascita dei faraglioni: A queste voci Polifemo in rabbia / Montò più alta, e con istrana possa / scagliò d'un monte la divelta cima. / Che davanti alla prua càddemi ... Cos'è accaduto prima? Beh, pensate a un reality, qualcosa come "L'isola dei famosi". Un gruppo di persone è rinchiuso nella grotta di un gigante con un occhio solo, tal Potifemo, pastore di pecore e appassionato di carne umana. Un Grande Fratello che ha già "nominato", pardon, divorato,
alcuni concorrenti. Il più furbo di essi, tale Ulisse da ltaca, detto "la volpe" (come Zorro), elabora un piano per fuggire: dona al Grande Fratello del vino per accompagnare il suo banchetto umano; poi, quando il ciclope si addormenta profondamente, appuntisce un tronco d'albero, lo arroventa sul fuoco, e trafigge il suo unico occhio. All'indomani il mostro, ormai cieco. quando sposta il macigno che ostruisce la porta dell'antro per far uscire il suo gregge, non ha che il tatto per scoprire se sono le pecore o gli uomini a svignarsela. Cosi non può accorgersi che Ulisse e i suoi hanno indosso delle pelli ovine. Quando poi quelli raggiungono le navi e lo scherniscono, Polifemo, folle d'ira, tenta l'ultima carta per vendicarsi lanciando enormi massi in direzione delle imbarcazioni. Così, secondo il mito, nacquero i faraglioni di Trezza, per la scienza vette di vulcani sottomarini emerse dall'acqua blu profonda per rendere questo tratto di costa davvero unico al mondo, fra scogliere di nera roccia lavica e fondali mozzafiato che nutrono alghe capaci di rendere il mare profumatissimo. E poco più in là, su un altro enorme faraglione detto dai romano “Rocca Saturnia”, il califfo arabo Al Moez
fece erigere il suo imprendibile Qual’at; sulle cui rovine (niente è eterno a questo mondo) i normanni avrebbero edificato un possente castello marino, ricco di merlature e archi a sesto acuto, riunito alla terraferma dalla lava di una terribile eruzione. Si dice che nelle notti di temporale si odano di nuovo dei gemiti, e si vedano dei fantasmi fra le rovine, scriveva Giovanni Verga in una delle sue note novelle, un intricato feuilleton dal titolo "Le storie del Castello di Trezza" (che poi sarebbe il maniero di Acicastello, tra l'altro Comune, mentre Trezza è frazione). Il luogo, d'altra parte, è ideale come location per un film pieno di mistero, o per un film con soggetto storico: qui nel 1297 Federico III d'Aragona fece costruire una "cicogna", una torre mobile alta quanto la rupe, per espugnare il castello, allora in mano ai ribelli di Ruggero di Lauria. Ma vi furono altre epiche battaglie, come quella navale con cui l'ammiraglio Artale Alagona sconfisse gli angioini nel 1354, e l'assedio di Martino il Giovane, marito dell'ultima erede degli aragonesi, la regina Maria, che mise a ferro e fuoco la fortezza strappandola ad Artale II d'Alagona nel
I faraglioni nel mare antistante Acitrezza
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1394. E proprio l'incendio del castello è stato fatto rivivere negli anni passati da un folto gruppo di attori in una rappresentazione che ha richiamato migliaia di persone. Se a tutto ciò aggiungiamo la Trezza dei Malavoglia verghiani, quelli numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza, il gioco è fatto: gli amanti della letteratura possono infatti visitare, in via Centrale, il Museo Casa del Nespolo e, sul lungomare dei Ciclopi. i luoghi del Parco letterario Giovanni Verga. I Malavoglia, che nel libro della parrocchia si chiamavano Toscano (ma questo non voleva dir nulla, poiché da che mondo è mondo, ad Ognina a Trezza e ad Acicastello li avevano sempre co-
nosciuti per Malavoglia), di padre in figlio avevano sempre avuto delle barche sull'acqua e delle tegole al sole. Ed erano tutti buona e brava gente di mare, proprio all' opposto di quel che sembrava dal nomignolo. Anche se nel libro di Verga non se ne fa cenno, i Malavoglia, gli sventurati, i vinti Malavoglia non avrebbero potuto non assistere a un rito che a Trezza si compie da qualche centinaio di anni, ogni il 24 giugno. Che è sì il giorno della festa del patrono, San Giovanni, ma è anche il giorno del solstizio d'estate; festa profonda, arcana, che rimanda ai riti ancestrali della magia popolare. E’ in quel giorno magico che, ogni anno, a Trezza si svolge nello specchi
Il maniero di Aci Castello
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d'acqua davanti al paese una curiosa pantomima detta "Pisci a mari". E qui torniamo al mito: ricordate Colapesce, l'uomo con le branchie, colui che sacrificò la sua vita per salvare la Sicilia decidendo di reggere per l'eternità una delle colonne su cui si sostiene e che stava per sgretolarsi? Somiglia a Cola, il pesce protagonista della pantomima; gagliardo e generoso. Non per nulla il pesce, nemico da rispettare, dio da cui dipende la vita della comunità, è impersonato dal giovane più aitante e atletico del paese. Gli altri protagonisti della vicenda sono due pescatori a bordo di una barca e il proprietario di quest’ultima, che sta sul molo a fare il tifo. La rappresentazione, la stessa da centinaia di anni, segue le regole della magia popolare e cerca di esorcizzare gli eventi negativi o funesti canzonandoli: il pesce viene avvistato e, con molte difficoltà, diviene preda di pescatori un po' tonti e molto pasticcioni. Infatti i due, mentre il padrone della barca si dispera, si fanno sfuggire i pesci, che non solo tornano in acqua ma attaccano l'imbarcazione e finiscono col rovesciarla. Nella pantomima pagana, inscindibile dalla festa religiosa di San Giovanni, con il suo corollario di processioni e fuochi d'artificio, si ritrova tutta la paura di una comunità la cui sopravvivenza ai tempi dei Malavoglia dipendeva esclusivamente dalla pesca. Dall'avventurarsi in un mare in cui, come dice il proverbio popolare, "non ci sono taverne". Sulla costa, invece, ci sono. E che taverne! Acicastello e le sue frazioni brulicano di ristoranti e trattorie che offrono non soltanto ricci e cozze, ma una varietà incredibile di molluschi e poi pescespada, tonno, gamberi e altro pesce freschissimo, rigorosamente alla griglia e condito soltanto di profumato salmoriglio, con olio d'oliva siciliano, succo di limoni verdellì, prezzemolo tritato, aglio, sale marino e pepe nero. Un mito, uno spettacolo, un film ormai sono anche quelle piattafonne sul mare di Capo Mulini, a pochi passi dal fiume rosso sangue di Aci, in cui approdano direttamente le barche dei pescatori. A recare le meraviglie di un mare ancora generoso.
Alfio Triolo
I teatri greci di Sicilia Da Solunto a Siracusa, rimangono ancora oggi fantastici scenari di grandi eventi culturali
I
greci cominciarono a frequentare le coste della Sicilia orientale sin dall'VIII secolo a.C., e dopo un breve periodo vi stabilirono i loro primi insediamenti. Ogni città greca di una certa importanza, la polis, era fornita di un'agorà (la piazza), il luogo centrale della vita cittadina, e vicino ad essa di un teatro, nel quale avevano luogo le rappresentazioni di tragedie e commedie, un rito collettivo che all'epoca aveva una grande importanza. Il teatro era per i greci uno spettacolo di massa molto sentito e “vissuto” da parte dei cittadini di ogni classe sociale e aveva grande rilevanza religiosa e sociale. Era un rito collettivo della polis, dove entravano sia il mito che la politica, e che si svolgeva in un luogo considerato sacro. Al tempo dei greci la forma teatrale più elevata era considerata la tragedia, i cui temi erano derivati dai miti e dalla religione. Le commedie avevano un carattere più ironico e prendevano di mira personaggi pubblici e abitudini dell'epoca. La Sicilia conserva ancora molti teatri antichi e alcuni di essi sono anche in ottime condizioni. Ma la storia dell’architettura dei teatri greci non è poi così semplice come potremmo credere. Un primo tentativo di costruzione a forma circolare di un teatro si attuò infatti durante il periodo di Gelone I e di Dionisio III a Siracusa. Ma solo nel IV secolo a.C. si ebbero delle cavee interamente in
Il teatro greco di Siracusa, ancora oggi sede delle rappresentazioni di tragedie e commedie greche e romane organizzate dall’Istituto Nazionale del Dramma Antico, che ha sede proprio nella città aretusea pietra, come quelle di Epidauro, Atene, Corinto e Delfi. Tuttavia, i resti di teatri greci che possediamo oggi anche in Sicilia risalgono essenzialmente al periodo ellenistico. Nel modo di costruire i teatri si coglie una delle principali caratteristiche della cultura greca: la ricerca di un rapporto armonico tra uomo e natura. L'architettura non si contrapponeva mai all'ambiente naturale, ma si inseriva con elementi che mantenevano un perfetto equilibrio con lo spazio circostante. Il teatro greco si componeva di tre parti: la cavea, l’orchestra e la scena.
Il teatro di Palazzolo Acreide
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Vediamo adesso quali si sono meglio conservati, partendo dal più importante e conosciuto, quello di Siracusa, che non a caso fu la maggiore città greca dell’antichià al di fuori dell’Ellade, e seconda comunque solo ad Atene. L'esistenza di un teatro a Siracusa viene menzionata già alla fine del V secolo a.C. Il teatro ebbe grande importanza come sede dell'attività teatrale del commediografo Epicarpo e il grande Eschilo vi rappresentò "Le Etnee” e “I Persiani". Il teatro venne interamente ricostruito tra il 238 e il 215 a.C. da Ierone nella forma che oggi vediamo. Importanti modifiche furono attuate nel teatro anche dai romani nella prima età augustea. Un altro antichissimo teatro è quello di Solunto, un'antica città fondata dai fenici nei pressi di Palermo. La zona superiore dell’abitato era occupata dal teatro. Era un piccolo edificio, adeguato alle ridotte dimensioni della città, che poteva contenere circa milleduecento spettatori. In provincia di Agrigento, situati all'inizio di Capo Bianco, ci sono i resti della città greca di Eraclea Minoa. Ma la città e il suo nome evidenziano un’origine della città ancora più antica. La leggenda la collega al re cretese Minosse che sarebbe stato ucciso proprio in questi luoghi. Il teatro qui è piccolo, ma molto elegante, con la sua forma a semicerchio che si
Il teatro di Taormina e, in basso, quelli di Tindari e Morgantina
allunga verso la scena. L'antica Akrai sorgeva invece nei pressi di Palazzolo Acreide. Il
teatro greco, più recente, è sicuramente il più prestigioso monumento acrense. Diversi archeologi ne attri-
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buiscono la costruzione al periodo tardo-ellenistico, intorno alla metà del II secolo a.C. Il teatro non è scavato nella roccia, come quello di Siracusa. ma è adagiato su un pendio naturale su cui poggiano i blocchi delle gradinate. A Taormina il teatro greco risale anch' esso al periodo ellenistico, ma venne trasformato ed ingrandito in epoca romana. L'edificio che è giunto fino a noi è infatti quello del II secolo d.C. Il teatro al giorno d'oggi è sede di importanti rassegne e manifestazioni culturali. A Catania come a Taormina la struttura teatrale romana, risalente al II secolo d.C. fu sovrapposta a una precedente costruzione del I secolo, o forse precedente, di età greca. Del teatro si sono conservati la cavea e l'orchestra e alcune parti della scena. Fu costruito con pietra lavica dell'Etna ed è situato nel centro storico della città. A pochi chilometri da Piazza Annerina si trovano invece i resti di Morgantina, che in epoca ellenistica fu una ricca cittadina dell’entroterra siciliano. Nell'agorà inferiore vi sono i resti ben conservati del teatro dove tutt'oggi nei periodi estivi si tengono manifestazioni e spettacoli. Il teatro di Tindari risale invece alla fine del IV secolo a.C. e venne anch'esso rimaneggiato in epoca romana. Nella collina su cui si appoggia furono scavate le gradinate dei sedili della cavea che doveva raggiungere una capienza di 3.000 posti, pressoché uguale a quella dell'edificio teatrale di Segesta, a una decina di chilometri da Alcamo. Quest’ultimo teatro, costruito alla metà del III secolo a.C., è situato sulla collina opposta a quella del tempio. La scena, secondo gli studiosi, sarebbe stata decorata da colonne e pilastri. Poco rimane della parte superiore. I siti di Siracusa, Eraclea Minoa, Segesta, Solunto, Morgantina, Palazzolo Acreide, Taormina e Catania mostrano ancora questa tipologia edilizia nella sua forma originaria o in qualche caso nei rifacimenti e riadattamenti d'epoca romana. Ma la cosa più importante è che molti di questi teatri sono ancora oggi utilizzati come luoghi di rappresentazioni classiche che contribuiscono a renderle estremamente affascinanti e suggestive, riprodotte come sono nel loro ...ambiente originario.
