L’Istat: Pil sottozero anche nel terzo trimestre. Ma Padoan fa finta di niente e scrive il solito Def ottimista. Come Berlusconi, Monti e Letta
Mercoledì 1 ottobre 2014 – Anno 6 – n° 270
e 1,30 – Arretrati: e 2,00
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LA PROVA DEL NAZARENO
IL PARTITO UNICO C’È GIÀ PD & FI, I VOTI FOTOCOPIA
Nel primo anno e mezzo di legislatura, i due partiti “avversari” hanno votato quasi sempre allo stesso modo: Zanda e Verdini nel 99,8% dei casi, Boschi e Gelmini nel 90,3. Ieri l’Agcom ha regalato 200 milioni a Mediaset e Rai: il commissario pidino s’è astenuto Tecce » pag. 3 - 6 Udi Andrea Scanzi
IL CAIMANO, SALLUSTI E I RENZIANI DELL’ALTRA SPONDA » pag. 6
LaPresse
» ALZO ZERO » ”Il Paese non sta col sindacato”
Renzi spara: “Altri 100 euro”. E sfida la Cgil in piazza
Domani Jobs Act in Senato: i dissidenti ci provano. Ma ormai i giovani furbi – da Orfini a Speranza – stanno con Matteo d’Esposito e Marra » pag. 2 - 3
» NOMINATA E POI BOCCIATA » È ufficiale: la consigliera Pd “non ha i titoli” 80 euro e Tfr nel materasso: gli italiani non spendono
Cannavò » pag. 11 - 14
DON CAMILLO ADDIO
Brescello, la gente tifa per il sindaco che stringe la mano al boss
Csm, ennesima figuraccia: la Bene non va bene
Il nuovo Consiglio Superiore si insedia, elegge Legnini vicepresidente ed “espelle” l’avvocatessa ex consulente del ministro Orlando quando era all’Ambiente. Napolitano furioso: “Parlamento frettoloso e disattento”. In serata altro schiaffo al Colle: fumata nera numero 15 per Violante e per l’indagato Bruno alla Consulta Mascali e Massari » pag. 5
USA, LE NUOVE REGOLE
“Sì dev’essere sì”: come fare sesso nei campus, senza rischiare lo stupro
L’avvocatessa Teresa Bene, eletta membro laico del Csm in quota Pd e rimandata indietro perché ineleggibile Ansa
» I “CIE” PRIVATI
Una Guantanamo in Germania: botte ai migranti Eccheli » pag. 16
LA CATTIVERIA
Milosa » pag. 9
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Ambrosi » pag. 18
Il premier: “Io sto con chi si alza presto la mattina”. Di solito arriva dopo caffè e sigaretta
» www.spinoza.it
L’asineria al potere di Marco Travaglio
er dire come siamo ridotti, ci tocca pure dar P ragione a D’Alema: Renzi parla di cose che non conosce, confidando nel fatto che non le co-
nosca nessuno, grazie alla collaborazione straordinaria dei tg e dei giornali. Sulla giustizia dice che in “20 anni di derby ideologico fra berlusconiani e antiberlusconiani” non s’è fatta una sola riforma: invece se ne sono fatte 120, con i bei risultati a tutti noti; e lui prepara la 121esima, degno coronamento delle altre 120. Sull’abolizione delle elezioni per il Senato dice che “se ne parla da trent’anni”, mentre nessuno – a parte Gelli nel Piano di Rinascita del 1976 – ne aveva mai parlato né sentito il bisogno. Sulle Province dice “le abbiamo abolite”, invece s’è limitato a cambiare loro il nome, ad abolire le elezioni e a moltiplicare le poltrone. Sull’articolo 18 dice che è “vecchio di 44 anni”: invece è stato riformato due anni fa, quando lui era contrario. Dice pure che “D’Alema ha avuto la fortuna di governare quando c’era la crescita: è allora che bisognava riformare il mercato del lavoro”. Infatti fu riformato con la legge Treu del 1997, con la Maroni-Sacconi del 2003 e con la Fornero del 2012: col risultato di moltiplicare i precari e i disoccupati che lui, perseverando sulla stessa strada, vorrebbe ridurre. La cialtroneria, il pressappochismo, l’ignoranza crassa e la menzogna sistematica per nascondere le tracce sono i tratti distintivi di questa “nuova” classe politica che dà lezioni alla “vecchia guardia”. E, come diceva Goethe, “nulla è più terribile dell’ignoranza attiva” tipica di chi vuol dimostrare ogni giorno di essere giovane e nuovo. Per dirne una: lo sapevano e lo scrivevano tutti che l’avvocatessa Teresa Bene non aveva i titoli per entrare al Csm: non è docente ordinario e non ha 15 anni di professione forense. Ma l’han votata lo stesso: ieri è stata cacciata perché ineleggibile. Un figurone. Renzi, almeno, conserva un punto a suo favore: quando la vecchia guardia faceva danni, lui non c’era. Ma i nove decimi dei suoi renzini, riciclati dell’ultima o penultima ora, c’erano e facevano danni anche loro. Eppure fanno i bulli con la stessa sua protervia nuovista, manco fossero nati ieri. Sentite questa: “Non credo che un dirigente del Pd dovrebbe provare imbarazzo a stare vicino a metalmeccanici che difendono il proprio lavoro e i propri diritti solo perché qualche estremista passa di lì”. È di Matteo Orfini quand’era ancora dalemiano e spiegava “perché sarò in piazza con la Fiom”. Era il 22 febbraio 2012 e la Fornero si accingeva a una riforma dell’art. 18 molto più blanda di quella annunciata da Renzi col consenso di Orfini (ma non della Fornero, che li scavalca entrambi a sinistra). Oggi Orfini annuncia: “Se ci sarà una manifestazione della Cgil, la guarderò in tv, il sindacato ha la colpa di essersi voltato dall’altra parte”. Lui invece ha cambiato verso, ma soprattutto poltrona: presiede il Pd renziano. Nel 2002 Cofferati portò 3 milioni di lavoratori al Circo Massimo contro B. che voleva levare l’articolo 18. E a spellarsi le mani c’era Piero Fassino: “Sull’articolo 18 il governo ha fatto una sciocchezza” urlava, eccitatissimo per la “manifestazione serena e compatta di un grande movimento di opposizione”. Per Paolo Gentiloni, “la straordinaria manifestazione di Roma non è in contrasto col nuovo riformismo”. Non poteva mancare Enrico Morando, ora viceministro dell’Economia e gran tifoso di Renzi contro l’articolo 18, come pure Gentiloni e Fassino. Ieri Roberto Giachetti contava quanti giorni han governato Bersani, D’Alema, Bindi e altri antirenziani, dimenticando quanti giorni han governato i neorenziani: “Sono stati al governo migliaia di giorni e ancora pontificano e propongono soluzioni miracolose come se non avessero mai potuto mettere alla prova i loro messaggi salvifici”. Vuoi vedere che Giachetti è appena atterrato da Marte? Può essere, sempreché sia solo omonimo del Giachetti che dal ‘93 al 2001 fu il braccio destro di Rutelli al Comune di Roma, poi 13 anni fa entrò alla Camera per non uscirne più: prima Margherita, poi Ulivo, infine Pd. E ancora pontifica. Perché Renzi è come il Dash: lava più bianco.
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DISACCORDI
MERCOLEDÌ 1 OTTOBRE 2014
LdiaMatteo: settimana Londra, Ferrara e Assisi
A METÀ settimana Renzi torna turbo Renzi: e così inanella una serie di appuntamenti, tutti a scopo autopromozionale (e all’occorrenza elettorale), in giro per l’Europa e per l’Italia. Domani va a Londra: vedrà il primo ministro britannico David Cameron, ma avrà anche incontri con l’editorial
board dell’Economist e del Financial Times e con un gruppo di imprenditori alla Guildhall della city di Londra. Pronto a vendersi la vittoria in direzione sull’articolo 18. Venerdì è la volta del Festival di Internazionale a Ferrara: lo interrogheranno Michael Braun della Die Tageszeitung, Irene
il Fatto Quotidiano
Hernendez Velasco per El Mundo e Ferdinando Giugliano del Financial Times. Peraltro, bagno di folla garantito per un appuntamento molto frequentato, soprattutto da giovani. Sabato, invece, è la volta della Chiesa: rappresenterà la Nazione alle celebrazioni in onore di San Francesco
d’Assisi Patrono d’Italia. Dopo la Messa e l’accensione della lampada del Santo, il Presidente parlerà alla Nazione. Ovviamente in diretta su Rai1. E non finisce qui: il pomeriggio potrebbe andare alle acciaierie di Terni. Appuntamento più delicato. Palazzo Chigi non ha confermato.
RENZI PROMETTE CENTO EURO E VA ALLA PIAZZA CONTRO PIAZZA IL 25 OTTOBRE, CON I SINDACATI A SAN GIOVANNI, PRESIDIA LA LEOPOLDA A FIRENZE di Wanda Marra
C
i hanno anche risolto il problema di chi ci fa la manifestazione contro mentre facciamo la Leopolda”. Così Matteo Renzi che si fa intervistare da Ballarò nel cortile di Palazzo Chigi, il giorno dopo la direzione del Pd. E va al frontale con Susanna Camusso. Un’altra promessa: “Cento euro in busta paga dal recupero del Tfr”. E la leader Cgil derubrica “un altro annuncio roboante”. Mentre promette un autunno caldo: “Non è finita qui”, dice. E giura al Jobs act “una strada costellata dalla mobilitazione”. La contrapposizione fisica oltre che ideologica è in programma per il 25 ottobre: manifestazione sindacale a Roma a San Giovanni, a Firenze la Leopolda renziana. Un po’ l’altro partito, l’altra direzione, l’altro popolo. E via di questo passo. “Ho grande rispetto per i sindacati. Ma dov’erano negli anni in cui si creava il precariato e i diritti dei ragazzi venivano cancellati? Tornano in piazza ora? Bene! Viva! Che bello! Ma io nel frattempo non mollo”. C’È DA GIURARE che le esclamazioni di giubilo del presidente del Consiglio siano sincere. Ieri, Confindustria attraverso il Sole24 ore, gli ha fatto qualche rilievo sulle modifiche votate in direzione all’articolo 18: il reintegro previsto per motivi disciplinari produrrebbe una rifor-
ma “annacquata” per gli elementi di incertezza introdotti alle imprese. “Se D’Alema non ci fosse, bisognerebbe inventarlo. Tutte le volte che parla guadagno un punto nei sondaggi”, dice, non a caso, Renzi. E in effetti, senza l’attacco in direzione del Lìder Maximo e di Bersani alla fine sarebbe risultato evidente che il premier una mediazione comunque l’ha fatta, mentre invece è passato esattamente il messaggio che lui voleva trasmettere: l’asfaltamento dell’articolo 18. I nemici a Renzi non dispiacciono. Ma è anche alla ricerca di
OPPOSITORI Al Senato i dissidenti sono una quarantina. Ma per adesso si tratta col primo ministro che già mette la fiducia nel piatto amici: tant’è vero che sabato va ad Assisi, per le celebrazioni di San Francesco, con tanto di discorso alla nazione. La Chiesa è meglio non averla contro. La Camusso comunque tiene aperto un fronte caldo, proprio il giorno dopo le divisioni di una minoranza dem, che stenta a trovare una linea politica. E che a Palazzo Madama, dove il jobs
act è alla prova dell’aula, avrebbe pure i numeri per contare. Non per niente, l’inizio delle votazioni è slittato da oggi alla settimana prossima: si cerca una mediazione. Ma poi, Renzi vuole chiudere per mercoledì notte. E la fiducia è un’ipotesi che sale. Il governo sulla Carta ha 167 voti. Ma l’incognita sono 30-40 senatori del Pd. In 38 hanno firmato degli emendamenti (Magda Zanoni, dei “giovani turchi” ritirerà la firma). Al netto di questi, ci sono circa 25 bersaniani e una decina tra civatiani (Ricchiuti, Albano, Casson, Mineo, Lo Giudice, Tocci) e dissidenti spuri (come Corsini e Dirindin). Che faranno? Ieri mattina in Senato c’è stata la riunione del gruppo dem. Nessun voto, mentre il capogruppo Zanda annunciava un “possibile emendamento del governo” alla legge delega. Toni bassi. “A nessuno gliene importa niente del merito”, racconta chi c’era. Ognuno cerca di capire come si metterà. Non a caso sia Vannino Chiti (il portabandiera dell’opposizione alla riforma costituzionale), che il bersaniano Gotor o Casson parlano di aperture positive e di ricerca di una mediazione. La palla comunque è al governo. “Terremo conto di tutta la nostra ampia maggioranza”, spiega il vice segretario Pd, Guerini. Perché Ncd non è proprio contenta di come la direzione ha indicato la strada. E poi, il governo vuole evitare che il licenziamento disciplinare diventi una variabile troppo ampia: dunque,
bisognerà capire come scriverlo. La strada più semplice per trattare con la minoranza, ovvero recepire alcuni emendamenti, potrebbe non essere quella da percorrere. Se la mediazione è troppo complicata il governo metterà la fiducia. Con la promessa di modificare qualcosa alla Camera e tenendosi le mani libere per inserire le cose vere nei decreti attuativi. Il più ribelle di tutti, Civati: “Allora servirà una valutazione politica. Perché far cadere il governo potrebbe essere disastroso. Ma sia chiaro che mettere la fiducia è una sconfitta di Renzi”.
Chiara Geloni ontinuano a dire che la C gestione Bersani ha sprecato i soldi del Pd, che
Pier Luigi ha sempre perso, che adesso interviene solo alla ricerca di un suo interesse personale”. Chiara Geloni, ex direttrice di Youdem (a 6000 euro al mese), fedelissima dell’ex segretario, una delle poche a essere fatta fuori da tutto nell’era renziana, così si spiega il riferimento al “Metodo Boffo” di Bersani lunedì in direzione. Ma ci tiene a fare una premessa: “Non ho parlato con nessuno, non sto interpretando il pensiero di
Metodo Boffo
“Ci accusano anche sui soldi” nessuno. Sono io che la vedo così”. “Metodo Boffo” non è un’espressione pesante?
Sì, ma sono state fatte accuse durissime. Per carità, certe cose in un partito si dicono. Ma visto che si parla solo in streaming, allora finisce che si dicono
così.
Renzi e Bersani non si parlano?
Non mi risulta che ci siano altre occasioni di dialogo.
Anche a Renzi sono state fatte accuse molto pesanti. L’Unità gli diede del fascistoide, per esempio. L’Unità non era Bersani. Si
trattava di un’espressione in un pezzo di Michele Prospero. Non è un caso paragonabile. wa.ma.
VOLTI NUOVI
I giovani furbi che sotterrano i loro vecchi di Fabrizio d’Esposito
nteso come sede nazionale I del Pd non come sinonimo del patto segreto tra B. e il pre-
D’Alema e Ulisse Bersani. La vecchia guardia della ditta postcomunista. Quando però è arrivato il momento topico di contarsi e schierarsi, una decina di figli si è divincolata dalla mano paterna ed è andata incontro, festante, ai Proci renziani. Per loro, la scheda bianca ha incarnato il fragile punto di equilibrio tra la poltrona e l’antica fedeltà. In tutto undici astensioni, mentre i padri arrabbiati e altri diciotto votavano contro il documento renziano sul lavoro.
mier, il Nazareno non è Itaca. È Giuseppe Civati detto Pippo, che è anche filosofo, a fare la didascalia perfetta per la tragedia greca di lunedì sera: “Ulisse è ritornato ma non ha trovato il figlio Telemaco a casa, che è fuggito e si è alleato coi nemici Proci”. Fu Matteo Renzi a intestarsi la roboante definizione di generazione Telemaco, ma l’altro giorno nella storica direzione demo- IN POLITICA si tramanda che il crat sull’articolo 18 è successo tradimento non esiste. Laddove pure che taluni padri si sono non c’è sentimento ma solo cipersi altri figli. Di Ulisse, ne so- nismo e calcolo le convenienze no tornati addirittura due e in- prevalgono sempre. Ma ha fatto sieme hanno sommato i venti minuti più roventi CIVATI E LA SORTE DELLA DITTA della riunio- “Ulisse è ritornato ma non ha trovato ne. In ordine il figlio Telemaco a casa, che è fuggito d’apparizione: Ulisse e si è alleato coi nemici Proci”
effetto vedere il calabrese Nico Stumpo votare in maniera differente da Pier Luigi Bersani. Il primo astenuto, il secondo contrario. Stumpo è stato il Pietro Secchia del bersanismo. Sul finire del 2012, toccò a lui confezionare e gestire le primarie più complesse della storia politica universale per evitare la vittoria dell’Usurpuratore di Firenze. Dice Stumpo: “La politica è comportarsi in funzione di quello che accade. E Renzi ha fatto delle aperture. Sia chiaro:
la mia astensione non sposta di una virgola il mio rapporto con Bersani”. Sarà il tempo a dirlo. Poi, Speranza. Come Roberto Speranza, ex giovane dalemiano lucano, che nella drammatica primavera del 2013 Bersani innalzò sullo scranno autorevole di capogruppo della Camera. Da allora Speranza è diventato il modello del soldatino democratico del terzo millennio. Un po’ come accadeva un tempo per togliattiani e berlingueriani. Col piglio del capogruppo, Speranza
ha scoperto il poterismo in un’altra drammatica circostanza: il mortale accoltellamento del governo di Enrico Letta dopo il trionfo renziano nel dicembre del 2013. Speranza, con la complicità di Luigi Zanda e Dario Franceschini, intonò, allo stesso tempo, il De Profundis per Letta e la gioiosa antifona d’ingresso per Renzi a Palazzo Chigi. Adesso ha concesso il bis, con la sua astensione. Bersani avrebbe voluto trasformarlo nel leader di Area Riformista, il cor-
rentone che riunisce più di un centinaio parlamentari dell’opposizione interna, ma Speranza è destinato a incrociare sempre più il renzismo. Del resto, lunedì scorso, mentre gli ex padri tuonavano dal microfono lui trattava con gli emissari del premier per ottenere miglioramenti. Stumpo, Speranza, persino Paola De Micheli. Nota come indomita guerriera del lettismo (nel senso di Enrico) che impalma il bersanismo, anche lei ha ceduto alla tentazione opportunista
Matteo Orfini Ansa
Paola De Micheli Dlm
Roberto Speranza Ansa
Nico Stumpo Ansa
E ACCORDI
il Fatto Quotidiano
L’ autore di House of Cards al premier:
“Non è un manuale”
HOUSE of Cards non è un manuale di politica. Michael Dobbs, l’autore britannico dei libri da cui è tratta la celebre serie sulle trame del potere, ha lanciato un monito al premier Renzi. “Quando ho saputo che Renzi aveva acquistato una copia in libreria a Roma, ho ritenuto prudente inviargli una nota per ricor-
dargli che il libro è solo intrattenimento e non un manuale d'istruzioni” ha detto Dobbs durante l’International Communication Summit Europe. Renzi è un estimatore della serie, che racconta la vita di Frank Underwood, un politico senza scrupoli, tanto che a maggio disse che “la formazione politica può pas-
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sare anche attraverso le serie televisive”. E l’entourage renziano aveva capito perfettamente a quale serie si riferiva. Anche se Renzi ha preso le distanza dal personaggio nell’ultima intervista di Fabio Fazio, Sir Michael Dobbs, che è membro della House of Lords, ha pensato che fosse meglio ammonirlo.
CONSONANZE
Sono tutti Nazareni Tra Camera e Senato il voto è già bipartisan OPENPOLIS DÀ LA POSSIBILITÀ DI CONFRONTARE LE DIVERSE VOTAZIONI DEI PARLAMENTARI: FI E PD SONO COMPATTI di Carlo Tecce
LA SFIDA
Susanna Camusso, segretario della Cgil e Matteo Renzi, primo ministro democratico Ansa/LaPresse
fatto a mano
della scheda bianca. E si arriva così ai dalemiani. L’astensione di Enzo Amendola, campano, è compatibile con il suo incarico nella nuova segreteria renziana. Idem per la bersaniana Campana. Spiega Amendola, lapidario: “Io non ho mai avuto il complesso dei padri e mi sono attenuto al merito perché abbiamo ottenuto delle concessioni”. FINO A QUALCHE anno fa, il da-
lemismo, per i cultori della materia, è stato una sorta di materialismo scientifico della sinistra italiana. Una severa scuola di tattica, dove apprendere l’arte della guerra e i rudimenti del realismo togliattiano. E Matteo Orfini, presidente dell’assemblea e della direzione, si è ricordato degli antichi insegnamenti dalemiani quando il bersaniano Davide Zoggia si è avvicinato a lui, sempre lunedì, e gli ha chiesto il voto del documento per parti separate. Orfini l’ha liquidato da vero commissario del popolo (renziano): “Mi dispiace ma non si può fare. Altrimenti non finiamo più”. Chiosa Gianni Cuperlo, che con Bersani, D’Alema, Civati e Fassina, for-
ma il quintetto base dell’opposizione antirenziana: “Orfini, respingendo il voto per parti separate, è venuto meno ai suoi doveri di presidente garante”. Senza dimenticare, l’immagine di Orfini che picchietta sul microfono per far capire a D’Alema e Bersani che il loro tempo per gli interventi è scaduto. Non solo quello a dire il vero. Dopo la fase calva dei lothar alla Velardi e Rondolino, il dalemismo rinacque con i barbudos alla Orfini. Da quel ceppo sono venuti fuori i Giovani Turchi, ribattezzati Giovani Furbi, che due anni fa si proponevano di fare i neolaburisti. Erano Orfini, Orlando e Fassina. Oggi i primi due, uno presidente dell’assemblea, l’altro Guardasigilli, ambiscono a fare la sinistra del renzismo in un recinto dove il Capo non fa toccare palla a nessuno. Ma nel fu dalemismo, il volto più cangiante è quello dello storico Roberto Gualtieri. D’Alema lo inventò europarlamentare per dimostrare la sua forza e i due erano davvero padre e figlio. Lunedì, Gualtieri non si è astenuto, ha votato direttamente a favore.
L
uigi è di Cagliari, rigoroso, avvocato, dirigente per il Giubileo, ex democristiano, ulivista, unionista. Denis è di Fivizzano, ex macellaio, inquisito, uomo di pallottolieri parlamentari. Luigi è il capogruppo democratico al Senato; Denis è il manovratore di Silvio Berlusconi. I renziani possono stare sereni: seppur non sia così plateale, visibile, la sintonia tra Luigi Zanda e Denis Verdini risplende tra le statistiche di Open Polis (riportate da Piazzapulita) che misurano la “coincidenza” nel pigiare i tasti di Palazzo Madama, dire sì, no, forse cioè astenuto. In 551 occasioni su 552, assieme presenti, assieme si sono espressi e assieme si sono trovati d’accordo il 99,8% delle volte. Verdini non frequenta molto l’aula, anzi è un abituale disertore: quando va a visitare i colleghi, soprattutto per impartire la lezione di scuderia, potrebbe sedere tra i banchi democratici. Perché non ci sono differenze sostanziali, e non s’offenda il senatore Ugo Sposetti, estremo custode di una rottamata memoria comunista e poi diessina, se i suoi voti somigliano a quelli di Verdini,
99.VO8TI% UGUALI
90.VO3% TI UGUALI
82VO.1TI% UGUALI
90.7 % VOTI UGUALI
I tagli al Parlamento? Pure il Questore dice che sono finti di Gianluca Roselli
ll’annuncio nel luglio scorso i dipendenti A della Camera avevano protestato con forza, tanto da suscitare l’ira di Laura Boldrini. Ieri il
famoso taglio degli stipendi, con l’adeguamento al tetto dei 240 mila euro come per tutti i dipendenti pubblici, è finalmente arrivato. Il vento della spending review soffia anche sul Palazzo. Ma per alcuni si tratta di una bufala. Soldi che escono dalla porta per rientrare dalla finestra. Il nuovo tetto delle retribuzioni di Montecitorio sarà di 240 mila euro per i consiglieri; 166 mila per documentaristi, ragionieri e tecnici; 115 mila per i segretari; 106 mila per collaboratori tecnici; 99 mila per collaboratori e assistenti. Un’operazione che, secondo la Boldrini, porterà a un risparmio in quattro anni di 60,15 milioni a Montecitorio e 36,76 a Palazzo Madama per un totale di 97 milioni di euro. “Abbiamo preso una decisione senza precedenti”, esulta il presidente della Camera. Le retribuzioni del Palazzo, infatti, sono altissime. Basti pensare
che un semplice barbiere a Montecitorio può guadagnare 120 mila euro, mentre il segretario generale arriva a 480 mila. MA ANCHE IN QUESTA RIFORMA c’è l’inghippo.
Il tetto dei 240 mila, infatti, non tiene conto degli oneri previdenziali e delle indennità di funzione. Netto invece che lordo, quindi. Se invece vengono compresi, ecco che la cifra sale a 360 mila. I tagli inoltre saranno scaglionati su quattro anni, quindi la riforma avrà piena applicazione nel 2018. Non cambia, infine, l’aumento del 2,5 per cento annuo automatico, che non ha pari in nessun’altra categoria professionale. “I tagli sono modesti. La situazione emergenziale del Paese avrebbe richiesto più coraggio. Peccato, perché era una buona occasione per accorciare la distanza siderale tra il Paese reale e le istituzioni”, afferma Stefano Dambruoso, deputato questore di Scelta civica, che si è astenuto. Ma Dambruoso ha fatto di più. Calcolatrice alla mano, ha dimostrato come un consigliere parlamentare con questi tagli nel 2015 avrà una retribuzione di 360 mila euro. Anche i grillini protestano. “È una riforma truffaldina, il taTRUCCHI CONTABILI glio è un falso, un’illusione ottica”. L’azzurro Maurizio GaDambruoso (Sc) fa i conti: il tetto a 240 sparri, invece, è soddisfatto, ma mila euro l’anno è solo sul netto. Con chiede che la sforbiciata tocchi le indennità si arriva a 360 mila anche al Quirinale.
s’incastrano quasi a perfezione, si sommano con tremenda benedizione matematica: al 99,7% il marchigiano Ugo e il toscano Denis sono uguali. Sposetti non batte Zanda, però lo tampina in questo primato tra alleati che mal si vogliono e ben si pigliano. CI SONO DEI MESI di oppri-
mente distanza da recuperare, ma il rapporto (statistico, sia chiaro) tra Paolo Romani, il capo dei forzisti, e la truppa dem è un rapporto che va oltre gli abbracci e le carezze dopo la riforma del Senato. Zanda è l’omologo di Romani, anche se i partiti (in teoria) non sono per niente omologhi: superati i dissensi, la coppia viaggia sul 90% d’intesa al momento di schiacciare il pulsante. A questa media viaggia anche il ribelle Miguel Gotor, bersaniano, aspramente critico con Matteo Renzi, dolcemente vicino ai forzisti. Anna Finocchiaro fa meglio di Gotor: in 2003 casi su 2188 (91,5%), la siciliana ha votato come Romani. I numeri sono spietati e ci sarà un motivo a noi sconosciuto, ma il sodalizio Antonio Razzi e Domenico detto Mimmo Scilipoti è sfaldato, usurato: 2373 su 3429 votazioni (69,2%), i due ex Responsabili sono stati ancora un corpo unico, il 31,8 no. Ora si potrebbe tirare una riga su questa immaginaria lavagna, come ordinava la maestra agli scolari, e notare come il duo Verdini-Zanda (o Verdini-Sposetti o Romani-Zanda o Romani-Gotor, cambiate a scelta) sia molto più granitico degli amici Razzi-Scilipoti. Smaltito lo stupore (per chi ne aveva), va verificato lo strumento. Non è che qui, dentro il Parlamento di finte o vere diatribe, capita di approvare o respingere troppo spesso alla stessa maniera? E allora prendiamo due senatori Cinque Stelle, Rocco Crimi e Paola Taverna, e li confrontiamo con Verdini e Romani. Taverna-Verdini: mai voto fu identico. Taverna-Romani: 30,1%. Crimi-Verdini: 0,1%. Crimi-Romani: 29,8%. QUESTA GENIALE macchina di
Open Polis consente anche di separare i “voti chiave” di una legislatura da quelli marginali o d’impatto più internazionale che politico. All’odierna opposizione (M5s, Sel, Fdi), dunque senza comprendere i forzisti, è successo di votare in passato come Romani per contestare il governo di Enrico Letta. Ma trasferiamoci a palazzo Montecitorio, dove la maggioranza renziana è più stabile e il supporto forzista meno necessario. Daniela Garnero Santanchè è sempre più gonfia di fastidio per il partito-riserva di Renzi che ormai è diventato Forza Italia, eppure in 371 “chiame” su 455 (81,5%) s’è comportata come Maria Elena Boschi o come Lorenzo Guerini, vicesegretario dem (82,1%). Un’altra Maria è la preferita del ministro Boschi: Mariastella Gelmini. All’unisono hanno votato 1303 volte su 1444 (90,3%). Non occorrono ulteriori patti al Nazareno, basta organizzare una cena e festeggiare il partito unico di R. e di B.
