IL LIBRO DI ISAIA Il profeta Isaia
Isaia, nome derivato dall’ebraico jsa’jahu ( = Javhè salva ) , figlio di Amoz ( 1, 1 ) e, secondo una tradizione nipote del re di Giuda Amasia (800-783 ) . Nacque a Gerusalemme nel 760 o nel 770, ai tempi del re Ozia, figlio di Amasia ( 783-742 ). Coniugato, padre di almeno due figli, che portarono nomi simbolici, in una celebre visione fu chiamato nel 740 da Dio ad essere profeta e visse in un’epoca agitata e sconvolta da avvenimenti d’importanza capitale: la caduta del Regno del Nord nel 722 e l’invasione di Giuda da parte di Sennacherib. Visse a Gerusalemme e vi svolse l’attività profetica almeno dal 742 al 701, “nei giorni di Ozia, di Iotan, di Acaz e di Ezechia, re di Giuda “ ( 1, 1 ). Appartenendo ad una famiglia aristocratica ebbe la possibilità di frequentare con facilità la corte regale e di conoscere bene l’ambiente aristocratico e sapienziale di Gerusalemme. Poeta di corte, mise in risalto il tema dinastico, cui s’innesta quello messianico Nei riguardi del popolo difese strenuamente i diritti dei poveri, degli orfani e della vedove ( 1, 17 ), si schierò dalla parte del popolo sfruttato e oppresso dai governanti ( 3, 12-15 ). Sviluppò la teologia del “resto”, insistette sull’esigenza di vivere di fede e sottolineò la santità di Dio. La sua voce profetica risuonò solenne per un quarantennio, mentre l’Asia occidentale veniva conquistata dall’Assiria. Intervenne spesso nella politica del paese consigliando i re e fustigando i vizi dei cattivi dirigenti. Durante la sua attività profetica incontrò opposizioni, ma ebbe dei discepoli che seguirono e tramandarono il suo insegnamento alle generazioni future. E’ stato uno dei più grandi profeti, forse il più grande dell’Antico Testamento e anche uno dei più grandi nomi della letteratura mondiale. Una leggenda di scarso valore storico, che si trova nell’apocrifico “Martirio di Isaia”, afferma che sarebbe stato segato in due sotto il regno di Manasse, figlio di Ezechia (687-642 ).
Sfondo storico dell’azione di Isaia Azaria ( Ozia ) re di Giuda Nascita del profeta Isaia Vocazione di Isaia
779
738 770 740
Iotan re di Giuda Primo periodo dell’attività profetica: denunzia di ingiustzie, formalismo, anarchia
742
735
740
736
Acaz re di Giuda Tiglatpilesser re d’Assiria Salmanassar V re d’Assiria assedio di Gerusalemme da parte di Rezon di Damasco Distruzione di Damasco Secondo periodo dell’attività del profeta durante crisi siro-efraimitica colloqui con Acaz- minaccie di rovina
736 745 726
715 727 722
735
733
Sargon II re d’Assiria Distruzione del Regno del Nord Sargon batte la lega antiassira ( Karchemis ) Periodo di silenzio
722
732
705 722 720 716
715
693
715
711
Sennacherib re d’Assiria Conquista assira di gran parte della Giudea Sennacherib assedia Gerusalemme Quarto periodo dell’attività profetica
705
705
681 701 701 701
Manasse re di Giuda Morte di Isaia: durante il regno di Manasse
693
639
Ezechia re di Giuda Terzo periodo dell’attività profetica: condanna per scelte filoegiziane appello alla fede
735 732
Il libro di Isaia Il libro di Isaia, composto di 66 capitoli, è il più lungo della Bibbia. E’ sempre stato oggetto di ascolto, di preghiera e di studio; e fin dai primi tempi, di notevoli commenti, da Origene a Cirillo di Alessandria, da Alberto Magno a Tommaso d’Acquino. Verso la fine del XVIII secolo due studiosi, J.C.Doderlein e J.C.Euchhorn si sono accorti che questo libro difficilmente poteva essere opera di un solo autore e nel 1892 B. Duhm è arrivato alla conclusione che il libro si compone di tre opere diverse: Is 1, 39, Is 40-55, Is 55-66. Al termine di ulteriori studi, oggi viene ammessa la seguente suddivisione: I 66 capitoli di Isaia rimandano al lungo periodo storico del popolo ebraico, che va dall’8° al 3-4 secolo , durante il quale si sono susseguiti molti avvenimenti importanti. Tra gli altri: Distruzione del regno del Nord ad opera degli Assiri 722 Assedio di Gerusalemme da parte di Sennacherib ai tempi di Ezechia ( 717-687) Caduta di Gerusalemme e cattività babilonese 587 538 Periodo del dopo esilio dal 538 Esdra e Neemia anni 400
Il libro può avere la seguente suddivisione: Isaia 1- 39 che rispecchia l’opera di Isaia di Gerusalemme (760-…). Il periodo è quello dell’ottavo secolo a.C., ai tempi del dominio assiro e della guerra siro-eframita. Isaia 40-55 che è opera di un profeta anonimo del tempo dell’esilio (586-538 ) comunemente denominato Deutero-Isaia. Isaia 56-66 attribuito ad un redattore del periodo dopo l’esilio ( dopo il 538) comunemente chiamato Trito-Isaia. Isaia 24-27 e 34-35 , sei capitoli, denominati grande e piccola apocalisse, che sono state aggiunti di redattori anonimi del V-III secolo a. C..