Testo di Alfio Triolo Foto di Maurizio Karra
Espressioni siciliane Parlare bene in modo che tutti possano capire è stato da sempre difficile...
S
e per l'uomo parlare è istintivo, parlare bene in modo che tutti possano capire è stato da sempre difficile. Ci sono ancora persone che quando sono invitate a parlare in pubblico s'impappinano talmente da nun 'ssiri capaci di spiccicari mancu 'na palora. Danno l'impressione di avere la parola supra 'a punta di la lingua, che stiano lì per li per pronunciarla ma, non riuscendo a tirarla fuori, fanno una pausa come se aspettassero che 'qualcuno cci la scippassi ccà tinagghia di la vucca. In privato c'è chi di parole ne pronuncia troppe ('u parraparra) ma non conclude (cu parra assai nun dici nenti) e c'è 'u parrapicca, che conta con il contagocce, comu si l'avissi accattari, li palori!
Parlare bene non significa soltanto esprimersi correttamente e con chiarezza, vuole dire anche servirsi di parole appropriate e pertinenti; chi nel passato non lo faceva era accusato di parrari ammatula (a vanvera), se storpiava le parole nel pronunciarle, si diceva che parrava strammu. mentre era considerato unu ca parra turcu quando parlava in modo incomprensibile. Si definiva unu ca parra ccò llì e llò (a Canicattini Bagni), o 'm-punta di fucchetta (in punta di forchetta) chi si esprimeva con affettazione e ricercatezza. Le parole dovevano essere semplici, senza ventu (non
ampollose) e sostanziusi (concrete). Era detto unu ca parra a peri 'i vancu chi si esprimeva in modo illogico e sconclusionato. La locuzione a peri 'i vancu. che letteralmente vuol dire "a piede di panca" e in senso figurato "fuori dalla norma", trae origine dai piedi della panca che sono costituiti da due montanti piatti, a differenza dei piedi degli altri sedili di legno che hanno forma arrotondata o terminano a punta. A supporto di questa mia tesi cito l'espressione aviri 'u nasu a peri 'i vancu che significa "avere il naso camuso", cioè piatto e schiacciato. Per i nostri avi le parole non solo rispecchiano la cultura di chi le usa (L'omu dottu si canusci a lu parrari, li campani a lu sunari), ma sono anche rivelatrici dell'animo umano: La vucca è traditura di lu cori. Di chi parlava con troppa lentezza facendo discorsi talmente sciocchi da annoiare o rendere insofferente l'uditorio, allora, come oggi, si diceva: E' 'nammagnisatu e fa calari 'u latti! (fa arrivare il latte alle ginocchia!). Ammagnisatu (nel senso flemmatico: a Buscemi è detta magniesa la flemma) letteralmente significa "come se avesse preso la magnesia", la famosa Magnesia Espressa San Pellegrino, una purga che, per i suoi effetti lassativi, sono ancora in tanti a ricordare. Quann 'erumu nnichi le nostre madri ce la davano di mattina presto a digiuno ed era talmente efficace che gli svuotamenti dell'intestino erano continui. Nella tarda mattinata era consentito mangiare solo verdura bollita condita con olio e bere il relativo brodetto. Chi aveva preso la magnesia si sentiva molto debole e camminava gnappiti gnappiti (lemme, lemme), appoggiando i piedi a terra con delicatezza e precauzione come se stesse calpestando uova perché aveva la sensazione di non sentirsi asciutto o di avere in corso un ulteriore svuotamento. L'epiteto ammagnisatu, originariamente usato per defini-
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re chi è lento di camminare, è poi passato ad indicare anche chi annoia perché è lento nel parlare. Si diceva, infatti, che parrava a 'nchippiti 'nchiappiti (locuzione che potrebbe derivare dai verbi 'nchippari e da 'nchiappari, da cui 'nchiappatu (lento, fiacco) chi faceva discorsi sconclusionati. Per trovare l'origine di Fari calari 'u latti invito il lettore a considerare altri due modi di dire in uso a Siracusa sino a poco tempo fa: il primo - Nun ti nni misi sali 'u parrinu? (sottinteso quannu ti vattiò? cioè quando ti battezzò) - si rivolgeva con ironia alla persona che agiva scioccamente; il secondo - Cu' havi cchiù sali conza minestra! (chi ha più buon senso sistema ogni cosa!) - era usato quando si veniva a creare una situazione difficile e non si sapeva chi dovesse risolverla. Il termine "sale", comunemente usato per indicare la sostanza che serve ad insaporire le vivande, in senso figurato è sinonimo di "senno", di "giudizio"; difatti la locuzione senza sali (in dialetto dissapitu, significa senza sapienza), riferita a cibo significa "insipido", riferita a persona vuoi dire "dissennato", "stupido".
Che cosa c'entri il sale con l'espressione Fari calari 'u latti è presto detto. Anticamente,
quando non si erano ancora scoperti i farmaci capaci di stimolare la secrezione delle ghiandole mammarie nelle donne che avevano appena partorito, alla puerpera che aveva poco latte la medicina popolare prescriveva di alimentarsi con vivande insipide perché si era già intuito che il sale nel corpo umano causa la ritenzione dei liquidi impedendo anche al latte materno di affluire attraverso i condotti naturali sino ai capezzoli. Se la mancanza di sale nelle puerpere favorisce la discesa del latte, per analogia la virtuale mancanza di sale (senno) nella testa delle persone che tengono discorsi scipiti e monotoni fa calari 'u latti (annoiare) chi ascolta.
Che nell'immaginario popolare la mancanza di sale favorisse nelle puerpere la ricomparsa del latte lo deduco anche da un brano del Pitrè, a proposito di una pratica superstiziosa sull'allattamento: «Nella contea di Modica qualche popolana alla quale il latte sia sparito va in casa di sette donne, che tutte abbiano il nome di Grazia, fa regalarsi da ciascuna un pugno di farina, ne forma una focaccia, che sia però senza sale, e lo mangia caldissima appena sfornata. Il latte è subito tornato: e molte ci giurano». A questo punto un mio anziano e lontano parente motiverebbe la sua "passione" per il vino con questo detto: 'U nnicu suca latti, 'u vecchiu suca ‘a vutti! (il bambino beve latte, il vecchio beve dalla botte!). Ma solo per ...straparlare.
Alfio Triolo
Vizi e virtù dei Siracusani Astuzia greca e punica perfidia
Mi è capitato di leggere in un angolo della bottega-studio di un artista siracusano la caustica massima di un anonimo che sentenziava così vizi e virtù di Siracusa: Piccola in sua cerchia, grande nel malaffare, in seno suo annida astuzia greca e punica perfidia. In merito non c'è di che meravigliarsi pensando un po' alla storia della città, ricca di episodi bellici appresi sui banchi di scuola; né di che stupirsi per la pazzia di quel mondo antico e inquieto che inseguiva con ferocia la conquista del potere asservito ad una rapace economia basata allora, come ora, sul profitto. Quello che intriga veramente sono l'astuzia greca e la perfidia punica come caratteristiche dominanti e veritiere, non solo dei siracusani, ma acute realtà della natura dei siciliani per ragioni antropologiche. Non azzardo ipotesi darwiniane, né cerco di frugare nelle teorie che contrappongono gli istinti della vita a quelli della morte perché, in merito, ho vistose lacune culturali. Che i siracusani, nella aneddotica, fossero però citati come babbi lo si ricorda sin dai tempi della rivalità con i catanesi: attivi e scaltri loro, noi siracusani sommamente timidi nel trattare affari, tanto servili da sembrare nati per servire, per quanto razza intelligente e sospettosa: «genus acutum et suspiciosum» come sosteneva Cicerone nel difenderei contro Verre. Da queste caratteristiche nasce l’immeritata "ingiuria" della nostra babbasunaggine. Per il resto non dovrebbero esserci dubbi sull'astuzia degli eserciti della polis se, prove alla mano, cioè attingendo alle storie di Diodoro Siculo, Tito Livio, Tacito, Strabone, ecc., si possono confermare le grandi capacità organizzative, strategiche e militari dei vari tiranni succedutisi a Siracusa nei secoli, non sempre con saggezza ma alla bisogna con ferocia, sevizie, slealtà ostinata, tipiche della perfidia di cui parla l'anonimo storiografo. Non è facile ammet-
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tere tali comportamenti, peraltro in uso come legge di guerra, quando Siracusa rappresentava la più forte potenza militare del Mediterraneo, la terra da conquistare con ogni mezzo, ma anche da difendere dalla ossessiva pressione di Cartagine, ricorrendo all'aiuto di audaci condottieri e strateghi quali Timoleonte e Agatocle, mentre lotte interne ed esterne minavano gli equilibri sociali della polis e dei suoi domini. La sostanza di quella massima è tutta qui, piaccia o no. La tendenza al grande malaffare di Siracusa è parte di un disegno politico, una incredibile temerarietà nel maneggiare la cosa pubblica divenuta fatale a tutti i livelli, e in tutti i governi dalla fine dell'impero romano al Medioevo, all'unità d'Italia. L'anonimo voleva forse sostenere che i siracusani avevano (e hanno) carattere contraddittorio ed estremo nel giuoco complesso della politica, evolutasi svuotandosi di contenuti e svalutando sentimenti e valori. La Siracusa "piccola in sua cerchia" della massima iniziale non esiste più, anche se gli scavi recenti ne fanno rivivere limiti e funzioni che vanno ad aggiungersi alla immagine antica della polis, oggi alle prese con il suo trend socioeconomico e urbano, essendosi inserita nel contesto di uno sviluppo globale che mette alla corda le organizzazioni politiche, sindacali e imprenditoriali. Strategie mirate, quindi astute. Tuttavia, c'è aria di insicurezza che condiziona il modo di essere, la visione della vita come fatto esistenziale e di socializzazione nelle mani di pochi o di molti, che è da verificare con i tanti progetti, ma soprattutto con il “Progetto d'area”. C'è da attendere. Siamo abituati ad aspettare "tra slanci di vitalità e una indecisione paralizzante, tra la voglia di fare e la noia" . È tutta qui la storia di quella Siracusa, astuta e perfida.
Alfio Triolo
Terza pagina Nucleare sì, nucleare no
P
arlare di nucleare in una rivista di campeggio? Certo che si può farlo, pensando per esempio a quanto sarebbe bello alimentare i nostri camper con un piccolissimo nocciolo nucleare quasi inesauribile, per le infinite nostre esigenze (per quanto discutibili possano essere). Intanto in tutta Europa abbiamo avuto paura pura dell'effetto devastante dello scoppio e dell'incendio occorso in un piccolo reattore sovietico ubicato a Chernobyl: chi non ricorda la famosa nube radioattiva che tutto irraggiava rendendo problematico l'uso degli ortaggi, del latte, della frutta, oltre le centinaia di morti locali, e delle migliaia a distanza di spazio o di tempo che ancora ci offuscano la coscienza? Qualcosa di simile allo scoppio delle prime due bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaky. Anche se il reattore scoppiato era frutto di alta tecnologia di pace, mentre le due bombe erano il frutto di tecnologia esclusivamente militare.
La fu centrale nucleare di Chernobyl, “impacchettata” dopo il disastro Ma come si è arrivati all’energia nucleare? Sin dal 1920 alcuni scienziati tedeschi della scuola di Goettingen avevano ipotizzato che, rompendo il nucleo della materia in due (ogni atomo circondato da elettroni è formato da un nucleo di protoni e neutroni), essendo la forza di coesione
tra di essi enorme, si sarebbe liberata energia enorme con un processo detto appunto di fissione o rottura sistematica e progressiva dei legami. Processo maggiormente visibile con nuclei pesanti come quello dell'uranio 235.
