Il secondo amore: tematiche leo-morselliane. di Ilaria Batassa Esistono topoi che agiscono tanto silenziosamente quanto potentemente: possono essere usati da tutti, ma usati bene da pochi. E poi ci sono gli Autori, quelli del “canone”: citati, riciclati, ricalcati, copiati, ma solo da pochi rivisitati coerentemente e correttamente. Si fa riferimento a una ripresa ideologica, prospettica, e, se si vuole, metodologica. «Lo scrittore come colui che viaggia, magari da fermo, e sa ascoltare racconti di luoghi lontani, situazione di interscambio sempre difficile da ricostruire nei reciproci contributi» 1: questa immagine è esemplificativa del rapporto Morselli – Leopardi. Un viaggio tanto statico quanto intenso: un viaggio infinito della mente, della cultura che penetra il tempo e si trasmette per osmosi. Le opere morselliane sono intrise di Leopardi: è come se l’autore di Varese fosse tornato dal suo viaggio e avesse posto i souvenir in un posto dove può contemplarli continuamente durante l’atto creativo. Se si volessero cercare ne Il secondo amore (sceneggiatura inedita di Morselli) le riprese lessicali e stilistiche leopardiane, dovrebbero essere prese in considerazione anche le virgole: perché il poeta di Recanati rivive nella sceneggiatura morselliana più di quanto si creda. È un fantasma che si aggira tra le righe in maniera tanto sfuggente quanto incidente. Sembrerebbe che lo scrittore avesse sul suo scrittoio l’opera omnia di Leopardi mentre scriveva la sceneggiatura, che ogni tanto vi buttasse l’occhio e si nutrisse di quelle immagini vaghe, indefinite e rarefatte, ma per lui concrete, vive e parlanti. Leopardi racconta a Morselli una storia: la storia delle illusioni, delle aspettative, dell’amore, della trepidazione tipiche dell’età giovanile; ma lo mette anche in guardia: la felicità non è possibile, è un lusso che all’uomo non è permesso concedersi, nonostante una rinascita parvente, sfuggente, pulviscolare, ma soprattutto effimera. L’essere umano è costretto a mangiare sciapo: può vedere il sale posto su uno scaffale, ma non ha i mezzi per raggiungerlo, non può arrivare a prenderlo. Nell’attimo prima di sedersi a tavola l’uomo crede che, finalmente, potrà assaporare cibi saporiti: e somatizza questa sua illusione-speranza attraverso immagini immaginate; non vede l’ora di avere tra le mani quelle pietanze condite dal sale, che tanto brama, e che troppo a lungo gli sono state negate. Nel momento in cui si siede, però, si accorge che il sale non è posto sulla tavola, ma un braccio metallico lo ha collocato in uno scaffale altissimo, lontano persino dalla vista. È il limite dei sensi che impone all’essere umano di comprendere: egli non può afferrare quel sapore che potrebbe dare alla sua vita tutto un altro gusto, perché non gli è permesso, e qualora lo fosse sarebbe lecito soltanto “avere l’acquolina in bocca”, desiderare, aspettare, mai poter assaporare il cibo con il sale. Morselli ascolta questa storia e la interiorizza, la fa sua: ma la ripresa stilistica cede il passo a una ripresa prospettica, la quale è tangibile ne Il secondo amore. Sembrerebbe che nel leggere questa sceneggiatura il lettore indossi un paio di occhiali, usati prima da Leopardi poi da Morselli. Tra i due passa un secolo circa: un lasso di tempo di profonde modificazioni, di stravolgimenti epocali e mondiali, di equilibri rotti e ricostruiti sovvertendo ogni logica, di invenzioni nuove, di costumi mutati. Tutto questo impone di guardare al reale per come è, senza sovrastrutture ideologiche, senza illusioni: bisogna partire da un’ipotesi concreta, e non da quello che si vorrebbe che accadesse. Non c’è più tempo per l’happy end o per insegnamenti moraleggianti: è il tempo di Cfr. FABIO PIERANGELI – MARIA FRANCESCA PAPI – LAURA PACELLI, Il viaggio nei classici italiani. Storia ed evoluzione di un tema letterario, Firenze, Le Monnier Università, 2011, p. 3. 1
guardare al presente con l’occhio disincantato di chi sa come vanno realmente le cose, di chi ha svelato l’inganno, di chi si è rassegnato a credere che la felicità è un lusso che l’uomo non può permettersi. Si diceva che Leopardi e Morselli “distano” un secolo circa: ma se il contesto è cambiato, la prospettiva per guardare a questo contesto è la medesima. Topoi prospettici e metodologici, quindi. Da quanto esposto si comprenderà perché un’analisi minuziosa dei luoghi morselliani influenzati da Leopardi rischia di essere, sebbene condotta con tutti gli accorgimenti del caso, parziale e insufficiente: anche le parole, i sintagmi e le espressioni che in apparenza poco hanno a che fare con il Poeta recanatese, in realtà, nascondono un arcano leopardiano tanto potente quanto celato. Si è deciso, quindi, di guardare ai due perni de Il secondo amore: la prospettiva e il metodo, decostruendoli per capire quanto le loro chiavi di volta dipendano da Leopardi2. In questa sede, non si procederà a un’analisi minuziosa dei topoi morselliani/leopardiani, ma si offrirà una panoramica generale delle tematiche che a parere della scrivente presentano una suggestione leopardiana incidente e importante3. Un segnale leopardiano forte è già presente nel titolo della sceneggiatura di Morselli: Il secondo amore. Sembrerebbe un continuum temporale de Il primo amore; ma c’è dell’altro, visibile solo se si legge il canto leopardiano con accanto la sceneggiatura morselliana: non è un «confondere» ma un «trasfondere» le parole leopardiane entro le battute sceniche 4. Morselli costruisce tutta la sceneggiatura attraverso un sottile dialogo tra il passato e il presente: i tempi verbali usati sono significativi di questo scivolamento di piani temporali. Il tempo presente è usato dal narratore per raccontare la vicenda del Cedric cinquantenne e nelle battute di Sandra, la cui persona «è schietta, forte, fiorente; il viso denota una tenacia e intelligenza, e una consapevolezza e serietà che