Isaia 1-39 I primi 39 capitoli sono così suddivisi dagli studiosi : Isaia 1-12 Oracoli su Giuda e Gerusalemme. I capitoli 7-12 sono detti: “il libro dell’Emmanuele”. Isaia 13-23 Oracoli sulle nazioni straniere Isaia 24-27 Grande apocalisse ( del V o IVsecolo ). Isaia 28-33 Oracoli contro Samaria e Giuda. Isaia 34-35 Piccola apocalisse ( del IV-III secolo ). Isaia 36-39 Appendice storica.
Capitoli 1-12 La sezione del libro 1-12 è formata da due parti , i capitoli 1-6 con alcuni oracoli riguardanti Giuda e Gerusalemme e i capitoli 7-12 detti “libro dell’Emmanuele”. Contiene il brano autobiografico della vocazione, due pericopi biografiche, alcuni oracoli pronunziati in gran parte nel primo periodo dell'attività profetica di Isaia, qualche aggiunta relativa ai tempi dell’assedio di Gerusalemme da parte di Sennacherib ( 701 ) e due aggiunte del tempo dell’esilio. Il cuore del tutto è formato da tre vaticini messianici, che descrivono la persona, l’azione e il regno di un discendente di Davide.
Oracoli vari : 1-6 Capitolo 1. ( 1-32 ) Il primo capitolo inizia con la presentazione di Isaia, figlio di Amos (versetto 1), prosegue con vari oracoli, pronunziati in diverse circostanze, quindi inizialmente indipendenti. I temi sono quelli del peccato, del giudizio e della salvezza. Il capitolo è quasi una sintesi della predicazione di Isaia.
Capitolo 2 ( 1-22 ) Il secondo capitolo inizia con un oracolo escatologico (1-5 ), che è uno dei vaticini più notevoli dell’A.T.. Poi nei versetti 6-22 viene descritto il giorno di Javhè, una straordinaria manifestazione del Signore che punisce i peccatori e i nemici del popolo, mentre salva il “Resto”.
Capitolo 3 ( 1-26 ) I versetti 1-15 trattano dei primi anni di governo dell’inesperto re Acaz, mentre si prepara la guerra siro-efraimitica. Con vivaci colori è descritto lo sfacelo morale della società giudaica, specie delle classi dirigenti. Questo stato di cose è considerato come un castigo divino per i peccati commessi. I versetti 16-26 denunziano la ricchezza e il lusso sfrenato che fanno montare in
superbia le donne di Gerusalemme e preannunciano il conseguente orgoglio.
castigo per il peccato di
Capitolo 4 (1-6 ) Il versetto 1 è legato al capitolo precedente e fa cenno ad una delle calamità della guerra, la decimazione degli uomini. I versetti 2-6 parlano del sacro “resto” di Sion e sono una sintesi della dottrina del “resto”.
Capitolo 5 ( 1-30 ) Il capitolo inizia con il canto della vigna (1-7) . Segue il brano 8-25 che contiene una serie di invettive contro le varie categorie di violatori dell’ordine sociale, che avrebbero dovuto salvaguardare il diritto: latifondisti, crapuloni, beffardi, ingiusti in campo sociale. I versetti 26-30 trattano dell’invasione assira.
Capitolo 6 (1-13 ) Tutto il capitolo presenta la vocazione e l’invio in missione del profeta Isaia.
Libro del’Emmanuele: 7-12 Capitolo 7 (1-23 ) 1-9 è il racconto dell’incontro avvenuto verso il 733 tra il re Acaz e Isaia nel frangente della guerra siro-efraimitica. Segue ( 10-17 ) il vaticinio dell’Emanuele. Da 18 a 25 si fa cenno all’invasione nemica.
Capitolo 8 (1-23 ) Il capitolo è una raccolta di oracoli pronunziati da Isaia ai tempi della crisi siro-efraimitica: 1-2: giudizio sugli alleati siro-efraimiti; 5-10: la mancanza di fiducia in Javhè è il motivo dell’invasione assira; 10-20: oracoli vari. 21-23: giorni di tenebra ed epifania del Signore.
Capitolo 9 ( 1-20 ) 1-6: vaticinio che annunzia la nascita di un bimbo di stirpe regale. 7-20 : punizione che si abbatte sul regno del Nord e sulla sua capitale Samaria. Vengono descritti gli assalti dei nemici, il malgoverno del paese, le discordie interne, le ingiustizie sociali.
Capitolo 10 ( 1-34) 1-4, ancora sulla punizione del regno del Nord e di Samaria. Da 5 a 34 troviamo una serie di poemi pronunziati in varie circostanze e raccolti insieme perché i ritmi sono somiglianti. 5-19: periodo precedente al 701, anno dell’assedio di Gerusalemme da parte di Sennacherib e del suo ritiro, che è visto come punizione per la superbia assira. 20-22: fiducia del popolo in Javeh, in contrasto con la mancanza di fede di Acaz . 20-27: oracolo che preannunzia la fine del dominio assiro. 28-34 : avanzata e sconfitta degli assiri.