I fisici italiani, fra cui Emilio Segré ed Enrico Fermi, ai cui studi americani sul nucleo atomico si deve di fatto la costruzione della prima bomba atomica Uno studio teorico con un fortissimo contributo lo diedero nel 1934 i nostri fisici Enrico Fermi, Emilio Segrè e tutti quelli della scuola romana, fuorusciti in U.S.A. per le leggi razziali italiane; studio che si concluse nel 1938 con il Nobel dato proprio a Fermi, con la costruzione della sua pila atomica il 2 dicembre 1942, e la conseguente nascita nel 1945 da parte di Oppenheimer della prima bomba atomica costruita per esigenze di guerra e senza aver capito compiutamente ciò che succedeva al suo interno. In essa la rottura dei legami era ed è talmente incontrollata che avviene una fissione simultanea di tutti gli atomi di uranio presenti (si pensi che un solo chilogrammo di uranio produce l'equivalente di uno scoppio di 26 milioni di chili di tritolo). Volutamente non entro nello studio delle problematiche che da allora sono state superate: Fermi dovette infatti rallentare sufficientemente i neutroni per innescare la reazione nucleare; c'era bisogno di una certa quantità di uranio 235 fissile che alimentasse la reazione, con un arricchimento
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dell'uranio 238 presente in natura (99%) con una percentuale bassissima (0.7%) di uranio fissile. Solo dieci anni dopo si arrivò comunque alla costruzione della prima grande centrale atomica, e fu in Inghilterra (anche per ammortizzarne l'enorme costo): finalmente si ebbe la conversione per usi civili dell'energia nucleare compresa interamente nella sua evoluzione (fissione dell'atomo moderato da un elemento neutro come l'acqua pesante, il sodio o la grafite) con grande produzione di calore, un dispendio di enormi quantità d'acqua per il raffreddamento complessivo del nocciolo, oltre a quella trasformata in vapore che alimenta le turbine collegate ad alternatori per la produzione di energia elettrica. L'uso dell'energia nucleare produce delle problematiche così varie e pesanti che conviene trattarle singolarmente. Cominciamo dalla presenza in natura del materiale in oggetto. Esso è abbastanza raro e si trova principalmente in Canada e in Australia. Come tutte le materie prime segue i cicli economici speculativi del momento che ne portano spesso il costo a livelli impensabili (i pochi fornitori agiscono in regime di monopolio). Per paragone si pensi al costo del barile del petrolio arrivato in previsione a 200 dollari, rendendo antieconomico qualsiasi suo uso. Che riserva strategica di uranio si ha nel mondo? Si sa per certo che se ne estraggono annualmente circa 50.000 tonnellate, che ne bisognano circa 75.000, che ce n'è a disposizione per circa 80 anni e ancora per un centinaio di centrali, oltre le 450 attuali. Ecco perché si studiano nuove possibilità di estrazione di uranio dalle ceneri delle centrali a carbone o dall'acqua del mare, o prelevandolo dallo smantellamento dei missili finora costruiti, o insufflando reagenti sottoterra con procedimenti costosi, ma compatibili, in caso di carestia di fonti energetiche, con il costo del kwattora. Tutto ciò avrebbe comunque senso se l'energia nucleare da essi fornita fosse prevalente rispetto a tutte le altre fonti: ma essa
Una centrale atomica di ultima generazione. In basso uno schema dei suoi componenti e del ciclo relativo al funzionamento
rappresenta nel mondo, come previsione a 20 anni, solo non più del 10% dell’energia complessivamente necessaria, che è ben superabile con altre fonti di energia o con un oculato processo di risparmio. Solo in Francia, e di molto, si supera tale previsione. Già questo fatto porterebbe ad una valutazione negativa per la costruzione di nuove centrali. Altro fattore ancora negativo, a mio modo di vedere, è il co-
sto di costruzione talmente elevato che non è sopportabile neanche da un grande consorzio di imprese private, perché il ritorno economico è valutato oltre i 50 anni e nessuno è pronto a rischiare. Si pensi alla costruzione del Tunnel sotto la Manica mai economicamente valido o alla progettata costruzione del Ponte sullo Stretto di Messina affidato ai privati che ancora non hanno messo una lira a fronte degli enormi costi pubblici finora im-
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piegati (si dice oltre i due miliardi di euro). Il costo per centrale di potenza fino a 1000 MegaWatt è preventivato in genere sui 3 miliardi di euro; ma parte da 5 miliardi (l'Areva dice 7 miliardi) per le centrali da 1600 Mw ordinate dall'Italia e facilmente supera dopo 5 anni i 10 miliardi di euro (vedi la centrale di Olkiluoto in Finlandia, ancora in costruzione con problemi persino di dosaggio del cemento!). Non è economicamente vantaggioso costruirle anche perché la tecnologia di costruzione è assolutamente straniera, e non è valido dire che si acquista conoscenza scientifica, perché oltre ad acquistare il prodotto, bisogna pagare le royalty di sfruttamento importando anche gli specialisti che la costruiranno. In Finlandia i tecnici sono oltre 4.000 solo per la parte tecnica inerente. Poi, una volta costruita la centrale nucleare, bisogna anche alimentarla proprio come un barbecue, e manutenerla, controllare l'ambiente, organizzare i trasporti speciali per le barre di uranio arricchite, per quelle esauste ancora più pericolose con reperimento dei siti di stoccaggio (e le discariche abusive?). Su quale sito si costruirebbe una centrale? Ovunque, ma non davanti casa mia, come dicono le regioni italiane! E questo sarebbe solo un discorso politico affrontabile con altri esborsi economici; infatti sarebbero previsti incentivi affinché si possano accettare davanti casa i rischi di una centrale. Ma quali rischi? Si dice che esse siano sicure. Intanto dall'incidente del 1979 di Three Mile Island in America, quando il nocciolo cominciò a fondere liberando, non si sa perché, una enorme bolla di idrogeno contenuta nel doppio involucro, poi sparita, non si sa perché, malgrado tutte le possibili teorie, non sono più state costruite centrali. Furono evacuate oltre 140.000 persone. Poi nel 1986 Chernobyl, con migliaia di morti e di contaminati. Ci vorranno ancora 55 anni per la decontaminazione. In Italia nel 1987 si arrivò a un referendum che con l'80% di consenso abolì l'uso di centrali nucleari, per cui quelle già costruite o in costruzione dovevano essere smantellate; si fa per dire, in quanto Montalto di Castro, Trino
Vercellese e Borgo Sabotino o Latina e le più antiche Caorso e Garigliano, dopo vent’anni sono ancora in smantellamento con costi impensabili che continuiamo noi a pagare in bolletta. Nei vari Paesi ci sono comunque 124 centrali in smantellamento sostituite solo da qualcuna più moderna. La sicurezza è data da dispositivi di controllo esasperati che non bastano mai: l'imponderabile è sempre in agguato, per cui l'Italia prevede in caso di contaminazioni per guasto, evacuazioni per soli 2 km, a fronte dei 16 della Germania, o dei 50 della California. Come dire togliamo le centraline se segnano oltre il dovuto! I radionuclidi emessi rimangono radioattivi per migliaia di anni e fuoriescono con il vapore. I raggi più blandi producono leucemie, cancro alla tiroide, e altri tumori come quello ai polmoni, anche a distanza di anni. Gli ultimi studi mettono in luce una stretta dipendenza tra queste malattie con la distanza dalla centrale in modo inversamente proporzionale: fino a circa 3 km le malattie crescono anche del 76%, a 30 km crescono solo del 10% e cosi via; per questo non ha senso dire che tanto siamo circondati da Paesi con alto sviluppo nucleare perché le più vicine centrali sono ad almeno 200 km e fin quando tutto va bene non c'è preoccupazione. C'è poi la ricerca di siti per lo smaltimento delle scorie (2000 tonnellate l'anno) delle quali una parte (il 5%) si esaurisce dopo almeno 10.000 anni. L'unico centro degli Stati Uniti, Yucca Mountain (140 Km da Las Vegas, scelto per motivi politici) è stato abbandonato per infiltrazioni d'acqua. La Francia ne sta costruendo uno profondo oltre cinquecento metri, cilindrico, con siti laterali a raggiera dove verranno infilati dei sarcofagi di circa 120 cm di lunghezza (quanto una barra), con rivestimenti multipli in piombo, cemento, vetro; il costo totale è di 5 miliardi di euro, con un unico inconveniente: la capacità limitata al solo ed esclusivo uso del mercato interno francese e per non più di 22.000 tonnellate. Si spera che possa durare per 10 mila anni, ma le proiezioni lo escluderebbero. Gli altri Paesi depongono le scorie in modo provvisorio a volte vicino le stesse centrali, con costi superlativi per la protezione da es-
si. E bisogna tener conto anche della volontà della popolazione vicina, come è successo in Puglia dove era stato trovato un sito abbastanza sicuro, da secoli esente da fenomeni sismici, ma rifiutato a furor di popolo. Comunque, in Italia per volontà politica avulsa da un sano confronto tra gli attori interessati, è stato firmato un accordo di acquisto di quattro centrali nucleari francesi di terza generazione. E' stato detto che l'inizio della loro costruzione avverrà entro tre anni. E' intanto dimostrato che solo per i
usata per il 25% nel mondo su licenza della General Electric. Era quella dell'incidente di Three Mile Island, e dello stesso tipo erano quelle installate a Caorso e a Montalto di Castro. Vi sono quelle pressurizzate (Pwr, pressurized water reactor), sempre con uranio arricchito, in cui l'acqua è sempre usata come moderatore, ma quella di raffreddamento non entra in ebollizione perché sotto pressione; questa cede il suo calore a un circuito secondario che lo trasforma in vapore. E' un tipo di centrale usata per
Una mappa delle attuali centrali nucleari europee permessi ci vogliono almeno sette anni, e che appena è andato via un componente interessato del governo, si è bloccato l'iter. Ma che vuol dire di terza generazione? Le centrali si possono suddividere grosso modo in tre categorie. Vi sono quelle ad acqua bollente (Bwr, boiling water reactor), con uranio arricchito, in cui l'acqua usata come moderatore per rallentare la velocità dei neutroni è usata pure come refrigerante e si trasforma direttamente in vapore alimentando le turbine che alimentano a loro volta gli alternatori. E' un tipo antico di centrale
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il 60% nel mondo su licenza della Westinghouse. Infine le centrali Hwr, con moderatore ad acqua pesante e combustibile uranio non arricchito, tipo il Cirene italiano in costruzione sperimentale a Latina di bassissima potenza; Rbmk come quelli di Chernobyl, con grafite come moderatore della velocità dei neutroni, raffreddato ad acqua, antichi, che producono plutonio ottimo per le bombe; l'Htr raffreddato a gas; Phwr o Candu moderato e raffreddato ad acqua pesante. Esiste poi il reattore autofertilizzante veloce Lmfbr moderato e raffreddato da metallo, liquido
ad alta temperatura, come il sodio, che a fronte di caratteristiche innovative, ma ancora sperimentali, usa uranio non arricchito, ma produce più materiale fissile di quanto introdotto, sotto forma di pericolosissimo plutonio Pu239: l'unica centrale in funzione (la Superphenix) è naturalmente in Francia. Le centrali acquistate dall’Italia sono del tipo Epr (European pressurized reactor) della Areva, pressurizzate con scambiatore di calore, ma si dice che siano
più sicure (maggiori controlli elettronici), più longeve (fino a 60 anni invece che 40), più potenti (fino a 1600 Mw, invece che 1000 come le concorrenti Ap della ToshibaWestinghouse), anche se richiedono più acqua e maggior spazio, oltre che maggior costo (vedi Olkiluoto), ma nessuna ha mai funzionato. La scelta è stata dettata da motivi politici che hanno inteso mediare tra vari interessi privatistici, con scambi di azioni tra Enel
Una fase dello smaltimento delle scorie di una centrale In basso una mappa dei siti italiani di stoccaggio
e Ansaldo (italiane) da un lato, e Edf (electricité de France) e Areva, sovvenzionate dallo Stato francese, dall’altro. Ma le due società italiane collaborano anche con le concorrenti americane e in più si sono impegnate economicamente per la costruzione di una centrale a Kaliningrad. Come si nota è quasi inesauribile la ricerca di nuove soluzioni che assicurino maggiore potenza e sicurezza. Il costo passa in secondo piano per la volontà politica di prestigio o di potenza militare: elementi essenziali che ne hanno prodotto un’affermazione intrinseca in Francia che ha basato la sua energia esclusivamente su quella nucleare (quasi il 50%), confortata da una assistenza statale totale, non so se giusta o parossistica, vedi anche il caso della Bull, industria pur essa statale (calcolatori) sovvenzionata abbondantemente. Ciò porta ad una aggressività commerciale notevole portata avanti direttamente dallo Stato, che per riuscire a vendere il suo surplus di energia ne ha abbassato il costo al di sotto delle spese di produzione, ma poi piazza a caro prezzo le sue centrali nel mercato mondiale che trova più favorevole. La necessità di aumento delle quote di energia nel futuro è spesso dettata da previsioni volutamente sbagliate, vedi quelle dell'Enel che ipotizzava, nel 1975, un consumo nel 1990 di oltre 500 miliardi di Kwattora, ridottisi in fine a 250 miliardi. Previsioni per eccesso che non hanno previsto crescita zero della popolazione, esternalizzazione delle industrie manifatturiere fuori dall'Italia, contributo energetico dato dalle energie alternative di tipo eolico o fotovoltaico. Basti pensare all'impulso alla ricerca dato in questi campi dalle nazioni estere, anche se larvatamente ostacolate dalle industrie petrolifere. Queste poche righe fanno intravedere quella che sembra un’ostilità preconcetta verso le centrali nucleari; ma a rigor di logica quello che si vede è l'uso spregiudicato (spesso con slogan populistici) che si intende fare di codesta energia, scaricando ai posteri, cioè ai nostri figli, sia il costo, sia i rischi effettivi delle radiazioni.
