IMMACOLATA CONCEZIONE DELLA BEATA VERGINE MARIA Solennità Lc 1,26-38; Gen 3,9-15.20; Sal 97; Ef 1, 3-6.11-12
Colletta O Padre, che nell'Immacolata Concezione della Vergine hai preparato una degna dimora per il tuo Figlio, e in previsione della morte di lui l'hai preservata da ogni macchia di peccato, concedi anche a noi, per sua intercessione, di venire incontro a te in santità e purezza di spirito. Per il nostro Signore Gesù Cristo... Di fronte a tante situazioni negative che segnano le vicende quotidiane e la storia del nostro tempo – guerre, violenze, emarginazioni, povertà, catastrofi ecologiche… – si usa parlare di peccato sociale. Il rischio, come sempre, è che si arrivi a escludere la responsabilità personale. I colpevoli sono sempre gli altri, la società, la natura, la strada, la montagna, il mare…. Come ci ricorda la prima lettura di questa solennità dal libro della Genesi: Adamo dà la colpa a Eva; Eva la dà al serpente… La Chiesa ci invita certamente a considerare il peccato sociale, a denunciarlo e a trovarne i rimedi, ma primariamente ci chiede di ricordarci che ognuno di noi ha una sua personale responsabilità. Non possiamo dimenticare, proprio in questa solennità dell’Immacolata Concezione della vergine Maria, l’unica preservata dalla macchia originale del peccato, che ognuno di noi, pur reso figlio di Dio nel Battesimo, sperimenta ogni giorno il male, la tentazione e il peccato. Anche noi, purtroppo, compiamo atti che contribuiscono al male, al male che c’è nel mondo. Ma ancor prima l’uomo è peccatore anche senza aver commesso colpe personali per la sua appartenenza a quell’umanità che fin dalle origini ha rifiutato Dio. Potremo dire che il peccato è un “male di famiglia”. La pagina del libro della Genesi ci ricorda, pur in forma simbolica, che l’origine dell’uomo è legata al peccato. Quel peccato originale da cui è stata graziata la vergine Maria, destinata a essere la Madre del Figlio di Dio fatto uomo. La pagina del primo libro della Bibbia evidenzia che in quel contesto si è interrotta la comunione con Dio, ma anche la comunione tra Adamo ed Eva e quella con il creato. Questo è il frutto del peccato, l’opera del diavolo, del demonio: la divisione, la mancanza di comunione. Ma non è questo il progetto di Dio, che anzi ci chiama a «essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (II lettura), capaci cioè di amore autentico verso Dio e verso il nostro prossimo. Oggi celebriamo, infatti, la grandezza di Dio, che in Maria esalta l’umana creatura; in lei ha fatto cose grandi e straordinarie, e opera anche in noi con il suo aiuto, la sua benedizione e la sua grazia, che ci rendono capaci di compiere sempre e di nuovo il bene. La nostra fede ci ricorda che il Signore compie la sua opera di bene anche in noi perché dal giorno del Battesimo ci ha reso pieni della sua grazia. Anche Maria, che ha sperimento il male come sofferenza, ma non come peccato, ci accompagna nel nostro impegno e nella ricerca del bene. Maria è il prototipo dell’umanità in piena comunione con Dio. Una donna che si è resa disponibile a Dio (Vangelo); non è caduta nel tranello del voler far senza Dio o di mettersi al posto di Dio.
PRIMA LETTURA Dal libro della Gènesi 3, 9-15.20
[Dopo
che l’uomo ebbe mangiato del frutto dell’albero,] il Signore Dio lo chiamò e gli disse: «Dove sei?». Rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino: ho avuto paura, perché sono nudo, e mi sono nascosto». Riprese: «Chi ti ha fatto sapere che sei nudo? Hai forse mangiato dell’albero di cui ti avevo comandato di non mangiare?». Rispose l’uomo: «La donna che tu mi hai posto accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». Il Signore Dio disse alla donna: «Che hai fatto?». Rispose la donna: «Il serpente mi ha ingannata e io ho mangiato». Allora il Signore Dio disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi. Parola di Dio.