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OTTIMISMO
MERCOLEDÌ 1 OTTOBRE 2014
ITreu nps, l’ex ministro è il nuovo commissario
CAMBIA IL VERTICE dell’Inps, l’istituto nazionale di previdenza: il Consiglio dei ministri di ieri sera ha nominato l’ex ministro del Lavoro Tiziano Treu come nuovo commissario, che prende il posto di Vittorio Conti, il reggente dell’istituto che si era insediato dopo le di missioni dello storico capo
Antonio Mastrapasqua, indagato dalla Procura di Roma. L’arrivo di Treu come commissario è il segnale di una sua probabile nomina a nuovo presidente con pieni poteri, una volta che ci sarà stato il parere favorevole delle commissioni parlamentari competenti. Treu è stato a lungo parlamentare,
il Fatto Quotidiano
da ministro del governo Dini ha varato la prima delle grandi riforme delle pensioni (quella che ha introdotto il calcolo contributivo) e poi nel 1997 ha curato il “pacchetto Treu” su apprendistato e lavoro interinale. Nel 2012 è stato, da senatore del Pd, il relatore della riforma Fornero in Senato.
IL DEF È APPENA NATO E GIÀ MENTE: RECESSIONE SOTTOSTIMATA NEL 2014 L’ISTAT: PIL GIÙ ANCHE NEL TERZO TRIMESTRE. IL -0,3% DEL GOVERNO È GIÀ SUPERATO di Marco Palombi
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a qualche anno a questa parte è una simpatica tradizione, ma così si esagera: i Def (Documenti di economia e finanza), come i loro predecessori Dpef, sono sempre pieni di previsioni sbagliate, ma raramente si assiste alla smentita in tempo reale di un testo di tale rilievo. I fatti. Nella serata di ieri il governo ha approvato la nota di aggiornamento al Def, quella in cui si ammette che si sono fatti
errori nel testo precedente (quello di aprile): la crescita del Pil per quest’anno, ad esempio, passa da un fantasmagorico +0,8% a -0,3; quella dell’anno prossimo da +1,3 a +0,6%; il rapporto deficit-Pil è previsto intorno al 3% o poco sotto nel biennio (invece che all’1,8% promesso ad aprile); il debito pubblico al 131,7% nel 2014 e al 133,4 nel 2015; pure la disoccupazione rimane sui livelli attuali fino al 2016 (12,5%), dopo il record per quella giovanile (44,2%) registrato ieri. Qual è il problema? Ieri l’Istat
INFORMAZIONE ASIMMETRICA
Stiglitz, l’ultimo dalemiano da Nobel
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odificando le tutele dei lavoratori attuali si modificano gli assetti contrattuali, bisogna essere molto cauti”. E ancora: “Secondo me questi cambiamenti indebolirebbero l’economia senza portare ulteriori vantaggi”. Il premio Nobel Joseph Stiglitz, mentre parlava alla Camera una settimana fa, non lo sapeva di candidarsi a fare la clava di Massimo D’Alema nella sua lotta contro il renzismo. Due giorni fa D’Alema ha agitato Stiglitz nella direzione del Pd per sostenere che la riforma dell’articolo 18 è sbagliata. I renziani hanno accusato il colpo, un Nobel è sempre un Nobel. E il premio l’economista americano l’ha vinto i suoi studi sull’informazione asimmetrica. Non tutti, sul mercato, hanno le stesse conoscenze. Infatti, questa volta, i renziani ne sapevano meno di D’Alema.
Giuseppe Berta
nella sua nota mensile ha diffuso le sue previsioni per il Pil nel terzo trimestre scrivendo quanto segue: gli indici economici sono “in rallentamento, suggerendo una nuova flessione del Pil nel terzo trimestre”. E ancora: “L’attuale fase di debolezza del ciclo economico è attesa proseguire anche nel terzo trimestre”. Infine: “Questa fase di debolezza ciclica dell’economia italiana si accompagna al rallentamento dell’area euro”. Bene, il risultato cumulato sull’anno dei primi due trimestri - secondo gli stessi dati Istat - è già un calo del Pil dello 0,3%, se il Prodotto scende anche nel prossimo significa che il governo ha sottostimato la recessione in corso (l’Ocse, per dire, già stima un -0,4%). NON SOLO. L’altra notizia che si
desume dall’aggiornamento del Def è che faremo austerità, ma solo un po’. “Il pareggio di bilancio - ha spiegato ieri sera Pier Carlo Padoan - è rinviato al 2017, la discesa al ritmo dello 0,5% del disavanzo strutturale riprenderà dal 2016”. Quest’anno e il prossimo l’idea è rimanere sotto il 3%, ma facendo finta che gli accordi tipo Fiscal Compact non esistono proprio (d’altronde, essendo inapplicabili, è il comportamento più comodo). In ogni caso, il governo - a quanto risulta al Fatto - si è pure preso qualche spazio di manovra sul 2015: bisognerà controllare i testi che verranno depositati in Parlamento, ma lo stesso Pa-
-0,IL PIL 3% NEL 2014
3% IL DEFICIT
QUEST’ANNO BRUTTE NOTIZIE
LA SOLITA FORTUNA Crescita asfittica nel 2015 (+0,6%) ma per magia il deficit scende e regala a Renzi qualche miliardo. Padoan: “Il pareggio di bilancio? Nel 2017” doan ha parlato ieri di “margini di bilancio” come una delle voci che copriranno la conferma degli 80 euro e altre eventuali riduzioni del cuneo fiscale “sul lato delle imprese”. In sostanza, il rapporto deficit-Pil l’anno prossimo è stato stimato a politiche invariate più in basso del 2,9% finale: sulle bozze c’era scritto un 2,3%, il che consente di liberare un mezzo punto di Pil (7,5 miliardi) da spendere senza do-
L’Istat prevede una fine 2014 in recessione Ansa
verli coprire con corrispondenti tagli di spesa. Non si vede, però, come sia possibile che una mancata crescita del Pil di quasi due punti percentuali (30 miliardi) in due anni rispetto alle previsioni di aprile non peggiori in maniera significativa anche l’indebitamento netto. Di certo avrà ragione il Tesoro, ma i precedenti ci rendono sospettosi. I SEGNALI, d’altronde, non so-
no incoraggianti. La deflazione spinge in giù persino il Prodotto interno nominale - cioè quello che tiene conto anche del solo aumento dei prezzi - e questo, come vedremo, è insieme il segnale e una delle cause delle difficoltà prossime venture: la stessa Istat ieri ha previsto “il permanere dell’inflazione italiana su livelli vicini allo zero nei prossimi mesi”. I dati di settembre diffusi ieri dall’Istituto statistico, d’altronde, sono in linea con
questo scenario (-0,3% su base mensile): “L’ulteriore diminuzione tendenziale dei prezzi al consumo è sintomo e causa della debolezza dell’economia spiega Sergio de Nardis capo economista di Nomisma - È sintomo perché è il portato dell’insufficienza della domanda rispetto all’offerta, è causa perché l’inflazione negativa influisce sulle attese future dei prezzi, aumenta i tassi di interesse reali, deprime l’economia”. E, infatti, guardando all’indice di fiducia delle imprese dell’Istat si vede questo: “Negli ultimi due mesi è arretrata sui valori di inizio anno”. Come si vede, basta solo abolire l’articolo 18 perché le imprese ricomincino ad assumere per produrre merci da far invecchiare in magazzino. Oppure era a questo che si riferiva Padoan quando parlava di “cause della crisi ancora non ben comprese”?
Da Blair e Schröder in poi
“La sinistra? Guarda a destra. Ed è finita” di Carlo Di Foggia
l cambiamento è epocale. I Immaginiamo l’articolo 18 come un perno: “Ci si appoggia
per rivoltare la sinistra in qualcosa di diverso, senza una matrice socialista e lungo il solco tracciato da quelle che un tempo furono le sinistre socialdemocratiche europee”. E che oggi, per Giuseppe Berta, storico dell’industria e docente alla Bocconi di Milano, sono agonizzanti: “Se Matteo Renzi vede in Tony Blair il suo mentore, allora è normale che cerchi di spezzare il legame con i sindacati: lo hanno fatto i laburisti inglesi e i socialdemocratici tedeschi. I primi non si sono ancora ripresi e vivono delle disgrazie altrui, i secondi fanno parte di una coalizione su cui non riescono a incidere, a parte il salario minimo, lo strumento che dovrebbe far salire gli stipendi dei mini job creati durante il mandato del socialdemocratico Gerhard Schröder”.
Il premier sull’articolo 18 rischia di spaccare il suo partito.
guito con Blair e Schröder.
Nessuno pensa che questo, in una fase recessiva, generi posti di lavoro.
Blair non fece nulla per sanare gli squilibri creati dalla Lady di Ferro, Schröder fece di peggio: affidò le riforme del mercato del lavoro a Peter Hartz, capo del personale della Volkswagen, poi condannato per corruzione dei rappresentanti sindacali.
A cosa serve allora?
Ci si rivolge all’Europa, ma soprattutto a un pubblico più ampio: quello che apprezza la politica antisindacale. L’elettorato di destra?
Il ceto medio, che è poi quello che si deve sobbarcare il peso maggiore delle tutele sociali. Così si aumenta la base elettorale: è la sfida che si è posta di fronte ai partiti socialisti europei dopo la lunga fase degli anni 80 lontani dal governo.
Tutti contro i sindacati?
Perché il welfare state è rimesso in discussione?
Con quali risultati?
La fine della sinistra come la conoscevamo. E con essa il difensore del welfare state (le tutele dello stato sociale, ndr) e dell’economia mista: la compresenza di due poli - il pubblico e il privato - come motori dell’economia. Un declino iniziato negli anni 80 con le idee di Margareth Thatcher e prose-
Giuseppe Berta Ansa
Perché costa, tanto. Perfino i partiti socialdemocratici scandinavi si sono indeboliti difendendolo. Nel ’76, prima della Thatcher, dopo 40 anni al governo la socialdemocrazia svedese perse le elezioni: era il segno dell’insofferenza verso una forma di tutele che comporta una pressione fiscale elevata, ma è anche l’unica via per ridurre le disuguaglianze.
L’ECLISSI SOCIALISTA Il premier vuole spezzare il legame coi sindacati e corteggiare il ceto medio come hanno fatto i socialdemocratici europei: che infatti si sono suicidati
E adesso?
La sinistra è in disarmo. La svolta a favore della globalizzazione, se all’inizio li ha riportati al governo, li ha poi svuotati della loro stessa natura. Ora ne pagano le conseguenze: i socialisti francesi sono al minimo storico. Zero idee e mancanza di coraggio: hanno perfino accolto l’euro senza porsi il problema delle conseguenze. Colpa della globalizzazione?
Vi hanno aderito convinti, come se contenesse un moltiplicatore di ricchezza, ma la globalizzazione riduce l’autonomia degli Stati - consentendo alla grande industria di trasferire gli investimenti dove più conviene - e la sinistra ha sempre fatto perno sullo Stato-Nazione. Renzi ha in mente questo piano?
Segue la stessa logica.
Ma una riforma del lavoro può essere utile.
Certo, ma c’è un paradosso incredibile: si riforma il mercato del lavoro senza sapere qual è il modello economico che voglia-
mo adottare, e con una gigantesca incertezza sugli ammortizzatori sociali. In Europa si vuole tutelare il lavoratore sul mercato e non all’interno del luogo di lavoro. Lo Statuto dei Lavoratori fa l’esatto opposto, perché è nato in un contesto molto diverso. Nessuno dei due è giusto o sbagliato a prescindere, ma bisogna saper scegliere. Invece si attacca il sindacato. Che però si è dimenticato di milioni di lavoratori precari.
Ha colpe gigantesche, ma i problemi sono altri: abbiamo perso un quarto dell’apparato produttivo. Ora si parla di “modello tedesco”.
Lì si è fatto perno sulla potenza di fuoco di alcune grandi imprese, con buoni ammortizzatori sociali. Ma si rischia l’implosione. Se lei fa un giro a Berlino si accorge che i supermercati sono vuoti e la vita costa meno che a Torino: significa che la domanda interna è depressa.
ITALIE
il Fatto Quotidiano
D al governo a Palazzo
dei Marescialli
di Antonella Mascali
È
la giornata nera del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano quella appena trascorsa ieri. Finalmente si insedia il Csm dopo due mesi di attesa per la nomina dei componenti laici da parte del Parlamento e uno di loro, Teresa Bene, area Pd, proprio quella voluta dal ministro della Giustizia Andrea Orlando, non ha i requisiti. Contemporaneamente il Parlamento, infischiandosene dei ripetuti appelli del capo dello Stato, è arrivato alla quindicesima fumata nera per l’elezione dei due giudici della Corte costituzionale. Al presidente non resta che dirsi “rammaricato” per i mancati requisiti di Bene e “auspicare” nuovamente che il Parlamento si decida a votare i due membri della Consulta. Il capo dello Stato arriva alle 10 a Palazzo dei Marescialli per presiedere il Plenum che avrebbe solo dovuto votare il vicepresidente. Invece, ai consiglieri tocca votare sulla proposta della Commissione verifiche titoli che si è espressa per escludere dal Consiglio Teresa Bene per due motivi: non è professore ordinario ma associato all’Università di Napoli e non ha esercitato per 15 anni la professione di avvocato, come richiede la norma. Il Plenum approva all’unanimità la decadenza della consigliera ex consulente, a titolo gratuito, del ministro Orlando quando era al dicastero dell’Ambiente. Non era affatto difficile per i collaboratori del ministro della Giustizia trarre le stesse conclusioni della Commissione del Csm ed evitare così a Orlando la figuraccia istituzionale di ieri davanti al presidente della Repubblica. Invece, a quanto pare, hanno ritenuto che le consulenze di questi anni potessero essere equiparate alla profes-
LA POLITICA la scopre e l’abbraccia in casa, anche se a piccole dosi, poco impegno, qualche soddisfazione. Giovanni Legnini, classe 1959, inizia la scalata dal suo paese a 17 anni, Roccamontepiano, appena 1.700 anime in provincia di Chieti (Abruzzo). Sembra poco, non lo è visto il proseguo. Nel 1990 è sindaco, incarico ricoperto fino al 2002. Eletto senatore nel 2004 con i Ds, è
stato componente della commissione Bilancio e Programmazione economica, della quale è stato anche vicepresidente dal 2006 al 2008 e membro della Giunta per le elezioni e le immunità parlamentari. Dal 2008 è segretario d’aula al Senato del gruppo del Pd. Nel 2013 è eletto alla Camera dei deputati. Fino a qualche settimana fa ricopriva il ruolo di
LA LAICA ELETTA DAL PD COSTRETTA A LASCIARE IL PLENUM L’EX SOTTOSEGRETARIO LEGNINI ELETTO VICEPRESIDENTE MA A NAPOLITANO NON BASTA: “PARLAMENTO DISATTENTO”
Giovanni Legnini con Giorgio Napolitano al Plenum del Csm Ansa
sione forense, esercitata dal 1994 al 2002. “Si è stati ingannati – ci dicono da via Arenula – dall’iscrizione all’albo speciale”. Ma la presidente dell'Antimafia Rosy Bindi, Pd, aveva avvertito: “Avevo segnalato” l’incompatibilità, ha detto a Coffee Break, “e sono stata inascoltata”. Orlando oltre a Bene aveva proposto le parlamentari del Pd Anna Rossomando e Cinzia Capano, però è stata scelta Bene perché ritenuta una candidata meno “organica alla politica”. E così il Parlamento, che ha impiegato quasi due mesi per eleggere gli otto laici del Csm, è riu-
scito a sceglierne uno senza requisiti. Ora dovrà eleggerne un altro. “Sono rammaricato per quanto è accaduto, ha dichiarato Napolitano, può esserci stata frettolosità e disattenzione in Parlamento, nel pur laborioso processo di selezione per i rappresentati del Csm”. E poi ha ammonito: “Il tempo che ha richiesto l’elezione dei componenti del Csm e che non si è ancora concluso, va rapidamente recuperato”. La diretta interessata, Teresa Bene, ha accusato il Consiglio di aver preso una decisione “errata, infondata e
strumentale”. Forse farà ricorso. Dopo la sua esclusione, il Plenum ha, dunque, votato con un componente in meno il vicepresidente. Come previsto, è stato eletto con una netta maggioranza(20 su 23) l’unico candidato, Giovanni Legnini, fino a qualche giorno fa sottosegretario all’Economia, già sottosegretario anche nel governo Letta. La funzione della magistratura “è e dovrà essere sempre autonoma, indipendente e imparziale” ha detto Legnini, che ha promesso “pareri puntuali” del Csm su tutti i progetti di legge che riguardano la Giustizia “segnalando le norme eventualmente lesive del ruolo e della funzione costituzionale dei magistrati”. Napolitano ha espresso “vivo compiacimento” per la sua elezione, ma si è rallegrato solo un attimo. Subito dopo, il presidente ha appreso che in Parlamento c’ è stata un’altra fumata nera, la quindicesima, per la Consulta: “Il mio auspicio – aveva detto prima della votazione – è che ci sia una fumata bianca, ma devo solo aspettare”. E anche stavolta il presidente ha aspettato invano.
“NASCOSTO ALLE CAMERE” IL PROTOCOLLO CHE CONSEGNÒ I MAFIOSI AL SISDE. IL PREMIER: MAI PIÙ na storia di silenzi e di U omissioni. Il muro che doveva nascondere “la Gladio
delle carceri”, forse “utile a organizzare depistaggi”, a fermare possibili testimoni scomodi. “Ci hanno detto tutti di non saperne nulla, compresa la Cancellieri” scuote la testa Claudio Fava, vicepresidente della Commissione antimafia. Parla delle audizioni in commissione sul Protocollo Farfalla, l’accordo stipulato tra il Sisde guidato allora dal generale Mario Mori e il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, diretto all’epoca da Giovanni Tinebra, per permettere agli agenti dei servizi segreti di ascoltare in carcere boss mafiosi detenuti in regime di carcere duro (articolo 41 bis). Senza che la magistratura ne sapesse nulla. Ora la Procura di Palermo ha scoperto che l’accordo, attivo nel 2003, nel 2004 era stato messo nero su bianco nel 2004, in sei pagine. E
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sottosegretario all’Economia e nel precedente esecutivo guidato da Enrico Letta quello di sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’Editoria e all’Attuazione del programma. È avvocato cassazionista specializzato in diritto dell’impresa e della Pubblica amministrazione. È stato il primo dei membri laici del Csm eletto dal Parlamento, il 10 settembre.
IL CSM ESCLUDE LA BENE PER LA CONSULTA ° FUMATA NERA N 15
Farfalla, la denuncia di Fava di Luca De Carolis
MERCOLEDÌ 1 OTTOBRE 2014
che quei boss venivano perfino pagati in cambio delle loro informazioni. “Ma noi non sappiamo ancora nulla di quanto veniva versato, e perché” spiega Fava. Il deputato parla in conferenza stampa nel giorno in cui Renzi viene ascoltato dal Copasir (il comitato parlamentare di controllo sui servizi) sui temi caldi della sicurezza. GLI HANNO CHIESTO anche
del Protocollo Farfalla. E il premier ha speso poche parole: “Ho desecretato gli atti relativi al Protocollo, ora non esiste più e non verrà di certo più avviato” Il generale Mario Mori Dlm
ha risposto in sostanza. Ma sull’accordo va ancora scoperto quasi tutto. E allora si torna a Fava: “Molto di quello che abbiamo appreso in questi giorni sul Protocollo non è stato detto dall’ex ministro dell’Interno Annamaria Cancellieri. L’avevamo sentita su questo tema alla fine dello scorso anno, ma disse di non avere alcuna informazione”. Poi è stata la volta del direttore del Dap Giovanni Tamburino: “Ci ha detto che non c’è alcuna prova cartacea del Protocollo, e che della sua esistenza ha appreso leggendo i giornali. Non ha sentito il bisogno di cercare la documentazione sull’ccordo”. Fava (ri)sale fino al vertice dello Stato: “Ho ragione di pensare che sia stato ben informato del Protocollo anche l’allora premier Silvio Berlusconi, mi pare inconsueto che un accordo così impegnativo sia stato condotto per un arco di tempo ampio all’insaputa del capo del governo”. Arriva l’accusa: “Tutti questi silenzi so-
no comportamenti gravi, mezze verità”. Ma quel che è conta è il dubbio: “Il sospetto è che l’operazione sia servita a capire chi intendeva collaborare, cosa voleva dire, e forse a organizzare qualche depistaggio”. FAVA CITA anche un precedente: “Il capomafia Giuffrè cominciò a collaborare nel 2003, raccontando il rapporto tra la nascita di Forza Italia e quella dei corleonesi”. Proprio nell’anno in cui partì il Protocollo Farfalla. A margine, le parole pesanti del giudice Alfonso Sabella, ex capo del servizio ispettivo del Dap: “Del 'Protocollo Farfalla avevo già sentito parlare diverso tempo fa: mi sconvolge il fatto che si agisca su delle possibili potenziali fonti di prova dell’autorità giudiziaria”. Oggi l’Antimafia ascolterà il procuratore generale di Palermo, Roberto Scarpinato. Si parlerà molto anche di Protocollo Farfalla. Solo ieri la documentazione è arrivata in Parlamento.
Teresa Bene insegna Procedura penale a Napoli LaPresse
RESPINTA
La prof protesta: “Violati i miei diritti” SOSTENUTA DA ORLANDO, DI CUI FU CONSULENTE: ”I TITOLI CE LI HO, LA DECISIONE È ERRATA” di Antonio Massari
n “simulacro formale”. Questo è il giudizio della proU fessoressa Teresa Bene sul procedimento che l’ha accompagnata alla porta di Palazzo dei Marescialli. La voce
trema per l’emozione quando parla di “violazione” dei suoi “diritti di partecipazione” e “preordinata volontà” d’impedirle “un proficuo confronto”. Il suo intervento dura circa quattro minuti. Poi Teresa Bene, membro laico del Csm indicato dal Pd, saluta il Plenum con un record senza precedenti: deve lasciare la poltrona dove s’è appena seduta, poiché è stata sì eletta dal Parlamento, ma senza i titoli necessari (esercizio della libera professione da 15 anni o insegnamento come professore ordinario). Una catastrofe. La scena, che si consuma sotto gli occhi del presidente Giorgio Napolitano, sarà impossibile da dimenticare. “PER ME È UN MOMENTO DELICATO – ci risponde mentre
viaggia in treno – e ora devo solo tutelare la mia immagine”. Se potesse tornare indietro, domandiamo, accetterebbe la candidatura? Il suo silenzio vale più di qualsiasi risposta. Poi riprende: “Guardi, quello che avevo da dire, l’ho detto dinanzi al plenum”. Resta comunque un dato: è un gran pasticcio politico. “Mi hanno chiesto una disponibilità, io l’ho data, i titoli ce li ho... del dato politico non discuto: è una valutazione che non spetta a me”. La valutazione di Napolitano intanto è tranciante: il ParlaI REQUISITI mento è stato “frettoloso” e “disattento”. La professoressa BeAll’università ne, secondo la “commissione verifica titoli” del Csm, difetta è docente associata, del requisito necessario – l’esernon ordinaria. cizio della professione da avvocato per almeno 15 anni – e mai Insegna a tempo pieno si era verificata una situazione e quindi non ha i 15 anni simile: il disastro politico è evidente. Sui titoli, Bene commendi anzianità da avvocato ta che si tratta di una “decisione errata sia nel merito sia nella procedura”. Poi denuncia che la contestazione, rispetto la “continuità” della sua professione forense, è “infondata e strumentale”. Accusa di non aver ricevuto “alcuna puntuale contestazione scritta” e lamenta la mancanza di un “congruo termine per documentare l'attività svolta”. ESPERTA DI DIRITTO PROCESSUALE PENALE, insegna come
professoressa associata nella seconda università di Napoli, con incarico a tempo pieno, sin dal 2002, il che le impedisce di svolgere la libera professione di avvocato. Ed è vero che risulta abilitata a esercitare la professione sin dal 1994, ma poi ha traslocato nell’albo speciale, quello che non prevede la “libera” professione, ma la possibilità di offrire la propria consulenza e solo a determinate condizioni. Che la situazione fosse quantomeno controversa, insomma, lo sapevano tutti. Ma gli sponsor della Bene avevano deciso di tirare dritto. Al guardasigilli Andrea Orlando, per il quale prestò una consulenza gratuita quando era ministro dell’Ambiente, la professoressa era stata presentata da Raffaele Cantone, il magistrato oggi a capo dell’Autorità anticorruzione. È stata sponsorizzata soprattutto dagli ambienti napoletani, convinti che l’ufficio “verifiche titoli” del Csm, nel dubbio, avrebbe giudicato positivamente il suo curriculum. È andata diversamente.
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ITALIE
MERCOLEDÌ 1 OTTOBRE 2014
Cviaambia L’Espresso: Manfellotto, tocca a Vicinanza
ANCHE IL SETTIMANALE L’Espresso “cambia verso”, o almeno cambia direttore. Dopo i quattro anni di direzione di Bruno Manfellotto, oggi sarà nominato Luigi Vicinanza. Manfellotto era arrivato all’Espresso nel febbraio del 2002, dopo gli otto anni e mezzo di Giulio Anselmi. Alla direzione del settimanale del gruppo guidato da Carlo De Benedetti arriva Luigi Vicinanza. È l’attuale
il Fatto Quotidiano
direttore editoriale di Finegil, la controllata che edita i quotidiani locali del gruppo. Oggi la decisione dei vertici aziendali sarà illustrata all’assemblea dei giornalisti dal presidente De Benedetti e dell’amministratore delegato Monica Mondardini. Vicinanza dovrebbe firmare già il numero della prossima settimana. Il nuovo direttore, nato a
ARRIVA IL MEGASCONTO AGCOM RAI E MEDIASET FESTEGGIANO
REGALO DA 200 MILIONI SULLE FREQUENZE. IGNORATA LA UE. PAGANO LE PICCOLE TV di Carlo
Tecce
A
parole, nessuno voleva confezionare questo regalo per Viale Mazzini e Mediaset, un megasconto da quasi 200 milioni di euro sul canone per la concessione delle frequenze televisive, che sono un bene pubblico. Non lo voleva il ministero per lo Sviluppo economico, non lo voleva il Tesoro di Pier Carlo Padoan, non lo voleva la Commissione di Vigilanza. Non l’ha voluto, e il dissenso resta a verbale, il professor Angelo Cardani, presidente dell’Autorità di Garanzia (Agcom): i commissari Antonio Martusciello, Francesco Posteraro, Antonio Presto si sono addirittura sbrigati a ratificare la pratica, il collega Antonio Nicita (in quota dem) si è astenuto, e non è stato un atto di coraggio. Con la scusa di dover riformare lo spettro e aggiornare i prezzi, come ha scritto il Fatto Quotidiano la settimana scorsa, l’Agcom ha cambiato le regole per la tassa sulle frequenze. Non verrà più prelevata dai bilanci di Rai e del Biscione, pari all’1% del fatturato, ma verrà applicata una tariffa fissa e sarà un obbligo per le società che gestiscono le antenne: Rai-Way (che sarà quotata in Borsa per venderne il 40%) per Viale Mazzini ed Elettronica In-
Castellammare di Stabia, ha 58 anni e ha cominciato la sua carriera come cronista sindacale all’Unità di Napoli. È passato allo stesso quotidiano nella redazione romana, per poi trasferirsi a Repubblica dove tra l’altro ha guidato la redazione napoletana. È stato direttore de La Città di Salerno e de Il Centro di Pescara e vicedirettore del Mattino di Napoli.