Giuseppe Eduardo Spadoni
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Viaggiare in modo responsabile In un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo e che sta avendo pesanti ricadute sull’economia del turismo, noi campeggiatori turistici dobbiamo dimostrare la nostra capacità di essere portatori di potenzialità economiche importanti a favore delle località da noi visitate, e specialmente dei piccoli Comuni, attraverso un eccellente modello di sviluppo sostenibile
L
a Federazione Nazionale ACTITALIA ha il compito statutario di promuovere ogni possibile attività a favore dello sviluppo del turismo itinerante, sia esso espletato in tenda, caravan o in camper; ed affilia un centinaio di Club sparsi su tutto il territorio nazionale. Facciamo parte integrante di un settore turistico che ha come filosofia il viaggio nell’accezione più autentica e più tradizionale di mobilità in ogni luogo, capace di stimolare la persona nel soddisfacimento delle proprie aspettative di scopritore delle eccellenze di cui è ricco il nostro Paese, straordinario per luoghi, gente, cibi, tradizioni, beni culturali e storia. Una volta lo si faceva prevalentemente con la tenda, poi con la caravan ed oggi è diventato un fenomeno molto consolidato utilizzare il camper di cui vi dico solo alcuni pregi: è un’attività destagionalizzata perché si esercita durante tutto l’arco dell’anno; consente alla persona di scoprire il nuovo ed il non conosciuto, attraverso vacanze avvincenti e di questa condizione se ne avvantaggia l’intero nucleo familiare, che si muove con bambini ed anziani a bordo, rendendo possibile un’esperienza altamente educativa, socializzante ed arricchente; e consente agli svantaggiati il diritto di viaggiare e di praticare un turismo responsabile in autonomia, sicurezza e soddisfazione. Il presidente di Unionturismo, Gian Franco Fisanotti, ha ricordato il drastico scendere della domanda di turismo, una flessione del 10% nel solo biennio 2008/2009, con cali di presenze fino al 30% e ha detto, inoltre, che ristoranti e bar registrano una diminuzione che sfiora il -3%, tutto ciò mentre il sistema fiscale italiano subisce la concorrenza dell'IVA da parte della Francia (5,5%) e della Spagna (7%) senza realizzare quell'allineamento che potrebbe
liberare importanti risorse per migliorare servizi ed infrastrutture dell'ospitalità. Su questo desolante quadro dobbiamo soffermarci a riflettere per cercare soluzioni capaci di invertire la tendenza in un Paese, che possiede un tessuto fittissimo di giacimenti culturali, una miniera inesauribile pronta a essere scoperta da chi sa vedere e apprezzare. Un parziale sbocco potrebbe venire proprio da noi campeggiatori turistici, che abbiamo la capacità di essere portatori di potenzialità economiche importanti a favore delle località da noi visitate e specialmente dei piccoli Comuni, che rappresentano il 72% di quelli Italiani. In queste realtà, purtroppo, si va perdendo l’identità locale, la tradizione, la memoria storica e culturale, si va affievolendo la cura del territorio e, conseguentemente, vi incombe degrado ed abbandono. Ma, se il turismo è una riconosciuta risorsa, solo quello itinerante può raggiungere profondamente nell’intimo dell’identità italiana perché una piccola comunità non potrebbe mai sopportare il costo di un’attrezzatura turistica tradizionale come un albergo, un ostello, un campeggio.
Come dicevo, noi camperisti siamo in grado di andare dovunque una strada ce lo permette, lasciando, i luoghi come trovati se non migliorati in termini di rapporti umani, di arricchimenti culturali ed anche di apporti commerciali. Non intendiamo assolutamente intasare i luoghi turi-
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stici più gettonati, anzi ci piace evitarli a favore dei luoghi meno conosciuti, dove instaurare nuove amicizie, scoprire quel tale posto dove si può trovare quel buonissimo olio, quell’eccellente vino, quello squisito formaggio, o dove possiamo ammirare quell’incantevole paesaggio. Questo può essere un eccellente modello di sviluppo sostenibile, per trasformare in attrattore turistico tutto il territorio dell’Italia minore e per far questo occorre mettere il settore a “sistema”, attraverso la pianificazione di interventi distribuiti sulle direttrici minori, per giungere alla costruzione di un’efficiente e diffusa “rete” di attrezzature dedicate al turismo, detto anche “dolce”, proprio per la discrezione degli interventi di cui necessita. Gli Enti pubblici e privati nella nostra Federazione ed in ognuno dei Club a noi affiliati possono trovare tutto il supporto di esperienza per guidarli nella realizzazione di accoglienza, tutto sommato poco costosa, ma di alto valore aggiunto. Non si dimentichi che l’azione pragmatica della nostra Federazione, assieme a tutto il mondo delle Associazioni di settore, finora è stata il vero motore che ha reso possibile la realizzazione di tante aree di sosta, anche se siamo lontani dall’intravedere la "rete" d'accoglienza che auspichiamo.̘ Perseguiamo l’obiettivo minimo di trovare lungo le nostre rotte adeguati punti di accoglienza attrezzati con i servizi a noi necessari: acqua potabile, pozzetto di scarico, illuminazione pubblica, assenza di barriere architettoniche e possibile uso di energie alternative, ma ci battiamo anche per vedere realizzate attrezzature di alta qualità ed efficienza, così come si conviene per un ospite di eccellenza: il campeggiatore turistico.
Pasquale Zaffina
Il mio camper Anche i nostri soci parlano di camper, del loro camper: com’è, del perché l’hanno scelto, dei suoi pro e contro... Ed è come se parlassero di loro stessi!
P
ochi mesi appena separano la data di fondazione del nostro Club (marzo 1992) dall’adesione di Luigi Fiscella, avvenuta insieme ad altri colleghi della banca nel corso delle prime gite che la nostra associazione andava organizzando in quello stesso anno, pubblicizzandole fra i colleghi attraverso la bacheca dei bar aziendali e del Circolo Ricreativo. E’ certamente per questa ragione che Luigi, con cui mi unisce fra le altre cose anche un - seppur breve periodo di lavoro in comune proprio nel corso del 1992/1993, può considerarsi (e lui stesso si considera) uno dei soci fondatori del nostro Club, del quale è stato in passato consigliere e di cui riveste in atto la carica di presidente del Collegio Sindacale.
Siemens di Carini. Nel 1975, in seguito a una selezione presso l’IBM, veniva assunto al Centro Elettronico del Banco di Sicilia che proprio allora investiva nell’acquisto di un grande mainfraim IBM; e presso il Centro Elettronico della banca, pur con tutte le modifiche intervenute negli anni anche nella sua denominazione, ha lavorato fino alla pensione occupandosi di analisi tecnica e programmazione e infine di progettazione. Viaggiare, fotografare e scrivere sono state sempre le sue passioni, e da quando è una “persona libera”, come lui stesso si defini-
sce ormai che è in pensione, ha potuto dedicarsi anche a un’attività da tempo trascurata: quella di dare una sistemazione alle migliaia di fotogrammi, diapositive e film di viaggio realizzati in tanti anni e finalmente riversati tutti su supporti digitali. La passione del viaggio, dal 1982 in roulotte e poi dal 1991 in camper (quello attuale, un mansardato Challenger è il quarto della sua vita di camperista), l’ha sempre condivisa con la moglie Anna Maria, architetto in pensione, dapprima dipendente del Genio Civile e poi dirigente all’Assessorato Regionale
Carta d’identità Socio: Luigi Fiscella Anni: 60 Residenza: Palermo Occupazione: Pensionato (già dipendente del Banco di Sicilia presso il Centro Elettronico) Altre persone che compongono l’equipaggio: la moglie Anna Maria
Caratteristiche del camper
Luigi Fiscella in un’istantanea mentre entra nel suo camper Luigi è una di quelle persone che, da quando lo conosco, riesce sempre con la battuta e lo scherzo ad allentare ogni tensione, ma è anche una persona di grandissimo spessore morale e di grandi capacità organizzative, affinate senz’altro dal lavoro in cui si è impegnato per tanti anni. La sua vita lavorativa ha avuto inizio presso la Pert, un pionieristico centro elettronico privato di Palermo, negli anni ’70, per poi passare alla Sit
Veicolo: Challenger Mageo 163 Anno di acquisto: 2006 Anno di prima immatricolazione: 2006 Tipologia: mansardato Meccanica: Fiat Ducato 2.8 146 cav. Misure: lunghezza: m. 6,40, larghezza: m. 2,30, altezza: m. 3,10 Posti omologati: n. 6 Posti letto: n. 6: 1 matrimoniale in mansarda, 2 singoli a castello in coda e 1 matrimoniale ottenibile dalla trasformazione della dinette Serbatoi acque chiare: l. 220 Serbatoio acque grigie: l. 80 WC: Thetford a cassetta Riscaldamento e boiler: Combi Truma a gas con ventilazione Frigorifero: trivalente l. 150 Cucina: piano cottura 3 fuochi Optional montati: tendalino, aria condizionata nella cellula e in cabina, antifurto, radio Hi.Fi., CB, navigatore satellitare, televisione e lettore DVD, porta bici, generatore 220v, sospensioni pneumatiche
Valutazione del mezzo da parte del socio Motorizzazione veicolo (velocità/ripresa) Impianto freni Tenuta di strada Spazio utilizzabile nella cellula abitativa Impiantistica (capacità serbatoi/stufa...) Qualità del mobilio ed eleganza arredi Cuscineria e tappezzeria Comodità dei letti Comodità dei divani e dei posti a tavola Capacità stivaggio (gavoni/armadio/ante) Servizio WC/doccia Cucina/piano cottura/frigo
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Molto soddisfatto Molto soddisfatto Molto soddisfatto Abbastanza soddisfatto Molto soddisfatto Molto soddisfatto Molto soddisfatto Molto soddisfatto Abbastanza soddisfatto Molto soddisfatto Abbastanza soddisfatto Abbastanza soddisfatto
Luigi e Anna Maria davanti al loro camper e, in basso e di lato, all’interno
ai Beni Culturali; e fino ad alcuni anni fa anche con i figli Chiara, che lavora in uno studio legale, Laura, insegnante, e Sergio, che studia Ingegneria Gestionale, da qualche anno ormai «“badanti” magari non a tempo pieno del cane Luna, un meticcio femmina troppo ingombrante da portare in viaggio, come lui stesso ci dice». Con loro, sia da soli che in compagnia, hanno visitato tantissimi Paesi dell’Europa e del Mediterraneo, da Capo Nord al Sahara, dal Portogallo alla Turchia, dall’Atlantico ai Carpazi, «portando con sé quei meravigliosi ricordi che ognuno di noi raccoglie da ogni viaggio; interessati sempre – come Luigi sottolinea - oltre che a scoprire le bellezze dei luoghi e delle cose, anche ad interpretare e comprendere la filosofia di vita di gente a volte molto diversa da noi per estrazione sociale, cultura, tradizione e religione». Luigi e Anna Maria sono stati, dapprima insieme ai loro figli, poi da soli (come è capitato anche a me), miei fidati compagni di viaggio
in tante occasioni; la prima occasione fu anche la prima volta che entrambi varcavamo la Manica per visitare la Gran Bretagna, ed eravamo in quattro equipaggi, tutti con i figli dietro (una quindicina di anni fa); poi ci fu la meravigliosa avventura del deserto tunisino, con un gruppo di otto equipaggi del nostro Club, lo stesso gruppo che l’anno successivo si ritrovava a visitare in modo pionieristico Bulgaria, Romania e Moldavia prima che questi Paesi si aprissero almeno in parte al turismo e ovviamente prima che entrassero nell’Unione Europea; l’ultima occasione è stata l’anno passato, insieme a Paolo Carabillò (altro storico mio compagno di tante avventure) il grande tour nelle Repubbliche Baltiche fino al confine russo e adesso siamo in procinto di ripartire per la Valle del Reno e l’Olanda. Un sodalizio di lunga data che è cementato da tanta comune empatia e da una comune visione del viaggio. Dicevamo che l’attuale suo camper, un Challenger Mageo 163,
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con quattro anni di vita, è il quarto veicolo di Luigi Fiscella; dopo un paio di roulotte, l’ultima delle quali rubatagli sotto casa quando era agganciata alla sua auto pronta a partire per il viaggio estivo (ricordo ancora terribile sia per lui che per Anna Maria), fu infatti la volta di un CI 530, poi di un Riviera GT 190 (quello del deserto, per chi se lo ricorda), poi di un altro Challenger tenuto pochi mesi prima di passare all’attuale (ma secondo me, non sarà l’ultimo...). E’ un mansardato molto curato, su meccanica Ducato 2.8 da 146 cavalli, con un interno elegante e completo di ogni tipologia di accessori, dall’aria condizionata con gruppo elettrogeno all’impianto audio ad alta fedeltà, dalla televisione al portabici, con un grande gavone posteriore trasformabile in garage con l’abbattimento del letto a castello basso.