Capitolo 11 (1-16) 1-9 : celebre oracolo messianico probabilmente dell’ultimo periodo dell’attività del profeta; è preannunziato un regno di pace. 10-16 : concordia e pace ritrovata tra i regni di Giuda e di Israele e ritorno in patria degli esiliati; robabilmente il brano è del tempo dell’esilio.
Capitolo 12 (1-6) E’ un salmo in due parti. 1-4: ringraziamento per la salvezza raggiunta: 4-6 : lode a Javhé. E’ probabilmente un’aggiunta liturgica del tempo dell’esilio.
Contro le nazioni straniere: Capitoli 13-23 La sezione 13-23 tutta composta da oracoli contro le nazioni straniere, con l’eccezione del capitolo 22, che tratta di Gerusalemme. I brani sono quasi sempre introdotti dalla parola “oracolo” (massà). Appartengono in generale a Isaia, e furono pronunziati in varie periodi della vita del profeta. Quelli non attribuibili a Isaia sono del periodo dell’esilio o anche più recenti. La collezione è stata curata da un redattore posteriore e completata dopo l’esilio.
Capitolo 13 ( 1-22 ) Il primo capitolo della sezione è del tempo dell’esilio e annunzia in una cornice di giudizio universale e con stile apocalittico la caduta di Babilonia. E’ un capolavoro poetico, in cui viene presentato Javhé che raduna e passa in rassegna le truppe ( 2-5 ) è descritto il giorno di Javhé ( 613 ), il massacro e la distruzione di Babilonia ( 14-19 ) e la sua riduzione ad un ammasso di rovine . (20-22)
Capitolo 14 ( 1-32 ) Il capitolo comprende quattro brani di contenuto e origine diversa. Inizia con due versetti ( 1-2 ), inseriti in seguito per collegare i capitoli 13 e 14 che parlano della fine dell’esilio e della conversione dei popoli pagani. 3-13 sono una satira contro un tiranno. Se questo tiranno è un re assiso, i versetti sono di Isaia, se invece è un principe babilonese sono di un profeta posteriore. 24-27: oracolo pronunziato dal profeta contro l’Assiria, forse durante l’invasione di Sennacherib. 28-32: oracoli contro la Filistea, del periodo che va dal 715 al 721 circa.
Capitolo 15 ( 1-9 ) e 16 ( 1-13 ) I capitoli 15 e 16 trattano della sorte di Moab, regno che si estendeva ad oriente del Mar Morto. Non c’è certezza sulla data di composizione e sull’autore . Per alcuni sono precedenti ad Isaia, per altri sono di dopo l’esilio, ma probabilmente sono in parte opera del profeta, che li avrebbe Tutto il capitolo 15 tratta della devastazione di Moab avvenuta per composti verso il 701. un’invasione assira. Nelle 14 città nominate, si compiono riti penitenziali. mentre gli abitanti sono deportati e le campagne devastate. In 16,1-5, il profeta invita i Moabiti, tradizionali nemici di Israele, a trovare rifugio nel territorio di Giuda e i Moabiti supplicano il re di Giuda perché li accolga. In 16, 6-12 si asserisce che la devastazione di Moab, di nuovo ricordata, è causata dall’orgoglio dei moabiti.
Capitolo 17 ( 1-14 ) Il capitolo contiene oracoli di Isaia pronunziati in varie circostanze. I versetti 1-3 sono sulla distruzione di Damasco. 4-14 parla di Efraim, che era alleata di Damasco contro Giuda, e sarà devastata dagli Assiri.
Capitolo 18 ( 1-7 ) L’oracolo di questo capitolo è stato pronunziato da Isaia verso il 714/13 quando gli ambasciatori della 25° dinastia etiopica, dominatrice dell’Egitto andarono a Gerusalemme per indurre il re Ezechia ad aderire ad una lega antiassira. Il profeta li invitò a tornarsene in patria, convinto che a Giuda avrebbe provveduto Javhè stesso.
Capitolo 19 ( 1-25 ) Il brano probabilmente è di Isaia e può essere datato dal periodo in cui era prevedibile l’occupazione dell’Egitto da parte dell’Assiria. Vengono annunziati, nei primi versetti (1-4 ) il giudizio divino contro l’Egitto per le lotte intestine e l’invasione assira e, nei versetti 5-15, una secca del Nilo con conseguente rovina della pesca e dell’agricoltura. In 16-25 si trovano cinque oracoli sull’installazione di Giudei in Egitto e sulla conversione del paese del
Nilo. Il brano è probabilmente del dopo esilio, quando numerose colonie ebraiche si stabilirono in Egitto.
Capitolo 20 (1-6 ) E’ il racconto dell’unica azione simbolica compita da Isaia, che per tre anni predica vestito del solo manto profetico e senza sandali, per preannunziare la sconfitta dell’Egitto da parte dell’Assiria. La data del racconto è l’anno 711.