EXPO Voli per Tokyo, nuove accuse a Maroni ul piatto 6.500 euro. Il costo di un viaggio a Tokyo S con volo in business e pernottamento in hotel di lusso. Obiettivo: pubblicizzare l’Esposizione univer-
sale attraverso il World Expo Tour. Tra gli ospiti Maria Grazia Paturzo dipendente della società Expo 2015, nonché amica del governatore lombardo Bobo Maroni. Voli pazzi e viaggi da “Prima Repubblica” con il codazzo degli amici degli amici. Così li definiscono gli investigatori coordinati dal pm Eugenio Fusco titolare dell’inchiesta che da luglio vede indagato Maroni per concussione e turbata libertà del contraente e da ieri anche il suo braccio destro nonché segretario generale della Regione, Andrea Gibelli. Al vaglio della magistratura milanese le assunzioni della Paturzo e di Mara Carluccio per la società pubblica Eupolis. Per quest’ultima è indagato Gibelli. Ma c’è di più: Maroni risponde di concussione anche per i viaggi perché il pm interpreta i 6.500 euro come un’utilità incassata dal presidente della Regione. Utilità solo sulla carta perché sul volo per Tokyo la Paturzo non è mai salita dopo che l’ad di Expo Giuseppe Sala si è rifiutato di saldare il conto. Un particolare che se da un lato non salva Maroni dall’ennesima accusa, dall’altro svela il motivo per il quale il 2 giugno il presidente leghista decide di restare a Berna e di non proseguire il tour verso Tokyo. Tour al quale parteciperà il vicepresidente Mantovani. Maroni minimizza: “Resto tranquillo, sono cose vecchie”. Da. Mil.
L’Agcom ha fissato ieri il canone per le frequenze tv Ansa
dustriale per Cologno Monzese. Dai 25-30 milioni pagati in questi anni, la tv di Stato e il Biscione dovranno all’Erario non più di 12 milioni a testa (2 in più dei previsti), e li potranno anche dilazionare. NEI PROSSIMI 7 ANNI, il pe-
riodo in cui sarà vigente questo accordo, lo Stato incasserà 103,7 milioni in meno. Per zittire una contestazione che proviene da un gruppo sparuto di democratico e da Cinque Stelle e Sel, l’Agcom assicura che una parte di questo denaro verrà recuperato al-
trove. Come? Non ci sono alternative: saranno stangati gli altri operatori di rete. Ci sono Persidera (Telecom-Espresso), H3G, e tanti, tantissimi editori locali che dovranno aumentare gli introiti per sopravvivere a questa norma. Con la pubblicità costantemente in calo, sarà complicato per i più piccoli resistere sul mercato. Viale Mazzini e Cologno Monzese possono festeggiare: la Rai risparmia (almeno) 113 milioni, Mediaset (almeno) 67. Non sappiamo se quest’enorme regalo sia nascosto nel patto del Nazareno, ma i
commissari Agcom – i tre favorevoli e anche l’astenuto – erano davvero motivati, perché si sono schierati anche contro l’Unione europea. A metà luglio, una lettera da Bruxelles, firmata dai burocrati Linsley McCallum e Anthony Whelan, ordinava di rispettare “le pari opportunità” e di non “peggiorare il mercato tv per le aziende minori”. Com’è andata? L’Agcom ha fatto esattamente l’opposto. Gli autori sono protagonisti, non comparse. Eccoli. Martusciello, ex dirigente di Publitalia, fondatore di Forza Italia, sottosegreta-
rio nel governo di Berlusconi. Preto, in passato collaboratore di Antonio Tajani e Renato Brunetta. Posteraro, spedito in Agcom dai centristi dell’Udc con il nullaosta dei forzisti. E il governo? Il renziano Antonello Giacomelli, sottosegretario allo Sviluppo economico con delega alle Telecomunicazioni, aveva chiesto l’ennesimo rinvio. E adesso viene citato in un comico passaggio di un comico comunicato Agcom: “L’approvazione del provvedimento è stata preceduta da un’interlocuzione con il sottosegretario Antonello Gia-
comelli, il quale ha preannunciato l’intendimento del governo di procedere a un riordino complessivo della disciplina in materia di frequenze, contributi e canoni, nell’ambito di un disegno di riforma unitario e coerente”. Vuol dire tutto e niente. Tipo: il governo farà, il governo vedrà. Per la tv di Luigi Gubitosi e il Biscione dei Berlusconi l’affare è concluso, sigillato. Per adesso, protestano i deputati dem, Michele Anzaldi, Vinicio Peluffo e l’ex senatore Vincenzo Vita. L’associazione dei consumatori ha già presentato un esposto.
BERLUSCONES
Sallusti, Formigoni e i “renziani” dell’altra sponda di Andrea Scanzi
n fantasma si aggira per gli studi U televisivi: si chiama Alessandro Sallusti e somiglia all’uomo che ricor-
davamo, ma non sembra più lui. È stanco e spento. Per nulla convinto di quello che dice. Per carità, gli capitava anche prima, ma la passione nel difendere posizioni improponibili era – se non proprio autentica – vibrante. Ora che si trova non più a supportare Berlusconi ma a incensare Renzi, come un Menichini qualsiasi, ne soffre. Comprensibilmente. Lo si è visto giovedì a Servizio Pubblico e lunedì a Piazzapulita. Quando gli dicono che è ormai più renziano dei renziani, non prova neanche più a difendersi: prende, incarta e porta a casa, da persona (quando vuole) intelligente e arguta qual è. LUNEDÌ SERA, ospite di Corrado For-
migli, ha implorato gli elettori di votare Forza Italia, non perché ci sia ancora qualcuno che creda in Berlusconi (neanche Sallusti arriva a tanto) ma per un imprecisato “bisogno di rendere il centrodestra abbastanza forte
da condizionare Renzi e liberarlo dal ta, il sindaco di Firenze Nardella ha ricatto dei D’Alema”. Sallusti è il pri- sostenuto che, finora, la sinistra itamo a sapere che la realtà è esattamente liana ha avuto una grande colpa: quelopposta, sia perché D’Alema ormai la di essere stata troppo di sinistra. non conta nulla (anzi: più attacca Ren- Doppio delirio, perché la sinistra quezi, più lo rafforza) e sia perché il Pd è sto dovrebbe fare e perché in Italia pressoché perfettamente coincidente non lo ha fatto quasi mai. Mentre Narcon il centrodestra. Berlusconi o Ver- della parlava, esponenti di Forza Italia dini non hanno bisogno di “condizio- e imprenditori ieri berlusconiani e ognarlo”, perché la sintonia è totale o gi renziani ribadivano che “la rivoluquasi. Siamo ben dentro i Sepolcri: zione culturale di Renzi” (stessa im“Celeste è questa corrispondenza magine usata nel ’94 con Berlusconi) è d’amorosi sensi”. Berlusconi è Renzi e stata quella di appropriarsi di quasi Renzi è Berlusconi. Infiniti i punti di tutto il programma del centrodestra. contatto, dal programma (legge elet- Ecco perché non c’è più bisogno di torale, riforma del lavoro, non-rifor- Berlusconi: perché ce n’è già uno più ma della giustizia, efficace e giovane di distruzione della lui. I renziani fanno Costituzione) alla bene a rivendicare la IL DRAMMA tecnica elettorale capacità attrattiva (slogan, promesse, che esercitano Il direttore bugie, circondarsi di sull’elettorato altrui: yesmen e vestali, indel Giornale è stanco il problema non è casistere sul “quasi 41 lamitare i voti degli e spento, conscio ex berlusconiani, ma percento che ci ha votato”). Sallusti è come li si calamita. che al momento conscio che, al moSe si è disposti a comento, di lui non c’è piarne il programma, non c’è più bisogno bisogno. E ne soffre. ci si trova davanti al di lui. E ne soffre paradosso attuale: Sempre a Piazzapuli-
non la contrapposizione tra un centrosinistra e un centrodestra, ma la coincidenza di due centrodestra. E – come unica alternativa – un movimento di opposizione che combatte battaglie giuste ma non sa comunicare quello che fa (M5S). Ormai i più grandi sostenitori di Renzi sono i Sallusti e i Formigoni, e c’è da capirli: Renzi, godendo dei favori di quasi tutta l’informazione italiana perché non indossa la maglia dei “cattivi” ma dei “buoni”, può ottenere tutto quello che non ha ottenuto Berlusconi. Nanni Moretti gridò che “con questa classe dirigente non vinceremo mai”: ora che ha vinto, sarebbe bello domandargli come si sente (e se ne è valsa la pena). L’ULTERIORE PARADOSSO è che questa “sinistra” più a destra della destra, al punto che ormai la Fornero in confronto pare il subcomandante
Alessandro Sallusti LaPresse
Marcos, imbarazza più i berlusconiani dei piddini. I secondi, al di là di qualche bizza irrilevante civatiana, tutto ingoiano. Di contro i primi, se per certi versi godono, avvertono comunque il loro essere periferici. Il Capo è all’angolo e i sondaggi piangono: i berluscones si trovano così costretti ad accucciarsi ai piedi dei renziani, scodinzolando a comando delle Picierno. Un contrappasso spietato, che non si augura a nessuno. Gli siamo vicini.
ITALIE
il Fatto Quotidiano
Esuldoardo Bennato palco della festa del Circo Massimo
ANNUNCIATI i cantanti che suoneranno al Circo Massimo il 10, 11 e 12 ottobre per la festa del Movimento 5 Stelle. Il nome più noto è quello di Edoardo Bennato, unico esponente della vecchia guardia musicale. Presenza inaspettata perché il cantante, prima delle elezioni politiche del 2013, era stato attaccato per la sua canzone “Al diavolo il grillo parlante” che si riferiva a un “predicatore venditore di
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morale”. Nel post si legge che “sul palco si alterneranno i portavoce e i musicisti che hanno deciso, rischiando un po' della loro carriera, di partecipare a Italia 5 Stelle” e poi segue l’elenco dei musicisti, quasi tutti della galassia delle etichette indipendenti: dai Meganoidi ai Vallanzaska, da sempre legati alle contestazioni, fino a Pino Scotto, metallaro celebre per le sue invettive su Rock Tv.
NUOVE PROVINCE, LARGHISSIME INTESE DOPO LA RIFORMA SONO “ENTI DI SECONDO LIVELLO”: GLI ELETTORI NON HANNO PIÙ VOCE IN CAPITOLO, GLI ELETTI FANNO TUTTO DA SOLI FERRARA
TARANTO
Il “grillino” nella lista pigliatutto
Harakiri Pd, un cazzotto a Emiliano
di Tommaso Rodano
uel pasticciaccio brutto Q della provincia di Taranto. Nel capoluogo ionico,
n sindaco a 5 stelle in una U delle “odiate” province, quelle da abolire. Marco Fabbri,
29 anni, primo cittadino di Comacchio, è sfuggito al diktat di Beppe Grillo e si è fatto eleggere nel consiglio provinciale di Ferrara. Peraltro, grazie a un maxi accordo tra partiti: il suo nome era nel listone unico con i candidati di tutte le formazioni politiche dell’arco costituzionale; Pd, Forza Italia e Lega (esclusi solo Fratelli d’Italia).
IL LEADER del Movimento 5
stelle, sul suo blog, prima del voto era stato chiaro: “M5s alle provinciali non avrà candidati – aveva scritto Grillo –. Non presenteremo le nostre candidature in un organo politico del quale auspichiamo la soppressione. Non ci facciamo lusingare dalla prospettiva di acquisire poltrone. Anche perché in parlamento siamo stati gli unici a proporre l’abolizione delle province”. Il sindaco di Comacchio però ha fatto orecchie da mercante e ha tirato dritto per la sua strada. A risultato ottenuto, Fabbri dice di non aver nulla da dichiarare. La
Rapper a 5 Stelle
di Luca De Carolis
sua posizione l’aveva chiarita settimane fa, spiegando le ragioni per cui aveva deciso di aderire al listone “multicolore” Provincia Insieme, insieme ai colleghi di (quasi) tutti gli altri partiti: “Questa è la lista degli amministratori – aveva dichiarato Fabbri – fatta di persone che tutti i giorni lavorano nel territorio per i propri cittadini: questo è lo spirito con cui ho deciso di aderire”. I cinque consiglieri del Movimento 5 stelle eletti a Ferrara avevano preso le distanze, dichiarando di non avere alcuna intenzione di candidarsi nel listone per la provincia. Eppure il sindaco di Comacchio ha ottenuto un risultato più che soddisfacente: è addirittura il secondo degli eletti nelle provinciali di Ferrara. Evidentemente (a meno che le preferenze non siano arrivate dai partiti “alleati”), molti dei consiglieri del M5s sono andati a votare il proprio collega, in barba alle indicazioni del “megafono” Beppe Grillo. Oggi il primo cittadino di Comacchio, neo consigliere provinciale di Ferrara, si prepara al doppio incarico in punta di pie-
Marco Fabbri, sindaco M5s Ansa
CHE FAI, MI CACCI? Il sindaco di Comacchio Marco Fabbri ha ignorato le indicazioni del leader del M5S, che sul blog era stato categorico: “Non candidiamo nessuno” di, evitando accuratamente di risponde a chi gli chiede numi sulla disubbidienza alla linea del Movimento. Con una battuta allusiva via sms, Fabbri si limita a far notare un’incongruenza: perché in provincia non ci si poteva candidare e invece nelle città metropolitane sì? A Bologna – il sottotesto – un 5 stelle è stato eletto in consiglio, ma in questo caso nessuno ha polemizzato.
il sistema figlio della riforma Delrio ha prodotto una copia disordinata delle larghe intese nazionali. Con la differenza che, oltre agli elettori, stavolta ne è stato tenuto all’oscuro anche il leader locale del Partito democratico Michele Emiliano (candidato strafavorito nelle primarie per la regione Puglia). Di più: il tentativo dell’ex sindaco di Bari di evitare l’inciucio è stato sabotato nel segreto delle urne. IL PRESIDENTE della pro-
vincia sarà Michele Tamburrano, sindaco berlusconiano del comune di Massafra. Forzista doc, con al carico una richiesta di rinvio a giudizio per abuso d’ufficio. Tamburrano è stato eletto con il 63,8 per cento di preferenze contro il 36,2 per cento di Gianfranco Lopane, sindaco di Laterza e candidato renziano del Pd. I numeri parlano chiaro: sul sindaco di Forza Italia c’è stata un’ampia convergenza
di preferenze democratiche. È un’elezione di larghe (e taciute) intese, quindi. Un’ipotesi già agitata dalla direzione provinciale tarantina, che prima del voto aveva stabilito a maggioranza di “verificare le condizioni per la più ampia convergenza di forze politiche disponibili”. In sostanza, una piccola “grande coalizione” locale con Forza Italia, da attuare con un listone unico. L’OPERAZIONE, sulla carta, era stata bloccata personalmente da Emiliano, coordinatore regionale del Pd, con in ballo una grossa fetta di credibilità in vista delle primarie del centrosinistra per il candidato alla regione. Ma nonostante lo stop di Emiliano, sindaci e consiglieri comunali democratici hanno fatto di testa propria. Risultato: vince Forza Italia e il Pd si deve “accontentare” della vicepresidenza provinciale. Il voto, tra i democratici, è diventato il pretesto per una resa dei conti locale. Uno dei candidati alle primarie, Gu-
Fedez
“L’X Factor ce l’ha Di Battista ma su Casaleggio serve chiarezza”
econdo me l’unica alternativa a questo sisteS ma marcio è la rivoluzione. Però mi riconosco in tante delle cose che dice il Movimento Cin-
que Stelle”. Federico Leonardo Lucia, in arte Fedez, è un rapper da copertine e dischi di platino. Giudice di talenti nel programma tv X Factor, un cd appena uscito (Pop-Hoolista), il 25enne milanese ha composto l’inno per il raduno dei 5Stelle al Circo Massimo a Roma, Non sono partito. “Me l’ha chiesto Beppe Grillo una settimana fa, l’ho composto in una sera”. D’ora in poi tutti diranno che Fedez è la voce del Movimento.
Io non sto sposando una causa, casomai è una liason. Io porto il mio mondo e le mie idee: non è propaganda, semplicemente quello che stanno organizzando è un bellissimo evento. Ma Grillo come l’ha convinta?
Beppe mi ha raccontato che tanti artisti non se la sentivano di schierarsi con loro. Poi mi ha spie-
gato le linee guida dell’evento di Roma, il suo spirito. Perché proprio lei? Vi sentivate già?
No, prima della scorsa settimana mai. Credo che mi abbia scelto anche perché ha ascoltato un mio brano con Elisa, inserito nel nuovo cd. E perché gli piace la mia analisi sociale.
Di che parla l’inno? Non sono partito ha un doppio significato: si ri-
ferisce ai 5Stelle che non sono un partito e al punto di vista di un ragazzo che non ha lasciato l’Italia, a differenza di tanti altri. Mi hanno chiesto un pezzo breve, dura un minuto e 28 secondi. Testo?
‘Ti fidi ciecamente, repubblica non vedente, non si spiega, in pratica è la repubblica cieca... Caro Napolitano, te lo dico con il cuore, o vai a testimoniare, oppure passa il testimone. Dove sono i nastri dell’inchiesta? Si dice che Nicola Mancino scriva meglio con la destra’.
Michele Emiliano LaPresse
LOTTE INTESTINE L’ex sindaco di Bari, coordinatore regionale, aveva vietato l’inciucio. Ma nell’urna, molti dei suoi hanno votato per il berlusconiano glelmo Minervini, ha attaccato Emiliano: “La colpa è sua”. L’ex sindaco ha risposto chiedendo la convocazione dell’assemblea regionale: se non arriveranno le dimissioni dei consiglieri che hanno votato “contro” il proprio partito, Emiliano è pronto a far votare il commissariamento del Pd tarantino. To.Ro.
leggere. E dovrebbero definire meglio il ruolo di Casaleggio. In più, non mi piace che nell’ufficio stampa ci sia Rocco Casalino. Perché?
In un’intervista a Pif spiegò che si faceva il botox alle labbra, pareva il suo problema centrale. Lei in X Factor distribuisce voti. Diamone uno a Grillo.
Un frontale contro Napolitano...
Penso che i 5Stelle abbiano trovato tantissimi muri, per loro è molto difficile. Non voglio dare un voto a Grillo.
Penso che un’istituzione così importante dovrebbe fare chiarezza sulla trattativa Stato-mafia. Dovrebbe metterci la faccia.
Paletta per Renzi.
I giudici lo sentiranno.
Quattro. Si sta impuntando sull’articolo 18, ma non è quello il modo in cui risolvi i problemi dell’economia.
Beh, mi pare che venga di fatto obbligato a deporre. Perché le piacciono i 5Stelle?
Berlusconi.
Il Movimento viene finanziato dal popolo, mentre Renzi è stato sostenuto da amministratori delegati a botte di 100 mila, 200 mila euro.
Dovrebbe stare lontano dai pubblici uffici, e invece scrive le riforme con Renzi. Meno dieci.
E i 5Stelle? Di Maio?
Ha sempre votato per loro?
È molto preparato. Solo per come ha retto lo streaming con Renzi gli do 7.
Sì, da quando ho 18 anni. Da minorenne partecipai anche al primo V-Day, e fu incredibile.
Di Battista.
E cos’è che non le piace dei 5Stelle?
È la grande star del Movimento. Penso che creda davvero nelle cose che dice.
Aspetto che si esprimano sui matrimoni omosessuali e sulle droghe
Twitter @lucadecarolis
Fedez LaPresse
ME L’HA CHIESTO BEPPE Grillo mi ha spiegato che tanti artisti non se la sentivano di schierarsi con loro. Gli piace la mia analisi sociale
“
IL VERSO PER IL PRESIDENTE Caro Napolitano, te lo dico con il cuore. O vai a testimoniare oppure lasci il testimone
“
GIOVANI DI BELLE SPERANZE Di Maio è preparato, merita un voto alto per lo streaming con Renzi. Di Battista è una star e crede davvero in quello che dice
“
ARMI IMPROPRIE
il Fatto Quotidiano
Sdi cattone, l’omicida Marta Russo, torna in cattedra
di Mattia
Piola
U
n innocuo strumento di autodifesa per la polizia o una pericolosa arma che può provocare l’arresto cardiaco della persona sottoposta alla scossa? Una risposta univoca non c’è eppure, da ieri, lo storditore elettrico è (quasi) entrato nella dotazione delle forze dell’ordine di vigilanza negli stadi italiani. La commissione Giustizia e Affari costituzionali della Camera ha approvato un emendamento al decreto stadi che prevede l’avvio della sperimentazione della pistola elettrica. Ora sarà l’aula a dover dire l’ultimo ‘sì’. La proposta per introdurre il controverso strumento anche in Italia è stata avanzata dal deputato di Forza Italia Gregorio Fontana ed è stata votata dai partiti di maggioranza, Partito democratico compreso. La pistola “produce una scarica elettrica che rende la persona colpita inoffensiva per alcuni secondi” facilitando così l’operato delle forze dell’ordine, è la versione ufficiale dell’azienda e di Fontana. Di tutt’altro avviso Sel e Movimento 5Stelle, che accusano il governo di trovare i soldi per le pistole elettriche ma non per gli stipendi degli agenti. IL TASER È UN’ARMA da difesa che le enciclopedie di settore classificano come non letale. In passato però non sono mancati i casi in cui qualcuno, di regola persone deboli di cuore, hanno perso la vita dopo essere state sottoposte a una scarica. Il Taser nasce come evoluzione del manganello elettrico. A brevettarlo è stato, nel 1969, il ricercatore della Nasa John Cover. La pistola elettrica lancia due dardi
GIOVANNI SCATTONE è tornato in classe a insegnare. L’ex assistente universitario era stato condannato insieme a Salvatore Ferraro per omicidio colposo di Marta Russo, la studentessa di giurisprudenza che il 9 maggio 1997 uccisa da un proiettile mentre camminava in un viale dell’Università La Sapienza. Scattone ha da pochi giorni ricevuto l’incarico per una supplenza. Insegnerà
storia al liceo scientifico Cannizzaro di Roma. Stando a quanto racconta il Messaggero, l’accoglienza non è stata delle migliori: alcuni colleghi e docenti lo evitano. Il dirigente del liceo Cannizzaro, Antonino Micalizzi, smorza i toni: “A scuola c’è serenità”. Già in passato, per la verità, il suo ritorno in cattedra era stato contestato. Nel 2011, infatti, Scattone era stato supplente al
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liceo Cavour, la stessa scuola dove si era diplomata Marta Russo. Le proteste e le tensioni con genitori e colleghi lo avevano spinto a lasciare l’incarico. Scattone, condannato a 5 anni e 4 mesi, ha passato in cella complessivamente poco più di due anni. Poi il tribunale di sorveglianza decise di concedergli l’affidamento ai servizi sociali.
UN COLPO AL CUORE PER I TIFOSI: IL TASER ENTRERÀ NEGLI STADI APPROVATO UN EMENDAMENTO DI FORZA ITALIA CHE DOTEREBBE GLI AGENTI DELLO STORDITORE ELETTRICO, RITENUTO RESPONSABILE DI TANTI MORTI PER ARRESTO CARDIACO che colpiscono il corpo o il vestiario del bersaglio provocando una scarica da 50 mila Volt. L’elettricità arriva alla muscolatura, immobilizzandola. La persona colpita cade a terra per le contrazioni e rimane in posizione fetale. Il costo di un Taser – oggi già acquistabile dai cittadini muniti di porto d’armi – si aggira sui 500 euro per i modelli più sofisticati, quelli a forma di pistola e con puntatore laser. Per le evoluzioni meno raffinate, quelle a forma di scatola, il costo è circa la metà. Il primo utilizzo su larga scala di pistole elettriche avvenne negli Stati Uniti, Paese nel quale è ancora oggi largamente impiegato dalle forze di polizia. La questione aperta è se le pistole elettriche siano davvero pericolose. Ovviamente la società che le produce, la Taser International, ha smentito in varie occasioni che l’arma possa rivelarsi fatale. Di tutt’altro avviso l’Onu che, nel 2007, le equiparò a una forma di tortura. Ma l’avversario più irriducibile dello storditore elettrico è Amnesty International che, negli anni scorsi ha sollecitato più volte il Congresso americano chie-
L’ULTIMA VITTIMA
Il writer 18enne Israel Hernandez
COME FUNZIONA Due dardi causano una scossa da 50mila volt che immobilizza a terra in posizione fetale il bersaglio per vari secondi dendone la messa al bando. Secondo i rapporti di Amnesty oltre 500 persone avrebbero perso la vita negli Usa dal 2001 al 2012 dopo essere state colpite da una scossa elettrica durante l’arresto o, più raramente, in prigione. Non di rado i casi di decesso successivi a una scarica elet-
trica di Taser sono finiti sulle cronache di mezzo mondo. Nel 2006, Ryan Wilson un 22enne americano morì per una scarica sparata al termine di un inseguimento. Nell’ottobre 2007 in Canada un cittadino polacco morì, terzo in pochi mesi, per arresto cardiaco sopraggiunto in seguito a una scarica di Taser. Ma la vicenda che ha creato più scalpore risale al 2013, quando a Miami la polizia ha sparato una scarica addosso a un writer appena 18enne: Israel Hernandez-Llach. LA SUA UNICA COLPA era
quella di ridipingere un vecchio fast-food abbandonato. Una volta notata la polizia il ragazzo ha cominciato a correre. Raggiunto dalla scossa, è crollato a terra ed è morto. Una fine che scatenò un’ondata di proteste e polemiche in tutti gli Usa. Sempre ieri è stato deciso l’avvio di una sperimentazione di microcamere sulle divise degli agenti dei reparti mobili di Torino, Milano, Roma e Napoli. La prima occasione potrebbe essere il vertice Bce in programma domani a Napoli.
Lo storditore elettrico Ansa
CAPITANI CORAGGIOSI
“Schettino ha provato a fuggire in elicottero”
I
passeggeri della Costa Concordia stavano in fila per le scialuppe. Intanto, Francesco Schettino aspettava, nascosto sul ponte 11, un elicottero che lo portasse in salvo. Le nuove rivelazioni sulla notte dell’affondamento della Costa Concordia arrivano da Domnica Cemortan, la moldava amica ‘particolare’ del capitano. Secondo la sua nuova ricostruzione affidata al settimanale Oggi (di cui però non c’è traccia nelle carte del processo), Schettino avrebbe aspettato in compagnia della fidanzata e del maitre della nave (e fratello dell’allora direttore generale di Costa Crociere) il soccorso dall’alto, lasciando i passeggeri in balìa degli eventi. Secondo Cemortan, una telefonata ha poi informato Schettino che nessun elicottero sarebbe arrivato a trarlo in salvo e ha costretto Schettino a trovare un’altra via per abbandonare la nave. Dai capitani coraggiosi di Kipling, ai capitani vergognosi italiani.
