Prevenzione Oggi
Vol. 5, n. 3/4, 55-74
IMPATTO AMBIENTALE ED ECONOMICO DELLA GESTIONE DEI RIFIUTI INDUSTRIALI PRODOTTI DA AZIENDE A RISCHIO DI INCIDENTE RILEVANTE Enrico Carradori*, Laura Cutaia**, Giovanni Mastino** * Istituto Superiore per la Prevenzione e Sicurezza del Lavoro (ISPESL), Dipartimento Installazioni di Produzione e Insediamenti Antropici, Roma ** Amici della Terra Italia, Roma
(Parole chiave: rifiuti industriali, impatto ambientale, costi)
SINTESI CONTESTO - Il presente articolo descrive il lavoro di ricerca svolto dall’Associazione Amici della Terra Italia sul tema “analisi costi-benefici dello stoccaggio e/o smaltimento dei rifiuti industriali con particolare riferimento alle aziende di cui al D.Lgs. 334/99 e studio dell’impatto economico relativo” (Bando di ricerca ISPESL: B58/DIPIA/02, 2003-2005).
OBIETTIVI - La ricerca ha puntato a fornire indicazioni e valutazioni per massimizzare il riutilizzo/riciclo dei rifiuti al fine di diminuirne i costi, finanziari e ambientali, di gestione e smaltimento. METODI - A tal fine sono state analizzate le problematiche relative alla produzione e alla gestione dei rifiuti industriali in Italia, affrontando aspetti di tipo quantitativo e quelli più generali relativi alle innovazioni tecnologiche per il recupero di rifiuti speciali. La ricerca ha valutato gli aspetti di costi-benefici connessi con l’adozione di alcuni processi innovativi di recupero dei rifiuti come materie prime per settori di largo mercato, come le costruzioni, tenendo presente non solo i fattori di costo diretto ma anche quelli di costo indiretto (costi esterni) nonché i vantaggi anche economici derivanti dall’utilizzo di materiali recuperati in luogo di materie prime prelevate dall’ambiente.
RISULTATI - L’analisi dei dati ha evidenziato che mentre quelli relativi alla produzione e ai principali flussi della gestione dei rifiuti sono sistematicamente raccolti dagli enti preposti e pubblicati dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA, ex APAT) e dall’Osservatorio Nazionale sui Rifiuti (ONR), quelli relativi agli aspetti economici per le diverse modalità di gestione dei rifiuti non sono disponibili. La valutazione dei costi diretti è stata condotta con notevoli difficoltà, non potendo fare riferimento a prezzari ufficiali per alcuna tipologia di gestione o smaltimento. Inoltre, per quanto concerne i costi indiretti, detti anche costi esterni, dovuti ai danni ambientali, sanitari e sociali prodotti dalle attività di smaltimento dei rifiuti speciali,
BOW PO/base indexing: CIS: Rifiuti industriali [CIS: Gy]; Aspetti economici [CIS: Yo]; Inquinamento ambientale [CIS: Bubu]; Analisi delle cause degli incidenti [CIS: Qrua]; Lavoro e organizzazione industriale [CIS: K]; Prodotti industriali [CIS: G] EUOSHA OSH: Analisi dell’impatto economico [OSH: 24201E]; Inquinanti ambientali [OSH: 05521E]; Trattamento dei rifiuti [OSH: 61721D]; Infortuni, incidenti [OSH: 46441B] ATECO: Smaltimento dei rifiuti solidi, delle acque di scarico e simili [ATECO: 90]; Attività manifatturiere [ATECO: D]
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non esistendo studi sistematici specifici analoghi a quelli già realizzati da anni per alcuni settori produttivi, sono state realizzate adeguate valutazioni dei valori economici di danno utilizzando e adattando studi esistenti e facendo ricorso anche alle banche dati per la valutazione del ciclo di vita, che contengono anche informazioni relative agli impatti ambientali prodotti dai vari sistemi di gestione dei rifiuti. I risultati mettono in evidenza come, utilizzando processi di recupero messi a punto in Italia, le aziende potrebbero ottenere vantaggi economici notevoli (riduzione costi di smaltimento), consentendo anche alle amministrazioni pubbliche, nazionali e locali, di ridurre la sempre crescente spesa per mitigare gli impatti ambientali e sanitari derivanti dallo smaltimento dei rifiuti speciali.
INTRODUZIONE Il presente articolo riporta in sintesi i principali contenuti e risultati del lavoro di ricerca svolto dall’Associazione Amici della Terra riguardo alla tematica proposta dall’Istituto Superiore per la Prevenzione e la Sicurezza del Lavoro (ISPESL) attraverso un Bando di ricerca sul tema “analisi costi-benefici dello stoccaggio e/o smaltimento dei rifiuti industriali con particolare riferimento alle aziende di cui al D.Lgs. 334/99 e studio dell’impatto economico relativo” (Bando di ricerca ISPESL: B58/DIPIA/02). Il lavoro è stato svolto, su due annualità, tra il 2003 e il 2005. L’attività di ricerca ha riguardato le problematiche relative alla produzione e alla gestione dei rifiuti industriali in Italia, affrontando sia le informazioni di tipo quantitativo sia quelle più generali relative a importanti iniziative tecnologiche e di innovazione per il trattamento e la gestione dei rifiuti finalizzate sia alla massimizzazione del riutilizzo e del riciclo dei rifiuti, sia alla diminuzione della produzione a monte dei rifiuti stessi. Con riferimento all’analisi dei dati, si può evidenziare che mentre quelli relativi alla produzione e ai principali flussi della gestione dei rifiuti sono disponibili perché sistematicamente raccolti dagli enti preposti e pubblicati periodicamente dall’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA, ex Agenzia per la protezione dell’ambiente e per i servizi tecnici, APAT) e dall’Osservatorio Nazionale sui Rifiuti (ONR), altrettanto non si può dire per tutto ciò che concerne le informazioni di carattere economico circa le diverse modalità di gestione dei rifiuti. In particolare non è stato possibile fare riferimento a prezzari ufficiali per alcuna tipologia di gestione o smaltimento dei rifiuti stessi, motivo per cui la determinazione dei costi diretti ha presentato notevoli difficoltà. Non minori difficoltà sono state incontrate nella determinazione degli impatti prodotti dalla gestione e dallo smaltimento dei rifiuti speciali e in particolare nella stima dei cosiddetti ‘costi esterni’ (ossia i costi che ricadono sulla collettività in termini di danni ambientali, sociali, sanitari, etc.). Tuttavia, attraverso l’analisi di alcuni casi studio disponibili in letteratura e di diverse banche dati per la valutazione di ciclo di vita (LCA) è stato possibile ricavare alcune informazioni utili.
1. MATERIALI E METODI 1.1 Le aziende a rischio di incidente rilevante Il D.Lgs. 334/99 [1], che ha recepito la Direttiva 96/82/CE del Consiglio europeo del 9 dicembre 1996 nota come ‘Direttiva Seveso bis’1, si applica agli stabilimenti a rischio di incidente rilevante, ovvero alle aziende
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Con la pubblicazione del D.Lgs. 21 settembre 2005, n. 238 viene recepita nel nostro ordinamento la Direttiva 2003/105/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 dicembre 2003 che modifica la Direttiva 96/82/CE del Consiglio recepita nel nostro paese con il D.Lgs. 17 agosto 1999, n. 334 (cosiddetta Direttiva Seveso bis), sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose.
