IL PERIODO NURAGICO 1800 - 500 A.C. Misteriosamente all’alba dell’Età del Bronzo, nel 1800 a.C., in Sardegna fiorì una grande civiltà che fu chiamata nuragica dal simbolo che la rappresentava: il nuraghe. I nuraghi, grandi opere megalitiche, furono costruiti in tale numero da modificare l’aspetto del paesaggio dell’isola e ancora oggi queste costruzioni, sebbene consunte dal tempo, dominano sui territori quasi incutendo timore reverenziale ai viandanti. La civiltà nuragica mosse i primi passi con la cultura di Bonnannaro, considerata decadente e dall’arte grezza, ma vero ponte con le civiltà neolitiche di grande spessore come Bonu Ighinu e Ozieri e quelle eneolitiche (del rame) di Monte Claro e Campaniforme. La cultura nuragica, nonostante apporti esterni, può essere considerata un fenomeno propriamente sardo e nasce dalle acquisizioni culturali e di pensiero dei periodi precedenti. Molti parlano di nuovi popoli immigrati nell’isola e di leggende che vorrebbero artefici dei nuraghi genti arrivate nell’isola portatrici di nuove tecniche costruttive, ma, come sempre, la realtà è più banale e più semplice della fantasia. La tecnica megalitica nuragica non può che essere nata dal perfezionamento di quella importata migliaia di anni prima e originaria della Bretagna; col passare del tempo si acquisì l’esperienza e si perfezionarono i modi di costruire e la necessità poi aguzzò l’ingegno. Nella prima fase nuragica si edificarono delle costruzioni che gli studiosi chiamano protonuraghi, formate da un corpo, spesso ellittico, con delle gallerie cieche all’interno che conducono, tramite una gradinata, alla piattaforma esterna superiore. Lo scopo di queste costruzioni grossolane e primitive poteva essere di difesa: chiudendo l’ingresso con un grande masso, dall’alto si lanciavano sassi e olio bollente per scacciare gli aggressori. Il nuraghe Bruncu Madili o Madugui, sulla Giara di Gesturi, è un esempio di queste costruzioni chiamate anche nuraghi a galleria. Il nuraghe per antonomasia, diffuso in migliaia di esemplari (circa settemila quelli giunti fino a noi), è quello a Tholos; una torre tronco-conica edificata mediante grandi massi, grossolanamente squadrati e via via più piccoli fino a concludersi con una pseudocupola. Non vogliamo entrare nella disputa che divide da tempo molti studiosi sulla destinazione di queste costruzioni, se cioè fossero state erette per scopi religiosi o per scopi difensivi (tesi più accreditata), basta ammirarle per quello che riescono a trasmetterci, in quanto la sensazione non ha bisogno di essere codificata per essere interpretata. Dai nuraghi monotorre, eretti su colline o su zone panoramiche e dominanti, col palese scopo di osservazione, ai nuraghi complessi composti da torri secondarie, ai cosiddetti 31
villaggi nuragici; questo è lo sviluppo edilizio che nel corso dei secoli si è andato via via perfezionando, arrivando ad opere tecnicamente e stilisticamente quasi perfette. La radice “Nur” sta ad indicare cumulo di pietre cavo e da qui la parola derivata “Nuraghe” che ha dato il nome alle civiltà. La Sardegna tra il 1800 ed il 500 a.C. era autonoma ed indipendente, non essendoci nessuna prova di dominazioni straniere, si può parlare solo di influenze e di scambi commerciali, forse saltuari, senza Il protonuraghe Bruncu Madugui di Gesturi (Ca) intaccare ed influire sugli usi e costumi locali ormai consolidati; i fenici dal IX secolo a.C. presero a frequentare l’isola creando degli scali costieri ed insediandosi lungo le coste, ma per molti secoli furono tollerati, segno di uno stanziamento pacifico. L’isola costituiva forse una nazione, con un’unica cultura, tradizioni, lingua; mancava probabilmente una unità politica; non esisteva cioè un unico stato ma tanti staterelli, governati da sovrani o da un consiglio formato dagli anziani. La vita dei nuragici non doveva essere semplice nonostante la specializzazione dei mestieri tipica delle società evolute; esistevano i falegnami, i muratori, i conciatori, gli armieri, i vasai per cui ci si poteva dedicare alla caccia e alla pastorizia barattando i prodotti senza aver bisogno di costruirli come nel Paleolitico. Gli insediamenti della popolazione erano situati preferibilmente nelle zone montuose, forse per meglio Ricostruzione dell’autore del protonuraghe Bruncu Madugui di Gesturi. difendersi, vicino a corsi d’acqua o a sorgenti e la vita