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La caduta originale
Gen 3,9-15.20
Il libro della Genesi inizia con la creazione (cc. 1-2), che viene presentata in due modi diversi, anche se sostanzialmente concordi. Mentre il primo racconto (1,1–2,4a) si ricollega alla genealogia del c. 5, il secondo racconto della creazione (Gen 2,4b-25) fa da preludio a una serie di episodi che riguardano la coppia originaria e tutta l'umanità. La situazione idilliaca delle origini non ha lunga durata. Improvvisamente subentra un elemento perturbatore che sconvolge l'ordine meraviglioso voluto da Dio: l'uomo e la donna si ribellano al suo ordine e di conseguenza sono cacciati dal giardino dell’Eden. Il narratore procede con scene successive: tentazione e peccato (vv. 1-7); interrogatorio (vv. 8-13); condanna (vv. 14-19); dettagli complementari (vv. 20-25). La liturgia propone alcuni versetti delle ultime tre parti. L'interrogatorio (vv. 8-13) Subito dopo il peccato, quando Dio scende nel giardino, l'uomo e la donna si nascondono per non farsi vedere (v. 8). La venuta di Dio è un antropomorfismo che mette in luce l'intimità, ormai distrutta, che univa a Lui i progenitori. L'interrogatorio riguarda solo l'uomo e la donna. Il serpente non è interrogato perché la sua colpa è evidente. Dio chiama l'uomo come se nulla sapesse e gli chiede dove si trovi (v. 9). L'uomo risponde di aver avuto paura e di essersi nascosto perché era nudo (v. 10). Più che la paura del castigo, ciò che lo trattiene dal presentarsi a Dio è il timore reverenziale, lo stesso che in Israele impediva di esporre il proprio corpo in un luogo sacro. Dio allora intuisce l'accaduto e ne fa esplicita domanda (v. 11). L'uomo però non si assume la responsabilità di ciò che ha fatto e la scarica sulla donna, quasi sottintendendo che il vero colpevole è Dio stesso, che gliel'ha data come compagna (v. 12): il peccato, invece di provocare solidarietà fra coloro che lo commettono, li pone inevitabilmente l'uno contro l'altro. Anche la donna non assume la sua responsabilità, e getta la colpa sul serpente che l'ha ingannata (v. 13). La condanna (vv. 14-19) La punizione dei colpevoli è assegnata nell'ordine inverso a quello dell'interrogatorio. Dio comincia proprio dal serpente. Questi è maledetto da Dio e condannato a camminare sul suo ventre e a mangiare polvere (v. 14). Ciò spiega la sua forma abietta e mette in guardia dal considerarlo una divinità. Dio inoltre annuncia: «Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno» (v. 15). L'interpretazione di questo testo non è del tutto chiara perché i due verbi «schiacciare» e «insidiare» derivano in ebraico dalla stessa radice (shwf), il cui significato è incerto. Sembra comunque che si tratti di un attacco reciproco, con esito incerto, tra il serpente, visto ora come personificazione del male, e la discendenza della donna, cioè tutta l'umanità. Il testo non parla dunque direttamente di una salvezza futura, ma lascia intendere che il serpente non può ancora vantare una vittoria definitiva sull'uomo. Se si legge però nel contesto di tutta la Bibbia, che narra la storia della salvezza, il testo diventa un annuncio di speranza per l'umanità peccatrice (protovangelo). Il racconto della caduta termina con alcuni dettagli complementari. La donna è chiamata Eva (hawwah, vita), poiché è destinata a diventare la madre di tutti i viventi (v. 20): nonostante il peccato continua dunque la vita, che è il più grande dono di Dio. In questo testo si parla solo apparentemente di eventi capitati all’inizio della storia. In realtà l’autore ha voluto dire qualcosa che riguarda l’uomo di tutti i tempi e di tutte le Commenti tratti da: Commenti ai testi biblici - Padre A. Sacchi (Nicodemo.net) Culmine e Fonte - Sussidio bimestrale di formazione e spiritualità liturgica (ufficioliturgicoroma.it)