Impatto ambientale ed economico della gestione dei rifiuti industriali prodotti da aziende a rischio di incidente rilevante
pubbliche e private, ai depositi industriali operanti nel settore merceologico che presentano al loro interno sostanze pericolose in quantità tali da superare i limiti definiti nell’Allegato I del Decreto stesso. A differenza del precedente D.P.R. 175/88 [2], che prendeva in considerazione l’attività industriale, il D.Lgs. 334/99 è incentrato sulla valutazione della presenza di specifiche sostanze pericolose o preparati che sono individuati per categorie di pericolo e in predefinite quantità. Il D.Lgs. 334/99 detta disposizioni finalizzate a prevenire incidenti rilevanti (intesi in termini di emissioni accidentali, incendio o esplosione di grande entità) dovuti a sviluppi incontrollati durante l’attività dello stabilimento, in cui sono presenti sostanze pericolose che danno luogo a un pericolo grave, immediato o differito, per la salute umana o per l’ambiente. In particolare, questa norma stabilisce l’obbligo, per i proprietari e i gestori di depositi e impianti in cui sono stoccate o impiegate certe sostanze pericolose (in quantità tali da poter dar luogo a incidenti rilevanti), di adottare tutte le precauzioni finalizzate a evitare il verificarsi di incidenti e alla mitigazione delle conseguenze, qualora essi dovessero verificarsi. In base all’art. 5, comma 3, del D.Lgs. 334/99 il gestore degli stabilimenti industriali in cui sono presenti sostanze pericolose in quantità uguali o superiori a quelle indicate nell’Allegato I del Decreto: • deve presentare una relazione contenente informazioni relative al processo produttivo, alle sostanze pericolose presenti, alla valutazione dei rischi di incidente rilevante nonché una scheda di informazione che è contenuta nell’Allegato V. La relazione e la scheda devono essere inviate alla Regione territorialmente competente e al prefetto e aggiornate ogni 5 anni; • è obbligato, oltre a quanto disposto agli articoli 7 (politica di prevenzione degli incidenti rilevanti), 8 (rapporto di sicurezza) e 11 (piano di emergenza interno), a trasmettere agli organi competenti una notifica contenente informazioni relative al gestore o responsabile dello stabilimento, all’attività svolta dall’impianto e notizie che consentano di individuare le sostanze pericolose, la loro quantità e la loro forma fisica. La norma attuale introduce novità importanti rispetto al controllo dei pericoli da incidente rilevante: • ‘l’effetto domino’ (art. 12), ovvero individua gli stabilimenti per i quali la probabilità o la vicinanza o le conseguenze di un incidente rilevante possono essere maggiori a causa del luogo, della vicinanza degli stabilimenti stessi e dell’inventario delle sostanze pericolose presenti in essi; • lo studio delle aree a elevata concentrazione di stabilimenti (art. 13); • il controllo dell’urbanizzazione (art. 14) per contenere la vulnerabilità del territorio circostante a un’attività a rischio di incidente rilevante; • la maggiore informazione al pubblico e il maggior coinvolgimento della popolazione interessata nei processi decisionali relativi alla costruzione di nuovi stabilimenti, a modifiche sostanziali degli stabilimenti esistenti e alla creazione di insediamenti e infrastrutture attorno agli stessi. In Italia, secondo l’elenco predisposto dal Servizio Inquinamento Atmosferico e Rischi Industriali del Ministero dell’Ambiente in collaborazione con il Dipartimento Rischio Tecnologico e Naturale dell’ISPRA (ex APAT), sono stati censiti 1.094 stabilimenti a rischio di incidente rilevante. Nella Tabella 1 sono riportate le principali tipologie di aziende di cui al D.Lgs. 334/99. Le categorie di stabilimenti percentualmente più diffusi sul territorio italiano sono: • depositi di oli minerali (26,5%); • stabilimenti chimici e petrolchimici (25,6%); • depositi di gas liquefatti (22%).
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TABELLA 1 - Distribuzione nazionale degli stabilimenti soggetti agli obblighi degli artt. 6, 7 e 8 del D.Lgs. 334/99 suddivisi per tipologia di attività Attività
Stabilimenti (n)
Stabilimento chimico o petrolchimico Deposito di gas liquefatti Raffinazione petrolio Deposito di oli minerali Deposito di fitofarmaci Deposito di tossici Distillazione Produzione e/o deposito di esplosivi Centrale termoelettrica Galvanotecnica Produzione e/o deposito di gas tecnici Acciaierie e impianti metallurgici Altro TOTALE
Stabilimenti (%)
288 247 17 298 27 40 21 52 15 21 43 14 40 1.123
25,6 22,0 1,5 26,5 2,4 3,6 1,9 4,6 1,3 1,9 3,8 1,3 3,6 100
Fonte: Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio; elaborazione APAT al 31/12/2002
1.2 La produzione di rifiuti speciali Sebbene nella versione originale del progetto di ricerca, i dati relativi alla produzione di rifiuti industriali in Italia fossero riferiti principalmente a quanto riportato dal Rapporto Rifiuti 2003 dell’APAT - ONR [3] e al Primo Rapporto sui Rifiuti Speciali dell’Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente (ANPA) e ONR [4], il presente articolo è stato realizzato aggiornando i dati con quelli più recenti forniti dal Rapporto Rifiuti 2007 dell’ISPRA ex APAT [5]. Tra le fonti documentarie utilizzate, inoltre, vanno annoverate: l’Annuario statistico italiano 2002 a cura dell’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) [6], l’Annuario dei dati ambientali 2002 dell’APAT [7], la Relazione sullo stato dell’ambiente (varie edizioni) a cura del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare [8]. La Tabella 2 mostra la produzione di rifiuti speciali in Italia, relativamente agli anni 2004 -2005.
TABELLA 2 - Produzione di rifiuti speciali in Italia (tonnellate, anni 2004-2005)
Rifiuti speciali non pericolosi esclusi i rifiuti da C&D* Rifiuti speciali pericolosi Rifiuti speciali non pericolosi da C&D* Rifiuti speciali con CER** non determinato Rifiuti speciali con attività ATECO*** non determinata Totale
2004
2005
%
57.092.515 5.438.974 46.458.517 30.840 149.651
55.647.338 5.906.174 45.851.469 9.450 111.689
-2,53% 8,59% -1,31% -69,36% -25,37%
109.170.497
107.526.120
-1,51%
Fonte: APAT, Rapporto Rifiuti 2007 [5] Note: * C&D = costruzione e demolizione ** CER = Catalogo Europeo dei Rifiuti *** ATECO 2002 = è la versione nazionale della nomenclatura delle attività economiche nella Comunità europea, NACE Rev 1.1
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Impatto ambientale ed economico della gestione dei rifiuti industriali prodotti da aziende a rischio di incidente rilevante
I dati utilizzati per la stima della produzione dei rifiuti speciali effettuata dall’APAT sono tratti dalle dichiarazioni di Modello Unico di Dichiarazione ambientale (MUD)2 dell’anno 2006, presentato alle camere locali ai sensi dell’art. 189 del D.Lgs. 152/06 [9]. Mentre nel triennio 2003-2005 si è registrato un incremento della produzione totale di rifiuti speciali, compresi quelli da costruzione e demolizione (C&D), pari al 7%, un incremento dei rifiuti non pericolosi pari al 6,3% e un aumento dei rifiuti pericolosi pari al 9%, nel biennio 2004-2005 si è registrata una flessione del 2,5% dei rifiuti speciali non pericolosi, esclusi quelli da C&D, e un incremento dell’8,6%, dei rifiuti speciali pericolosi. Tuttavia la diminuzione della produzione di rifiuti speciali non pericolosi risulta essere solo una diminuzione apparente poiché derivata dall’introduzione dell’esonero dall’obbligo di dichiarazione MUD da parte dei produttori di tale tipologia di rifiuto. Per quanto riguarda la distribuzione geografica della produzione di rifiuti speciali questi sono perlopiù prodotti dalle regioni del Nord, con un 62,1% nel 2005, mentre Centro e Sud incidono in misura abbastanza simile (rispettivamente 16,7% e 21,2%). Secondo la Tabella 3 la produzione di rifiuti media pro-capite nel 2005 è risultata pari a circa 1.048 kg/abitante di cui 947 kg di rifiuti non pericolosi, 101 kg pericolosi. Da evidenziare ancora una volta la diversa distribuzione geografica della produzione di rifiuti che vede il Nord con una produzione media per abitante pari a circa 1.410 kg, mentre il centro e il sud presentano valori piuttosto vicini, 850 kg/abitante e 691 kg/abitante rispettivamente. TABELLA 3 - Produzione di rifiuti speciali in Italia nel 2005 (complessiva e pro-capite)
Rifiuti speciali non pericolosi esclusi i rifiuti da C&D (t) Rifuti speciali pericolosi (t) Totale Rifiuti (t) Rifiuti speciali non pericolosi esclusi i rifiuti da C&D (kg/ab*anno) Rifuti speciali pericolosi (kg/ab*anno) Totale Rifiuti (kg/ab*anno)
Nord
Centro
Sud
Totale
33.363.831 4.233.432 37.597.263 1.251 159
8.931.953 685.968 9.617.921 789 61
13.351.554 986.774 14.338.328 643 48
55.647.338 5.906.174 61.553.512 947 101
1.410
850
691
1.048
Fonte: APAT, Rapporto Rifiuti 2007 [5] Note: C&D = costruzione e demolizione
La Tabella 4 riporta la produzione di rifiuti in Italia nel 2005, suddivisa secondo il codice del Catalogo Europeo dei Rifiuti (CER), dell’Elenco Europeo dei Rifiuti (Decisione 2000/532/CE come modificata dalle decisioni 2001/118/CE, 2001/119/CE e 2001/573/CE) [10] e mostra che, dal punto di vista quantitativo, le categorie di rifiuti speciali non pericolosi che incidono maggiormente sono: • i rifiuti da costruzione e demolizioni (macrocategoria 17), con 45,9 milioni di tonnellate, pari al 42,6% del totale; • i rifiuti da impianti di trattamento dei rifiuti e delle acque reflue fuori sito (macrocategoria 19), con 15,4 milioni di tonnellate, pari al 14,4% del totale; • i rifiuti inorganici prodotti da processi termici (macrocategoria 10), con 11,9 milioni di tonnellate, pari all’11% del totale; • i rifiuti della prospezione, estrazione e lavorazione di minerali e materiali di cava (macrocategoria 01), con 5,9 milioni di tonnellate, pari al 5,5% del totale;
2
Modello Unico di Dichiarazione ambientale (MUD), è un modello in cui indicare la quantità e qualità dei rifiuti speciali e non prodotti e/o smaltiti nell’anno dalle attività economiche con oltre dieci lavoratori che è obbligatorio presentare ogni anno alla Camera di commercio locale.