nell’accennata categoria di fanciulle non sono forse le qualità più comuni»5; il tempo passato è, invece, impiegato per le rievocazioni dei ricordi del Cedric ventenne e nelle maggior parte delle battute del protagonista, il cui «spirito alacre, non però pratico» 6 è così descritto, in apertura d’opera: «nella freschezza del sorriso e del gesto, una giovanilità ancora tutta spontanea, con cui non è in contrasto la profondità dello sguardo, che rivela l’esercizio abituale del pensiero meditativo e sagace»7. Questo dato è emblematico: alla concretezza e all’ipotesi reale sul reale di Sandra (testimoniate dall’uso del tempo presente), paradossalmente giovane, quindi nutrita delle speranze e delle aspettative tipiche della «verde etate»8, si oppone il «disperato tentativo»9 di Cedric, ovvero lo sforzo di rivivere come trent’anni prima l’esperienza amorosa (“trasfondendo” in Sandra il ricordo e l’ombra di Bianca) per non sentirsi «indegno della fanciulla di oggi» 10. Si leggano le parole di Cedric seguenti il rifiuto di Sandra di indossare la maschera del passato:
Una comparazione con l’opera omnia leopardiana sarebbe impossibile e dispersiva, finendo per risultare superficiale e inutile. Ovviamente si farà riferimento allo Zibaldone, testo in un certo qual modo esegetico per alcuni topoi dei Canti. Per le opere di Leopardi si fa riferimento a : GIACOMO LEOPARDI, Tutte le poesie, tutte le prose e lo Zibaldone, a cura di Lucio Felici e Emanuele Trevi, Roma, Newton Compton, 2010. 3 Un’analisi più approfondita sarà oggetto di una parte del progetto di dottorato della scrivente. 4 Per l’uso dei due verbi, si cfr. Il secondo amore, sequenza XI (da questo momento si citerà solo il numero della sequenza, preceduto da «s.». 5 S. I. 6 Ibidem. 7 Ibidem: altrove si tornerà su questa descrizione per un sottile parallelo con Il passero solitario. 8 La sera del dì di festa, v. 24. 9 S. XI. 10 Ibidem. 2
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Peccato: Lei mi nega un attimo di illusione, ossia nega alla mia ragione l’unico possibile alibi … Io mi rifugio nel passato, mentre lui ama il presente, Lei è il presente … […]. Oh non è un confondere, capisca! È un trasfondere […]. […] Del resto è vero; è uno sperimento ridicolo. Persino un poco lugubre. […] Il tempo non si abolisce. 11
Il «vecchio ragazzo»12 che ha «l’obbligo di essere saggio»13 e di non illudersi lascia per un momento la maschera arida di colui che aveva scritto che «soltanto se ci richiameremo alle facoltà razionali ritroveremo l’equilibrio. La lucida ragione deve vincere […]; deve vincere anche se per ciò occorra calpestare gli interessi della passione, e sia pure ciò che chiamiamo i sacri diritti dell’anima …»14 e si abbandona alla «delectatio contemplativa» 15 di un passato chiuso nella sua apertura. «Vive quel foco ancor, vive l’affetto,/spira nel pensier mio la bella imago,/da cui, se non celeste, altro diletto/giammai non ebbi, e sol di lei m’appago» 16: sono i versi finali de Il primo amore, scritto, stando alle parole di Leopardi fra la notte del 12 e la mattina del 14 dicembre 1817. Come in Morselli, torna l’idea del ricordo, di una immagine vivamente celata nel cuore. Ma il primo amore di Leopardi è più diffusamente descritto nella sua fenomenologia nel Diario del primo amore, scritto sempre nel 1817, il quale narra l’amore del poeta di Recanati per la cugina di Monaldo, Geltrude Cassi Lazzari. È attraverso la lettura di questo diario che si può osservare l’ambigua costruzione di un triangolo amoroso-temporale tra il giovane Leopardi, Cedric1 e Cedric2: la fenomenologia amorosa leopardiana del primo amore è riutilizzata da Morselli, con una carica pericolosamente ambigua e allusiva, sia nella descrizione del primo amore di Cedric sia in quella del secondo. Leopardi conosce il primo amore durante una solitudine forzata: quando Cedric incontra Bianca c’era poca gente in giro; quando lo stesso incontra Sandra entrambi sono soli (lei alla fermata del tram, lui cammina per strada). L’amore si manifesta nella solitudine dell’essere umano: nel momento, cioè, in cui ogni forza intellettuale e fisica è autoreferenziale. Geltrude Cassi Lazzari è così descritta: alta e membruta quanto nessuna donna ch’io m’abbia veduta mai, di volto però tutt’altro che grossolano, lineamenti tra il forte e il delicato, bel colore, occhi nerissimi, capelli castagni, maniere benigne, e, secondo me, graziose, lontanissime dalle affettate, molto meno lontane dalla primitive […].17
La Sandra morselliana appare così: Da destra, Sandra Zanolin, attraversando il cortile. Nella mano, con la borsetta, tiene un plico oblungo. Sandra è, nell’accezione meno letteraria e più amabile del termine, una ragazza di famiglia; sui ventitré anni. Se i lineamenti sono in qualche misura eccepibili, la persona è schietta, forte, fiorente […].18
Ibidem. S. VIII. 13 Ibidem. 14 S. X. 15 S. VI. 16 Il primo amore, vv. 100-103. 17 Diario del primo amore, La Domenica 14 di Decembre 1817 (p. 1096). 18 S. I. 11 12
La Bianca morselliana appare così: […]. È stanco della lunga marcia; ma ciò non gli impedisce di scorgere fra i rari spettatori una ragazza della sua età, e che all’aspetto può sembrare una studentessina delle scuole normali, la quale lo guarda con una certa insistenza.19
