Il “pensiero cattolico” in Germania tra le due guerre
Il “pensiero cattolico” in Germania tra le due guerre Il modernismo ha lambito solo in modo marginale il mondo cattolico tedesco, tanto che i professori di teologia delle università tedesche furono esonerati dal giuramento antimodernista. In Germania generalmente il livello culturale del clero tedesco è buono, perché formato in facoltà ecclesiastiche incorporate alle università statali. I preti sono bene informati sulle correnti filosofiche e letterarie contemporanee, oltre che sulle opere dei grandi maestri della vita spirituale. C’è poi una lunga consuetudine al confronto con il mondo e la filosofia moderni. Si pensi alla Scuola di Tubinga del sec. XIX. La teologia tedesca è più abituata al confronto con l’idealismo prima e le scienze storiche poi: questo ha costituito un antidoto all’importazione del modernismo Tra le due guerre mondiali, anche in Germania c’è una profonda trasformazione in molti campi ecclesiali, anche in seguito all’influsso del pensiero di K. Barth. Si può parlare di una “conversione all’oggettivo”, un passaggio dall’individuo alla comunità, da una cultura religiosa a una fede dai tratti fortemente cristocentrici. La svolta tende a superare la curva antropocentrica e individualistica della teologia e della spiritualità del XIX secolo, con il recupero del tema del “mistero” e della Chiesa come “corpo”. In ambito cattolico sono rilevanti soprattutto due teologi: Romano Guardini e Karl Adam.
Karl Adam (1876-1966)
Karl Adam (1876-1966) Nasce in Baviera nel 1876. Ordinato sacerdote nel seminario di Ratisbona (1900), consegue il dottorato in teologia a Monaco e vi diventa libero docente e professore straordinario, insegnando religione anche nella Scuola militare. In seguito assume la cattedra di teologia morale a Strasburgo e di teologia dogmatica a Tubinga, nel 1919. Forse meno originale di Guardini, Karl Adam ha molta risonanza e diffusione. Con il suo fascino comunicativo, diretto e vivace, anch’egli intende l’insegnamento come testimonianza cristiana. Radicato su un previo lavoro scientifico in storia della Chiesa e dei dogmi, non disdegna l’attenzione alla filosofia del suo tempo, in particolare la filosofia della religione di Scheler, e alla teologia riformata, tanto che è tra i primi a far conoscere Barth ai lettori cattolici, sulla rivista “Hochland”. La sua personalità ha esercitato un profondo influsso sul cattolicesimo contemporaneo. Muove dalla problematicità della coscienza moderna dei valori e prospetta all’uomo d’oggi il Cristo, la Chiesa, le sue dottrine e istituzioni in termini nuovi, a lui familiari, in maniera esistenzialistica. La le sue opere principali: L’essenza del cristianesimo (1924) e Gesù Cristo (1933)
Voci di rinnovamento nel mondo cattolico tedesco Romano Guardini (1885-1968) Profeta del 900. Critico della modernità, resistente al nazismo, esegeta straordinario. Una delle voci che più hanno segnato la teologia del sec. XX
Italiano di nascita tedesco di adozione Nasce a Verona il 17 febbraio 1885. Il padre opera nel commercio internazionale e nel 1886 si trasferisce con la famiglia a Magonza. Dopo gli studi ginnasiali, conseguita la maturità classica, si entusiasma per le scienze naturali: nel 1903 si iscrive alla facoltà di Chimica dell’università di Tubinga, ma l’abbandona dopo due semestri. Quindi si trasferisce a Monaco per studiare Scienze Politiche. Le sue idee, la visione del mondo e il pluridecennale impegno come docente nascono, crescono, convivono in un ambiente a stretto contatto con il protestantesimo.
Non senza inquietudine, si riavvicina gradualmente alla fede cristiana. Nel 1905, partecipando alla Messa in una chiesa in OldenburgerStrasse, coglie in modo chiaro la vocazione al sacerdozio. Inizia così gli studi teologici a Friburgo (1906), a Tubinga (fino al 1908), quindi a Magonza, dove viene ordinato prete nel maggio 1910. Prendono forma le prime intuizioni filosofico-teologiche e soprattutto un profondo interesse per la liturgia. Nel 1911 ottiene la cittadinanza tedesca, necessaria per l’insegnamento, e comincia a svolgere i suoi primi incarichi pastorali.