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• i rifiuti prodotti dalla lavorazione e trattamento fisico meccanico superficiale di metalli e plastica (macrocategoria 12), con 4,2 milioni di tonnellate, pari al 3,9% del totale; • i rifiuti di imballaggio (macrocategoria 15) con 3,9 milioni di tonnellate; • i rifiuti prodotti da agricoltura, caccia e pesca (macrocategoria 02) con 3,1 milioni di tonnellate. Per quanto riguarda invece i rifiuti speciali pericolosi le categorie che incidono maggiormente dal punto di vista quantitativo, sono: • i rifiuti da processi chimici organici (macrocategoria 07), con 1,03 milioni di tonnellate, pari a circa l’1% del totale prodotto; • i rifiuti da impianti di trattamento rifiuti e delle acque (macrocategoria 19), con 0,83 milioni di tonnellate, pari allo 0,78% del totale; • i rifiuti da operazioni di costruzione e demolizione (macrocategoria 17), con 0,80 milioni di tonnellate, pari allo 0,75% del totale; • i rifiuti non specificati altrimenti nell’elenco (macrocategoria 16), con 0,67 milioni di tonnellate, pari allo 0,62 % del totale; • i rifiuti inorganici prodotti da processi termici (macrocategoria 10), con 0,55 milioni di tonnellate, pari allo 0,51% del totale; • gli oli esauriti e residui di combustibili liquidi (macrocategoria 13), con 0,54 milioni di tonnellate, pari allo 0,50%; • i rifiuti prodotti dalla lavorazione e dal trattamento superficiale di metalli e plastica (macrocategoria 12) con 0,47 milioni di tonnellate; • i rifiuti prodotti dal trattamento chimico superficiale (macrocategoria 11) con 0,37 milioni di tonnellate.
TABELLA 4 - Produzione di rifiuti speciali suddivisi per codice del Catalogo europeo dei rifiuti (CER) 2002 (anno 2005) CER 01 Rifiuti derivanti da prospezione, estrazione da miniera o cava, nonché dal trattamento fisico o chimico di minerali 02 Rifiuti prodotti da agricoltura, orticoltura, acquacoltura, selvicoltura, caccia e pesca, trattamento e preparazione di alimenti 03 Rifiuti della lavorazione del legno e della produzione di pannelli, mobili, polpa, carta e cartone 04 Rifiuti della lavorazione di pelli e pellicce e dell’industria tessile 05 Rifiuti della raffinazione del petrolio, purificazione del gas naturale e trattamento pirolitico del carbone 06 Rifiuti dei processi chimici inorganici 07 Rifiuti dei processi chimici organici 08 Rifiuti della produzione, formulazione, fornitura ed uso di rivestimenti (pitture, vernici e smalti vetrati), adesivi, sigillanti e inchiostri per stampa 09 Rifiuti dell’industria fotografica 10 Rifiuti provenienti da processi termici 11 Rifiuti prodotti dal trattamento chimico superficiale e dal rivestimento di metalli ed altri materiali; idrometallurgia non ferrosa 12 Rifiuti prodotti dalla lavorazione e dal trattamento fisico e meccanico superficiale di metalli e plastica 13 Oli esauriti e residui di combustibili liquidi (tranne oli commestibili, 05 e 12) 14 Solventi organici, refrigeranti e propellenti di scarto (tranne le voci 07 e 08)
Rifiuti speciali non pericolosi t
Rifiuti speciali pericolosi t
5.910.990
37.697
3.145.142
70
2.633.154
13.024
585.942 41.873
733 97.402
874.715 446.262 852.046
112.523 1.034.549 51.429
7.605 11.866.522 101.336
51.169 550.153 372.540
4.225.089
469.150
37
540.727 46.374 Continua
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Segue Tabella 4
Rifiuti speciali non pericolosi t
CER 15 Rifiuti di imballaggio, assorbenti, stracci, materiali filtranti e indumenti protettivi (non specificati altrimenti) 16 Rifiuti non specificati altrimenti nell’elenco 17 Rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione (compreso il terreno proveniente da siti contaminati) 18 Rifiuti prodotti dal settore sanitario e veterinario o da attività di ricerca collegate 19 Rifiuti prodotti da impianti di trattamento dei rifiuti, impianti di trattamento delle acque reflue fuori sito 20 Rifiuti urbani (rifiuti domestici e assimilabili prodotti da attività commerciali e industriali nonché dalle istituzioni) Totale CER 01-20 Istat attività n.d. CER n.d. Totale
Rifiuti speciali pericolosi t
3.895.535
73.849
2.637.188 45.851.469
666.114 803.405
5.253 15.448.326
142.781 833.554
2.970.323
8.931
101.498.807 95.046
5.906.174 16.643 9.450 107.526.120
Fonte: APAT, Rapporto Rifiuti 2007 [5]
La Tabella 5 riporta la produzione di rifiuti speciali in Italia nel 2005, distinta per attività economica come da codici ATECO 20023 e per tipologia di rifiuto (pericoloso/non pericoloso). I comparti che maggiormente contribuiscono alla produzione di queste tipologie di rifiuti sono: • per i rifiuti speciali non pericolosi: - trattamento rifiuti e depurazione acque di scarico, che incide per circa il 22%; - produzione metalli e leghe, per circa il 15%; - industria minerali non metalliferi, per circa il 9%; - altre industrie manifatturiere, per circa il 7%. • per i rifiuti speciali pericolosi: - industria chimica, 20%; - trattamento rifiuti e depurazione acque di scarico, 16%; - produzione metalli e leghe, 14%; - commercio, riparazioni e altri servizi, 9,03%. TABELLA 5 - Produzione di rifiuti speciali in Italia nel 2005 suddivisi per codice ATECO 2002* Codice Rifiuti speciali Rifiuti speciali attività non pericolosi pericolosi ATECO t esclusi i C&D** t t Agricoltura e pesca Industria estrattiva Industria alimentare Industria tabacco Industria tessile
01-05 10-14 15 16 17
449.826 980.598 2.975.525 7.653 361.206
7.106 32.119 12.895 65 43.366 Continua
3
ATECO 2002 è la versione nazionale della nomenclatura delle attività economiche nella Comunità europea, NACE Rev 1.1.
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Segue Tabella 5
Codice Rifiuti speciali Rifiuti speciali attività non pericolosi pericolosi ATECO t esclusi i C&D** t t Confezioni vestiario; preparazione e tintura pellicce Industria conciaria Industria legno, carta e stampa Raffinerie petrolio, fabbricazione coke Industria chimica Industria gomma e materie plastiche Industria minerali non metalliferi Produzione metalli e leghe Fabbricazione e lavorazione prodotti metallici, escluse macchine ed impianti Fabbricazione apparecchi elettrici, meccanici ed elettronici Fabbricazione mezzi di trasporto Altre industrie manifatturiere Produzione energia elettrica, acqua e gas Costruzioni Commercio, riparazioni e altri servizi Trasporti e comunicazione Intermediazione finanziaria, assicurazioni ed altre attività professionali Pubblica amministrazione, istruzione e sanità Trattamento rifiuti e depurazione acque di scarico Altre attività di pubblico servizio Non Determinato (N.D.) Totale
18 19 20-22 23 24 25 26 27 28 29-33 34-35 36-37 40-41 45 50-55 60-64 65-74 75-85 90 91-99
76.283 416.621 3.407.548 298.804 3.390.661 612.053 4.952.265 8.549.962 2.587.168 1.277.205 690.599 3.734.138 3.607.238 903.702 2.404.245 719.700 401.933 433.516 12.254.270 154.619 95.046 55.742.384
1.661 6.436 56.509 136.178 1.177.001 146.039 45.320 830.308 327.031 275.131 163.037 242.097 190.066 287.572 534.548 157.070 66.948 186.893 946.469 34.309 16.643 5.922.817
Fonte: APAT, Rapporto Rifiuti 2007 [5] Note: * ATECO 2002 = è la versione nazionale della nomenclatura delle attività economiche nella Comunità europea, NACE Rev 1.1 ** C&D = costruzione e demolizione
1.3 La gestione dei rifiuti speciali in Italia Secondo il Rapporto Rifiuti 2007 dell’APAT [5] nel 2005 in Italia i rifiuti speciali sono stati sottoposti alle seguenti attività di gestione: • • • • • • •
recupero di energia (2,6%); recupero di materia (48,6%); messa in riserva (11,2%); smaltimento in discarica (19,4%); incenerimento (1,1%); altre operazioni di smaltimento (14,6%); deposito preliminare (2,5%).