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culture, e cioè ha voluto spiegare la sua situazione di sofferenza e di morte. A tale scopo egli ha immaginato che all’inizio della storia l’uomo si trovasse in una situazione ideale, dalla quale è decaduto a causa di un suo peccato. Così facendo egli vuol far vedere che la presenza del male, in tutti i suoi aspetti, non deriva da Dio, ma dall’uomo stesso, il quale si è precluso quella felicità che Dio gli aveva concesso all’inizio. Questo modo di procedere, tendente a scagionare Dio, ha uno scopo ben preciso: mostrare come Dio, non essendo responsabile del male presente in questo mondo, continua a offrire all’uomo la possibilità di superare i suoi limiti e di raggiungere una condizione di vita adeguata alla sua dignità. Questa speranza è adombrata in quello che, non senza ragione, viene chiamato “protovangelo” e costituirà il punto d’arrivo della “storia della salvezza” narrata nel seguito della Bibbia. Il peccato di Adamo ed Eva appare quindi come un “peccato originale”, non nel senso di una macchia trasmessa da padre in figlio, ma nel senso di un limite che affligge l’uomo in quanto tale, fin dalle origini più remote, che però l’uomo può superare con l’aiuto che gli viene dall’alto. I profeti annunceranno una salvezza piena che si attuerà in un futuro imprecisato. Quello che per l’autore della Genesi era un paradiso perduto, per essi è un paradiso che Dio donerà un giorno al suo popolo e a tutta l’umanità: agli esseri umani non resta che prepararsi a questo evento finale. Mediante questi due modi simbolici di esprimersi gli autori biblici vogliono semplicemente far comprendere che l’uomo è chiamato alla felicità, ma la raggiunge solo se sa distaccarsi da tutta una serie di pesanti condizionamenti, che provengono dal suo intimo e dalla società in cui vive. Il suo rapporto con Dio ha quindi significato e deve essere vissuto in questa prospettiva. Il “paradiso terrestre” è sempre disponibile a tutta l’umanità, pur in mezzo a tante difficoltà e sofferenze, a patto però che sia fedele a quei principi di amore e di giustizia che rappresentano la base dell’esperienza religiosa di Israele.
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SALMO RESPONSORIALE
dal Salmo 97 (98)
Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie. Cantate al Signore un canto nuovo, perché ha compiuto meraviglie. Gli ha dato vittoria la sua destra e il suo braccio santo. Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza, agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia. Egli si è ricordato del suo amore, della sua fedeltà alla casa d’Israele. Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio. Acclami il Signore tutta la terra, gridate, esultate, cantate inni! Salmo 97 (98) Esultanza davanti al Signore che viene Questo salmo ha il potere di indirizzare la coscienza cristiana alla visione dell’avvenire, colmandola della viva attesa che la creazione sia liberata della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio (cfr. Rm 8,21). Il tempo della composizione di questo salmo è probabilmente quello del postesilio. Il motivo del suo invito a un “canto nuovo” non è però ristretto al solo ritorno dall'esilio, ma nasce da tutti gli interventi di Dio per la liberazione di Israele dagli oppressori e dai nemici. E' Dio stesso che, come prode guerriero, ha vinto i suoi nemici, che sono gli stessi nemici di Israele: “Gli ha dato vittoria la sua destra”. Il “canto nuovo” celebra le “meraviglie” di Dio, tuttavia è aperto al futuro messianico, che abbraccerà tutti i popoli. “La sua salvezza”, mostrata ai popoli per mezzo di Israele, ridonda già su di loro: “Tutti i confini della terra hanno veduto la vittoria del nostro Dio”. Il Signore è colui che viene, che viene costantemente a giudicare la terra; e che verrà nel futuro per mezzo dell'azione del Messia. Ogni episodio di liberazione il salmo lo vede come preparazione della diffusione a tutte le genti della salvezza del Signore. La salvezza di Dio, quella che ci libera dal peccato - male supremo - è quella donataci per mezzo di Cristo. La giustizia che si è mostrata a noi è Cristo, che per noi è morto e ci ha resi giusti davanti al Padre per mezzo del lavacro del suo sangue. Dio, è il Dio che viene (Cf. Ap 1,7; 4,8) per mezzo dell'azione dello Spirito Santo, che presenta Cristo, nostra salvezza e giustizia.