Capitolo 21 (1-16 ) I versetti 1-10 sono un oracolo drammatico sulla fine di Babilonia. E’ probabilmente del tempo dell’esilio e si riferisce alla presa di Babilonia da parte da Ciro, coadiuvato dai Medi e dagli Elaminiti, nel 539. 11-12 è un oracolo di Isaia , pronunziato quando l’assiro Sargon sottomise nel 711 Edom . 13-17 è un oracolo per le tribù arabe cacciate da un’invasione, forse di Sargon, avvenuta nel 715.
Capitolo 22 ( 1-14 ) 1-14 è di Isaia, ma l’interpretazione del capitolo è discussa. Forse tratta della campagna di Sennacherib del 701, immediatamente prima dell’assedio di Gerusalemme. Gli abitanti della città si danno alla gioia spensierata e Isaia annunzia la catastrofe. I versetti 15-25 sono sempre di Isaia, ma anteriori alla campagna di Sennacherib; sono un oracolo riguardante Sebnà, maggiordomo di Ezechia, megalomane, che viene rimproverato e al quale viene predetta la sostituzione con Eliakin.
Capitolo 23 ( 1 -18 ) Nei versetti 1-14 è riportata l’elegia profetica sulla fine di Tiro e di Sidone. Sembra che i versetti su Sidone riguardino la situazione della città durante l’invasione di Sennacherib ; quelli su Tiro dovrebbero essere stati aggiunti in seguito. I versetti 15-18 probabilmente sono stati aggiunti dopo l’esilio e trattano prima del perdurare della rovina di Tiro, poi della sua riabilitazione commerciale e dell’inserzione nel regno messianico.
La grande apocalisse. Capitoli 24-27 La grande apocalisse dei capitoli 24-27 tratta del regno di Javhé stabilito su Sion, al quale parteciperanno Giudei e altri popoli salvati, della punizione del mondo e dei suoi potenti capi e della fine di una città innominata, la cui distruzione è connessa con la fondazione del Regno di Dio. Questa città secondo alcuni sarebbe Babilonia, distrutta da Serse nel 485. L’autore è un entusiasta discepolo spirituale di Isaia e il periodo della composizione sarebbe l’immediato dopo esilio. Lo stile è enfatico e misterioso e in parte apocalittico.
Capitolo 24 ( 1-23 ) I primi sei versetti ( 1-6 ) descrivono con stile apocalittico la punizione dell’universo, prendendo come spunto il crollo della città del caos, tipo del regno antidivino. Nei versetti 7-16 è descritta la desolazione di una città nemica di Dio. 16-23 continua la descrizione della catastrofe mondiale iniziata nei primi sei versetti e interrotta nel versetto 7.
Capitolo 25 ( 1-10 ) 1- 5 tratta il tema dei Giudei e dei nemici convertiti che si salvano e glorificano Dio per aver distrutto la città nemica. 6-10 è un’entusiastica illustrazione della salvezza escatologica universale, simboleggiata da un sacro banchetto.
Capitolo 26 ( 1-19 ) La prima parte del brano ( versetti 1- 6 ) è un inno di ringraziamento a Dio. La seconda parte ( 7-19 ) è simile ad un salmo, in cui si fondano motivi diversi, come la supplica perché sia accelerato il giudizio di Dio, il desiderio di unione con Dio, la fede nella risurrezione.
Capitolo 27 ( 1-13 ) Il versetto 1 preannunzia la punizione delle potenze nemiche d’Israele, presentate sotto la figura di un mostro marino, denominato Leviatan. 2-5 ripresenta il carme di Is 5, 1-7 sulla vigna-Israele, non più infedele, ma riconciliata con Dio. 6-13 è un brano lirico che illustra il felice stato della comunità israelitica e le sue aspirazioni escatologiche, in seguito alla distruzione della città nemica.
Oracoli del tempo di Ezechia: capitoli 28-33 In questi oracoli è riflessa l’attività profetica di Isaia durante il regno di Ezechia, quando la Giudea si agitava per concludere una lega antiassira. Sembra che alcuni brani risalgano al periodo della lega e qualche altro sia del tempo dell’esilio.
Capitolo 28 ( 1-29 ) I versetti 1-6 sono diretti contro la capitale del regno del Nord, Samaria, e si riferiscono agli anni precedenti alla caduta per mano degli Assiri (722 ). Il castigo è causata dall’orgoglio che animava il regno d’Israele. I versetti 7-22 contengono ammonimenti e minacce risalenti al periodo precedente l’invasione assira del 701, dirette contro la classe dirigente di Giuda e contro le loro mene diplomatiche filoegiziane. Il brano 23-29 è sapienziale e dice che il lavoro dei campi, condotto secondo regole diverse, rivela la saggezza di Dio nello stabilire il regno messianico attraverso il giudizio purificatore.
Capitolo 29 ( 1-24 ) Tutto il capitolo tratta di Gerusalemme e risale probabilmente al periodo precedente l’assedio assiro della città del 701. Nei versetti 1-8 si alternano le minacce e le promesse. Viene predetta la presa e la distruzione della città e nello stesso tempo l’intervento di Javhé che la libera. Il brano 9-16 presenta la situazione degli abitanti di Gerusalemme alla vigilia della campagna di Sennacherib : il popolo che pratica il culto senza impegnarsi nella condotta morale, i politici, disprezzando gli avvertimenti di Isaia, cercano un’intesa con l’Egitto. Nelle pericope 1724 si dice che la condizione del paese sarà totalmente cambiata: i malvagi veranno soppressi e nel paese sarà instaurato un regime di pace.