I rifiuti gestiti nel 2005 (Tabella 6) sono stati complessivamente 101,6 milioni di tonnellate (93% rifiuti speciali non pericolosi, 7% pericolosi) rispetto a una produzione di oltre 107,5 milioni di tonnellate. L’indagine dell’APAT ha rilevato che 52,1 milioni di tonnellate sono destinate a operazioni di recupero, mentre 35,7 milioni di tonnellate sono avviate a operazioni di smaltimento.
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TABELLA 6 - Quadro sinottico dei diversi sistemi di gestione dei rifiuti speciali in Italia nel 2005 Totale (t) Recupero di rifiuti speciali non pericolosi (R1-R13)* Recupero di rifiuti speciali pericolosi (R1-R13)*
61.562.740 1.937.419
Smaltimento di rifiuti speciali non pericolosi (D1-D15)* Smaltimento di rifiuti speciali pericolosi (D1-D15)*
13.994.643 4.432.999
Coincenerimento di rifiuti speciali non pericolosi Coincenerimento di rifiuti speciali pericolosi Coincenerimento di combustibile derivato dai rifiuti (CDR) Coincenerimento rifiuti urbani (RU) Incenerimento rifiuti speciali non pericolosi Incenerimento rifiuti speciali pericolosi Trattamento chimico e biologico di rifiuti speciali non pericolosi Trattamento chimico e biologico di rifiuti speciali pericolosi Trattamento chimico e biologico di rifiuti urbani
2.537.761 133.006 163.172 30.762 603.377 520.632 5.094.284 2.317.658 158.207
Fonte: APAT, Rapporto Rifiuti 2007 [5] Note: * La Direttiva 2006/12/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 aprile 2006 relativa ai rifiuti, attribuisce dei codici ‘D’ - da D1 a D15 - alle operazioni di smaltimento elencate e dei codici ‘R’ - da R1 a R13 - alle operazioni di recupero elencate come avvengono nella pratica. Ai sensi dell’art. 4, i rifiuti devono essere recuperati senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che possano recare pregiudizio all’ambiente.
L’analisi della situazione impiantistica italiana per lo smaltimento dei rifiuti industriali è relativa all’anno 1999 e i dati sono stati tratti dalla pubblicazione Rapporto Rifiuti 2002, APAT-ONR [11]. Gli impianti censiti relativi allo smaltimento dei rifiuti industriali sono riconducibili a quattro categorie: • impianti di incenerimento; • impianti di discarica di tipo A, di tipo B e di tipo C, secondo la classificazione della D.P.R. 915/82 [12]. In Italia quindi il numero totale degli impianti esistenti può essere così riassunto: • • • •
149 inceneritori per rifiuti industriali di cui 80 al nord, 26 al centro e 43 al sud; 544 discariche di tipo A per rifiuti industriali di cui 439 al nord, 42 al centro e 63 al sud; 140 discariche di tipo B per rifiuti industriali di cui 82 al nord, 27 al centro e 31 al sud; 10 discariche di tipo C per rifiuti industriali di cui 3 al nord, 2 al centro e 5 al sud.
1.4 Trattamento dei rifiuti speciali Sulla base dei dati forniti dall’ISPRA ex APAT [5] è possibile richiamare i principali impianti di trattamento per il riciclaggio o il recupero dei rifiuti speciali e i relativi impatti ambientali che essi provocano: • Impianti che utilizzano i rifiuti come combustibile (R1)4: i prodotti della combustione sono sostanzialmente fumi e residui di combustione. Per quanto concerne i fumi, gli inquinanti prodotti sono: ossidi di azoto,
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La Direttiva 2006/12/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 aprile 2006 relativa ai rifiuti, attribuisce dei codici ‘D’ - da D1 a D15 - alle operazioni di smaltimento elencate e dei codici ‘R’ - da R1 a R13 - alle operazioni di recupero elencate come avvengono nella pratica. Ai sensi dell’art. 4, i rifiuti devono essere recuperati senza pericolo per la salute dell’uomo e senza usare procedimenti o metodi che possano recare pregiudizio all’ambiente.
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zolfo, monossidi di carbonio, particolato, diossina, furani e metalli pesanti. Per quanto concerne i residui di combustione troviamo metalli pesanti e particolato. Impianti di rigenerazione/recupero solventi (R2) - poiché questa operazione viene attuata principalmente per distillazione, il concentrato rimanente conterrà del solvente con parecchi rifiuti da considerarsi pericolosi che dovrà essere smaltito da centri autorizzati. Impianti per il riciclaggio/recupero delle sostanze organiche (non solventi) (R3) - quest’operazione comprende sia il compostaggio dei rifiuti dell’industria agro-alimentare e dei fanghi avviati assieme ai rifiuti urbani negli impianti di compostaggio, sia i rifiuti dell’attività dell’industria cartaria e del legno avviati ad altre tipologie di impianti di recupero. Questa operazione dovrebbe comprendere una separazione di sostanze plastiche e vetro e di altri rifiuti solidi non compatibili (che dovrebbero essere a loro volta riciclati o finire in discarica) dalla massa che invece verrà avviata a compostaggio. Impianti per il riciclo/recupero di metalli o composti metallici (R4) - questo recupero risulta l’operazione più frequente per i rifiuti speciali pericolosi. Include il recupero delle batterie esauste e il recupero dell’alluminio secondario. Gli impatti provocati sono principalmente emissioni di metalli pesanti, di acido solfidrico e cloridrico. Impianti per il riciclo/recupero di altre sostanze inorganiche (R5) - questo recupero è il maggiormente rappresentato rispetto a tutte le altre operazioni di recupero. Questa operazione comprende molte attività di recupero, dalla produzione di laterizi alla produzione di cemento, di materiali per l’edilizia. Vi sono elevate quantità di inerti riutilizzati, anche se il trattamento cui vengono sottoposti risulta nullo o spesso inadeguato. Il recupero di queste sostanze inorganiche invece consta nel loro impiego per ripristini e rimodellamenti ambientali, nella ricopertura giornaliera di discariche, o per il riutilizzo, previa riduzione granulometrica, nello stesso cantiere di provenienza. Spandimento sul suolo a beneficio dell’agricoltura e dell’ecologia (R10) - questa operazione vede l’uso agricolo di fanghi di depurazione delle acque reflue urbane e industriali e le operazioni di ripristino ambientale con l’utilizzo di rifiuti derivanti dalla lavorazione lapidee, da C&D e da altre lavorazioni industriali. I maggiori impatti ambientali che questi processi possono generare sono le emissioni di diossina, di policlorobifenili (PCB), di metalli pesanti, di solfati e di cloruri.
Queste categorie di trattamento dei rifiuti comportano, quindi, due diversi tipi di impatto che possono essere sinteticamente schematizzati come: • impatti diretti dovuti alle emissioni in aria e in acqua dei processi stessi con la diffusione nell’ambiente di sostanze inquinanti, come quelle sopra elencate, l’abbattimento di una buona parte di esse e il loro smaltimento come rifiuti secondo una delle procedure elencate nel paragrafo successivo; • impatti indiretti dovuti alla reimmissione nell’ambiente di materiali comunque contenenti sostanze inquinanti in piccole quantità ma che nel tempo ed attraverso i percorsi biogeochimici possono accumularsi in alcuni esseri viventi e determinare danni nel medio - lungo termine a qualche ecosistema. In Italia, le più diffuse modalità di gestione dei rifiuti industriali prevedono il loro smaltimento attraverso: • la combustione in impianti appositi o in cementifici come aggiunta in porzioni limitate (5-10%) ai combustibili convenzionali. Nel primo caso possono essere prodotte ceneri, volanti e di caldaia, che in genere sono sottoposte ad inertizzazione e messe in discarica (cfr. punto successivo); • l’inertizzazione e messa in discarica.