Comparando le tre descrizioni ci si accorge facilmente come il Leopardi del Diario del primo amore lasci le sue tracce nella descrizione di Sandra, il secondo amore di Cedric: i particolari sono pochi, più legati alla sfera del costume che all’aspetto fisico. Una descrizione semplice, nell’accezione più complessa del termine, ma allo stesso tempo densa e celebrale. Bianca, il primo amore, assume, anche nella sua fisicità, la sfuggevolezza del ricordo: una labilità che sembra perdersi in confronto alla decisione del suo sguardo. La ragazza è un volto tra i volti: ma è lo sguardo a fare la differenza: «Negli occhi porta la mia donna Amore» recita un sonetto dantesco20. Il tema dello sguardo, topos imperante nella nostra scuola poetica, sembra perdere la propria potenza di fronte ai contorni incerti che avvolgono Bianca: come la Silvia leopardiana, ombra del suo stesso ricordo, la donna di allora non è descrivibile nella sua fisicità, ma solo attraverso il particolare degli occhi. Insistenti quelli di Bianca, fulgenti di gioventù quelli di Silvia; un altro particolare le accomuna: le «negre chiome»21 di Silvia si affiancano alla «bruna»22 Bianca che Cedric crede di abbracciare sul vecchio ponte di legno sul Brenta. Sia Bianca sia Silvia sono legate al «tempo della vita mortale»23, al limitare della gioventù: un tempo lontano, un non tempo, un vissuto che sembra non vissuto, una fiore in procinto di sbocciare rimasto bocciolo. Un’intera stagione di vita: «una stagione quasi favolosa ai miei occhi» 24. Come le «quiete stanze»25 leopardiane in cui risuonava il «perpetuo canto»26 di Silvia, così Vicenza è per Cedric l’immagine della gioventù. Il fermo immagine di Silvia nella mente di Leopardi è quel fantasma descritto nel canto: «all’apparir del vero/tu, misera, cadesti»27. All’apparir del vero morselliano, ovvero il tradimento di Bianca, scoperto con i propri occhi da Cedric, il britanno […] cessò di essere tanto ingenuo, si rese conto che il male sofferto era stato infinitamente inferiore al beneficio. […] Grazie a quella fanciulla egli aveva conosciuto la più rara e improbabile delle felicità. La conobbe allora, non l’ha mai più posseduta dopo. Dobbiamo ammettere che fu un incontro fortunato. Tanto più che, lasciandomi, impedendomi di sposarla, ella aveva perfezionato il suo dono, mi aveva permesso di serbare intatto il ricordo. […] E io questo ricordo me lo amministro saggiamente, vi attingo con circospezione…28
La realtà si pone agli occhi dei due Autori in maniera diversa, ma altrettanto prepotentemente: la morte impedisce a Silvia di vedere «il fior degli anni» 29, ma permette a Giacomo di conservare intatto il ricordo di quella Silvia, la fanciulla nutrita di sogni, speranze, di «pensieri soavi» 30, del Cfr. S. VII. Cfr. DANTE ALIGHIERI, Vita Nova, a cura di Luca Carlo Rossi, Milano, Mondadori, 1999, cap. XII. 21 A Silvia, v. 45. 22 S. XI. 23 A Silvia, v. 2. 24 S. III. 25 A Silvia, vv. 7-8. 26 Ivi, v. 9. 27 Ivi, vv. 60-61. 28 Cfr. S. VIII. 29 A Silvia, v. 43. 30 Ivi, v. 28. 19 20
«vago avvenir»31, di fermare il tempo delle sue immagini a quel «maggio odoroso»32 e alle «quiete stanze»33; il tradimento impedisce a Bianca di andare a vivere, come sposa, nella «casetta di contadini in fondo al loro sentiero»34, ma permette a Cedric di costruirsi una sorta di simulacro fatto delle illusioni di allora, del tempo e dei luoghi di allora. Tuttavia il discrimine tra le due è immenso: come si diceva in apertura, simile è il metodo. La giovane Bianca morselliana non è l’eterea e angelica Silvia leopardiana: il metodo per mettere in scena la nitidezza del ricordo è lo stesso, ovvero l’uso dello sguardo, ma il “contenuto” degli occhi si modella sulla persona; se gli occhi di Silvia, «ridenti e fuggitivi» 35 risplendevano di una bellezza in procinto di sbocciare, di una lieve pensosità, consegnandoci un’immagine che solo a fatica è associabile a una creatura umana, gli occhi di Bianca erano arditi, intraprendenti, preannuncio di quel vero, di quell’inganno che si sarebbero mostrati di lì a poco. Sia Leopardi sia Cedric, nel momento della rinascita (non a caso A Silvia segue immediatamente l’idillio Il Risorgimento), nell’ora in cui la vita offre loro una possibilità prospettica nuova, devono fare i conti con le immagini e con i fantasmi del passato, che tornano a imperare nella loro mente, compagni di un vissuto extra-reale per il reale, ma reale per il loro io. Quanto appena descritto mescola le carte in tavola: i piani si scompaginano anche nell’uso delle fonti leopardiane da parte di Morselli. Per uno strano paradosso la fenomenologia amorosa del “secondo amore” di Leopardi è trasfusa nel primo amore di Cedric, mentre la concretezza e la realtà di Sandra hanno tratti comuni con il primo amore del poeta di Recanati. Riprendiamo il discorso sul Diario del primo amore leopardiano, cercando di capire quali altri tematiche possano aver influenzato Morselli nella costruzione della sceneggiatura. Un dettaglio a parere della scrivente non secondario è che l’età del Leopardi del Diario e quella di Cedric che si innamora di Bianca è la medesima: «non ancora ventenne»36 è Cedric Noles, di «diciannove anni e mezzo» Leopardi. Il limitare del primo amore è segnato. Nel Diario è descritta la somatizzazione della fenomenologia amorosa: l’eco di questa opera si diffonde a macchia d’olio nella sceneggiatura morselliana. Nel parlare del primo amore, lo scrittore di Varese non si sofferma a lungo sugli effetti fisici del sentimento: i pochi accenni («l’amore non tarda a nascere e farsi ardente e geloso»; «in ogni parola o gesto di lui risplende la focosa purezza dei sentimenti giovanili; egli è all’apice della felicità […]»; «passano due interi mesi, durante i quali il serpentino vive in un empireo di beatitudine senza nubi. Non ha più nulla a desiderare; l’amica gli ha elargito le prove più generose e indubitabili del proprio amore» 37) cedono il passo ai fatti, i quali, nel loro collocarsi in un passato rievocato come lontano (più volte Cedric sottolinea l’importanza dei numeri, soprattutto di quelli che servono a marcare le distanze temporali), assumono una fisionomia “accelerata”. L’innamoramento e la relazione con Bianca sono liquidati da Morselli con una sequenza: non è il passato a essere importante, ma il riflesso del passato sul presente, il ricordo. Allo stesso modo, Leopardi guarda al passato con la lente del presente: egli non descrive “ciò che è stato”, ma “come ci appare ciò che è stato”, la metabolizzazione dell’accaduto.
