IL SOLCO DI SANT'ISIDORO A FASTELLO: UNA RICERCA FOLCLORICO-LINGUISTICA TRA IL LAGO DI BOLSENA E IL TEVERE Flavio Frezza
"Quaderni dell'Ecomuseo della Tuscia" Nr. 1 - 2012-11
INDICE
PREMESSA
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SIMBOLI ED ABBREVIAZIONI
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NOTE SUL DIALETTO
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IL SOLCO DI SANT'ISIDORO
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1. Cenni storico-ambientali
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2. La "bbifulcina" 3. Il culto di Sant'Isidoro l'Agricoltore 4. La gara del solco dritto 5. Conclusioni REPERTORI LINGUISTICI Glossario dialettale Nomi imposti ai bovini Antroponimia Toponomastica BIBLIOGRAFIA
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PREMESSA
Apartire dall'estate del 2008, nell'ambito di un più ampio progetto di documentazione dei dialetti e delle tradizioni popolari della Teverina viterbese - ossia della porzione della nostra provincia compresa tra il versante orientale dei Monti Volsini ed il fiume Tevere - , ho avviato un'inchiesta nella piccola borgata di Fastello, nel territorio comunale di Viterbo, allo scopo di documentare quanto rimaneva nei ricordi della popolazione della tracciatura del solco dritto o "solco di Sant'Isidoro", dando grande rilievo agli aspetti linguistici - e, in particolare, lessicali - connessi alla manifestazione dei bifolchi fastellesi. L'indagine si è conclusa nella primavera del 2012, alla vigilia dei festeggiamenti dedicati a Sant'Isidoro l'Agricoltore, protettore dei contadini e patrono della frazione viterbese. La stesura del presente lavoro è stata possibile, innanzitutto, grazie alla collaborazione di alcuni informatori - nati e residenti a Fastello o nelle campagne contigue, nel territorio di Celleno - , elencati in ordine anagrafico (sono state contrassegnate con asterisco le fonti intervistate a più riprese): Silvio Mecocci* (1920), Adele Ceccobelli detta Ièlla* (1923), Giuseppe Bellacima detto Pèppe Fao (1923), Adalgisa Ricci detta Argisa (1926), Donato Paladino* (poeta dialettale ed ultimo partecipante alla gara del solco dritto; 1929), Erina Mecocci (1930), Angelica Paladino (1933), Maria Nasoni detta Manétta (1934), Filippo Nasoni detto Pippo (1935), Ivana Scoponi (1939), Giovina Ercolani* (1941), Siro Mecocci (1942), Teresa Ranucci (1945), Innocenzo Ranucci* (1945), Teodora Turchetti* (1947), Cesarina Ranucci (1952). Un sincero ringraziamento va anche alla sig.ra Michela Fersini ed a quanti hanno preferito rimanere anonimi. Tra le persone che hanno collaborato mi piace ricordare, in particolare, l'intera famiglia di Innocenzo Ranucci, sia per la grande disponibilità che per aver favorito la cooperazione di altri cittadini fastellesi, agevolando, in tal modo, l'attività del ricercatore, che - pur essendo nato da una famiglia originaria di un centro limitrofo (Grotte Santo Stefano) - aveva scarsa confidenza con la comunità locale e rischiava pertanto di essere visto come un "elemento intrusivo" o "di disturbo".
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Vorrei ringraziare, inoltre, chiunque abbia fornito informazioni e materiali utili, in qualche caso inediti, ovvero, in ordine sparso: don Roberto Bracaccini, Giancarlo Breccola, padre Rinaldo Cordovani e, in particolare, Pamela Mecocci, per aver realizzato i disegni tecnici ed avermi comunicato utili informazioni sulla chiesa di Sant'Isidoro, frutto delle sue ricerche. La mia gratitudine va poi a Luigi Cimarra, per i continui e preziosi suggerimenti e per l'aiuto nella correzione delle bozze. Sono altresì grato, per i medesimi motivi (e per la pazienza dimostratami!), ad Enrica Ciorba. Per la revisione delle bozze ringrazio anche Elisa Frezza, mia sorella. Meritano una menzione a parte il Comitato Festeggiamenti Sant'Isidoro (Fastello) e l'Ass. cult. "Ecomuseo della Tuscia" (Grotte Santo Stefano) per aver creduto nell'importanza della ricerca e per avermi dato la possibilità materiale di mandarne i risultati alle stampe. Per ragioni di spazio, si è purtroppo dovuto rinunciare a riprodurre ampia parte del materiale fotografico ed iconografico raccolto. L'immagine di copertina proviene dall'archivio personale della sig.ra Giovina Ercolani e ritrae il villano Armando Ercolani con un paio di vacche maremmane aggiogate, in loc. Ferrata, alla fine degli anni '30. In quarta di copertina è riprodotto il dipinto dedicato al santo padrono, di recente fattura, esposto all'interno della chiesa parrocchiale. La fotografia della chiesa di Sant'Isidoro (p. 17) è stata fornita da padre Rinaldo Cordovani. Il progetto grafico è del ricercatore. Per le operazioni di fotoritocco si ringrazia Cesare Fanti. Un pensiero, infine, va a mia nonna Clementina Pezzato detta Nina (1920-2009) - originaria di Montefiascone ma per molti anni residente in loc. Montanciano, a pochi chilometri da Fastello - , che per prima, ed in ripetute occasioni, mi ha parlato del "solco di Sant'Isidoro", bella ed antica tradizione fastellese che ho avvertito l'urgenza di documentare, prima che il tempo ed i sempre più rapidi ed incisivi processi di globalizzazione ed omologazione culturale ne cancellassero definitivamente ogni traccia.
L'autore
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SIMBOLI ED ABBREVIAZIONI
accr. aggant. antifr. antr. are. cfr. CH civ. cogn. coli. corri. d. descr. dispr. dist. f. fam.
accrescitivo aggettivo antiquato (v. in via di disuso) antifrastico antroponimo arcaico (v. desueta) confronta chiosa dell'informatore civile (v. del registro formale) cognome collettivo comune detto descrizione dispregiativo distanza femminile famiglia; famigliare figurato fig. frazione fraz. gloss. glossario ibidem ibid. idem id. impers. impersonale impf. imperfetto imprec. imprecazione ind. indicativo interiezione inter. intr. intransitivo ipocor. ipocoristico chilogrammo kg km chilometro loc. località metro; maschile m mt metro m2 metro quadrato n.pr. nome proprio participio Ppar. paragone pass. passato peggiorativo peggperf. perfetto
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pi. pres. pron. prov. top. tr. raro ree. recipr. rif. rifl. rust. s. sec. s.f. s.l.m. s.m. sopr. SP SR SS sopr. top. tr. v. vd. well.
plurale presente pronominale proverbio toponimo transitivo v. di scarso impiego recente (v. di ree. introduzione) reciproco riferito riflessivo rustico (v. in uso nelle campagne) sotto secolo sostantivo femminile sul livello del mare sostantivo maschile soprannome Strada Provinciale Strada Regionale Strada Statale soprannome toponimo transitivo voce; verbo vedi wellerismo
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può segnalare un dubbio del raccoglitore. scansione di versi. separa i singoli contesti linguistici e gli elementi della fraseologia. separa funzioni grammaticali, alterati, locuzioni, proverbi, ecc. rinvio a variante fonetica o formale. racchiude termini scientifici di flora e fauna, chiose esplicative del curatore, abbreviazioni. contiene integrazioni al testo fornito dall'informatore.
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NOTE SUL DIALETTO
Data la rilevanza che assume, nel presente studio, il piano linguistico, occorre almeno far cenno alle principali caratteristiche della parlata locale, piuttosto conservativa e, fino a questo momento, del tutto inedita, se si fa eccezione per le poesie di Donato Paladino1 e per alcuni brevi testi narrativi2, relativi alle questue effettuate in occasione dell'Epifania, alla gara del solco dritto ed al culto di Sant'Isidoro l'Agricoltore3. Il vernacolo di Fastello appartiene al gruppo dei dialetti mediani, che include le parlate in uso nel Lazio, in Umbria ed in parte delle Marche e dell'Abruzzo. Si hanno, quindi, fenomeni quali l'apocope o troncamento dei verbi all'infinito (mógna "mungere", simentà) e l'assimilazione di alcuni gruppi consonantici (
r, come avviene nel romanesco i sórdi "i soldi" "il denaro". A Fastello si ha, di norma, il mantenimento di l (le sòlde, l zólco "il solco", la cultrina), comune, secondo gli informatori, alla parlata arcaica4. 1) Paladino 2009. 2) Frezza 2009. 3) Sufficientemente documentato è invece il dialetto del contiguo centro di Montefiascone, già oggetto delle inchieste dell'Atlante linguistico italo-svizzero (AIS) e dell'Atlante linguistico italiano (ALI, in corso di pubblicazione); la località volsina è stata inoltre prescelta, insieme ad Acquapendente, tra i punti d'indagine del vocabolario dialettale dell'Orvietano (M&U 1992). 4) Sono però attestate alcune voci rotacizzate (accramà, bbìfórco e, tra vocali, vòre "vuole" e Muntìsere "Montisola"), che rimangono pur sempre in netta minoranza rispetto alle forme in /. La situazione di Fastello non appare, tuttavia, isolata, poiché trova abbondanti riscontri nella parlata di Grotte Santo Stefano (cfr. acclama, i sòldi, l zólco, i bbifólci, la cultrina).
Per quanto riguarda il sistema di trascrizione utilizzato, si è avuta cura di presentare i materiali in modo tale da renderli contemporaneamente comprensibili al pubblico non specializzato (in primis alla comunità locale) ed utilizzabili dagli studiosi delle discipline linguistiche. La parti in vernacolo sono state trascritte utilizzando il carattere corsivo e facendo in modo di rappresentare almeno le principali caratteristiche fonetiche. I caratteri utilizzati corrispondono, di norma, a quelli della lingua standard, salvo alcuni accorgimenti. L'accento grafico grave, che compare sulle vocali à, ì, it, ha esclusivamente valore tonico, mentre, per indicarne la qualità, l'accento grave è segnalato sulle vocali toniche aperte (è, ò) e quello acuto sulle chiuse (é, ó), come in bbèstìa, érpece, ólmo "ólmo" e hbifólco. L'accento è indicato sulle parole tronche, sdrucciole e bisdrucciole; compare su quelle piane per distinguere il grado di apertura della vocale tonica soltanto se si tratta di una e o di una o. Per quanto concerne le consonanti, l'occlusiva prevelare sorda davanti ad i semivocalica si rende con il trigramma chj + vocale (chjèsa), mentre la corrispondente sonora è resa con ghj + vocale {preghièra). L'occlusiva bilabiale sonora b è realizzata generalmente come intensa, sia dopo silenzio che tra vocali (bbòvo "bue", le bbòa "i buoi", ròbba). Non mancano, tuttavia, forme in cui tale rafforzamento non ha luogo (.bòvo, le bòa, ròba). Interessante è pure la realizzazione debole dell'affricata postalveopalatale sonora g o "g dolce" {intiligènte "intelligente"), a fronte della più comune pronuncia intensa (ggiógo, deliggiri). Il carattere i rappresenta l'affricata apicodentale sonora {garzóne, zziènnà), come nell'italiano azienda o zona5. La fricativa palatale sonora è resa con j. Occorre menzionare come l'intensità di tale suono sia estremamente variabile: essa è generalmente rafforzata tra vocali (fòjja "foglia", pajja "paglia"), ma può essere più o meno debole in certe voci (paja,pajale). È altresì attestata la pronuncia forte -gghj- (fògghja, pagghja), particolarmente frequente tra gli anziani. Meritano almeno una menzione alcuni tratti che il sistema di trascrizione adottato non consente di rappresentare. Oltre alla palatizzazione di 5 prevocalica - che gode di ampia diffusione nella nostra provincia - si segnala la frequente resa semisonora di s tra vocali, scarsamente documentata Anche a Montefìascone, d'altronde, il rotacismo sarebbe penetrato, o almeno avrebbe conosciuto un notevole incremento, in tempi non remoti (Dinam. 2002:62-63). 5) Si nota come tale sonorità appaia talvolta in luogo della sorda comunemente usata (pènzo "penso", n zólco "un solco").
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nell'area viterbese, ma in realtà presente sia intorno al lago di Bolsena che nella Teverina. La pronuncia di v tra vocali è generalmente debole e tende addirittura alla scomparsa (j'acìa "faceva", ddu acche "due vacche", ri altra òlta "volta"). Assai evidente è pure la spirantizzazione o "aspirazione" di k e / tra vocali, che può giungere fino al completo dileguo nel corso di pronuncia veloce (apito "capito", la cerrata e "che" cce se toccaa le bbòa). La lenizione od indebolimento delle consonanti k, t e p tra vocali o dopo altre consonanti (/, m, n) viene segnalata soltanto qualora conduca alla sonorizzazione completa o pressoché totale delle stesse. Il fenomeno consiste nella trasformazione di detti fonemi nei corrispondenti sonori (anghi "anche", un gunfino "confine dei campo", arado "aratro", sand' Isidoro, una biètra "pietra", m boderétto "un piccolo podere"). Non mancano casi in cui si hanno contemporaneamente lenizione e spirantizzazione. All'interno del saggio le forme dialettali appaiono, di norma, tra parentesi, dopo le voci di lingua. Nel caso in cui siano state registrate più varianti per lo stesso termine, ci si è limitati a riportare quella posta a lemma nei "Repertori linguistici", a loro volta suddivisi in "Glossario dialettale", "Nomi imposti ai bovini", "Antroponimia" e "Toponomastica"6. Il glossario contiene voci relative ai settori semantici connessi alla gara del solco dritto, ovvero l'allevamento bovino, l'aratura, la semina, le parti del campo, la geomorfologia del territorio e le caratteristiche essenziali della società contadina (figure sociali e rapporti economici). Non mancano termini relativi al culto del santo patrono, ai relativi festeggiamenti ed alla gara tra i bifolchi. Per quanto attiene la struttura del repertorio, si è seguito, grossomodo, il modello della collana "Vocabolario dialettale della Tuscia viterbese", alla quale, per evidenti ragioni di spazio, si è costretti a rimandare7. 6) Il nucleo di base dei repertori linguistici è costituito da termini, locuzioni e nomi propri raccolti incidentalmente nel corso delle prime interviste, prevalentemente a carattere folclorico. Sono stati effettuati, in seguito, ripetuti sopralluoghi nel corso dei quali si è fatto uso, a mo' di promemoria (si è infatti preferito, in genere, impiegare la tecnica della conversazione guidata), del questionario dell' Atlante Linguistico Italiano (vd. nota 3), anche per favorire il confronto con le fonti edite. In alcuni casi si è fatto ricorso, con estrema cautela, a domande semasiologiche, tenendo conto sia delle raccolte lessicali esistenti (vd. note 3 e 7), che di un testo relativo alla medicina ed alla veterinaria popolare nella Teverina (Amici 1992). 7) La collana, diretta dal prof. Francesco Petroselli, ha lo scopo di documentare scientificamente le parlate di alcuni centri campione del Viterbese. Fino ad ora sono stati pubblicati i volumi relativi a Viterbo (Petroselli 2009), Blera (Petroselli 2010) e Civita Castellana (Cimarra 2010), mentre sono in fase preparatoria i vocabolari di Canepina e Sant'Oreste (RM), a cura di Petroselli e del prof. Luigi Cimarra.
Ci si limita, quindi, a segnalare come il termine posto ad esponente (in carattere neretto, tondo) rappresenti, di norma, la voce più conservativa, e sia seguito dalle eventuali varianti formali (in carattere corsivo), le quali sono altresì elencate in ordine alfabetico (in carattere neretto, tondo), con rimando (: —•) al lemma principale. Seguono la classifica grammaticale (assente nelle voci anche di lingua), la sezione semantica (con traduzioni o spiegazioni del termine, in carattere tondo) e l'eventuale fraseologia (in corsivo), composta da contesti d'uso, testi folclorici, ecc. Gli elementi fraseologici sono separati da una barra verticale (|), mentre la doppia barra (||) precede le sezioni dedicate ai proverbi od alle frasi fatte (modi di dire, paragoni liberi, ecc.) oppure separa le diverse accezioni grammaticali o, in alternativa, introduce forme d'interesse linguistico quali voci verbali (precedute dalla dicitura "Forme"), plurali irregolari (id.) od eventuali forme alterate. La frequenza d'uso dei termini è segnalata con le opportune indicazioni (in carattere tondo: "ant.", "are.", "civ.", "raro", "ree.", "rust."), per le quali si rimanda alla sezione dedicata ai simboli ed alle abbreviazioni8. Nel caso in cui, all'interno della fraseologia, appaiano termini non immediatamente comprensibili, se ne fornisce la traduzione od una spiegazione (in carattere tondo) al termine della frase, dopo virgola, od all'interno della stessa, racchiusa tra virgolette doppie {man "a" qualche bbèstia). Per quanto riguarda le parti dedicate all'onomastica sono stati seguiti criteri analoghi. La sezione "Nomi imposti ai bovini" contiene una lista di nomi propri, soprattutto di bovini aratori. Nomi, ipocoristici e cognomi citati, oltre ad alcuni soprannomi legati ai settori indagati (appellativi di bifolchi e proprietari terrieri), sono invece stati inseriti nella sezione "Antroponimia"; ci è sembrato poi utile elencare anche soprannomi di "maghi" e guaritori, i cui interventi erano richiesti nel caso in cui un animale domestico fosse malato o fosse stato presumibilmente colpito da malocchio. La sezione intitolata "Toponomastica" registra i nomi di luogo citati, dei quali, quando è stato possibile, si è fornito il toponimo ufficiale insieme ad altre informazioni utili, oltre ai riscontri con la cartografia militare e regionale, preceduti da doppia barra verticale (||); qualora il nome di luogo non appaia nelle carte consultate, si è provveduto almeno ad indicare il toponimo cartografato più vicino. 8) Tali informazioni sono tuttavia indicative, poiché non è stata condotta, in tal senso, un'indagine specifica. Si fa presente, poi, come le voci e le locuzioni raccolte nelle località di campagna (situate nel territorio di Celleno, ma orbitanti intorno a Fastello), più conservative, siano state segnalate come "rustiche" soltanto nel caso in cui non siano state registrate anche nel centro urbano; questo non significa necessariamente che tali forme siano assenti a Fastello, ma soltanto che gli informatori qui residenti non ne hanno fatto uso nel corso dell'inchiesta.