1.5 Applicazioni sperimentali per la riduzione del flusso di rifiuti industriali Sono riportati in sintesi alcuni esempi di progetti finalizzati a ridurre il flusso dei rifiuti industriali. • La produzione di ceneri da combustibili fossili e da inceneritori di rifiuti urbani e speciali, specialmente le frazioni leggere (ceneri volanti) raccolte nei sistemi di filtraggio, è da considerare come settore critico per la presenza dei materiali in esse contenute (metalli pesanti), per le elevate quantità prodotte a livello nazionale (ca. 1 milione di tonnellate/anno), per le difficoltà di trattamento e per l’elevato impatto ambientale 64
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che può determinare. Questi rifiuti in molti casi sono conferiti a cementifici che le utilizzano come apporto di sostanza silicea in un processo tale da consentire una cattura relativamente efficace dei materiali pericolosi in essi contenuti. Tuttavia, l’inclusione nel cemento e la sua successiva destinazione come materiale da costruzione esposto spesso a degrado da parte degli agenti atmosferici non assicura una destinazione stabile di queste sostanze nel tempo. Recentemente sono stati sviluppati processi per l’utilizzazione di questi rifiuti come materia prima per produzione di vetro e fibre vetrose che consentono la cattura definitiva dei materiali pericolosi e la loro inclusione in un prodotto che risulta inerte, ma che è destinato ad essere riciclato un numero infinito di volte [13]. Un settore che può essere considerato critico per le quantità di rifiuti prodotti è quello della produzione dei materiali inerti e delle escavazioni per opere civili che mette in circolazione decine di milioni di tonnellate di materiali l’anno. Finora una porzione rilevante dei materiali cavati e/o scavati (dal 50 al 100%) è stata destinata a rifiuto in quanto non immediatamente rispondente alle norme tecniche relative all’uso di materiali inerti nella costruzione di opere civili e nella produzione del calcestruzzo, norma CNR-UNI 10006/02 [14]. Tuttavia, accurati studi condotti alla fine degli anni ‘90 [15] hanno dimostrato che praticamente tutti i materiali cavati o escavati potrebbero essere utilizzati in vari applicazioni, attraverso semplici trattamenti, con costi nettamente inferiori ai costi di messa a discarica. Peraltro, queste prospettive sono oggi fortemente concordanti con le nuove norme europee sui materiali inerti che sono in corso di adozione anche in Italia e che prevedono la certificazione dei materiali inerti in rapporto alle prestazioni che devono assolvere e non più in rapporto alla loro provenienza ‘geologica’ come richiesto dalla vecchia normativa italiana. Vari settori produttivi, in particolar modo il settore della chimica, della concia, del metallurgico, malgrado notevoli impegni per il recupero di reagenti, solventi, bagni, etc., si trova a dover smaltire quantitativi consistenti di rifiuti a costi anche considerevoli. Un’attenta analisi di questi rifiuti è stata condotta negli anni passati al fine di valutare, sperimentare e dimostrare la loro utilizzazione per produzione di materiali inerti a fini strutturali e non che avessero caratteristiche innovative e convenienti anche nei confronti delle prestazioni ambientali dei prodotti finali. In particolare è stata condotta una dimostrazione industriale per il trattamento termico [16] di rifiuti provenienti dalla produzione di acciaio, da processi conciari, dalla depurazione delle acque, dall’industria chimica, dall’industria cartaria e dall’industria tessile, per la produzione di aggregati leggeri impiegati per produrre calcestruzzi leggeri (densità ca. 1 kg/dm3). Questi materiali possono essere utilizzati anche in elementi strutturali e hanno dimostrato avere caratteristiche di isolamento termico e acustico molto migliori dei materiali tradizionali. Altri settori critici sono quelli dei trattamenti e rivestimenti superficiali, nei quali peraltro negli ultimi anni sono da registrare sensibili passi avanti dovuti tanto alla diffusione di sistemi di contenimento (e quindi di recupero delle sostanze utilizzate per il trattamento/rivestimento) imposti dalle norme, quanto ad innovazioni che hanno consentito di eliminare dai trattamenti molte sostanze pericolose (ad es. cianuri, etc.). Per la pericolosità dei materiali trattati, un settore critico che non può essere sottaciuto è quello dei rifiuti contenenti amianto derivanti dallo smantellamento di molte strutture produttive (edifici, navi, treni, etc.). Si tratta di un settore per il quale non esiste ancora in Italia un sistema di smaltimento consolidato nonostante le molte sperimentazioni di processi di trattamento termico di inertizzazione in matrici varie (cementizie, vetrose, etc.). In Italia, per questo materiale non si dispone di sistemi diversi dalla discarica e per soluzioni diverse si deve ricorrere a servizi offerti in altri paesi con aumento consistente del costo di trasporto. Situazione analoga a quella del punto precedente si ha per lo smaltimento dei PCB, molto diffusi nell’industria elettrica come additivi per gli oli di raffreddamento dei trasformatori, per i quali si deve ricorrere a servizi al di fuori del territorio italiano. Il riciclaggio delle batterie in Italia ha incontrato molte difficoltà; nonostante le precise disposizioni normative che hanno istituito un sistema di raccolta e di gestione di questi rifiuti (Consorzio Nazionale Batterie Esauste, COBAT, istituito con il D.Lgs. 22/97 [17]) e la buona funzionalità di alcuni impianti dedicati al recupero delle tre frazioni principali (acido, plastica e piombo), si è assistito negli ultimi anni a forme di raccolta, deposito e trattamento non corrette da parte di operatori non in grado di coprire con adeguate tecnologie l’intero ciclo di recupero dei materiali che hanno certamente determinato impatti ambientali notevoli. 65
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1.6 I costi dello smaltimento dei rifiuti speciali La gestione dei rifiuti speciali comporta una serie di oneri economici che possono essere distinti in due grandi categorie: • oneri diretti • oneri indiretti. Nella prima categoria rientrano tutti i costi diretti di gestione, smaltimento e trattamento derivanti dagli oneri di legge da una parte e dai veri e propri costi operativi dall’altra. Nella seconda categoria rientrano tutte quelle voci di costo, non altrimenti contabilizzate, derivanti dagli impatti ambientali e sociali delle diverse modalità di gestione dei rifiuti speciali che, normalmente, non sono pagate da chi produce i rifiuti, ma dalla collettività. Fino a qualche anno addietro il costo di trattamento/smaltimento di queste categorie di rifiuti era relativamente elevato (in media compreso tra 0,5 e 2,5 euro/kg) ed ha motivato un numero cospicuo di ricerche per la riduzione dei rifiuti, purtroppo prevalentemente attraverso sistemi di trattamento a valle, ma anche attraverso la rianalisi dei processi e la loro evoluzione verso un uso più efficiente dei materiali.
1.6.1 I costi diretti di smaltimento e trattamento dei rifiuti speciali L’analisi dei costi diretti di smaltimento dei rifiuti industriali risulta estremamente difficoltosa dal momento che, in Italia, non esiste un prezzario standardizzato cui fare riferimento, né a livello nazionale, né a livello locale. L’Agenzia Regione Recupero Risorse (ARRR) in Toscana a proposito dei costi di smaltimento dei rifiuti industriali asserisce che [18]: • non esistono prezzari riconosciuti da organi formalmente delegati a questo; • anche le istituzioni hanno difficoltà a definire tariffe specifiche; • la grande varietà di situazioni e l’incertezza della composizione dei rifiuti richiede la definizione di un costo caso per caso; • l’intervallo di variabilità dei costi per chilogrammo (dati 2005) va da circa 8 centesimi a 80 centesimi di euro, con punte, per casi particolarmente complessi, di 1 euro; • queste tariffe comprendono il costo di inertizzazione e quello di messa in discarica, ma non il costo di trasporto. I soggetti maggiormente accreditati a livello nazionale (ad es. Agenzia Regione Recupero Risorse, Borsa del recupero, Albo degli smaltitori) pur effettuando rilevazioni periodiche e sistematiche anche sullo smaltimento di rifiuti industriali, non dispongono di alcuna forma di prontuario di tali costi. In pratica, per ogni impianto (non solo per tipologia di impianto) si dovrebbe espletare un’analisi accurata di tutti i parametri di costo e valutare il costo complessivo. Gli stessi gestori degli impianti non dispongono di valutazioni adeguate in quanto i servizi che offrono sono costituiti da processi composti da varie fasi di lavoro che spesso restano aperte, ovvero non si concludono con lo smaltimento immediato dei rifiuti o con il loro recupero e reinserimento nel mercato commerciale. Pertanto, vi sono voci di costo che restano affidate a future operazioni delle quali non esiste alcuna certezza né dimensione di costo e, quindi, ci si affida a stime orientative finalizzate a produrre su base trimestrale, semestrale o annuale, un’adeguata copertura dei costi correnti, un profitto consistente ed eventuali utili da destinare ad investimenti. In tal modo l’attività di trattamento dei rifiuti speciali, non essendo dimensionata su valutazioni economiche certe nel tempo e nelle singole voci, si è dimostrata di volta in volta produttrice di perdite o al contrario fonte di notevole profitto. Più in generale ci si affida a contrattazioni singole per ogni lotto di attività con tariffe che dipendono da fattori esterni ai costi effettivi (disponibilità di spazi di messa in riserva o in discarica, urgenza del produttore di rifiuti, disponibilità di altre potenziali offerenti, distanza del trasporto, problemi amministrativi e pratici di trasporto etc.). Le poche informazioni disponibili riguardano i costi di smaltimento in discarica, di incenerimento e di trattamento in impianti di tipo biologico e chimico-fisico (dati 2005):
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• discarica • inceneritore • trattamento biologico e chimico-fisico
5 - 10 centesimo di euro/kg; 10 - 20 centesimo di euro/kg; 10 - 20 centesimo di euro/kg.