Le prime opere A differenza dei suoi famigliari, nella 1ª guerra mondiale decide di restare in Germania. Si laurea in teologia a Friburgo con una tesi su san Bonaventura. Poi presta servizio militare come infermiere all’ospedale di Magonza. Nel 1919 pubblica un piccolo testo che ha un grande impatto sul mondo ecclesiastico tedesco ed europeo: Lo spirito della liturgia. Nello stesso anno fonda la casa editrice Matthias Grünewald, con cui pubblicherà i suoi primi lavori. Nei primi anni Venti inizia l’attività di docente universitario: prima a Bonn, poi a Berlino, dove l’università – ambiente in cui predomina il protestantesimo e il laicismo – gli affida la cattedra Weltanshauung cattolica, istituita appositamente per lui nel 1923. Dalle prime lezioni nasce il testo La visione cattolica del mondo. Dal 1935 al 1939 pubblica importanti lavori su pensatori come Pascal, Agostino e Dostoevskij. Inoltre raccoglie le meditazioni tenute alla Messa domenicale per gli studenti universitari con il titolo Il Signore.
L’impegno tra i giovani cattolici
L’impegno tra i giovani cattolici Nel 1925 è chiamato a presiedere il Quikborn, l’organizzazione che egli trasforma da movimento giovanile a movimento ecclesiale con spiccata passione culturale unita alla volontà di rinnovamento religioso, in un’epoca segnata da un senso di disorientamento e di crisi sociale. Come docente e predicatore universitario, egli offre sostegno spirituale e solidi orientamenti di vita alle generazioni studentesche postbelliche, non solo cattoliche, e la sua fama oltrepassa i confini tedeschi. Inizia a studiare la figura di Gesù Cristo e la Rivelazione cristiana raccogliendo trattazioni di taglio teologico filosofico, pedagogico, antropologico ed etico finalizzate a delineare una concezione religiosa dell’uomo e del suo compito nel mondo. In tale contesto nel 1929 esce L’essenza del Cristianesimo, piccolo ma importante saggio in cui Guardini mostra come il nocciolo del Cristianesimo consiste nella persona divino-umana di Cristo: «Il Cristianesimo non è una teoria della verità o una interpretazione della vita. Esso è anche questo, ma non in questo consiste il suo nucleo essenziale. Questo è costituito da Gesù di Nazareth, dalla sua concreta esistenza, dalla sua opera, dal suo destino».
I rapporti con i giovani della “Rosa Bianca”
I rapporti con i giovani della Rosa Bianca «Non c’è nessuna libertà senza coscienza - tanto meno può esservi coscienza, responsabilità morale in un essere che non è libero» (La Rosa Bianca) La “Rosa Bianca” è una piccola comunità amicale dove ci si permette il lusso di rigenerare la mente e il cuore, di scrollarsi di dosso il grigiore annichilente che avvolge e soffoca la società tedesca del tempo. Rappresenta una forza debole, soprattutto se paragonata ai potenti mezzi del Reich. Ha sede a Monaco di Baviera. Alla violenza nazista la Rosa Bianca oppone un’insopprimibile esigenza di libertà. Questi giovani non sono culturalmente sprovveduti. La loro sete di sapere è anche richiesta di radicamento interiore, di apertura all’istanza religiosa.
Gli anni della 2ª guerra mondiale e del dopoguerra
Gli anni della 2ª guerra mondiale e del dopoguerra Con l’inizio della seconda guerra mondiale la cattedra berlinese di Guardini viene soppressa e lui viene congedato. Poi gli si proibisce di parlare in pubblico. I suoi rapporti con il regime nazista si fanno tesi, tanto che dal 1943 al 1945 è costretto a lasciare Berlino e a ritirarsi in un piccolo paese della Svevia. In questa solitudine redige note autobiografiche (Appunti per un’autobiografia). Finita la guerra è reintegrato all’Università di Tubinga, che lascia dopo tre anni per l’università di Monaco di Baviera. Negli anni Cinquanta pubblica testi importanti come La fine dell’epoca moderna. Il potere. Nel 1956 Verona gli conferisce la cittadinanza onoraria. Nel 1961 è nominato membro della Commissione liturgica preparatoria del Concilio Vaticano II. Devolve i proventi che gli derivano dal “premio Erasmo”, conferitogli nel 1962 dal principe Bernardo d’Olanda, all’Editrice Morcelliana affinché si inizi la stampa dell’Opera Omnia, curata dal Centro Studi Filosofici di Gallarate. Nel 1965 declina l’invito di Paolo VI che vorrebbe nominarlo cardinale. In quell’anno pubblica il testo che costituisce quasi un testamento spirituale: La chiesa del Signore. Muore il 1 ottobre 1968 a Monaco.