IL CASO DI BRESCELLO
Mafia al nord? Non c’è, e se c’è è “cordiale” di Davide Milosa
egare. Negare sempre. Di più: indignarsi. Di rito la N frase più gettonata è: “La mafia
sta a Roma”. Ma non qui. Al nord poi. Solo il minimo accenno basta a far sentire diffamati cittadini e amministratori. Capita oggi, dopo che le ultime operazioni hanno rotto il tabù della piovra al nord come “solo una bella fiction”. E CAPITA soprattutto nei picco-
li comuni, dove i clan puntano maggiormente a infiltrarsi nella politica. Un nuovo modo di operare segnalato proprio ieri dal presidente del Commissione parlamentare antimafia Rosi Bindi. Ed ecco allora che nel cuore dell’Emilia rossa a Brescello, patria di don Camillo e Peppone, il giovane sindaco Pd Marcello Coffrini, in un documentario di cronisti locali, definisce “una persona educata” il boss della ‘ndrangheta Francesco Grandi Aracri originario di
Cutro, ma da anni residente in terra emiliana dove ha la sorveglianza speciale e una condanna definitiva per mafia. Coffrini scivola e fa di più: incontra il boss vicino a un cantiere. I cronisti filmano. Lui parla con Grande Aracri, stringe la mano e se ne va sorridente. Per lui non c’è nulla di male e nemmeno per il parroco del paese che pochi giorni dopo rincara dicendo che “qui la mafia non esiste”. Il Partito democratico bacchetta Coffrini. Non il suo consiglio comunale e nemmeno i cittadi-
GALANTUOMINI Il sindaco del paese di Peppone e Don Camillo ha incontrato il boss Francesco Grandi Aracri vicino a un cantiere. Poi se n’è andato sorridendo
ni che due giorni fa in piazza hanno raccolto firme in suo favore. Non c’è la mafia, si sente dire. Raccontano, naturalmente, altro le inchieste giudiziarie della Dda di Bologna. Indagini che descrivono l’Emilia come una delle ultime frontiere del riciclaggio mafioso. Per gli investigatori non è immune nemmeno la Romagna. Qui il turismo è una torta golosa per i clan. Come racconta un documentario di Michela Monte. Risponde, lo scorso gennaio, l’ex assessore regionale al Turismo Maurizio Melucci. “L’immagine che la riviera romagnola sia in mano alla mafia la ritengo una bella barzelletta. A me non risulta infiltrazione mafiosa, nel senso classico del termine”. Già perché in questi casi non è questione di collusione ma di banale ignoranza e incapacità di riconoscere il pericolo mafioso. Ben diverso, il caso eclatante rappresentato dal comune di Leinì in provincia di Torino. Protagonista l’ex primo cittadi-
no Nevio Coral, imputato e poi condannato in primo grado per concorso esterno, il quale in aula davanti ai giudici ha dichiarato: “Se c’è un paese che non ha infiltrazioni mafiose questo è Leinì”. Per la cronaca nel 2012 il comune è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. PIÙ SFUMATA , invece, la po-
sizione di alcuni amministratori di Rivarolo Canavese (altra amministrazione sciolta per infiltrazioni dei clan), i quali davanti all’evidenza si sono giustificati con questo ragionamento: pensavamo che ci fosse la ’ndrangheta, ma ce l’aspettavamo con la coppola e non in doppiopetto. Sovrana ignoranza, dunque. Come nel caso dell’attuale consigliere regionale ligure Marco Melgrati, il quale, nel 2012, da ex primo cittadino di Alassio e a pochi giorni dalla maxi-operazione ‘La svolta’ sulla ’ndrangheta nell’imperiese affermava: “La mafia qua non esiste, non esiste nel nostro
Dna”. Distrazione, forse. E la Lombardia? Nella regione che ospiterà l’Expo e che i magistrati definiscono il quarto mandamento della ‘ndrangheta, in pochi oggi si azzardano a dire che la mafia non esiste. È capitato solo pochi mesi fa a Vimercate, quando gli amministratori locali di centrosinistra hanno manifestato contro alcuni articoli del Fatto che, seguendo le carte di un’inchiesta della Dia, rappresentavano il comune brianzolo come ennesima meta di interessi mafiosi. “Fango”, hanno urlato. Eppure basta tornare indietro di pochi anni, prima del luglio 2010 e del maxi-blitz Infinito, per contare i comuni dove cittadini e amministratori urlavano allo scandalo al solo sentire parlare di infiltrazioni mafiose. Due su tutti: Buccinasco (all’epoca retto da una giunta di centrodestra) e Lonate Pozzolo, dove fino al 2010 i conti mafiosi si regolavano per strada o nei bar. Come nella Palermo degli anni 80.
Il sindaco Coffrini Facebook
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ANTI-FURBI
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Ilalva,cassa a Genova parte integrazione per 765 operai
PARTIRÀ OGGI la cassa integrazione in deroga per 765 lavoratori dello stabilimento di Ilva di Genova Corgnigliano. Lavoratori che hanno tirato un sospiro di sollievo, visto che ieri a mezzanotte terminavano i contratti di solidarietà. Per coloro che ne faranno richiesta sarà pos-
sibile integrare il reddito con i lavori di pubblica utilità, pagati con i fondi della Società per Cornigliano destinati alla bonifica dell’Ilva, resi disponibili grazie alla modifica dell’accordo di programma. La cassa in deroga viene garantita dal governo fino a dicembre quando con la legge
di Stabilità verranno stanziate le risorse per coprire anche i primi cinque mesi del 2015. Cessata la cassa in deroga per 70 giorni sarà l’azienda a garantire il reddito ai lavoratori. Dal 10 agosto si attiverà fino al 30 settembre un periodo di cassa integrazione straordinaria fino a
APPLE E FIAT, “FISCO SU MISURA” LA COMMISSIONE UE INDAGA IRLANDA, LUSSEMBURGO E OLANDA AVREBBERO APPLICATO UNA TASSAZIONE AD HOC AI GRUPPI: COSTI NEI PAESI IN CUI SI PAGANO TASSE, UTILI DOVE SI VERSA MENO di Camilla
Conti
L
Milano
e società la chiamano “ottimizzazione fiscale” ma per l'Unione europea il nome è un altro: aiuti di Stato. Aiuti che avrebbero chiesto un gigante come la Apple all’Irlanda, la Fiat al Lussemburgo e Starbucks (il gigante della caffetteria) all’Olanda. Tutte e tre sono infatti finite nel mirino di Bruxelles che nei mesi scorsi ha deciso di aprire un'indagine sui colossi di ogni settore, dall'alimentare al tech, e sugli Stati che hanno concesso loro benefici. L’obiettivo? Vederci chiaro su come le grandi corporation saldano il conto con il fisco grazie alla pratica del cosiddetto transfer-pricing, che con-
sente di ridurre al minimo l'imposizione fiscale grazie ai trasferimenti infragruppo, avvalendosi di volta in volta dei regimi di tassazione agevolati dei diversi Paesi in cui hanno sede le società di uno stesso gruppo. In sostanza la tattica è quella di concentrare i costi nei Paesi in cui si pagano tasse e nello spostare gli utili là dove si paga il meno possibile. Non solo. I meccanismi al centro dell'attenzione riguardano anche gli ac-
cordi che le società prendono con le autorità fiscali nazionali (tax ruling), in modo da sapere in anticipo con che regime verranno trattati i loro affari. DALL’IRLANDA, in particolare, i regolatori comunitari vogliono più dettagli sugli accordi fiscali raggiunti con Apple nel 1990 e nel 2007, mettendo in guardia dal fatto che si possa trattare di aiuti lesivi della concorrenza. In una lettera
della Commissione europea indirizzata al governo di Dublino, il braccio esecutivo della Ue fornisce una visione preliminare delle ragioni dietro la decisione di aprire un'inchiesta in merito al trattamento riservato al colosso degli iPhone nel Vecchio continente. “Attraverso questi accordi le autorità irlandesi hanno conferito un vantaggio ad Apple”, ha dichiarato la Commissione a proposito della vicenda che
2% 75 mld L’ALIQUOTA I PROFITTI PER APPLE
NEL 2013
vede coinvolta la società americana. Il trattamento infatti sarebbe stato accordato in maniera discrezionale e ha determinato ora e in passato un privilegio riconducibile al fatto che le parti hanno concordato a priori con le convenzioni del 1991 e del 2007 l'onere fiscale futuro. Un’altra lettera è partita alla volta di Lussemburgo. Nel mirino, la Fiat. O meglio, il trattamento fiscale agevolato in Lussemburgo a Fiat Finance and Trade (Fft). La società, controllata al 40% da Fiat Spa e al 60% da Fiat Finance Spa, fornisce servizi di tesoreria e di finanziamento alle imprese del grup-
I FURBI
La Apple e Fiat (nella foto Sergio Marchionne) nel mirino della Ue per il fisco troppo amico LaPresse/Ansa
il Fatto Quotidiano
quando ad ottobre potranno ripartire i contratti di solidarietà. Sono questi i dettagli dell’accordo firmato ieri a Genova da Regione, Comune, sindacati, e azienda e che verrà inviato a Roma per la firma della Presidenza del consiglio dei ministri e dei ministeri competenti.
SBLOCCA ITALIA Visco: c’è rischio corruzione ra le pieghe dello Sblocca Italia emergono rischi T di corruzione e di anticoncorrenzialità. A sollevare i dubbi sono state le Autorità Garanti, affiancate
da Bankitalia, la più esplicita, nel corso di una serie di audizioni alla Camera, nel denunciare la possibilità che la deroga alle norme ordinarie, inseguita per accelerare la realizzazione di infrastrutture, possa portare ad una nuova "vulnerabilità" alla corruzione. Via Nazionale è critica per due motivi. Il primo sta nel fatto che questo esige, per essere efficace, dei decreti attuativi, che spesso in Italia finiscono nel dimenticatoio. In più, "il ricorso a meccanismi derogatori, pur motivato dal condivisibile obiettivo di ridurre i tempi in fase di aggiudicazione delle gare, si è già rivelato in passato non sempre pienamente efficace, con ripercussioni negative sui tempi e sui costi nella successiva fase di esecuzione dell’opera e di vulnerabilità ai rischi di corruzione". Mentre a non convincere il presidente dell’Anac, Raffaele Cantone, è anche il doppio incarico dell’ad di Fs che riveste anche il ruolo di commissario straordinario per alcune opere al Sud (come la Napoli-Bari).
po in Europa, Italia esclusa. Fft controlla il 100% di Ffna (che svolge gli stessi servizi negli Usa) e di Ffc (Canada). Analizzando i prezzi delle operazioni infragruppo, applicando i criteri di economicità e tenendo conto della disciplina sugli aiuti di stato, la Commissione conclude che il Lussemburgo, innanzitutto, ha fissato una sorta di piano fiscale invariabile per Fft che non corrisponde alla realtà economica; inoltre, Bruxelles “dubita che il calcolo del piano fiscale di Fft rifletta correttamente una remunerazione appropriata della concorrenza piena”; e ancora, non convince l'utilizzo dei mezzi propri, né il fattore di ponderazione dei rischi; infine, il rapporto in materia di prezzi dei trasferimenti approvato dalle autorità fiscali lussemburghesi “sembra contenere un errore per ciò che concerne i fabbisogni minimi di fondi propri previsti da Basilea II”. La Commissione ritiene dunque che il trattamento fiscale di Fft “non rispetti il principio di concorrenza piena”, perché si traduce in un vantaggio per Fiat. Un vantaggio che si ripete ogni anno e che è selettivo.
“Nuovogiorno” della stampa ciociara
Le parti hanno un mese di tempo per replicare dopo che la notizia sarà pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Ue. Dal momento della replica solitamente le cause di questo tipo richiedono fino a diciotto mesi per essere concluse. Se l’Antitrust europeo constaterà la violazione delle norme, potrà chiedere agli Stati di recuperarli dalle aziende, il che si tradurrà in una maxi-multa. LE INDAGINI Ue riguardano
infine l'Olanda, in relazione ai rapporti con la catena americana di caffetterie Starbucks. Un altro fronte delicato è l’offensiva dell’antitrust europeo contro Google. Prendere al laccio le multinazionali e costringerle a pagare le tasse non è mai stato facile, anche quando la new economy non esisteva. Oggi però, con il boom del commercio digitale, la fuga oltre-confine dei profitti da tassare sta diventando una valanga. E le autorità europee, dopo anni di disinteresse e di connivenze varie ma soprattutto con la recessione che colpisce duro al fianco delle finanze pubbliche, sono costrette ad alzare il cartellino rosso. In Ciociaria nasce un nuovo giornale Wikipedia cc
IN TUTTA LA PROVINCIA DI FROSINONE AL VIA LA DISTRIBUZIONE DEL NUOVO QUOTIDIANO INDIPENDENTE on il calo delle vendite e la crisi diffusa della C stampa, decidere di aprire un nuovo giornale, per di più cartaceo, è una scelta coraggiosa, ai li-
miti dell’incoscienza. I giornalisti de Il Nuovogiorno, quotidiano che arriverà oggi per la prima volta nelle edicole di 91 Comuni in provincia di Frosinone, ci credono comunque. Il nuovo giornale parte con una società editoriale aperta agli industriali locali, che saranno proprietari della testata. Una cooperativa di giornalisti, PressItalia24, si occuperà invece di gestire integralmente la parte editoriale, dalla scrittura all’edizione. A formarla saranno sei giornalisti professionisti. La squadra di redazione conterà in totale su undici redattori e trenta collaboratori esterni, coadiuvati da quattro poligrafici. Inizialmente il giornale sarà solamente cartaceo, ma – già tra 15 giorni – la stessa squadra redazionale darà vita anche al sito web. “In
entrambi i casi le testate non hanno mai preso un euro di contributo pubblico e intendiamo rispettare questa linea anche con Il nuovogiorno”, spiega il direttore responsabile Massimo Pizzuti, che da dodici anni ricopre ruoli dirigenziali in testate locali ciociare. “I nostri free press hanno sempre puntato molto sulla satira e sull’irriverenza, qualcosa completamente fuori dagli schemi per una provincia come Frosinone”. Il nuovo quotidiano partirà con una linea editoriale chiara: “Critici
verso la giunta regionale romanocentrica guidata da Zingaretti, come in passato ci siamo opposti a quella di Polverini”. Tra i membri della nuova squadra ci saranno Corrado Trento, ex cronista politico del Messaggero, Katia Valente ex caporedattrice di Ciociaria Oggi, Cristiano Ricci ex redattore del Tempo e Daniele Ciardi, lo storico corrispondente del Corriere dello Sport da Frosinone. “Il primo numero aprirà sulla rottura all’interno del Pd sulle candidature a presidente della Provincia. Il partito è diviso e in corso ci sono due renziani di ferro: Antonio Pompeo, il sindaco di IL DOPO CIARRAPICO Ferentino, ed Enrico Pittiglio, primo cittadino di San Donato Il ras storico della stampa locale è l’ex senatore Pdl Val Comino”, spiega Pizzuti. Quello che è stato per anni il suo quotidiano, Il nuovogiorno uscirà in una pro“Ciociaria oggi”, è fallito e ha cambiato nome tre volte vincia in cui ci sono già due quo-
tidiani: il Quotidiano di Ciociaria (erede di Ciociaria Oggi di Ciarrapico) e La Provincia. Da un punto di vista finanziario, entrambi navigano in acque difficili. Nelle redazioni di Ciociaria oggi tutti ricordano ancora le telefonate dell’allora editore e senatore del Popolo della libertà, Giuseppe Ciarrapico: “Ogni due mesi telefonava incazzato perché voleva sapere con quanti voti era stato eletto – racconta un giornalista che chiede di rimanere anonimo –. E noi ogni volta a tentare di spiegargli che era stato eletto in un listino proporzionale bloccato, senza preferenze”. A.S.
1 OTTOBRE 2014
I PIRATI DELL’AUTOSTRADA
il FATTO ECONOMICO
» Concessioni senza gara e non solo: ecco cosa c’è dietro il regalo che il governo ha fatto alle lobby del casello
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REFERENDUM SULL’AUSTERITÀ
CARIGE, TRA FIDI E QUADRI
» Per gli analisti la banca non passerà gli stress test della Bce. Dubbi sui fidi concessi all’ex dg, appassionato d’arte
» Il voto popolare sull’austerità è l’unico modo per smontare l’aritmetica stupida del rigore che ci strozza All’interno
PROPENSIONE AL RISPARMIO Cresce la quota di risorse finanziarie a portata di mano e di bancomat. De Rita: “Le elargizioni di Renzi avrebbero bisogno di un senso”
TFR & 80 EURO? 3.896 MLD RICCHEZZA L’ITALIA SFIDUCIATA LAFINA NZIARIA METTE I SOLDI 1.320 MLD NEL MATERASSO DEPOSITI di Salvatore Cannavò
I
l problema degli 80 euro di Renzi è che non hanno un senso”. Giuseppe De Rita, presidente del Censis, al termine di una conversazione su cosa sta accadendo al risparmio degli italiani, commenta così quello che è avvenuto con gli stimoli all’economia ideati dal presidente del Consiglio. “Visto il contesto in cui ci troviamo quella somma è stata troppo poco ma soprattutto non ha avuto una chiara finalità, qualcosa che motivasse davvero la spesa. Nessuno impegna i pochi soldi a disposizione se non ha un buon motivo per farlo”. IL GIUDIZIO NON VUOLE ESSERE IMPIETOSO.
Anzi, assomiglia più a un consiglio. I numeri di cui parla il Censis sono tratti dal Diario della transizione da cui emerge una fotografia sul risparmio degli italiani che ben descrive l’attuale situazione di stallo. “Negli anni della crisi - si legge - gli italiani hanno preferito tenere i soldi cash o fermi sui conti correnti, a disposizione per ogni evenienza”. Il punto che Renzi ha sottovalutato è esattamente questo. Il valore di contanti e depositi bancari è aumentato di 234 miliardi di euro negli ultimi sette anni. “Le consistenze sono passate dai 975 miliardi di euro del 2007 a una massa finanziaria di 1.209 miliardi nel marzo 2014, con un incremento del 9,2% in termini reali”. Si tratta del 30% delle attività finanziarie delle famiglie mentre erano solo il 25% nell’anno prima della crisi. A descrivere il quadro di una incertezza crescente c’è anche il dato sugli investimenti in assicurazioni e fondi pensione aumentati nel periodo preso in esame di 125 miliardi di euro (+7,2%). Allo stesso tempo si sono azzerati i consumi (-7,6% dal 2007 a oggi), dimezzati gli investimenti immobiliari (dalle 807 mila compravendite di abitazioni del 2007 alle 403mila del 2013), con una frenata complessiva dettata dalla crisi. L’impatto della crisi è, secondo De Rita, fondamentale. “Gli italiani non vedono nel risparmio un valore tradizionale, il loro comportamento è legato al periodo storico”. E l’attuale periodo storico è legato a quella che il sociologo chiama “sobrietà” . “Torna in auge il ‘genio contadino’, lo stesso che si è messo all’opera subito dopo la guerra. Non si tratta di paura, come crede Renzi, ma di prudenza, cautela, attesa di una prospettiva”. I dati pubblicati dalla Banca d’Italia confermano questo giudizio. Su oltre 9 mila miliardi di ricchezza delle famiglie, la parte del leone, oltre 5 mila miliardi, è fatta dalla ricchezza “reale”, per lo più le abitazioni (4.800 miliardi) i cui prezzi però sono scesi. In aumento, invece, la ricchezza finanziaria che nel 2013 è cresciuta del 2,1% arrivando alla cifra di 3.896 mila miliardi di euro. Questa “ricchezza” è concentrata nelle attività più liquide: il 27% (da-
to di fine del 2013 ma la percentuale, come visto, è in salita) in depositi bancari e il 7% in altre voci ancora più liquide come biglietti e monete, conti correnti postali, crediti commerciali. In totale fanno 1.320 miliardi di euro a disposizione degli italiani, tenuti a portata di mano o di bancomat. Meno liquidi, ma percepiti come molto sicuri, le assicurazioni e i fondi pensione, compresa la la liquidità del Tfr, quella stessa che Renzi vorrebbe mettere direttamente in busta paga: si tratta di oltre 700 miliardi, il 18,2% del totale. Le obbligazioni, cioè i titoli pubblici, ma non solo, ammontano a 624 miliardi e rappresentano il 18,6% mentre è più alta, anche grazie all’aumento del valore dei titoli in Borsa, la quota di azioni che ammonta a 916 miliardi, il 22,1% del totale. Più ridotta, anche se in forte crescita, la quota dei fondi comuni: 308 miliardi, il 7%. A questa ricchezza complessiva occorre però detrarre la passività composta dai debiti. Soprattutto quelli bancari che ammontano a 602 miliardi, il 65% del totale di 921 miliardi. All’interno di questo quadro c’è un alto grado di diseguaglianza. Come sottolinea il rapporto della Banca d’Italia, nel 2012 - ultimo anno in cui i dati sono disponibili - la ricchezza detenuta dal 10% delle famiglie più ricche ha raggiunto il 46,6% del totale. Era “solo” il 45,7% nel 2010. I DATI NON DEVONO TRARRE IN INGANNO per-
ché la complessiva propensione al risparmio in Italia è in discesa libera da circa venti anni. Nel periodo 1992-‘96 (dati Istat) la percentuale del risparmio sul reddito disponibile ammontava al 20,7% mentre nel 2012 si è ridotto all’8,2. Questo in un contesto di contrazione drastica del potere di acquisto delle famiglie che nei cinque anni di crisi,
E CONTANTI
921 MLD I DEBITI DEGLI ITALIANI
dal 2008 al 2012, è scesa del 9,8%. “Con gli anni 90 – dice ancora De Rita – è iniziata una fase di ‘galleggiamento’ e di attesa anche per effetto del differente sistema di conteggio monetario dovuto all’euro. Gli italiani si sono pian piano abituati a prezzi che di fatto erano il doppio di prima. A metà degli anni 2000, poi, è cominciata la crisi”. Tutto diverso da quanto avveniva tra la fine degli anni 60 e la metà degli anni 80 quando la propensione al risparmio, pur alta, si è tradotta in una grande disponibilità a investire. “Il numero delle imprese industriali, ricorda De Rita, è passato da 480 mila del 1971 a 980 mila nel 1981”. Segno di una “voglia di crescere e di investire”. Oggi nessuno ha voglia di investire e lo dimostrano gli oltre mille miliardi lasciati su depositi bancari con tassi di interesse quasi nulli. “Per investirli occorre dare incentivi, costruire finalità efficaci come la spinta alle ristrutturazioni domestiche”. In fondo, conclude De Rita, il senso complessivo di un Paese è dato dalla somma di tante finalità individuali”. Renzi ha offerto 80 euro e altrettanti si appresta a offrirne con il Tfr in busta paga. Ma non ha ancora trovato un senso a questa storia.
SOTTO AL LETTO
Gli italiani e la loro propensione al risparmio visti da Emanuele Fucecchi
NEGOZIANTI Si può lavorare solo quando vuole la politica di Stefano Feltri
olete capire perché l’Italia non riesce ad agganciare la ripresa? Guardate il V caso delle aperture domenicali dei negozi.
In Parlamento un fronte trasversale di anime belle ha deciso che bisogna santificare le feste (le parrocchie soffrono la concorrenza dei supermercati) e che la liberalizzazione degli orari di apertura voluta dal governo Monti andava ribaltata. Dimentichiamo per un attimo le discutibili premesse economiche (aumentare gli orari di apertura non serve ad aumentare l’occupazione) e concentriamoci sul risultato, cioè sulla legge approvata alla Camera il 25 settembre. Funziona così: viene introdotto l’obbligo di chiusura per almeno sei dei dodici giorni festivi dell’anno indicati nel testo. Quali? Ognuno può scegliere, ma deve comunicarlo al Comune competente, sulla base delle indicazioni di un apposito decreto che il ministero dello Sviluppo emanerà dopo aver consultato l’Anci, cioè l’associazione dei Comuni. Finito qui? Neanche per idea: ogni Comune, coordinandosi con quelli vicini, può “predisporre accordi territoriali non vincolanti per la definizione degli orari e delle chiusure degli esercizi commerciali”. Le Regioni e i Comuni possono addirittura dare incentivi e agevolazioni fiscali per spingere le imprese ad aderire a questi accordi (e perché? Boh). E comunque per decidere in quali zone applicare questi accordi, le Regioni devono consultare le associazioni di categoria, che così hanno qualcosa da fare. Una montagna di burocrazia legislativa solo per costringere i negozi a stare aperti un po’ meno. Regole così farraginose hanno almeno una validità universale? Ovviamente no, siamo in Italia, il Paese delle eccezioni: sono esenti dai vincoli le “attività di somministrazione di alimenti e bevande”. I parlamentari sono ancora nell’Ottocento: non sanno che molti di noi possono passare una domenica o il giorno di Pasqua senza pane o birra ma non privi di un caricabatterie dell’iPhone. E chi vuole sfidare la legge? Sanzione da 2 mila a 12 mila euro, i recidivi possono vedersi chiudere il negozio anche per dieci giorni. Le grandi potenzialità del capitalismo italiano saranno forse frenate dall’articolo 18, ma i nostri parlamentari non si rendono conto che i famosi “lacci e lacciuoli” con cui la politica ama imbrigliare le imprese possono diventare cappi letali in tempo di recessione. E che il modo migliore per garantire la domenica libera a commessi e clienti è lasciarli tutti disoccupati. Alla Ducati di Bologna (controllata dai tedeschi dell’Audi) gli operai, inclusi quelli della Fiom, sono soddisfatti di aver firmato un accordo che stabilisce massima flessibilità, anche sui turni domenicali. In cambio le 30 ore settimanali saranno pagate come se fossero 40 e ci saranno 13 assunzioni. Tutti contenti. Non parlatene troppo in giro, però, o alla Camera vieteranno anche quello.
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MERCOLEDÌ 1 OTTOBRE 2014
il FATTO ECONOMICO
di Giorgio Ragazzi
L
a produzione industriale è crollata, migliaia di imprese chiudono, ma c’è un settore che non conosce crisi: le autostrade. Nel 2012-13 il traffico è diminuito del 10% ma, grazie agli aumenti tariffari, gli introiti complessivi da pedaggi sono persino aumentati. Dal 2010 i pedaggi (in media) sono cresciuti del 15%, il doppio dell’inflazione del periodo. Come si spiega? La regolamentazione tariffaria si è sviluppata in modi contorti negli ultimi due decenni (si veda il mio libro I Signori delle Autostrade, il Mulino, 2008) con la sovrapposizione di sempre nuove norme, lasciando scegliere alla concessionaria quale sia per lei più conveniente. La convenzione di Autostrade per l’Italia (ASPI) prevede incrementi tariffari senza alcuna relazione col livello di profitto. La maggior parte delle altre concessionarie si è avvalsa della facoltà di richiedere il “riequilibrio del piano economico-finanziario”, facoltà introdotta con la delibera Cipe 39/2007. All’inizio di ogni periodo regolatorio (ogni 5 anni) si definisce, su proposta della concessionaria, un piano economico-finanziario che deve prevedere incrementi di tariffa tali da assicurare alla concessionaria, sulla base delle previsioni di costi e ricavi, una “congrua remunerazione” sul capitale investito. Lo Stato assicura comunque a queste imprese un “congruo” profitto, al riparo anche da ogni possibile “rischio traffico”. Sul capitale proprio investito il rendimento assicurato è di 4 punti sopra il rendimento medio dei buoni del Tesoro decennali: davvero ottimo, per i tempi che corrono, e a rischio zero.