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IL SOLCO DI SANT'ISIDORO
Quid est agrum bene colerei bene arare; quid secunduml arare; quid tertìol stercorare C a t o n e il vecchio,
De Agri cultura liber (LXX - 61,1)
1. Cenni storico-ambientali Sul versante orientale dei Monti Volsini, a pochi chilometri dal lago di Bolsena ed in prossimità della valle del Tevere, sorge la borgata di Fastello (232 residenti, 430 m s.l.m.1), situata nel territorio comunale di Viterbo (da cui dista 17,2 km), al confine con Montefiascone (dist.: 6 km) e Celleno (dist.: 6,3 km). Il territorio, prevalentemente collinare, è caratterizzato dalla presenza di alcune sorgenti d'acqua {fontane) e di numerosi fossi, tributari del torrente Rigo, affluente del Tevere. L'unica zona pianeggiante di una certa estensione si trova immediatamente a nord dell'abitato, nel territorio di Celleno. Sono qui ubicati i piccoli nuclei abitativi di Casa Salcione (Salcióne) e Casa Strappaceci (Strappacéce), orbitanti intorno a Fastello per motivi religiosi e, un tempo, didattici. Altre piccole borgate, site ad est (/ Trìalóne, Fontanèlle) e ad ovest (le Bbugatte) dell'agglomerato principale, costituiscono ormai un aggregato unico con quest'ultimo, in seguito alla modesta espansione edilizia che ha avuto luogo a partire dal secondo dopoguerra. Si ignorano le origini del toponimo "Fastello", sebbene, secondo qualcuno, il nome farebbe riferimento alla raccolta di fascine di legna (fastelli) o, forse, ad una (ipotetica?) famiglia Fastella, che avrebbe avuto possedimenti sul posto2. 1) Secondo gli ultimi dati disponibili (ISTAT 2001) i 232 residenti, suddivisi in 95 nuclei familiari, vivono in 140 abitazioni, per un totale di 95 edifici. Occorrerebbe poi considerare i numerosi immigrati che si sono trasferiti a Fastello, in pianta più o meno stabile, nel corso dell'ultimo decennio: le case se só riempite tutte de forestière, quante ci n'erano IV hanno acquistate tutte, nun è rimasta una casa lìbbera. 2) Il toponimo appare per la prima volta, secondo le fonti scritte che è stato possibile consultare, nel 1819 (vd. nota seguente). Il nome di luogo viene talvolta preceduto, a Grotte Santo
Sul centro, che non sarebbe sorto prima del XVII sec.3, disponiamo di scarse notizie storiche. Nelle vicinanze della frazione si trovano il sito archeologico della città etrusco-romana di Ferento4 e la loc. Casal Fiorentino - quest'ultima nel territorio di Bagnoregio (dist. del centro da Fastello: 16,2 km) - , dove un tempo sorgeva il villaggio di Castel Fiorentino5. Nei dintorni del paese sono tuttora visibili delle grotte artificiali {gròtte), scavate nel tufo, alcune delle quali sono state utilizzate fino a tempi non remoti come abitazioni o come stalle. Fino al 2007 Fastello ha fatto capo alla soppressa IX Circoscrizione del Comune di Viterbo - con sede e servizi a Grotte Santo Stefano (dist.: 8,5 km) - e, in precedenza, alla delegazione comunale grottana6. Allo stato Stefano, dall'articolo determinativo "il" (I Fastèllo), mentre lo stesso è assente nella parlata locale. Si nota come, nel dialetto fastellese, un fascio d'erba o di legna non venga indicato con il termine "fastello", ma con la voce anche di lingua "fascio": fa le fasce "preparare i fasci d'erba per il foraggio"; ce sò ddìalètte, presémpio, per dire, a Ffastèllo dimo 1 fascio, nói presémpio a Vvitèrbo dicono un fastèllo (ma il sostantivo manca in Petroselli 2009). Cfr., nella vicina subarea orvietana, la seguente espressione: ggiùteme a ccarcà "aiutami a caricare" sto fastèllo d'erbai (M&U 1992:17, s. aggiutà). Per le accezioni di fàscio nell'area viterbese-orvietana, si rimanda alle fonti disponibili (Cimarra 2010:216, M&U 1992:188, Petroselli 2009:284, Petroselli 2010:302). Cfr. anche i toponimi, attestati nel Lazio, di Fascella, Fascia, Fascette e Fascianello, i quali farebbero riferimento ad appezzamenti di terreno od ai covoni del grano (Conti 1984:154-155, s. Fascella). A Sarteano, in provincia di Siena, cfr. il toponimo Fastelli, forse da "fastello" (Pieri 1969:389). Nel Senese, cfr. anche le forme dialettali fastèllo "fastello" e fastèlli "grumetti di farina non ben sciolta nella cottura o di pasta non lievitata nel pane" (Cagliaritano 1975:62). Per quanto riguarda la proposta di derivazione del toponimo dal cognome Fastella, in assenza di documenti che sostengano tale ipotesi, ci si limita a rilevare come questo sia attestato a Grotte di Castro, sul versante opposto del lago di Bolsena. 3) La nascita dell'"agglomerato rurale" di Fastello sarebbe databile tra il XVII ed il XVIII sec. (Romagnoli 2006:224). Le prime notizie che si sono potute rintracciare risalgono al 1819, quando, secondo il Catasto Gregoriano, il territorio dei "Casali di Fastello", nel Comune di Viterbo (Stato Pontificio), comprendeva 243 appezzamenti di terreno. La popolazione di cui si ignora la consistenza - usufruiva dei diritti d'uso civico - e, in particolare, delle servitù di pascolo - che gravavano sui terreni dei Doria Pamphili e dei Sartori (http.7/www. universitagrarie.org/doc/VT 188.pdf). Dieci anni più tardi, Fastello, "Frazione della Città di Viterbo soggetta a quel Distretto, e Delegazione", nel territorio diocesano di Montefiascone, contava 115 anime. La popolazione era destinata a rimanere pressoché invariata almeno fino al 1861, quando era ridotta a "quasi 110 abitanti". Cfr. Indice 1829:82, Moroni 1861:234, Palmieri 1857:18. 4) La città etrusco-romana di Ferento venne distrutta da viterbesi e cellenesi tra il 1170 e il 1172, in seguito ai ripetuti tentativi del Comune di Viterbo di estendere il proprio dominio sino alla valle del Tevere. 5) 11 villaggio fortificato, alleato di Viterbo, venne distrutto dagli orvietani nel 1316 o 1317. 6) Nel 1928 il Comune di Grotte Santo Stefano venne soppresso ed il suo territorio (inclusivo delle frazioni di Montecalvello e Vallebona) venne aggregato al capoluogo provinciale, secondo le disposizioni del Regio Decreto 866 del 9 aprile, a firma di Benito Mussolini.
attuale la frazione risulta sprovvista di qualsiasi forma di rappresentanza politica formale o di autonomia amministrativa. Si segnala, inoltre, una notevole e perdurante carenza - quando non si tratti di totale assenza - di servizi di tipo sanitario, didattico e commerciale7. Si nota, inoltre, un elevato pendolarismo lavorativo (soprattutto in direzione del capoluogo ed in particolare nel settore terziario)8, favorito dalla rapidità con cui è possibile raggiungere i maggiori centri d'attrazione, in contrasto con il relativo isolamento di cui ha sofferto il centro fino a pochi decenni fa9. 2. La "bbifulcina" Fino agii anni Cinquanta del secolo scorso la comunità fastellese era composta quasi interamente da lavoratori della terra e la proprietà A partire da quel momento il Comune di Viterbo individuò in Grotte e nel contiguo centro di Magugnano (antica dipendenza ferentana passata sotto il dominio viterbese dopo la distruzione della Splendidissima civitas) un'unica entità, denominata semplicemente "Grotte Santo Stefano". Venne quindi istituita la "Delegazione Comunale di Grotte Santo Stefano" - che comprendeva il territorio ex-comunale, Magugnano e le borgate di Fastello e Pratoleva, già facenti parte del Comune di Viterbo - , poi soppressa in vista dell'istituzione delle circoscrizioni comunali. 7) A parte un minimarket ed alcune aziende agricole, sono assenti attività economiche di qualche rilievo. Mancano luoghi di socializzazione quali bar, circoli e centro anziani. La gestione dell'ordine pubblico è affidata ai carabinieri di Grotte Santo Stefano. Sono assenti sia un medico di base (per cui la popolazione deve fare riferimento a quelli in servizio a Grotte) che una farmacia. La farmacia grottana gestisce però uno sportello in loco, con apertura settimanale. Le scuole primarie (materne ed elementari) sono state chiuse negli ultimi decenni del secolo scorso, dando luogo al pendolarismo scolastico verso Montefìascone e, soltanto in piccola parte, verso Grotte ed il capoluogo. L'attuale cimitero è stato edificato nel secondo dopoguerra; prima di allora i defunti venivano sepolti nel cimitero di Grotte e, in precedenza, secondo alcuni, in quello di Celleno. 8) Data l'estrema difficoltà constatata nell'ottenere dati disaggregati da quelli del capoluogo comunale, ci si è potuti affidare unicamente all'osservazione diretta ed alle testimonianze della popolazione. 9) La strada provinciale Fastello (SP127) è stata aperta negli anni Sessanta del secolo scorso; prima di allora i centri limitrofi potevano essere raggiunti soltanto percorrendo scomode strade di campagna. La provinciale attraversa la borgata collegandola a Montefìascone - e, quindi, alle strade Cassia (SR 2) ed Umbro-Casentinese (SS 71 ) - ed alla Teverina (SP 5), la quale conduce al capoluogo, a Grotte (tramite la SP Grottana o SP 18), Celleno ed agli altri centri della valle del Tevere. I più vicini caselli dell'Autostrada del Sole (Al) sono situati ad Artigliano (26 km), Orvieto (33 km) ed Orte (37 km). I collegamenti col capoluogo sono assicurati, inoltre, dalle linee degli autobus di Francigena s.r.l. e Cotral s.p.a. Si menziona, poi, la linea ferroviaria Viterbo-Attigliano, inaugurata nel 1886, un tempo raggiungibile grazie alla soppressa fermata di Celleno, ed attualmente tramite le stazioni di Grotte e di Zepponami (fraz. di Montefìascone).
terriera - costituita soprattutto da piccoli appezzamenti - era scarsamente diffusa. Un sistema di conduzione del terreno piuttosto comune era quello della mezzadria (a mmèzzo)10, nato nel basso medioevo nel contesto dell'economia feudale e scomparso soltanto di recente". Ampia parte della popolazione era dedita, poi, al lavoro fìsso (a ggarzóne) o a giornata (a ggiornada, a òpra) nelle aziende agricole (lezziènne) dei grandi proprietari terrieri {lepatròne, le patronale, le propietàrie, le signóre), alcuni dei quali {le Calistre, le Tassònie) risiedevano nei centri limitrofi. Nell'ambito della variegata società contadina12, assumeva particolare rilevanza la figura del bifolco (/ bifólco o, più raramente, / biforco). Come è noto, nel tempo, il termine ha assunto una valenza negativa, come sinonimo di "grossolano, rozzo, maleducato"13, ed inoltre i bifolchi {le bbifólce) sono stati, loro malgrado, stigmatizzati duramente da una serie di detti proverbiali o blasoni popolari a sfondo sociale14. Malgrado ciò, il bifolco godeva di un certo prestigio {parìa "sembrava" na còsa più speciale), sia per la buona retribuzione rispetto agli altri agricoltori, che per il diritto - acquisito grazie alle lotte della corporazione di categoria, detta "società dei boattieri" od "arte bifolcina" - di godere della domenica festiva (facìa fèsta), allora sconosciuta alla maggior parte dei lavoratori (/ bifólco èra m pò più Uìbbero). Il bifolco era, inoltre, un operaio specializzato in grado di adempiere ad alcune funzioni di capitale importanza: il suo mestiere {la bbifulcina) 10) Secondo questo tipo di contratto agricolo il mezzadro (cuntadino, mezzatro, sòccio, poderante), al quale era affidato il podere, doveva corrispondere metà dei frutti del proprio lavoro al proprietario terriero (facéino a mmèzzo), detto concedente. 11 ) La legge 15 settembre 1964, n. 756, vietò, a partire dal 23 settembre 1974, la stipulazione di nuovi contratti di mezzadria, colonia parziaria o soccida. La legge 3 maggio 1982, n. 203, imponeva invece la trasformazione di quelli esistenti in contratti di affitto a coltivatore diretto, dietro richiesta di una sola delle due parti. 12) Cfr., nel glossario, le seguenti figure (alcune delle quali già citate): agricultóre, bbifólco, bbifolchétto (s. bbifólco), bbiscino, bbùttoro, capòccia, capuccétta, capuèziènda, caséngo, cavallaro, cotecaro (dispr. per capòccia), crostino, cuntadino, fattóre, garzóne (ed il coli. garzonamé), ggiornataro, guardiano, guidarèllo, mezzatro, muccaro, operajjo, sòccio, Pecoraro, poderante, porcaro, simentarèllo, tratturista, vaccaro, vergaro, villano. Alcuni di questi termini sono, tuttavia, sostanzialmente sinonimi. Si nota, poi, come in una comunità ristretta come quella di Fastello la distinzione tra le varie figure dipendesse, talvolta, dal contesto pratico, poiché, per limitarci al caso più frequente, anche un piccolo proprietario terriero poteva prestarsi, a seconda dei propri bisogni, a fornire prestazioni lavorative a giornata (nun ce campae sul tuo "con la tua proprietà terriera", toccava annà a òpra). 13) Cfr. i significati traslati di bbifórco (bbifórgo a Civita Castellana) in: Cimarra 2010:53, M&U 1992:73, Petroselli 2009:181, Petroselli 2010:126. 14) Cfr. Tuscania: peffàn omo bbravo, / ce vònno tré bbifórchi, e m pecoraro (Provtus. :4905).
12
la
cenata 3S23!
l puncicarèllo
l màneco
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la sterratóra
l giógo
II'arato
Gli strumenti da lavoro del bifolco (illustrazioni di Pamela Mecocci).
includeva, infatti, la cura e la doma dei bovini (le bbèstie, le bbòa "i buoi", le vaccine), l'aratura (lavorò la tèrra), la semina (simentà, ree, siminà) e, nel caso dei bifolchi più abili, la fabbricazione delle parti di legno dei propri strumenti da lavoro (Wordégne, IVarato, la cerrata, l giógo), altrimenti affidata al capo degli operai (/ capòccia, dispr. / cotecaro)ÌS. 3. II culto di Sant'Isidoro l'Agricoltore Fastello ha fatto capo alla diocesi di Montefìascone fino al suo accorpamento a quella di Viterbo, avvenuto nel 1986. Fino a tempi non remoti, il centro non disponeva di un proprio edificio religioso ed i fedeli facevano riferimento alla chiesa rurale - oggi sconsacrata - intitolata a Sant'Isidoro l'Agricoltore (sand"Isidoro), situata in loc. Ranucci (le Casale), piccola borgata appena al di là del confine con Montefìascone. Soltanto a partire dai primi anni '30 la frazione ha potuto disporre di una propria chiesa, riconosciuta come parrocchia tra il 1939 ed il 1942 ed intitolata a Santa Lucia Filippini16. La chiesa di Sant'Isidoro - risalente almeno al Settecento e già oggetto di studio17 - è stata quindi progressivamente abbandonata e versa 15) Sull'importanza ed il prestigio della categoria dei bifolchi, cfr. anche Cimarra 2012:213214, Mancini 1996:28. 16) La prima pietra del nuovo edifìcio fu posta dal vescovo diocesano Rosi il 25 marzo 1931 e consacrata il primo ottobre 1933. La documentazione relativa alla costruzione della chiesa ed al riconoscimento dello status di parrocchia è consultabile rispettivamente nei fascicoli "Costruzione di una Chiesa, in Fastello" (AS VT 276) e "Riconoscimento della Parrocchia di Fastello" (ASVT 614). Cfr. anche Cordovani 1989. 17) Il citato studio, ad opera della dott.ssa Pamela Mecocci e del dott. Angelo Marcoccia, era finalizzato al sostenimento di un esame di "Laboratorio di restauro" presso la Facoltà di Architettura dell'Università degli Studi "La Sapienza" di Roma. Secondo quanto si evince dai materiali consultati, il corpo principale della costruzione, risalente al XV1-XV11 sec., ha subito ampliamenti e modifiche nei secoli successivi, sino agli ultimi interventi effettuati nella prima metà del Novecento. Tuttavia, non è possibile stabilire con certezza se l'edificio sia stato destinato sin dal principio alle funzioni religiose, sebbene il prospetto di quello che si considera essere il nucleo originario, preso in analisi isolatamente dal resto del complesso, richiami la tipologia della facciata a capanna, molto in uso per le costruzioni ecclesiastiche dell'epoca. Sicuramente esso era già adibito al culto agli inizi del XVIII sec. dal momento che, secondo le notizie fatte cordialmente pervenire da padre Rinaldo Cordovani, la "Cronistoria-diario della Vicaria Curata di Santa Lucia Filippini in Fastello" (archivio parrocchiale) riporta, in data sconosciuta, come il cardinale Marc'Antonio Barbarigo (16401706, vescovo di Montefìascone a partire da) 1687) si preoccupasse per l'assistenza spirituale "all'estesissimo contado di Montefìascone", aggiungendo che è "ben vero che [in] alcune chiese rurali, come quella di San Pancrazio alle Coste, di S. Maria del Giglio in Zepponami, di S. Isidoro ai Casali, si recava la festa un Sacerdote a celebrarvi la Messa".
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attualmente in pessime condizioni. Il gonfalone dedicato al Santo (lo stennardo), nonché il busto che lo ritrae (/ zanto lett. "il Santo", la tèsta santa) - contenente una presunta reliquia ossea - , sono stati trasferiti nel nuovo edifìcio parrocchiale nel secondo dopoguerra18, contestualmente allo spostamento dei festeggiamenti dedicati al santo aratore da loc. Ranucci a Fastello (de prima "un tempo" la festa èra a le Casale). I fastellesi considerano tuttora Sant'Isidoro il proprio patrono e lo celebrano ogni anno, nella domenica successiva al 10 maggio (la fèsta de sancTIsidòro)i9. Il culto del santo madrileno (1080-1130, canonizzato nel 1622) gode di una certa diffusione sia in Spagna che in Italia. Per quanto riguarda la nostra provincia, egli è patrono di Fastello e Farnese e copatrono di Civitella Cesi (fraz. di Blera), Latera e Monteromano. Appena al di fuori dai confini regionali, la devozione a Sant'Isidoro è attestata a Canonica (fraz. di Orvieto). Si nota, però, come detto culto non sia stato sempre presente nell'Alto Lazio e sia andato anzi a sostituirsi, nel tempo, alla devozione della Vergine Assunta - antica patrona della corporazione dei bifolchi - e di altri santi20. È stato fatto notare, inoltre, che dove sussistano festeggiamenti in onore del santo aratore, questi "sono il frutto della comunità agricolo pastorale che impegna le proprie energie anche materiali per la riuscita di questa celebrazione"21. Data la modesta entità abitativa del centro - addirittura più ridotta in passato22 - , si può forse ipotizzare che, a Fastello, non sia mai esistita un'associazione degli agricoltori. Si può invece affermare che il culto di Sant'Isidoro fosse diffuso nell'area in esame almeno a partire dal primo Settecento, quando la chiesa rurale di loc. Ranucci risultava già 18) All'interno della chiesa parrocchiale è altresì esposto un dipinto anonimo, di recente fattura, donato da un cittadino di Grotte Santo Stefano negli anni '70. Esso raffigura un miracolo del Santo, sul quale si tornerà meglio in seguito: Isidoro, che tiene in mano un pungolo del bifolco, volge lo sguardo verso il cielo, intento nella preghiera, mentre sullo sfondo un angelo guida una coppia di buoi nell'aratura. 19) Si nota come a Fastello, in passato, fosse piuttosto diffuso l'antroponimo Isidoro (Disidòro, sicuramente dall'agionimo sonorizzato sandIsidoro, inteso come san Disidòro), tanto che, per distinguere le persone che portavano questo nome, veniva di norma apposto Pipocoristico od il soprannome con cui era noto uno dei genitori: Disidòro de la Lina, Disidòro el Capòccia. Il nome era diffuso anche al femminile (la Durina "Isidora"). 20) Nel caso di Latera il culto del santo risale, forse, al XVII sec. La prima testimonianza scritta dell'esistenza di un dipinto a lui dedicato, all'interno della chiesa di San Sebastiano, risale al 1670, mentre si hanno attestazioni dei festeggiamenti in suo onore, organizzati dai bifolchi, a partire dal 1722 (Ferrara 1998:72). Cfr. anche Cimarra 2012:214. 21) Ferrara 1998:72. 22) Vd. nota 3.
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intitolata al suo nome23. Le prime notizie certe relative all'esistenza di celebrazioni dedicate al protettore dei bifolchi risalgono invece al 1815, come è possibile desumere da un foglio a stampa di quell'anno contenente un sonetto ad opera di "un fedele devoto", pubblicato in occasione della "Festa del Glorioso S. Isidoro Agricola", patrono di "una chiesa rurale di Montefiascone"24. Secondo una credenza tuttora diffusa, il Santo sarebbe vissuto per un certo periodo in loc. Ranucci (o, secondo qualcuno, a Fastello), dove sarebbe stato impiegato stabilmente come operaio presso un'azienda agricola. Per evitare che l'impegnativa professione di bifolco gli impedisse di recarsi alla messa e di dedicare tempo alla preghiera, un angelo lo avrebbe sostituito nell'adempimento delle proprie mansioni (jje veniva IVàngelo, sto àngelo che jje lavorava). Un giorno, in una località a sud di Fastello (/ Campanile), nel corso dei lavori agricoli, l'angelo avrebbe sofferto l'arsura, ed Isidoro, per rinfrescarlo, avrebbe colpito una grossa roccia (scòjjo) con il raschiatoio per pulire l'aratro (cerrata, sterratóra), facendo scaturire la sorgente denominata Fonte Campanile {la fontana el Campanile)25. La tradizione popolare individua la fonte d'acqua in un luogo ben preciso, prossimo a Fastello. Vanno poi considerate le caratteristiche fìsiche della sorgente: fino a tempi recenti l'acqua sgorgava dal terreno zampillando {bbollìa "zampillava"); si prestava, quindi, a sovrapporre la leggenda alle caratteristiche geomorfologiche locali. Si sottolinea, inoltre, l'importanza di Fonte Campanile, che costituiva - prima dell'allaccio alla condotta comunale, avvenuto soltanto di recente - una delle poche fonti d'approvvigionamento di acqua potabile26. 23) Vd. nota 17. 24) Si ringrazia, a tal proposito, lo storico montefiasconese Giancarlo Breccola per avercene procurata una copia. 25) Nella versione raccolta nelle campagne di Celleno, i bovini avrebbero arato il terreno da soli. La figura dell'angelo è assente anche nella variante di Grotte Santo Stefano, secondo la quale il santo agricoltore, nel corso dei lavori estivi, avrebbe aiutato i colleghi bifolchi stremati dalla sete, generando il fosso sito in loc. Le Amarelle (noto, sia a Grotte che a Fastello, come / fòsso de le Lamarèlle e, soltanto a Grotte, come / fòsso de Tròcchi). Vd. anche Frezza 2009:91-92, 2010:95. 26) L'acqua di Fonte Campanile venne condotta nelle case di Fastello nel 1969, ma, dopo pochi anni, venne ritenuta non idonea poiché, nei pressi della sorgente, erano presenti alcuni allevamenti; inoltre, dopo le piogge, l'acqua che giungeva nelle case era fangosa, torbida {sf acqua veniva tùrbida, quando facéa del temporale). Fu effettuato, quindi, l'allaccio ad un'altra sorgente situata in prossimità di loc. Pratoleva, che attualmente serve Fastello, Grotte Santo Stefano e parte dell'abitato di Montecalvello.