Ivi, v. 12. Ivi, v. 13. 33 Ivi, vv. 7-8. 34 S. VII. 35 A Silvia, v. 4. 36 Nella III sequenza Cedric si definisce «soldatino diciannovenne in un reggimento di cannonieri del Re.» 37 S. VII. 31 32
È proprio sulla tempo del ricordo che si innestano altre due “stagioni” tipicamente leopardiane: la vecchiaia e la gioventù. Ma anche questo apparente contrasto si risolve in un’ambiguità e in uno scivolamento destabilizzante. Cedric è considerato un «vecchio cinico»38: infatti, dopo aver conosciuto l’acerbo vero ha perso le illusioni, guardando la realtà con l’occhio disincantato di chi ha scoperto l’inganno che la natura prepara all’uomo sin dalla nascita. Se la Bianca descritta nella XIX sequenza è lontana dal ricordo di Cedric, tuttavia, incarnando il contrappasso dantesco, dilata agli estremi il cinismo, l’ironia e il sarcasmo tipici della senilità. Come per Morselli, così per Leopardi, il “vecchio” è colui che è saggio, che riesce a guardare la realtà per quello che è: non c’è spazio per i sogni, ma solo per il presente, per comprendere la crudeltà che si cela anche dietro quello che in apparenza è positivo. Ma lo scrittore di Varese non si accontenta di accettare questa condizione: confonde ancora di più le carte in tavola, mescolando, nelle stesse persone, vecchiaia e gioventù. Il «vecchio cinico», colui che, per età, deve mostrarsi saggio, sarà lo stesso che, alla fine, ammetterà che ha ceduto all’amore, all’illusione dell’happy end, al sogno, che non ha mai provato, nemmeno da giovane, a essere così felice (poche righe prima, nella XXIV sequenza, aveva definito la sua felicità «impaziente»). La chiave di volta per svelare l’inganno celebrale di Morselli è proprio la seguente frase: «Non avevo mai provato, neanche da ragazzo, a essere così felice…»39. Il vecchio saggio e cinico lascia gli ormeggi e comincia un viaggio ignoto tra le illusioni della gioventù: è il paradosso. Una volta riconosciuto questo ossimoro, il gioco sembrerebbe chiaro: in realtà non è così. Morselli ci pone di fronte un’altra complicazione. Sandra Zanolin incarna il cliché della giovinezza che si apre all’illusione, all’amore, proprio sul fiorire degli anni: conosce il tormento, l’inquietudine, la somatizzazione della fenomenologia interiore dell’amore, il turbamento, l’ansia, la paura, ma anche la speranza, il sollievo, l’attesa 40. L’amore giovanile di Sandra per Cedric assomiglia a quello di Cedric per Bianca: se non fosse che l’ingenuità del giovane britanno non appartiene alla Zanolin. Cedric è giovane a trecentosessanta gradi: si lascia illudere non solo dall’amore, ma anche dalla donna che prima lo tradisce più e più volte, poi si fa perdonare confondendo la realtà, infine lo lascia. Un giovane nell’accezione leopardiana: Silvia, nel fiore della verde età, fa progetti sul futuro, senza sapere che non solo la vita la tradirà, mostrandosi nella sua crudeltà, ma la lascerà in balia della morte. Senza appello: le quiete stanze di Silvia risuoneranno del suo silenzio funereo così come le lettere di Cedric per Bianca rimarranno testimoni di un eloquente silenzio. Sandra è giovane come il Cedric di allora, ma c’è qualcosa nella sua gioventù che prefigura il finale della sceneggiatura: è come se ogni speranza, ogni tormento, ogni sogno, ogni paura, portasse la traccia di una disillusione incombente. In Sandra c’è Giacomo Leopardi: su questo non c’è dubbio. Non è Cedric ad avere in sé lo spirito del Poeta di Recanati, come potrebbe apparire a una prima lettura: scavando in profondità è Sandra il vero fulcro della questione, il personaggio destinato a invecchiare all’interno dei suoi ventitré anni. Se si compara la Zanolin ai giovani che appaiono sulla scena (inedita) di Morselli41 si capirà il discorso: il fiducioso Mario Masetti, promettente avvocato, cugino e spasimante di Sandra, pieno di progetti e di speranze; Alberto Zanolin, fratello della S. IX. Cfr. S. XXIV. 40 Attesa è usata come vox media: ma cfr. infra. 41 Prendo in prestito il titolo di un recente lavoro di FABIO PIERANGELI, Sulla scena (inedita) con Guido Morselli, Roma, Universitalia, 2012. 38 39
ragazza, privo di contorni psicologici, ma carico di tutta l’aspettativa che la gioventù ha insita nella sua stessa natura; Lina Masetti e il marito, paghi della loro abitudinaria vita matrimoniale, infiltrata dalla routine. Tutte vittime di un’illusione: persino il britanno di diciannove anni non ha in sé i segni dell’amara scoperta senile. È costretto a scontrarsi con il presente: «Cedric ne è straziato, ne soffre sino ad ammalarsi; e non sa obliare nemmeno dopo il suo ritorno in Inghilterra […].» 42 Sandra è diversa: tutta la “sua” storia è minata di segni che prefigurano l’amara scoperta. Per due volte la ragazza si trova faccia a faccia con la presunta morte dell’uomo: Scorgendolo, ella si ferma, sospesa. Poi si avvicina a passo a passo, quasi vincendo un improvviso orrore. Adesso è in piedi dietro all’uomo seduto, non osa chiamarlo, sfiorarlo. Finalmente, quegli avrà un movimento, si passerà la mano sulla fronte col gesto stanco di chi esce da un pesante torpore. Sandra (con la voce che trema) – Dio mio, che cosa avevate, signor Noles… Cedric (alzandosi in piedi, un po’ a fatica) Che c’è? Sandra – Ho avuto paura … Cedric – Paura?! E perché? Mi ero addormentato. (Ironico) Pena, vorrà dire. Ma, che vuole, alla mia età capita… Sandra – Si sente bene, non ha avuto… Cedric (ridendo) Nulla! E non sono mai stato così bene! (Con un altro tono) Perché, scusi, tanto interesse alla mia salute? Mi spieghi.43 Presa da un luttuoso presentimento, così come si trova, stringendo in mano il libro che stava leggendo, Sandra si precipita fuori di casa, verso la fermata del tram. Ma non è in grado di stare ad attendere: farà a piedi tutta la strada, di corsa. Il tempo è minaccioso: raffiche di vento la investono, le scompigliano gli abiti e i capelli; ella corre a perdifiato lungo il viale deserto, in un turbinare di polvere e di foglie morte. Interno. Casa Zanolin. La stanzetta che ella ha lasciato, tranquilla e in ordine, nella sua linda chiarità. Tutto in casa parla di un’esistenza regolata e serena. L’obiettivo alterna questo pacato aspetto della camera con la contrastante visione di Sandra che corre sotto gli alberi del viale piegati dal vento. Ma una folata più violenta spalanca la finestra, gonfia i tendaggi, chiude di schianto l’uscio della camera; un’altra raffica solleva e trascina le coperte del letto, rendendo immagine di un’intimità sconvolta da una forza avversa e irresistibile. Esterno. Sandra continua verso il centro della città, incurante della pioggia che ha preso a cadere. Eccola quasi alla mèta. L’albergo dove alloggia Cedric, è laggiù, in fondo alla via. Un’automobile di piazza attende di fronte all’ingresso, sulla soglia si vede un gruppetto di persone. Sandra si arresta trepidando. La figura inanimata, le braccia abbandonate sulle spalle dei portatori. Sandra grida un nome, “Cedric”, e smarrita, sopraffatta da un cieco terrore, si precipita avanti. Ma intanto l’uomo è stato caricato sull’automobile, che si allontana dalla parte opposta a quella da cui ella sopraggiunge, e, quando arriva all’albergo, non vi è più nessuno. Sandra non ha la forza di salire quei pochi gradini: rimane lì, sola, tremante, gli occhi dilatati dall’ansia. Finalmente entra, “Il signor Noles?” domanda, articolando a fatica le sillabe. Cedric sta scendendo senza fretta le scale e le viene incontro. “Cos’è successo?...” interroga lui vedendola in quello stato, stravolta ancòra, e grondante. Ella si spiega, a mezze parole. E l’uomo che hanno portato via? Ah, quello è Bepi, fratello del padrone dell’albergo. Povero diavolo, era malconcio: un attacco di appendicite. Sandra stenta tuttavia a credere, a riprendersi. “Avevo temuto che fosse Lei!” Cedric trasecola, scoppia a ridere: che le salta in mente? Sì, l’uricemia e qualche altra piccola noia, le avevo detto: ma non è spacciato, non in condizioni di farsi condurre all’ospedale! Ma la telefonata? Un equivoco; Sandra gli aveva dato il numero di telefono della vicina, e siccome non la vedevo da qualche giorno, aveva incaricato il portiere di farla chiamare all’apparecchio. […]44.