era dura così che a quarant’anni una persona era già vecchia, sempre se avesse avuto la fortuna di giungervi, cosa rara peraltro. I nuragici vivevano in capanne fatte di massi e con copertura lignea; ma da zona a zona variavano i modi costruttivi, alcune comunità montane sembra vivessero ancora in caverne ma rese confortevoli da rivestimenti in legno e sughero. I nuragici costituivano comunità chiuse e tendevano all’autoprotezione riunendosi, prima in clan, poi in villaggi di modeste dimensioni molti dei quali addossati ad un nuraghe, forse per protezione. Nei villaggi di Barumini, Genna Maria, Orrobiu, per fare alcuni esempi, nati intorno ad un nuraghe composto polilobato considerato residenza del sovrano, per questo motivo chiamato “regia”, vi risiedevano non più di quattrocento persone; piccole comunità che è difficile classificare come autonome o appartenenti ad un piccolo stato. La divisione politica poteva essere del tipo tribale, quindi frammentata e senza un peso militare tale da soggiogare altre tribù vicine. 32
Molti villaggi di povera gente, erano invece costituiti da capanne di legno e frasche e nulla ci è rimasto dato il materiale degradabile. L’economia di sussistenza era imperniata sull’allevamento, con una scarsa agricoltura non agevolata dal territorio montuoso, con gli uomini dediti alla caccia e alla pastorizia e le donne impegnate ad accudire i bambini e la “casa”, ma con potere decisionale così da far supporre un matriarcato, ereditato dalle tradizioni neolitiche. I nuragici non usavano la scrittura, anche se la conoscevano Il nuraghe Asoru nelle campagne di San Vito (Ca) sicuramente dopo i primi contatti con i fenici. Gli archeologi non hanno ritrovato nessun reperto che ci dia la prova di una scrittura nuragica: ma non è da escludere che i nuragici usassero scrivere su tavolette di legno che difficilmente avrebbero potuto conservarsi per giungere fino a noi? E’ una ipotesi che almeno ci lascia un dubbio destinato probabilmente a rimanere tale. Le tribù o clan dovevano essere altamente organizzate e di ciò si ha conferma dalla costruzione dei nuraghi complessi eseguiti in vari secoli seguendo forse una idea originale. Così Barumini, il cui mastio risale al 1500 circa a.C. fu continuato con la costruzione delle torri secondarie, delle muraglie, modificato, ristrutturato varie volte nel corso di centinaia di anni. Forse si sfruttava il lavoro coatto che, data la complessità della costruzione, doveva essere diretto da personale competente e rimane un mistero come facesse quel popolo a trasportare massi di Il complesso nuragico “Su Nuraxi” di Barumini (Ca) centinaia di tonnellate per decine di chilometri e sollevarli fino a 30 metri di altezza. La loro religiosità traspare dai petrogliffi ritrovati e dai simboli apotropaici (amuleti contro i cattivi spiriti), i primi chiariscono il concetto di virilità che si esprime con la forza che ha sempre impressionato i popoli primitivi, requisito, questo, ritenuto fondamentale; il forte riesce ad imporsi facilmente sugli altri e può procurarsi facilmente il cibo. La divinizzazione della forza veniva rappresentata col toro, immagine ricorrente nella iconografia nuragica con numerosi bassorilievi. Il betilo era un altro simbolo maschile e proveniva dalla tradizione neolitica dei Menhirs, assumeva la funzione di guardia e custodia e veniva collocato spesso nelle tombe dei giganti a protezione dei morti. I betili nuragici sono di misure ridotte e pare rappresentino anch’essi la forza, ma più spirituale che fisica, quindi adatta a cacciare i cattivi spiriti. 33
Anche l’acqua veniva divinizzata sebbene non si abbia una sua iconografia, ma i grandi pozzi sacri dimostrano la devozione verso questo elemento, indispensabile quanto raro. I bronzetti nuragici, usati come ex voto e deposti nei pozzi sacri o in appositi cerchi di pietre davanti alle tombe dei giganti per ottenere delle grazie o dei miracoli, rappresentano oltre a un esempio di arte di ottimo livello, anche una devozione verso un Dio nel quale si crede ciecamente e nel quale si ripongono tutte le speranze. Oltre i bronzetti nuragici, solo di recente si sono scoperte delle statue in pietra alte oltre due metri, chiamate “statue dei Monti Prama” dal luogo vicino a Cabras dove si sono ritrovate. Queste statue, in arenaria, sembrerebbero delle copie di bronzetti, certamente posteriori e potrebbero rappresentare