La formula segreta del profitto garantito Ma come viene determinato l’ammontare del capitale proprio da remunerare? Nelle concessionarie gli azionisti non hanno mai versato capitali se non per importi irrisori: tutto è stato finanziato a debito, e i debiti sono stati rimborsati coi pedaggi. Qual è dunque l’origine e come è determinato il capitale proprio da remunerare? È un mistero sepolto nei piani finanziari, rigorosamente secretati. Le rivalutazioni monetarie effettuate ancora pochi anni addietro da varie concessionarie, in particolare quelle dell’ASTM (gruppo Gavio), vengono considerate come maggior capitale proprio investito? Pare che sia questo il motivo per il quale quelle concessionarie, richiedendo il riequilibrio economico-finanziario, hanno ottenuto elevati incrementi tariffari. Ci dicono che il motivo principale degli aumenti di tariffa sia la necessità di remunerare gli investimenti. Dai dati risulta però che di investimenti le concessionarie ne hanno sempre fatti mol-
MISTERI CONTABILI Se una nuova corsia non è in grado di ripagarsi grazie al maggior traffico, perché costruirla? E se invece lo è, perché vengono concessi gli incrementi delle tariffe? to pochi, e con ritardi di decenni rispetto ai piani concordati. Nel 2013 le concessionarie hanno incassato 4.900 milioni per pedaggi e registrato utili di 1.100 milioni ma hanno fatto investimenti per poco più di 900 milioni. La maggiore concessionaria, Autostrade per l'Italia, ha avuto un flusso di cassa operativo di 1.230 milioni ma ha investito solo 470 milioni (dato della Vigilanza). Paghiamo un altissimo scotto sulla mobilità a fronte di investimenti modestissimi. Vediamo comunque come vengano remunerati questi investimenti. La delibera CIPE del 2007 prevede che l’in-
SUPERLOBBY.
IL SORPASSO Tutti i segreti dietro l’enorme regalo del governo alla lobby del casello: concessioni prorogate senza gara in cambio (forse) di investimenti
IL GRANDE IMBROGLIO DEI SIGNORI DELLE AUTOSTRADE incrementi di tariffa. Ma su una rete già tanto congestionata come quella italiana l’aggiunta di corsie parrebbe invece essenziale per sostenere ulteriori incrementi di traffico i cui proventi vanno interamente a vantaggio della concessionaria: se si quantificasse questo beneficio potrebbe non esservi bisogno di aumentare i pedaggi. Se una nuova corsia non è in grado di ripagarsi con maggior traffico nell’arco dei quasi 30 anni di vita residua di una concessione come quella dell’ASPI, perché realizzarla? E se è in grado di ripagarsi, perché concedere incrementi di tariffa?
Chissà perché i lavori sono sempre “urgenti”
15 luglio 1959, inaugurazione del tratto Milano-Bologna dell’autostrada del Sole Ansa
cremento di tariffa debba essere determinato in modo che “il valore attualizzato dei ricavi previsti sia pari al valore attualizzato dei costi ammessi… scontando gli importi al tasso di congrua remunerazione”. Il criterio è perfetto ma la sua applicazione discrezionale. L’eventuale incremento del pedaggio dipende dalla redditività attesa dell’investimento nell’arco della sua vita utile. Sarebbe necessario aumentare il pedaggio solo se la redditività attesa dell’investimento fosse inferiore al tasso di rendimento che si intende assicurare al concessionario. Ma, in tal caso, perché l’Ispettorato autorizza inve-
stimenti non remunerativi? Se per finanziare nuovi investimenti occorre aumentare di molto i pedaggi anno dopo anno significa o che si fanno pessimi investimenti o che il ministero sbaglia i conti. Quantificare i benefici degli investimenti è difficile. Consideriamo l’investimento più rilevante, la costruzione di nuove corsie. Le concessionarie (Autostrade per l'Italia in particolare) sostengono che questi investimenti migliorano la qualità del servizio, ma non generano apprezzabili incrementi di proventi da maggior traffico e devono pertanto essere remunerati con
In Francia e in Spagna non sono previsti incrementi di tariffa per finanziare investimenti in nuove corsie o in migliori sistemi di esazione: la scelta di convenienza viene lasciata alla concessionaria. In Italia invece gli investimenti sono proposti dalle concessionarie ma “assentiti” dal ministero che ne garantisce quindi la redditività ex ante con incrementi di tariffa. Nella logica del sistema italiano le concessionarie hanno tutto l’interesse a sottovalutare la redditività attesa dei loro investimenti per farseli remunerare con incrementi di pedaggi, visto che se poi in futuro la redditività risulterà maggiore di quella concordata con l’Ispettorato tutto il beneficio resterà acquisito alla concessionaria stessa. Gli investimenti sono poi proposti dalle concessionarie e pertanto il sistema tende a selezionare quelli che appaiono
I numeri dei concessionari della rete autostradale dal sito di Aiscat, l’associazione di categoria guidata da Fabrizio Palenzona Infografica di Pierpaolo Balani
ANTITRUST
“Lo Sblocca Italia viola la concorrenza” La decisione di prolungare le concessioni stradali senza gara nel decreto Sblocca Italia del governo viene duramente bocciata dal garante della Concorrenza, il presidente dell’Antitrust Antonio Pitruzzella: “Abbiamo fortissime perplessità sulle norme che riguardano le concessioni autostradali che si collocano in un contesto in cui molte concessioni sono già scadute e altre scadranno prima del 2020. La norma pare muoversi nel senso di eliminare una delle due forme di incentivi concorrenziali possibili, la concorrenza per il mercato, cioè la possibilità di gare, con una proroga implicita delle concessioni esistenti". Questo il duro attacco di Pitruzzella durante un’audizione, ieri alla Camera, relativa allo Sblocca Italia. La proroga prevista dal decreto “non appare giustificabile con l'esigenza di 'assicurare investimenti”. Tradotto: è soltanto un regalo alla lobby dei concessionari.
di volta in volta più utili alle concessionarie stesse piuttosto che al paese. Un tipico esempio storico può essere quello dell’autostrada Torino-Milano. Negli anni 90, questa autostrada aveva tre corsie con piazzole d’emergenza ed era ampiamente sufficiente per il traffico. Allargare l’autostrada e costruire una corsia d’emergenza non era certo un investimento prioritario per il Paese, ma lo era invece per la concessionaria che, proponendo questo e altri minori investimenti è riuscita a ottenere che la concessione in scadenza nel 1999 fosse prorogata prima sino al 2014 e poi ancora sino al 2026. I lavori
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per la corsia di emergenza non sono ancora terminati mentre i pedaggi negli ultimi anni sono addirittura raddoppiati. Parrebbe che in questo caso gli investimenti vengano pagati due volte: prima con le proroghe della concessione e poi con gli aumenti di tariffa. Ogni concessionaria a rischio di scadenza della concessione individua nuovi lavori “urgentissimi” che ne giustifichino la proroga: nuove corsie o nuovi tratti come il prolungamento da Parma a Nogarole Rocca che ha consentito alla Cisa di ottenere una proroga della concessione dal 2010 al 2031 (oltre a forti aumenti di tariffa). Per la Serenissima (Brescia-Padova) è assolutamente necessario costruire il tratto Piovene Rocchette-Rovigo (Valdasticco nord), anche se non pare di per se né essenziale né remunerativo, perché solo così potrebbe ottenere anch’essa una bella proroga della concessione già scaduta ed evitare quindi il rischio da tutte più temuto, quello che si faccia una gara per il rinnovo. Per le concessionarie non esistono investimenti a rischio: la remunerazione in tariffa è garantita e c’è sempre la possibilità di richiedere il “riequilibrio” del piano economico finanziario. Anche quando si sbagliano di molto le previsioni di costo e di traffico, come nel caso della Asti-Cuneo, ecco che viene prospettata (dalla ASTM) una soluzione facile ed anche profittevole: accorpare quella concessione ai due tronchi (Torino-Milano e Torino-Piacenza) ed ottenere pure un’altra bella proroga per quelle due concessioni che altrimenti scadrebbero prima della Asti-Cuneo. Gli ignari utenti continueranno a pagare pedaggi sempre crescenti e le concessionarie ad incassare profitti sicuri per altri decenni. Ed è proprio per agevolare questo tipo di operazioni che è stato inserito nel decreto “sblocca Italia” l’artico 5, che prevede appunto la possibilità di unificare tratte “attigue, interconnesse o complementari” in una nuova concessione che assicurerà comunque, anche in futuro, l’equilibrio dei conti.
I cantieri infiniti per evitare le gare Di gare per rinnovi di concessioni in Italia non si è riusciti sinora a farne nessuna e pare che il ministro dei Trasporti Maurizio Lupi sia determinato a non farne neanche in futuro, cercando di ottenere dall’Unione europea deroghe all’obbligo di rimettere in gara le concessioni scadute con l’usuale appiglio del completamento di tratte, magari previste in concessioni di 40 o 50 anni fa ottenute senza gara. Con un’inflazione ormai prossima allo zero appare sempre più inaccettabile per gli utenti e imbarazzante per il governo continuare ad aumentare di tanto i pedaggi (3,91% nel 2013 e 3,9% nel 2014). Per contenere in futuro questi aumenti è stato istituito un tavolo di lavoro tra Aiscat – l'associazione di categoria dei concessionari – e governo che considererebbe interventi in quattro direzioni: 1) prolungamento delle concessioni; 2) accorpamenti di concessioni e proroghe alle scadenze più lontane; 3) maggiori indennizzi di subentro a fine concessione; 4) slittamenti, cioè riduzioni, degli investimenti previsti. Tutte queste misure, a fronte di una eventuale moderazione degli incrementi tariffari nei prossimi anni, hanno in comune un chiaro obiettivo: prolungare sempre di più verso un orizzonte infinito la durata delle attuali concessioni, e quindi gli utili delle concessionarie e l’onere dei pedaggi, rendendo anche sempre più difficile l’effettuazione di gare a fine concessione per il crescere degli indennizzi richiesti all’eventuale subentrante. I pedaggi, introdotti all’origine per finanziare opere come l’autostrada del Sole, sono divenuti per le concessionarie una rendita pressoché perpetua sulla quale poi lo Stato carica anche l’Iva e parte dei costi dell’Anas.
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SOLDI FACILI Ombre sui fidi concessi all’ex direttore generale La Monica, grande amante di quadri contemporanei
IL TESORO DI CARIGE PROSCIUGATO AD ARTE
Finita l’era Berneschi, i problemi di Carige non sembrano essere finiti Ansa di Carlotta Scozzari
FUTURO INCERTO Per gli analisti l’istituto potrebbe non passare gli stress test della Banca centrale europea, in quel caso finirebbe in bocca a qualche gruppo più solido
È
passato un anno dalla storica assemblea degli azionisti di Carige del 30 settembre 2013 che ha spodestato il padre padrone Giovanni Berneschi, dopo 25 anni al potere. Da allora, le notizie non sono mai mancate. Nell'autunno del 2013, Piero Montani, noto per le sue doti di risanatore, ha preso in mano le redini come amministratore delegato dopo avere lasciato in fretta e furia la Popolare di Milano. A maggio, nell'ambito dell'indagine sulla banca ligure della Procura di Genova, sono stati arrestati l'ex presidente Berneschi (che è appena tornato libero, sia pure con l’obbligo di dimora, esprimendo il desiderio di andare a vivere in campagna, come Toto
di Carl. Scoz.
Cutugno in una vecchia canzone), sua nuora Francesca Amisano e l'ex numero uno di Carige Vita Nuova Ferdinando Menconi, accusati di associazione a delinquere, truffa aggravata, riciclaggio e intestazione fittizia di beni per operazioni realizzate tra il 2000 e il 2006. A luglio, l’istituto genovese ha chiuso con successo l'aumento di capitale da 800 milioni che fin dal 2013 era stato sollecitato da Consob e Banca d'Italia. Il tutto
mentre negli ultimi mesi la Fondazione Carige ha venduto a mani basse le azioni, portandosi da oltre il 45% a poco più del 19% e restando comunque prima azionista. TUTTO a posto quindi
ora che la banca è ricapitalizzata, i presunti cattivi sono stati (quasi) puniti e la Fondazione controllante è scesa nell'azionariato? Non proprio. Innanzitutto perché i cosiddetti stress test della Bce, che misura-
no la solidità delle banche europee in scenari particolarmente complessi, sono dietro l'angolo (i risultati saranno annunciati il 17 ottobre) e molti analisti indicano Carige come una delle italiane che, in ottima compagnia di Mps, incontrerà le maggiori difficoltà a superare la prova. E siccome per gli istituti che non passeranno gli stress test è possibile che cominci il valzer delle fusioni, non si può escludere che il gruppo genovese presto o tardi possa confluire in una banca dalle spalle più larghe. Le ipotesi degli analisti sono due: o Bpm, la Popolare che sta riprendendo in mano il tema della trasformazione in società per azioni (spa) da cui arriva lo stesso Montani, o qualche gruppo straniero come ad esempio Cariparma (Crédit Agricole), sempre tirata in ballo quando c’è da fare questo tipo di congetture. Il tutto mentre, proprio ieri, Carige ha deciso di prendere ancora un po’ di tempo prima di chiudere la vendita delle controllate assicurative al fondo americano Apollo, operazione necessaria per fare cassa. Ma i problemi dell’istituto ligure, che ancora nel primo semestre ha perso per strada 45 milioni (certo, nulla rispetto al rosso di 550 milioni dello stesso periodo del 2013), non sembrano essere soltanto finanziari. A livello giudiziario, qualcuno teme che a breve la procura di Genova - che indaga sulla banca - possa prendere nuovi provvedimenti. Del resto, i temi su cui accendere il proverbiale faro non mancano. A cominciare dalle prime linee del gruppo. L'ad Montani, fin dal suo arrivo, è stato impegnato in un processo di
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FED sotto accusa: “La Lehman poteva essere salvata” L
ehman Brothers aveva le carte in regola per essere salvata, ma la conclusione raggiunta nelle analisi preliminari della Federal Reserve di New York, che vigila su Wall Street, non è mai giunta ai vertici e al presidente Ben Bernanke prima che decidessero il fallimento. A ricostruire gli eventi e gettare una nuova luce uno dei momenti più drammatici della crisi finanziaria è il New York Times, sulla base delle informazioni raccolte fra gli ex e gli attuali componenti della Fed. Conclusioni e informazioni che alimenteranno probabilmente il dibattito e le critiche nei confronti delle autorità e della Fed, già criticata per essere ‘succube’ di Goldman Sachs, come hanno dimostrato registrazioni audio divulgate nei giorni scorsi. “Le conclusioni degli esperti finanziari della Fed di New York erano che Lehman Brothers era candidata al salvataggio, ma gli esperti non hanno mai informato” l’allora presidente della Fed di New York, Timothy Geithner. Molti all’interno della Fed sono convinti - sottolinea il New York Times - che il governo americano avrebbe avuto l’autorità di salvare Lehman Brothers: “è stata una decisione politica, non una legale”. Le ricostruzioni del New York Times gettano una nuova luce su uno dei momenti più pericolosi nella storia di Wall Street, con molti che hanno criticato la decisione di lasciare fallire Lehman Brothers, causando problemi non necessari. Alan Blinder, ex della Fed, dice: “La Fed ha spiegato la decisione di abbandonare Lehman come un problema legale. ma è vero e valido? È abbastanza? Queste sono domande importanti”.
pulizia che ha fatto saltare parecchie teste. Una delle ultime, la primavera scorsa, è stata quella dell'ex responsabile per Carige delle aree Sicilia e Puglia, Rosario Chiaramonte, messo alla porta con la contestazione di presunte irregolarità nell'erogazione dei fidi. POI C'È la delicata situa-
zione di Ennio La Monica, ex direttore generale di Carige nell'era Berneschi e dallo scorso autunno “a disposizione dell'ad” (citazione dal comunicato stampa). L’ex dg, proprio con l’ex presidente, è stato di recente sanzionato dalla Banca d'Italia, che al termine dell'ispezione di un anno fa gli aveva contestato di non essersi opposto come avrebbe dovuto e potuto allo strapotere - spesso messo al servizio di amici e conoscenti, come docu-
mentato dalla stessa autorità di via Nazionale – di Berneschi. Grande appassionato di quadri e oggetti di arte moderna, con cui aveva tappezzato il proprio ufficio al quattordicesimo piano della sede genovese della banca, prima di svuotarlo per l’arrivo di Montani. La Monica ora si trova in una posizione delicata anche alla luce di alcuni finanziamenti ricevuti durante l’era Berneschi direttamente dalle casse Carige. Dalla banca precisano che si è trattato rigorosamente “di affidamenti valutati in base al merito di credito” dell’ex dg. Ma di quelle esposizioni, negli ultimi tempi, si è discusso spesso ai piani alti di Carige, ora spogli di quei circa cinquanta quadri e oggetti di arte moderna che un tempo rendevano la sede della banca così chic. Twitter @scarlots
GIORDANO LOMBARDO Il doppio ruolo su Mediobanca all’ombra di Unicredit
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o smacco del 2011, per Assogestioni, probabilmente ancora brucia. Tre anni fa, l'associazione dei fondi comuni di investimento, per il rinnovo del consiglio di amministrazione di Mediobanca, aveva presentato come candidato dei soci di minoranza niente meno che Francesco Giavazzi, docente di Economia alla Bocconi ed editorialista del Corriere della Sera. Ma la lista di minoranza concorrente a quella di Assogestioni, presentata dalle Fondazioni, ha avuto la meglio e l'unico posto disponibile per i piccoli soci è stato occupato dall’ex numero uno dell'ente Carisbo, Fabio Roversi Monaco (poi dimessosi). E ora che Piazzetta Cuccia è alle prese con il rinnovo del consiglio, che sarà votato dal-
l'assemblea dei soci del 28 ottobre, c'è da scommettere che il presidente dell'associazione, Giordano Lombardo, stia soppesando ogni minima mossa. Assogestioni presenterà la sua lista di minoranza? E, se sì, questa volta farà asse con le Fondazioni? E chi proporrà? In attesa di scoprirlo – per proporre candidature c'è tempo fino al 3 ottobre – la posizione di Lombardo non appare semplice. E non soltanto perché, salito ai vertici dell'associazione la scorsa primavera dopo le dimissioni di novembre del suo predecessore Domenico Siniscalco per il conflitto di interessi in Telecom Italia, è impegnato a trasmettere il concetto che la musica è cambiata. Ma Lombardo, classe 1962 e laurea alla Bocconi, deve anche accertarsi che passi un
altro messaggio: gli eventuali candidati di Assogestioni nel consiglio di Mediobanca sono scelti rigorosamente dal comitato dei gestori dell'associazione, coordinato da Marco Vicinanza e dove il presidente al momento nemmeno siede. Un concetto che viene ribadito con forza anche da un portavoce di Assogestioni. Perché in caso contrario, in modo analogo a quanto accaduto al suo predecessore Siniscalco, il conflitto di interesse di Lombardo non sarebbe da poco: oltre a guidare l’associazione dei fondi, è presidente di Pioneer Investment. Cioè della società del risparmio gestito ora in vendita ma pur sempre di Unicredit. Che a sua volta è prima azionista di Mediobanca con l'8,76 per cento. Twitter @scarlots
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il FATTO ECONOMICO
1 OTTOBRE 2014
MEDIOBANCA Anche a Parigi tengono famiglia di Giorgio Meletti
E A LORO CHI GLIELO toc-
ca l’articolo 18? Quando uno nasce signore il posto non è solo a tempo indeterminato ma anche ereditario. E così i privilegiati di seconda fascia – che hanno un posto di lavoro presuntamente rubato a chi non ce l’ha – apprendono con invidia che la privilegiata di prima fascia Marie Bolloré, 26 anni, in forza di una laurea in gestione e di un master in marketing and business process manage-
ment, ma soprattutto
dell’essere figlia dell’omonimo Vincent, entrerà nel consiglio d’amministrazione di Mediobanca, 100 mila euro l’anno per qualche riunione nel tempio milanese del potere finanziario. Anche i francesi dunque vengono a inzuppare il croissant nel nostro familismo. In fondo Bolloré padre è il secondo azionista di Mediobanca con il 7,5 per cento del capitale. Azionista in senso lato, visto che gestisce soldi non suoi, mentre Marie è
di Leonardo Becchetti
P
er qualche sfortunata congiunzione astrale ci è toccato di nascere nel regno del Fiscal Compact, nel cono d’ombra ideologico nel rigorismo e del sadomonetarismo. In altre aree del pianeta la risposta alla crisi finanziaria globale è stata molto più appropriata. Se non ci mobiliteremo firmando il referendum per l’abolizione del pareggio di bilancio (referendumstopausterita.it) non usciremo mai dall’incantesimo di una regola dissennata che si propone di ridurre di un ventesimo il rapporto debito/Pil che eccede il 60 per cento e sulla quale ci siamo autoimposti l’ulteriore cilicio del pareggio di bilancio in costituzione. Violando un principio fondamentale per il quale la costituzione deve occuparsi dei fini e mai dei mezzi per raggiungerli. Come se, invece di mettere nella propria “carta costituzionale” l’aspirazione alla vittoria, una squadra di calcio scrivesse che bisogna sempre giocare con il modulo del 4-4-2.
piezz’e core al cento per
cento. La tradizione di usare le grandi società quotate italiane come camera dei giochi per i figli dei potenti non è nuova e i manager, quelli veri, sono abituati da decenni a sentirsi dire dall’ereditiero di turno frasi del tipo “questa sua mossa non piacerà a papà”. Tutti ricordiamo i fasti di Ivan Gardini, figlio di Raul, proiettato al vertice del gruppo Ferruzzi a 21 anni, senza che la precoce esperienza abbia propizia-
to alcunché. Le scorciatoie dei piezz’e core prodigio non hanno mai portato fortuna, e a Mediobanca lo sanno bene. Hanno visto sfilare Jonella Ligresti, figlia dell’azionista (con soldi altrui) Salvatore, prima che la sua caratura manageriale venisse bocciata dai magistrati che l’hanno arrestata. Ma non è solo l’amore paterno a farla da padrone, i nostri capitani di sventura hanno insegnato ai loro amici francesi anche un’idea proprietaria delle aziende di tutti. Pro-
RACCONTANO BALLE
prio in questi giorni lascia il cda di Mediobanca Carlo Pesenti, figlio di Giampiero e nipote di Carlo il vecchio, che per 15 anni ha avuto la poltrona in cambio di un investimento quasi simbolico ma più uguale degli altri. Così come Silvio Berlusconi, coronato il sogno del salotto buono, ha offerto un giro nel blasonato consesso prima a Marina e poi a Pier Silvio. Un modo meravigliosamente arcaico di ringiovanire il capitalismo.
Twitter@giorgiomeletti
RIGORE Il referendum sul pareggio di bilancio è l’occasione per rimettere in discussione le politiche che hanno ridotto l’Europa come gli Usa dopo il ‘29. Ma senza New Deal
MATTEO E SERGIO, SIMILI PURE NELLE BUGIE
paesi che hanno fatto scelte simili e se ne infischiano della regola del 3 per cento, figuriamoci del pareggio di bilancio. Il regno del Fiscal Compact è un po’ come gli Stati Uniti dopo la crisi del ’29 se Roosevelt e le sue politiche keynesiane non fossero mai arrivate. POSTO CHE LA PRIMA preoccupazione dei rigoristi dominati dalla lobby dei creditori è quella della sostenibilità del debito, il rigore di bilancio è almeno riuscito a migliorare la situazione dei debiti pubblici ? Niente affatto perché le ricette rigoriste hanno prostrato i Paesi che le hanno praticate. La Grecia in primis in deflazione e con un rapporto debito/Pil oltre il 177 per cento anche con un tasso d’interesse sul debito calmierato al 3 per cento non ce la farà mai a ridurre di un ventesimo il proprio debito oltre il 60 per cento (dovrebbe crescere oltre il 5-6 per cento all’anno). E ha pagato il rigore con il crollo di un quarto del Pil e due ristrutturazioni del debito. Il Portogallo si trova in analoghe condizioni di difficoltà. Ha un avanzo primario dello 0,4 per cento, un tasso d’inflazione leggermente negativo, una crescita prevista dell’1,2 per cento e un rapporto debito/Pil al 129 per cento. In queste condizioni il rapporto debito/Pil non si riduce ma cresce, per ridursi come previsto dal Fiscal Compact la crescita dovrebbe viaggiare al 5 per cento. E l’Italia? A bocce ferme (crescita e inflazione zero o debolmente negative, costo del debito sopra il 3 per cento e avanzo primario attorno al 2) il nostro rapporto debito/Pil cresce del 2-3 per cento all’anno. Uno scenario ben di-
so e tutti capiscono la regola elementare per la quale la sostenibilità del rapporto debito/Pil si realizza stimolando la ripresa del denominatore con politiche fiscali e monetarie espansive e non cercando di comprimere il numeratore con misure che deprimono più che proporzionalmente quello che sta sotto (il Pil) peggiorando il rapporto. Negli Stati Uniti la risposta è stata una banca centrale che ha messo al centro la riduzione della disoccupazione e in 76 mesi l’ha riportata ai livelli pre-crisi mentre nella Unione europea è ancora oggi del 4 per cento superiore. Fiscal compact? Pareggio di bilancio? Tutto il contrario. Politiche fiscali rooseveltiane che hanno rilanciato gli investimenti pubblici e privati e la domanda interna assieme all’espansione monetaria. Per non parlare della risposta giapponese e del Regno Unito, altri due
I SOLDI DATI DA RENZI ALLA FIAT
MARCHIONNE ha costruito una Fiat che dal mio governo non ha preso un centesimo”. La frase detta da Matteo Renzi a Fabio Fazio è mistificatoria. Non solo per i circa 10 mila dipendenti in cassa integrazione o solidarietà (a Termini Imerese c'è la cassa in deroga), pagata con soldi pubblici - e la Fiat riceve più di quanto versa (nel 2013 il ricorso agli ammortizzatori sociali supera i contributi) - ma perché Sergio Marchionne (che ha sostenuto la stessa cosa) è Ad della Fiat dal 2004. Da allora, come ha scritto il giornalista Marco Cobianchi, ha ricevuto oltre 350 milioni di euro dallo Stato e perfino incassato fondi europei per la ricerca (cofinanziati dall’Italia). È così da trent’anni.