Questi costi indicativi possono, comunque, essere utilizzati come riferimento per valutare in termini generali le dimensioni economiche del sistema ed i potenziali vantaggi che metodi alternativi possono offrire, tanto dal punto di vista ambientale che economico. In breve, essi possono essere usati per un’analisi di costo/beneficio rispetto a scenari tecnologici ed organizzativi alternativi. Anche i costi di trattamento per rifiuti che vengono poi effettivamente riutilizzati (ad es. da costruzione e demolizione) o per autovetture ed altri beni di consumo a fine vita non seguono un tariffario preciso ma dipendono da condizioni locali spesso variabili in modo sensibile in base alla capacità delle imprese che eserciscono questi servizi di organizzarli in modo efficiente al fine di conseguire un utile economico anche praticando tariffe ridotte. In questo campo il costo di trattamento si aggira intorno ai 5-10 centesimi di euro/kg essendo determinato principalmente dai costi fissi delle aree e delle infrastrutture di messa riserva dei materiali e delle operazioni di smontaggio. Il costo di smaltimento delle varie categorie di rifiuti (inerti, speciali, solidi, pericolosi, etc.) è molto variabile e, pertanto, sono state raccolte informazioni solo per specifici e più rilevanti settori industriali, per i rifiuti caratterizzati da maggiore dimensione dei relativi flussi, o per le loro caratteristiche in funzione della loro gestione e del loro eventuale riutilizzo.
1.6.2 I costi esterni della gestione dei rifiuti speciali In ambito economico e scientifico sono convenzionalmente definiti con il termine ‘esternalità’ gli effetti prodotti da un’attività che ricadono non solo su di essa, ma anche sulla collettività. La presenza di esternalità determina un imperfetto funzionamento delle leggi di mercato; infatti, se i costi esterni sono sopportati da terzi e non vengono incorporati nei prezzi di mercato, questi ultimi non sono in grado di assolvere in maniera corretta la loro principale funzione, cioè regolare l’equilibrio tra domanda e offerta. Il progetto ExternE (Externalities of Energy) [19], avviato nel 1991 dalla Commissione europea in collaborazione con il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti d’America, è il primo studio organico che si occupa di valutare i costi esterni generati dai cicli dei combustibili per la produzione di elettricità. La ricerca, che ha coinvolto oltre cinquanta gruppi di lavoro europei, ha visto la collaborazione di molteplici figure professionali: economisti, ecologisti, specialisti di ambiente, energia e salute, chimici dell’atmosfera, studiosi di modelli atmosferici, specialisti di software e computer. Tra i principali meriti del progetto ExternE figura l’aver definito in modo chiaro un metodo di analisi e di stima quantitativa degli impatti, in grado di consentire il confronto tra diverse tecnologie di produzione di elettricità. Inoltre, la quantificazione monetaria di tali impatti ha consentito di poter ragionare con un’unica unità di misura, la moneta, rendendo il confronto tra le diverse tecnologie ancora più efficace. Allo smaltimento dei rifiuti è associata una vasta tipologia di sentieri d’impatto o di rischio, molti dei quali di complessa e incerta quantificazione. Ciononostante, sono sempre più numerosi gli studi che applicano a questo tipo di attività tecniche di valutazione dei costi esterni. I principali fattori di impatto associabili alle diverse tipologie di rifiuto sono: emissioni di gas serra, emissioni di inquinanti nocivi per la salute e dannosi per l’agricoltura (prodotti da combustione), rischi sanitari professionali da agenti biologici (virus, batteri, funghi, etc.), danno estetico - percettivo (cattivi odori, impatto paesistico, etc.), rischi da incendi e, non ultimi, i rischi di danno ambientale nel lungo periodo (normalmente dopo la chiusura di una discarica). Occorre, inoltre, tenere conto delle possibilità di recupero energetico offerte dalle varie modalità di smaltimento, alle quali corrispondono costi esterni evitati. Al termine di una vasta rassegna critica della letteratura e dei dati disponibili, sono stati individuati i valori monetari di danno differenziati per le seguenti modalità di smaltimento [20]: • discarica o termovalorizzazione per i Rifiuti Solidi Urbani (RSU) e assimilati; • discarica per inerti;
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• discarica o termovalorizzazione per rifiuti speciali; • discarica per rifiuti pericolosi. I dati disponibili hanno consentito di valutare le seguenti componenti di costo in relazione ai sentieri d’impatto tipici di ciascuna modalità di smaltimento: • i costi ambientali associati alle emissioni di gas serra (CO2 e CH4); • i costi ambientali (danni sanitari, all’agricoltura e ai materiali) associati alle emissioni dei principali inquinanti atmosferici (PM10, NOx, SO2, COVNM, cadmio, diossine e furani); • il danno estetico - percettivo; • i costi esterni ‘post-chiusura’ delle discariche: si tratta dei costi di quelle attività, successive alla chiusura della discarica, finalizzate alla prevenzione del danno ambientale nel lungo periodo (manutenzione ordinaria e straordinaria, depurazione del percolato, monitoraggio, bonifica di eventuali ricettori inquinati); • i costi esterni ambientali evitati dall’eventuale recupero di elettricità. Sono stati assunti i seguenti valori medi di recupero energetico per tonnellata di rifiuto: - termovalorizzazione RSU - 888 kWh; - termovalorizzazione rifiuti speciali - 1.184 kWh; - produzione di energia elettrica da biogas di discarica per RSU - 48 kWh; - nessun recupero energetico per le altre tipologie di discarica. La stima dei costi post-chiusura delle discariche per RSU (Tabella 7) è avvenuta a partire dai costi operativi (costi del personale, della strumentazione, della manutenzione ordinaria) di 10 discariche della Regione Emilia Romagna. Nel complesso, l’incidenza dei costi post-chiusura sugli attuali costi medi di gestione in Italia risulta pari a circa il 50% [21]. TABELLA 7 - Costi di post-chiusura di 10 discariche per RSU - Emilia Romagna
Voci di costo della fase di post-chiusura calcolati su 30 anni
Costi (media ponderata su 10 discariche)
Personale (analisi, controlli, manutenzione) (Mlire97) Energia (Mlire97) Manutenzione ordinaria (Mlire97) Depurazione percolato (Mlire97) Strumentazione (Mlire97) Manutenzione straordinaria (Mlire97) Rivegetazione (Mlire97)
7.813 4.402 7.615 15.788 4.977 3.807 10.705
Costi totali - media ponderata su 10 discariche (Mlire97)
55.107
Costi totali senza rivegetazione (Mlire97)
44.402
Costi/t RSU - media ponderata su 10 discariche (lire97)
64.670
Costi/t RSU senza rivegetazione (lire97) Capacità assoluta media delle 10 discariche (t) Superficie media delle 10 discariche (m2)
53.374 599.611 122.487
Fonte: Regione Emilia Romagna, 1990 [21]; elaborazione Amici della Terra Italia Note: Mlire97 = milioni di lire, valuta 1997 lire97 = lire, valuta 1997 t = tonnellate I valori monetari riferiti al 1990 nello studio citato nella fonte, sono stati rivalutati ai valori monetari del 1997 da parte dell’Associazione Amici della Terra Italia. I costi di post-chiusura delle discariche si calcolano sui danni attesi su un periodo di circa 30 anni, trascorsi i quali i danni marginali e di conseguenza i costi esterni diventano trascurabili.