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SECONDA LETTURA Dalla lettera di san Paolo apostolo agli Efesìni 1, 3-6.11-12
Benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cristo. In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d’amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato.
In lui siamo stati fatti anche eredi, predestinati – secondo il progetto di colui che tutto opera secondo la sua volontà – a essere lode della sua gloria, noi, che già prima abbiamo sperato nel Cristo. Parola di Dio.
CANTO AL VANGELO (Cf. Lc 1, 2)
Alleluia, alleluia. Rallegrati, piena di grazia, il Signore è con te, benedetta tu fra le donne. Alleluia.
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Il piano salvifico di Dio
Ef 1, 3-6.11-12
La lettera agli Efesini riporta, subito dopo il prologo epistolare, una composizione in prosa ritmica, nella quale si descrive lo svolgersi per tappe successive del piano salvifico. La composizione è una specie di salmo cristiano in forma di benedizione, cioè di una di quelle libere composizioni ispirate al contesto della liturgia comunitaria. Il lungo brano si può dividere in questo modo: 1. Introduzione tematica (v. 3) 2. Elezione alla santità nell’amore (v. 4) 3. Predestinazione ad essere figli (vv. 5-6) 4. Redenzione e remissione dei peccati (vv. 7-8) 5. Comunicazione del mistero salvifico (vv. 9-10) 6. Eredità dei predestinati e redenzione finale (vv. 11-14) La liturgia propone solo i versetti 3-6.11-12. Introduzione tematica (v. 3) La frase iniziale annuncia il tema, mettendo in risalto i protagonisti dell’iniziativa salvifica: Dio Padre, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo, nello «Spirito». Il motivo conduttore è quello della benedizione. Il verbo «benedire» nei LXX traduce in genere l’ebraico barak, che significa «lodare, esaltare, glorificare, ringraziare» Dio, il Signore, nel senso di riconoscere in lui la fonte dei beni salvifici, dai gesti di liberazione storica fino al dono della terra e al compimento delle sue promesse escatologiche. È dunque l’azione benefica di Dio che motiva la sua lode da parte della comunità orante. Il destinatario della dossologia e il soggetto dell’azione benefica è Dio «Padre del Signore nostro Gesù Cristo». Con questa frase si esprime non solo la relazione unica di Gesù Cristo con Dio Padre, ma anche il suo ruolo nei confronti della comunità credente che lo proclama «Signore». È lui infatti il mediatore che pone i credenti in relazione filiale con Dio. La dichiarazione iniziale è seguita dalla motivazione: «che ci ha benedetti». Ad essa fa seguito l’espressione «con ogni benedizione» che fa risalire all’azione benedicente di Dio la comunicazione gratuita ed efficace dei beni salvifici. Nel testo si sottolinea non solo l’ampiezza e la totalità della «benedizione» divina, ma anche il suo carattere «spirituale», che le deriva dal fatto che ha la sua garanzia nel dono dello Spirito. Essa si attua «nei cieli» a indicare l’ambito divino in cui Cristo è entrato con la sua risurrezione e da dove esercita la sua totale signoria per rivelare e attuare il disegno salvifico di Dio. I credenti, che riconoscono l’iniziativa salvifica di Dio Padre, realizzata per mezzo del «Signore Gesù Cristo», sono associati alla signoria celeste di Gesù e ne partecipano fin d’ora in forza della loro esperienza ecclesiale. La collocazione finale della formula «in Cristo» mette in risalto il ruolo di mediatore salvifico proprio di Gesù Cristo come vertice e sintesi del processo benedicente di Dio Padre. Elezione e chiamata alla santità (v. 4) La prima tappa del disegno salvifico è così espressa: «In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo» (v. 4a). Il verbo «scegliere» indica l’iniziativa