La parte anteriore è occupata dalla zona living, con una semidinette centrale, divano laterale e tavolo allungabile che consente di stare a tavola anche in sei girando le poltrone della cabina; al centro c’è la zona servizi col piano cottura a elle da un lato e il bagnetto dall’altro con cabina doccia; alle spalle l’armadio e in coda, come dicevamo, il letto a castello; una pianta ben disimpegnata, con arredi e tappezzerie di grande sobrietà ed eleganza e accessori al top. Per tanti un punto di arrivo, ma per uno come Luigi sempre migliorabile, magari con un mezzo nuovo, ancora più elegante e al top. Ma Luigi è così, sempre in cerca di nuovi e più alti traguardi.
Maurizio Karra
Musica in camper O
rmai ci siamo: l’estate è alle porte e con lei cominciano a concretizzarsi anche i nostri progetti di viaggio che ci porteranno sulle strade del mondo, strade che forse quest’anno saranno un poco più vicine del solito perché la crisi non risparmia nessuno, ovviamente nemmeno le nostre tasche martoriate da spese sempre maggiori e da entrate sempre più risicate. Ma almeno per lo spazio delle vacanze, anche se magari saranno più brevi, cercheremo di rigenerarci a bordo della nostra casetta su ruote, allietati dal panorama sempre diverso che si gode dalla nostra dinette e dalla musica che contribuisce a farci rilassare. E sulle ali della melodia parliamo della prima proposta che riguarda un artista italiano ormai sulla breccia da anni, Ligabue, che oltre ad essere un cantautore, è anche regista, scrittore e sceneggiatore con alle spalle una carriera ventennale, scandita da nove album di inediti, un film, “Radiofreccia”, con una storia lievemente autobiografica, e due libri, “Fuori e dentro il borgo” e “La neve se ne frega”, che hanno vinto numerosi premi. A vent’anni esatti dalla pubblicazione dell’album di esordio esce in questi giorni il nuovo album di inediti, dal curioso titolo di “Arrivederci, mostro!”, il cui primo impatto è dato dalla copertina, decisamente accattivante, ripresa da un’opera dell’artista svedese Erik Johansson. La seconda cosa che colpisce è sicuramente il titolo: chi è il mostro ? E perché arrivederci e non addio?
A questo punto forse è meglio se facciamo chiarire direttamente dall’artista, per i fan Liga, questi interrogativi: “Ognuno di noi
ha i propri mostri, i propri fantasmi si possono chiamare ossessioni, paure, condizionamenti, senso di inadeguatezza, aspettative e chissà in quali altri modi ancora. Sappiamo, però, che sono vivi e sono il filtro attraverso cui chiunque matura la propria, personale visione del mondo. Credo di conoscere abbastanza bene i miei "mostri", mi fanno compagnia da tanto tempo. Può darsi - prosegue il cantante - che sia anche per questa lunga frequentazione che ora, in questa fase della mia vita, mi sembrano meno "potenti" e "ingombranti". Alcuni di loro li ho affrontati in questo album ma era solamente per fargli sapere che li stavo salutando. Loro come tutti gli altri. So benissimo che sarebbe fin troppo bello che fosse un saluto definitivo. Infatti non mi sono permesso di dire: "Addio, mostro!" ma un più prudente e realistico: "Arrivederci, mostro!". L’album è composto da una dozzina di brani, con un’alternanza tra brani acustici lenti e altri veloci che sono una delle sue caratteristiche più immediate; infatti brani melodici come “La linea sottile”, in cui il mostro di turno è l’insicurezza nel prendere una precisa posizione, si alternano a pezzi dalle connotazioni rock, come “Nel tempo”, in cui il mostro affrontato è il tempo che fugge inesorabilmente. Seguono brani come “Ci sei sempre stata”, sull’amore e la contemplazione della bellezza che possono diventare autentiche ossessioni, o come “Caro il mio Francesco”, che è una canzone-lettera a Francesco Guccini. E, nel caso in cui ascoltare l’album non vi emozioni sufficientemente, potete sempre andare ad ascoltare il cantante dal vivo, nel corso del suo tour che toccherà perfino la Sicilia, con un concerto che si svolgerà il 24 luglio a Messina. Restiamo sempre in casa nostra per la seconda proposta musicale che riguarda Irene Grandi, cantautrice che nel corso dei 15 anni della sua carriera ha attraversato vari generi musicali, dal pop al rock, dal blues al jazz, cantando anche in inglese e spagnolo, e duettando in indiano e lingue africane. Nel corso della sua carriera ha ricoperto anche ruoli di attrice e presentatrice, oltre ad es-
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sere autrice della sua prima autobiografia ufficiale e prima donna ad interpretare un intero album natalizio in Italia.
Il suo ultimo album, “Alle porte del sogno” arriva a distanza di cinque anni dall’ultimo cd di inediti ed è considerato dalla cantante come quello che, rappresentando “la riscoperta di Irene Grandi” segna l’inizio di una nuova fase nella sua carriera, dopo un periodo in cui, come spiega lei stessa, “non ho avuto un’onda superpositiva”. Gli undici inediti contenuti nell’album spaziano dalla quotidianità a temi “grandi” che celebrano le emozioni forti come la sofferenza, l’entusiasmo, l’armonia e il desiderio. Il filo che li lega è una riflessione sulle strade da percorrere per vivere ed accogliere le emozioni senza sofferenza, aprendosi ad una nuova soglia grazie alla capacità di sognare. Infatti l’artista, che in questo album figura nelle vesti non solo di cantante, ma anche di co-autrice di quasi tutti i brani, avendo collaborato con Gaetano Curreri degli Stadio e con il poeta toscano Alfredo Vetrini, dice di sé: “Mi sento cresciuta, sento l’esigenza di raccontare cose nuove”. E anche i suoi fan devono essere d’accordo con lei e con la svolta artistica data alla sua carriera, dato che a maggio l’album è stato certificato come disco d’oro per le oltre 30.000 copie vendute. E in questi tempi di magra non è certo poco. E allora sulle ali della musica tuffiamoci anche noi nel sogno, lungo le strade del mondo. Buoni viaggi a tutti.
Mimma Ferrante
Riflessioni Compro gli alberi molto alti
P
er tutti quanti il trascorrere del tempo è la cosa più importante. Alle volte è veloce, alle volte è lento, o così pare. Sono solo sensazioni, il tempo trascorre sempre allo stesso modo e tutto sommato è solo una convenzione per stabilire e posizionare gli eventi. La vita è un’altalena d’emozioni, da cui nessuno vuole scendere troppo velocemente, piena di accadimenti che apparentemente contrastano tra loro ma che fanno parte della dinamica della vita stessa. Siamo abituati a ripetere "Domani ci penserò... se avrò tempo... magari uno di questi giorni lo faccio... ecc. ecc." e spesso non ci rendiamo conto che il tempo trascorre, la vita passa in un attimo, scorre velocemente davanti ai nostri occhi e non ci dà il tempo di fermarci, di prendere fiato. Mentre rimandiamo, la vita passa... Eppure la parte più bella della vita è quando si progetta il proprio futuro, il proprio destino, quando si lotta per ottenere una vita migliore, per raggiungere un obiettivo, per realizzare un sogno. E' una corsa continua, un rincorrersi d’emozioni, gioie, dolori, avvenimenti, coincidenze.
Il giudizio sulla durata della vita umana cambia parecchio secondo il momento in cui lo si formula. Quando si è molto giovani si ha una sorta di percezione di invincibilità, di immortalità che poi diminuisce fino a passare col trascorrere del tempo e ad assumere una consapevolezza del tempo che
trascorre, del tempo che se ne va, del tempo che non c’è più, o meglio che non ci sarà più. La vita è troppo breve, non rimandiamo a domani quello che potremmo fare oggi, spesso le occasioni non ritornano.
Quando si è molto giovani si ha una voglia matta di diventare grandi, di crescere in fretta, e quando ti rendi conto di quanto essa sia meravigliosa ti accorgi di essere già diventato vecchio e scavi tra i tuoi ricordi quelli che ti dicono una qualche cosa, fai inventari, resoconti. E sì, alla mia età si cominciano a fare un po’ di conti e vorresti trasmetterne alla nuova generazione il risultato, però poi pensi che sia inutile perché ti rendi conto che il tuo messaggio resterà inascoltato e vorresti gridare ”godetevi la vita che è tanto bella”; ma sai già che non ti servirà a nulla, poiché la gioventù sa già sbagliare da sola. Quando si è più maturi si ha più paura del trascorrere del tempo perché ne resta poco, comunque meno. Ma non è una convinzione basata su una regola matematica, perché nessuno può sapere quanto tempo gli resta da vivere ed anche se è vero che un giovane ha un’aspettativa di vita più lunga di un adulto o di un anziano, non è affatto detto che sarà proprio così. Quindi se non è il tempo che resta a far paura, cosa spaventa chi a superato gli “anta”? Forse è la percezione dell’evaporazione del tempo, forse il constatare che ne è trascorso tanto in cosi tanto breve tempo, la sua sublimazione quasi istantanea. I giovani non ne hanno timore non
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perché pensano di averne tanto davanti, perché come si diceva prima potrebbe non essere importante, potrebbe non essere cosi; ma per la mancanza di esperienza in merito, per l’incapacità di valutare il trascorrere di un qualcosa che ancora non si è vissuto. Gli anni a venire - venti, trenta o cinquanta che siano - sono solo un tempo lungo. Venti, trenta o cinquanta sono la stessa cosa, il futuro è infinito! Quanto velocemente trascorreranno? E’ questo l’effetto che poi spaventa un po’ gli adulti, e molto di più gli anziani, e moltissimo i vecchi; sanno giudicare la velocità del tempo. Questo non vuole essere un pensiero pessimista, ma solo una constatazione obiettiva che forse fanno anche altri, che avete forse fatto tante volte anche voi, magari sotto voce, magari in silenzio non avendo il coraggio di parlarne a voce alta per scaramanzia, per paura di parlarne, di agevolare in qualche modo gli eventi, quasi di far scorrere involontariamente ancor più velocemente il tempo.
Bisognerebbe forse vivere ogni giorno come se fosse l'ultimo e sognare come se dovessimo vivere per sempre, senza illuderci troppo però. Io compro gli alberi molto alti…
Luigi Fiscella
Cucina in camper A
rriva l’estate e tutti hanno voglia di perdere quei chili in più che non piacciono. Per dimagrire non è necessario seguire regimi alimentari da fame o abbandonarsi all'ultima dieta del momento. Bastano poche e sane abitudini, come svolgere quotidianamente un po’ di attività fisica (qualche bella passeggiata, un po’ di nuoto, ecc.) e soprattutto mangiare meno e in maniera varia: non privarsi dei carboidrati, ma consumarli senza esagerare con le quantità; ma anche moderare il consumo di carni e salumi, eliminando il più possibile i grassi e facendo attenzione ai cibi ad alto contenuto di colesterolo; inoltre mangiare frequentemente pesce, insalate e molta frutta. È importante, infatti, consumare ogni giorno almeno una porzione di verdura cruda e una di verdura cotta e fare due spuntini a base di frutta a metà mattina e a metà pomeriggio. Per quanto riguarda i condimenti, prediligere l'olio di oliva e ridurre il consumo di sale e di prodotti ad alto contenuto di zuccheri semplici. Infine, la regola d'oro: bere almeno due litri d'acqua al giorno. In linea con l’estate, ecco alcune ricette veloci da poter realizzare facilmente in camper per gustare a tavola dei piatti freschi (come le insalate), in linea con la stagione calda, evitando di appesantirsi.
Insalata di frutta Ingredienti: 2 mele, 2 banane, 2 piccoli meloni bianchi, 1 cuore di lattuga, 4 gherigli di noci, il succo di 2 limoni, 1 cucchiaino di senape, 2 cucchiaiate di panna da cucina, 4 cucchiai d'olio d’oliva, sale e pepe. Preparazione: tagliare a dadini la polpa delle mele, delle banane e dei meloni, spruzzandoli con il succo di un melone, mescolandovi i gherigli di noce spezzettati. Preparare la salsetta con l'olio, il succo del limone, la panna, la senape e un pizzico di sale e pepe. Condire la frutta, mescolando bene. Servire in una ciotola foderata dalle foglie di lattuga.