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Sonetto dedicato al Santo (1815)
IL Il busto di Sant'Isidoro
Secondo una variante della leggenda - diffusa tra le due guerre da un parroco di Fastello - il miracolo (/ miràcolo de lo scòjjo) sarebbe avvenuto non nei pressi del centro, ma in Spagna27. In questa versione appare un ulteriore elemento, ossia il fatto che Isidoro sarebbe stato mal visto dagli altri bifolchi (èra m pò criticato dalV altre) a causa del tempo dedicato alle orazioni (facìa preghjèra); tale impegno lo avrebbe infatti fatto arrivare costantemente in ritardo sul luogo di lavoro28. Un giorno, per dissetare i propri colleghi, avrebbe colpito a terra con la ralla, facendo scaturire una sorgente (ha ppiantato la cerrata, è vvenuta IVacqua). Tra le versioni documentate, assume particolare rilevanza quella di 29 Latera , secondo la quale il santo agricoltore, dopo aver partecipato alla messa, avrebbe subito, sulla soglia della chiesa, un rimprovero da parte del possidente alle cui dipendenze lavorava, per aver abbandonato l'aratura. Isidoro gli avrebbe rivelato, quindi, che un angelo stava lavorando per lui e lo avrebbe condotto nei campi per assistere al miracolo. Il padrone, sconvolto dalla visione, sarebbe stato soccorso dal santo, il quale gli avrebbe offerto un bicchiere d'acqua fatta sgorgare dalla roccia. E possibile riconoscere, nelle varianti segnalate, almeno tre elementi ricorrenti: il primo è la genesi miracolosa di una sorgente d'acqua, frutto, forse, di reminiscenze bibliche30; il secondo è ravvisabile nello status socio-economico del protettore degli agricoltori, comune alla grande maggioranza della popolazione dei centri dove è attestato il culto; il terzo fattore è costituito dalle necessità spirituali di Isidoro, alla cui 27) La versione del parroco è quindi più fedele a quella propria della tradizione cattolica ufficiale, secondo la quale Isidoro avrebbe compiuto i propri miracoli nel paese natale (cfr. Canale 1756). 28) A tale elemento - il contrasto tra il Santo ed i suoi colleghi - è stato dato particolare risalto dal nostro informatore di Canonica, il quale ha ripetutamente menzionato come gli altri bifolchi fossero "invidiosi" di Isidoro, al punto di riferire al proprietario che egli non si recava regolarmente al lavoro. 29) Cfr. Ferrara 1998, Fioriti 1998, Galli 1996. 30) Secondo Ferrara questo elemento trarrebbe spunto dall'acqua fatta sgorgare da Mosè per dissetare il popolo, percuotendo una roccia (Es. 17; 1-7) identificata con Cristo da San Paolo (1 Cor. 10; 1 -5); nel caso specifico di Latera, vi sarebbe poi un riferimento al patrono San Clemente, il quale avrebbe generato una fonte d'acqua dalla roccia del monte (Fioriti 1998:7, n. 5). Si terrà presente, inoltre, il "ricordo della grande benedizione dell'acqua nella veglia pasquale, l'acqua della benedizione delle case e quella della benedizioni dei campi per le rogazioni" (ibid.-.l, n. 4). Nella sorgente e nell'acqua che ne sgorga sono poi ravvisabili gli "archetipi che appartengono alla storia della nostra cultura, [...] immagini sincretiche della vita che nasce dalla fenditura che l'uomo ha tracciato nella terra" (Galli 1996:88). Nella variante raccolta a Canonica è però assente l'elemento dell'acqua, il che potrebbe forse spiegarsi con una scarsa conoscenza della leggenda da parte del nostro informatore.
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soddisfazione il Santo deve dedicare tempo sottratto al lavoro nei campi. Nella variante di Latera, il legame tra gli ultimi due elementi si fa più esplicito, con la presenza del contrasto tra l'operaio ed il proprietario temerò. La popolazione laterese, come quella di Fastello, è stata composta, fino a tempi recenti, quasi interamente da lavoratori agricoli e, come è noto, lo Stato Pontificio consentiva ai datori di lavoro di negare ai propri operai la domenica festiva. Nell'opposizione tra Isidoro ed il datore di lavoro è stato quindi visto un tentativo di avanzare le proprie rivendicazioni attraverso una celebrazione religiosa - nella quale, infatti, il clero svolge un ruolo del tutto marginale - , laddove non era possibile far valere i propri diritti direttamente presso i "detentori del potere"31. Altre inteipretazioni hanno invece dato risalto agli aspetti maggiormente connessi alla religiosità e, in particolare, al "valore catechetico" della leggenda, negando la presenza di un "contrasto tra bracciante e classe padronale"; ci sembra, però, che una teoria non escluda l'altra, ma che queste siano, anzi, complementari32. 4. La gara del solco dritto33 Fino alla fine degli anni Cinquanta del XX sec., contestualmente ai festeggiamenti patronali, si svolgeva, prima in loc. Ranucci e poi a Fastello, la gara del solco dritto {l zólco de sand'Isidoro), alla quale partecipavano alcune squadre (squatre) composte da bifolchi salariati (le garzóne) o capi degli operai (le capòccia), oppure da altre figure del mondo contadino, provenienti dalla compagne contigue o, più frequentemente, dal centro stesso (èh, qqualcuno pure de fora "fuori", ma la maggiorparte quéste del paése). Il numero di squadre - le quali erano composte, di norma, da tre o quattro uomini - non era predefinito e se ne potevano avere dalle due alle otto, anche se nella maggior parte dei casi se ne contavano quattro o cinque (méno de quattro mai). Nei giorni che precedevano la festa - la quale attirava, a dire degli informatori, numerose persone dai centri limitrofi (venìono pure li forestière a vvéda) - venivano individuati i percorsi che dovevano essere 31) Ferrara 1998:72-73. Cfr. anche Galli 1996:75-76. 32) Cfr. Galli 1996:76-77, Fioriti 1998:77. 33) La manifestazione fastellese è, ad oggi, del tutto inedita, fatta eccezione per alcuni testi narrativi, integrati da brevi commenti del raccoglitore (Frezza 2009:92). Si fa presente come le informazioni qua presentate siano state attinte interamente dalle fonti orali, poiché i registri parrocchiali di Fastello che si sono potuti consultare non contengono alcuna notizia relativa al rituale. Per ragioni di tempo si è purtroppo dovuta escludere una ricerca negli archivi della diocesi di Montefiascone.
tracciati. Il punto di partenza era costituito dallo spiazzo che si trova di fronte alla chiesetta di Sant'Isidoro a le Casale (425,6 m s.l.m.), oppure, più recentemente, dal piazzale antistante la chiesa parrocchiale di Fastello (430 m s.l.m.). La destinazione veniva scelta in base ad alcuni criteri pratici, ovvero tenendo conto della presenza di costruzioni, o di ostacoli di altro genere, che potessero compromettere la visibilità o la buona riuscita dei solchi. Il punto d'arrivo era costituito dal medesimo poggio (tutt'um pòggio) per tutte le squadre - i cui solchi potevano distare alcune decine di metri l'uno dall'altro - oppure, a seconda dello spazio disponibile, da alture limitrofe (purché cc'éono "avessero" la visuvale "visuale"). Non necessariamente i solchi avevano la stessa lunghezza poiché, nel caso in cui le squadre avessero diverse mete, poteva accadere che un percorso si andasse ad intersecare con un solco già tracciato, per cui occorreva interrompere la fenditura del terreno. In base alle testimonianze raccolte abbiamo potuto individuare quattro percorsi, la cui lunghezza poteva variare dai 2,8 ai 7,5 km in linea d'aria. Percorso 1. Partenza: chiesa di Sant'Isidoro (loc. Ranucci). Arrivo: Podere Poggio delle Vacche (/pòggio de le Vacche), 465,7 m s.l.m., nel territorio di Viterbo. Lunghezza del tracciato: 3,5 km ca. in linea d'aria. Percorso 2. Partenza: chiesa di Sant'Isidoro (loc. Ranucci). Arrivo: Montisola (Muntìsere), 498,7 m s.l.m., nel territorio di Montefiascone. Lunghezza del tracciato: 3,1 km ca. in linea d'aria. Percorso 3. Partenza: chiesa di Sant'Isidoro (loc. Ranucci). Arrivo: Monte Iugo (Montìugo), 433,7 m s.l.m., nel territorio di Viterbo. Lunghezza del tracciato: 7,5 km ca. in linea d'aria. Percorso 4. Partenza: chiesa di Santa Lucia Filippini (Fastello). Arrivo: Campo del Gatto (/ campo el Gatto), 357,7 m s.l.m., nel territorio di Viterbo. Lunghezza del tracciato: 2,8 km ca. in linea d'aria34. 34) Sono stati inoltre citati, quali punti d'arrivo, con partenza da le Casale, una zona nota come /Zambuco (lett. "il Sambuco"), non identificata, ed un'altura detta lpòggio de Bbajarde, non ben individuata, ma non distante da loc. Budrione, nel territorio di Montefiascone.
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i pòggio e ie Vacche
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confine comunale strade principali ferrovia corso d ' a c q u a solco dritto punto d'arrivo centro abitato sorgente oltre 400 m s.l.m. Salcióne
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Alcuni percorsi tracciati dai bifolchi di Fastello nel corso della gara
I solchi attraversavano sia ampie porzioni delle grandi proprietà terriere che piccoli appezzamenti, per cui era necessario chiedere l'autorizzazione ai proprietari, i quali la accordavano regolarmente, sia per rispetto della tradizione {èra una tradizzìóne che non dicéono gnènte; jje le facéono fapper via del zantó) che per il fatto che la gara, in genere, non arrecava danni alle coltivazioni, interessando soprattutto terreni incolti {tutte pèzze e "di" sòdo)35. Tuttavia, le fenditure del terreno passavano, in qualche caso, anche attraverso terreni coltivati a grano {anche am mèzzo al grano, IP hanno fatte), il che contribuiva a far risaltare il solco, guardandolo in lontananza. Eventuali ostacoli incontrati durante la tracciatura, quali pietre o vegetazione spontanea, venivano rimossi a mano {tajjàono li stréppe, li spini, la ròhba), mentre non costituivano un problema i corsi d'acqua presenti in alcuni avvallamenti. La solcatura, infatti, non avveniva lungo l'intero percorso, ma soltanto sulle superfìci visibili dal punto di partenza {sèmpre su n tratto che dda Fastèllo se vedéva), quindi su un versante dei poggi {e ssópra sópra le pògge, facéono sti pèzze de sólco) ed in parte delle superfìci pianeggianti. Erano invece esclusi i fondovalli {le funnétté) ed i versanti non visibili delle alture. Nel punto in cui la visibilità del solco terminava, la tracciatura veniva interrotta {staccàvano). Se questo significava un risparmio di energie da parte dei partecipanti, costituiva, d'altro canto, anche la maggiore difficoltà, poiché, osservando le varie porzioni {le pèzze) dal punto di partenza, si doveva avere l'impressione che si trattasse di un solco unico {pare tutfun zólco "un solco unico", però am mèzzo nun c'è. allóra èppiù ddifficile a mméttelo, èhl)M\ Secondo gli informatori, occorrevano almeno tre o quattro segmenti di solco affinché la sua lunghezza fosse considerata apprezzabile {tré o quattro pèzze, sennò nun valiono gnènte, nói), ma il loro numero era di norma superiore {al campo del Gatto, da Ila dda capo "in cima" virine sétf òtto "sette od otto" pèzzi). I partecipanti, Secondo qualcuno, dal medesimo punto di partenza, il solco talvolta giungeva in una località imprecisata prossima al centro abitato di Fastello (non è chiaro, tuttavia, se questa costituisse la destinazione finale o se il solco proseguisse in direzione sud-est). 35) A Valentano non veniva chiesto alcun permesso ai proprietari: "Nun tocca a cchiedeje 7 permesso. E consuetudine del paese e bbasta. La consuetudine guasta la legge" (Luzi 1980:38). 36) Nel caso di Valentano - dove il territorio da solcare è costituito dalla vallata del torrente Olpeta, sicuramente meno "accidentata" dei terreni noti ai bifolchi di Fastello l'allineamento delle diverse porzioni è noto come accodare o con il sostantivo aggiontatura (Luzi 1980:38-39).
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nel punto in cui il percorso era nuovamente visibile, dovevano quindi fare in modo di riprendere l'esatta direzione del pèzzo precedente (da m pòjjo a n antro aripijjàono la dirizzióne de quél zólco, a echi lefacéapiù ddritto). Affinché la tracciatura andasse a buon fine, la stessa doveva essere preceduta da una non semplice fase di picchettamento del terreno (ambiffà), nel corso della quale venivano presi come punti di riferimento alcuni elementi ben visibili, come la cupola della cattedrale di Santa Margherita (la cùppula de Muntifiascónè), ed il terreno veniva quindi picchettato con appositi segnali (ambiffa, pòsta, contropòsta, stennardó). Seguiva, poi, la tracciatura (métta l zólco), eseguita con gli aratri di legno (Warate) trainati dai bovini (vacche maremmane, più raramente buoi)37. Una volta terminata l'operazione, veniva talvolta piantato, nella parte terminale della fenditura, un palo (dacapo "in cima" al zólco ce piantàvano m palo; m passóne dritto) od un altro oggetto che desse l'illusione che il solco tracciato fosse più lungo (tu, da distante, vedéve sto palo dritto, vedéve che sto sólco non finìa mai)38. Lo svolgimento dell'intera gara (picchettamento e tracciatura) poteva richiedere molte ore di lavoro, nel corso delle quali i partecipanti, per ragioni pratiche, bevevano soltanto acqua, astenendosi dal vino39. Il solco veniva quindi giudicato, nel giorno dei festeggiamenti, da un'apposita commissione (cummessióne), sulla cui composizione sono stati raccolti pareri contrastanti. Va scartata, a nostro avviso, l'idea che 37) La maggior parte dei bovini presenti nella zona era costituita da vacche, poiché, in genere, soltanto le grandi aziende agricole possedevano dei buoi, ed ancora più ridotta era la presenza dei tori, utilizzati a scopi riproduttivi (la mónta de le vacche) e quasi mai impiegati nei lavori agricoli (/ tòro non è dda lavóro). L'unica razza di bovini presente nel territorio era, un tempo, quella maremmana (de prima e prima "anticamente", tutte bbèstie maremmane). Ciro Calisti, di Celleno, fu forse il primo possidente ad introdurre le vacche di razza chianina (le vacche ggintile, ree. le chjanine), già presenti in prossimità del confine con Bagnoregio (loc. Pratoleva); tuttavia, i nostri informatori ricordano come la massiccia importazione di questi bovini avvenne soltanto in seguito, ad opera della famiglia Tassoni (Tassònie inizziò cco la chjanina). Per quanto attiene la gara del solco dritto, i partecipanti potevano utilizzare le proprie bestie da lavoro oppure, se non ne possedevano, chiederle in prestito a qualcuno. 1 capòccia ed i bifolchi impiegavano invece i bovini delle aziende agricole per cui lavoravano. 38) L'operazione, indicata da qualcuno come una vera e propria scorrettezza (èra na paraculata "un atto di furbizia"; c'avranno fatto anche discissióne, sicuramente, perché... tu m pòifà l furbo cusìl), viene da altri ricordata come un innocuo espediente, peraltro abbastanza comune. Si nota come uno stratagemma simile venga utilizzato anche a Valentano, in questo caso per dare l'illusione che il solco non subisca alcuna interruzione in presenza di ostacoli non removibili (Luzi 1980:41). 39) Gli informatori hanno ricordato l'opportunità di detta astensione e come non vigesse, a tal proposito, un vero e proprio divieto, come invece avveniva ad Onano, dove si parla di un "tabù alimentare: era consentito loro di bere solo acqua" (Mancini 1996:24-25).
questa fosse formata dagli organizzatori della festa (le festaròle)40, mentre appare credibile l'opinione più diffusa, secondo la quale la giuria era formata, oltre che da non meglio precisati "esperti" (forse bifolchi od expartecipanti), almeno da alcuni proprietari terrieri (sicuramente ne fece parte / zòr Ciro, ovvero Ciro Calisti). Quando veniva individuato il solco migliore, un bastone veniva piantato dove iniziava la fenditura del terreno (piantàano l bastóne, dice, quésto è mmègghjoì "è il migliore"; quésto è mmèjjo de tutteì) e veniva così proclamata la squadra vincitrice (chi lo facéa più ddritto e ppiù llungo vincéa la gara). I possidenti, però, in più di un'occasione, avrebbero favorito i propri dipendenti ([Calistre] piantò l bastóne sul zólco che èra pèggio "sul solco peggiore"; facéono vince sèmpre qualcuno, èh\), dando luogo a diatribe e discussioni (dóppo c'èra la crònecaì "polemiche" lett. "cronaca"). Il premio (/ prèmio de la festa) consisteva principalmente nel riconoscimento dell'abilità del vincitore (èra stato l mèjjo bbifólco) e nell'onore di aver vinto (IVonore che cc'ìono "avevano"), ma non erano esclusi premi in natura (m pò de vino bbòno o, più recentemente, una cassa di birra). Più rari erano i premi in denaro (le sòlde fracàvolo "nessuno" te le dava), i quali, se presenti, erano poco consistenti (quattro sòlde) e venivano talvolta, almeno in parte, dati in offerta alla chiesa. Si ricordano, poi, alcuni riconoscimenti simbolici, quali un santino di carta di grandi dimensioni stampato per l'occasione (un zanto appòsta, fatto appòsta), oppure un piccolo gonfalone (uno stendardo, meli "lì", ddel zanto), entrambi raffiguranti Sant'Isidoro. Gli informatori ricordano come l'usanza, percepita come arcaica (na còsa antica, èra!; na còsa antica da sèmpre), sia stata interrotta soltanto durante la seconda guerra mondiale, per poi proseguire fino agli ultimi anni Cinquanta, anche se, secondo qualcuno, nel corso del decennio successivo la competizione avrebbe avuto luogo in un'altra occasione, ma senza alcun seguito. La fine della tradizione sarà imputabile, a Fastello come altrove, ai profondi cambiamenti economici e sociali avvenuti a partire dal secondo dopoguerra41. Ci si riferisce, in particolare, al progressivo abbandono delle 40) Al Comitato di Sant'Isidoro, insieme alla Confraternita del Santissimo Sacramento (la cunjratèrna), estinta nei tardi anni Sessanta, era delegata l'organizzazione dei festeggiamenti. 41) A Latera il rito si tenne per l'ultima volta nel 1964, salvo poi riprendere nel 1993 o 1994 (cfr. Ferrara 1998:72, Galli 1996:78); a Valentano, prima del recupero del 1977, la tradizione si interruppe intorno al 1960 circa (Luzi 1980:27). In altre località (Marta, Grotte di Castro, Onano, Proceno, passim) l'usanza era invece stata abbandonata nel corso dei primi decenni del XX sec.
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campagne ed al conseguente inurbamento dei contadini, alla scomparsa della categoria dei bifolchi, alla diminuzione degli allevamenti bovini (//'allevaménte le tròe più ppòchel "ne sono rimasti pochi")42, alla frammentazione delle grandi proprietà terriere ed alla recinzione dei terreni, nonché alla massiccia introduzione di mezzi tecnologici nelle campagne, a partire dai trattori e dagli aratri moderni, che hanno progressivamente sostituito l'utilizzo delle bbèstie da lavóro, degli antichi aratri di legno e dei più recenti aratri leggeri di ferro {le cuitrine)43. Si terrà conto, infine, di come l'edificazione di nuove costruzioni sia a Fastello che nelle campagne limitrofe - , insieme all'ampliamento di quelle già esistenti (mapprima magara c'èra meno abbitazzióne "c'erano meno case", oppure èrono più bbassé), abbia di fatto reso sempre più difficoltosa l'individuazione di alture adatte a costituire i punti d'arrivo della gara (ògge hanno custruvito e nnemméno se véggono "vedono"più). 5. Conclusioni La popolazione di Fastello sembra aver ignorato, fino a tempi recenti, la presenza, in altre località, della tracciatura del solco dritto. L'usanza, avvertita come una peculiarità del centro, è in realtà attestata in ampia parte dell'Italia centro-meridionale, con l'inclusione di centri campani, umbri, laziali (a nord di Roma ed al confine con l'Abruzzo) ed abruzzesi44. La tradizione non sarebbe ignota, poi, alle Marche ed alla
42) I pochi allevamenti bovini di una certa consistenza rimasti a Fastello nel secondo dopoguerra sono scomparsi agli inizi del decennio scorso, in seguito alla crisi del settore causata dal cosiddetto "morbo della mucca pazza" (encefalopatia spongiforme bovina): le guae pe wennélM "i guai [che ho passato] per venderle". 43) Cfr. Cimarra 2012:210, Mancini 1996:29. 44) Per quanto riguarda il Lazio (escluse le località del Viterbese, elencate a parte) l'usanza è attestata a Campagnano (RM), Formello (RM), Sacrofano (RM), Magliano Romano (RM), Mazzano (RM), Bracciano (RM), Anguillara (RM), Bacugno (RI); in Umbria i centri interessati sono Annifo [fraz. di Foligno (PG)], Castelluccio di Norcia (PG), Monteleone di Spoleto (PG), Scheggia (PG); in Abruzzo la tradizione è documentata a Rocca Pia (AQ), Rocca di Mezzo (AQ), Antrosano [fraz. di Avezzano (AQ)], Cerchio (AQ), Guardiagrele (CH); infine, per la Campania, si segnalano Alife (CE), Caiazzo (CE), Castel Morrone (CE), Sturno (AV), Flumeri (AV), Viilanova del Battista (AV), Mirabella Eclano (AV), Castelfranco in Miscano (BN), San Bartolomeo in Galdo (BN), Castelvetere in Valfortore (BN). La lista delle località - incluse quelle della Tuscia, che si è preferito elencare di seguito - è stata mutuata, salvo alcune aggiunte e rielaborazioni, da un recente saggio relativo alla gara del solco dritto tra Formello e Campagnano (Cimarra 2012:211). Per alcuni di questi centri si dispone di contributi dedicati (Sarego 2003, Sisto 2006, Vozza 2003).