libera e gratuita di Dio a favore del suo popolo liberato, introdotto nell’alleanza e fatto destinatario dei beni salvifici. L’espressione «prima della creazione del mondo» richiama forse la concezione giudaica circa la preesistenza di alcune realtà spirituali (la legge, la sapienza, il messia). Ma è preferibile interpretarla alla luce delle espressioni bibliche nelle quali la chiamata o investitura dei profeti è fatta risalire a prima della nascita. I credenti sono stati eletti «per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità» (v. 4b), cioè per entrare nell’ambito della santità divina, che comporta l’eliminazione del peccato e una vita moralmente pura. L’espressione «nella carità» indica l’ambito da cui Commenti tratti da: Commenti ai testi biblici - Padre A. Sacchi (Nicodemo.net) Culmine e Fonte - Sussidio bimestrale di formazione e spiritualità liturgica (ufficioliturgicoroma.it)
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promana l’azione elettiva di Dio, oppure sottolinea che la santità e la purezza morale proprie dei credenti si attuano essenzialmente nell’esercizio dell’amore. Predestinati ad essere figli (vv. 5-6) Lo statuto dei credenti viene ora presentato come partecipazione alla condizione filiale (vv. 5-6). Per esprimere la relazione degli eletti con Dio l’autore fa ricorso al vocabolo «filiazione (adottiva)», per esprimere la dignità dei battezzati che partecipano fin d’ora alla condizione filiale di Gesù Cristo, il Figlio unico di Dio. Anche l’adozione filiale dei credenti viene fatta risalire alla gratuita iniziativa di Dio Padre, che riversa sui credenti l’abbondanza della sua benedizione in Cristo, usando il verbo «pre-destinare», (predeterminare, prestabilire). Con questo verbo si sottolinea la gratuità dell’iniziativa salvifica di Dio che precede ogni merito da parte dell’uomo. La formula «secondo il disegno d’amore della sua volontà» mette in luce come tutto il processo salvifico corrisponda a una decisione iniziale e determinante di Dio. Nella seconda parte del v. 6 l’accento è posto nuovamente sull’aspetto della «gratuità». Si precisa il significato della «benedizione» iniziale che si riversa sui credenti come sovrabbondante donazione di Dio. Il fondamento e l’ambito storico di questa gratuita e benigna donazione di Dio è indicata con l’espressione: «nel Figlio amato». Questa formula corrisponde all’espressione «in Cristo» o «in lui» dei versi precedenti. Ma essa aggiunge all’espressione dell’amore gratuito di Dio una qualifica di carattere «filiale». Eredità dei predestinati e redenzione finale (vv. 11-14) Nella parte finale della benedizione si indicano come destinatari dell’iniziativa salvifica di Dio due gruppi di persone, designati con il «noi» (i giudei) e con il «voi» (i gentili). Per entrambi la salvezza si realizza «in lui», cioè in Cristo (vv. 11a. 13a). La priorità storica, riservata ai convertiti dal giudaismo, è legata alla loro speranza messianica. Ma anche nei confronti dei gentili si riscontra la stessa e identica azione gratuita e benefica di Dio, «che tutto opera secondo la sua volontà». La preghiera di benedizione di Ef 1,3-14 pone in risalto l’aspetto teologale della salvezza cristiana. La fonte o l’autore della salvezza è Dio, il «Padre del Signore nostro Gesù Cristo». Questa accentuazione dell’iniziativa divina va di pari passo con quella della «gratuità». Questa dimensione «teologale» della salvezza è intimamente connessa con quella cristologica. È in Cristo, nell’«amato», che si rivela e attua il piano salvifico di Dio con una dimensione cosmica universale: la ricapitolazione di tutte le cose in Cristo. La prospettiva ecclesiale va collocata in questo orizzonte cosmico universale. I destinatari dell’azione di