Cfr. S. VII. Cfr. S. IV. 44 Cfr. S. X. 42 43
Le due scene sembrano un preludio a quello che accadrà alla fine della sceneggiatura: ma se si isola il solo personaggio di Sandra, si capirà come solo la giovane abbia avuto un’evoluzione “formativa”. Se nelle due presente morti la giovane si mostra stravolta, tanto da essere paragonata a una tempesta, è l’atteggiamento di fronte alla terza morte che lascia il lettore perplesso: Sandra si accosta a una vetrina e si aggiusta il soprabito e il berrettino basco che ha in capo. Per un attimo alla superficie specchiante del cristallo, ella scorge l’immagine sorridente di Cedric riflessa accanto alla sua, come quel giorno a Vicenza. Spunta la grossa vettura chiusa della Compagnia. Si arresta, i viaggiatori ne scendono uno dopo l’altro; l’ultimo, Andrews, con la sua valigetta. Egli si ferma ad un passo da Sandra, la quale cerca con gli occhi il suo Cedric. Il conducente è occupato a scaricare i bagagli; Sandra gli si rivolge. “Mr. Noles?” Andrews la sente, comprende che è la sposa di Cedric, le si presenta. Sono un amico di Noles, viaggiavo con lui. Purtroppo è stato colto da un malore durante il viaggio…” – Un’altra vettura è giunta intanto e si è accodata alla prima; è un’autoambulanza. Sandra intuisce la verità. “È lì Cedric?”. Andrews vorrebbe trattenerla, ma ella gli sfugge, apre lo sportello, si getta all’interno. Dagli uffici è uscito un impiegato; uno degli uomini dell’ambulanza toglie dalla parte anteriore della vettura due valigie, le valigie di Cedric, e gliele consegna. Andrews si avvicina all’impiegato e lo interroga. “Alla morgue”, risponde quello. Infine, il maggiore ottiene che Sandra discenda dalla vettura; le circonda le spalle, sorreggendola. L’ambulanza lentamente si pone in moto, e risale la via; i due la seguono con lo sguardo, finché non c’è più che una macchia indistinta. “Stia con me, signorina, - le suggerisce Andrews. – Io debbo andare al consolato. Venga con me; poi l’accompagnerò a casa.” Sandra lo ringrazia; ma andrà da sola. E Andrews si rende conto che sarebbe vano insistere. “Ho il suo indirizzo, verrò a trovarla più tardi, domani,” le dice. La ragazza fa cenno di sì e lo lascia. Si avvia, nella direzione in cui è partita l’autoambulanza, senza volgersi; e il suo passo fa pensare a un impulso automatico, cui sia estranea l’anima. Confusa nel flusso della strada, qualche istante dopo non sarà più visibile.45
Sandra ha compreso la verità: ha fatto parlare i segni che le si presentavano. Cedric, in fondo, nonostante i suoi filosofeggiamenti sulla vecchiaia, il suo vantarsi sulla saggezza acquisita con l’età, faceva parte della schiera di coloro che credeva alle «magnifiche sorti progressive»46. Vecchio nell’apparenza e nelle parole, ma giovane, illuso, sognatore nella recondita anima. Sandra si illude, sogna, spera: ma comprende la realtà. […] Lo segue di sopra, silenziosa, ubbidiente, e quando Cedric, dopo essersela stretta impetuosamente fra le braccia, dopo averle coperto la bocca e gli occhi di baci, la scosta un istante da sé, lei lo fissa estatica, incredula, e ancora non può pronunciare parola. “Sei qui, amor mio, sei qui”, le ripete Cedric nell’effusione di una felicità inconsulta. “Soffrivo tremendamente, senza di te. Queste giornate sono state odiose…” Ma come permettersi di rivederla? Aveva riflettuto a lungo, aveva deciso; bisognava resistere, dominarsi. “Lo so”, risponde Sandra: “Lo sapevo”. Aveva previsto che non sarebbe tornato; per ciò era venuta lei. “Tu non vuoi che io mi leghi a un uomo che ha venticinque anni più di me…” (“Ventisei”, corregge Cedric malinconicamente). “…Perché la tua intelligenza si rifiuta di ammettere che l’amore è capace di ignorare queste e tutte le altre differenze.” Cedric protesta, debolmente. “E so, - prosegue Sandra – che oltre a questo motivo, ve ne sono altri, suggeriti dal tuo istinto d’indipendenza, che si crede minacciato…” Cedric fa cenno di no, che non è vero. “È così, Cedric. Ma io ti voglio bene; conosco i tuoi limiti, ti voglio bene anche nei tuoi limiti.” Una pausa. Quindi, calma, senza enfasi, Sandra gli dice: “Non voglio vincolarti. Rispetto le tue ragioni, rispetto la tua natura. Ma ti chiedo di prendermi. Voglio esser tua, la tua mante, la tua donna, una volta. Questo non puoi negarmelo, Cedric…” S’interrompe; sta squillando il telefono, l’apparecchio installato nella camera. È una comunicazione da Roma, e parla il direttore dell’agenzia giornalistica da cui Cedric dipende. Il direttore dovrebbe affidargli un incarico, lo prega di anticipare il suo ritorno. Cedric non può che aderire; partirà il mattino seguente. 45 46