L’aritmetica sbagliata del Fiscal Compact
IN ALTRE PARTI DEL MONDO è diver-
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verso da quello delle nostre previsioni alla “Lucio Dalla” nelle quali l’anno che verrà è sempre quello dell’inversione di tendenza. LA BATTAGLIA referendaria è impor-
tante perché può aiutare i passeggeri della nave Italia a concentrarsi sul problema dell’iceberg e non sulla musica dell’orchestrina. Possiamo parlare di mercato del lavoro, riforma degli ammortizzatori sociali, riduzione delle tasse su cittadini e imprese, investimenti sulla banda larga, riforma della scuola ma le risorse per tutto questo non ci sono se restiamo sotto l’incantesimo del pareggio di bilancio. Nell’eurozona dove la Germania da anni sfora i limiti del surplus senza alcun intervento correttivo, la Francia si “prende” la flessibilità” sul deficit, la Bce viene meno al suo impegno statutario di combattere la deflazione che peggiora i debiti pubblici portando la crescita dei prezzi vicina al livello del 2 per cento, è arrivato il momento di non essere gli unici a rispettare regole che nessuno rispetta per sedersi al tavolo e ridiscutere tutto. O l’eurozona diventa un sistema di obblighi simmetrici, di politiche fiscali e monetarie europee coraggiose in grado di sfruttare la leva e il peso specifico sovranazionale, o la rotta di collisione sulla quale ci troviamo, che ha prodotto il “miracolo” di rinfocolare rancori e nazionalismi, ci porterà presto alla rottura con conseguenze difficilmente calcolabili. Il referendum è pertanto il primo passo necessario per superare la rimozione e discutere del vero problema che abbiamo di fronte, democraticamente e alla luce del sole. Perché la storia recente e le “cronache del Regno del Fiscal Compact” ci hanno ampiamente dimostrato che non è il caso di fidarsi e di affidarsi in toto all’intellighentia dei suoi funzionari e delle sue élite. Professore di Economia a Roma Tor Vergata, è membro del comitato promotore del referendum sull’austerità
SPOT Come ti convinco a comprare il deodorante giusto C’
FARE MARKETING RIMANENDO BRAVE PERSONE di Giuseppe Morici Feltrinelli, pagg. 176, 9,00 ¤
è un modo per convincere i potenziali acquirenti che il deodorante anti-traspirante davvero non vi lascerà l’alone sulla maglietta? E a chi si deve rivolgere l’invito all’acquisto, a chi già usa deodoranti di quel tipo di altre marche? O a chi è scettico che un prodotto antitraspirante abbia tutte quelle virtù di solito tipiche di spray meno aggressivi? Il libro di Giuseppe Morici Fare marketing rimanendo brave persone si presenta come il solito (inutile) saggio con velleità so-
ciologiche e un po’ filosofiche che alcuni esperti di marketing sentono la necessità di scrivere quando hanno successo. Ma Morici, ex Procter&Gamble e oggi dirigente della Barilla, abbina considerazioni sulla natura umana ad analisi di spot efficaci e alla dissezione di messaggi di comunicazione non soltanto pubblicitari (Pretty Woman fa buoni ascolti a ogni replica perché ha copiato la storia di Cenerentola, Avatar è un plagio di Pocahontas). Noi consumatori siamo sempre
diffidenti verso il marketing, ci sembra una specie di truffa, un modo per spingerci a comprare qualcosa di cui non abbiamo bisogno. Anche Giuseppe Morici era diffidente, poi ha visto le quote di mercato di un prodotto triplicare in una settimana grazie al nuovo spot. E ha capito che l’economia è fatta di messaggi, oltre che di tecnologia e costi. Quello che si impara dalle analisi di Morici è utile. Primo: gli spot non germogliano nel vuoto, devono evocare e richiamare tutto il sostrato cul-
turale dello spettatore (chi l’avrebbe detto che dietro “Dove c’è Barilla c’è casa” c’era Omero e Ulisse che torna a Itaca?). Secondo: le regole di base sono semplici, devi convincere il tuo potenziale cliente a comprare proprio il tuo prodotto, togliendogli il dubbio di poterne fare a meno o che qualche concorrente offra di meglio. Facile a dirsi, molto difficile da realizzare. Perché, e questo è il terzo spunto utile, la comunicazione razionale è soltanto una parte del marketing. E una
parte residuale, visto che i messaggi più potenti sono quelli che parlano al “cervello rettiliano”, quello che elabora le emozioni. Per avere un po’ di energia, il Pocket Coffee è meglio della Red Bull o di un espresso? Lo spot non te lo spiega, ma ti convince che gustarlo è un’esperienza irripetibile. Il libro di Morici non ci immunizza dall’effetto degli spot, ma rende molto più interessante guardare le interruzioni pubblicitarie in tv. Ste. Fel.
UN GIORNO IN ITALIA MERCOLEDÌ 1 OTTOBRE 2014
il Fatto Quotidiano
Brevi
SPATUZZA ”RESPONSABILE DI 40 OMICIDI” “Sono responsabile di una quarantina di omicidi, chiedo perdono”. È quanto ha detto il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza, ascoltato in collegamento dal carcere nel corso dell’udienza a Milano del processo a carico di Tutino, il presunto basista della strage di via Palestro del 1993.
CROLLO A PORTICI UN MORTO E DUE FERITI Un morto e due feriti. È il bilancio del crollo di un solaio alla stazione ferroviaria di Pietrarsa-San Giorgio a Cremano, Portici (Na). Gli operai feriti sono zio e nipote di 42 e 46 anni. Il loro collega, Raffaele Di Francesco, 56 anni non ce l’ha fatta ed è deceduto sul colpo. LaPresse
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SANITÀ TICKET PIÙ CARI E ATTESA INFINITA Ticket sempre più cari, tempi di attesa biblici e difficoltà di accesso alle cure. È il quadro della sanità italiana fornito nella 17ma edizione del Rapporto Pit Salute. A lamentare le liste di attesa è il 58,5% dei pazienti, mentre i ticket sono in forte aumento di piu' di 20 punti in percentuale rispetto al 2012.
Bimbo rapito a Torino, il papà inventa: “È stato un rom” DOPO AVER PERSO IL FIGLIO DURANTE UNA FESTA PATRONALE, UN UOMO DI 31 ANNI ACCUSA FALSAMENTE UNO “ZINGARO”. ORA È LUI A ESSERE INDAGATO. LA REAZIONE SUL WEB: “CACCIAMOLI” di Andrea
Giambartolomei
A
veva salvato il suo bambino da un tentato rapimento fatto da un rom. Era questa la versione che Alex Giarrizzo, un operaio di 31 anni, aveva fornito ai carabinieri domenica pomeriggio a Borgaro Torinese, vicino Torino. Ai giornali locali l’uomo aveva detto di aver perso il bambino mentre erano distratti dalla festa patronale. E aveva puntato il dito contro un “nomade”, uno “zingaro”, forse uno slavo. Tutto falso. Ma lui aveva addirittura fornito altri dettagli. Aveva raccontato che lui in persona aveva ritrovato il figlio tra le braccia di un uomo e l’aveva liberato dando un pugno al rapitore, che poi è scap-
pato facendo perdere le sue tracce. Pure la moglie, davanti alle telecamere di Pomeriggio 5 condotto da Barbara D’Urso, aveva ricostruito la vicenda nei dettagli. ALCUNI PARTICOLARI però
non collimavano. Nonostante la mobilitazione di un intero paese, nonostante gli appelli per trovare testimoni e immagini e nonostante il tam-tam sui social network, un tam-tam carico di odio per i rom, nessuna telecamera aveva ripreso la scena. E così lunedì sera i carabinieri di Venaria Reale, guidati dal capitano Roberto Capriolo, e quelli del Nucleo operativo radiomobile del luogotenente Diego Mannarelli, hanno convinto Giarrizzo a parlare: “Ci dica chi tra queste è la persona che
ha preso suo figlio”, gli hanno chiesto mostrandogli delle foto segnaletiche. Giarrizzo ne ha indicata una tra le tante, ma era quella di un uomo in carcere da parecchio tempo e così, messo di fronte alle discrepanze del suo racconto, ha ammesso di essersi inventato tutto. Non c’è stato nessun rapimento da parte di nomadi, una diceria detta sulla base della leggenda urbana che li vuole rapitori di bambini, sebbene una ricerca fatta nel 2008 dalla Fondazione Migrantes e dell’Università di Verona abbia dimostrato come di 40 casi di sparizioni e rapimenti avvenuti in Italia dal 1986 al 2007 nessuno fosse a opera di rom. Il papà 31enne ha raccontato ai carabinieri di aver inventato questa bugia perché aveva paura: mentre cercava il bim-
IL PRECEDENTE Nel 2011 una ragazza denunciò: “Due nomadi mi hanno violentata”. Così in molti diedero fuoco a delle capanne. Ma la storia non era vera bo, che si era allontanato con un amichetto, una donna gli ha detto che i servizi sociali glielo avrebbero sottratto e allora ha preferito dare la colpa ad altri. Tuttavia ha peggiorato la sua condizione: adesso Giarrizzo è indagato per calunnia, simulazione di reato, procurato allarme e abbandono di minore dal sostituto pro-
Un campo nomadi a Torino Ansa
curatore Giuseppe Drammis della Procura di Ivrea e, se condannato, rischia parecchi anni di carcere. QUESTA VICENDA però pote-
va finire pure peggio. In molti su Facebook hanno commentato la notizia accusando i rom: “Sono stati gli zingari?”, chiede un’amica al fratello di Giarrizzo. “Perché non ci leviamo dai coglioni questi zingari di merda”, scrive un certo Paolo su una pagina dedicata a Borgaro Torinese, mentre la nonna di Giarrizzo, prima che il nipote ammettesse lo sba-
glio, scriveva sulla sua bacheca: “Purtroppo in Italia si protegge chi non è italiano”. Già qualche anno fa, a Torino, ci fu una vicenda simile. Nel dicembre del 2011 una ragazza denunciò ai carabinieri di essere stata violentata dai due rom vicino alla Continassa, nella periferia della città. Poche sere dopo, un gruppo di persone, tra cui molti ultras della Juventus, manifestarono vicino a un accampamento e diedero fuoco ad alcune capanne. Solo dopo aver saputo questo la giovane ammise di essersi inventata tutto.
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ALTRI MONDI
MERCOLEDÌ 1 OTTOBRE 2014
Pianeta terra
il Fatto Quotidiano
LAMPEDUSA AL VIA IL FESTIVAL SABIR Si apre oggi sull’isola il “festival diffuso delle culture mediterranee”, promosso da Arci, Comitato 3 ottobre e Comune di Lampedusa. Incontri, dibattiti, concerti e spettacoli fino a domenica. Venerdì sarà il giorno del ricordo della strage di un anno fa in cui persero la vita 368 migranti.
GERMANIA LUFTHANSA SENZA SOLDI, PILOTI SCIOPERANO Quindici ore di sciopero, dalle 8 alle 23 di ieri, per i piloti della compagnia tedesca nello scalo di Francoforte. Lufthansa, in difficoltà economiche a causa della concorrenza delle compagnie low cost, non riesce e pagare i pensionamenti anticipati. Ansa
Germania come Guantanamo Violenze sui migranti con foto SOPRUSI SEGNALATI IN TRE CENTRI PER RICHIEDENTI ASILO GESTITI DA AGENZIE PRIVATE di Mattia
Eccheli
L
Düsseldorf
a Germania, spesso indignata per i soprusi a danno dei migranti in altri paesi europei, deve fare i conti con uno scandalo maturato dentro casa, una faccenda grave, se qualcuno ha paragonato i casi di maltrattamenti come quelli che si sono registrati negli anni
scorsi a Guantanamo, la prigione cubana dedicata dagli americani alla detenzione dei terroristi catturati durante la guerra in Afghanistan prima e Iraq dopo. Foto e video parlano chiaro. Un immigrato in ginocchio, presumibilmente già picchiato, accanto ad un materasso pieno di vomito che si sente chiedere se “ne vuole ancora”. Una foto che immortala un agente della si-
curezza che schiaccia a terra un uomo legato, con le suole delle scarpe. Il caso è esploso con inaudita violenza ed è subito arrivato fino al governo. A farne le spese è stata immediatamente l'agenzia che si occupava del servizio di guardia in due dei centri dove sarebbero avvenute le violenze e che, a quanto pare, aveva ingaggiato alcuni elementi con precedenti penali.
MESSICO La polizia spara: 45 studenti scomparsi enerdì scorso erano V scesi in piazza a Iguala, per protestare contro la riforma dell’istruzione, e per celebrare il 46esimo anniversario del massacro di Tlatelolco del 2 ottobre 1968: 300 giovani uccisi da dall’esercito a pochi giorni dall’inaugurazione delle Olimpiadi di Città del Messico. Per cinque giorni 58 studenti, per lo più indigeni, sono scomparsi: 13 sono stati trovati ieri, sani e salvi. Non appena giunti a Iguala erano stati affrontati da alcuni uomini armati, spalleggiati da una ventina di agenti della polizia municipale che li avevano accusati di aver rubato i bus su cui viaggiavano. La discussione è degenerata e gli agenti hanno aperto il fuoco contro gli studenti, che so-
no scappati. Alcune ore più tardi ci sono stati altri scontri: prima un commando armato ha sparato contro un gruppetto di giovani che stavano raccontando l’episodio precedente ad alcuni giornalisti, poi un altro gruppo di agenti ha sparato contro un pullman su cui viaggiava una squadra di calcio. Negli scontri sono morte sei persone, due studenti, due calciatori e un tassista. Altre 25 risultano ferite. Secondo il procuratore generale di Guerrero, Inaky Blanco Cabrera il gruppo si sarebbe rifugiato nella foresta, temendo altre azioni violente. Tuttavia, le autorità sono intervenute sulla vicenda solo dopo due giorni dall’accaduto. Il governo federale ha inviato l’esercito. A Guerrero altri studenti si sono scagliati contro i palazzi del governo, chiedendo di sapere la sorte dei loro compagni. Mariateresa Totaro
E così la Germania – inorridita per quello che accadeva a Lampedusa – adesso deve arrendersi ad un'evidenza scomoda. Ma difficile da digerire. Le violenze sarebbero state segnalate in almeno tre diversi centri (a Burbach, Essen e Bad Berleburg) per richiedenti asilo del Nord Reno Westfalia, il land più popoloso ed a guida socialdemocratica. L'ULTIMO EPISODIO riguar-
da due uomini della security di 30 e 37 anni, ma di una società diversa da quella coinvolta fino a questo momento. I funzionari sotto osservazione per i loro comportamenti sono almeno una dozzina. Lo scaricabarile sulle responsabilità è già cominciato e si delinea anche in Germania il grande business dell'accoglienza, perché i centri costano ed i comuni lamentano di non avere fondi e strutture a sufficienza. I privati sopperiscono in qualche modo, naturalmente con ricarichi e, a quanto pare, oltre i limiti della legalità. I politici assicurano che i colpevoli verranno perseguiti. La polizia indaga ad ampio spettro. Anche perché sull'onda dello scandalo non è da escludere una serie di nuove denunce. Come era accaduto a Guantanamo o i altri centri di detenzione, gli aguzzini non intendono sottrarsi al sadico piacere di immortalare i loro soprusi. E le
Il centro rifugiati di Burbach, e nel riquadro, una delle foto incriminate LaPresse
IL GRANDE AFFARE Le strutture costano e i Comuni lamentano di non avere fondi. Gli appalti vengono affidati a strutture senza controlli preventivi immagini circolate finora sembrano già sufficientemente chiare: quelle che dovevano essere delle foto da esibire come “trofei” si sono rivelate un boomerang per coloro che si erano fatti immortalare. “SONO CRIMINALI all'ope-
ra”, ha accusato Ralf Jäger, ministro degli interno del Nord Reno Westfalia, dichiarando in una conferenza stampa che ora tutto il personale verrà indagato, ordi-
nando ai funzionari di polizia di verificare tutti i 19 centri di accoglienza nella regione. “Non permetteremo che le persone che sono venute qui in cerca di rifugio dalle persecuzioni e dalla guerra subiscano violenze”, ha aggiunto. È emerso che uno degli indagati aveva rilasciato un'intervista nella quale indicava esplicitamente una “chiara matrice di destra” in alcuni dei propri colleghi. Anche per questo è stato sollecitato l'intervento ai più alti livelli per verificare i curriculum degli agenti ingaggiati dalle diverse società. Il governo ha fatti sapere che si aspetta circa 200mila domande di asilo per quest’anno, la cifra più alta a partire dai primi anni ‘90. Fino alla fine di agosto, 99.592 persone avevano cercato asilo in Germania, quasi il 60% in più rispetto ai primi otto mesi del 2013.
Decapitate anche tre curde. Isis: “Obama sapeva” PUNITE GUERRIGLIERE PESHMERGA. I SERVIZI NEL 2013 PARLARONO DELLA PERICOLOSITÀ DEI JIHADISTI. FALLA NELLA SICUREZZA DELLA CASA BIANCA di Angela
Vitaliano New York
L’
orrore dell'Isis non si ferma e dopo il video del giornalista inglese John Cantile, in mano ai terroristi da quasi due anni, diffuso Ieri, in cui si sente l'uomo, come sempre vestito di arancione, attaccare la strategia americana in Iraq e Siria, arriva anche la notizia di altre quattro decapitazioni. Si tratta, questa volta, di miliziani curdi, fra cui tre donne, fatti prigionieri durante i combattimenti vicino alla città siriana di Kobane. La notizia è stata diffusa dalla ong Osservatorio nazionale per i diritti umani che ha anche riferito che le teste delle vittime sono state esposte in luogo pubblico nella città di Jarablus. Una situazione sempre più critica che il ministro dell'interno britannico, Theresa May, non prova affatto a “ri-
dimensionare”, ma anzi analizza in tutta la sua preoccupante portata. “L’Isis - ha detto il ministro parlando dal palco del congresso dei conservatori a Birmingham - potrebbe presto entrare in possesso di armi chimiche, biologiche o persino nucleari. Questo è di fatto il primo vero e proprio stato terrorista al mondo”. La May ha anche aggiunto che “questa battaglia dovrà essere combattuta per molti anni in futuro. La lezione della storia ci dice che Julia Pierson LaPresse
quando i nostri nemici dicono di volerci attaccare, lo vogliono fare veramente”. Per Barack Obama, poi, l'Isis sta diventando una grana enorme anche a livello interno. Hanno innestato un fronte polemico senza fine, infatti, le sue parole durante l'intervista rilasciata domenica alla trasmissione “60 minuti”, secondo cui, la responsabilità di aver sottostimato la minaccia dello Stato Islamico e di aver sovrastimato le potenzialità dell'esercito iracheno sia da attribuire ai servizi segreti. I QUALI, PERÒ, non ci stanno
a prendersi colpe che, secondo dichiarazioni rilasciate in forma anonima al New York Times, non avrebbero affatto. Secondo quanto riferito al quotidiano, la Casa Bianca avrebbe ricevuto dettagliati rapporti sulla situazione già a partire dalla fine dello scorso anno e che non è possibile
che questi siano stati tenuti “riservati”. I rapporti inviati con regolare frequenza, secondo alcuni addetti ai servizi segreti, avrebbero ricevuto scarso rilievo dalla Casa Bianca che non “gli avrebbe prestato attenzione perché erano occupati con altre crisi e questa, semplicemente, non era una priorità”. L'armonia, se possiamo definirla così, fra l'amministrazione e i servizi segreti, peraltro, in questi giorni sembra del tutto persa. Proprio ieri, Julia Pierson, capo dei servizi, ha dovuto testimoniare di fronte alla commissione della Camera per chiarire le dinamiche delle due intrusione che hanno interessato la Casa Bianca, fra cui quella di Omar J. Gonzalez che, armato di coltello, il 19 settembre, è riuscito ad arrivare fin nei pressi della residenza del presidente, superando, senza problemi, una serie di stanze.
La terza “lezione” dell’ostaggio inglese PRESTATEMI ascolto” e “Messaggi del detenuto britannico John Cantlie”. É l'ultimo drammatico video diffuso dall'Isis che riprende l'ostaggio britannico John Cantlie. Cinque minuti e mezzo in cui il giornalista 43enne, vestito con la stessa tuta arancione (quella di solito indossata dai detenuti), è seduto a un tavolo a chiedere agli Usa di smettere con i bombardamenti. L'uomo critica la strategia dei raid contro l'Is e cita il discorso del presidente americano Obama in occasione dell'anniversario dell'11 settembre: “Con i raid non guadagnerete terreno” e la campagna militare in Siria e Iraq, "non renderà l'Occidente più sicuro”. Cantlie evoca lo spettro di un nuovo Vietnam e conclude il discorso invitando gli spettatori a seguire il prossimo video. Nella schermata del videomessaggio si vede che sono previste almeno sette puntate. Poi i terroristi decideranno della sua vita.
il Fatto Quotidiano
ALTRI MONDI
VENEZUELA ITALIANO UCCISO IN AGGUATO Sei colpi di pistola al petto hanno ucciso Cristiano Vecchiatini a Guarnare, in Venezuela, dove abitava dal 2006 . Due killer, poi scappati su una moto, lo hanno freddato davanti alla sua famiglia: avevano suonato alla porta e non appena Vecchiatini ha aperto, hanno fatto fuoco. Ansa
UCRAINA NATO: ”PRESENTI 20 MILA RUSSI” La Nato denuncia: nonostante il ritiro di truppe restano 20 mila soldati russi sul fronte dell'Ucraina orientale. E nel paese non si placano i bombardamenti nelle zone calde, a Donetsk e Lugansk: bilancio, un morto e due feriti. Intanto l’Unione europea ha confermato le sanzioni alla Russia. Ansa
di Cecilia Attanasio Ghezzi
L
Pechino
asciate che Hong Kong si democratizzi per prima”. Ecco uno dei tweet che circolavano oggi nell'intranet cinese. Riecheggia lo storico motto con cui Deng Xiaoping aprì quel periodo di riforme e aperture che hanno portato la Cina a essere quella che è oggi: lasciate che alcuni si arricchiscano prima. In quegli stessi anni Deng incontrava la Lady di Ferro Thatcher per discutere il destino di Hong Kong. Lei minacciava: “Chi ha soldi e capacità lascerà immediatamente il territorio e il collasso economico sarà irreversibile”. Ma la storia le ha dato torto. Se Shanghai negli anni Trenta era considerata “la Parigi d'Oriente”, Hong Kong in mano agli inglesi era divenuta “la piccola Shanghai”. Un rifugio dei “nemici del popolo” che negli anni Cinquanta scappavano dalla Cina maoista e portavano con se capitali, artigianato e cultura. Negli anni Sessanta era già diventata un polo della manifat-
MERCOLEDÌ 1 OTTOBRE 2014
HONG KONG E MACAO, LA SFIDA DELLE EX COLONIE ALLA MADREPATRIA LA PARABOLA DEI RICCHI POSSEDIMENTI INGLESI E PORTOGHESI RIPRESI DA PECHINO tura tessile mondiale e da allora la sua economia, non ha fatto altro che crescere. Nel 1997 il pil era già 180 volte quello del 1961 e nel 2011 il pil pro capite era più alto di quello degli Stati Uniti, il 6° a livello mondiale. Intanto il suo porto è diventato uno dei più attivi del mondo e la sua borsa una delle più fiorenti. TUTTO QUESTO nonostante la
Repubblica si sia ripresa la colonia britannica nel 1997. L'accordo fu firmato nel 1984. Nella Dichiarazione congiunta sino-britannica si concordò per Hong Kong lo status di regione amministrativa speciale “in tutti i settori ad eccezione della difesa e della politica estera”. E si stabilì che la zona avrebbe man-
Kim tradito dal tacco “cubano”
tenuto il suo sistema economico capitalista e garantito diritti e libertà ai suoi cittadini per altri cinquant'anni. Cioè fino al 2047. Tali garanzie vennero sancite dalla costituzione, la legge fondamentale di Hong Kong, che fu formulata sulla base del Common Law britannico. Tuttavia, si specificò, quest'ultima sarebbe stata soggetta all'interpretazione del Comitato permanente dell'Assemblea nazionale del popolo. La stessa Assemblea che a luglio ha decretato che Hong Kong avrebbe avuto sì le prime elezioni a suffragio universale nel 2017, ma che si sarebbe potuto candidare solo “chi amava la Patria”, ovvero la Repubblica popolare. Questa la miccia delle proteste di questi giorni. Anche
perché 17 anni non sono bastati agli hongkonghesi per abbandonare l'orgoglio di sentirsi diversi, in qualche modo superiori alla Cina propriamente detta. Negli ultimi anni c'è chi addirittura ha comprato pagine di giornali per lanciare campagna contro le “cavallette” cinesi che ora, forti di una ricchezza impensabile fino solo a qualche anno fa, arrivano a frotte a fare shopping nell'ex colonia. “UN PAESE, DUE SISTEMI” è la
soluzione che ha consentito alla Repubblica popolare di continuare a governare aree “speciali” come Hong Kong e Macao (un'ex colonia portoghese) nonostante queste adottassero, a causa della loro storia recente, sistemi politici ed economici di-
versi. Entrambe infatti hanno una sorta di Parlamento distinto e un governatore che chiamano amministratore delegato. Ed entrambe sono tra le economie più liberiste del mondo nonostante sulla carta facciano parte del “socialismo di mercato” cinese. Anzi. Ormai sono stretta-
Le manifestazioni a Hong Kong e lo skyline dei casinò di Macao LaPresse/Ansa
mente correlate. Macao vive di turismo e di gioco d'azzardo attirando milioni di cinesi. E Hong Kong di finanza. E ormai circa il 60 per cento del valore della borsa di Hong Kong dipende da imprese cinesi. Oggi Hong Kong è di fatto il ponte tra la Cina e il resto del mondo per quanto riguarda il commercio e, ancor più, la finanza. Nonostante la nuova Zona economica speciale di Shanghai si appresti a fargli concorrenza, se oggi Hong Kong dovesse perdere la sua reputazione di hub della finanza mondiale, la moneta cinese potrebbe perdere ogni speranza di competere direttamente con il dollaro. Per questo la Cina è spaventata. E al di là della richiesta di democrazia, le manifestazioni degli ultimi giorni hanno di fatto bloccato la città. Anche economicamente. Tanto che l'autorità monetaria di Hong Kong, di fatto la sua banca centrale, si è dichiarata pronta “a iniettare liquidità nel sistema bancario qualora si rendesse necessario”.
FEDE POLITICA
Suicidi di massa in India dopo l’arresto di “Mamma” l’amata ministra-ladrona di Carlo
Pizzati Chennai (Tamil Nadu)
lmeno 16 persone si sono suicidate A dandosi fuoco, impiccandosi o gettandosi sotto i pneumatici degli autobus
DOPPIA FRATTURA ALLE CAVIGLIE Il “tacco cubano”, ovvero interno alle calzature, ha tradito Kim Jong-un, leader della Corea del Nord, costretto a sottoporsi a un doppio intervento alle caviglie. La sua assenza dagli eventi pubblici, da un mese aveva dato vita alle ipotesi più disparate Ansa
DIVERSITÀ DIFESE Con lo slogan “Un paese, due sistemi” il regime comunista ha mantenuto il valore economico del porto “britannico” e della città-casinò
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in Tamil Nadu, nel sud dell’India. Decine di attacchi cardiaci, studenti che si cospargono di benzina, donne che si strappano i capelli urlando come antiche prefiche tra le strade già infuocate dalle rivolte, gli autobus carbonizzati e i continui scontri tra partiti politici, in questo stato con 60 milioni di abitanti. La reazione dei suicidi è un caso di isteria collettiva, così com’è accaduto in passato durante i Mondiali in Brasile e com’è già successo proprio in Tamil Nadu alla vigilia del Natale dell’87, quando 30 seguaci si suicidarono per la disperazione alla notizia della morte del loro leader, il Chief Minister ed ex divo del cinema noto con la sigla “Mgr”. La protesta nasce per l’arresto a sorpresa, nel weekend, della governatrice dello stato, la Chief Minister Jayalalitha (ex at-
trice ed ex amante di Mgr), condannata per arricchimento illecito e frode. La pena per “Amma” (Mamma, com’è chiamata dai sostenitori) è 4 anni di carcere che sta già scontando, anche se con tutta probabilità uscirà presto su cauzione ed ha già nominato un uomo di fiducia alla guida del Tamil Nadu. LA COLPA DI “AMMA” è di aver accumulato case e terreni tramite 32 società diverse e d’aver acquisito, tramite decine di parenti-prestanome dell’amica del cuore Sasikala, immense proprietà per il valore di 10 milioni di euro in tutto il Tamil Nadu, oltre a lingotti d’oro e una sontuosa collezione di sari. Com’è possibile che accada una cosa del genere nella New India presentata l’altro ieri al Madison Square Garden di New York come una potenza moderna e aperta, dal premier Narendra Modi? Il Tamil Nadu è un caso tutto speciale. Jayalalitha, già responsabile da giovane dell’ufficio propaganda del suo partito,
Jayaram Jayalalitha LaPresse
da anni costella il ciglio delle strade con le sue ossessionanti e spesso ridicole gigantografie, che la ritraggono anche avvolta in uno scuro mantello anti-proiettile che le ha fatto guadagnare il soprannome di Batwoman. Il suo faccione tumido e serafico perseguita gli automobilisti dello Stato da anni. La sua presa sul potere e sulla psiche del popolo dravidiano del Tamil Nadu è profonda così come lo è sulle tasche dei tanti elettori che ricevono spesso qualche indispensabile regalino nel periodo elettorale. Dietro la condanna, qualche dietrologo vede la longa manus del partito di Modi, il Bjp. La parziale uscita di scena di Jayalalitha potrebbe creare opportunità anche se, come dimostrato da questi suicidi, la presa sull’elettorato è sempre forte e difficilmente espugnabile.