il trasformismo dei betili arrivati a forme umane con fattura altamente artistica a tutto tondo. I monumenti funerari nuragici, chiamati dalla fantasia popolare “tombe dei giganti”, sono in realtà delle tombe collettive dove venivano deposti i defunti e per la loro lunghezza fanno pensare all’ultima dimora di un gigante. Le prime tombe vengono chiamate dolmeniche, in quanto costituite da un riadattamento di Dolmen preesistenti con la costruzione di un monolite anteriore chiamato “stele centinata” e con l’aggiunta di ortostati (lastre di pietra) con sviluppo Plastico che ricostruisce il nuraghe complesso quadrilobato di Barumini curvilineo per con il mastio, l’antemurale e relative torri. formare uno spazio anteriormente al sepolcro (esedra). La tomba presentava quasi sempre, un betilo posto nell’esedra ed era meta di pellegrinaggio da parte dei parenti dei defunti che trovavano posto in sedili di pietra situati appositamente nel perimetro anteriore delle tombe. Nella prima fase oltre ai Dolmen, vennero trasformati in tombe dei giganti, le Domus de Janas (tombe ipogeiche orizzontali) con la realizzazione della stele direttamente scolpendola nella roccia. Col passare dei secoli la stele centinata scomparve sostituita da una trave litica che sovrastava il pertugio d’ingresso. Questa tipo di tomba è chiamata “a filari litici” e presenta nella parte posteriore un’abside, mentre il corpo principale non ha più la copertura in lastre di pietra ma a navetta rovesciata, ottenuta con l’uso di massi sempre più piccoli partendo dalla base. Come già detto, in queste tombe si trovano non di rado dei pozzetti nei quali venivano deposti ex voto. In certe zone della Sardegna si seppellivano i morti in cavità rupestri dette tafoni e ciò è comprensibile in quanto gli usi non potevano avere una omogeneità regionale, data anche la probabile frantumazione politica. Altri mirabili monumenti che quel popolo ha edificato che ci lasciano stupiti per la perfezione raggiunta, sono i pozzi sacri che possono essere considerati veri e propri templi, in quanto destinati ad accogliere i credenti che veneravano la Dea Acqua. 34
Il tema architettonico dei cinquanta pozzi sacri scoperti è comune; la sorgente veniva protetta da un muro e creato uno spiazzo anteriore con sedili per le onoranze e recipienti per le offerte. Quando la sorgente era profonda si costruivano numerosi gradini per raggiungerla, come nella tomba di Cuccuru Nuraxi presso Settimo, dove la gradinata di accesso alla vena d’acqua scende per venti metri. Il pozzo di S. Cristina presenta invece i gradini in Resti del villaggio adiacente il complesso nuragico di Barumini trachite talmente ben squadrati da far pensare ai visitatori che si tratti di una ricostruzione recente. Il pozzo sacro de Su Tempiesu in territorio di Orune è invece l’unico che abbia conservato le parti in superficie e presenta un tetto a doppia falda, con pietre finemente squadrate. Le credenze diffuse nel popolo nuragico sono confermate dai santuari nuragici destinati, data la loro grandezza, a tutte le tribù o agli stati, a prescindere dalla situazione politica; il santuario di S. Vittoria a Serri, che si estende per ben tre ettari e comprende oltre il pozzo sacro, un tempio ipetrale (all’aperto) e una costruzione protetta da uno spesso muro chiamato recinto delle feste che misura 50x70 metri è la più importante in assoluto. Dentro il recinto i pellegrini potevano riposarsi sotto una tettoia e cibarsi usando appositi tavoli di pietra mentre nel lato opposto si trovavano dei box dove si vendevano cibi e bevande. La religione stava certamente al di sopra delle divisioni, per cui in quel luogo ci si dimenticava dei rancori e dei torti e si pensava solo ad onorare gli dei. Oltre ai santuari a pozzo si conoscono altri sei edifici sacri di pianta rettangolare con un grande recinto ovoidale, chiamati templi a Nuraghe Santu Antine di Torralba (SS) Megaron. Difficile dire a chi fossero dedicati e chi si onorasse; la loro architettura si colloca in un tardo nuragico e, pur misteriosi, ci fanno comprendere ancora una volta la religiosità consolidata di quel popolo. 35
Come il periodo giudicale, il nuragico rappresenta un momento di autonomia nazionale senza influenze o dominazioni politiche di altri popoli, nel quale l’arte ed il pensiero si sono manifestati liberamente raggiungendo livelli notevoli per quel periodo.