Dio, di «ogni benedizione», sono coinvolti nel suo progetto salvifico non solo perché sono associati alla condizione filiale di Cristo e sono diventati partecipi della redenzione, ma perché sono inseriti nel processo di «rivelazione e comunicazione» sapienziale, diventando in qualche modo consapevoli e responsabili della trasmissione «missionaria» di questo «mistero» di Dio, che ha il suo centro e culmine in Cristo. Attraverso coloro che sono stati prescelti, tutta l’umanità viene chiamata ad assumere coscientemente il rapporto filiale verso Dio, quale è stato rivelato da Cristo mediante la sua vita e la sua morte. Questa convergenza verso Dio in Cristo di tutta l’umanità può avvenire con diversi gradi di coscienza e di partecipazione. Sostanzialmente essa non consiste in un ingresso nell’istituzione ecclesiale, ma piuttosto nella condivisione delle finalità che Dio ha indicato nella persona di Cristo.
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VANGELO Dal Vangelo secondo Luca 1,26-38
In quel tempo, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della
Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con te». A queste parole ella fu molto turbata e si domandava che senso avesse un saluto come questo. L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine». Allora Maria disse all'angelo: «Come avverrà questo, poiché non conosco uomo?». Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch'essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio». Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l'angelo si allontanò da lei. Parola del Signore
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Annuncio della nascita di Gesù
Lc 1,26-38
Questo racconto è parallelo a quello, immediatamente precedente, in cui si narra l’annuncio a Zaccaria riguardante la nascita miracolosa di Giovanni. L’annuncio a Maria è narrato sulla falsariga dei testi in cui Dio si manifesta e comunica la sua volontà a personaggi da lui scelti, e si articola nei seguenti punti: situazione di Maria e apparizione dell’angelo (vv. 26-27); saluto, turbamento di Maria e messaggio (vv. 28-33); domanda di una spiegazione da parte di Maria (v. 34); risposta dell’angelo (v. 35); conferimento di un segno (vv. 36-37); risposta di Maria e partenza dell’angelo (v. 38). Situazione di Maria e apparizione dell’angelo (vv. 26-27) L’evangelista inizia il suo racconto specificando che l’evento ha avuto luogo nella «città» di Nazaret, un piccolo villaggio rurale della Galilea. Vengono presentati i personaggi: Gabriele e Maria. Gabriele è l’angelo della presenza (cfr. Lc 1,19), a cui spetta un ruolo particolare in vista degli ultimi tempi. La persona da cui si reca porta un nome molto comune nel mondo giudaico: Maria (Myriam) era la sorella di Mosè, la cui cognata, moglie del sommo sacerdote Aronne, si chiamava Elisabetta. Maria è una ragazza, una vergine, e al tempo stesso è «promessa sposa». Nell’ambiente dell’epoca, e soprattutto in Galilea, una ragazza di poco più di dodici anni poteva essere già data in sposa, ma rimaneva per un certo tempo nella casa paterna, prima che il marito la portasse a vivere in casa sua. Non sorprende quindi che Maria sia designata contemporaneamente come sposata e vergine: proprio questa situazione a prima vista contraddittoria costituirà la molla della narrazione. Del suo fidanzato (sposo) si dice semplicemente che portava il nome di Giuseppe, uno dei grandi patriarchi di Israele, e che apparteneva alla casa di Davide, alla quale erano state fatte le grandi promesse messianiche. Saluto, turbamento di Maria e messaggio (vv. 28-33) L’angelo appare a Maria e si rivolge a lei con l’usuale saluto «rallegrati». Inusuale è invece l’elogio che l’angelo le fa chiamandola «piena di