Insalata di farfalle Ingredienti: 350 gr. di pasta farfalle, 100 gr. di polpa di pomodoro, 500 gr di melanzane a cubetti, un cucchiaio di capperi, delle olive nere,
qualche foglia di basilico, olio d’oliva, sale e pepe. Preparazione: tritate la cipolla e soffriggetela con poco olio. Non appena diventa trasparente, unite la polpa di pomodoro e le melanzane a cubetti. Fate cuocere a fuoco vivo per circa 10 minuti. A fuoco spento aggiungete un cucchiaio di capperi dissalati, 1 o 2 cucchiai di olive nere tritate, il basilico sminuzzato, salate e pepate. Condite con questa salsa le farfalle che avrete cotto a parte, bagnando alla fine con un po' di olio.
Insalata di pollo Ingredienti: 4 filetti di pollo, 1-2 fette di prosciutto cotto, 2 fette di
ananas (anche in scatola), il succo di un limone, una tazza di maionese, un cuore di sedano. Preparazione: arrostire o lessare le fettine di petto di pollo. Lasciare sgocciolare l'ananas dal suo liquido di conservazione se in scatola o tagliarlo a fette se fresco. Tagliare il pollo ed il prosciutto cotto a filetti, affettare il sedano, unire alla maionese il succo di limone, amalgamando bene. Mescolare metà della maionese insieme con il pollo, il prosciutto, l'ananas, il sedano e versare il composto in un'insalatiera, ricoprendo con il resto della maionese.
Enza Messina
Bella stagione e dieta: che stress! Dieta, che stress! L’arrivo della primavera ci ricorda che tra non molto il sole smetterà di scaldarci ...i cappotti. Questo è il tempo in cui si affacciano i primi sintomatici effetti del tormentone «linea perfetta»; da qui a quest’estate qualcuno penserà davvero che, in pochi giorni o nel giro di due settimane, i rospi si trasformeranno in principi azzurri e le befane in splendide top model. D'accordo, la prova "costume da bagno" è ancora lontana, ma non troppo dalle nostre parti. Il via agli abiti leggeri, che mettono in risalto le forme del corpo, è un affare serio: dove nascondere le maniglie dell'amore, i fianchi multistrato, i glutei supersonici e le muscolature inesistenti? Ecco, allora, lo standard delle promesse a raffica: da lunedì si comincia a "mangiare pulito", addio pizza e patatine, bibite gassate e dolci, il sale va eliminato, lo zucchero va contenuto, dieta mediterranea, molti piccoli pasti spezzano la fame, carboidrati a pranzo e proteine la sera, niente spuntini a meno che non sì tratti di frutta (e non secca), di vino un solo bicchiere durante ì pasti, e soprattutto grande forza d'animo e decisione. A parte le vacanze pasquali, che (si sa) dal punto di vista dietetico sanno di trappola, i camperisti siciliani cominciano fin d’ora a sentirsi il peso dei chili di troppo sulla coscienza. Per forza: sanno che già da maggio quel tanto amato-odiato clima caldo umido li porterà a scollacciarsi a dovere con tutti i pro e i contro dell'evidenza. Quindi, a meno che la natura non sia stata generosa con il loro aspetto fisico, e qualcuno possa davvero vantarsi di entrare nell'Olimpo delle forme perfette, il resto dei comuni mortali, tra buone forchette e vittime di metabolismi lenti come lumache, sa che il pranzo di domani, di dopodomani o del giorno che verrà potrebbe avere l’aspetto triste della rucolina più mezzo bicchiere d'acqua. Tanti, troppi sacrifici da affrontare? La dieta che mette i catenacci allo stomaco e fa sciogliere anche i grassi delle orecchie è una prova troppo dura da affrontare? Sì, forse. Ma poco male: le gloriose alternative che potrebbero mettere a tacere il lamentoso languorino quotidiano sono l'attività fisica e i metodi "easy", tra bustine, pilloline, cerotti dimagranti, barrette al sapore di mirtillo, e naturalmente una vasta gamma di prodotti miracolosi che fanno vetrina tra profumerie e negozi dì erboristica. Diciamocelo pure: uomini e donne siciliani più o meno doc ne sanno tanto quanto basta per rimettersi in forma senza rinunciare ai peccati di gola: niente e nessuno, neppure la montagna di soldi da pagare per bollette, mutui, affitti e assicurazioni varie, li fa demordere dal concedersi palestre, saune, massaggi rassodanti in centri estetici della zona; per non parlare delle creme anticellulite e tonificanti, dei fanghi del mar Morto, o delle alghe di chi sa dove; rimedi soft al femminile, ...ma forse non più di tanto.
Alfio Triolo
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Internet che passione Tempo di viaggi
I
mmagino abbiate già pronto il vostro programma di viaggio di questo 2010. Nord Italia, nord Europa o nord Africa? Lo sapete già? Ci avete fatto caso che, ovunque andiamo nei pressi di casa nostra, lo facciamo sempre verso …nord? Strano ma vero! Anche se ciò non significa per noi l’essere sempre a sud di qualcosa. Almeno geograficamente parlando… Scherzi a parte, è finalmente tempo di viaggi. Proviamo quindi ad integrare il nostro, o a renderlo diverso e comunque unico, con qualche piccola ma interessante informazione che può darci la rete.
Per mare L’andare al nord di su, ma anche a quello di giù, potrebbe richiedere un viaggio per mare. Le traversate marine sono indispensabili per raggiungere l’Africa, a meno di non aver tantissimo tempo a disposizione, e utili per togliere il massimo di chilometri dell’attraversamento della nostra Italia, nell’intenzione di raggiungere l’Europa subalpina. Viaggiando in camper, un trasferimento tra i più vantaggiosi non potrà che essere quello con campeggio a bordo, altrimenti detto “open deck”. Per quei pochi che non lo sapessero, si tratta di una formula che permette l’utilizzo del proprio mezzo sul ponte aperto di un traghetto, con alcune limitazioni. Non sarà possibile infatti cucinare in camper perché a bordo non è consentito l’uso di fuochi a gas, mentre sarà solo possibile usufruire di tali viaggi nel periodo dal 1° aprile al 30 settembre. Con l’assistenza della rete web, proviamo adesso a vedere qual è l’offerta disponibile dal nostro computer. La ricerca delle frasi “Camper più nave” oppure “open deck camper” sembrano riprodurre i medesimi risultati su Google. Tralascio questa volta i dati statistici, poco attendibili perchè relativi alla digitazione di una frase, lasciando a voi la scel-
Alcuni siti web con offerte di rotte marittime da sfruttare imbarcando anche il camper, magari con la formula dell’open deck, o da utilizzare senza veicoli al seguito nelle poche cabine a disposizione delle grandi navi porta-container che da qualche anno sono diventate la nuova frontiera del turismo intercontinentale d’avventura
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ta dell’aggregatore di informazioni che più vi ispira. Molti sono, infatti, i siti che offrono informazioni di dettaglio sulle varie opportunità di viaggio, rinviando successivamente ai siti delle tantissime compagnie di navigazione per la verifica della disponibilità e della successiva prenotazione, per effettuare una traversata con l’utilizzo del camper in ponte aperto e non.
Due siti dedicati al cicloturismo
Un immagine di camper a bordo di un traghetto con la formula dell’open deck Segnalo che uno degli inconvenienti più citati in rete e in particolare nei vari blog riguarda l’altezza dei mezzi. Nei forum è infatti abbastanza facile trovare testimonianze di viaggiatori che hanno avuto problemi al momento dell’imbarco, causati dall’eccessiva altezza dei propri camper. Consiglio quindi, per evitare spiacevoli sorprese, di far
presente tale dato nel corso della prenotazione. Se per caso non dovesse bastarvi il mar Mediterraneo, mediante internet non è difficile pianificare una mini crociera, per esempio tra i fiordi nel Mare del Nord. Naturalmente non sarà possibile utilizzare il proprio camper, necessario però per raggiungere i luoghi d’imbarco, ma
Riferimenti in rete http://www.traghettionline.net/camper.asp http://www.cemar.it/open_deck.html http://www.elladeviaggi.it/Grecia%20Camping%20on%20Board.htm http://www.greekferries.gr/it/camping.asp http://www.vacanzefaidate.com/traghetti.html http://www.dfdsseaways.co.uk/ http://www.finnlines.com/passenger_eng/ http://www.crociereonline.net/crociere/nord_europa.htm http://www.royalcaribbean.it/ http://www.grimaldi-freightercruises.com/freighter/italia/condgen.htm http://www.seaplus.com/ http://www.cicloturismo.com/ http://www.viaggiareinbici.it/ http://www.solebike.it/ita/index.html http://www.funactive.it/index.asp http://www.girolibero.it/
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penso possa considerarsi comunque un’esperienza di viaggio indimenticabile. In ultimo, se siete poi realmente disposti a fare a meno del camper e siete desiderosi di fare un viaggio avventuroso di un paio di settimane, come anche di tre/quattro mesi, siete pronti per affrontare un viaggio in cargo. Si tratta dell’ultimo confine dell’andar per mare, già comunque praticato da qualche anno, tanto che sembra non sia difficile prenotare una cabina con tutti i comfort, anche su una di quelle enormi navi portacontainer sempre in viaggio sulle rotte transcontinentali. Un viaggio di questo tipo ha sicuramente un grande fascino. Viaggiare per l’oceano, vivendo l’atmosfera di una di queste grandi cattedrali galleggianti, magari seguendo una rotta che preveda scali nei Caraibi o in Brasile o nel magico oriente o ancora, magari, nei grandi porti commerciali incontrati durante la circumnavigazione dell’Africa.
Viaggiare con …i piedi Zigzagando in rete è possibile scoprire anche la filosofia del viaggiare camminando «Camminare è viaggiare a ritmi naturali e antichi, come viandanti, come pellegrini; camminare è decrescere, camminare è cercare il proprio lato selvatico, la propria consapevolezza. Camminare è vita... speranza e vita». Così recita il sito web dell’associazione La Boscaglia, una delle tante anime di AITR. «Sono tempi duri – chiosa Manuel Lugli, uno dei filosofi del viaggio in cammino - tempi in cui le auto, con l’arroganza di cilindrate sempre più grosse, si muovono, spruzzando e rombando a vanvera in ogni strada, dai centri storici alle forestali più alte. Sono tempi in cui le motoslitte tritano neve gareggiando sulle mulattiere delle Alpi, surrogando la macchina che almeno lì non può arrivare. Sono tempi in cui chi cammina a piedi è visto strano, con sospetto. Perché chi va a piedi lungo le strade d’Italia, d’Europa, sono i migranti, i poveri, i diseredati. Mala tempora currunt, dicevano i latini in questi casi. Ma il cammino rimane l’attività più antica e naturale dell’uomo, anche se i più l’hanno scordato. Il cammino è fisico e spirituale, porta da qualche parte o da nessuna, è fine a se stesso, ma non perde nobiltà… Perché questa è la virtù del camminare: sciogliere la densità dei pensieri. Mentre si cammina, con o senza zaino, con o senza sci, con o senza slitta attaccata ai fianchi, i pensieri si allineano e si chiariscono. Non c’è l’affastellamento in bilico delle giornate di lavoro. L’incrostazione dei dubbi, delle rabbie, delle angosce si scioglie come calcare in aceto, mentre col sudore si espellono il rancore e la fretta. Si scambiano gli umori del corpo con la tranquillità dell’anima: un bilancio sempre in attivo».
Tornando al sito web de La Boscaglia, leggiamo: «Scopri la pace interiore della lentezza consapevole, impara a camminare con passo lento, guardati intorno, c’è sempre un fiore nuovo, un insetto, un colore che ti stupiranno… Scopri il silenzio! Durante il cammino riscopriamo anche la bellezza del silenzio, dell’ascoltare il proprio passo, il proprio respiro, i suoni della natura. I viaggi a piedi sono utili per imparare a distinguere tra superfluo e necessario. Si scoprirà allora che cosa è necessario e cosa invece è abitudine... Eliminando il superfluo dagli zaini e dalle menti tutto sarà più leggero… Quale altro mezzo potrebbe mai dare le stesse sensazioni, consentire le stesse felicità oltre ai nostri piedi? Nessuno. Sono i piedi che consentono il cammino. Perché il cammino ha questo che lo rende unico: è parte ancestrale dell’uomo, come la fame, l’istinto di sopravvivenza, la vita stessa».