L’impegno educativo
L’impegno educativo Negli Appunti per un’autobiografia (1945) Guardini afferma: «Essere sacerdote fu sempre per me l’essenziale, e l’attività d’insegnamento ha poggiato su questo». Giovane cappellano a Magonza, dal 1915 al 1920 è incaricato della guida spirituale della Juventus, un’associazione cattolica per studenti delle scuole superiori. Negli stessi anni inizia a lavorare nel Quickborn, il movimento giovanile cattolico, fondato nel 1910 e diretto dal pedagogista Bernhard Strehler (1872-1945), che, dal 1923 fino alla forzata chiusura da parte della Gestapo nel 1939, trova il suo centro nel castello di Rothenfels. Di tale movimento Guardini dal 1924 diventa guida e direttore spirituale, facendosi compagno di viaggio di molti giovani che in quegli anni del primo dopoguerra sono molto confusi e delusi. Come attestano Le lettere sull’autoformazione (1930), Guardini invita i giovani a superare le inconcludenze di un soggettivismo anarchico per conquistare una libertà responsabile, fondata sulla capacità di umanizzazione dell’eredità cristiana, capace di rispondere ai problemi della quotidianità. In pari tempo cerca di dare fondazione teoretica alla sua azione educativa. Con il saggio la Fondazione della teoria pedagogica (1928) - a cui si devono aggiungere almeno i successivi L’incontro (1955) e Le età della vita (1957) precisa la dimensione pedagogica dell’esistenza umana: l’esistenza è sempre e continuamente in divenire.
Monaco – L’università e la chiesa annessa
L’idea di università Ai giovani continua a dare il suo tempo, la sua guida e la sua compagnia anche nell’insegnamento universitario e nell’attività pastorale ad esso annessa. In Guardini al concetto dell’università come scuola di scienza si è sempre unito il concetto di università come scuola di formazione spirituale, che permetta di aggiungere al sapere e alla ricerca i momenti del comprendere, del giudicare e del formare. E egli realizza questo attraverso la scuola, il colloquio personale, le conferenze, la celebrazione eucaristica, la predicazione liturgica. Da questo tipo di attività uscirà, tra gli altri, un prezioso scritto, cui hanno attinto generazioni di giovani per la loro formazione cristiana, e che costituisce forse la sintesi più chiara della teologia guardiniana: Il Signore (1937).
Guardini e La fine dell’epoca moderna (1950)
La fine dell’epoca moderna (1950) Fra gli scritti di Guardini, questo aiuta a cogliere in profondità la questione del “postmoderno”. Già nella Premessa egli distingue tra Cartesio e Pascal. Mentre il primo «si realizza compiutamente nell’epoca moderna», il secondo «la supera, oltrepassandola», con la conquista una vera immagine della ragione. Guardini individua nei tre concetti-base di natura, soggetto e cultura gli «elementi fondamentali della nuova immagine dell’esistenza», tipica dell’uomo moderno. Queste categorie sono concepite in così stretta correlazione l’una con l’altra da comporre, una mentalità immanentistica, un modo d’intendere l’uomo e la vita che «non ha bisogno di alcun fondamento estraneo a sé, né tollera norma alcuna al di sopra di sé». A livello metafisico, il fondamento del reale viene cercato all’interno, in qualche elemento o dinamismo intrinseco, che può essere la natura, il divenire evolutivo, il progresso storico. Sul piano religioso c’è un «nuovo atteggiamento, ostile o indifferente verso la Rivelazione cristiana». In linea di principio non si esclude una qualche forma di religiosità, che però sarà diversa dalla fede della tradizione cattolica o riformata; e sarà sempre più incline a nuove forme mitiche o pagane, come le divinizzazioni ottocentesche della scienza e del progresso, e poi le dottrine rivoluzionarie o della superiorità di una razza sulle altre d’inizio Novecento.