Capitolo 30 ( 1-33 ) In questo che è uno dei più lunghi capitoli di Isaia si trovano minacce, rimproveri, promesse, predizioni di mali, descrizioni storiche. In gran parte il capitolo, eccetto forse i versetti 19-26 , è del tempo in cui Gerusalemme viveva sotto la minaccia di Sennacherib. I versetti 1-7 che sono del 703/702, stigmatizzano il fatto che, per liberarsi dalla minaccia assira, si voglia ricorrere alla alla protezione dell’Egitto, che si rivelerà inutile. 8-18 riassume tutti i capi di accusa contro Giuda: ribellione contro la legge di Javhé e contro i profeti e fiducia nella potenza militare, e annunzia la punizione. 19-26 descrive la futura prosperità di Gerusalemme, totalmente dedita al culto e alla religione iavista. Il brano ha strette relazioni con gli oracoli dell’esilio. 27-33 è una vivida descrizione della teofania divina e della guerra che stermina gli eserciti di Assur. Questo brano è uno dei capolavori di Isaia.
Capitolo 31 ( 1-9 ) E’ un capitolo che ha molte affinità col precedente ed è stato composto nelle medesime circostanze. In 1-5 il profeta ripudia la falsa fiducia nell’aiuto egiziano, con cui probabilmente Giuda aveva già fatto un’alleanza. 6-9 contiene un’esortazione ad Israele perché si converta a Javhé e la predizione della sconfitta degli Assiri, mediante uno straordinario intervento di Dio.
Capitolo 32 ( 1-20 ) Il capitolo è tutto di Isaia, salvo qualche versetto. In 1-8 il profeta presenta il regno giudaico idealizzato, con un re che governa con giustizia e apporta benessere al popolo. In 9-14 in occasione di una pubblica calamità, che forse si identifica con l’invasione del 701, le donne leggere e insensate di Giuda sono invitate alla penitenza. 15-20 è la presentazione di una situazione di benessere di una società felice.
Capitolo 33 ( 1-24 ) Abbattuta la potenza nemica viene annunziato il regno escatologico, nel quale Gerusalemme, purificata dai peccati, godrà perfetta pace. Dovrebbe essere del dopo esilio . 1-6. Lanciata una minaccia all’indirizzo del devastatore, il profeta, a nome del popolo, rivolge a Dio una preghiera.. 7-16. Annunzio di uno straordinario intervento divino 17-24. Entusiastica descrizione di Gerusalemme, città di pace e sede del dominio di Javhé. Il brano è imparentato con i capitolo 60-62.
La piccola apocalisse: capitoli 34-35 I due capitoli della “piccola apocalisse” sono di contenuto escatologico e illustrano i temi del giudizio e della salvezza. Sembrano composti dopo l’esilio e dipendono letterariamente dal Secondo Isaia.
Capitolo 34 (1-17 ) Immagini grandiose illustrano il giudizio divino su Edom, la nazione che prese parte all’umiliazione di Giuda, quando il regno fu distrutto da Nabucodonosor. Il quadro è escatologico e apocalittico. In 1-4 le nazioni ostili a Javhé vengono annientate, mentre il cosmo è sconvolto. In 5-17 il giudizio si riferisce più particolarmente a Edom, simbolo di tutti i nemici di Giuda e di Dio.
Capitolo 35 ( 1-10 ) 1-7 illustra la gloria di Gerusalemme restaurata nella sua dignità di capitale del regno di Dio, che raccoglie i dispersi. 8-10 descrive il grande pellegrinaggio che i credenti di Babilonia e quelli dell’era escatologica fanno al monte Sion, centro del regno di Dio.
Appendice storica: Capitoli 36-39 I quattro capitoli finali in prosa sono quasi identici, con qualche differenza, a 2Re 18, 1320, 19, e sono stati aggiunti in appendice alla prima parte del libro di Isaia per provare concretamente l’efficacia dell’intervento del profeta in un momento decisivo della storia d’Israele.
Capitolo 36 (1-22 ) Il capitolo narra la prima ambasciata che Sennacherib inviò al re Ezechia, nell’intento di indurlo a chiedere la resa. Si nota che l’assiro conosceva la predicazione di Isaia relativa a questo critico momento storico.
Capitolo 37 ( 1-38 ) I-7 : in questa critica situazione il re Ezechia inviò un’ambasciata al profeta Isaia, volendo sentire il parere dell’uomo di Dio nel momento critico. 8-13 : Sennacherib invia una seconda ambasciata ad Ezechia, con messaggi simili a quelli della prima . 14-20 : Ezechia
invoca l’aiuto dell’unico Dio esponendo la situazione ed i motivi che dovevano indurre Iavhé ad intervenire in suo favore. 21-35: lunga satira poetica nella quale il profeta si beffa del potere del re di Assur e annunzia la punizione del bestemmiatore pagano. 36-38: il brano descrive il compimento della precedente profezia.