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Per terra Il suolo, o il duro asfalto, sono alla base dell’esistenza della nostra filosofia di viaggio. Che dire: non sarebbe affatto facile pensare di poter percorrere 5.000 lunghi chilometri di un percorso non asfaltato. Almeno non senza un grave costo per il nostro fondo schiena, e non solo! Giorni fa a Mondello ho potuto vedere un’allegra truppa di cicloturisti tedeschi che posteggiavano le loro due ruote in piazza, in modo così impeccabile e preciso che una ventina di bici sembravano non più di un paio o tre al massimo. Quasi certamente saranno stati viaggiatori come penso ne abbiamo visto tanti. Cioè coloro che effettuano i grandi spostamenti con i pullman e, con le loro bici tutte uguali al seguito, con quelle fanno le loro escursioni quotidiane nel territorio. In rete grande è l’offerta di itinerari cicloturistici: dalle vacanze organizzate di tutto punto con aereo, pernottamenti ed escursioni su due ruote con assistenza lungo il percorso, agli itinerari per city bike e per mountain bike che, per chi ce la fa, sono senz’altro più confacenti al nostro tipo di viaggio. Inutile dire che, partendo dalla ricerca del termine “cicloturismo”, con Google si apre un mondo di opportunità e, nell’apposita sezione, si trovano alcune pagine sull’argomento.
Un gruppo di cicloturisti E comunque, buon viaggio a tutti, che sia per terra, per mare o per tutt’e due.
Giangiacomo Sideli
News, notizie in breve Il successo del 60th FICC Youth Rally a Roma Si è concluso con successo il 60th FICC Youth Rally (Incontro dei giovani della Federazione Internazionale del Camping e del Caravanning, che ha sede a Bruxelles), svoltosi quest’anno a Roma presso il Camping Village Roma di Via Aurelia tra il 31 marzo ed il 6 di aprile. Si tratta di un evento annuale che ha per finalità la divulgazione della cultura del turismo all’aria aperta fra i giovani facenti parte del più importante organismo internazionale del campeggio e del caravanning. La nostra Federazione ACTITALIA, affiliata alla FICC fin dal 1940, ha curato l’intera organizzazione ed ha elaborato un ricco e stimolante programma mirato ad esaltare i valori dell’amicizia e della fratellanza nella capitale d’Italia, mettendo in luce i tratti essenziali di Roma come città d’arte, di cultura e di storia.
Il Rally è stato presentato alle più alte cariche dello Stato e la risposta è stata sorprendente. Infatti il Presidente della Repubblica Napolitano ha indirizzato al nostro Presidente Pasquale Zaffina un saluto accompagnato da una medaglia commemorativa, così come ha fatto il Presidente del Senato Schifani e il Presidente della Camera dei Deputati Fini (con saluto e premi), mentre il Ministro della Gioventù Meloni ed il Ministro del Turismo Brambilla hanno concesso il patrocinio al Rally ed hanno indirizzato anche loro un gradito saluto ai partecipanti. Anche a livello locale l’appoggio istituzionale è stato totale con l’ex Assessore al
Turismo della Regione Lazio Mancini, L’assessore al Turismo ed alle politiche giovanili della Provincia di Roma Prestipino, il Sindaco del Comune di Roma Alemanno ed il Vice Sindaco Cutrufo, che hanno tutti aderito e contribuito alla buona riuscita dell’evento. Mai si sono viste le istituzioni così compatte ed unanimi a porgere il benvenuto a giovani campeggiatori provenienti da tutto il mondo e ciò, grazie ad A.C.T.Italia, segna una tappa importante a favore dell’intero settore del turismo cosiddetto del plein air nel nostro Paese. I giovani partecipanti, infatti, sono stati circa 300, provenienti da tutta Europa e perfino da Taiwan. Durante il periodo del Rally, sono state date ai partecipanti molte opportunità: visite guidate (Palazzo Madama, Palazzo Montecitorio, Musei capitolini, Piazza S. Pietro, centro storico di notte), una cena all’italiana, un concerto dal vivo e, per pasquetta, una gita al lago di Bracciano con visita guidata al Castello. Tra tornei di calcetto e di beach volley, assemblee, emozionanti cerimonie con inni ufficiali, sfilate, concerti, discoteca, visite, ecc, il tempo è trascorso con grande celerità ed i gruppi si sono amalgamati fino al commiato con qualche lacrima. «E’ stata una bella ed esaltante esperienza - commenta Pasquale Zaffina - alla riuscita della quale hanno contribuito tangibilmente AT Lazio – Agenzia Regionale per la Promozione Turistica, la Rivista Plein Air, Plus Hotels, lo Studio Zaffina, l’ACTItalia Fed. e Nova. Un particolare riconoscimento va indirizzato al Presidente della FICC Joao Alves Pereira, che è stato costantemente presente a fianco di ACTItalia Federazione ed anche alla Presidente uscente dei Giovani FICC Elieke Nijhuis ed alla neo Presidente Hawtin Gemma».
La guida 2010 dei Borghi più belli d’Italia Grazie all'iniziativa di 51 sindaci di piccoli comuni italiani aderenti all’ANCI, otto anni fa nasceva il “Club dei Borghi più belli d'Italia”. L'obiettivo era, ed è rimasto, valorizzare un patrimonio di storia, arte, cultura e tradizioni presente nei piccoli centri, ma
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spesso ignorato dai turisti. E per essere ammessi nel Club occorreva e occorre anche oggi possedere una serie di requisiti come l’armonia architettonica del tessuto urbano, la qualità del patrimonio edilizio pubblico e privato, la qualità della vita all’interno dell’abitato estesa anche ai visitatori, un’amministrazione locale in grado di valorizzare e tutelare i beni monumentali e le memorie dei luoghi che andrebbero altrimenti perdute.
Da quel giorno, l'esigua pattuglia di coraggiosi si è via via ingrossata, e oggi conta 193 comuni con incredibili bellezze, sconosciute ai più. Con atmosfere , profumi e sapori che garantiscono la tipicità del sito e un modello di vita che vale la pena di gustare con tutti sensi. Il nuovo aggiornatissimo volume (giunto così alla settima edizione) che li descrive è un lungo viaggio attraverso un'Italia che merita di essere scoperta, facilitato da una ricchissima e aggiornatissima guida: 800 pagine da consultare, leggere e spulciare per trascorrere weekend diversi ed entusiasmanti. La descrizione di ogni borgo è suddivisa in tre sezioni. Nella prima sono riportati i dati del Comune con una dettagliata cartina stradale. Nella seconda viene tracciato un profilo del borgo, a partire da ciò che più lo caratterizza, cioè l'essenza più intima del luogo. E il
racconto che ne hanno fatto coloro che l'hanno amato, viaggiatori, personaggi locali o artisti di passaggio. Nella terza, infine, viene indicato cosa c'è di bello e di buono nel borgo oltre alla storia e alle antiche pietre: gli eventi principali, i musei e tutto ciò che si dovrebbe sapere prima di dedicarsi all'enogastronomia o agli acquisti.
On line la mappa delle aree boschive attrezzate di Sicilia Dopo il portale www.sicilianatura.org di cui abbiamo parlato fra le news del precedente numero de “IL CLUB”, ecco adesso un altro sito web che consente con un click di conoscere le aree attrezzate dei boschi siciliani. Il Dipartimento Regionale Azienda Foreste Demaniali ha infatti creato www.boschidisicilia.it, un altro portale di turismo verde inserendovi la mappa delle oltre 100 aree attrezzate utili alla fruizione delle riserve naturali gestite dal Dipartimento in tutto il territorio dell'isola. D’altronde, è tempo di primavera, è tempo di gite e quindi può essere utile un tocco di mouse per conoscere e scegliere l’area attrezzata dove poter andare per trascorre una giornata di benessere a stretto contatto con la natura, lontani dal caos delle città inquinate. La mappa presente sul sito segnala la presenza sul territorio delle aree (alcune sono accessibili anche ai diversamente abili) consentendo di approfondire la conoscenza di ogni singola area attrezzata con l’apertura di una scheda
informativa che contiene notizie sull’ubicazione, sulla Riserva di cui l’area fa parte, delle vie di accesso, della tipologia boschiva che la caratterizza (con notizie di dettaglio su flora e fauna), delle strutture accessorie di cui è dotata (parcheggio, barbecue, panche, toilette, ecc.).
La festa dei 70 anni della Federazione ACTITALIA In occasione del raduno itinerante nel Veneto organizzato da tre Club affiliati Marca Trevigiana, Canaletto Camper Club e Vacanze Aperto per Ferie e concluso con l’Assemblea annuale della Federazione Nazionale A.C.T.ITALIA in una bella villa sul Brenta, ha avuto luogo in un noto ristorante di
Vigonza la cena di gala per celebrare i 70 anni di nascita della nostra Federazione. Il nostro Presidente Pasquale Zaffina ed il Segretario Generale Camillo Musso hanno riassunto ai presenti, nella maggior parte Presidenti e delegati di Club e loro famiglie, la storia della Federazione che, per chiarimento a quanto non correttamente pubblicato da alcune riviste, riportiamo di seguito. Nel 9 marzo del 1940 il governo italiano, dopo avere sciolto tutte le associazioni, fondò l’A.C.T.I. (Associazione Campeggiatori Turistici d’Italia), mai sciolta da atti della successiva Repubblica Italiana, sotto la guida di Luigi Bergera. Si trattava di un organo centrale con un proprio statuto raggruppante varie sezioni dipendenti, non essendo ammessa la loro indipendenza. L’A.C.T.I. ha lavorato durante e dopo il conflitto mondiale a Roma, dove ha avuto la prima sede ufficiale, poi a Torino, quale unico rappresentante in sede internazionale presso la F.I.C.C. (Federazione Internazionale) di cui era stata uno dei fondatori. Con l’avvento della democrazia i Club che erano sezioni dell’A.C.T.I. e altri Club di campeggio sentirono la necessità di essere indipendenti. Il Campeggio Club Firenze e Toscana si fece promotore di fondare una Federazione, alla quale partecipò anche l’A.C.T.I. Nacque così nel 1950 la Federazione Italiana del Campeggio che raggruppò numerosi Club
Il direttivo della Federazione Nazionale ACTITALIA davanti alla torta con cui sono stati festeggiati i 70 anni della nostra Federazione
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esistenti, tra cui le varie A.C.T.I. sparse sul territorio nazionale e l’A.C.T.I. Centrale; la circostanza era ben evidenziata negli ultimi articoli dello Statuto della Federcampeggio di allora. Appena si decise di abolire questi articoli da detto statuto, si determinò da parte dell’A.C.T.I. Centrale la decisione, del resto sollecitata dalla stessa Federazione Internazionale, di ritornare ad essere affiliati direttamente alla F.I.C.C. Fu così che lo statuto dell’A.C.T.I. Centrale fu aggiornato alle nuove leggi della Repubblica, fu approvato dall’Assemblea della F.I.C.C. a larga maggioranza e fu deliberato che l’A.C.T.I. rientrasse come “full member” nella F.I.C.C. con il nome di A.C.T.ITALIA Federazione nazionale, con anzianità 1940 (l’anno di fondazione originaria). Molte Federazioni hanno cambiato il loro nome nel corso degli anni eppure nessuno di questi organismi mette in discussione l’anzianità che gli spetta (dal Camping e Caravanning Club Inglese alla stessa Federazione Italiana del Campeggio, divenuta Federazione del Campeggio e del Caravanning, poi Federcampeggio, poi Confedercampeggio, ora C.I.C. - Confederazione Italiana Campeggiatori, anche la stessa Federazione Internazionale è nata come Federation International de Camping e solo in un secondo tempo ha aggiunto il termine e Caravanning). A conferma di quanto esposto sta la pubblicazione di una memoria sulla rivista “In Camper” in occasione dei 75 anni della nascita del campeggio in Italia. La memoria, opera di Camillo Musso, era stata prima mandata in visione al Presidente della C.I.C. che nulla obbiettò alla sua pubblicazione, anzi lo stesso organizzò alla Fiera di Carrara una cerimonia nella quale consegnò al prof. Musso una pergamena ringraziandolo per l’obiettività e fedeltà con cui la storia era stata scritta. Un caloroso applauso ha accolto queste precisazioni, avvalorate anche dai Presidenti di alcuni Club che, come Musso, avevano fatto parte del Direttivo dell’allora Federcampeggio. La cena si è conclusa con il saluto del Sindaco di Vigonza, e con lo scoprimento simbolico di quella che sarà la lapide che verrà murata sulla parete di Via Po n.11 a Roma, prima sede dell’ACTI, non appena saranno terminati i lavori di restauro in atto.
Aiace e Fedra in scena al Teatro Greco di Siracusa L’Aiace di Sofocle e la Fedra di Euripide sono le due tragedie in scena quest'anno al Teatro Greco di Siracusa. La prima rappresentazione del XLVI ciclo di rappresentazioni classiche della Fondazione Istituto Nazionale del Dramma Antico (Inda) si è svolta sabato 8 maggio mentre l'ultima è in programma domenica 20 giugno. Nella passata stagione si sono avuti 156.000 spettatori paganti e tale successo di pubblico conferma l'interesse per questo tipo di teatro.