La visione cattolica del mondo Quando parla di Weltanschauung, e più precisamente di “visione del mondo cristiano-cattolica”, Guardini intende uno sguardo integrale, un vedere che si fonda sulla fede e con essa abbraccia il mondo nella sua realtà viva. Visione unitaria che si sviluppa sulla scorta di un rapporto interattivo fra persona, mondo e Dio, coinvolgendo momenti teorici e atti pratici nel loro essere sintesi di astrazione e concretezza. La possibilità di vedere il mondo non solo nella sua superficie ma anche nella sua profondità appartiene all’ordine della contemplazione non a quello dell’azione. Parlare di visione-del-mondo dal punto di vista cattolico significa definire una dimensione diversa da quella strettamente scientifico-tecnologica. La scienza e la tecnologia, intese dal punto di vista dei loro sviluppi teorici e pratici, sono caratterizzate da una sempre maggiore specializzazione: «Le singole scienze prendono la totalità come meta finale che risulta dalla composizione delle particolarità. Ma il loro cammino verso tale meta è senza fine» (La visione cattolica del mondo).
La fede non è un ostacolo, ma una possibilità in più Guardini vuole dimostrare che l’adesione alla fede non implica la riduzione dello spazio della libertà personale. La fede non è sinonimo di chiusura nei confronti del mondo, ma bensì di apertura a tutto quanto di vero, di buono, di bello esso può offrire. In tal senso, il cristiano possiede la possibilità di vedere cose, persone, situazioni con occhi nuovi, di cogliere l’essenza realizzata nella concretezza, come unità di forma e contenuto. La Weltanschauung del cristiano è lo sguardo “religioso” che vede le cose provenire da Dio: e da Dio affidate all’uomo perché ne fruisca con libertà e responsabilità secondo il suo bisogno. Perché attraverso l’uomo il creato possa adempiere la sua intrinseca finalità e ritornare a Dio. Attraverso tale sguardo, si colgono nel mondo della creazione verità e bellezze che altrimenti rimarrebbero in penombra.
L’apostolato del pensiero Guardini concepisce la sua riflessione come un apostolato: portare il Vangelo di Cristo vivente nella Chiesa sulle frontiere della cultura contemporanea. Il successo delle sue lezioni fu indiscusso e, tranne una pausa nel periodo nazista, continuò a Tubinga e a Monaco, fino al compimento della sua vita accademica. «Nel discorso di ringraziamento per la celebrazione del suo 80° compleanno, nel febbraio 1965 all’Università “Ludwig-Maximilian” di Monaco, Guardini descrisse il compito della sua vita come una modo «di interrogarsi, in un continuo scambio spirituale, su cosa significhi una Weltanschauung cristiana». La visione, questo sguardo complessivo sul mondo, non è stato per Guardini uno sguardo dall’esterno, un mero oggetto di ricerca. Negli appunti sulla sua vita egli afferma: “Ciò che immediatamente mi interessava, non era la questione di cosa qualcuno avesse detto sulla verità cristiana, ma di cosa sia vero”. Ed è questa impostazione del suo insegnamento che colpì noi giovani, perché non volevamo conoscere uno “spettacolo pirotecnico” delle opinioni esistenti dentro o fuori la Cristianità: volevamo conoscere ciò che è. E lì c’era uno che senza timore e, al tempo stesso, con tutta la serietà del pensiero critico, poneva questa questione e ci aiutava a pensare insieme» (J. Ratzinger)
L’approccio teologico di Romano Guardini La figura di Romano Guardini è stato un vero polo di attrazione nel periodo tra le due guerre e anche oltre, se si pensa che nella Luswigkirke di Monaco ancora molti studenti negli anni Sessanta si raccoglievano per la sua predicazione settimanale. Il talento letterario e l’intuizione psicologica, unita a un modo di scrivere che quasi suggerisce i passi della ricerca, spingono Guardini a una particolare attenzione verso la descrizione fenomenologica, il vitale concreto, la conoscenza reale, più che la definizione concettuale. Si trova testimonianza di ciò in un suo scritto del 1925, che rielabora un saggio del 1917, su L’opposizione polare. Saggio per una filosofia del vivente concreto. L’“opposizione polare” a cui Guardini si riferisce è quella che si instaura tra rappresentazione e concetto, tra percezione sensibile della forma vivente e astrazione formale concettuale. Egli afferma che è necessario il continuo rimando del concetto alla visione del concreto, per correggere quel difetto tipico di concettualismo intellettualista che attraversa la tradizione filosofica e teologica occidentale.