Capitolo 38 ( 1- 21 ) 1-8 Verso il 708/709 , il re Ezechia, caduto in una grave malattia , prega il Signore che gli ridona la salute e il Signore gli ridona la salute. Lo stesso episodio è raccontato nel libro dei Re con molte i differenze. 9-20 : salmo di lamentazione che si conclude con una promessa di ringraziamento, pronunziata dal re gravemente malato che implora la guarigione. 21-22: medicamento per la malattie e segno dell’intervento di Dio.
Capitolo 39 ( 1-8 ) Ambasciata del 701 di Merodach-Baladan, principe di Babilonia, che invita Ezechia ad entrare in una lega antiassira e minaccioso oracolo di Isaia, sempre contrario ad alleanze con popoli pagani. ( Vedi : S. Virgulin: ISAIA in “La BIBBIA” ed. paoline )
Le due apocalissi I vari capitoli, eccetto quelli delle due apocalissi e dell’appendice storica, vanno collocati all’interno della vita del profeta Isaia. Molto di quanto vi è scritto è dovuto alla penna del profeta, “completato”, come è successo anche per gli altri scritti dei profeti, con aggiunte e ritocchi dai discepoli, che sono stati rispettosi dello spirito del maestro. L’appendice storica ( 36-39 ) risente dello stile dello storico deuteronomista. La grande apocalisse ( Isaia 24-27 ) e la piccola apocalisse (Isaia 34-35 ) sono di autori di tempi più recenti. I quattro capitoli della grande apocalisse trattano della punizione del mondo e dei suoi potenti capi e descrivono la fine di una città innominata, che sfocia nella definitiva vittoria del regno di Dio . Questa città secondo alcuni sarebbe Babilonia, distrutta da Serse nell’anno 485; se questa interpretazione è esatta allora il periodo della composizione è l’immediato post-esilio e l’autore è un discepolo di Isaia. La piccola apocalisse rimanda allo stile del Deuteroisaia, autore dei capitoli 40-55.
Isaia 40-55 I capitoli 40-55 si possono cosi suddividere: due serie di vaticini, sei momenti, che hanno per perno tematico la salvezza, quattro carmi detti del “servo di Javhè”. Esistono però altre possibili suddivisioni. 40-48 inni di Javhé e di Israele 40, 1-42-12 fondamento della salvezza e invito di Ciro. 42, 1-4 primo canto del Servo di Javhé. 42-13-44,23 la salvezza come riscatto. 44,24-49,13 la pienezza della salvezza. 49-55 inni di Sion-Gerusalemme 49, 1-6 secondo inno del Servo di Javhè. 49,14-52,12 salvezza: rinascita di una speranza. 50, 4-9 ss terzo inno del servo di Javhè. 52,13-53,12 quarto inno del servo di Javè. 54,1-52, 12 salvezza: alleanza di pace. 55,7-13 inno conclusivo.
Deutero-Isaia Non sappiamo nulla in concreto di questo grande autore, che si può considerare l’Isaia di Babilonia. Lo conosciamo praticamente solo tramite il suo libro, che è il grande poema del ritorno dall’esilio, il “secondo esodo”, ancora più glorioso del primo. Probabilmente l’autore svolge la sua attività profetica nel decennio precedente l’occupazione di Babilonia da parte di Ciro, tra il 550 e il 540. Quando Ciro conquistò Babilonia nel 539 si trovavano in esilio alcune decine di migliaia di Giudei, l’elite del popolo eletto, deportati negli anni 597, 587, 582. Nel 538 un editto di Ciro consenti il ritorno dei deportati in patria. Il Deutero-Isia è un grande teologo, che tratta i temi della santità e della trascendenza di Dio, della salvezza, del “resto” d’Israele e ha una concezione messianica della storia. E’ il profeta dei carmi del Servo di Javhè, della consolazione, della speranza, dell’annunzio della prossima liberazione.
Isaia 56-66 Gli undici capitoli del terzo Isaia sono variamente suddivisi daigli suddivisione possibile, che fa capo a Watremann è la seguente: 56-58 oracoli di condanna e altri oracoli. 59 lamento del popolo e risposta di Dio. 60-62 rinnovo del messaggio di salvezza. 63-64 lamento del popolo e risposta d Dio. 65-66 oracoli di condanna e oracoli apocalittici.
studiosi. Una
Trito-Isaia Anche del Trito-Isaia, del profeta della ricostruzione, cui sono attribuiti gli ultimi undici capitoli del libro non sappiamo nulla, non è nemmeno certo se essi siano tutti da attribuire a lui. Il nucleo sembra essere di un profeta, che agisce in Giuda dopo la restaurazione, tra la povertà e lo scoraggiamento dei rimpatriati. Il terzo Isaia si ricollega alla tradizione profetica anteriore, specialmente ad Ezechiele. La collezione è dominata da un carattere escatologico, cioè da una prospettiva aperta verso un futuro definitivo. L’autore insiste sull’osservanza delle pratiche cultuali e legali e mette in risalto l’importanza del tempio e in evidenza la santità di Dio. Promette la salvezza, che comporta la ricostruzione di Gerusalemme e del tempio, il ritorno dei Giudei dalla diaspora, il pellegrinaggio dei pagani verso il monte Sion, una pace paradisiaca. Parla di una nuova creazione, modellata sulla prima, ma più ampia ancora; simboli della restaurazione sono la luce e la festa nuziale.