Cfr. S. XXV. La Ginestra o il Fiore del deserto, v. 51.
Mentre riferisce a Sandra, c’è nella sua voce, nel desiderio di essere giustificato, un senso indistinto di sollievo. “Sì, - dice Sandra – fai bene ad andare. È il tuo lavoro, è gran parte della tua vita”. Il suo slancio è caduto, ella è di nuovo tranquilla, stupita quasi di aver potuto chiedere tanto. E si lascia accarezzare da Cedric, che la chiama “La mia brava bambina”. “Ti amo anch’io – le dice; e non mi era ancora successo, da quel lontano tempo che sai”. Ella capisce che Cedric è sincero, quantunque non le prometta nulla, non accenni neppure al loro futuro, non si fissi alcun termine alla sua attesa.47
Sandra, come Leopardi, ha delle illusioni serbate nel cuore, tipiche della sua verde età, ma ha anche scoperto l’inganno che cela la realtà: alla scoperta dell’acerbo vero, ovvero che non la felicità è un lusso inaccessibile all’uomo, che la natura toglie tutto ciò che promette, la giovane non parla (è il tema caro a Morselli dell’incomunicabilità), volta le spalle al corpo dell’amato e si allontana da sola nel turbine della realtà. La sensazione di incertezza e di pena finale di Sandra non è che il preludio al suo gesto di distacco finale, ma è anche il risultato di una “vecchiaia precoce”. Sia il “vecchio” Cedric, sia la “giovane” Sandra sono accomunati dalla solitudine, condizione tipica di chi ha compreso, magari anche solo in piccola parte, che la vita non riserva ciò che ci fa apparire come tangibile e raggiungibile. Entrambi non si illudono di poter trovare conforto e commiserazione negli altri, i quali sono soli a loro volta e alla ricerca di sostegno: una sorta di catena umana della disperazione e della ricerca di conforto. Di nuovo si può fare riferimento alla XXV sequenza, ovvero alla scoperta della morte di Cedric da parte di Sandra: la donna se ne va da sola dopo aver compresa la dura realtà con cui chiunque, prima o poi, deve fare i conti, più o meno dolorosamente. È la medesima condizione del passero solitario leopardiano, il quale, come Sandra e Cedric, attende, a suo modo: in Morselli, come in Leopardi, tutti attendono qualcosa. C’è chi attende oggetti (Sandra spesse volte è colta in attesa del tram), chi persone (Sandra attende Cedric, Mario Masetti attende il sì della cugina Sandra, Cedric attende la risposta di Sandra al telefono, Cedric attende il ritorno di Bianca durante il tradimento, le risposte della vecchia fiamma, il ritorno dell’amore da trent’anni, Sandra attende Cedric all’aeroporto, Cedric, a detta del maggiore Andrews, ha perso tre mesi per decidersi ad ammettere che si può risorgere e amare una seconda volta48). L’attesa è la condizione esistenziale dei personaggi morselliani: la felicità non è un lusso, ma è impossibile e inaccessibile per l’uomo, il quale la aspetta, invano. Solo chi ha raggiunto la certezza dell’acerbo vero, Sandra e Leopardi, sa che l’attesa non deve essere riempita da domande, le quali creano soltanto illusione: sono solo un blando pagliativo per non guardare in faccia la realtà per come si presta. Anche per Guido Morselli si può parlare di «dinamica della negazione struggente»49: come suggerito da Fabio Pierangeli per Leopardi, anche per lo scrittore di Varese si può ampliare il climax, riflettendo su un’altra importante diadi, scaturigine di desiderio e negazione, intorno ai centrali concetti di felicità e bellezza: negando la loro esistenza (e di conseguenza considerando illusive la speranza e l’amore), il poeta esorta, per antitesi, a non esaurire la ricerca, mostrando l’altezza dello sconforto della sua anima […]. Anche quando in A se stesso l’amore sembra sconfitto dall’ultimo inganno, rimane la radice nuda del dolore, e ci si chiede: come può la natura, gelidamente indifferente, aver creato uno spirito capace di tali domande sul senso della vita, il cui grido resiste, eco disperato, oltre ogni parola fine?50
Cfr. S. XV. «Dopo poco, altro breve messaggio [di Cedric]: “Conoscerete una brava e bella e cara ragazza, un’Italiana esemplare”. Il maggiore risponde a sua volta con un altro biglietto: “Ci voleva tanto a deciderVi? Avete perduto tre mesi!”». Cfr. S. XXIV. 49 Cfr. FABIO PIERANGELI, Esplorazioni leopardiane, Manziana, Vecchiarelli, 2008, p. 10. 50 Ivi, pp. 11-13. 47 48