grazia». Maria è dunque la donna «ricolma del favore di Dio»: questa espressione riguarda non tanto il momento del suo concepimento, ma il momento attuale, in cui Dio le conferisce una missione che fa di lei la sua collaboratrice nella grande opera della redenzione. La sua chiamata e la sua missione sono poste sotto il segno della Provvidenza: «Il Signore è con te». Il saluto dell’angelo esprime la gioia messianica che esplode nei tempi nuovi che stanno ora iniziando. Maria è la figlia di Sion, la degna rappresentante del popolo eletto, che porta in sé il Messia. Le parole che le sono rivolte provocano il turbamento di Maria. L’angelo perciò la invita a non temere, sottolineando che ha «trovato grazia presso Dio» (v. 30), cioè ha ottenuto il suo favore: Dio vuole stabilire un rapporto speciale con lei per assegnarle un compito specifico nel suo progetto di salvezza. L’angelo glielo annuncia con queste parole: «Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (vv. 31-33). Queste parole alludono all’oracolo di Isaia 7,14: Maria è dunque la vergine di cui parla il profeta e il suo figlio non è un semplice discendente della casa davidica, ma il Messia atteso per gli ultimi tempi. In sintonia con il testo ebraico dell’oracolo e in forza del ruolo di genitrice che le è assegnato, sarà lei che gli darà il nome. Si tratta però non di un nome qualsiasi, ma di un nome deciso da Dio, nel quale è indicata la missione futura del bambino (Gesù = JHWH salva). A differenza di Giovanni, il quale «sarà grande davanti al Signore», egli sarà grande in senso assoluto. Inoltre sarà chiamato «figlio
dell’Altissimo», come i re davidici che assumevano questo titolo nel momento della loro intronizzazione. A lui infatti Dio conferirà il trono di suo padre Davide. Ma non si tratterà di un regno limitato nel tempo e nello spazio, bensì di un regno che durerà in eterno. Mentre Giovanni il Battista sarà il profeta degli ultimi tempi e il precursore del Messia, il figlio di Maria sarà il Messia stesso, nel quale troverà il suo compimento definitivo il regno di Davide. Domanda di Maria (v. 34) Maria chiede spiegazioni sulle modalità in cui si realizzerà l’annunzio messianico, dal momento che «non conosce uomo». Questa domanda lascia perplessi: Maria era vergine, ma presto si sarebbe unita a Giuseppe, suo sposo, dal quale poteva immaginare di avere il figlio preannunziato dall’angelo. Quale era dunque la sua difficoltà? Diverse soluzioni sono state avanzate per chiarire questo enigma. Le più significative sono le seguenti: a) Maria aveva fatto voto di verginità, e ora le parole dell’angelo mettevano in discussione la sua scelta (interpretazione tradizionale, risalente ad Agostino). Ma, a parte il fatto che nulla nel contesto lascia intravedere una situazione del genere, è ben difficile immaginare che ciò fosse possibile, sia nell’ambiente culturale dell’epoca, sia nella condizione di Maria, ormai fidanzata e prossima a iniziare la sua vita matrimoniale con Giuseppe. Per rispondere a questa obiezione, si è supposto che Giuseppe fosse ormai vecchio e fosse stato scelto come sposo di Maria solo per custodirne la verginità. Ma anche questa supposizione non ha nessun fondamento nel testo. b) L’angelo annuncia un evento che si realizza non nel futuro bensì nel presente: proprio ora Maria sta per concepire un figlio. La sua domanda quindi potrebbero essere tradotte: «Come è possibile che ciò si realizzi proprio ora?». Bisogna però notare che le parole dell’angelo riguardano un evento futuro. c) La domanda di Maria non esprime una sua difficoltà, ma è un espediente letterario con il quale il narratore fa emergere il problema che può sorgere spontaneamente nel lettore cristiano, il quale, ben sapendo che Gesù era nato