ISAIA 1, 1-10 10Udite ( shin’u) la parola del Signore ( debàr Jahweh ), voi capi di Sòdoma; ascoltate la 11«Che m`importa dei vostri sacrifici senza dottrina del nostro Dio, popolo di Gomorra! numero?» dice il Signore. «Sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso di giovenchi; il sangue di tori e di agnelli e di capri io non lo gradisco. 12Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i miei atri? 13Smettete di presentare offerte inutili, l`incenso è un abominio per me; noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. 14I vostri noviluni e le vostre feste io detesto, sono per me un peso; sono stanco di sopportarli. 15Quando stendete le mani, io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, io non ascolto ( enenni shomèa). Le vostre mani grondano sangue. 16Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, 17imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l`oppresso, rendete giustizia all`orfano, difendete la causa della vedova». 18«Su, venite e discutiamo» dice il Signore. «Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana. 19Se sarete docili e ascolterete, mangerete i frutti della terra. 20Ma se vi ostinate e vi ribellate, sarete divorati dalla spada, perché la bocca del Signore ha parlato». (Jahweh dibbèr)
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) Il libro di Isaia inizia col titolo e la cronologia generale: “ Visione che Isaia, figlio di Amos ebbe su Giuda e su Gerusalemme, nei giorni di Ozia, di Acaz, e di Ezechia, re di Giuda” (1, 1 ). Isaia venne chiamato ad esser profeta nel 739 ed esercitò la sua attività durante i regni di Jotan ( 749-734), di Acaz ( 734-727) e di Ezechia (727-698 ); in quello stesso periodo regnarono in Assiria Tiglat-Pileser III ( 745727), Salmanassar V ( 727-722 ), Sargon II (7221-705), Senacherib (705-781 ). Il primo capitolo di Isaia prosegue con una prima requisitoria di Dio e con la confessione del popolo (1, 2-9 ) poi con una seconda requisitoria, che è quella del testo 1, 10-20 . ISAIA 1, 10-20 Il brano si apre con l’espressione : “ debar Jahweh” e si chiude al v. 20 con “dibber Jahweh” ( = la bocca di Jahweh ) . La prima parte (10, 15 ) inizia con “udite” (shim’u) e finisce con “ io non ascolto” (enenni shommea ) e tratta delle opere di culto degli ebrei e del rifiuto da parte del Signore. Nella seconda parte (16-20 ) troviamo una serie di inviti (lavatevi purificatevi, togliete il male… ). Nel brano la parola di Dio si concretizza su tre orizzonti: accusa ( 10-15), invito alla conversione ( 16-17 ) perdono ( 18-20 ). SODOMA… GOMORRA ( 10 ) Sodoma e Gomorra ( Gn 19 ) sono nominate nel versetto precedente : “Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato un resto già saremmo come Sodoma e Gomorra” ( Is 1, 19 ) . In questo versetto è la prima volta che appare in Isaia uno dei temi fondamentali della teologia isaiana, il “resto”, un ristretto numero di fedeli sopravvissuti al giudizio, che cammina nella fede, pratica la giustizia e diventa nucleo benedetto del nuovo popolo di Dio. E’ un’asserzione terribile definire capi e popolo “Sodoma e Gomorra”. Ad Israele però il Signore non manda un fuoco distruttore ma una parola forte, che li accusa, li scuote, li invita. DEI VOSTRI SACRIFICI (11 ) Dio rifiuta il culto degli ebrei. La lista dei loro atti di culto è lunga: vittime, feste, incenso, noviluni, sabati, doni…...Tutto è rigettato. Il culto deve essere espressione di un dono interiore, di una disposizione religiosa totale. IO DISTOLGO GLI OCCHI DA VOI (15 ) Anche gesti che sembrano sinceri (stendete le mani,.... moltiplicate preghiere ), risultano falsi e Dio non li ascolta.
LAVATEVI (16 ) Ciò che Dio realmente desidera è l’osservanza dei comandamenti, che riguardano il prossimo, qui indicati con una serie di imperativi: ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso…… SU VENITE DISCUTIAMO (18 ) E’ l’invito ad un processo (rib) da farsi tra Jawhè e il suo popolo. ANCHE SE I VOSTRI PECCATI (18 ) E’ messa in rilievo la misericordia di Dio, che perdona i peccati. SE SARETE DOCILI (19) Perorazione di promessa e di minaccia: l’uomo può liberamente accettare o rifiutare; la sua decisione sarò responsabile di fronte a Dio e porterà benedizione o maledizione.