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il Fatto Quotidiano
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PRINCE: ECCO IL NUOVO DOPPIO ALBUM TUTTO DA ASCOLTARE
Doppio album per Prince. Uno più rilassato ed elegante, suonato con Joshua Welton, l’altro, più rock realizzato con la band femminile “3rdEyeGirl”
MAGLIA JUVE VIETATA AL BIMBO, L’ATALANTA PROVA A RIMEDIARE
NON SOLO ROMA: MUTI E LO SCIOPERO DELL’ORCHESTRA DI CHICAGO
Uno steward ha impedito a un bambino di entrare in tribuna con la maglia bianconera. Il club bergamasco invita la famiglia allo stadio, ma il papà rifiuta: motivi di privacy
SECONDO
Il maestro Muti è inseguito dagli scioperi: dopo l’Opera di Roma, i musicisti della Chicago Symphony Orchestra, della quale è direttore musicale, scioperano da sabato 20 settembre
TEMPO
SPETTACOLI.SPORT.IDEE
THOM YORKE L’anti-Spotify: il disco è mio e lo vendo io di Guido Biondi
ecidivo. Il 10 ottobre 2007, poco dopo la scadenza con R il loro contratto con una multinazionale – la Emi – i Radiohead di Thom Yorke spiazzarono critica e pubblico
Il governatore della California, Jerry Brown, per arginare il fenomeno degli stupri nei college, ha varato la legge “Yes means yes” LaPresse
“Sì e ancora sì”: così il sesso non è stupro
IL TESTACODA DELLE NUOVE REGOLE DI COMPORTAMENTO NEI CAMPUS USA
S
di Elisabetta
Ambrosi
cena n.1: il ragazzo si avvicina alla ragazza semisvestita e sorridente, sta per toccarla ma accanto al letto vede una bottiglietta che non riesce a identificare. “Oddio, e se fosse una birra? Allora mi fermo. Ma no, forse è un crodino (Signore fa che sia un crodino), allora mi butto”. Nella paralisi decisionale l’erezione viene meno e tutto finisce. SCENA N. 2. Un ragazzo am-
micca disteso, mentre tutto il suo corpo esprime con eloquenza il suo consenso a proseguire. Eppure la ragazza continua a frugare nervosa i pantaloni. “Magari ha preso un tavor, magari si è fatto una canna, allora non posso”. Così, mentre l’amico attonito grida “lo vogliooooooo” lei decide di non rischiare, e prende la fuga.
Scene di questo tipo saranno sempre più frequenti, d’ora in poi, nei campus universitari californiani e forse presto statunitensi. Perché il sesso non sia stupro, infatti, non basterà l’assenza di un no esplicito – la declinazione californiana di “vedi d’annattene, stai a sgravà, stai fori coll’accuso, plachete, nun t’arrapà, accanna i giochi” etc– ma un politicamente corretto “Sì, lo voglio”.
A stabilirlo il provvedimento SB 967, chiamato Yes means yes, del governatore della California Jerry Brown. Secondo il quale d’ora in poi ogni attività sessuale all’interno delle università, per non essere tacciata di violenza, dovrà presupporre un “consenso esplicito, consapevole e volontario”, che potrà essere anche un consenso non verbale anche se, specifica il testo, “la mancanza di protesta o di resistenza non significa consenso, né tantomeno il silenzio”. Di più: il consenso potrà essere revocato in qualsiasi momento – anche sul più bello – ma soprattutto non vale se la persona con cui si vorrebbe fare sesso è addormentata o inconsapevole, oppure influenzata da droghe, alcol o medicine”.
Va detto che negli Stati Uniti i campus stanno diventando, stando alle denunce, luoghi di ammucchiate tra impasticcati e ubriachi. Oltre a coinvolgere oltre cinquanta università, tra cui la Columbia, Harvard, Yale, Princeton, Dartmouth e Florida University, alcune delle quali sotto inchiesta, la situazione è così grave (una studentessa su cinque e uno studente su sedici subiscono violenza) che il Congresso Usa ha approvato il Campus Sexual Violence Elimination Act per obbligare le università a fornire cifre su violenze e stalking. E lo stesso Obama ha nominato una vera e propria task force, che sul sito Not Alone.gov ha pubblicato una guida poderosa per chi ha subito violenza, dove vengono forniti numeri di telefono e moduli da compilare, più un impressionante elenco di associazioni antiviolenza, uffici e programmi di prevenzione. MA ALLORA c’era davvero bisogno del Yes means Yes, che
più che rientrare nel filone delle cosiddette “affirmative action” tanto care al dibattito americano (ad esempio posti riservati nei concorsi a minoranze o categorie speciali),
sembra espressione della mania di regolare tutto, sesso compreso? Sì, secondo le femministe e le rappresentanti delle associazioni studentesche, no secondo commentatori di giornali come il Los Angeles Time o il Time o associazioni come la National Coalition For Men (che grida alla rovina di tantissimi
YES MEANS YES Secondo la nuova legge californiana il consenso deve essere consapevole e volontario. Niente droghe né alcol. “E se mi faccio tatuare yes”? uomini, cui spetterà l’onere della prova, un po’ come quando ti arriva la raccomandata dell’Agenzia delle entrate). E poi basta farsi un giro tra i commenti dei principali siti statunitensi per capire gli esiti grotteschi dello slogan “Un sì è un sì, tranne che sotto droga, medicine o alcol”: “Ma se lei beve un whisky e dice sì è sì, se ne beve due è
con l’annuncio della vendita online di In Rainbows, settimo album ufficiale, con offerta libera sul prezzo. È stata vera rivoluzione: lo “zoccolo duro” dei fan comprò l’album pagandolo una media di 5 dollari destinando al gruppo tutto il ricavato del loro lavoro senza più intermediari. Atteggiamenti da freak? La rete ne parlò per mesi con il risultato di creare propellente per diventare – nuovamente – avanguardia pura nella storia del rock e dell’industria musicale. Tomorrow’s Modern Boxes è – invece – il secondo disco solista di Yorke, dopo l’acclamato The Eraser del 2006; è stato pubblicato il 26 setThom Yorke, 45 anni Ansa tembre con uno scarno e inaspettato annuncio sul suo profilo twitter. Otto brani e un video contenuti in un unico file scaricabile a pagamento (6 dollari) su Bittorrent, il portale più “frequentato” da ogni internauta a caccia di musica e film, spesso illegali. QUARANTAMILA download in meno di due ore (a oggi sfio-
rano il mezzo milione) è il primo bilancio dell’esperimento – secondo le parole dell’artista – “per capire se può funzionare questo nuovo metodo senza nessun altro attore all’infuori del titolare dell’album”. Con un pensiero agli emergenti, a chi non può entrare nell’ormai effimero circuito della major multinazionali con hit preparate a tavolino. E un sorriso beffardo rivolto a Bono e al suo gruppo – gli U2 – scottati da una operazione di marketing grossolana, tornata indietro al mittente come un boomerang. La Apple, infatti, su pressione degli utenti irritati di essersi trovati il disco della band irlandese nella libreria personale di iTunes, hanno preteso una pagina “tutor” con le indicazioni per rimuovere il disco non desiderato. Tanto è “embedded” la band di Bono – completamente complice e succube del colosso Apple –, tanto è libero il folletto dei Radiohead, ancora una volta capace di sovvertire le regole e seguire il puro istinto artistico.
no?”. “Dovrò scavare nella sua interiorità?”. “E se sono tutti e due ubriachi, di chi è la colpa?”. “E se lei mi dice sì, ma lì sotto è tutto asciutto, sarà un diniego non verbale? Ma se quando lei è ubriaca e vuole fare sesso non è consenziente, allora perché se lui è ubriaco e vuole fare sesso è uno stupratore se lei non ci sta? E se uno studente ubriaco uccide qualcuno e poi fa sesso, potrà essere dichiarato colpevole dell’uccisione ma non consenziente al sesso?”. “Ma Freud non diceva che per fare sesso bisognava aggirare la coscienza?”. “E come la mettiamo col pentimento della mattina dopo?”. “Ma se mi faccio tatuare yes sulla panza va bene?”. Nel frattempo, mentre c’è chi si è inventato un’app anti stupro per i college o smalti spe-
ciali per capire, infilandoci il dito, se il drink che qualcuno ti offre è stato drogato, le università si stanno dando da fare per cercare di spiegare che “chiedere il consenso è sexy”. Niente banale “Wanna have sex?”. Meglio frasi come “I’ve got the ship. You’ve got the harbor. Can I dock for the night?” (Io sono la nave, tu il porto, posso attraccare stanotte?), anche se gli effetti sull’eccitazione non sono ancora chiari. Intanto qui, in Italia, possiamo consolarci. Perché i nostri studenti non si impasticcano e non si ammucchiano? Macché. Ma siccome le residenze universitarie non ci sono, e stanno tutti infilati in stanzette in nero a cinquecento euro al mese, non è un affare pubblico. Però, almeno, per fare sesso non serve il modulo.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
L’attrice
MERCOLEDÌ 1 OTTOBRE 2014
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Monica Guerritore
“Alda Merini come Vasco: canto la più grande poetessa rock” di Camilla
Tagliabue
A
lda Merini è una rockstar, “travolgente e potente come Vasco Rossi, o Franco Battiato”: parola di Monica Guerritore che, insieme a Giovanni Nuti, sta per portare in scena Mentre rubavo la vita…!, uno spettacolo musicale su testi della poetessa. “In un’epoca di cover e di jingle ripetitivi e monotoni, abbiamo deciso di allestire un concerto forte, con canzoni inedite scritte da Nuti sui versi della Merini: non si troveranno rime baciate, non sarà un reading né un’ingessata lettura al leggio né una pièce teatrale in forma di amarcord. Sul palco Merini riprende vita, con tutta la sua passione incandescente, le sue contraddizioni, i suoi tormenti, la sua femminilità bruciante, la sua sensualità, la sua dolente personalità”. È LA PRIMA volta che l’attrice
affronta un concerto e si esibisce come cantante pura: è stato Nuti a volerla in scena per interpretare la protagonista. “L’ho trovata perfetta per questo difficile e intenso ruo-
lo”, spiega il musicista e cantautore che ha lavorato con Alda Merini per 16 anni, mettendo in musica le sue poesie. “Tra me e Alda c’è stato un lungo “matrimonio artistico”, come lo chiamava lei: era una donna ipersensibile, spesso indossava una corazza per difendersi dal mondo. Poi, però, quando si scioglieva ritornava bambina, era dolcissima. Ci telefonavamo tutte le mattine, e mi diceva: ‘Se non mi senti arrabbiata vuol dire che c’è qualcosa che non va’... Per me, lei resta la più grande poetessa del Novecento, con un eccezionale talento musicale, oltre che letterario. Dal nostro sodalizio è nato un nutrito repertorio di canzoni, scritte da lei apposta per me, a cui ora si aggiungono pure alcuni scritti originali di Monica. Mettiamo in scena poesie che scuotono: un viaggio dell’anima che tutti possono esperire, che tutti percepiscono, anche chi non è abituato a leggere versi o raramente entra in libreria. Quest’estate abbiamo fatto alcune date in anteprima a Napoli, ad Asti e alla Versiliana: è stato ovunque un successo; il pubblico era entusiasta, commosso e
LA COPPIA
Monica Guerritore e Giovanni Nuti
“Non c’è una trama”, spiega lei, “ma un intreccio di fili rossi, di temi cari alla poetessa: il conflitto tra sacro e profano, Dio e corpo, paillettes e stracci, passione e dolore... Non l’ho conosciuta personalmente ma, come interprete, e come donna, la percepisco: sul palco non fingo una improbabile immedesimazione con lei; porto le sue qualità femminili, la sua psicologia cangiante, la libertà e la mutevolezza di colei che si sen-
UN VIAGGIO MUSICALE Con Giovanni Nuti facciamo un concerto: canzoni inedite scritte da lui sui versi della scrittrice. Non troverete rime baciate o letture ingessate al leggio
contento allo stesso tempo”. Il debutto ufficiale sarà al Teatro Vittoria di Roma il 9 ottobre; poi seguirà una lunga tournée a Milano, Genova, Rimini e Lugano: sul palco, oltre a Guerritore e Nuti, ci saranno una band (Stefano Cisotto, Massimo Ciaccio, Daniele Ferretti, Massimo Germini, Sergio Pescara e Simone Rossetti Bazzaro) e i video di Lucilla Mininno e Mimma Nocelli, che firma la regia. La drammaturgia, invece, è curata dalla stessa attrice:
FORZA E PAROLE Porto in scena la sua femminilità, la sua psicologia cangiante, la libertà e la mutevolezza di chi si sentiva bestia e tempesta, notturna e delicata insieme
tiva bestia e tempesta, notturna e delicata insieme. Dobbiamo rompere con il cliché del poeta esangue e svenevole, togliere alla poesia quell’aurea di santità che l’allontana dalla vita”. COME ORFEI contemporanei, i due autori credono fermamente che la poesia non sia un’arte da far ammuffire tra le pagine dei libri, ma materia viva, febbricitante, da far risuonare e cantare perché “tocca le corde interiori, e ha la forza e l’attualità delle canzoni rock”. Il concerto non si configura, pertanto, come un omaggio postumo alla Merini che fu (di cui ricorreranno i cinque anni dalla morte il prossimo primi novembre), ma sarà un “tradimento fecondo” che riporta in vita i versi, e la carne, della grande artista: “Non abbiamo imbastito uno spettacolo-cartolina, né facciamo una celebrazione con la bara. Il teatro si fa con il corpo a corpo, non con il copia e incolla di parole, pur belle e preziose”. E “allora il miscuglio delle voci/ scenderà fino alle nostre carni,/ a strapparci il gemito oscuro/ delle nascite ultraterrestri”.
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LA MOKA SI METTE IN MOSTRA Roma, Palazzo Ruspoli, fino al 12 ottobre
ARTE
Storia d’Italia con la Moka sul gas IN MOSTRA LA MACCHINETTA CHE HA CAMBIATO GLI ITALIANI (E CHE ORA RISCHIA DI MORIRE) di Carlo Di Foggia
N
el declino industriale italiano, il genio si specchia. Le versioni differiscono, ma forma e materiali non sono cambiati: la Moka è sui fornelli da più di ottant'anni. Dopo Milano, anche Roma (alle scuderie di Palazzo Ruspoli) celebra un prodotto delle vallate IL FUMETTO
industriali dell’Ossola – Piemonte del Nord – che ha conquistato il mondo, e ora si costruisce in Romania mentre la storica Bialetti è ormai bresciana e tenta una riconversione verso il redditizio mercato delle capsule da caffè. In quella che fu la creatura di Alfonso Bialetti c’è il dna dei grandi marchi storici italiani entrati nel mito: l’officina in provincia,
di Stefano
Feltri
Solo l’usuraio sa tutti i tuoi segreti L’USURAIO VOL. 1 - 2 di Shohei Manabe, Planet Manga, 224 pagg., 4,50 euro cad. Puoi mentire a tua moglie, agli amici, al fisco. Ma non all’usuraio. La Buy buy Finance di Kaoru Ushijima si occupa dei clienti “non bancabili”, disperatamente bisognosi di soldi ma considerati troppo inaffidabili per le banche normali e perfino per le spregiudicate finanziarie. Ushijima presta a tutti, con un sistema infallibile: promette finanziamenti da un milione di yen (circa 7.500 euro), ma in realtà si comincia con soli 50 mila. Se dopo una settimana il debitore li ha restituiti con un tasso di interesse del 50 per cento, allora ne avrà altri. L’effetto valanga è inevitabile, non si salva nessuno. “L’usuraio” di Shohei Manabe è un manga spietato, che ha tutto il fascino di serie come Gomorra, con quella violenza così efferata e gratuita da risultare magnetica per noi che invece ci ostiniamo a vivere in un mondo regolato da leggi diverse da quella del più forte. Come in Gomorra, le punizioni per chi non si sottomette sono terribili: torture, ossa rotte, istigazioni al suicidio. Ma il fascino de “L’usuraio” non è tanto nel racconto delle dinamiche criminali, quanto nella possibilità che offre di spiare i vizi e le bassezze della società giapponese. Al centro c’è l’ossessione per il pachinko: la versione nipponica delle slot machine, si introduce
l’intuizione geniale e un figlio che raccoglie l’eredità, trasformandola in un oggetto di culto. La caffettiera dell’omino coi baffi deve il suo funzionamento alla “bollitura” dei panni delle donne di Omegna – anno 1933 (quello dell’Africa italiana che produce caffè) –, e la sua fortuna a Renato Bialetti, il figlio che intuì prima di tutti la portata rivoluzionaria del tubo catodico e degli investimenti pubblicitari. Se in dieci anni Alfonso ne vende solo 70 mila pezzi, la commercializzazione di fine anni 50 – quando dalla matita di Paul Campani nasce uno dei più noti protagonisti di Carosello (liberamente ispirato proprio a Renato) – proietta il marchio nell’immaginario collettivo. Con il ritornello “Eh sì, sì, sì... sembra facile fare un buon caffè” i primi spot – gennaio 1958 – entrano nelle
case degli italiani. L’omino coi baffi, tra brevi indovinelli e quiz musicali, dimostra l’assioma che una sola cosa è facile da indovinare: come preparare un ottimo espresso con la Moka. L’impatto sul fatturato è enorme: in breve tempo sostituisce i rivali e macina miliardi di lire. In numeri, fanno 200 milioni di esemplari e un mito segnato dall’ingresso della caffettiera piemontese ottagonale nella collezione permanente al Mo-
TEATRO / ARTE
di Camilla
ma di New York e al design museum di Milano. Nel giro di poche decadi i vecchi sistemi vengono archiviati, dalla caffettiera in terracotta a quella francese a infusione (il sistema Melior, inventato del 1947), la Bialetti pensiona anche la napoletana elettrica Ape e la torinese helvetik, bloccando l’arrivo in Italia del metodo americano, quello del bollitore con filtro, e del “caffè lungo”. Quella di Roma è la seconda tappa di un cammi-
Tagliabue
Chiacchiere e iPod, lo spettacolo è qui © 12 Parole 7 Pentimenti Milano, Teatro i, fino al 4 ottobre PIÙ CHE UNO spettacolo è un esperimento sociale, crudele e spiazzante: Rubidori Manshaft ha carpito a tradimento stralci di dialoghi tra comunissimi mortali, ignari di essere registrati; poi li ha rimontati in quattro tracce tematiche (Sesso, Amore, Morte, Denaro), li ha salvati su quattro iPod collegati a quattro cuffie e ha dislocato gli iPod in quattro diversi luoghi. Da qui inizia la messinscena, fruibile da 16 “spettatori” alla volta, divisi in quattro gruppi, itineranti tra le quattro postazioni audio e spediti a casa con chiavetta usb per godersi il cortometraggio finale. “12 Parole 7 Pentimenti”, prodotto da un ensemble svizzero, è ospite del milanese Teatro i che, per festeggiare i 10 anni di attività in Conca del Naviglio, ha inaugurato la stagione con “Città Balena”, un
PATRIMONIO ALL’ITALIANA
progetto di teatro diffuso nel quartiere, su palcoscenici inconsueti come il bancone del bar, il negozio di antiquariato, un’auto parcheggiata, la sala d’attesa del veterinario… Il connubio tra la performance multimediale e gli spazi cittadini è felice e fecondo, un’esperienza curiosa di teatro solipsistico, un viaggio dell’immaginazione a piedi e con le cuffie, come sempre se ne fanno sull’acciottolato urbano: eppure i file non contengono musica, ma le chiacchiere rubate ai colleghi umani, che ciarlano di sesso come al mercato del pesce, di amore come sofferenza, di morte come commedia, di denaro come latrocinio. “L’accaduto altrui diventa specchio e banalità del proprio accaduto”, spiega l’autrice, e nel riflesso balenano i mostri: chi brucerebbe i barboni, chi preferirebbe drogarsi anziché innamorarsi, chi “si accorge di avere dei figli quando sono morti”… Alla fine, vien voglia di tor-
di Tomaso
nare alla playlist preferita, incappucciandosi e isolandosi nelle proprie cuffiette auricolari, anche solo per non sentire il terribile blablabla altrui: tutti parlano di niente e non c’è nemmeno un Mercuzio cui dire: “Basta”.
Montanari
Siena, musica per il “for profit” una sfera di metallo in una specie di flipper senza comandi e si spera che cada nella direzione giusta accumulando punti, non è richiesta alcuna abilità. La dipendenza che genera è fatale, enormi i capitali necessari per giocare ancora fino a sperare di rifarsi dalle perdite. Un episodio è dedicato a una giovane impiegata che deve rivolgersi all’usuraio perché non osa tenere uno stile di vita diverso da quello delle colleghe, tra vestiti firmati e ristoranti costosi (l’affermazione dell’individualità non è necessariamente un valore nella società giapponese). L’usuraio non ha scrupoli, considera il suo operato una forma di ecologia sociale, anche quando costringe la madre di un suo collaboratore a prostituirsi per pagare i debiti da pachinko. “L’usuraio” non è una lettura rilassante, un po’ di empatia con le vittime dello strozzino è inevitabile, e non si intravede alcuna possibilità di riabilitazione. Ma Shohei Manabe è un autore col gusto del racconto sociologico e un tratto nel disegno affilato e violento, che rende impossibile arrestarsi nella lettura.
no che ne celebra l’ottuagenario. Un percorso in quattro parti nella storia, dalla pianta alla miscela araba (che Papa Clemente VIII a fine ‘500 rifiutò di dichiarare “bevanda del diavolo”, spalancandogli le porte dell’Europa) alla tazzina, fino all’evoluzione della specie: le eredi Dama e Break, dalle forme più arrotondate, lontane dallo stile art déco dell’antenata. A cui il tempo non ha intaccato il fascino, ma ridotto i margini. Design e ricerca provano a sopravvivere all’uscita di scena della dinastia: il brevetto della valvola di sicurezza (che non si ottura mai), per dire, rimane italiano. Il resto è stato delocalizzato e si vive dei fasti del passato. L’ultimo passaggio è il matrimonio col gruppo Rondine (pentole d’alluminio). Ora l’azienda dell’omino con i baffi è entrata nella black list della Consob delle società in precario equilibrio finanziario e non ne è mai uscita. L’azionista di maggioranza lotta con le banche per tenere in piedi il gruppo che vede come socio di minoranza anche Diego Della Valle.
©Siena Accademia Musicale Chigiana L’ACCADEMIA Musicale Chigiana è una delle istituzioni più importanti di Siena, e non solo per la musica, vista l’estensione e la qualità delle sue collezioni d’arte. Ma in queste ore è anche il campo di battaglia in cui il nuovo presidente della Fondazione del Monte dei Paschi (che per tradizione presiede anche la Chigiana), Marcello Clarich, combatte le sue prime scaramucce. E non è un bell’avvio, almeno a leggere i giornali e i blog senesi, oltre a un’interrogazione parlamentare presentata dalla Lega
Nord. Senza ancora essere formalmente insediato alla Chigiana, Clarich ha convocato i consiglieri d’amministrazione nominati dalla Fondazione, e ne ha chiesto privatamente le dimis-
sioni. A questi colloqui era presente Giovanna Barni, membro del cda della Fondazione Monte dei Paschi. Nonché figlia dell'ex sindaco di Siena, Mauro, e sorella di Monica, attuale rettora dell’Università per Stranieri di Siena: istituzione che nomina un suo rappresentante nella Fondazione. Ma perché Giovanna Barni si occupa della Chigiana? Perché Clarich ha individuato nella (Giovanna) Barni la sua più promettente proconsola nel prossimo cda della Chigiana: una nomina che determinerebbe un inestricabile intreccio di influenza familiare, potere bancario, controllo sulla cultura. Già, per-
ché Giovanna Barni è anche la presidente di Coopculture, che nel 2012 ha avuto un fatturato di quasi 39 milioni di euro, ed è la più grande cooperativa sul mercato del patrimonio culturale nazionale, gestendo, tra gli altri, i Musei comunali di Venezia, la biglietteria del Colosseo e l’Opera del Duomo di Siena, insieme ad una controllata di Civita. Ora, mettere nel cda della Chigiana (che possiede 12.000 opere d’arte mobili) la presidente di un’impresa for profit che organizza mostre e gestisce musei vuol dire costruire a tavolino le condizioni per un monumentale conflitto d’interessi. Se a questo si aggiunge l’agonia del Santa Maria della Scala e la trasformazione della Fondazione Musei Senesi nel gestore unico della cultura in città e in provincia, il quadro è chiaro: la privatizzazione è alle porte.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
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FABIO FAZIO
conduce l’undicesima stagione di “Che tempo che fa” LaPresse
ONDA SU ONDA
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
Caro Renzi, un consiglio: legga subito Guglielmi di Loris Mazzetti
enzi in tv è intervenuto R sulla Rai rispondendo alla domanda di Fazio su come fare ad ave-
re un servizio pubblico indipendente dai partiti: “Sono interessato alla Rai come progetto culturale non sono interessato alla Rai dei partiti”. Replica del conduttore: “Perché la Rai non sia in mano ai partiti bisogna però occuparsene”. Questo è il nocciolo del problema al di là delle lapalissiane frasi che durano il tempo della battuta. I partiti sono all’interno dell’azienda per legge. L’azionista di maggioranza è il ministero del Tesoro (Economia) che nomina un consigliere e suggerisce il nome sia del presidente che del dg, mentre gli altri componenti del cda sono nominati dalla Vigilanza, cioè dai partiti. Il cda Rai rappresenta in fotocopia il rapporto di forza in parlamento. Solo una nuova legge di riforma può far uscire i partiti dalla Rai. Renzi, come i suoi predecessori, che interesse avrebbe a modificare lo stato attuale essendo lui la proprietà? È uscito un libro scritto da Angelo Guglielmi, il mitico direttore di Rai 3 e non solo, e Angelo Balassone che lo affiancò come vice tra il 1987 e il 1994: Finalmente la Riforma della Rai! (Bompiani, 11 euro), che dovrebbe essere letto da tutti gli utenti del servizio pubblico, da Ren-
zi e soprattutto dal fido Giacomelli che nel governo detiene la delega alle Comunicazioni. Il sottosegretario è colui che dovrebbe partorire la riforma. Il libro dà risposta alle domande di chi pensa che il “problema” non sia più rinviabile. AL SERVIZIO pubblico dovrebbero
rimanere due reti generaliste: una finanziata dal canone e una dalla pubblicità “con netta distinzione tra identità e missione”, quella finanziata dal canone dovrebbe prevedere “la ricostruzione dell’intero campo dell’emissioni locali” attraverso un accordo pubblico-privati. Renzi, se è veramente disinteressato a fare il padrone della Rai, dovrebbe rilanciare il servizio pubblico renderlo esempio di pluralismo, non solo informativo, ma sociale, religioso, un luogo di rispetto delle idee, impedendone quella manipolazione che ha caratterizzato l’era Berlusconi, in particolare gli anni dopo l’approvazione della legge Gasparri, più volte condannata dall’Unione europea. Guglielmi e Balassone sostengono che “il metodo, obbligato, è quello di osservarci rispetto a quegli altri paesi con i quali abbia senso confrontarci” come Francia e Gran Bretagna. Uno sguardo sul servizio pubblico attraverso le “sue complesse problematiche di lavoro”. Detto alla Guglielmi: “La Rai è parte di tutto”.