Alla condizione umana di attesa si possono felicemente associare le immagini evocate da Leopardi ne La sera del dì di festa e ne Il sabato del villaggio: in entrambi gli idilli è implicitamente descritta una prospettiva che genera illusioni e aspettative, che colora di tinte nuove e vivaci le immagini vaghe e indefinite prodotte nei giorni “feriali”. Questo di sette è il più gradito giorno, pien di speme e di gioia: diman tristezza e noia recheran l’ore, ed al travaglio usato ciascuno in suo pensier farà ritorno. Garzoncello scherzoso, cotesta età fiorita è come un giorno d’allegrezza pieno, giorno chiaro, sereno, che precorre alla festa di tua vita. Godi, fanciullo mio; stato soave, stagion lieta è cotesta. Altro dirti non vo’; ma la tua festa Ch’anco tardi a venir non ti sia grave.51
L’attendere, però, nasconde, per chi non ha l’ingegno pronto e lo sguardo acuto, l’illusione: è questo il discrimine e il limitare oltre il quale solo a pochi è concesso andare. Un topos che apparentemente è slegato dalla tematica dell’attesa è quello delle immagini della tempesta (imminente o presente) e del buio: in realtà entrambi questi elementi possono essere considerati “figure”. Segni onnipresenti e celati, in contrasto con una quiete apparente e labile: se Leopardi scrisse La quiete dopo la tempesta, Morselli avrebbe potuto scrivere “La quiete (?) prima della tempesta”. […] Il tempo è minaccioso: raffiche di vento la investono, le scompigliano gli abiti e i capelli; ella corre a perdifiato lungo il viale deserto, in un turbinare di polvere e di foglie morte. Interno. Casa Zanolin. La stanzetta che ella ha lasciato, tranquilla e in ordine, nella sua linda chiarità. Tutto in casa parla di un’esistenza regolata e serena. L’obiettivo alterna questo pacato aspetto della camera con la contrastante visione di Sandra che corre sotto gli alberi del viale piegati dal vento. Ma una folata più violenta spalanca la finestra, gonfia i tendaggi, chiude di schianto l’uscio della camera; un’altra raffica solleva e trascina le coperte del letto, rendendo immagine di un’intimità sconvolta da una forza avversa e irresistibile.52 Interno. La camera di Sandra alla clinica – La ragazza si sta preparando per uscire. Mentre si veste, apre la finestra e vi si affaccia, a scrutare il cielo sopra di lei. Là in alto è Cedric, di là egli giungerà fra poco. Ma la notte è già scesa, fredda, nebbiosa. Ed ella si ritira, con nel viso un’espressione d’incertezza e di pena.53
In entrambe le sequenze, Sandra si trova di fronte a una prospettiva di morte: le raffiche di vento, la pioggia sono figura di quello che il caso ha preparato; se nella prima descrizione la morta è solo pensata, nella seconda l’incertezza e la pena sono le spie del consapevole dramma che si sta consumando. Come si diceva sopra, Morselli descrive il passaggio di Sandra dalla gioventù alla Cfr. Il sabato del villaggio, vv. 38-51. Cfr. S. X. 53 Cfr. S. XXIV. 51 52
vecchiaia: in Leopardi tale “investitura” è sfumata e celata. Il realismo dello scrittore di Varese non permette deroghe all’immaginazione: vuole e deve farci toccare con mano questa cerimonia. E i fenomeni atmosferici servono a rendere realistico questo “salto generazionale”. Passata è la tempesta: odo augelli far festa, e la gallina, tornata in su la via, che ripete il suo verso. Ecco il sereno rompe là da ponente, alla montagna; sgombrasi la campagna, e chiaro nella valle il fiume appare. Ogni cor si rallegra, in ogni lato Risorge il romorio Torna il lavoro usato. L’artigiano a mirar l’umido cielo, con l’opra in man, cantando, fassi in su l’uscio; a prova vien fuor la femminetta a còr dell’acqua della novella piova; e l’erbaiuol rinnova di sentiero in sentiero il grido giornaliero. Ecco il Sol che ritorna, ecco sorride per li poggi e le ville. Apre i balconi, apre terrazzi e logge la famiglia: e, dalla via corrente, odi lontano tintinnio di sonagli; il carro stride del passegger che il suo cammin ripiglia. Si rallegra ogni core. Sì dolce, sì gradita quand’è, com’or, la vita? Quando con tanto amore l’uom a’ suoi studi intende? O torna all’opre? O cosa nove imprende? Quando de’ mali suoi men si ricorda? Piacer figlio d’affanno; gioia vana, ch’è frutto del passato timore, onde si scosse e paventò la morte chi la vita abborria; onde in lungo tormento, fredde, tacite, smorte, sudàr le genti e palpitàr, vedendo mossi alle nostre offese folgori, nembi e vento. O natura cortese, son questi i doni tuoi, questi i diletti sono che tu porgi ai mortali. Uscir di pena è diletto fra noi. Pene tu spargi a larga mano; il duolo spontaneo sorge: e di piacer, quel tanto che per mostro e miracolo talvolta
nasce d’affanno, è gran guadagno. Umana prole cara agli eterni! Assai felice se respirar di lice d’alcun dolor: beata se te d’ogni dolor morte risana.