da una donna vergine, senza partecipazione di uomo, si aspetta maggiori delucidazioni sul come sono andate le cose. Il narratore quindi se ne serve per introdurre, con l’autorità stessa di Dio, nuovi dettagli circa quanto sta per accadere. Questa terza interpretazione è la più convincente. Non bisogna infatti dimenticare che si tratta di un racconto scritto molto tempo dopo i fatti e con intenti di carattere teologico-religioso: ogni suo elemento deve quindi essere interpretato in funzione dell’insieme, tenendo conto del risultato che il narratore vuole conseguire. Risposta dell’angelo (v. 35) In risposta alla domanda di Maria l’angelo dà i chiarimenti necessari. Dopo aver indicato nel nascituro il Figlio dell’Altissimo, egli spiega che questo appellativo è dovuto al fatto che lo Spirito Santo interverrà in modo speciale nel momento stesso del suo concepimento. Lo Spirito Santo che scenderà su Maria richiama lo Spirito creatore. Esso corrisponde alla «forza» di Dio che la «coprirà con la sua ombra», verbo che si ritrova nella Scrittura con il significato di «proteggere». Conferimento di un segno (vv. 36-37) Al termine del suo annuncio l’angelo rivela a Maria la gravidanza di Elisabetta, sua parente. Questo evento, tenuto gelosamente segreto dai diretti interessati, diventa il segno visibile che conferma l’autenticità della rivelazione dell’angelo. Esso infatti mostra
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nel modo più convincente che «nulla è impossibile a Dio». Con l’accenno a questo segno s’intrecciano nuovamente i due racconti di annunciazione; d’altro canto la parola dell’angelo prepara direttamente il racconto seguente della visita di Maria a Elisabetta. Risposta di Maria e partenza dell’angelo (v. 38) Alle parole dell’angelo Maria risponde riprendendo le parole di due eroine dell’Antico Testamento, Rut (Rt 3,9) e Abigail (1Sam 25,41): «Ecco la serva del Signore». Questa espressione si situa nel contesto matrimoniale della «serva-sposa». Con essa Maria si rende disponibile al progetto di Dio e ne diventa partecipe fino in fondo. Ella apre così la via all’intervento dello Spirito Santo e rende possibile la nascita del Figlio di Dio. Il racconto dell’annuncio a Maria ha un chiaro scopo cristologico: esso serve a Luca per presentare, fin dall’inizio del vangelo, il ruolo particolare che Gesù riveste nel piano di Dio. Egli è l’uomo che, come i grandi personaggi dell’Antico Testamento, è stato scelto da Dio fin dalla nascita per un compito straordinario. In più egli ha un rapporto specialissimo con Dio, di cui porta a compimento il progetto di salvezza, destinato a tutta l’umanità. La sua nascita da una vergine adempie in modo inatteso le grandi profezie dell’Antico Testamento riguardanti la nascita del Messia. In base alle concezioni dell’epoca, secondo le quali il seno della donna è considerato come il terreno in cui l’uomo semina la vita (il ruolo specifico della donna nella procreazione è stato scoperto solo in tempi molto recenti), l’accento posto sulla verginità di Maria significa simbolicamente che in lei è Dio stesso che ha seminato, con la potenza dello Spirito, una nuova vita: Gesù ha dunque origine da un dono radicale e gratuito di Dio a tutta l’umanità, è il capostipite di una umanità trasformata dalla sua grazia. Luca, primo tra gli evangelisti, legge il destino di Maria nella prospettiva del ruolo salvifico di Gesù, presentandola come la nuova Eva, madre del Messia e di quella umanità rigenerata che da lui prende origine. Con la sua disponibilità Maria diventa anche il modello del credente che si abbandona al suo Dio, mettendosi al seguito di Gesù e adeguandosi fino in fondo alla logica della croce.
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