Lo stile di Romano Guardini Come scrittore, Guardini adotta uno stile chiaro, dal ritmo per così dire “colloquiale”: la parola che egli propone non cade mai nel semplicismo o nell’approssimazione, così come la ricchezza tematica a lui propria mai si impiglia in forme retorica stancante: come pochi, egli possiede il talento di esprimere in forma semplice - e mai riduttiva - le cose più difficili. Usa gli elementi dottrinali con estrema maestria: in tal modo, dalla sua penna, l’argomentazione più circostanziata e precisa sgorga libera e si sviluppa senza alcuna pesantezza. «Un dotto che non mostra la sua dottrina, ma sa scioglierla nella dinamica del pensiero in modo che la frase, densa di contenuto e nello stesso tempo cristallina e scorrevole, ne conservi il sapore senza paludamenti eruditi» (Michele Federico Sciacca, La Chiesa e la civiltà moderna, Milano, 1969)
Il metodo dialogico Guardini è un uomo del dialogo. Le sue opere sorgono da un colloquio, almeno interiore. Le sue lezioni rappresentano soprattutto incontri con personalità della storia del pensiero. Guardini legge le opere di questi autori, li ascolta, impara da loro come vedono il mondo ed entra in dialogo con loro, per sviluppare in dialogo con essi ciò che egli, in quanto pensatore cattolico, ha da dire al loro pensiero. Questa abitudine è la peculiarità dello stile delle sue lezioni. La sua parola chiave è: «Vedete…», perché vuole guidare a “vedere” e lui stesso sta in un comune dialogo interiore con gli uditori. Questa è la novità rispetto alla retorica del tempo: egli non cerca nessuna retorica, parla in modo del tutto semplice e con verità, introducendo così al dialogo con la verità. Lo spettro dei dialoghi è ampio: Socrate, sant’Agostino, Pascal, Dante, Hölderlin, Mörike, Rilke e Dostojevskij.
Il senso della liturgia Alla liturgia Guardini si accosta quando è ancora studente, frequentando l’abbazia benedettina di Beuron, e grazie all’amicizia di J. Weiger, che in quella abbazia ha fatto il noviziato. Si avvicina poi al Movimento liturgico, di cui l’abbazia di Maria Laach e il suo abate, p. Herwegen, sonovivaci animatori. Nella collana «Ecclesia orans», Guardini pubblica Lo spirito della liturgia (1918), in vista di una formazione liturgica che riapra all’uomo di oggi un accesso vitale ai misteri della fede e del culto cristiano. Allo spirito della liturgia iniziò i suoi giovani studenti: il castello di Rothenfels diventa un centro di innovazione liturgica. Per un rinnovamento dell’arte cristiana Guardini scrive nel 1930 I santi segni. La riscoperta della liturgia è per Guardini una riscoperta dell’unità fra spirito e corpo nella totalità dell’unico essere umano, poiché l’atto liturgico è sempre allo stesso tempo un atto corporale e spirituale. Il pregare viene dilatato attraverso l’agire corporale e comunitario, e così si rivela l’unità di tutta la realtà. La liturgia è un agire simbolico. Il simbolo come quintessenza dell’unità tra lo spirituale e il materiale va perso dove entrambi si separano, dove il mondo viene spaccato in modo dualistico in spirito e corpo, in soggetto e oggetto. Per Guardini l’uomo è spirito in corpo e corpo in spirito; pertanto, la liturgia e il simbolo lo conducono all’essenza di se stesso, in definitiva lo portano, tramite l’adorazione, alla verità.