Puglia, e se ne conserverebbero alcune tracce in Toscana45, con riscontri in Spagna ed in Russia46. Per quanto riguarda lanostra provinci a, sono attestate manifestazioni analoghe nelle seguenti località, suddivise per subaree47: Monti Volsini e lago di Bolsena: Fastello, Gradoli, Grotte di Castro48, Latera49, Marta50, Onano51, Proceno, Valentano52. Maremma viterbese: Canino, Tuscania, Tarquinia. Monti Cimini ed agro falisco: Bassano in Teverina53, Bomarzo, Fabrica di Roma, Faleria. Le varianti rintracciate possono dipendere da diversi fattori. Ci si riferisce agli aspetti religiosi - e quindi alle connessioni al culto di Maria54 45) Di Nola in: Luzi 1980:7. 46) Cimarra 2012:212. 47) Si includono in nota i riferimenti bibliografici delle fonti che si è potuto consultare. Per una più esauriente bibliografia sull'argomento, anche al di fuori dei confini provinciali, si rinvia a Cimarra 2012:235-236, note 37-41. 48) Marziantonio 2002:31, 2004:38-39. 49) Notevole, a Latera, è la rappresentazione della leggenda (vd. par. 3), con l'intervento di un agricoltore vestito da angelo, intento ad arare il terreno; per la relativa bibliografia, vd. nota 29. 50) De Sanctis Ricciardone 1982:27-152. 51) Mancini 2005:19-30. 52) La monografia di Luzi contiene abbondante documentazione relativa al recupero della manifestazione a Valentano, integrata con testimonianze sulle vecchie edizioni della stessa (prima metà del XX sec.) ed opportune ricerche tra le fonti d'archivio (Luzi 1980). Vd. anche il più recente contributo di Mancini, che descrive, tra l'altro, le attuali modalità di esecuzione della tracciatura (Mancini 1996). 53) Per quanto riguarda Bassano, si dispone soltanto di vaghe testimonianze raccolte sul campo, secondo le quali la gara, in tempi remoti (primi decenni del Novecento), si sarebbe svolta in occasione delle festività patronali (Santi Fidenzio e Terenzio, 27 settembre). 54) 11 solco è dedicato alla Madonna nelle località in cui ha (o aveva) luogo intorno al 15 agosto, giorno dell'Assunzione (Onano, Proceno, Valentano, passim). A Marta la tracciatura avveniva in occasione della festa della Madonna del Monte, il 14 maggio, mentre a Grotte di Castro si teneva nel giorno dei festeggiamenti della Madonna di Castelvecchio, la domenica successiva all'Assunta. Poco al di fuori dei confini provinciali, a Fornello, la gara si svolgeva il martedì successivo alla Pasqua ed era collegata alla devozione alla Madonna del Sorbo. Si nota, però, come l'attestazione del culto mariano non escluda la devozione ai santi cari ai bifolchi. A Valentano, ad esempio, è stata raccolta la seguente testimonianza: "Cereno
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o alla devozione a Sant'Isidoro55 - , alle condizioni geomorfologiche dei territori interessati, all'eventuale carattere agonistico dellamanifestazione56 ed alla sua coincidenza con determinate fasi dei lavori nei campi, comprese in un arco di tempo che va dal 17 gennaio - festa di Sant'Antonio Abate alla fine della stagione estiva57. Nel caso di Fastello, si può notare il sovrapporsi del rito alla celebrazione del protettore degli agricoltori, e quindi alla prima aratura dell'anno (la prima maése), ma la medesima coincidenza è riscontrata altrove58. È noto ad altre località anche il sistema escogitato per tracciare il solco - suddividendolo in porzioni allineate - , ma ci sembra che nel centro in esame tale caratteristica assuma una particolare rilevanza, sia per il carattere prevalentemente collinare dei terreni attraversati - e quindi per la maggiore difficoltà, rispetto ad altre località, ad ottenere un solco dritto59 - , che per le tecniche di picchettamento adottate, tra le quali almeno una risulta piuttosto elaborata (lo stennardo). Mancano, invece, l'esposizione e l'offerta dei frutti del lavoro della terra (covoni di grano, pane, dolci cotti in forno, ecc.), generalmente presenti dove siano attestati rituali del genere. Solitamente si tende ad attribuire a manifestazioni di questo tipo - fatte risalire a culti precristiani - un carattere propiziatorio o di anche le preghiere, lo me so' rriccommannato sempre a San Sidoro perchè è '/protettore de le hiforche. [...] Poe se diceva '/ Patarnostro, San Sidoro ajiutateme, e vvia"; il santo aratore, insieme a Sant'Antonio Abate, veniva poi invocato prima di iniziare la tracciatura: "Pescatore, Ovidio, Peppe e Sergio si segnano con la croce e gridano: Viva San Sidorol La tiratura ha inizio" (Luzi 1980:39-40). E poi, alla fine del rituale: "Evviva San Sidorol Con un segno di croce, così come lo avevano iniziato, i bifolchi pongono termine alla loro fatica" (ibid.: 42). 55) Anche a Latera la tracciatura del solco avviene in occasione della festa patronale, celebrata l'ultima domenica di maggio. 56) Sebbene, nella maggior parte dei casi, il rituale assuma la forma di gara, si registra, a Valentano e a Latera, la tracciatura di un solco solo. Tuttavia, anche in queste località, lo spirito di competizione tra bifolchi, più che scomparire, passa tutt'al più in secondo piano. In alcune occasioni, a Valentano, è capitato che un gruppo di spettatori, qualora pensasse di poter eseguire un lavoro migliore, decidesse di tracciare un secondo solco ('/ solco de sfida), parallelo al primo (Luzi 1980:34-36). Cfr. anche quanto avveniva a Latera, dove si ricordano "i rimproveri che i provetti agricoltori osavano fare all'inesperto Angelo [vd. nota 41 ] circa il suo modo di guidare l'aratro" (Fioriti 1998:76). 57) È stata fatta notare la relazione tra la distribuzione delle manifestazioni in questo periodo di tempo e la necessità di replicare le arature nel corso dell'anno (Cimarra 2012:211). 58) Vd. nota 55. 59) 11 grado di competizione sarà più elevato quanto maggiori saranno le difficoltà presentate dal terreno da arare (Cimarra 2012:212). Cfr. Valentano: l"L solco èppiù bbello 'ndo' èppiù difficile. A terreno libbero qualunque stupido le fa" (Luzi 1980:37-38).
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ringraziamento60. Sebbene tale elemento non possa essere escluso, i nostri informatori non ne hanno fatto mai menzione, neppure quando è stata posta loro un'esplicita domanda al riguardo. I fastellesi danno piuttosto risalto alla celebrazione del santo patrono ed alla dimostrazione di bravura da parte dei bifolchi, tra i quali le prove di abilità non erano d'altronde limitate alle "grandi occasioni" (la gara del solco dritto), ma erano anzi piuttosto comuni e consistevano nel tracciamento di solchi lunghi alcune centinaia di metri, anche all'interno delle grandi aziende agricole, come confermano le testimonianze raccolte nei vicini centri di Grotte Santo Stefano e Lubriano, nonché nello stesso Fastello. Non è un caso che, almeno in parte delle località dove si è voluta mantenere l'usanza, questo sia stato possibile grazie all'impiego di trattori agricoli e di mezzi sofisticati quali i tacheometri61, al fine di ottenere risultati analoghi a quelli conseguiti in precedenza dai bifolchi, i quali disponevano unicamente dei bovini da loro domati, dei tradizionali strumenti da lavoro e del plurimillenario bagaglio di esperienze della propria categoria lavorativa.
60) Cfr. Cimarra 2012:213, Luzi 1980:47, Mancini 1996:20, 22, 24. 61) Così risulta per Valentano (Mancini 1996:56), dove pure il recupero del rituale era stato originariamente effettuato, per quanto possibile, con l'impiego dell'antica strumentazione, manovrata da alcuni bifolchi anziani, nati tra il primo ed il terzo decennio del XX sec. (Luzi 1980:31-34).
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REPERTORI
GLOSSARIO DIALETTALE
a, inter., voce con cui si incitano le bestie a camminare: quando jji dicéve vial, al, partivano, tutfa ddue, col carro, entrambe | al, via, qqual abbearà, bbeerà (raro), v. tr., abbeverare || Forme: Ind. impf. 6 bbeeràono. abbiffà: —> ambiffà. accappellatura, s.f., tecnica di aratura consistente nell'iniziare la lavorazione dal centro del campo; si tracciava il primo solco ottenendo, su un lato, la prima fétta (vd.); al ritorno veniva tracciato un altro solco e la seconda fétta si univa alla prima: [accappellatura] fai na fétta a annà ssii e bbutta qqua. na fétta a vveni ggiù e rribbutte qqual allóra, ècco riccoppiade, nói e ppói dóppo, dóppo coménce a llavorà. acciaccatura, s.f., contusione (rif. all'unghia della vacca). acclamà, accramà (raro), v. tr., far crescere rigoglioso (di terreno adatto ad una coltura): IPaccrama. na pianta vòre "vuole, richiede" la tèrra lènta, e na pianta vàie la tèrra fòrte. accollasse, v. intr. pron., formarsi di un edema sul collo del bovino: le vacche s'accollàvono || Forme: P. pass, accollato. accollata, s.f., improvviso so-
LINGUISTICI
vrappeso sul collo del bovino: da le vòlte "a volte" jje facéa male pure U'accollate, se dicéva. le bbòtte m pò fòrte | pijjava IP accollata la bbèstia. accollato, p. pass, di accollasse || agg., dal collo gonfio, con eventuale formazione di ascesso, a causa del peso del giogo (rif. al bovino): sò accollate. accoppia, v. tr., 1. accoppiare (di bovini): IPaccoppiave, jje mettée ggiógo, accoppiavi i bovini e li aggiogavi. 2. unire due fétte (vd. fétta), in seguito all' accappellatura (vd.) || Forme: Ind. impf. 2 accoppiava, 6 accoppiàono. accramà: —> acclamà. addomà, domò, v. tr., domare bestie: è d(faddomasse, quéstal, va domata | [il bovino] quann'èra IP età, de vénte mése venia domato, all'età di venti mesi | / mi padre e l mi nònno non Phanno domate pòche!, (antifr.) mio padre e mio nonno ne hanno domati molti (di bovini) | addomàono, da le vòlte "a volte", pure l tòro \ jje dàvano quattro scòppie "qualche percossa". e mmagara alPinìzzio, pòi le portàano a mmano, nun è cche... alPinìzzio annàano portate a mmano quanno le domave, capidol, uno diètro tenéva la cultrina o IP aratro, e llavorave, e uno avante "davanti" che le portava a mmano | dim29
mi chi ha ddomato l primo vitèllo (frammento di ottava) || Forme: Ind. impf. 2 domave; 6 addomàono, domàvono | P. pass, addomato. affata, s.f., (eiv.) afta epizootica: Wàjfata è italiano, jje se dicìa la pedana, la chiamavamo. aggina, v. tr., lasciar pascolare liberamente: agginele ggiù, a mmangiàl, lasciale pascolare! agricoltóre: —> agricultóre. agricultóre, agricoltóre, s.m., (ree.) agricoltore: sto sand* Isidoro èra agricoltóre. albùccio, s.m., pioppo (Populus alba L. e Popidus nigra L.); il legno stagionato veniva utilizzato per fabbricare il giogo, allevaménto: un gròsso allevaménto de vacche chjanine \ èh, ITallevaménte le tròe più ppòche\, ne sono rimasti pochi, ambiffa, mbìffa, bbiffa (rust.), s.f., biffa, canna o paletto messo come punto di riferimento per squadrare un terreno: piantono una canna, quélle sò cchjamate, dice, le bbiffe \ métta Fambiffe, picchettare il terreno | / piano te va bbène, co ppòche mbiffe lo fae, perchè le védi. ambiffà, mbiffà, imbiffa (raro), abbiffà (rust.), v. tr., picchettare il terreno, segnandolo con le biffe: ambiffàe l zólco, picchettavi | ambiffallo, picchettarlo | mbiffallo co le canne, id. | da meqqul, abbiffamo ggiù man quélla casa, da qui, picchettiamo il terreno fino a quella casa | io sò cche ddó "dove" doéano 30
arrivò, ce piantàono una canna o um bastóne alto, co un còso bbianco. im mòdo che bbifólco che imbiffava, ha "hai" cupido'?, vedéva, ce mettéva quéllo e imbiffava dritto a qquéllo, picchettava in quella direzione || Forme: Ind. pres. 4 abbiffamo (rust.) | impf. 2 ambiffae; 3 imbiffava (raro), ammalatìa (rust.), malatìa, s.f., malattia: c'èra pòco capitale, le malatie vèngono quanno il capitale è mmaggióre, in presenza di numerose bestie, ammanzì, v. tr., ammansire, rendere mansueto (di animale). ammareà, v. intr., meriggiare, riposare all'ombra durante le ore calde del meriggio: le vacche ammaréono, meriggiano. ammattatójjo, s.m., (ree.) mattatoio: W ammattatójjo communale, comunale, ammazzatóro, s.m., mattatoio, ampresà, v. tr., (ant.) solcare, tracciare con l'aratro i solchi paralleli per la semina || Forme: Ind. impf. 3 ampresava. annomato, agg., denominato, designato con un nome (di animale), appoecionasse, v. intr. pron., essere colpito dalla mastite (rif. alla mammella della vacca): jje s'appoccióna. arado: —•> arato. arato, arado, aratro (ree.), s.m., 1. aratro di legno a due ali con vomere di ferro, a trazione animale: Warato de légno \ un aratro de légno tirato
da le bbòa. 2. (ree.) aratro moderno a trazione meccanica, applicato al trattore agricolo || dim. aratrèllo. aratro: —> arado. ariccoppià, riccoppiò, v. tr., unire due fétte (vd. fétta), in seguito ali' accappellatura (vd.) || Forme: P. pass, riccoppiado. arimétte, v. tr., ricondurre al chiuso: rarimettémo déntro, le riconduciamo al chiuso, le chiudiamo nella stalla. aripassà, ripassò, v. tr., arare di nuovo il terreno in autunno, con l'aratro di legno o con la cultrina (vd.): ripassò l terréno \ a ssémina, a ottóbbre, venia ripassado colFarado. de légno, al tempo della semina, nel mese di ottobre, il terreno veniva arato di nuovo j| Forme: Ind. impf. 6 aripassàono, ripassàono j P. pass, ripassato, ripassado. arisciògghje, v. tr., staccare di nuovo i bovini dal giogo. arisimentà, v. tr., seminare di nuovo || Forme: Ind. impf. 6 arisimentòvono. arrè, inter., grido d'incitamento per far girare i bovini: arrè, qquaì ggiraì qquaì arrè\ arrota, v. intr., far stridere i denti (dei bovini, in seguito all'indigestione). ascènzio, s.m., (rust.) assenzio (Artemisia absinthium L.); veniva bollito nell'acqua e poi somministrato ai bovini come rimedio contro l'indigestione, asciutta, agg., di animale femmi-
na che non dà più latte || s.f., mancanza di latte: su ccinquanta mucche ce pòrno èsse dièci in asciutta, ce ne potrebbero essere dieci, assolcà, v. tr., tracciare solchi; solcare || assolcasse, v. intr. pron., cadere in un solco (di bestie): le pècore jje capita fàcile assolcasse, méno la vacca, alle pecore succede spesso, alla vacca meno frequentemente | rimane assolcata. attacca, v. tr., attaccare, legare: attaccò l carro | attaccò la coltrina \ attaccò IVaratro || v. intr., 1. far presa: una tèrra che attacca. 2. essere fertile (di animale): n attacca mae, è sterile | tante vòlte nun attaccòano. nun fijjòano pròpio. attoppato, agg., di bovino che non ha digerito: quélle sò attoppate. avventasse, v. rifl., gonfiarsi, del ventre di animali per meteorismo acuto: s'è avventada. avvettà, v. tr., aggiogare due paia di buoi, per i terreni difficili da lavorare: dò "dove" fadigàvano parécchio. un lavóro fadigóso, ché um pajjo n ce la facéva, Wavvettàono. azziènda: —» zziènna. azziènna: —> zziènna. azzinnà, zzinnò, v. intr., poppare: nn azzinnava più, aveva smesso di poppare. azzoppasse, v. intr. pron., divenire zoppo: la vacca s'azzoppava | .s'azzoppano le bbèstie. bbanchétto, s.m., panchetto, sgabello a tre gambe su cui siede il
mungitore: m banchétto de légno. bbarbazzale, s.m., 1. giogaia del bue. 2. pappagorgia, di una persona: c ha l barbazzale! bbastardo: / vitèllo bbastardo, ottenuto da un incrocio || dim. bbastardèllo: èrono m pò bbastarde, col chjanino, èrono bbastardèlle. bbastóne: piantàano l bastóne, dice, quésto è mmègghjol, è il migliore (alla fine della gara del solco dritto un bastone veniva piantato sul solco migliore) | piantò l bastóne sul zólco che èra pèggio, sul solco peggiore || dim. hbastoncèllo. bbeerà: —»• abbearà. bbèstia, s.f., animale domestico equino o bovino: na bbèstia che ssuffrìa la sède, soffriva la sete | bbèstie bbrade \ le bbèstie da lavóro \ tutte sti bbèstie da carne | bbèstie gròsse, a. adulte, b. grandi, imponenti: / bòvo veniva "diventava" na bbèstia gròssa, più dde na vacca | de prima e prima "anticamente", tutte bbèstie maremmane \ smétte le bbèstie, cessare l'attività di allevatore || pegg. bbestiàccia. bbestiame: mantenéve bbestìame, mantenevi il bestiame, bbiffa: —> ambiffa. bbifólco, bbifórco (raro), s.m., 1. bifolco: tutti ggènte "persone" espèrte che ffacéono quél lavóro, èrono chjamate i bbifólce \ allóra e* èrono parécchi e e bbifólci, a quei tempi ce n'erano molti | le bbifólce de Calistre, al servizio di Calisti | le bbifólce de Tassònie, al servizio
di Tassoni | tutte bbifólche òmmene "uomini" che hanno laorato sèmpre coir arate \ l bifólco èra m pò più llibbero (il bifolco, che godeva di un giorno di riposo settimanale, era considerato più libero rispetto agli altri operai) | èra stato l mèjjo bbifólco, il migliore, il più bravo || dim. bbifolchétto, apprendista bifolco || prov.: bbifolchétto sènza bbarba, 1 bòo a ttèrra e la tèrra arrabbia (prov. in uso tra i bifolchi per schernire gli apprendisti) | la ràbbia el bifolchétto quanno sciòjje, la ràbbia del cacciatór quanno nun cójje (la rabbia dell'apprendista bifolco, al termine della giornata lavorativa, viene paragonata a quella del cacciatore che manca la preda). 2. (fìg.) persona rozza, grossolana, maleducata: sèe m bifórcoì, sei un maleducato || Forme: pi. bbifólce, bbifólci (raro), bbifólche, bbifórce (raro), bbifórco: —* bbifólco. bbifulcina, s.f., mestiere del bifolco. bbirracchjo, s.m., vitello di un anno non castrato; torello, bbiscino, s.m., garzone del pastore, pastorello: / biscino de le pècore. bbólla, s.f., carbonchio, malattia intestinale delle vacche: man "a" qualche bbèstia jje venia, la bbólla. bbòo, bbòvo, bòvo (raro), s.m., 1. bue: um bòvo ggióvene | commatte co le bbòva, lavorare con i buoi | qui, da nòe, bbòve, pòca ròbba. sèmpre le vacche, c'erano pochi buoi, abbiamo sempre lavorato con
le vacche | sandtIsidoro lavorava co le bhòve | ce sarà una paròla, in italiano, pròpio détta bbène saranno le bbuòve | i bbuòve sò ccrastate || prov.: / bòa dice cornuto alVàsino | mójje e bbuòi dèipaési tuoi || dim. bboétto: la cólpa n è la mia, la cólpa è ddel boéttoì (per giustificare un raccolto scarso). 2. bovino da lavoro in genere || Forme: pi. bbòa, bòa (raro), bbòva, bbòve (ree.), bbòe (ree.), bbuòve (civ.), bbuòi (solo in un prov.). bbòvo, bòvo: —> bbòo. bbranco: le bbranche de bbòa, i branchi, le mandrie di buoi, bbròzzo, s.m. coli, foglie d'olivo somministrate ai bovini come foraggio, dopo la potatura della pianta; rendevano sgradevole il sapore del latte. bbudèlla, s.f. pi., viscere (di uomo e di animale), bbùfolo, s.m., bufalo, bbura, s.f., bure dell'aratro, bbusciga, s.f., (rust., are.) vescica (di uomo e di animale?), bbuttà, v. tr., buttare, gettare: bbuttà l giógo, togliere il giogo (rif. al bovino) | bbuttava lu stàbbio, concimava con il letame | bbuttàono ggiù l zéme a minano, seminavano a mano || Forme: Ind. impf. 2 bbuttae\ 6 bbuttàono, bbuttàvono. bbùttero: —* bbùttoro. bbùttoro, bbùttero, s.m., vaccaio, cavalcante che spinge la mandria; buttero: bbùttero èra sèmpre quéllo che ccommattéa co le bbòa cui ca-
vallo || Forme: pi. bbùttere, bbuvino, s.m., (civ.) bovino. cacà, v. tr., defecare (di uomo e di animale). cacada, s.f., 1. deiezione umana. 2. sterco di animali, caffè: jje se facéa l caffè (rimedio contro l'indigestione dei bovini) | pure l caffè jje se dava (id.). caicchja, s.f., chiovolo del giogo, di legno, utilizzato con l'aratro a trazione animale. caicchjóne, s.m., chiovolo del giogo, di ferro, utilizzato con il carro agricolo: / caicchjóne del carro, quéllo èra de fèrro \ la caicchja è ppiù ppìccola e l caicchjóne è ggròsso. calóre, s.m., 1. stato di eccitazione sessuale dell'animale; calore: in calóre quanno che vvanno a la razza, nói, che vvanno al tòro | la bbèstia va in calóre. 2. (rust.) stato congestizio od infiammatorio (di animale): un calóre pròpio la bbèstia, c'ìa "aveva", camarróna, s.f., vacca vecchia, camarróne, s.m., 1. bue vecchio. 2. (fig., dispr.) uomo vecchio: è n camarróne. campano, s.m., campanella che si applica al collo del manzo (vd.). canale: / canale del pìscio, canaletto di scolo nella stalla || dim. canalétta: la canalétto dó "dove" va wia l pìscio, la ròbba. cannèllo, s.m., gambo della spiga di frumento: / cannèllo del grano.