Ricostruzione ideale del villaggio nuragico di Tiscali nel supramonte di Oliena (Nuoro)
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Tomba dei giganti a filari litici di Sa domu e’ s’Orku, Quartucciu (Ca)
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La ceramica nuragica. La produzione vasara nuragica si è evoluta nel tempo mutando continuamente nei 1300 anni della sua esistenza (1800-500 a.C.). Dalle ceramiche grezze ed essenziali di Bonnannaro si passò a quelle con decorazioni a pettine e con nervature tipiche del XV-XII secolo a.C. Tra il 1200 e il 900 a.C. importazioni di manufatti micenei si affiancarono alla ceramica a pettine sempre più raffinata. Dal 900 fino alla scomparsa della cultura nuragica nel 500 a.C., la ceramica geometrica sostituì quella a pettine, sebbene non totalmente ed i manufatti raggiunsero un alto grado artistico e tecnico. Naturalmente la ceramica si differenziava a seconda della sua destinazione; la produzione a scopi religiosi risulta eccellente sia come impasto sia come decorazione, mentre quella di uso comune si Un vaso nuragico presenta più rustica ed essenziale con decorazioni più rare o più semplici. Il periodo nuragico è il primo nella preistoria a venire studiato tramite le tipiche costruzioni e non solo attraverso la ceramica che, però, rimane importante in quanto ci chiarisce il divenire di un popolo con le sue esigenze, la sua religiosità e la sua arte. I Bronzetti. La civiltà nuragica è conosciuta, in tutto il mondo, per le mirabili costruzioni megalitiche che sorgono qua e là nell’isola, ma anche per quelle piccole opere d’arte chiamate “bronzetti”. Fino ad oggi ne sono stati ritrovati circa 500, in maggioranza nei pozzi sacri di Abini a Teti e S. Vittoria a Serri, dove gli adoratori della dea acqua li avevano ben fissati, tramite colate di piombo, alle rocce quale pegno per Una navicella nuragica in bronzo ingraziarsi la dea e per chiedere qualche grazia. 38
La funzione di queste miniature bronzee era infatti quella di “ex voto” paragonabile alla candela che il cristiano accende in chiesa con la speranza che le sue “richieste a Dio” vengano esaudite. Certo, nei pozzi e nelle tombe dei giganti si sono trovati altri oggetti in bronzo con la stessa funzione, come asce, cestelli, vasetti, pugnali, ma il sistema di costruzione delle miniature è diverso dagli altri manufatti ottenuti per colata su matrice, i bronzetti, infatti, venivano creati col sistema “della cera persa”, metodo complesso che richiedeva una manualità e precisione fuori dal comune. Il metodo consisteva nel creare l’oggetto con la cera ottenendo così un esemplare in questo materiale. A questo esemplare si applicava poi l’argilla e il tutto veniva cotto. Naturalmente la cera si scioglieva lasciando all’interno della terracotta la forma uguale al modellino in cera. A questo punto veniva colato sulla forma così ottenuta, il bronzo liquido che assumeva la stessa forma del modellino di cera; bastava poi rompere la terracotta per osservare il bronzetto. Un procedimento complicato che da più parti si è sicuri sia stato importato dai fenici e usato poi dai nuragici. La data di esecuzione dei bronzetti è purtroppo molto incerta, anche se la tesi più accreditata li fa risalire alla Il capo tribù, celebre bronzetto fine del IX secolo a.C. Anche se i nuragici copiarono la tecnica dai fenici, si può nuragico affermare che diventarono forse più bravi dei loro maestri, creando forme e modelli di alta qualità che indubbiamente sono originali poiché si differenziano notevolmente dalle figurine semite. I fenici usavano infatti raffigurare i personaggi in marcia o stanti con le gambe ben chiuse mentre i manufatti nuragici presentano figure stanti ma con le gambe larghe. La produzione sarda fu esportata anche in Etruria dove alcuni bronzetti sono emersi in tombe databili tra il IX e il VII secolo a.C. Le navicelle votive sembrano più tarde, forse fine del VII secolo e sono la rappresentazione dell’idea del viaggio eterno unito all’idea dell’offerta votiva tramite il fuoco a cui la