L'Aiace di Sofocle, nella traduzione di Guido Padano, è diretta da Daniele Salvo, mentre la Fedra di Euripide è diretta da Carmelo Rifici nella traduzione di Edoardo Sanguineti. Daniele Salvo ritorna a Siracusa dopo aver diretto Giorgio Albertazzi nell'Edipo a Colono della scorsa edizione. I protagonisti di questo 46° ciclo di rappresentazioni sono Maurizio Donadoni, che vestirà i panni di Aiace, ed Elisabetta Pozzi che interpreterà Fedra nella tragedia di Euripide.
Inoltre, in accordo con il ministro greco della Cultura e del Turismo e con l'assessore al Turismo della regione Sicilia, l'Inda racconterà la sua storia centenaria in una mostra di documenti, plastici, bozzetti, costumi e foto a partire dal 1913. Il prezzo dei biglietti varia dai 30 ai 63 euro.
Solo 4 le spiagge siciliane premiate con la Bandiera Blu Tutte riconfermate le quattro Bandiere Blu alle spiagge siciliane. Come l'anno scorso, anche nel 2010 Menfi, Pozzallo, Marina di Ragusa (in provincia di Ragusa) e Fiumefreddo di Sicilia-Marina di Cottone (in provincia di Catania Catania) hanno ottenuto l'ambito riconoscimento europeo consegnato l’11 maggio a Roma dalla F.E.E. (Fondazione per l'educazione ambientale). Per Menfi la Bandiera Blu di quest'anno è la tredicesima di fila: dopo la prima assegnazione nel 1992, infatti, dal 1998 il mare del Comune di Menfi viene premiato ogni anno ininterrottamente. Si tratta di un riconoscimento in ambito europeo che non indica solo l'ottimo stato di salute delle acque marine di queste località, ma della qualità ambientale complessiva della zona (l’accesso l mare, i servizi per disabili, le infrastrutture e la viabilità del territorio, le piste ciclabili, la raccolta differenziata dei rifiuti, ecc.), e che premia lo sforzo di tutela dell'ambiente. Peccato che la Sicilia, con 4 Bandiere Blu, risulti penultima,
Il litorale di Porto Palo a Menfi, per la tredicesima volta insignito della Bandiera Blu dalla Fondazione per l'educazione ambientale
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fra le regioni italiane, in questa speciale classifica stilata per il 2010, nonostante sia un’isola e nonostante le sue coste siano in lunghezza complessiva le maggiori per estensione di tutta l’Italia; dato che per esempio la Liguria è prima con 17 località premiate, seguita con 16 dalla Toscana e dalle Marche, mentre l’Abruzzo è al quarto posto con 13; tutte regioni con un’estensione delle coste enormemente inferiore alla Sicilia, che però riesce a superare la Sardegna (!!!), alla quale sono state riconosciute solo due Bandiera Blu. Incredibile, ma vero. Anche se mal comune non fa mezzo gaudio!
Unesco: Italia prima per siti patrimonio umanità Secondo i dati diffusi dal “Cult Index”, uno strumento di analisi comparativa messo a punto da The European HouseAmbrosetti presentato a “Florens 2010 - Settimana internazionale dei Beni culturali e ambientali”, la Sicilia, con 5 siti culturali e naturali iscritti nel Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco, è terza in Italia fra le regioni, dopo Toscana e Lombardia (con 6 siti) e a pari merito con Campania e Veneto. A sua volta, l'Italia è al primo posto per siti iscritti tra i patrimoni dell'Umanità (44 in totale) ma solo al quarto posto, dietro a Stati Uniti, Regno Unito e Francia, nella classifica del capitale culturale e ambientale stilata tra i Paesi occidentali. Il primo posto degli Usa, spiega una nota, è frutto di punteggi alti ottenuti per alcuni indicatori come i volumi nelle biblioteche pubbliche, il numero di ingressi per abitante a musei, monumenti e il numero delle Università comprese tra le 'Top 500 mondiali'. e all'ultimo per il numero di volumi nelle biblioteche.
Il sud deve investire sul turismo... Gli italiani amano il Sud per il clima (87%), le città d'arte (86%), la natura (68%), le qualità della gente per nulla intollerante e razzista (99%) e di mentalità poco chiusa (87%), ma lo bocciano per qualità dell'amministrazione, economia e criminalità. E se quasi un terzo degli italiani dichiara che vorrebbe vivere al Sud, il 40% di chi già ci risiede vorrebbe andarsene. E' quanto emerge da un
sondaggio promosso da Manageritalia, la Federazione dirigenti e quadri di trasporti, turismo e terziario che parallelamente ha anche intervistato i dirigenti associati a Manageritalia e residenti nel Mezzogiorno. E la loro opinione è chiara ed univoca: ci sono grandi talenti, ma mancano sviluppo e managerialità. Per quanto riguarda la conoscenza diretta, solo il 6% degli italiani intervistati non vi ha mai messo piede, il 35% lo ha fatto o lo fa saltuariamente, il 19% spesso, mentre il 39% vi abita o vi si reca continuamente. L'indagine evidenzia poi che c'è chi viaggia verso Sud per piacere: turismo/vacanze (75%), visite a familiari o amici (37%), svago (16%), cultura (15%), acquisti (15%), sport (7%). Ma c'è anche chi si reca al Sud per lavoro (19%), studio (10%), fiere (8%), cura della salute (6%), servizio militare o attività militari (5%). Solo il 9% ci va per attività religiose (8%), politiche e sociali (3%). Va anche detto che solo il 25% degli italiani esprime giudizi totalmente o prevalentemente negativi nei confronti delle regioni meridionali: i 'fan' del Sud restano molti e convinti. Ma l'opinione dei manager rispetto a quella della gente comune è più severa. L'economia appare troppo dipendente dai fondi pubblici (66%), mentre tutte le regioni meridionali hanno urgente bisogno di un profondo cambiamento morale, politico e sociale (59%). E per il 95% degli intervistati il turismo è il primo settore su cui investire. L'indagine è stata presentata il 21 maggio u.sc. a Palermo, il 22 maggio a Bari e il 10 giugno a Napoli in apertura di incontri organizzati da Manageritalia per dibattere come rilanciare lo sviluppo nel Sud puntando su management, terziario e turismo con rappresentati della politica, delle istituzioni e della business community del territorio.
...E invece in Sicilia la Regione assesta un colpo da KO al turismo culturale A stagione inoltrata e programmi turistici pianificati, l'assessorato regionale ai Beni Culturali Armao con un proprio decreto varato a metà maggio ha aumentato i biglietti d'ingresso dei musei siciliani e ha nominato un proprio consulente per occuparsi di strategie di marketing per la fruizione
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dei beni culturali. Secondo Toti Piscopo, noto giornalista ed esperto del settore turismo, «una recente indagine indica che in Sicilia gli unici siti archeologici che danno un gettito adeguato sono la Valle dei Templi di Agrigento e il Teatro Greco di Taormina. Tutto il resto segna il passo con alcuni casi limiti quali l'area archeologica di Ravanusa, dove non si è registrato un solo euro d'incasso, oppure il museo archeologico di Caltanissetta, che in un anno (nel 2008) ha registrato appena 34 visitatori paganti, per 63 euro d'incasso. L'incasso annuale del museo archeologico di Marianopoli è stato di 286 e non va meglio alla Villa Romana di San Biagio a Messina, che ha registrato 500 visitatori paganti per un incasso di 959 euro».
Non sarà certo l'aumento del biglietto d'ingresso a favorire il turismo in Sicilia! Anzi. Sempre secondo Piscopo, «sarebbe auspicabile invece che, in tema di turismo, le categorie imprenditoriali dessero qualche segnale di maggiore vitalità e gli uomini di questo governo provassero a remare tutti dalla stessa parte, nel tentativo di non fare affondare questa barca che fa sempre più acqua».
Il FAI e i luoghi del cuore La mattina dell’11 maggio 1860 circa mille volontari, partiti dalla spiaggia di Quarto e guidati da Giuseppe Garibaldi, sbarcavano sulla costa siciliana a Marsala dando vita a uno degli episodi più importanti del risorgimento italiano. Quella che passò alla storia come la “spedizione dei Mille”, terminata con l'annessione all'Italia dell'intero regno delle Due Sicilie, rappresenta l'evento chiave della nascita dell'unità italiana. Ormai prossimi al 150esimo anniversario dell'unificazione nazionale, anche il FAI vuole celebrare la storia e le bellezze del nostro Paese con il lancio
della quinta edizione di “I Luoghi del Cuore”, ispirata proprio allo spirito e ai valori che animarono la spedizione garibaldina. Quest'anno infatti, il censimento promosso dal FAI chiede ai partecipanti di far conoscere attraverso la propria segnalazione (che può avvenire fino al 30 settembre p.v.), quei luoghi inconfondibilmente italiani – noti o sconosciuti, potenzialmente a rischio o da restaurare, visitati o da valorizzare - che rappresentano il nostro Paese e lo raccontano; quei luoghi legati alla tradizione e alle radici che custodiscono la nostra identità, che esprimono l'immagine che l'Italia ha o che vorremmo avesse nel mondo: un borgo, un uliveto, una pieve dimenticata, una spiaggia da preservare, un'antica dimora da valorizzare; ma anche piccoli monumenti spesso meno noti, che rivestono però un'importanza fondamentale nella storia e nella vita di una comunità, che mostrano l'Italia più preziosa con il suo spettacolo unico di cultura, arte e natura.
liano-inglese o francese o spagnolo o tedesco) che possono essere la nostra ancora di salvezza in molte situazioni. I quattro volumetti all'interno contengono duemila frasi e tremila parole che costituiscono il "kit di sopravvivenza" per le situazioni più comuni. In più la trascrizione fonetica delle parole, box su cartellonistica e segnaletica e una sezione pensata per aiutare il turista nella visita di luoghi e monumenti. I nuovi frasari Touring costano € 8,50 (6,80 per i soci).
al presidente nazionale di Legacoop, Giuliano Poletti, aperto sostenitore dell’iniziativa. Il meeting è stato anche l’occasione per tirare le somme di un anno di lavoro; secondo i dati forniti dai soci AITR si rafforza la nicchia del turismo responsabile: sono partiti per una vacanza responsabile oltre seimila turisti nel 2009, il 20% in più rispetto all’anno precedente.
Maurizio Davolio riconfermato presidente di AITR
Alcuni noti personaggi hanno già fatto le loro segnalazioni: la Villa reale di Monza per la Presidente FAI, Ilaria Borletti Buitoni; il Parco del Ticino per la Presidente Onoraria FAI, Giulia Maria Crespi; le Isole Tremiti per Lucio Dalla, la Chiesa del Convento a Giarre (CT) per Franco Battiato. Ma ciascuno di noi può segnalare uno o più luoghi italiani (e magari siciliani) che vuol fare conoscere e amare, aiutando così anche il FAI a intervenire concretamente per tutelarli. Basta collegarsi al sito www.luoghidelcuore.it e seguire le istruzioni.
Do you speak italiano? Per evitare incomprensioni all’estero, far capire cosa vogliamo e soprattutto capire che cosa ci stanno dicendo, il Touring Club ha appena pubblicato 4 “frasari” (ita-
Riunita a Sant’Ambrogio, vicino Cefalù, lo scorso 21 maggio, l’assemblea annuale di AITR (Associazione Italiana Turismo Responsabile) ha confermato alla presidenza Maurizio Davolio, responsabile Legacoop Turismo, alla guida dell’associazione già da sei anni. L’incontro di AITR si è inserito quest’anno in una rassegna di eventi più ampia, “Energetica” (2024 maggio), per la quale il bilancio è indubbiamente positivo; era, infatti, affollato il workshop organizzato a Pollina sul turismo locale; partecipate le visite ai terreni riscattati dall’illegalità grazie al lavoro cooperativo; forte la disponibilità a nuove collaborazioni da parte del Touring Club editore; convinto l’impegno espresso dai soci siciliani, animatori di quest’evento, pronti a costituire una sezione regionale di AITR; autorevoli gli interventi ascoltati alle assemblee di AITR ed Earth. In particolare all’incontro del network europeo Earth erano presenti rappresentanti di quattro Paesi, insieme alla rete Necstour, all’Organizzazione Mondiale del Turismo, al Dipartimento per il Turismo del Consiglio dei Ministri, oltre
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Maurizio Davolio riconfermato presidente di AITR «Si conferma il pieno sviluppo maturato da AITR in questi anni. L’assemblea - afferma Maurizio Davolio - ha testimoniato la nostra solidarietà verso i soci siciliani, impegnati nella lotta per la legalità, e ha registrato fatti importanti. Entra per esempio nella rete Earth la storica associazione Friends of Nature di Vienna e cresce il riconoscimento di AITR quale interlocutore autorevole per università e istituzioni. Cresce, nonostante tutto, il numero dei turisti responsabili. Un bel segnale in tempo di crisi, che conferma l’importanza di scelte eque e sostenibili per l’economia turistica».
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