mammella della vacca): m pò carniccióna. carràccio, s.m., solco profondo sul terreno o sulla strada, provocato da pioggia violenta: / carràccio le facéa II'acqua, la pioggia | Ili n ze pò ppassà, cché cc'èn carràccio! carrétta, s.f., carriola a mano, con una ruota e due stanghe: co la carrétta di quélle de na vòlta, de légno, che bbuttava lu stàbbio. carriòla, s.f., carriola a mano, con una ruota e due stanghe, carro, s.m., carro agricolo a due ruote trainato dai buoi || prov.: nu mmétte mae l carro davante a le bbòe. casale, s.m., casa rustica isolata: partive dal casale la mattina, pijjae le pajale e sti ggionture \ stava ggiù ma n casale su la ròba de Caliste, viveva in un casale, nella proprietà di Calisti. caséngo, s.m., uomo di fiducia tuttofare del proprietario, in un'azienda agricola: però cc'èrono le bbifólche che ddóppo l zignóre "il proprietario terriero" portòrono caséngo (avanzamento di carriera dei bifolchi all'interno dell'azienda agricola) | facéa m pò l caséngo. caterpìllere, s.m., trattore agricolo della marca Caterpillar: quélli tèmpe Ili c'ia "a quei tempi possedeva" tré ttrattóri, c'ia però un flètte e ddu caterpìllere uso montagna, americani. carnìccia, s.f., tessuto mammario cavallaro, s.m., guardiano di cafibroso della vacca, carniccióna, agg., fibrosa (di valli.
capézza, s.f., cavezza; veniva utilizzata con gli equini e, in minor misura, con i bovini giovani, capitale, s.m., insieme delle bestie da allevamento o da industria, capitèllo, s.m., capezzolo (umano e di animale), capoccétta: —* capuccétta. capòccia, s.m., capo operaio di grande azienda agricola: ma "in" una zziènda, l patròne tenéa l capòccia | c'èra l capòccia che ccommannava tutte quante, dava ordini a tutti | / capòccia de le vacche | il capòccia a ccapo de le bbifòlce e ddel bestiame, de le bbòa | / capòccia facéa "fabbricava" le ggióghe, facéa tutto, ll'arate pe llavorà || s.f., testa (umana e di animale): la capòccia del vitèllo. cappannóne, s.m., capannone: le bbèstie sò mmésse ma le cappannóne, sono nei capannoni | / trattóre mal cappannóne, dò ce mettìemo l carro, nel capannone, dove tenevamo il carro agricolo, capuccétta, capoccétta, s.m., sottocapo, capo in seconda degli operai di un'azienda agricola, sotto il capòccia (vd.). capuzziènda, s.m., (raro) capo dell'azienda agricola, caricaèrba, s.f., macchina per raccogliere il fieno, caricarlo e trasportarlo all'interno della stalla; caricafieno.
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cavatura, s.f., solco particolarmente profondo al centro del campo, ottenuto quando l'aratura inizia su un lato del terreno, centopèlle, s.m., omaso dei ruminanti: / centopèlle ce ll'ha la vaccina. céppo: tagghjàvano na pianta, o un ramo, bbasta che cc' èra la grassézza "dimensione" del céppo, nòe le chjamamo l céppo, dell'aratro, quéllo che llavóra (rif, alla fabbricazione del ceppo dell'aratro) | / céppo de fèrro (rif. alla cultrina, vd.). cerrada: cenata. cerradada, s.f., 1. colpo inferto con il pungolo del bifolco: e pp'ia tante bbòtte, e pp'ia tante cerradade. sta ttranquillo che le pia bbònel, ne prende tante (rif. al bovino che toglie il giogo). 2. colpo inferto con la ralla. cerrata, cerrada, s.f., 1. pungolo del bifolco, costituito da un lungo bastone di corniolo al quale veniva talvolta applicata una punta metallica: la cerrata e "che" cce se toccaa le bbòa. 2. ralla, raschiatoio per pulire l'aratro: la cerrada quélla che cce se pulìa IV arado. chjanina: (ree.) la chjanina è winuta qqua ddóppo, la vacca di razza chianina è di recente introduzione | Tassònie inizziò cco la chjanina, Tassoni fu il primo ad introdurla | pure Calistre ce IVéa le chjanine, anche Calisti possedeva delle chianine.
ehjanino, s.m., (ree.) bovino di razza chianina. chjappà, v. tr., catturare: li bbùttere che ccórrono diètro ma le bbòa, ma le ggiuvénche pe cchjappalle, corrono dietro ai buoi ed alle giovenche, per catturarli. chjodèllo, chjovèllo (rust.), chjuvèllo (rust.), s.m., anello, di pelle di bufalo, fissato sul giogo, in cui s'infila il timone del carro: mal "nel" giógo c'èra l chjodèllo. chjòdo: un chjòdo bbèllo érto "spesso", scapocciato "spuntato", che n facia danno a nnessuno, e qquéllo tenia la cóncia e l chjovèllo (rust.) || dim. chjudino, chiodino; veniva utilizzato per fissare la ralla al pungolo del bifolco, chjovèllo: —> chjodèllo. chjuvèllo: —* chjodèllo. cinquantacinque, s.m., tipo di trattore agricolo della marca FIAT: / cinquantacinque che ppesava cinquantacinque quintale, a ccingole. cinturino, s.m., cinghia di cuoio che serve a fissare il campano (vd.): / cinturino che allacciava l campano. eoa, s.f., coda, codecaro: —* cotecaro. còjjo (rust.), cuòjjo, s.m., cuoio, cojjóne, s.m. pi., testicoli (di uomo e di animale), cóla, s.f., panno usato come colatoio per il latte munto, colèstro: —> cuculèstro. còllo: lega l còllo a la vaccina (al giogo) | / mi nònno, l mi padre, ma-
garìjjì legàono n trónco, a {trascino "strasciconi", un trónco de légno a ttrascìno, capidol, che èra leggèro, però, lóro piano piano cominciàano a f f ò l còllo, iniziavano a fortificare la muscolatura del collo (descr. di una delle fasi iniziali della doma), coltrina: —> cultrina. commatte, v. intr., impegnarsi in un lavoro: commatte co le bbèstie, lavorare con le bestie | commatte coli'aratro | io però cco le mucche n c'hò ccommattuto mai, non ci ho mai lavorato || Forme: Ind. pres. 3 commatte | impf. 3 commattéa | P. pass, commattuto. commessióne: —* cummessióne. commissióne: —> cummessióne. cóncia, s.f., anello di cuoio di bufalo, attaccato sul giogo: una cóncia de pèlle de bbèstia. condadino: —» cuntadino. confratèrna: —> cunfratèrna. contadino: —* cuntadino. contropòsta, s.f., 1. punto dell'orizzonte, situato oltre la pòsta, utilizzato per traguardare un campo: pijjàono la contropòsta, presémpio quél cammino Ila, ad esempio quel comignolo. 2. paletto di riferimento, situato oltre la pòsta, utilizzato per traguardare un campo; i paletti venivano colorati con vernice bianca o nera e sistemati sul campo a colori alterni per essere più visibili: ha a pijjà ppure la contropòsta luntano, devi prenderla come punto di riferimento, in lontananza, còppia, s.f., coppia di buoi aratori 36
o di vacche aggiogati, còrno, s.m., 1. corno: còrno de vaccina \ jje bbruciàono la pónta "punta" del còrno (pratica avente lo scopo di arrestare la crescita delle coma dei tori e, più raramente, delle bestie brade) | spunta l còrno (id.) | la capòccia co le corna | che bbèlle còma che cc'hanno, sti ddu maremmane! | na mazzata m mèzzo al crànio cu n còrno e Waltro "tra le corna", cascava e le scannava (stordimento del bovino prima della macellazione) || well.: la mucca a la dònna jj'ha ddétto: nun guardò pperché hò le corna, pòrto nòve mése quanto una dònna (rif. alla durata della gestazione); CH: perchè la dònna ma la "alla" mucca jj'ha ddétto cornuta | nun guardò cche ppòrto le còma, ma pòrto nòe mése quante na dònna, la vacca [lo disse] || Forme: pi. còma, còme (raro). 2. bossolo per la cote; custodia conica, ricavata da un corno di vacca dalla punta mozza, contenente acqua in cui si conserva la cote per affilare, còrpo, s.m., ventre, intestino (di uomo e di animale): nu sta bbène col còrpo. còsta: mpèzzo de còsta, un appezzamento di terreno in pendio | o na scésa o na còsta, èra uguale (sono sinonimi) || dim. costarèlla, piccola discesa ripida, cotecaro, codecaro (raro), s.m., (dispr.) capo degli operai, che fa gli interessi del proprietario dell'azienda agricola: l cotecaro èra un omo
che ffacéa la spia mal "al" padróne, èra cotecaro \ cotecaro vorrébbe dì f f a "parteggia" ppel padróne \ quélIo è n cotecaro, le védeì \ commanna "dà ordini", dice, è n cotecarol crastà, v. tr., castrare: le cojjóne n ce l'ha ppiù. véne crastato all'età dde òtto mése, un anno, e vvenìono domate pe llavorà. venìono fòrte\, diventavano forti, crastino, s.m., castrino, castratore di animali. crepa, v. intr., morire a causa di meteorismo acuto (di animale): s'è ggonfiada, dice, crèpal \ è ccrepada\ créta: pròpio quélla créta, ch'é ccóme la péce quanno piòve, l'argilla, quando piove, diventa collosa, vischiosa come la pece, cretósa, agg., argillosa: tèrra cretósa. creulina, s.f., creolina; veniva utilizzata per disinfettare le ferite dei bovini: all'estate specialménte ce se mettìa la creulina, um pò annacquata, perché, sinnò cce facìono le vèrmene, vi si formavano i vermi, crino, s.m., recipiente di vimini usato per raccogliere l'erba o le foglie per il foraggio e portarle ai bovini: l crino ce s'annava a f f à II'èrba. èra un còso tónno de vénco, un recipiente rotondo, di vimini, crògnolo, s.m., corniolo (Cornus mas L.); il legno veniva utilizzato per fabbricare l'aratro ed il pungolo del bifolco: m bèi légno de crògnolo.
cruciale, s.m., biforcazione dell'albero; veniva utilizzata per la fabbricazione del ceppo dell'aratro, cuculèstro (are.), colèstro, s.m., primo latte della vacca dopo il parto. cultrina, coltrina, s.f., aratro leggero di ferro ad un'ala: na cultrina a rròte, con le ruote | le cultrine de fèrro co le ròte | ché pprima lavorava coli'aratro, a mmano. quélli de légno, dóppo, invéce, sò vvenutì stì cultrine, sono entrate in uso. cummessióne (rust.), commessane, commissióne (civ.), s.f, commissione giudicatrice, giuria: / giórno de la fèsta, la séra, facìono, sèmpre le patròne, na commissióne e stimàvano l zólco (rif. alla gara del solco dritto). cuncimata, s.f., azione di concimare. cuncime, s.m., concime: l cuncime, de tante qualità \ l cuncime nun c'èra, nun ze comprava, costava tanto, le sòlde n c'èrono, mancava il denaro per acquistarlo, cunfìno, san., confine del campo: un gunfino (raro), cunfratèrna (rust.), confratèrna, s.f., confraternita: la confratèrna portaa tutte le stendarde, l crucifisso, portaa sta ròbba qui. cuntadino, contadino, condadino (raro), s.m., 1. mezzadro: / contadino èra quéllo che stava a mmezzadrìa e cc'ìa "possedeva" anche le bbèstie pe llavorà | stàvono pe ccontadine cu Ccalistre, lavo37
ravano come mezzadri per Calisti | sò state tanto contadine qquassù eco le Bbattagline. 2. (raro) coltivatore diretto: èra contadino lòppe la campagna, in campagna || prov.: contadino, scarpe gròsse "da lavoro" e ccervèllo fino. cuòjjo: —> còjjo. custodì, v. tr., coltivare, prendersi cura del terreno. deliggirì, v. intr., digerire: quanno che n deliggirìvono jje se faciva, da le vòlte, anche le bbuttijje, IVacqua coir òlio, a volte, quando i bovini non digerivano, gli si somministravano acqua ed olio, dentóne, s.m., molare della vacca cresciuto più del normale, per cui non riesce a masticare; un tempo, quando si riscontrava questo problema, la bocca dell'animale veniva tenuta aperta con un pezzo di legno ed il molare veniva quindi limato, di'arèa, s.f., diarrea (di uomo e di animale), domà: —> addomà. ènnara, s.f., edera (Mederà helix L.); le foglie venivano somministrate ai bovini come foraggio, durante l'inverno; rendevano sgradevole il sapore del latte, èrba, s.f., 1. erba (ogni pianta bassa non legnosa). 2. (coli.) insieme di piante spontanee che coprono un terreno: fa IVèrba, raccogliere l'erba per foraggio. 3. fieno: Wèrba sécca, il fieno essiccato || dim. 38
erbétta. èrgna, s.f., ernia (di uomo e di animale). érpece, èrpice, 1. erpice: Wèrpice e "che" sse tiraa co le vacche | èrpice a mmajja | èrpice rotante | seminàono e ppòe aripassàono ri altra òlla "volta" coir èrpice, cu le bbòa, e rricoprìvano || par.: è ggrèzzo quante n érpiceì, è sgraziato, grossolano. 2. (fig.) persona sgraziata, grossolana: è n érpeceì erpecià, erpicià, v. tr., lavorare la terra con l'erpice; erpicare, èrpice: —* érpece. erpicià: —>• erpecià. erpiciata, s.f., lavoro effettuato con l'erpice: [il terreno] le ripassàono, pòi jje dàono rì erpiciata, pòi bbuttàono ggiù Izéme a mmano. èttaro: —> èttero. èttero, èttaro, s.m., ettaro || Forme: pi. èttere, èttare. falda, s.f., deiezione di vacca, fàola, fàvola, s.f., (rust.) trattore a vapore con aratro, della marca Fowler || Forme: Tp\.fàule,fàole. fardèllo, s.m., porzione di fieno usata come foraggio: l fardèllo del fièno. fàscio: un fàscio cf èrba fà le fasce, preparare i fasci d'erba per il foraggio. fattóre, s.m., fattore dell'azienda agricola: / fattóre è qquéllo che amministra e qquéWaltre sò ttutte subbattèrne, (raro) subalterni | tutte a scala a scala "secondo un or-
dine gerarchico", ha "hai" capidol c'èra l padróne, pó c'èra l fattóre e cc'èra l guardiano, capito? pòi dòpo c'èra l capòccia de le vacche, c'èra l bùttero. favétta, s.f., fava piccola da foraggio ( Vida faba minor L.); veniva utilizzata per il sovescio, fàvola: —» fàola. ferrà, v. tr., ferrare: ferrò le vacche, raraménte. se podéa ferrò una siffacéa l'acciaccatura sótto, se ne poteva ferrare qualcuna soltanto in seguito ad una contusione all'unghia. ferrana, s.f., erbaio di segala || dira .ferranétta. fèsta: facìa fèsta, godeva di un giorno di riposo (rif. al bifolco) | la festa de sand'Isidoro, festeggiamenti dedicati al santo patrono | / giórno de la fèsta, id. | de prima "un tempo" la fèsta èra a le Casale (dopo l'abbandono della chiesa di loc. Ranucci, i festeggiamenti dedicati a Sant'Isidoro l'Agricoltore furono spostati a Fastello), festaròlo, s.m., membro del comitato organizzatore della festa patronale: le festaròle, gli organizzatori, fétta, s.f., quantità di terra tagliata e sollevata dall'aratro ad un passaggio: apri l zólco e tte bbuttà qqua la fétta. fià: -+fijjà. fiatte: —• flètte. fibbiara, s.f., stegola, asta di legno verticale con cui si guidava l'aratro di legno: la fibbiara che ccoprìa
ll'attacco de la bbura. fièno: /fièno sécco, essiccato, fièra, s.f., fiera di merci o bestiame: la fièra de Vitèrbo, fiera di bestiame che si teneva annualmente nel capoluogo di provincia || accr. fieróne, grossa fiera: / fieróne a Vvitèrbo. flètte (ant.), fratte, s.m., trattore agricolo della marca FIAT. fijjà,/tò, v. intr., figliare, partorire (di animale): sta ppe ffià la vacca | nun fijja, è sterile || Forme: Ind. pres. 3 fijja | impf. 6 fijjàano. fògghja, fòjja, s.f., foglia: fòjje d'ulìo, foglie d'olivo (vd. bbròzzo). f òjja: fògghja. fontana, s.f., 1. fontana pubblica. 2. fonte sorgiva, fontanile: —> funtanile. forcina: —• furcina. forcinata, s.f., 1. colpo infetto con il forcone. 2. quantità di materiale sollevata con il forcone: una forcinata de fièno. fórma, s.f., 1. fossa per lo scolo delle acque, sul campo. 2. zanella, cunetta a lato della strada, frasinétto, s.m., Frassineto, varietà di frumento, fratta, s.f., siepe, frèsa, s.f., erpice a disco o a denti trainato da trattore, fresà: —» sfresò. fritto, s.m., fegato (di uomo e di animale), frocétta: —• frucétta. frucétta, frocétta, s.f., nasiera, morsetta di ferro che si applica nel-
le froge delle vacche e dei buoi: la frocétta mal "nel" naso | tirae la frucètta man quéllo, gli tiravi la nasiera (per farlo girare) | frocétte gròsse, di dimensioni maggiori, usate con le bestie dalla corporatura più imponente, frustada, s.f., frustata: jje davano la frustada. funnétto, s.m., (dim.) piccolo avvallamento, modesta depressione del terreno: ma le "nei" funnétte. funtanile, fontanile, s.m., abbeveratoio: passàvano al funtanile, le bbeeràono. furcina, forcina, s.f, forca a due o più rebbi, di legno o di metallo: la forcina cui màneco de légno e la furcina de fèrro | [ai bovini nella stalla] jje bbuttae Uà lfièno co la furcina. garzoname, s.m. coli., insieme dei garzoni alle dipendenze delle aziende agricole, garzone, s.m., garzone di azienda agricola: le garzóne, e ssà quante ce sòl sò ttutte, a Ffastèllo, facìono sto mestière!, di garzoni ce ne sono molti. Chiunque, a Fastello, faceva questo mestiere | èra n garzóne suo, alle sue dipendenze | annàvono co le propietàrie a ggarzóne, lavoravano come garzoni per i proprietari terrieri, ggentile: —» ggintile. ggintile, ggentile, agg., di razza chianina: nòe jje dimo le vacche ggintile, però èra chjamata la chja40
nina | [nella nostra zona] la maggiorparte maremmane, invece da la parte i sópra, diciamo, vèrzo Bbagnoréggio quélle ggentile, a nord, nelle vicinanze di Bagnoregio. ggiógo: / giógo pe mmétte ma le vacche, da mettere alle vacche | sii capòccia de le zziènde facìano le ggióghe pe le bbèstie, fabbricavano i gioghi | mettée su l giógo, aggiogavi | [il bovino] abbassaa le corna, pijjaa sii l giógo e ppò legae, abbassava le corna, sollevava il giogo e poi lo legavi | portò l giógo \ spezzò l giógo. ggiontura, s.f., giuntoia, ancola del giogo che passa sotto il collo della bestia: le ggionture, che le legae mal "al" giógo cusì. ggiornada, s.f., giornata: io qui tèmpe Ili, ce lavorao, a ggiornada, a quei tempi lavoravo a giornata, ggiornataro, s.m., operaio agricolo, pagato a giornata. ggirèllo: lpèzzo del girèllo, la parte del girello (taglio di carne bovina) | l girèllo è qquél blòcco tónno "rotondo" che sse védepròpio su la parte del còscio. ggiuvénca, s.f., vacca giovane, giovenca, gomèra: —» gumèra. gonimèlla: —- gummèlla. gonfiasse, v. rifl., gonfiarsi, del ventre di animali per meteorismo acuto: me s'èra gonfiata una manza co mmagnà IP òrzo, jj'éo "avevo" dato tanto òrzo \ quando se gonfiavano, acqua e acéto (rimedio
contro il meteorismo acuto dei bovini). gònfio, agg., afflitto da meteorismo acuto (di animale). grajjòle, graviòle, raviòle (ree.), s.m. pi., ravioli dolci di pastasfoglia con ripieno a base di ricotta, uova, cannella e liquore; vengono preparati in occasione della festa patronale: pròpio l zanto "la festa patronale", sancf Isidoro portava la grajjòle \ le raviòle, quélle co la ricòtta. grano: e pprima c'èra l Vergigno, r Róma, l Frasinètto, èrano quéste le qualità dde grano, le varietà di frumento. gràvida, gràvita (raro), agg., (ree.) gravida: aèsso "adesso" si comincia ddì ggràvida, ma na vòlta préna [si diceva]. graviòle: —> grajjòle. gràvita: —» gràvida. gréppo, s.m., zona scoscesa, scarpata. gròtte, s.f., grotta, caverna: dòpo l mi bbabbo féce la stalla, dóppo qqua, ma sinnò c'iimo la gròtte, e ddéntro ce tenémo le bbèstie, poi, di recente, mio padre costruì una stalla, ma in precedenza possedevamo una grotta e dentro ci tenevamo le bestie || dim. gruttino: c'è n gruttino da na parte che cce dormiino le bbifólce, dove dormivano i bifolchi. guarda, v. tr., 1. guardare. 2. pascolare: guardàono le bbèstie, pascolavano. guardiano, s.m., guardiano dell'a-