navicella, con funzione di lucerna, era destinata. Gli stili dei bronzetti finora ritrovati possono essere raggruppati in tre correnti: quella di Monte Arcosu, quella di Abini-Teti e quella Barbaricina. La corrente di Monte Arcosu (Uta) è caratterizzata dalla forma geometrica con teste cilindriche, grandi occhi e corpo stilizzato e rigorosamente geometrico; questo tipo di manufatto sembra rappresentare l’aristocrazia e la nobiltà, fuori da un contesto “normale” della popolazione e della vita semplice. Anche il tipo Abini-Teti non si discosta molto dallo stile descritto anche se le figure sembrano più orientali e ricercate e si discostano dallo stile rigido geometrico. Diversa in tutto è la produzione del tipo barbaricino, che appare più popolare e più reale con figure di persone e animali che richiamano la vita di tutti i giorni e per questo variano notevolmente come fattura, nascendo dallo stato d’animo del loro autore e non seguendo altro canone che la pura realtà.
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E se i Nuragici fossero stati abili navigatori? Di recente è tornata di attualità la affascinante ipotesi che i nuragici fossero abili marinai dediti alle peregrinazioni nel Mediterraneo, alla guerra di corsa e alla aggressione dei popoli rivieraschi. La scoperta da parte di uno studioso israeliano di una costruzione megalitica a tholos in piena Palestina, ha ridestato l'entusiasmo dei sostenitori di questa ipotesi che, se accertata, costringerebbe a riscrivere la storia dei popoli del bacino del mare che i romani chiamavano “Nostrum”.
Ricostruzione ideale di una nave da guerra nuragica tratta dai bronzetti Indubbiamente la presenza di un nuraghe, in un territorio controllato dall'Egitto dei Faraoni, non può che far pensare ad un insediamento dei protosardi in quelle zone che, per meglio controllarle, furono addirittura fortificate. Al momento non è stato ritrovato alcun reperto che possa condurre ad una data certa, ma vogliamo ipotizzare che la costruzione sia databile intorno al XIII sec. a.C., periodo durante il quale, la storiografia ufficiale, riporta l'invasione dei popoli del mare provenienti da est e diretti ad ovest. In quel secolo fu distrutta la Troia omerica mentre gli Ebrei si affrancarono dagli egizi e guidati da Mosé si diressero verso la terra promessa. Ci fu inoltre la invasione dei Dori che costrinse i protogreci alla prima migrazione che li vide stabilirsi nell'Asia minore ed in zone sicure lontane dal pericolo e dalla madrepatria. L'Egitto dovette, già secoli prima, soccombere sotto i colpi di un popolo misterioso chiamato Hyksos, formato probabilmente da varie etnie, che si affacciò ai suoi confini improvvisamente ma che altrettanto repentinamente sparì senza lasciare alcuna traccia. L'invasione dei popoli del mare è invece documentata in alcune tavolette ritrovate a Tell El- Amarna ed in iscrizioni nel tempio di Karnak, di Medinet Habu e nei papiri di Harris, dove si narrano le gesta di Faraoni artefici di grandi imprese militari, menzionando un popolo guerriero chiamato SHRDN che vocalizzato si traduce Sharden ovvero Shardana. Questo popolo è anche indicato come “ proveniente dalle isole” e viene definito alleato contro gli Ittiti nella battaglia di Kadesh, avvenuta nel 1285 a.C., mentre più tardi è ricordato come nemico brutale in grado di minacciare ed invadere il territorio egiziano. I Shardana facevano parte di una coalizione composta, tra gli altri, anche dai libici e possedevano una potente flotta che però fu respinta dal faraone Mernephtah nel 1229 a.C., alle foci del Nilo, mentre tentavano di entrare in territorio egizio risalendo il fiume; si riversarono poi sulle coste della terra di Canaan saccheggiando, distruggendo e creando duraturi insediamenti. 40
Se ciò fosse realtà e se i Shardana fossero i nuragici, questa notizia confermerebbe l'attendibilità del ritrovamento del presunto nuraghe e consentirebbe di affermare che i popoli del mare provenivano anche da occidente conquistando l'oriente ed importandovi arte, cultura e forse la lingua.