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A partire da tale stima, è stata successivamente effettuata un’estrapolazione dei costi post-chiusura per le altre categorie di rifiuti avviati a discarica: • rifiuti speciali non pericolosi (sono stati assunti gli stessi costi post-chiusura delle discariche di RSU); • rifiuti speciali pericolosi (sono stati assunti costi post-chiusura doppi rispetto agli RSU, cui sono stati poi aggiunti i costi di rivegetazione); • rifiuti inerti (un terzo dei costi post-chiusura RSU con l’aggiunta dei costi di rivegetazione). La Tabella 8 riporta i valori di danno medio prodotto per tonnellata di rifiuto secondo il tipo di impatto e le diverse categorie di smaltimento.
TABELLA 8 - Danno medio per tonnellata di rifiuto secondo tipo di impatto e categorie di smaltimento (lire97/tonnellate)
Fattori di impatto 1. CO2 CH4 2. 2.a 2.b 2.c 2.d 3. 4. 5. 6. Σ (1-6) 7. Σ (1-7)
Termovalorizzazione Rifiuti RSU speciali 47.810 47.810 97.616 96.029 n.d. 1.095 492 n.d. 10.863 n.d. 156.289 -126.265 30.024
253.000 253.000 97.616 96.029 n.d. 1.095 492 n.d. 10.863 n.d. 361.479 -168.353 193.126
RSU 35.699 n.d. 35.699 1.089 1.051 0,2 11 27 n.d. 127.413 n.d. 64.670 228.871 -6.825 222.046
Discarica Rifiuti speciali Rifiuti speciali non pericolosi pericolosi 15.122 n.d. 15.122 n.d. n.d. n.d. 48.727 n.d. 64.670 128.519 128.519
n.d. n.d. n.d. n.d. n.d. 93.835 n.d. 118.044 211.879 211.879
Rifiuti inerti n.d. n.d. n.d. 23.375 29.087 52.462 52.462
Fonte: Lombard, Molocchi, 2000 [20] Note: Voci di costo: 1. Gas serra; 2. Inquinamento atmosferico: 2.a. effetti sanitari da emissioni nella fase di combustione (nel caso della discarica: combustione del biogas recuperato), 2.b effetti sanitari da emissioni in atmosfera in fasi diverse dalla combustione (COV), 2.c danni all’agricoltura da emissioni inquinanti nella fase di combustione (SO2, Ozono), 2.d danni ai materiali da emissioni inquinanti nella fase di combustione (SO2), 3. Danni sanitari occupazionali per agenti biologici (virus, batteri, funghi, etc.); 4. Danno da percezione di impatti (cattivi odori); 5. Rischi da incendio; 6. Costi esterni di lungo periodo (post-chiusura); 7. Benefici da recupero di energia elettrica.
1.7 I rischi per i lavoratori La trasformazione di un settore di attività molto eterogeneo, come lo smaltimento rifiuti, attraverso il riassorbimento dei materiali da esso trattati nei cicli produttivi che li producono, dopo opportune modifiche per la realizzazione di nuovi prodotti, ha risvolti importanti anche in termini dei rischi per i lavoratori. 69
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La complessità delle attività di smaltimento rifiuti e l’incertezza delle destinazioni e quindi, dei processi da impiegare, rende questo settore molto poco standardizzato e incerto nelle tipologie dei processi. Ne deriva una discreta precarietà tecnologica ed aumento dei rischi derivanti dalla occasionalità di utilizzazione delle procedure operative, ivi compresi gli aspetti di sicurezza e di rischio per i lavoratori. La scarsa letteratura specifica in merito evidenzia aspetti di particolare importanza. I dati dell’Istituto Nazionale Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (INAIL), riguardanti infortuni e malattie professionali denunciate nel settore ‘pulizie e nettezza urbana’ nel quinquennio 2001-2005, rilevano un elevato tasso di infortuni - che risulta essere ai primi posti per i lavoratori addetti allo smaltimento dei rifiuti per numero di eventi infortunistici - con esiti sia in inabilità temporanea sia in inabilità permanente; sul versante delle malattie professionali denunciate nello stesso settore, va rilevato un basso riconoscimento. Lo stesso studio ritiene necessario sensibilizzare riguardo agli alti rischi del settore gli addetti ai lavori ed implementare i programmi di formazione dei lavoratori al fine di limitare gli eventi dannosi [22]. Per contro, la realizzazione di processi di recupero dei rifiuti sotto forma di materiali certificati consente una precisa standardizzazione delle procedure con notevole riduzione delle fonti di rischio per i lavoratori, entro i limiti dei processi produttivi dai quali i rifiuti sono prodotti.
2. RISULTATI Come si rileva dai numerosi casi studio proposti, non è possibile fornire un quadro di riferimento economico univoco. Ogni caso applicativo necessita di approfondimenti e studi mirati a valutare e stimare i costi ed i benefici derivanti dall’adozione di procedure e/o sistemi tecnologici innovativi che consentano di ottimizzare il ciclo dei rifiuti industriali. Risulta, inoltre, evidente che la strategia da seguire per l’ottimizzazione e quindi la riduzione del flusso dei rifiuti (e delle risorse) nel sistema industriale (e conseguentemente nel sistema socio-economico) deve puntare su varie misure, tra cui: • l’adozione delle migliori tecnologie disponibili (Best Available Techniques, BAT); • l’adozione di sistemi di gestione ambientale (Eco-Management and Audit Scheme - EMAS, ISO 14001) che spingano le singole industrie ad un continuo miglioramento delle loro prestazioni ambientali; • il passaggio dal concetto di ‘industria’, al concetto di ‘sistema industriale’; • l’adozione, a livello di sistema industriale (di area, di distretto, etc.), di procedure di gestione che consentano la realizzazione di sinergie e di simbiosi industriale; • la gestione delle problematiche ambientali, laddove possibile, a livello di area e non di singola azienda. In particolare, al fine della realizzazione dell’analisi costi/benefici di investimenti per il miglioramento tecnologico per la prevenzione e la gestione dei rifiuti, particolare rilievo può assumere l’Analisi Ambientale Iniziale (AAI) effettuata per l’implementazione del Sistema di Gestione Ambientale (SGA) perché consente di individuare le maggiori criticità ambientali e le maggiori criticità socio-economiche correlate all’attività industriale. Anche l’Analisi Ambientale di Area Vasta può risultare uno strumento estremamente utile per inquadrare correttamente le problematiche ambientali e socio-economiche della singola azienda all’interno dell’area rilevante per la sua attività. L’ottimizzazione dei processi esistenti e l’adozione di tecnologie innovative per la riduzione del consumo di risorse sono operazioni che possono utilizzare buona parte dell’impiantistica esistente e procedere per fasi di ammodernamento (revamping), sostituzione, modifica. Valutando che un impianto in grado di trattare (per combustione o processo biologico e chimico-fisico) 100.000 tonnellate/anno di rifiuti speciali ha un costo di investimento di ca 50 milioni di euro, si può valutare che il valore complessivo dell’impiantistica esistente in Italia ammonti a 15 miliardi di euro. Lo sviluppo di innovazioni del tipo sopra indicato comporterebbe un costo aggiuntivo che può essere stimato in non più di 3 miliardi di euro e consentirebbe il raggiungimento di un obiettivo di quasi completo utilizzo dei rifiuti speciali e la riduzione dei costi di smaltimento relativi. 70
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Come si può verificare si tratta di investimenti che sono comparabili ai costi di smaltimento di pochi anni (due o poco più) e consentirebbero di prevenire costi esterni molto rilevanti, senza valutare i vantaggi economici derivanti dalla riduzione del prelievo di risorse naturali. Naturalmente, se gli operatori dello smaltimento, in proprio o in conto terzi, potessero capire quanto sarebbe più conveniente derivare praticamente lo stesso profitto con operazioni certificate e trasparenti di recupero e riutilizzo dei rifiuti, anziché dal loro trattamento e smaltimento, il passaggio dall’attuale sistema poco efficiente ad uno molto più efficiente potrebbe avere luogo rapidamente ed efficacemente. Infatti, un simile cambiamento avrebbe il vantaggio di: • ridurre in modo sensibile costi di produzione dei settori che producono rifiuti; • ridurre in modo drastico i costi ambientali, sanitari e sociali derivanti da una esternalizzazione tanto ampia dei costi di smaltimento; • aprire importanti spazi di innovazione alle attività di riciclaggio e ridurre il prelievo di risorse naturali. A fronte di tali vantaggi non vi sarebbe una consistente perdita di profitto da parte delle imprese che attualmente operano nel campo dell’estrazione di risorse naturali (materiali inerti e minerali) in quanto queste risorse