zienda agricola (aveva diritto alla cavalcatura), guernà, v. tr., governare animali, guidarèllo, s.m., (ant.) capo dei bifolchi, incaricato di guidarli nel corso dell'aratura: / guidarèllo, quéllo ampresava | / guidarèllo è avante "davanti" a ttutte, appòsta le chjàmano l guidarèllo. guinza, s.f., palude, gumèra, gomèra, s.f., vomere dell'aratro: Waratro èra de légno, sólo che la gumèra de fèrro, soltanto il vomere era di ferro, gummèlla, gommèlla (raro), s.f., giumella, quanto entra nel cavo delle due mani accostate con le dita unite: na gummèlla de grano. imbiffà: —> ambiffà. indiggistiòne, s.f., indigestione (di uomo e di animale), intestà, v. tr., legare per le corna una coppia di buoi, intistino, s.m., intestino (di uomo e di animale). laorà, lavorò, v. intr., lavorare: lavamano ma sfazziènde, in queste || v. tr., arare: lavorò la tèrra, arare il terreno | lavorallo, ararlo | lavorò co le bbòa | c'éa "possedeva" tutte maremmane pe llavorà \ le bbèstie e "che" llaoràono | émo "abbiamo" lavorato col trattóre | la tèrra èra lavorata || Forme: Ind. impf. 1 lavorao; 2 lavorave; 3 lavoraa; 4 lavoraamo (ree.); 6 laoràono, lavoràano. lattònzo, s.m., vitello da latte. 41
mannàano al macèllo e finisce1., se non ci si ragionava, se non obbedivano, le mandavano al macello, maése, s.f., 1. prima aratura dell'anno, su cui viene gettata la semente: la prima maése. 2. maggese; stato del terreno lasciato in riposo per seminarvi l'anno successivo: aWèpoga n èra cóme ùgge, che cci só le mèzze, c'è l mórgane, c'è le còse, mbócche ggiù ma le maése, allisci e spiane, a quei tempi non era come oggi, che ci sono i mezzi, il mòrgane (vd. mòrghine), gli strumenti. Ora vai nelle maggesi, lisci e spiani || dim. maesétta. magnadóra: —*• magnatóra. magnatójja: —•» magnatóra. magnatóra, magnadóra, magnatójja (ree.), mangiatójja (ree.), s.f., mangiatoia, greppia: jje se mettéva l ròtolo del zale, nói, ma la magnatóra, nella mangiatoia, malatìa: —> ammalatìa. màneco, mànico, s.m., manico: / mànico lóngo "lungo" pe ttoccà le bbèstie (rif. alla cerrata, 1). mangiatójja: —> magnatóra. manichino, s.m., stiva con cui si regge l'aratro, mànico: —> màneco. macchja, s.f., bosco, macchia || mantra, s.f., spazio recintato per dim. macchjétta | accr. macchjóne. i bovini. macellà, v. tr., macellare, manza, manza (civ.) s.f., bovino macellaro, s.m., macellaio, giovane, di sesso femminile, destimacellazzióne, s.f., macellazione, nato alla macellazione: na manza macèllo: bbèstie da macèllo che da carne | prima che ddiventasse vvanno macellate \ si èrano bbèstie vacca èra una manza. che n ce raggionae, allóra le manza: —* manza.
lavorà: —> laorà. lé, inter., voce per trattenere una bestia, lecchjèra: licchjèra. legatóro, s.m., mangiatoia all'aperto, alla quale venivano legati i bovini: / legatóro, ce le legàvono, via. lemosì, s.f., vacca di razza Limousine, di ree. introduzione, lettièra: —> licchjèra. lèvoto, lièvoto (civ.), s.m., lievito: / lèvoto de bbirra (veniva somministrato ai bovini per favorirne la digestione), licchjèra (rust.), lecchjèra, lettièra (ree., raro), s.f., strame: la lettièra co la pajja | fa la lecchjèra, preparare lo strame | è óra de fajje "preparargli" la lecchjèra | arifà la lecchjèra, sistemare, mettere in ordine lo strame, lièvoto: —> lèvoto. limito: —> lìmoto. lìmoto, limito, s.m., margine del campo: jjó mmellì mmal lìmoto, (ant.) al margine del campo, lunara, agg., sterile (di animale femmina): la vacca lunara || s.f., vacca sterile.
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manzétta, manzétta (civ.), s.f., vitella giovane di circa un anno, manzétta: —» manzétta. manzétto, s.m., (rust., raro) vitello giovane di circa un anno, manzo, s.m., (rust., raro) bue castrato, con al collo il campano (vd.), che guida il branco, maremmana, s.f., vacca di razza maremmana: la maremmana è scura e cc'ha le còma lunghe cusì | maremmane all'èpoga. aWèpoga c 'èra tutte maremmane, a quei tempi c'erano soltanto vacche maremmane. maremmano, agg., di razza maremmana: la bbèstia maremmana èra mólto intiligènte, intelligente | vacche maremmane che llavórano || s.m., razza di bovino allevato nella Maremma: èra n maremmano, quéllo. mastite: la mastite véne uguale, pure ma le dònne, sia alle vacche da latte che alle donne, maturà, v. intr., macerare, fermentare (rif. al letame): se maturava, diventava um pò polènte, di una consistenza simile a quella della polenta | quanno s'èra maturato m pochétto se portava via. mazzafrusto, s.m., pungolo costituito da un bastone della lunghezza di un metro circa, su una cui estremità veniva applicata una corda per frustare i cavalli e, quando trainavano il carro agricolo, i bovini: [mazzafrusto] èra um bastóne, m bastoncèllo pulito, fatto bbène, lungo
na medrada o um pélo più "lungo circa 1 mt. o poco più"! dacabo "in cima" ce legàono un cordino. mazzarèlla, s.f., bastone lungo circa mt. 1/1,50, con grossa capocchia, usato per pungolare il bestiame o come arma da difesa: [mazzarèlla] èra bbòno pure pe ddifènne le cristiane "persone", cèrtol mbiffa: —» ambiffa. mbiffà: —» ambijfà. mèrca, s.f., marchiatura a fuoco del bestiame: le facìono la mèrca. ma le zziènne gròsse, però, la marchiatura veniva praticata, ma soltanto nelle grandi aziende agricole. mercà, v. tr., marchiare il bestiame col ferro rovente, mèrco, s.m., marchio impresso a fuoco sul bestiame, mèrda, s.f., 1. deiezione umana. 2. sterco di animali, mesata, s.f., paga mensile: annàvono co le propietàrie a ggarzóne fisse, pròpio a mmesata fisso a f f à l pastóre, a f f à l vaccaro cu le bbòve, i proprietari terrieri li assumevano in pianta stabile, venivano pagati mensilmente, mesura, misura, s.f., 1. misura di capacità per aridi, pari a circa 30 kg. 2. recipiente per misurare: la misura de légno. métta, métte, v. tr., 1. mettere: métta n zólco, solcare | métte sótto, aggiogare | méttelo, metterlo | jje mettici l mèrco, lo marchiava a fuoco. 2. seminare: se méttono le bbròccole pe le bbèstie || Forme:
Ind. pres. 2 métte | impf. 2 mettìe, mettive, mettée; 3 mettìa; 4 mettìemo; 6 mettéono | Imper. 4 mettémo. métte: —* métta. mèzza, s.f., 1. misura per aridi, pari a 25 kg. 2. antica unità di misura agraria di superficie, mezzatro, s.m., (raro) mezzadro, mèzzo: annàvano a mmèzzo, lavoravano come mezzadri | facéino a mmèzzo, spartivano a metà i prodotti del podere (con il concedente), misura: —» mesura. misurélla, s.f., unità di misura di capacità per aridi, pari a kg. 7 di grano. mógna, mugne (civ.), v. tr., mungere. mòlla, s.f., stato di inzuppamento del terreno || prov.: quanno ae "vai" a ssimentà eco la mòlla, è mmègghjo annà a ddormì eco la nònna (il terreno bagnato non va seminato); CH: fae sólo che ddanne, fai soltanto danni, montà, v. tr., coprire (di animali): Vha mmontata. mónte, s.m., modesta altura, colle, poggio, mòrgane: —* mórghine. mòrgano: —» mòrghine. morghinà: —• smorghinà. mòrghine, mòrgane (raro), mòrgano (raro), s.m., erpice a dischi Morgan. morra, s.f., pendio scosceso, dirupo. morzétta, s.f., (raro) nasiera, morsetta di ferro che si applica nelle
froge delle vacche e dei buoi, mósca cavatina, s.f., mosca cavallina (Hippohosca equina L.); infastidisce equini e bovini, nel periodo estivo. mucca: la mucca da latte \ la mucca, quélla che ddà l latte, e invéce la vacca quélla che llavóra. muccaro, s.m., custode delle vacche da latte: il muccaro è qquéllo che stava co le mucche. mucco, agg., nato da una vacca da latte: / tòro mucco \ la vacca mucca. mugne: —• mógna. mujjà, v. intr., muggire || Forme: Ind. pres. 3 mujja | impf. 3 mujjava. mungana, agg., (raro) di vacca allevata per la produzione del latte; mongana: la vacca mungana. murcinara, s.f., boschetto o macchia di scarsa estensione, all'interno di una proprietà terriera, dove vengono gettate le pietre che si trovano nel terreno circostante, al fine di favorirne la lavorazione: la murcinara adè "è" una macchjétta, pìccola, im mèzzo a un terréno. muro a ssécco, s.m., muro senza malta, usato come confine per il campo || Forme: pi. mure a ssécco, mure a ssécche. musaròla, s.f., museruola per bovini, di ferro o, recentemente, di plastica. natura, s.f., apparato genitale della donna e di animale femmina, ncalurito, agg., di bovino in stato congestizio od infiammatorio: nca-
lurito ché nu sta hbène col còrpo, coir intistino | la bbèstia che èra ncalurita. nèrbo, s.m., 1. nervo. 2. membro del bue. 3. staffile, formato dal membro disseccato ed intrecciato del bue. nòcchjo, s.m., nocciòlo (Corylus avellana L.): cénnere del nòcchjo, cenere di legno di nocciòlo (veniva applicata sull'occhio del bovino leso dal forasacco segalino), nominado, agg., denominato, designato con un nome (di animale): tutte nóme, c'ìono "avevano", tutte nominade, èhì, tutte], i bovini venivano tutti denominati, nòstro, s.m., terreno di nostra proprietà: nòe lavoraamo sèmpre sul nòstro, sul terreno di nostra proprietà. occhjatìccio, s.m., malocchio (su persone od animali domestici): guastò Wocchjatìccio, (rust.) togliere il malocchio | jje levava II'occhjatìccio, gli toglieva il malocchio, ógna, ugna (ree.), s.f., unghia della vacca: ir ugna e la "della" vacca. ólmo, s.m., ólmo (Ulmus campestris L.); il legno veniva utilizzato per fabbricare l'aratro ed il giogo. operajjo, s.m., operaio agricolo, pagato a giornata, òpra, s.f. coli., braccianti: annà a òpra, andare a lavorare a giornata come bracciante, ordégno, s.m., attrezzo, utensile, strumento da lavoro: pia qqua
l'ordégne che ffamo sto lavóro1., prendi gli attrezzi! ossógna, s.f., sugna, grasso che si forma attorno ai rognoni del maiale; veniva liquefatta e poi massaggiata sugli edemi che si formavano sul collo dei bovini. padronale: —• patronale. padróne: —> patròne. padulóso, agg., (ree., raro) paludoso: sò ppòste m pò padulóse, sono posti un po' paludosi, pagghja,pajja,paja (raro), s.f., 1. paglia: la bbajja, (raro) la paglia || prov.: o pajja o fièno, bbasta che l còrpo sia pièno. 2. gambo della spiga di frumento. pàglio, s.m., sorta di lotteria popolare; aveva luogo in occasione della festa patronale: il pàglio del paése | [pàglio] ai tèmpe "a quei tempi" magare c'èra bbisògno, èh, allóra mettéono um pajjo di scarpe, magari mettèono un vistito, tutto attaccato "appeso, esposto", in fila, tante còse! sì, ppòi scrivévono le bbijjettine e wenìono imbussolate déntro una scàtola, e cci mettéono sèmpre l zanto, sant'Isidoro, quando lo tiràvono "estraevano", quando usciva l zanto e l nóme apprèsso, quéllo vincéva. paja: pagghja. pajale, s.m., fune intrecciata tra le corna dei bovini per guidarli, pajja: pagghja. pajjada: pajjata. pajjata, pajjada, s.f., pagliata; in-
testino tenue di vitello o agnello da latte, condito e cotto al tegame, pajjo: -> paro. palo: dacapo "in cima" al zólco ce piantàvano m palo (vd. m passóne dritto, s. passóne). pannume, s.m., peritoneo (di uomo e di animale), pantàscia, s.f., grassella dell'inguine (di bovino), parà, v. tr., pascolare: vò a pparà le vacche, vado a pascolare le vacche | paràono le bbèstie, pascolavano. parécchjo, s.m., coppia di bovini aggiogati || prov.: tira più um pélo de frégna "vulva" che m parécchjo de bbòa || Forme: pi. parécchje, parécchj (raro), parijja, s.f., due paia di bovini aggiogati che trainano lo stesso aratro, per i terreni difficili da lavorare, paro, pajjo (ree.), s.m., 1. paio: m par de mila àttere, duemila ettari circa | c'èra qualcuno che cc'ìa m pò de tèrra, ma più cche ttenia, um par de vacche o ddue, qualcuno possedeva un piccolo appezzamento, ma poteva avere al massimo uno o due paia di vacche | le bbèstie, ognuno c'ia "possedeva" um pajjo, ddu pajje "due paia", ce Wìono tutte le vacche, chiunque possedeva qualche vacca. 2. coppia di buoi aratori o di vacche aggiogati: m par de vacche, m bar de vacche (raro) | m pajjo de bbòe || Forme: pi. pare, pajje (ree.),pajja (ree.), parturì, v. intr., partorire (di don46
na e di animale). pàscolo: le bbèstie stanno fora a ppàscolo, sono fuori, al pascolo | èrono a ppàscolo, pascolavano, pasquale, s.m., (ree.) trattore agricolo della marca Pasquali || dim.pasqualétto. passerèlla, s.f., passaggio nella siepe: la passerèlla ma la fratta, nella siepe. passo, s.m., passaggio: um passo col cancèllo. passóne: m passóne dritto (utilizzato nel corso della gara del solco dritto per dare l'illusione che il solco tracciato fosse più lungo; veniva piantato nella parte terminale del solco, in cima ad un poggio), pastóne, s.m., beverone a base di semi di lino bolliti; veniva somministrato ai bovini per favorirne la digestione: il pastóne jje se facéva col zéme de lino. patronale, padronale, s.m., grosso proprietario terriero, patròne, padróne, s.m., proprietario: le padróne de quéste zziènde | annàvono co le patròne, erano al servizio dei proprietari terrieri. Pecoraro, s.m., 1. pastore delle pecore. 2. (fig.) persona rozza, maleducata: sèe m pecorarol, sei un maleducato. pedana, s.f., afta epizootica: [pedana] jje venia ma la bbócca cóme um puzzo, (rust.) in bocca si formava una sostanza simile al pus | [pedana] jje spaccava II'ugna e la vacca s'azzoppava, eppòe nun ze gita-
ria più. n ze guarìino più. nun èrono più bbòne pe llavorà, toccaa falle macellò, non erano più in grado di lavorare, bisognava farle macellare, pèlle: pèlle de bbèstia \ quando se nnava a la fièra, c'èrano a wénna "in vendita" sti pèlle de bbùfolo. pestatura, s.f., contusione (rif. all'unghia della vacca), pèzza, s.f., quarto posteriore tenero della vacca macellata, pèzzo, s.m., 1. appezzamento di terreno: tutte pèzze e sòdo, di sodaglia || dim. pezzétto, pizzittino: le pezzétte de tèrra, modesti appezzamenti | m pizzittino e "di" tèrra ce IViomo "possedevamo" tutte. 2. nel corso della gara del solco dritto, porzione di solco tracciata sul piano od in salita, in modo che, osservando i segmenti dal punto di partenza, si avesse l'illusione guardare un solco unico: e ssópra sópra le pògge, facéono sti pèzze de sólco. piana: dim.pianétta, zona pianeggiante di scarsa estensione, pianà, v. tr., coprire (di animali): F ha ppianata. picchjóne, s.m., piccone: de prima la fatto tutto a ppicchjóni, a quei tempi aveva eseguito l'intero lavoro col piccone, piètra: una biètra, (raro) una pietra | na bbèlla piètra, una grossa pietra || accr. pietróne. pilétta, s.f., abbeveratoio all'aperto, ricavato da un blocco di pietra di grandi dimensioni: de prima sti pilétte e'èrono dó e'èrono le pózze,
un tempo si trovavano in corrispondenza dei pozzi. piòtta, s.f., zolla, con o senza erba: vò a rróppe le piòtte, vado a dissodare le zolle. piottolóso, agg., zolloso (di terreno). pìscio, s.m., 1. colaticcio delle bestie. 2. orina. póccia, s.f., mammella (di donna o di animale femmina), poderante, s.m., mezzadro: dóppo piano piano le poderante sò ite via, i mezzadri sono gradualmente scomparsi, se ne sono andati, podére: annàvono a ppodére, lavoravano come mezzadri | stava ma m "in un" podére Ili al campo del Gatto | quél podére gròsso || dim. poderétto, podere di piccole dimensioni: m boderétto, (raro) un piccolo podere, pògghjo: -> pòjjo. pòggio: pòjjo. pòjjo, pògghjo, pòggio (ree.), s.m., poggio: da m pòggio a n antro dovéa èsse in dirizzióne, da un poggio all'altro, il solco doveva seguire la stessa direzione (rif. alla gara del solco dritto) | da m pòjjo a n antro aripijjòono la dirizzióne de quél zólco, a cchi le facéa più ddritto (id.) || dim. poggétto, puggétto. pontóne, s.m., parte del campo dove le macchine agricole non riescono ad arrivare: è m pèzzo de tèrra che n ce se rièsce a llavorallo. arimane m pontóne. porcaro, s.m., guardiano di porci. 47
portapìscio, s.m., (rust.) canaletto di scolo nella stalla, pòsta, s.f., segnale per traguardare il campo: la pòsta p' ambiffallo, per picchettarlo, pozzétta, s.f., pozza dove defluisce lo scolaticcio, all'esterno della stalla: la pozzétta del pìscio \ la pozzétta fòri de la stalla. prado, s.m., prato, préna, agg., gravida (di animale femmina): quélla è ppréna préna\, è in gravidanza avanzata, présa, s.f., fascia di terreno coltivato costituita da una serie di solchi: facéono le prése, quésto, annà e winì, facìa la présa | le prése pe sto vèrzo, in questa direzione, profile, s.m., profìme, asse di legno che tiene unita la bure col ceppo del vomere; l'estremità superiore è spaccata, in modo tale da potervi inserire un cuneo di legno, tramite il quale si regola la profondità dell'aratura (vd. anche zzéppa, 1). propietàrio, s.m., proprietario terriero. provènna, s.f., profenda, razione di foraggio. prucessióne: —> prucissióne. prucissióne, prucessióne, s.f., processione, puncicà, v. tr., pungolare: ma le bbèstie le puncicae, pungolavi le bestie. puncicarèllo, s.m., puntale metallico del pungolo del bifolco: ce mettive sù ddacapo "in cima" la cerrata tagghjata "tagliata" para, 48
diciono lpuncicarèllo. ci mettìe um pezzétto de chjòdo appinzado "appuntito", e qquanno le toccae jje bbucae la pèlle. purcina, agg., porcina: tèrra purcina. quarto, s.m., 1. porzione del campo: quél quarto de tèrra \ l quarto sarébbe l quarto de sta maése, tutta, anche pònno èssa pure cénf èttere, possono essere anche cento ettari | te vénno II'èrba, tutto sto quarto, èl, ti vendo tutta quella che vedi in questa porzione. 2. ciascuna delle quattro parti in cui viene divisa una bestia macellata: de la vaccina, sò le quattro quarte | l quarto del còscio ) l quarto de la spalla. quartùccio, s.m., misura per aridi, pari a 15 kg. ramado, s.f., poltiglia bordolese; veniva utilizzata per curare l'afta epizootica: calce e rramado, sólo che èra mólto più ccalce (le bestie venivano fatte passare in una pozza colma di poltiglia bordolese, ma con una maggiore percentuale di calce rispetto alla soluzione usata per solforare le viti), raviòle: —> grajjòle. razza: va a la razza, alla monta (rif. alla vacca) | min vanno a la razza, non si accoppiano (id.). remessino, s.m., recinto per il bestiame vaccino alla fiera, réna, s.f., terreno sabbioso, friabile: si "se" ttu vvae Uà ssul pòggio è
rréna. renarèlla, agg., sabbiosa: la tèrra quélla lènta lènta quélla renarèlla. riccoppià: —» ariccoppià. riète, s.m., Rieti, varietà di frumento. rifrescà, rinfrescò, v. tr., favorire la digestione: le rinfrésco, le aiuta a digerire. righino, s.m., canaletto di scolo nella stalla, rigonfiasse, v. rifl., gonfiarsi di nuovo, del ventre di animali per meteorismo acuto: quésta se rigónfia. rinfrescà: —> rifrescà. rinterzà, v. tr., seminare il grano ogni tre anni: se rinterzava. restava a ppàscolo. dóppo tré anne se lavorava, ce se mettia l grano, la ròbba. ripassa: —> aripassà. rippe, s.m. (ree.) ripper, tipo di attrezzo da scavo, ròba: —» ròbba. ròbba, ròba (raro), s.f., 1. roba: ha ffatto tutta ròbba da carne (rif. ad un'azienda ortofrutticola riconvertita ad allevamento bovino) | nòe le ugnìimo co la ròbba calla, l zégo callo, ròbba del gènere, le ungevamo con il sego caldo (rimedio contro la mastite). 2. prodotti agricoli. 3. proprietà terriera: la ròbba de lóro, la loro proprietà | nòe sémo state sèmpre su la ròbba nòstra, abbiamo sempre vissuto e lavorato su terreni di nostra proprietà || dim. robbétta, modesta proprietà terriera: la robbétta sua. róma, s.f., Roma, varietà di fru-