Il soggetto della liturgia è la Chiesa
Il soggetto della liturgia è la Chiesa «Il soggetto, l’io, della liturgia è l’unione della comunità credente come tale, è qualcosa che trascende la semplice somma dei singoli credenti, insomma, è la Chiesa». Questo introduce un elemento di ordine, di oggettività perché «la natura e la grazia hanno le loro regole»: non si può fare tutto a proprio uso e consumo. Anche la vita spirituale ha bisogno di una forma, di un ordine. La liturgia rappresenta questa disciplina che la Chiesa suggerisce alla vita spirituale. Certo, la preghiera deve essere vissuta e in qualche modo aderire anche al proprio sentire; ma non può essere un semplice effluvio di sentimenti devoti, pena un insopportabile narcisismo spirituale. Perciò la liturgia «mostra anzitutto che la vita di preghiera della comunità deve essere sostenuta dal pensiero». La preghiera va diretta, sostenuta e rischiarata dal pensiero, dalla verità della fede, che «ci scioglie dalla schiavitù del sentimento, dalla sua vaporosità e inerzia».
Il rapporto tra singolo e comunità
Il rapporto tra singolo e comunità Da un lato, la liturgia chiede alla singola persona – che oggi tende a pensarsi come un’individualità isolata, come una monade – un atto di umiltà, che consiste nella rinuncia alla propria pretesa di assoluta indipendenza e autonomia; essa «esige da lui che accolga come proprio un più ampio contenuto di vita e precisamente quello della comunità; che vi dispieghi le sue energie che lo porti nella coscienza, vi consenta e lo valorizzi». Ma nemmeno la comunità è tutto: «La dimensione sociale della liturgia, per quanto sia piena e sincera, è ben lontana dall’esigere l’illimitato sacrificio della propria personalità». La persona è inserita in una comunità, ma rimane se stessa; la comunione non significa fusione indistinta, ma è un essere insieme nella preghiera. Pertanto, «l’unione dei membri non ha luogo subito tra persona e persona, bensì si compie nell’orientamento degli spiriti verso la stessa meta, nella medesima professione di fede, nel medesimo sacrificio, nello stesso sacramento». Questo distingue la Chiesa dall’esperienza delle sètte: «nonostante ogni comunanza, l’uno non può mai violare l’intimità dell’altro». Tra persona e persona si instaura una giusta e fraterna vicinanza, che è anche giusta e rispettosa distanza.
Il rapporto tra spirituale e corporeo
Il rapporto tra spirituale e corporeo Anche su questo punto la liturgia ha molto da insegnare. Essa esprime una valorizzazione del corporeo: tutto l’essere dell’uomo, nel rito ogni senso viene valorizzato: si intrecciano la bellezza delle forme, la concretezza dei gesti, il risplendere della luce, la solennità dell’incedere, il profumo dell’incenso, la musica dell’organo, ecc. Il linguaggio della liturgia è simbolico. Un simbolo «sorge quando qualcosa d’interiore, di spirituale, trova la sua espressione nell’esteriore, nel corporeo». Perciò sbaglia chi vorrebbe ridurre il corporeo a «una tara, un’imperfezione che fatalmente trova in sé e cerca di eliminare». Ma nemmeno si può cadere nell’errore opposto, incentrando tutta l’attenzione sull’aspetto materiale. «Invece, relazione e distinzione sono entrambe necessarie a creare un simbolo», il quale vive di questa reciproca compenetrazione di corporeo e spirituale. Infatti, il compiere fisicamente un gesto possiede una vera e propria «efficacia liberatrice, poiché permette alla vita interiore un’espressione più adeguata di quel che lo possa la sola parola».