Ricostruzione ideale di una nave da trasporto nuragica tratta dai bronzetti Sarebbero da rivedere, secondo questa ipotesi, i ritrovamenti di ceramiche micenee rinvenute nel nuraghe Antigori presso Sarroch e dei pani di rame di Serra Ilici (Nuragus) poiché, probabilmente, si tratterebbe di importazioni dirette dei Shardana e non il frutto di scambi commerciali con occasionali visitatori dell'isola. Questa ipotesi farebbe crollare anche la ormai accettata colonizzazione fenicia della Sardegna e confermerebbe l'esatto contrario: Furono i nuragici gli occupanti la terra di Canaan diffondendovi la propria cultura, la lingua e l'arte dei bronzetti. L'alleanza con i libici fu forse determinante per quel supposto popolo di guerrieri navigatori che poté così giovarsi di un appoggio notevole da parte di un esercito esperto nella terraferma, che pressava da vicino l'impero egiziano. Ci piacerebbe che tutto ciò che abbiamo raccontato fosse vero, perché come sardi ne saremmo felici, ma il dovere di obiettività ci costringe a fare doverose meditazione e ragionamenti e considerare aspetti reali che derivano da reperti che finora sono venuti alla luce in Sardegna. La cosa più evidente è la mancanza della scrittura in un popolo che avrebbe dominato genti che possedevano quell'arte; è certo possibile che l'uso di materiale deperibile come il legno possa aver fatto scomparire i documenti contenenti iscrizioni; non risulta poi da incisioni su pietra, manufatti, bassorilievi o altri reperti nessuna cultura marinara dei nuragici anzi, è evidente, la vocazione montanara e pastorale che è in antitesi con l'arte dei navigatori che non si sentono legati al territorio e geneticamente hanno bisogno dell'ignoto e fanno della propria vita un eterno peregrinare. Certo, si può pensare anche ad un ritorno dei fenici che da dominati diventarono dominatori; nelle città sarde a loro attribuite, risalenti all'ottavo-settimo secolo a.C. sono evidenti i segni di precedenti insediamenti nuragici, che se si trattasse dei 41
Shardana, potrebbero indicare l'affermazione di genti prima soggette e poi padrone per dei motivi che al momento ci sfuggono, ma che si potrebbero ricercare nel fatto che un popolo marinaro è sempre debole nella terraferma e deve stare lontano, proprio per la sua vocazione, dalla propria patria dando la possibilità a genti importate coattivamente di cogliere occasioni favorevoli e rovesciare la situazione. Gli unici indizi che possediamo sui Nuragici presunti marinai sono i bronzetti raffiguranti delle navicelle, indubbiamente delle opere d'arte ottenute con il sistema della cera persa, risalenti probabilmente al VII sec. a.C., ben cinque secoli dopo la presunta invasione dei Shardana del Mediterraneo, la battaglia contro gli egizi e la conquista della terra di Canaan. Ben poca cosa e nulla di probante per poter asserire che i sardi furono degli abili navigatori e dei guerrieri in grado di minacciare il potente Egitto e di guadagnarsi una fama tale da essere arruolati nella guardia personale dei Faraoni. Quanto sopra e ciò che dai dati attualmente a disposizione emerge, trascurando facili entusiasmi che sono sempre difficili da reprimere e augurando che, nel più breve tempo possibile, ritrovamenti certi ed incontestabili possano indicare che i Nuragici, come ipotizzato, non siano altri che i Shardana. Sarebbe una conferma che quanto tramandato dagli egizi sia da riferirsi ai nostri antichi progenitori: ne saremmo fieri e saremmo costretti a riconoscere che certe ipotesi che, spesso possano apparire fantasiose, creano scetticismo ed incredulità proprio perché sono delle verità auspicate e per questo ritenute troppo belle per essere vere.
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