mento: de prima c'èra r Róma, un tempo, rompe: —* róppa. rompetratta, s.f., solco trasversale sul campo. rompetura, s.f., dissodamento del terreno in estate con la cultrina (vd.) o, anticamente, con l'aratro. róppa, róppe, rompe, v. tr., dissodare: róppe le piòtte \ quanrìèra ggiugno, lùglio, cominciàano a rrómpe l terréno (vd. rompetura). róppe: —> róppa. ròsa, s.f., taglio di carne bovina, corrispondente ad una parte del coscio: la ròsa de la vaccina è ssul còscio | la parte del còscio adè "è" la ròsa. rùbbio, s.m., antica unità di misura agraria di superficie, pari a m2 8.000. ruga, s.f., bruco verde peloso, larva di farfalla che danneggia le coltivazioni: dicéa che ssi "se" cce passava l biforco co la cerrata, dice annàano via, sti rughe (pratica magica secondo cui il bifolco, recitando una formula a bassa voce, tracciava con la ralla un passaggio per i bruchi, sul quale non avrebbe dovuto camminare; i bruchi seguivano il tracciato sino ad una parete interna della stalla, dove raggrinzivano e morivano); commento: ce passò "passai", e io così, co la cerrata a ttracino "strasciconi", c'èrano più dde prima! [ride] c'è dda dì le paròle (l'informatore attribuisce l'insuccesso della pratica alla mancata
conoscenza della formula magica). festa patronale || santa Lucìa Filiprumicà, v. intr., ruminare || Forme: pine, Santa Lucia Filippini, a cui è Ind. pres. 3 ritmica. intitolata la chiesa parrocchiale, sbalzo, s.m., dislivello del terreno, sando: —» santo. sbilercà, v. intr., 1. piegare, cursano, agg., di animale non castra- vare (di solco): sbilercava popò, era un po' storto | quanno fanno l to: qualche ttòro sano. santo, sando (raro), s.m., 1. san- zólco: va ddritto, nu sbilercà, èhì to. 2. immagine sacra (vd. tèsta [dicono] | [i bovini] si "se" sbilersanta, s. tèsta): [in processione] càvono, di prima, le sonàvono, un / prète avante a ttutte, col zanto, tempo li malmenavano | quann'èra davanti a tutti. 3. santino di gran- n cèrto punto, le scoppiàvono. di dimensioni, immagine del santo W accoppìàono, ggià ccu m pajjo patrono data in premio ai vincitori de bbòe, o vacche ggià ddomate. della gara del solco dritto: jje dàano mettéono una domata e una nò, un zanto appòsta, fatto appòsta. 4. ha "hai" cupido'?, accoppiate nel giorno della festa patronale || agg., giógo, ché num podéono "in modo santo: sanfAntògno, Sant'Antonio che non potessero" sbilercà (descr. Abate, protettore degli animali, in- della fase della doma in cui i bovivocato quando si entra in una stalla: ni venivano spaiati ed accoppiati a sanfAntògno! | sanfAntògno fa- bestie già domate). 2. fuoriuscire guardeì, li protegga | sanfAntògno del vomere dal solco: è ttòsta la dajje la salute! | sanfAntògno è tèrra, allóra sbilèrca su, se alza | si pprolettóre de le bbèstie 11 giórno de ddópo sbilèrche, te véne stòrto | si sanfAntògno, giorno della benedi- "se" sbilercade, annade fora, andazione degli animali e, recentemente, te fuori. 3. (fìg.) recalcitrare, uscire dei trattori || prov.: santa Lucìa, la dal branco (di animale). 4. (fìg.) sraggiornata córta che cci sìa, Natale, gionare, vaneggiare: sbilèrca, nòe, um passo de cane, sanfAntògno, intendémo quando nun ce stai più um passo de bbòvo (rust.) (sull'al- ttanto co la tèsta || Forme: Ind. pres. lungarsi delle giornate) || sandl- 2 sbilèrche; 3 sbilèrca; 5 sbilercade sidòro, sanf Isidoro, sanflsitòro | impf. 3 sbilercava; 6 sbilercàvono. scarpata: dim. scarpatèlla. (raro), Sant'Isidoro l'Agricoltore, protettore dei contadini e patrono di scassà, v. tr., dissodare, lavorare il Fastello: sand"Isidoro èppròpio de terreno in profondità: Calìstre scasle Casale \ sanf Isidoro è vvinuto a sava le tèrre. Ffastèllo | sanf Isidoro co le bbòa | scèrole, s.f., vacca di razza Charosand'Isidoro lavoraa co le vacche | laise, di ree. introduzione: scèrole e l giórno sanf Isidoro, il giorno della llemosì, quelle sò ppròpio da carne 50
pròpio. scésa, s.f., discesa, sciacquo, s.m., canaletto trasversale di scolo sul campo: sciacquo è quéllo che sse facéa mal "nel" zeminato co le vacche, sciògghje, sciòjje, v. tr., 1. sciogliere, slacciare: sciòjje le ggionture. 2. staccare i bovini dal giogo, sciòjje: —» sciògghje. sciugasse: —» sciuttasse. sciuttasse, sciugasse, v. intr. pron., essere priva del latte (di animale femmina): se sciuttàono | [la mucca gravida] a ssètte mése se lascia, se fa sciugà, non viene più munta, scòjjo, s.m., grande pietra, masso: è no scòjjo gròsso 11 miràcolo de lo scòjjo, miracolo attribuito a Sant'Isidoro l'Agricoltore (vd. top. la fontana el Campanile). scólo, s.m., canaletto di scolo sul campo: lo scólo dell'acqua. scoppià, v. tr., spaiare, separare (di bovini aggiogati) || Forme: Ind. impf. 6 scoppiàvono. scornasse, v. rifl. reeipr., cozzare con le coma (di due animali): se s cornono. scultrinà, v. tr., arare il terreno con il coltro: vò "vado" a scultrinà. sécchjo, s.m., bigonciolo per la mungitura, secónda, s.f., placenta (di donna o di animale femmina), ségola, s.f., segale (Secale cereale L.); veniva somministrata ai bovini come foraggio, sementa: —> simentà.
seminà: —* siminà. sémmala, sémmola, s.f., crusca; veniva somministrata ai bovini per favorirne la digestione, sémmola: —» sémmala. sèrta, s.f., due paia di bovini aggiogati che trainano lo stesso aratro, per i terreni diffìcili da lavorare, sfilasse, v. rifl., paralizzarsi del treno posteriore (detto di bovino), sfonnado, agg., detto di bovino cui, per contusione, viene un'ernia che passa il peritoneo e arriva all'addome: è sfonnada ché jje s'è rrótto 1 pannume. sfresa, fresò (raro), v. tr., lavorare il terreno con la frèsa (vd.): col trattóre che ppàssono a sfresà | frèsa la tèrra, lavora la terra, signóre, s.m., grande proprietario terriero: (imprec.) un cólpo ma le signóre e mma echi le protègge!, venga un accidente ai proprietari terrieri e a chi li protegge! simentà, sementò (raro), v. tr., seminare: éh, vò "vado" a ssimentàì || Forme: Ind. impf. 3 simentaa j P. pass, siménto, simentato. simentarèllo, s.m., (ant.) seminatore. simentaròla, s.f., bisaccia portata a tracolla contenente la semente da spargere: [.simentaròla] adè strétta, e ppòe dacapo "in cima" c'ha la bbócca gròssa, prima è strétto strétto così, pòi dacapo più ggrande. e allóra quéllo se le portava su li spalle, piano piano le facéa vini avante "davanti", ovante e ssimi51
nava. mbè, io, l mi pò "mio padre" e"ha ssimentato tante vòlte. simentatriee, s.f., seminatrice, macchina per spargere ed interrare i semi: simentaa co la simentatriee. siminà, seminò, v. tr., (ree.) seminare: prima "un tempo" siminà cche ne sapéono che vvoléa dì'ì dicéono sementà\ | la "aveva" simìnato la maése co le vacche || Forme: Ind. impf. 3 siminava; 6 seminàono | P. pass, siminato. siminato, s.m., (ree.) terreno, campo posto a semina; seminato, siminatricétta, s.f., (dim., ree.) seminatrice, macchina per spargere ed interrare i semi: qualche ssiminatricétta a vvacche, trainata dalle vacche. smatrà, v. intr., avere il prolasso uterino (rif. alla vacca): ha smatrato. smorghinà, morghinà (raro), v. tr., lavorare il terreno con l'erpice Morgan. sòccio, s.m., mezzadro: le sòcce de le patròne. sòda, s.f., femmina sterile di animale. sòdo, s.m., sodaglia, terreno incolto. soèscio: —> sùèscio. sólco, s.m., 1. fenditura longitudinale nel terreno destinata a ricevere i semi; solco: n zólco, n zólco (raro), un solco | fà l zólco, solcare | quattro o cinque suólche (rust., raro) | ah, che ssólco stòrtoì (rif. ad un'aratura maldestra) || prov.: sólco 52
stòrto e ssacco dritto (per giustificare un'aratura malriuscita); CH: / zólco si "se" è stòrto n gne fa gnènte. I zacco, si sta ddritto vói dì cche è ppièno | patate fitte e l zólco largo || Forme: pi. sólche, suólche (rust., raro). 2. gara del solco dritto, disputata tra più squadre, che si svolgeva in occasione della festa patronale: l zólco de sand'Isidoro | a Ffastèllo se facéa / zólco | volémo métta l zólcoì, partecipiamo alla gara? | mettémo l zólcoì, partecipiamo! | annamo a mmétta l zólcoì, id. sórgo, s.m., sórgo (
spicchjà, v. tr. e intr., picconare: hanno spicchjato, hanno fatto la mangiatóia, hanno ricavato una mangiatoia (all'interno di una grotta artificiale utilizzata come stalla), spino, s.m., biancospino, spoccià, v. tr., svezzare un animale: spocciallo pe llevagghje l latte, pe nun fallo più ppià l latte, svezzarlo, per non farlo più allattare | èsso mó lo spóccioì, ora lo svezzo, stabbia, v. tr., concimare: / cuncime stabbia, ròbba chimica, sì. stàbbio, s.m., letame, concime organico. staccà, v. intr., interrompere la fenditura del terreno nei punti in cui questa non sarebbe stata visibile dal punto di partenza, nel corso della gara del solco dritto, stalla: d.: hai chjuso la stalla quanno le bòa sò scappade, quando sono usciti i buoi || dim. stallétta, stalla di modeste dimensioni: una stallétta bìccola, (raro) piccola | accr. stallóne, stalla di grandi dimensioni: lo stallóne de Tassònìe. stallada: —> stallata. stallata, stallada, s.f., quantità di animali contenuti in una stalla: na stallata de bbèstie. sténco, s.m., (rust., are.) stinco (umano e di animale), stendardo: —> stennardo. stennardo, stendardo (raro), s.m., 1. stendardo, gonfalone portato in processione in occasione della festa patronale: lo stennardo avante a ttutte, davanti a tutti, in apertura del
corteo || dim. stennardino (rust.). 2. stendardo dato in premio ai vincitori della gara del solco dritto: uno stendardo, meli "lì", ddel zanto. 3. (rust.) sistema di picchettamento del campo usato nel corso della gara del solco dritto; consisteva nel piantare due paletti congiunti da un pezzo di stoffa colorata, teso, al centro del quale veniva posto un cerchio bianco; il solco doveva quindi passare in corrispondenza di detto segnale, sterrà, v. tr., liberare dalla terra; sterrare. sterratóra, s.f., ralla, raschiatoio per pulire l'aratro: la sterratóra de fèrro. stradélla, s.f., viottolo, stretto passaggio sul campo, stréppo, s.m., arbusto di quercia; sterpo. strìscia, s.f., modesto appezzamento di terreno. siièscio, soèscio, s.m., sovescio: / zoèscio èra: radice, favétta e llupine. suo, s.m., terreno di sua, loro proprietà: quèlle campàano sul zuo ste villane, il terreno gli era sufficiente. tàvola, s.f., ala dell'aratro a tavola fissa o della cultrina (vd.): / céppo co la tàvola èra de fèrro (rif. alla cultrina, vd.) | qui tàvele d" accia]o, quelle tavole (id.). tazza, s.f., (ree.) abbeveratoio, all'interno della stalla moderna, tèrmine, s.m., segnale di confine 53
del campo: dacapo e ddapiède "in cima ed in fondo" se méttono le tèrmine anche a cciménto. ce métte m pèzzo de fèrro, ce métte um pèzzo di ciménto armado. tèrra, s.f., 1. terreno: dà la tèrra, regolare la profondità dell'aratura | jje se dà ttèrra, più ttèrra, méno tèrra | levò la tèrra, arare più in superficie | te pijjaa méno tèrra, lavorava più in superficie | la tèrra è mmòlla, zuppa, bagnata | tèrra cretósa, terreno argilloso | tèrra fòrte, terreno simile all'argilla, pesante e compatto, senza calcare né tufo: si "se" è ttèrra fòrte te s'appicceca ma la tàvola, si attacca all'ala dell'aratro | / grano duro ma la "nella" tèrra fòrte | tèrra tòsta, terreno duro | tèrra purcina, terra porcina: la tèrra purcina è ddura, tremènda, faticosa, difficile da lavorare | tèrra lènta, terreno penetrabile all'aria e alla pioggia, scarsamente produttivo: tèrra lènta vale pòco | tèrra sciòlta, id. | quella tèrra pròpio néra, tòsta, tòsta, che qquanno tu wai a llavorà, al trattóre lo fa ppattinà. da quanto è ddura. però cce fa anche la ròbba "è molto produttiva", èh\ perchè la ròbba fa ppiù ssu qquélla che ssu la tèrra lènta. 2. appezzamento di terreno: n antro pèzzo e tèrra, un altro appezzamento di terreno | na manciata de tèrra, un modesto appezzamento di terreno | la tèrra de le combattènte, porzione di terra distribuita dallo stato ai reduci della prima guerra mondiale. 54
tèsta: la tèsta santa, immagine sacra; busto di legno raffigurante Sant'Isidoro l'Agricoltore, all'interno del quale è conservata una presunta reliquia del santo | la tèsta de sanf Isidoro, id. tettóra, s.f., tettoia, timóne, s.m., timone dell'aratro: / timóne e "di" légno | / timóne de le bbòa || dim. timuncèllo. toccà, v. tr., spingere avanti a sé un animale, pungolare: toccà le bbèstie | toccà le bbòa || v. intr., spettare: jje toccava de bbòva, faceva il turno notturno, per sorvegliare il bestiame | te tócca de bbòvdì, è il tuo turno? || v. intr. impers., bisognare, occorrere: toccaa chjamà l vitrinajo || Forme: Ind. impf. 2 toccae; 3 toccaa. tòro: / tòro non è dda lavóro, non è adatto al lavoro nei campi | l tòro èra fòrte, sài e l tòro èra na bbestiàccia. èh, èra fòrte tantoì | va al tòro, alla monta (rif. alla vacca) | jje danno l tòro, la portano alla monta (id.) | chi ttenéva l tòro pe la mónta de le vacche, stava col branco, lo teneva nella mandria | ma la "nella" gròssa zziènda, poddarzi pure che lo potéono pure métte sótto "aggiogare" qualche ttòro sano, che lo domàvono. ma mólto pòco, non era una pratica diffusa || dim. torèllo, toro giovane, tracciata, s.f., scia sul terreno, tracciata come segnale per fornire una direzione: famo "facciamo" sta tracciaiai
tràccio, s.m., orma di animale: l traccio de la vaccina | / tràccio de la bbèstia. traggiogà, v. intr., togliere il giogo: [i bovini] traggiogàvono. traggiogàono s'intènde e "che" bbuttàvono l giógo. trattóre, s.m., trattore agricolo: l trattóre a ccìngole | allóra le trattóre c'èrano pòche, di qui tèmpe Ili, n tèmpo de guèrra, a quei tempi, durante la guerra | piano piano le còse sò ccambiate. sò ccumenciate a vvenì le trattóre, e allóra émo "abbiamo" sèmpre lavorato anghi "anche" co le vacche, co le vacche, o le bbòe, che sia. ma peròì... cu le trattóre se facìa la prima maése (i trattori venivano inizialmente impiegati soltanto per la prima aratura). tratturista, s.m., trattorista. travajjo, travajo, s.m., 1. travaglio, congegno di travi per immobilizzare le vacche durante la ferratura: / travajjo ògge ce sò dde fèrro, sò ffatte bbène, ai tèmpe èra fatto de légno, a quei tempi era di legno. 2. armatura per la monta delle vacche. travajo: —» travajjo. travèrza, s.f., (rust.) attrezzo arcaico di legno costituito da una traversa tondeggiante, applicata al giogo tramite una catena; veniva impiegato per dissodare le zolle, prima dell'introduzione dell'erpice; in seguito l'utilizzo è stato limitato ai pendii, più difficili da lavorare:
na travèrza trainata | ce se mettìa na travèrza pe ttravèrzo "di traverso", co na caténa. trégghja: -> trijja. tréjja: —> trijja. trénta, s.m., tipo di trattore agricolo della marca FIAT, treqquarte, s.m., trequarti, strumento chirurgico per penetrare nelle cavità; viene utilizzato per favorire la fuoriuscita di gas intestinali dalle bestie colpite da meteorismo acuto: ho ppréso sto treqquarte, ttà\, na bbòttajje l'hò nfilado, glielo ho infilato. tri'ale, s.m., canale sul campo nel quale confluisce l'acqua condotta dallo sciacquo (vd.) || accr. trìalóne. trialétto, s.m., canaletto di scolo della stalla: / trialétto del pìscio. trijja (rust.), trégghja, tréjja, s.f., treggia, sorta di slitta arcaica a trazione bovina, utilizzata per trasportare il grano, troscétta: —> truscétta. tròscia, s.f., grossa pozza in cui si abbevera il bestiame; può essere artificiale oppure naturale, formatasi in corrispondenza di una sorgente o composta da più cavità del terreno colme d'acqua: le bbèstie annàano a hbée ma ste tròsce, andavano a bere in queste pozze | tutte tròsce d'acqua meqquìl, qui. truscétta (raro), troscétta, s.f., orma lasciata dal bovino, colma d'acqua: la troscétta mal tràccio de la vaccina, nell'orma della vacca, tuo, s.m., terreno di tua proprie55
tà: nun ce campae sul tuo. toccava pòchi jje dicono le vaccine ma le annà a òpra, il terreno di tua pro- vacche, alcuni le chiamano vaccine prietà non era sufficiente, bisogna- | se dovrèbbe di bbuvine, ma però, ha isto "hai visto"?, nói capace che va andare a lavorare a giornata, jji si dicéa le vaccine, capitava che le chiamassimo vaccine (la voce ugna: —> ógna. ufio, s.m., olivo (Olea europaea "vaccina" viene avvertita come diaL.); le foglie venivano sommini- lettale). strate ai bovini come foraggio (vd. vaco, s.m., chicco: il vaco del grabbròzzo). no. umiccióne, s.m., ombelico (uma- vanga: la vanga quélla che f f a la maése. no e di animale). vangà, v. tr., vangare: se vanga. vacca: ddu acche, (raro) due vac- varacchina, s.f., varechina; veniche | vacche bbianche, di razza chia- va utilizzata per disinfettare le ferite nina | le vacche ggintìle, id. [ le vac- dei bovini: m pò de varacchina. che sarde (di ree. introduzione) | le vaso, s.m., (fig.) apparato mamvacche da lavóro \ le vacche da latte mario di un animale, | toccò le vacche, pungolare | le vac- vergaro, s.m., vergaio, capo del che de le tue, di tua proprietà 11 naso personale di azienda ovicola: / verde la vacca | / fianco de la vacca \ l garo quéllo che ccommannava, sótculo de la vacca | c lamo vacche, to al padróne. pèquere e mmajjale. altro un c'èra, vergigno, vergìnnio, s.m., Virgi(rust.) possedevamo vacche, pecore lio, varietà di frumento, e maiali. Non c'era nient'altro | de vergìnnio: —> vergigno. vacche io ce IP io parécchje, ne pos- vetrinajjo: —> vitrinajjo. sedevo tante | da picculo, cìomo le villano, s.m., contadino proprievacche, da grande, e'ionio lo stés- tario di un piccolo appezzamento so le vacche, dòpo sèmo, sémo iti di terreno e di una vigna: c'ée na in guèrra, sémo venute e anco sse manciata de tèrra èri villano, se lavorava co le vacche, quando ero possedevi una piccola quantità di piccolo, possedevamo delle vacche. terreno || prov.: al villano nu gne lo Una volta adulto, ne possedevamo fà ssapére, quanfè bbòno il càcio ancora. Poi siamo andati in guerra, co le pére. siamo tornati, e si lavorava ancora vinticinque, s.m., tipo di trattore con le vacche. agricolo, viscica, visciga, s.f., vescica (umavaccaro, s.m., bovaro: / vaccaro na e di animale), cu le bbòve. vaccina: la vaccina da latte j m visciga: —» viscica. 56
vitamajja, s.f., letamaio: [i bovini nella stalla] ìono "avevano" fatto tutta la mèrda de la nòtte! èh, a la mattina pìjjae sii um pò de pajja co sta mèrda, le mettìe su la carriòla e le portae ma sta vitamajja, nel letamaio. vitèllo: un vitèllo che pp'ìa l latte, che viene allattato | qualche vvitèllo da carne \ ai vitèlle, dóppo che sse facéono gròssi jji se dava l nóme, una volta adulti venivano denominati || dim. vitellètto, vitello fino ad un anno di età | accr. vitellóne, vitello tra il primo ed il secondo anno di età: vitellóne da carne | vitellóne da ingrasso. vitrinajjo, vitrinajo, vetrinajjo, vitrinàrio (civ.), s.m., veterinario: èra un vitrinajjo in gamba | però na vòlta ce s'èf ammalato n vitèllo, nn azzinnava più, nnò'ì allò "allora" la mi sòcera jféva llevato I malòcchjo. però se n chjamàomo l vitrinàrio, l vitèllo moriva!, se non avessimo chiamato il veterinario il vitello sarebbe morto, vitrinajo: —» vitrinajjo. vitrinàrio: —» vitrinajjo. voltorécchjo: —» volturécchjo. volturécchjo, voltorécchjo, s.m., aratro in ferro a due ali con vomere versoio, usato per arare pendii: voltorécchjo da bbòva, trainato dai buoi | voltorécchjo da trattóre, trainato dal trattore agricolo.