La liturgia ha un senso, non uno scopo
La liturgia ha un senso, non uno scopo «Scopo e senso sono i due modi di presentarsi del fatto che una cosa esistente ha motivo e diritto al proprio essere. Dal punto di vista dello scopo, una cosa si inserisce in un ordine che va oltre di essa; nei riguardi del senso, essa riposa in se stessa […]. Lo scopo è il fine dello sforzo, del lavoro, dell’ordine; il senso è il contenuto dell’esistenza, della vita che fiorisce e matura». Anche la vita della Chiesa si articola nel solco di questa polarità: da un lato abbiamo, per esempio, il diritto canonico: «qui tutto è mezzo ordinato a un unico scopo, quello di mantenere in efficienza la grande macchina della amministrazione ecclesiastica». Qui la conformità al fine preposto è un criterio essenziale. La liturgia è altro: essa non ha uno scopo, ha però un senso; essa «non è una tappa sulla via che conduce a una meta che sta fuori di essa, bensì un mondo di realtà viventi che riposa in se stesso». La liturgia è bellezza, libera da scopo, pura gratuità; in questo senso essa è affine al gioco e all’arte, a forme di vita senza scopi, ma quanto mai ricche di significato: «Fare un gioco dinanzi a Dio, non creare, ma essere un’opera d’arte: questo costituisce il nucleo più intimo della liturgia. Di qui la sublime combinazione di profonda serietà e di letizia divina che in essa percepiamo».
Il primato del logos sull’ethos La liturgia è ben lontana dal didatticismo morale: non fornisce delle istruzioni sulle cose da fare: «Il senso della liturgia è questo: che l’anima stia dinanzi a Dio, si effonda dinanzi a Lui, si inserisca nella sua vita, nel mondo santo delle realtà, verità, misteri, segni divini, e così si assicuri la vera e reale vita sua propria». Questo però non equivale a promuovere l’estetismo. La liturgia non ha valore per la mera armonia estetica delle sue forme, ma per la verità salvifica e per la vita di fede che essa esprime: «Chi aspira a una “vita in bellezza”, non può voler null’altro che essere vero e buono». La gratuità della celebrazione liturgica detiene la priorità rispetto all’agire finalizzato: al logos spetta il primato sull’ethos. Il primo posto nell’ambito complessivo della vita va assegnato non all’agire, ma all’essere: «Non voler far sempre qualche cosa, raggiungere qualche cosa, produrre qualcosa od ottenere un utile, bensì apprendere a fare in libertà, bellezza, santa letizia dinanzi a Dio: questo è il gioco da Lui regolato nella liturgia».
La riflessione sulla libertà 1. Per quanto preziosa, la libertà esterna è solo il primo passo nel regno della libertà. Perché ci sia una vera libertà occorre maturare una coscienza critica rispetto all’opinione pubblica, alle mode correnti in un ambiente o in gruppo sociale. Se non si sta attenti, si rischia di lasciarsi trascinare e la folla ci rende irresponsabili. Occorre liberarsi dalla «schiavitù dei molti». 2. Ma si può anche essere «schiavi di pochi». Talvolta una classe, un gruppo, è dominato da una piccola fazione oppure da un solo individuo. Si tratta talvolta di una schiavitù affettiva, di un’amicizia che minaccia di trasformarsi in soggezione.
3. Si può essere schiavi anche di cose, non solo di persone. Una ghiottoneria può renderci tanto golosi da farci dimenticare tutto il resto e non riuscire più a distaccarcene. Tale attaccamento può rendere il nostro cuore del tutto inquieto, può rubargli ogni gioia. Questa libertà dalle cose va ottenuta anche a costo di essere duri con noi stessi. 4. Si è davvero liberi quando non si è più schiavi di se stessi, dei propri istinti, delle proprie voglie. La libertà autentica esige la capacità di domare abitudini, istinti, passioni che ci legano. La vera libertà va quindi conquistata palmo a palmo, con una lotta ardua e continua. 5. Tre sono le vie per giungere alla libertà: la conoscenza, la disciplina e l’unione. a) Anzitutto la conoscenza: uno è tanto più schiavo quanto meno sa di esserlo. Assumere consapevolezza dei condizionamenti che ci limitano (moda, opinione pubblica, cattive abitudini…) è già un modo per superarli. Certo, non basta sapere; occorre anche capire, ricercare le radici profonde delle nostre schiavitù. Solo la verità rende liberi. b) Ma la pura conoscenza non è sufficiente: c’è bisogno anche di sacrificio e di disciplina onesta, costante, quotidiana. I propositi perdono forza con il tempo: occorre riprenderli con nuovo slancio. Alla libertà è necessario conservare un certo ordine esteriore e interiore. c) Infine, per essere liberi c’è bisogno di una comunione, occorre mantenere legami.