Ancora una volta un continuum Leopardi – Morselli, ma rovesciato: è interessante come lo scrittore di Varese non descriva le giornate di sole, lasciando che la descrizione implicita che ne da stimoli la fantasia creativa del lettore. Il Poeta di Recanati fa il contrario: lascia tracce e indizi della tempesta, ma non ci consegna un quadro finito e definito. Leopardi descrive l’illusione, il pulviscolo della vita; Morselli descrive il declino dell’illusione, la nebbia. Tuttavia, anche queste atmosfere, nonostante create sulla concretezza della quotidianità, sfumano nel sogno: la realtà di Leopardi e di Morselli è oniricamente concreta. Si pensi a tutte quelle immagini ambigue, poste sul limitare dell’allucinazione: esse, sia in Leopardi, sia in Morselli, si epifanizzano dopo un allontanamento. Se per il poeta di Recanati, la distanza è causata dalla morte54, in Morselli l’allontanamento è per lo più una partenza luttuosa, figura di morte. Un’ultima tematica che si vuole affrontare è la contemplazione. […] Nella lettera al Giordani del 26 aprile del 1819: “io non trovo cosa desiderabile in questa vita, se non i diletti del cuore, e la contemplazione della bellezza, la quale m’è negata affatto in questa misera condizione.” L’evidenza dell’ossimoro della beltà scaturisce da qui, come è ben risaputo: contemplazione della bellezza e sensazione di essere da questa escluso. 55 Cedric – […] Ma il mio vizio capitale è un altro, e voi, Margaret, lo avete nominato. È la ‘delectatio contemplativa’ il gusto incontentabile dell’armonia, della forma perfetta che si immedesima con la sostanza delle cose, con la loro natura. […]56 In tutta la sceneggiatura, tra le righe, il cinismo di Cedric e la consapevolezza di Sandra fanno sì che i due si escludano dall’armonia, il cui gusto è incontentabile. E anche quando si crede (il Cedric finale) di poter entrare nel cerchio, ecco che qualcosa ci ricorda che la felicità non è un lusso, ma non è per noi. L’analisi delle tematiche leo-morselliane potrebbe continuare, ma si è deciso, in questa sede, di fornire soltanto delle premesse, fondamento di un lavoro più ampio in fieri sullo scrittoio ottocentesco dello scrittore di Varese, il quale condivide con Leopardi un universo di esclusione e di auto-esclusione, un mondo prospetticamente elevato, disincantato e nostalgico, uno sguardo ironicamente innocente, un grido muto e sordo, che risuona dentro l’essere. Viene alle labbra la conclusiva frase del corto di Pier Paolo Pasolini Che cosa sono le nuvole?: «Straziante e meravigliosa bellezza del creato». Strazio e commozione di fronte a quello che a Leopardi non appare più il creato ma la natura e nello stesso tempo strazio e commozione di fornte ad un universo poetico nel suo complesso, dove insieme alla consapevolezza del filosofo materialista, convive lo sguardo Per citare l’esempio, a parere della scrivente, più calzante si cfr. Il sogno. Cfr. PIERANGELI, Esplorazioni, op. cit., p. 19. 56 Cfr. S. VI. 54 55
del fanciullo che chiede alle cose infinite di risiedere accanto a lui, per illuminarlo, chiamandole per nome, anche quando comprende, ad esempio in Alla primavera, il carattere illusorio di questi intensi dialoghi con il passato, mitico o personale. È l’immagine di un incipit a cui non si può tornare, vagheggiato e respinto, fortunata visione in epoca romantica della fanciullezza del mondo, analoga a quella del singolo nello spazio dell’illusione e della fantasia, ma che in Leopardi si carica di una pena nostalgica acuta, dilacerante, dilaniante. Espressa, altro ossimoro valorizzato dalla critica, con le parole della tradizione poetica risalente al Petrarca. Il confronto tra l’effimero e l’eterno, per dirla con Ungaretti, è il contenuto della domanda, della negazione struggente e si esprime, specchio concavo, nell’accostamento dell’immagine con una parola corrotta dall’uso quotidiano, quasi a esorcizzare la distanza e la delusione, che poi torna a tuonare […].57
Pensiamo a Morselli: potremmo sottoscrivere ognuna di queste parole riferite a Leopardi.
57
PIERANGELI, Esplorazioni, op. cit., p. 15.