potrebbero essere dotate di speciali certificazioni e riservate per attività di nicchia e, quindi, essere vendute a costi maggiori, in modo da assicurare un profitto anche migliore di quello attuale, che viene realizzato con un prelievo enorme ma con prezzi di vendita bassi. Tali valutazioni sono comprovate dalle attività di dimostrazione industriale condotte nell’ambito delle due principali tecnologie di riutilizzo di rifiuti speciali considerate nel presente studio e che potrebbero avere un’ampia diffusione per il riciclaggio di rifiuti provenienti da varie importanti categorie industriali. In questi lavori è stato verificato che, come sopra accennato, con un investimento di ca. 3 miliardi di euro si potrebbe realizzare un’infrastruttura industriale in grado di trattare e riutilizzare praticamente tutti i rifiuti speciali ancora oggi destinati in discarica. Al contempo questo consentirebbe anche una riduzione del prelievo di risorse naturali del 10-20% con ulteriori vantaggi economici oltre che ambientali. Ma è necessario anche tenere presente che un simile sviluppo di infrastrutture produttive avrebbe almeno altri due importanti effetti. Il primo consiste nel fatto che anche in presenza di innovazioni tecnologiche e cambiamenti socio-economici che riducessero la domanda di questi servizi, gli impianti potrebbero essere utilizzati per trattare e portare al riutilizzo tutti i materiali finora messi in discariche, che diventerebbero vere e proprie miniere di risorse, in modo da trarne un beneficio economico, oltre che ambientale, invece di dover affrontare gli inevitabili costi di bonifica che si presenteranno nel tempo. Il secondo ha caratteristiche unicamente commerciali e di mercato, in quanto un simile sviluppo ancora non è prefigurato in nessun paese industrializzato e, quindi, potrebbe migliorare sensibilmente la competitività internazionale del sistema produttivo italiano facendogli recuperare le posizioni perse negli ultimi anni. Secondo l’art. 1 del D.Lgs. 334/99, gli impianti industriali ad elevato rischio di incidenti sono sottoposti ad una disciplina tesa a “prevenire incidenti rilevanti connessi a determinate sostanze pericolose ed a limitarne le conseguenze per l’uomo e l’ambiente”. In simili complessi produttivi, pertanto, il problema dei rifiuti industriali si può porre a due diversi livelli: • produzione di rifiuti speciali contenenti determinate sostanze pericolose in quantità uguali o superiori a quelle indicate nell’Allegato I del citato D.Lgs. 334/99, durante il normale funzionamento; • produzione di rifiuti speciali contenenti determinate sostanze pericolose in quantità uguali o superiori a quelle indicate nell’Allegato I del citato D.Lgs. 334/99, durante eventi di ‘incidente rilevante’ (cfr. art.3, D.Lgs. 334/99) che sono elencati come incendio o esplosione di grande entità, in seguito al quale si abbia un pericolo grave, immediato o differito, per la salute umana o per l’ambiente, all’interno o all’esterno dello stabilimento e che coinvolga una o più sostanze pericolose, sia perché ivi giacenti in attesa di utilizzo o smaltimento, sia perché prodotte nel corso dell’incidente (ad es. ceneri contenenti sostanze pericolose). 71
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In entrambi i casi si configura uno specifico obbligo del gestore, all’interno di quelli generali previsti dall’art. 5 del D.Lgs. 334/99, ai fini dell’integrazione del documento di valutazione dei rischi di cui al D.Lgs. 626/94 [23] e s.m.i. (ora D.Lgs. 81/08) [24], di fissare norme di sicurezza relative alla gestione e smaltimento dei rifiuti. Sempre ai fini degli adempimenti di cui al citato art. 5, comma 3, lettera b) del D.Lgs. 334/99, sussiste l’obbligo di predisporre le modalità di gestione e smaltimento/recupero di tali rifiuti. Lo smaltimento dei rifiuti speciali rappresenta un costo considerevole, che può essere ridotto se viene previsto un sistema di recupero (esterno o in situazioni non soggette ad effetto domino) in grado di utilizzare tali rifiuti per la produzione di materiali a specifica commerciale. In tal modo le imprese potrebbero recuperare risorse da dedicare al miglioramento della sicurezza generale del processo e degli impianti, elevando il grado di prevenzione di incidenti rilevanti; senza considerare la riduzione dei relativi costi esterni a carico della collettività. Tali impegni sono previsti esplicitamente dall’art. 7 del D.Lgs. 334/99 e potrebbero a pieno titolo figurare esplicitamente nel documento che definisce la politica di prevenzione degli incidenti rilevanti, così come nel rapporto di sicurezza previsto dall’art. 8 del citato Decreto; questo deve infatti dimostrare che “sono state adottate le misure necessarie per prevenire incidenti rilevanti e per limitarne le conseguenze per l’uomo e per l’ambiente”.
3. CONCLUSIONI Tutto quanto rilevato nel corso della ricerca, e presentato in questo articolo, costituisce una chiara indicazione delle notevoli potenzialità che il recupero dei rifiuti industriali ha anche nel settore delle industrie di cui al D.Lgs. 334/99, nelle quali l’inserimento di pratiche di riutilizzo dei rifiuti per la produzione di materiali a specifica commerciale comporta vantaggi sia economici sia ambientali. Gli investimenti, diretti o indiretti, necessari per avviare linee produttive che utilizzino rifiuti speciali come materie prime prevalenti, possono trovare motivazioni ampie nei principi elencati nell’Allegato III del D.Lgs. 334/99, come elementi del “sistema di gestione e dell’organizzazione dello stabilimento ai fini della prevenzione degli incidenti rilevanti” rapportati ai pericoli (tradotti anche in termini di costi, diretti ed esterni) ed agli elementi citati ai punti iii), iv), vi) e vii) dell’Allegato medesimo [1]. Queste considerazioni sono consistenti anche con un’eventuale analisi costi/benefici applicata al complesso industriale al fine di identificare le soluzioni maggiormente efficaci per la prevenzione/riduzione effetti degli incidenti rilevanti. L’analisi condotta sul quadro generale della gestione dei rifiuti industriali in Italia ha evidenziato alcuni aspetti assolutamente critici, con notevoli potenzialità di innovazione, di innalzamento della qualità dei sistemi produttivi, di riduzione degli impatti ambientali, di apertura di nuovi mercati e di nuove consistenti fonti di profitto. Infatti: • il sistema di smaltimento dei rifiuti industriali in Italia non è organizzato come un settore o sub-settore industriale, ma opera sulla base di un approccio smaltitorio tradizionale che favorisce gli esercenti di settori di servizi ad elevato impatto ambientale, come il trasporto rifiuti e lo smaltimento in discarica; • questa situazione aggrava il quadro nazionale relativo all’intensità di uso delle risorse naturali, che dovrebbe invece essere indirizzate verso una progressiva maggiore efficienza, anche al fine di una migliore valorizzazione del patrimonio naturalistico e paesaggistico che, insieme a quello storico ed artistico, rappresentano una delle aree dove l’Italia resta ancora altamente competitiva (turismo culturale e naturalistico); • le prospettive e le potenzialità per innovazioni già validate ed altre da sviluppare, orientate all’uso efficiente delle risorse ed al riutilizzo dei rifiuti industriali, sono molto ampie e promettenti, sia per i vantaggi economici che possono assicurare alle imprese ed alle pubbliche amministrazioni, sia per i vantaggi ambientali che ne deriverebbero;
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• tali convenienze sono altrettanto valide per le imprese ad elevato rischio di incidente che potrebbero trovare in una migliorata gestione dei rifiuti prodotti nella normale attività, o in caso di incidente, motivazioni economiche adeguate a migliorare le loro prestazioni globali. Poiché le prassi consolidate sono molto resistenti al cambiamento ed all’innovazione, è chiaro che una simile evoluzione difficilmente potrà trovare risorse adeguate per decollare in modo autonomo e sulla base della capacità di sviluppare mercato dei soggetti che mettono a punto le innovazioni. È necessario, quindi, promuovere adeguati supporti di tipo conoscitivo e normativo che possano superare le attuali resistenze e far evolvere verso una maggiore efficienza e migliori prestazioni economiche ed ambientali il sistema produttivo italiano.
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