chio della zappa (dissodamento delle zolle) || par.: gnorante quante na zzappa, grossolano, maleducato, zzappà, v. tr., zappare, zzappatura: prov.: mèjjo na zzappatura che ddièce cuncimate. zzappóne, s.m., grossa zappa robusta per terreni sassosi e duri, zzéppa, s.f., 1. cuneo di legno, posto ad incastro con il profime, che consentiva di regolare la profondità dell'aratura (vd. anche profile). 2. cuneo di legno per fissare la cóncia (vd.) al giogo: la zzéppa pe rrèggia la cóncia, per reggere, zziènda: —> zziènna. zziènna, azziènna, zziènda, azziènda, zziènta (raro), s.f., azienda agricola: leggente "persone"prima, tutte a llavorà ppe sti zziènne, pe le campagne "in campagna", operajje, garzóne \ na gròssa zziènda, di grandi dimensioni | ha smésso la zziènna, ha cessato l'attività | allóra dó "dove" c'èrano ddièce bbifólce, dò c'èra quìndece, dó c'èrano cinque, secóndo la zziènta quant'èra gròssa e ppiù cc'èreno, più era grande l'azienda, più bifolchi vi lavoravano | la zziènna e "di" Calistre | la zziènna e "di" Cadétte | la zziènda de Bbajarde | la zziènda de Tassònie. zziènta: —> zziènna. zzinna, s.f., mammella di donna e di animale: la vacca maremmana nu jje s'ammalava, la zzinna, non /zappa: róppa co la zzappa. era soggetta alla mastite, coWòcchjo e la zzappa, con l'oc- zzinnà: —* azzinnà. 57
maria, vacca, zzoppina: —• zzuppina. marinèlla, vacca, zzuccà, v. intr., cozzare con le cormorétta (la): —» murétta. na (di animali): quélla zzucca, sta attènto ché zzuccaì || zzuccasse, v. murétta, morétta (la), vacca; dal rifl. recipr., cozzare con la corna (di colore del manto, natalina (la), vacca, due animali): se zzùccono. nerina (la), vacca; dal colore del zzuppina, zzoppina (raro), s.f., afta epizootica: la zzoppina e la pe- manto. dana sò uguale (sono sinonimi). padiglióne, patiglióne (raro), bue. palmarina, vacca, palommina, vacca; forse dal coloNOMI IMPOSTI AI BOVINI re del manto, patiglióne: —> padiglióne. altobbèllo, bue. riccétto, bue. arditèlla, vacca: tanto, Arditèlla rodéo, toro, tanto, usava, era un nome molto corosétta: —> rosétta (la). mune. rosétta (la), rosétta, vacca: io le bbaricèllo, bue. chjamavo, le chjamavo... Rosétta!, bbellacima, vacca, fòrza, vièneì, qual, qua\, e ddu fibbellatréccia, vacca, bbellavita, bbellavita (la), vacca, schje, e vvenianoì, due fischi ed arrivavano, bbellavita (la): —» bbellavita. spadina, vacca, bbelmante, bue. sposétta (la): —> spusétta (la). bbianca (la), vacca; dal colore del spusétta (la), sposétta (la), vacca, manto. stellina, vacca da latte; nome molbbrillante, bue, toro, to comune, imposto, di norma, per bbrunétta, vacca; dal colore del la macchia sulla fronte, ma a volte manto. usato anche in sua assenza, bbrunétta (la): —> bbrunétta. tortorèlla, vacca; dal colore del bbruno, bue; dal colore del manto: c'èra quelle Ili che èrono m pò manto. bbèlle scuri "molto scuri" jje dicìo- venezziana, vacca. no Bbruno. ha "hai" capito? perchè ANTROPONIMIA èra scuro, perchè èra n maremmano, quéllo. colonnèllo, bue. argisa, ipocor., Adalgisa (inforcornacchjòla, vacca; dal colore matrice), bbajarde, Baiardi, cogn. di prodel manto, prietario terriero (di Montefiascofioravante, bue. ne). ggilda (la), vacca.
bbattagline, Battaglini, cogn. di proprietario terriero (di Bagnoregio) || le Bbattagline, farri, bbruciafèrro, sopr. di fabbro; fabbricava le parti metalliche degli strumenti del bifolco; il sopr. è dovuto alle scarse capacità lavorative a lui attribuite: un fabbrétto um pò scadènte. bbùzzeca (la), bbùzzica (la), sopr. di "maga"; l'appellativo fa riferimento alla corporatura: èra grassétta. bbùzzica (la): —* bbùzzeca (la). caicchje (le), cavicchje (le) (raro), sopr. fam., forse da caicchja (vd. gloss.). caliste: —*• calistre. calistràccio, sopr. di Pietro Calisti, proprietario terriero (di Celleno). calistre, caliste, Calisti, cogn. di proprietario terriero (di Celleno): èra n omo cattivo, Calistre || le Calistre, fam. capòccia (1), sopr., dal mestiere esercitato: facéa l capòccia (vd. gloss.). carlétte, Carletti, cogn. di proprietario terriero || le Carlétte, fam. cavicchje (le): —• caicchje (le). ciro: / zòr Ciro, l zur Ciro (raro), il signor Ciro (Calisti), proprietario terriero (di Celleno). ciuchétto (1), sopr. di bifolco, crocciala, sopr. di capòccia (vd. gloss.): ma Ddisidòro "ad Isidoro" jji dicìono Crocciala. disidòro, isitòro (raro), n. pr., Isidoro: Disidòro de la Lina, dall'ipo-
cor. con cui era nota la madre | Disidòro el Capòccia, dal sopr. con cui era noto il padre (vd. / Capòccia). dorina: —» durina. durina, dorina, ipocor., Isidora. isitòro: —*• disidòro. Ièlla, ipocor., Adele (informatrice). maguggiatta (la), sopr. di "maga" e guaritrice: la Maguggiatta stava "viveva" a Ffontanèlle. manetta, ipocor., Maria (informatrice). nina, ipocor., Clementina (informatrice), peggiorò, sopr. di bifolco, pèppe fao, sopr. (informatore), pietràccio, sopr. di Pietro Calisti, proprietario terriero (di Celleno). pippo, ipocor., Filippo (informatore). polidòre: —*• pulidòre. pulidòre,polidòre, Polidori, cogn. di proprietario terriero || le Pulidòre, fam. ranucce, ranucci (raro), Ranucci, cogn. molto diffuso a Fastello e nei centri limitrofi: le Casale e ppure Salcióne, tutte Ranucci. ranucci: —* ranucce. sènze, Sensi, cogn. di proprietario terriero (di Roma, forse originario di Grotte Santo Stefano): Sènze Tonino, Antonio Sensi, sónno, sopr. di guaritore, lett. "sónno"; viveva nel Bagnorese: guaria Wammalatìe (rust.). stréga (la), vd. la Maguggiatta. tassògne: —> tassònie.
casale (le), casale (li) (raro), casatassòne: —> tassònie. tassònie, tassògne (raro), tassòne li (li) (raro), Ranucci (DD 42.5468°, (raro), Tassoni, cogn. di proprieta- -12.0945°), 425,6 m s.l.m., nel terrio temerò (di Montefiaseone) || le ritorio di Montefiaseone; modesto Tassònie, le Tassògne (raro), le Tas- nucleo abitativo, nelle vicinanze della SP Fastello; costituiva il punto sòne (raro), fam. di partenza della gara del solco dritzzilatto, sopr. di bifolco. to, prima che questa venisse spostata a Fastello: quél zólco partia da TOPONOMASTICA li Casali | amavamo a la méssa a li Casali | le Casale èrono tutte Rabbucatte (le): —» bbugatte (le). bbugatte (le), bbucatte (le) (raro), nucce | tutte parénte, tutte Ranucci, Bocatti o Bugatti (DD 42.5464°, èrano, e llòro festeggiàvono tutto -12,0922°), nel territorio di Viterbo; "tutti" sand'Isidoro e ffaciono sto modesto nucleo abitativo sito a ri- sólco da le Casale, l mi babbo me dosso della SP Fastello, al confine le dicia. e vvinivono a Ffastèllo, col con Montefiaseone, ad ovest della zólco, arrivavano fino a Fastello || borgata principale; oggi costitui- CTR Lazio, IGM Celleno. casale (li): —*• casale (le). sce parte integrante dell'abitato di casali (li): —> casale (le). Fastello: le Bbucatte sò qquanno vènghe "vieni" da Montifiascóne || chjèsa de fastèllo (la), chiesa parrocchiale di Fastello (DD 42.5468°, CTR Lazio, IGM Celleno. campanile (1), top. non cartogra- -12.0945°), intitolata a Santa Lucia fato, nel territorio di Viterbo; area Filippini, sita nell'omonima via. circostante la fontana el Campanile chjèsa de le casale (la), chjesétta de le casale (la), chiesa rurale scon(vd.). campo del gatto (1): —> campo el sacrata (DD 42.5507°, -12.0823°), intitolata a Sant'Isidoro l'Agricolgatto (el). tore, in loc. Ranucci (vd. le Casale): campo el gatto (1), campo del gatl zanto l'hanno pòrto a Ffastèllo. to (l), pòggio el campo el gatto (/), Campo del Gatto o Campo del Gal- sand'Isidòro l'hanno pòrto a Ffalo (DD 42.5254°, -12,1049°), 357,7 stèllo. e la chjèsa è stat'abbandom s.l.m., nel territorio di Viterbo; nata, dalla chiesa di Sant'Isidoro, costituiva uno dei punti d'arrivo l'immagine sacra è stata portata a della gara del solco dritto, con par- Fastello. tenza da Fastello: / campo del Gatchjèsa de sand'isidòro (la), lo to, è cchjamato, quél pòggio sópra stesso che la chjèsa de le Casale la ferrovia || CTR Lazio, IGM Cel- (vd.). leno. chjesétta de le casale (la): —> 60
chjèsa de le casale {la). cùppula e muntifiascóne (la), cupola della cattedrale di Santa Margherita, a Montefìascone; veniva talvolta utilizzata come punto di riferimento per tracciare il solco, nel corso della gara: jje dae la dirizzióne vèrzo la cùppula e "di" Muntifiascóne. fontana el campanile (la), Fonte Campanile (DD 42.5507°, -12.0823°), fonte sorgiva, nel territorio di Viterbo; secondo la tradizione popolare sarebbe scaturita da un colpo inferto su una roccia da Sant'Isidoro l'Agricoltore con la ralla: quésto sand' Isidoro ha bbattuto co la cerrata e è uscita quél?acqua del Campanile || CTR Lazio, 1GM Celleno. fontanèlle, piccolo nucleo abitativo situato presso l'omonima località (DD 42.5598°, -12.0951°), nel territorio di Viterbo; sito a ridosso della SP Fastello, oggi costituisce parte integrante della borgata principale || CTR Lazio, IGM Celleno. fòsso de le lamarèlle (1), fòsso de le ramarèlle (l) (raro), top. non cartografato, nel territorio di Viterbo; modesto corso d'acqua prossimo al bivio tra la SP Teverina e la SP Fastello, sito in loc. Le Amarelle (DD 42,5485°, -12,0883°), in CTR Lazio, IGM Celleno. fòsso de le ramarèlle (1): —» fòsso de le lamarèlle (/)• monteugo: —> montiugo. montiflascóne: —* muntifiascóne.
montiugo, monteugo (raro), Monte Iugo (DD 42,4866°, -12,0545°), 433,7 m s.l.m.; modesta altura sita tra la SR Cassia e la SP Mariana, nel territorio di Viterbo; costituiva uno dei punti d'arrivo della gara del solco dritto, con partenza da loc. Ranucci (vd. le Casale): arrivàvono ggiù a Mmonteugo, pure || CTR Lazio. muntifiascóne, montifiascóne, Montefìascone. muntìsere, (rust.) Montisola (DD 42.5507°, -12.0823°), 498,7 m s.l.m., collina prossima a Zepponami, nel territorio di Montefìascone; costituiva uno dei punti d'arrivo della gara del solco dritto, con partenza da loc. Ranucci (vd. le Casale) || CTR Lazio, IGM Montefìascone. piazza de la chjèsa (la), spiazzo situato di fronte alla chiesa parrocchiale (DD 42.5466°, -12.0945°), 430 m s.l.m., nel territorio di Viterbo; coincide con un tratto di via Santa Lucia Filippini; costituiva il punto di partenza della gara del solco dritto, dopo che questa, da loc. Ranucci, fu spostata a Fastello: la partènza è dda la piazza de la chjèsa, èra. pòggio de bbajarde (1), top. non cartografato, nel territorio di Montefìascone; lett. "il poggio di Baiardi" (dal cognome del proprietario; vd. antr. Bbajarde)-, la modesta altura, non identificata con precisione ma prossima a loc. Budrione (DD
42.5524°, -12.0736°), in IGM Montefiascone, costituiva imo dei punti d'arrivo della gara del solco dritto, con partenza da loc. Ranucci (vd. le Casale). pòggio de le vacche (1), Podere Poggio delle Vacche (DD 42.5811°, -12.0937°), 465,7 m s.l.m., nel territorio di Viterbo; costituiva uno dei punti d'arrivo della gara del solco dritto, con partenza da loc. Ranucci (vd. le Casale) || CTR Lazio, IGM Celleno. pòggio el campo el gatto (1): —> campo el gatto (l). precòjjo (1), top. non cartografato, nel territorio di Viterbo; podere immediatamente a nord di Procoietto (DD 42.5598°, -12.0951°), in IGM Celleno; il top. fa probabilmente riferimento a tecniche di allevamento arcaiche. ranucce (le), (civ.) lo stesso che le Casale (vd.): èra llassù, sant'Isidoro. de li Casale, èra. veraménte sò cchjamate le Ranucce, quélle. salcióne, Salcione (DD 42.5466°, -12.0945°), nel territorio di Celleno; la località include il piccolo nucleo abitativo di Casa Salcione (DD 42.5579°, -12.0992°) || CTR Lazio, IGM Celleno. sambuco (I), top. non cartografato e non identificato; costituiva uno dei punti d'arrivo della gara del solco dritto, con partenza da loc. Ranucci (vd. le Casale). strappacéce, Casa Strappaceci (DD 49.5476°, -12,1001°), picco62
lo nucleo abitativo nel territorio di Celleno || CTR Lazio, IGM Celleno. trealóne (1): —» trl'alóne (/). trìalóne (1), trealóne (l) (raro), top. non cartografato, nel territorio di Viterbo; modesto nucleo abitativo sito a ridosso della strada provinciale, immediatamente ad ovest di Fontanèlle (vd.); oggi costituisce parte integrante dell'abitato di Fastello; il top. fa riferimento ad un trìale (vd. gloss.), tuttora esistente, che scorre in prossimità della borgata. zzepponame (le), Zepponami (fraz. di Montefiascone).
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COMITATO FESTEGGIAMENTI SANT'ISIDORO (FASTELLO)
A s s . CULT. "ECOMUSEO DELLA TUSCIA"
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