Che tempo che Fazio, l’anno d’oro del tritatutto di Nanni Delbecchi
uesto potrebbe essere l’anno di Fabio Fazio. Sollevato dal peso di SaQ nremo, il conduttore nazional-chic agi-
sce quasi in regime di monopolio: non si vede chi possa impensierirlo, a meno che Massimo Giannini non faccia l’unica mossa possibile per raddoppiare lo share, ospitare in studio Giovanni Floris. Quando si inaugura la nuova stagione – l’undicesima – con una tre quarti d’ora di Matteo Renzi in camicia bianca, è detto tutto. A Renzi gli puoi dire qualunque cosa, ma non che non abbia un fiuto infallibile per il pulpito da cui lanciare gli slogan. La differenza tra Che tempo che fa e la direzione del Pd è che anche a Che tempo che fa parlano Renzi, D’Alema, Civati, Bersani... però con calma, e uno alla volta. Le interviste di Fazio sono un format universale come certi robot tritatutto, si tratti di presentare il film su Pasolini o l’abolizione dell’articolo 18; il fatto stesso di apparire lì, la domenica sera, per l’intervistato è un valore aggiunto, è rimasto solo Brunetta a offendersi, e tutto il resto è gufo. Fabio Fazio resta la cosa più vicina a David
Letterman che ci è dato di incontrare in video. Non il giornalista che si scopre entertainer, piuttosto l’enterteiner (di razza) che si scopre intervistatore: ma dopotutto siamo in Italia. OGNI TANTO Fazio vorrebbe fare l’ame-
ricano, e ripercorrere le orme del suo vecchio mentore Mike Bongiorno, così adesso medita di resuscitare il Rischiatutto; però è nato in Italy, oltretutto a Savona, una terra dove non è che si ami molto il rischio (se si esclude la centrale a carbone di Vado ligure). Per ora si è accontentato di rinfrescare il sabato del suo contenitore, ribattezzato Che fuori tempo che fa, e sembra una buona idea. Meno interviste, più spazio agli amici. Superlavoro per Massimo Gramellini in veste di copilota, a commentare le notizie della settimana sulla porta girevole tra ironia e moralismo; il duo funziona, e di sicuro non si rimpiange il cavernoso millenarismo di Roberto Saviano (“Me ne vado?” “Resto qui?” Ma sì, dai, vai pure). È il momento di riscoprire le buone compagnie e si notano anche frammenti di recupero da Quelli che il calcio, il vero
Gli ascolti di lunedì
COMMISSARIO MONTALBANO Spettatori 6,07 mln Share 23,6% PECHINO EXPRESS 3 Spettatori 2,20 mln Share 8,68%
programma autoritratto del conduttore. Perché Fazio, più ancora che un buonista, è un altruista; consapevole della propria natura anfibia, ha una visione corale della Tv, sa usare bene gli inviati come nessun altro. Ecco apparire Fabio Volo in motoscafo, inviato sul Canale grande, a caccia di George Clooney per raccontarci il matrimonio del secolo, ma soprattutto il tormentone del weekend. E mentre il più venduto dei romanzieri italiani cercava invano di infilarsi sul pontile e di impietosire i buttafuori, la triste metafora di un paese ridotto a lista nozze diventava perfino divertente. Anche il cazzeggio di Volo, che come aspirante Letterman fa cascare le braccia, qui funzionava, perché l’inviato è un ruolo cazzaro di suo. Speriamo che a Che fuori tempo che fa gli inviati aumentino ancora, e le tutte le interviste slittino a domenica. Questo potrebbe essere l’anno di Fabio Fazio, il più bravo a fare le cose che fanno tutti in Tv in modo differente dagli altri. Capiamo che Renzi lo abbia scelto per prepararsi alla direzione del Pd; se c’è un conduttore che non deve temere l'abolizione dell’articolo 18, quello è proprio lui.
SQUADRA ANTIMAFIA 6 Spettatori 4,37 mln Share 17,78% VI PRESENTO I NOSTRI Spettatori 2,02 mln Share 7,65%
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SECONDO TEMPO
MERCOLEDÌ 1 OTTOBRE 2014
il Fatto Quotidiano
IL BADANTE
CASO NAPOLI
De Magistris si fa male da solo di Bruno Tinti
B
rutta storia quella di De Magistris. Ma occasione per riflettere.
1) I reati sono composti da un elemento oggettivo, la condotta, e un elemento soggettivo, il dolo o la colpa. Nel caso di De Magistris, la condotta che gli è stata contestata consiste nell’aver acquisito tabulati concernenti utenze telefoniche di parlamentari senza l’autorizzazione delle Camere, pur prevista dalla legge. L’elemento soggettivo potrebbe consistere, alternativamente, nel dolo o nella colpa. Dolo, se De Magistris avesse saputo che quelle utenze erano in uso a parlamentari e avesse deciso di acquisirle senza autorizzazione, magari per non pregiudicare l’inchiesta, mettendo sul chi vive la mala gente su cui indagava. Colpa se avesse ignorato l’esistenza della legge che imponeva l’autorizzazione o se avesse omesso di accertare a chi appartenevano le utenze prima di chiederne i relativi tabulati; o comunque se non avesse fatto tutti gli accertamenti possibili. Si avrebbe colpa anche nel caso in cui avesse detto al suo consulente Genchi qualcosa del tipo: fa tu poi mi racconti; un pm non può delegare in maniera così generica l’attività investigativa. Infine l’elemento soggettivo potrebbe mancare completamente se Genchi, pur avendo ricevuto direttive precise, avesse agito di sua iniziativa senza avvertirlo di quello che stava facendo. Siccome è stato condannato per abuso di ufficio, reato per cui è richiesto il dolo, evidentemente il Tribunale ha ritenuto sussistente la prima ipotesi. Se avesse agito con colpa il reato non sussisterebbe, ma De Magistris sarebbe esposto a richieste di risarcimento danni in base alla legge sulla responsabilità civile dei magistrati. Con la motivazione si saprà perché i giudici hanno ritenuto che De Magistris sapeva e tuttavia ha acquisito senza autorizzazione. 2) De Magistris se l’è presa con i
giudici che lo hanno condannato. Tra le altre cose, ha detto che il reato di abuso in atti di ufficio a contenuto non patrimoniale (aver volontariamente cagionato a terzi un danno ingiusto) non è mai stato contestato a nessuno e che questa sarebbe la prova della persecuzione cui lui è sottoposto. In realtà, ad oggi, Italgiure (il sistema di ricerca dei precedenti giurisprudenziali) riporta 83 sentenze di Cassazione in merito a questo reato. Ora, è vero che, per le intercettazioni e acquisizioni di tabulati, la legge che garantisce ai parlamentari l’impunità è particolarmente odiosa e che si fa fatica ad accettare che non richiedere una preventiva autorizzazione (che di fatto rende inutili le intercettazioni e permette accorte predisposizioni difensive quanto ai tabulati che provassero equivoche frequentazioni) provochi un danno ingiusto a chi, magari,
Il sindaco di Napoli, Luigi de Magistris Ansa
UNA BRUTTA STORIA Temo sia anche lui vittima di un virus tipicamente italiano, quello che induce chi ricopre cariche elettive a ritenere di essere passati di categoria ne ha fatte di cotte e di crude. Ma il magistrato è schiavo della legge, per sbagliata che possa essere. E, se non la osserva, le persone che questa protegge subiscono un danno “ingiusto”. 3) De Magistris ha annunciato
la sua volontà di non dimettersi nonostante la legge Severino preveda la sua decadenza dalla carica di sindaco. Ha anche illustrato una sua irritante strategia, volta a vanificare lo spirito della legge qualora venisse dichiarato decaduto: lascerò l’incarico al vicesindaco e tornerò con tutti gli onori nel 2016. Questo suo atteggiamento è inaccettabile, e – per quanto mi riguarda – particolarmente fastidioso. Il disprezzo per la legge così volgarmente esibito è criminogeno: “se il sindaco di Napoli se ne fotte”, ovviamente anche io... E che questa condotta vergognosa la tenga un magistrato, per me –magistrato – è causa di forte disagio. 4) Io De Magistris lo conosco;
non è un mostro di simpatia, ma non avrei mai pensato che arrivasse a queste pubbliche manifestazioni di disprezzo per la legge che ha pur servito per qualche anno. Mi sono fatto l’idea che, anche lui, sia rimasto vittima di un virus tipicamente italiano, quello che induce le persone che ricoprono cariche pubbliche elettive a ritenere di essere passati di categoria: “Mi hanno eletto, le sentenze dei giudici non possono privare i cittadini della persona che hanno scelto per governarli, rappresentarli in Parlamento, fare il sindaco ... è un attentato alla democrazia”. Si tratta di un virus introdotto nel nostro Paese da B. (prima idiozie del genere nemmeno si pensavano) e che deve essere particolarmente contagioso se ha infettato perfino uno che ha applicato la legge per molti anni. De Magistris dovrebbe rendersi conto che questo esibito disprezzo per la legalità autorizza pensieri
malvagi: “Forse, anche quando faceva il magistrato la pensava nello stesso modo...”. 5) Nonostante tutto, De Magi-
stris conserva un consenso importante. E più ne aveva quando venne eletto parlamentare europeo (400.000 preferenze, una mostruosità) e poi sindaco di Napoli. Le ragioni del consenso sono evidenti: aveva indagato i potenti che si erano vendicati. I suoi elettori sapevano poco o nulla di lui e delle indagini che aveva iniziato; certamente non erano in grado di comprenderne gli aspetti giuridici. Ma lui era quello che tutti loro avrebbero voluto essere: quello che – finalmente – gliela faceva vedere a questi ladri che ci malgovernano e ai loro complici. Non vi viene in mente B.? Capite come la democrazia abbia bisogno di cultura e consapevolezza? E che, in mancanza di ciò, questa panacea delle elezioni basate sulle preferenze rischia di essere una pericolosa illusione?
Ok House of Cards, ma Renzi non è Spacey di Oliviero Beha
INFURIA il dibattito mediatico e paramediatico su un quesito irrinunciabile: l’Auditel sta decretando la fine dei talk-show? O solo di “questi” talk-show, essendo invece il genere immortale quanto il teatro? E nel caso, è la fine della contrapposizione politica tra i due schieramenti postumi del maggioritario, a sancire il disinteresse del pubblico? Se persino Santoro princeps materiae fa il gambero con i numeri, dopo il rimpicciolimento del cadetto Floris, lo sgonfiamento del “conte zio” Giannini e la generale atomizzazione dei minori, siamo davvero alla frutta? Come spesso, si arriva al punto dopo che i fuochi si sono spenti. Non ricordo negli ultimi 15 anni, tanto per avere un’idea di un lasso di tempo serio, che ci si sia interrogati su che cosa sia un talk-show politico, che cosa faccia di un conduttore un titolare autorevole di cattedra e non solo un mestierante lacché dei partiti, quale opinione si abbia della metapolitica che esce dal tradizionale recinto della politica partitica ecc. Anche perché nel frattempo politica e tv si incontrano altrove con un successo e una tempestività contemporanea che noi neppure ci sogniamo. Prendiamo House of Cards, la ormai famosissima serie tv americana che ha come protagonista Kevin Spacey. Non mi interessa qui recensirla dal punto di vista televisivo, mi basta notare come sia difficile trovarle dei difetti, di forma e contenuto. È invece la lettura che dà del potere che mi sembra collegabile sia alla crisi della nostra tv politica che a quella n
della nostra politica televisiva. Nel tramare con venature post-trotskiste usando chiunque nella vita come nella morte, il vicepresidente finto Usa del “castello di carte”, Spacey, è un credibilissimo Mazzarino che gioca sempre e solo la sua partita, fisicamente e mentalmente adatto al ruolo ambiguo che gli è stato affidato. Ebbene, benché Matteo Renzi abbia tutta l’aria e l’atteggiamento di “un uomo solo al comando”, sia nel panorama politico nostrano che in tv, qualunque opinione si abbia di lui è certo totalmente diverso dal personaggio interpretato da Spacey. Non dà l’impressione di tramare, non è ambiguo, passa da rullo compressore su situazioni e istituzioni “al ser-
PARALLELISMI Benché il premier abbia tutta l’aria dell’uomo solo al comando, è certo totalmente diverso dal personaggio della serie tv Usa Kevin Spacey LaPresse
vizio della nazione”. Avesse anche ragione chi obietta che in realtà è al servizio di se stesso o di eventuali pupari interni o esteri, certo non lo fa corredato da alcuna equivocità. Dice tutto quello che vuole anche più del necessario, sfiorando spesso il velleitarismo o nel caso più impegnativo allumando l’azzeramento della politica, almeno per come l’abbiamo conosciuta fino ad ora. L’uso che fa delle persone, fidate o avversarie, è un uso dichiarato, esplicito, reboante, in definitiva trasparente, il contrario della politica in penombra del protagonista di House of Cards. BERLUSCONI dice di lui che “è più cattivo di me”, e questo può essere. Ma lo è alla luce del sole, lontano mille miglia dagli arcana imperii andreottiani: il rischio che corre è casomai che non ci sia nulla di segreto, e che grattando rimanga solo lui, nella sua sagomatura pubblica ormai affermatissima. Il paradosso di tutto ciò, che la tv ovviamente amplifica parossisticamente, è che così facendo Renzi sta stritolando le vecchie strutture, fatte di persone e di simboli più o meno pregiudiziali (cfr. l’art.18), proprio perché esse hanno invece molto di Spacey e delle sue caratteristiche velate. Tradotto, ancora e sempre il passato sfuggente e i segni distintivi equivoci di D’Alema & company stanno facendo campagna elettorale per Renzi, anti-Spacey. E sembrano non accorgersene, come appunto non se ne accorgono i talk-show morenti della nostra tv, specchio fedele del precipizio del Paese. www.olivierobeha.it n
PIOVONO PIETRE
Riposa in pace, art. 18: togliere a pochi per uccidere tutti di Alessandro Robecchi
on la cerimonia funebre dell’articolo C 18 si apre un nuovo capitolo di pace, prosperità e progresso per il mondo del
lavoro in Italia. Cerimonia all’irlandese: la bara è aperta, il caro estinto pare che dorma e tutti intorno si dedicano ai drink e alle molte speranze che il trapasso di quel vecchio, polveroso, barbogio diritto apre per tutti. Il prete ha parlato chiaro: con la dipartita del vecchio articolo 18 ora tutti avranno di più. Parole nette e chiare: “L’imprenditore deve poter licenziare, se rimani senza lavoro ci pensa lo Stato”. Bene. Odiosi privilegiati come operai attaccati al posto di lavoro, cassintegrati in deroga e cinquantenni in mobilità, non potranno più dettare legge: è il momento di tutti gli altri, ci pensa lo Stato. Sull’onda di questa solenne promessa, cardine dell’omelia, la cerimonia funebre assume toni garruli e divertiti. Ecco la ragazza che vuol fare un bambino col suo innamorato, lei precaria con contratto di tre mesi, lui in cerca di lavoro. Ora che è morto quell’egoista dell’articolo 18, i loro problemi sono finiti: ora ci penserà lo Stato. Lo stesso Stato che penserà anche al licenziato fresco fresco, perché come ha insegnato la legge Fornero (l’ultimo bypass messo al vecchio articolo 18, appena due anni fa) ora che licenziare è più
facile qualche contracrate – lo Stato dovrebbe CARO ESTINTO colpo ci sarà, ovvio, è la trovare il petrolio, o giavita. Tranquilli, arriva lo cimenti d’oro, o vincere Quando l’ubriacatura Stato e stacca un asseall’Enalotto tutti i giorni per qualche anno. Invece gno mensile. Poi ti trova da funerale passerà, un lavoro. Naturalmenquel che c’è – lo dicono ci si renderà conto che unanimi sia quelli che te lo Stato penserà anche alle famose partite Iva. piangono i vecchi diritti, in cassa non c’è un euro sia quelli che li hanno Chi ha dovuto aprirla ammazzati – è un miliarper fingersi libero proper pensare a coloro i cui fessionista invece che do e mezzo, meno di quel diritti sono stati cancellati che si spende oggi per la dipendente licenziabile in cinque minuti ha ficassa integrazione. Innito di soffrire. Ora che somma, basta aspettare il vecchio articolo 18 finisce dove merita, un po’: che la veglia funebre finisca, che il avrà anche lui giustizia e prosperità: un caro estinto sia sotto terra, che le corone di sussidio appena l’imprenditore finisce di fiori appassiscano tristemente. Poi qualpronunciare la frase “siamo costretti a fa- cuno, reduce da quel bicchiere di troppo re a meno del suo apporto”. che il lutto ha suggerito, ricorderà le paA credere alla propaganda renziana, in- role del prevosto e si farà avanti a dire: somma, ora che non ci sono più lavoratori beh, ora che abbiamo levato un diritto a di serie A, tutti i lavoratori di serie B fe- quelli là per darlo a tutti, lo diamo o no? E steggiano a champagne: sono finiti i tem- scoprirà che non ci sono i soldi, che non si pi cupi, ora che ad avere i diritti non sono può, che mancano i decreti attuativi, che più pochi (non pochissimi, a dire il vero, la coperta è corta, che la frase dell’omelia ma questo la propaganda non lo dice), fi- aveva due parti. La prima: leviamo diritti. nalmente li avranno tutti. È un abbaglio La seconda: li diamo a tutti. E che nel rimcosì clamoroso e grossolano, naturalmen- bombo delle navate della cattedrale, la sete, che non ci credono nemmeno loro. Per conda frase si è persa, dimenticata, evapensare a tutta quella gente – disoccupati, porata. È rimasta un’eco, pare che dica: cassintegrati, precari tra un contrattino e “Bravi! Ci siete cascati ancora!”. E poi: “È l’altro, aspiranti mamme, sottoccupati, tutto. Andate in pace”. flessibili a vario titolo, partite Iva masche@AlRobecchi
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
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A DOMANDA RISPONDO Furio Colombo
L’articolo 18 non è solo un simbolo
È la prima volta che vi scrivo, sono un vostro lettore sin dal primo numero apparso in edicola. Il motivo che mi spinge a farlo è legato all’articolo di Stefano Feltri “Il bastone dei mercati”; ecco io sono un dipendente tutelato dal famoso articolo 18 e vi posso assicurare che la battaglia per abbattere questa tutela non è affatto simbolica, anzi. Ecco il punto è questo: la guerra dei ricchi contro i poveri, la lotta di classe al contrario, come la definisce Luciano Gallino. Mi fa tristezza leggere un articolo che tratta un tema così drammatico come la cancellazione di diritti di dignità in maniera così superficiale, mi fa male perchè lo leggo sulla prima pagina del mio quotidiano proprio il giorno dopo una giornata che per i lavoratori sarà purtroppo ricordata amaramente nei prossimi decenni.
litica è cambiata. In circolazione ci sono personaggi dalla parlantina sciolta; che sappiano poi fare politica, cioè il bene comune, è altra faccenda. In Italia, Berlusconi ha fatto scuola: basta vedere le nuove leve: Maria Elena Boschi, Pina Picierno, Alessandra Moretti, per esempio, non frequentano casa Renzi, come capitava con le fedelissime del Cavaliere, ma seguono la linea del premier in carica, senza scostarsi di un millimetro, e sono sdraiate sulla linea del Capo, con una dedizione straordinaria. Loro dico-
promesse non mantenute (a parte gli 80 euro). Il termometro della gente comune dice che l’Italia sta soffrendo, altro che ripresa. Renzi invece di andare negli Usa una settimana, in un momento delicato e drammatico come quello che sta attraversando la politica italiana, avrebbe dovuto restare a Roma a risolvere i quotidiani problemi. È veramente inammissibile che il nostro ex bel Paese stia a galla con le entrate di Gratta e vinci, Lotto e Superenalotto, marche da bollo, accise su siga-
Hong Kong contro l’Italicum CARO FURIO COLOMBO, forse ricordi anche tu che ci era stato detto molto solennemente, non tanto tempo fa, che la nuova legge elettorale (chiamata “Italicum” dal co-premier Silvio Berlusconi) era pronta e stava per andare in aula. Poi è successo di tutto, dalla cancellazione del Senato alla cancellazione dell’art. 18. Ma la legge elettorale? Goffredo
LA RISPOSTA è semplice. La “nostra” nuova legge elettorale (liste bloccate e controllo assoluto dei partiti sui candidati) è la stessa contro cui centomila ragazzi di Hong Kong si stanno battendo. Infatti tutte le voci di tutti i nostri telegiornali, quando ci mostrano le grandiose immagini di una grande rivolta di veri giovani, sussurrano appena la regione: non vogliono subire una legge elettorale in cui i candidati siano scelti dal partito-governo di Pechino. Sarebbe una dittatura come prima, dicono gli indomabili ragazzini di Hong Kong (il loro leader, Wong, anni 17, potrebbe essere il figlio di Renzi) e non c’è verso di fermare le immense dimostrazioni. Evidentemente gli anziani che pretendono di tenere in pugno la generazione giovane impedendo che si esprima da sola e sottoponendola alle scelte precotte esistono dovunque nel mondo. Ma doveva toccare proprio a noi di averne in casa uno così longevo politicamente come Berlusconi, e così potente da stabilire, caso per caso (dalla legge elettorale bloccata all'articolo 18 dello
la vignetta
Alessandro Regazzetti
Lavoratori: paghiamo sempre noi
Questa fissazione del governo Renzi sull’articolo 18, oltre a togliere un diritto importante del lavoro, porta via tempo ed energie a ciò che si dovrebbe veramente fare. Per creare occupazione va combattuta la corruzione, semplificata la burocrazia, contrastata seriamente l’evasione fiscale. Vanno ridotte le imposte sul lavoro, incentivate le imprese a rimanere in Italia rendendole competitive e vanno disincentivate quelle che si trasferiscono all’estero. E soprattutto, vanno fatti investimenti nei settori dove l’Italia può essere competitiva. Tutto questo non c’è nei suoi progetti. Monica Stanghellini
Renzi e le fedelissime distruggeranno il Pd
Con l’avvento della tv commerciale, in Italia, e in tutto il mondo la po-
no di essere le innovatrici, al servizio del Capo innovatore, contro i conservatori, e di tutta la storia della sinistra sono disposte a fare un falò. Ha ragione Berlusconi: non si capisce cosa distigua Renzi, politicamente, da lui. Non è riuscito Greganti a mandare a gambe all’aria il Pci, ci penserà Renzi e le sue fedelissime. Marino Pasini
La finta ripresa raccontata dal premier
Mi sembra lampante che il segretario generale della Cei, monsignore Nunzio Galantino, abbia dato l’”ultimatum” al governo Renzi. Basta slogan e
rette e benzina e introiti delle “drammatiche” slot machine. Rolly Marchi
Scuola, la brutta fine della Geografia
Secondo quanto abbiamo sentito da Renzi, si doveva effettuare un’importante modifica negli istituti superiori. Il Presidente Renzi ha sventolato nella suddetta conferenza alcuni opuscoli che dovevano contenere tutti i temi della riforma. Invece all’inizio dell’anno scolastico ci si è trovati coi tanti problemi irrisolti riguardanti le strutture, i docenti e le discipline da insegnare, in questo modo l’ennesimo sogno del
premier Matteo Renzi è svanito. Per conto mio, voglio riferirmi alla mia materia, la Geografia, che ho sempre definito ambientale e del turismo. È una disciplina che invece di essere potenziata è stata ridotta ad un’ora alla settimana sempre e solo negli Istituti Tecnici Commerciali. Mi sembra l’ennesima assurdità. La Geografia è sempre più necessaria. Questa materia è sparita per merito dell’onorevole Gelmini. Un vero e proprio disastro perchè in un mondo globalizzato non si può concepire la mancata conoscenza del nostro Pianeta. Nei mesi scorsi abbiamo raccolto firme in
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Statuto dei lavoratori da liquidare) che si fa come dice lui oppure lui rovescia il tavolo. Resta il fatto che nessun commentatore si è soffermato, finora, sulla maturità politica e il coraggio personale dei giovanissimi dimostranti cinesi (il grosso della rivolta è composto da studenti liceali, a cui si sono uniti i professori) che hanno capito subito che cosa distingue una democrazia finta. Puoi avere tutte le elezioni che vuoi e vantartene nel mondo, ma se i cittadini non sono in grado di scegliere chi votare e devono mettere disciplinati segnetti dove vuole chi ha già il potere (e non intende discuterlo), si dà luogo a una penosa finzione che non ha niente a che fare con la democrazia. Ecco, i ragazzini cinesi sono arrivati fin qui: hanno capito tutto e non intendono fare un passo indietro a meno che la vecchia Cina ripeta il rito sanguinoso di Tien an men. Sono riusciti, cioè, a far capire a tutti, qualunque cosa accada, di chi è la responsabilità, e a impedire che si denunci un complotto per dividere il partito, oppure dichiarare che i ragazzi di Hong Kong sono in mano ai poteri forti. In Cina riderebbero tutti. In Italia la storia imbarazzante dei poteri forti circola come un argomento valido che si può dire mostrando tempestosa serietà. Insomma quando vedete notizie lontane da una provincia cinese, ricordatevi che ci riguardano. Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42
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tutta Italia, inviate alla neo Ministra. Nella riforma sbandierata da Renzi non si è tenuto conto di queste richieste e quindi povera geografia! Luciano Baruzzi
Sassano: una strage annunciata
Mi fa tanta pena e rabbia vedere quei quattro ragazzi investiti e uccisi da un altro giovane, pazzo della velocità e ubriaco. Mi pare di capire che il guidatore sia recidivo in quanto coinvolto in un altro incidente del 2012 in cui perse la vita un altro ragazzo. Non è il caso, quindi, di imprecare contro il destino. Non è concepibile che ci si metta al
volante dopo aver assunto alcol o sostanze stupefacenti. Bisogna fermare subito questi soggetti pericolosi. La vita è bella per tutti e non può essere lasciata nelle mani di questi sconsiderati. Evitiamo, per favore, altro spargimento di sangue! Fanco Petraglia
Boschi e Picierno: sorridere sempre
Renzi ha migliorato il sistema usato in tv dai sostenitori di Berlusconi (dire vistosamente di no con la testa mentre parla l’avversario): le sue gradevoli parlamentari “devono” sorridere sempre. Campionissime la Boschi e la Picierno. Dice Renzi
che il lavoro è un dovere e non un diritto: partito per rottamare tutto si rivela capace solo di colpire i più deboli. Regrediamo al peggior modello cinese perchè se è il governo a fare guerra ai diritti conquistati si creano il clima e gli alibi adatti al ritorno di ogni sopruso nei posti di lavoro. I licenziati senza giusta causa dovranno confidare nello Stato, che prima toglie loro il diritto e poi cerca con calma i fondi per aiutarli, non si sa per quanto tempo e come, ma con il grande conforto degli ampi sorrisi della Boschi e della Picierno. Giampiero Buccianti
Le primarie soporifere dei Dem in Emilia
Egregio direttore, dopo il flop della partecipazione degli elettori alle primarie del Pd, molti se ne chiedono la ragione, fino a ipotizzare una disaffezione dei cittadini del centrosinistra al sistema delle primarie. Non mi pare che sia proprio così. Le primarie in un partito sono un atto di democrazia e mantengono il loro significato e l'attrazione dei cittadini, se sanno suggerire un'alternativa di governo o di programma. Invece facilmente perdono appeal fino a diventare soporifere, se danno una rappresentazione di cose scontate. Nella scelta del presidente della Regione Emilia Romagna erano in lizza due renziani, uno saltato sul carro del vincitore, dopo aver rappresentato la vera sinistra bersaniana, e l'altro già sindaco di Forlì, più portato all'azione che alla sudditanza. Non c'era una vera alternativa, mancava un rappresentante di quella sinistra Pd che ormai rappresenta il cuore pulsante del partito, ma che viene messa all'angolo dalla fazione del segretario nazionale. Mauro Bortolani Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42
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