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) LITE GIUDIZIARIA - DIALOGO Israele è paragonato a Sodoma eGomorra, è un popolo peccatore e Dio interviene con un “rib” una lite giudiziaria, in cui l’accusa ruota intorno al culto, del quale vengono enumerati tutti gli elementi ( sacrifici, olocausti, offerta… ) e al quale il popolo si dedica con un impegno enorme. A Dio non interessa un tale culto, non lo gradisce, lo rifiuta. Il culto è rifiutato perché è mancante della sua “anima”. Ma intanto Dio chiamando il popolo ad una “rib” , lo invita al dialogo ealla conversione. PERCHE’ IL SACRIFICIO Il significato profondo del sacrificio appare con chiarezza già nel fatto del sacrificio di Isacco ( Gn 22, 1-19 ) . Si tratta di “ un’offerta “sostitutiva: la vera offerta è la persona di Isacco in obbedienza totale alla parola di Dio. Secondo il testo genesiaco il sacrificio di Isacco è emblematico per comprendere come il vero atto di culto è il dono di tutta la persona a Dio attraverso l’obbedienza. Il sacrificio della persona è sostituito simbolicamente dal sacrificio dell’animale. Il vero culto perciò è l’obbedienza a Dio”. (Renato De Zan ) CERCARE LA VOLONTA DI DIO La requisitoria di Gn 1, 10-20 è un oracolo pronunziato probabilmente all’inizio dell’attività profetica di Isaia. Sulla scia di Amos e diOsea egli condanna il formalismo cultuale, sganciato dall’osservanza dei precetti morali. Il culto non basta, occorre la giustizia ni confronti del prossimo. Già Amos aveva richiamato più volte gli Ebrei a non pensare di essere buoni credenti semplicemente perché praticavano il culto. ( Amos 4, 6, 12; 5, 4-7 ). Per Amos l’atto di culto più grande era cercare Dio e ciò equivaleva a cercare la sua volontà in pieno atteggiamento di obbedienza a Lui. Anche per Geremia il culto è l’obbedienza alla volontà del Signore. “Questo comandai loro: Ascoltate la mia voce. Allora io sarò il vostro Dio e voi sarete il mio popolo: e camminerete sempre sulla strada che vi prescriverò, perché siate felici”. ( Gr 7, 21. 23 ). ASCOLTARE LA VOCE DEL SIGNORE L’invito ad ascoltare la voce del Signore si trova già nel Deuteronomio. Gli ebrei ripetono ogni giorno questo invito nella loro preghiera, tratta da quel libro: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, e con tutte le tue forze. Questi precetti che oggi ti do li terrai fissi nel cuore… “ ( Dt 6, 4-9 ) . Ascoltare la voce del Signore non è esercizio di audizione, ma atto di accoglienza e di obbedienza. Gli atti di culto sono gesti che rimandano all’ascolto della voce di Dio e all’osservanza dell’alleanza. AMORE, SINTESI DELLA PAROLA Questa riflessione attraversa tutta la Scrittura e giunge fino al Nuovo Testamento. Quando lo Scriba domanda a Gesù quale sia il primo di tutti i comandamenti, Gesù risponde citando la preghiera ebraica: “Gesù rispose: il primo è : “ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, è l’unico Signore; amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza”. ( Mc 12, 29-30 ). Gesù poi continua così: “ il secondo è questo: amerai il prossimo come te stesso. Non c’è altro
comandamento più grande di questi”. ( Mt 12, 31 ) Nell’amore c’è la sintesi della parola di Dio e dell’alleanza. QUANDO DIO NON ASCOLTA Dio ascolta sempre la preghiera del povero: “ Quando invocherà da me l’aiuto, io ascolterò il suo grido, perché io sono pietoso” ( Es 22, 269. Ma Dio non ascolta la parola degli empi, non perché si rifiuti di ascoltare, ma perché gli empi creano un impedimento all’ascolto: “ le vostre iniquità hanno scavato un abisso fra voi e il vostro Dio; i vostri peccati gli hanno fatto nascondere il suo volto cosicché non vi ascolti” ( Is 59, 2 ). RICERCARE LA GIUSTIZIA Le iniquità denunziate in Isaia 1, 10-20 sono le mani che grondano sangue, non ricercano la giustizia, non soccorrono l’oppresso, non difendono la vedova. I profeti sono stati particolarmente sensibili verso le categorie più deboli e più calpestate. Una società che non si prende cura dei più deboli non è una società secondo il volere di Dio. Il testo chiede che venga ricercata la giustizia, venga soccorso il debole, sia resa giustizia all’orfano, sia difesa la causa delle vedova . INVITO ALLA CONVERSIONE Dio accusa, ma non condanna, invita a conversione, attraverso una serie di imperativi: “lavatevi, purificatevi…. “; questi due verbi sono preghiera nel salmo 50: “ Lavami da tutte le mie colpe… purificami con issopo” . Dio inoltre invita ad “imparare a fare il bene”, non chiede di essere subito perfetti, ma di “camminare” verso la posizione da cui si era partiti per andare verso il peccato; la conversione è infatti un “ritorno” ( shub), che indica un cammino dalla situazione di male verso il punto di partenza. “Il cristiano sa che la conversione, avviene se ascolta la parola di Dio: “ Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo”. ( Mc 1, 15 ) Sa anche che la conversione equivale ad attuare la sequela di Gesù, imitandolo e condividendo con lui ciò che ha vissuto: “Vi ha dato un esempio infatti perché anche voi facciate come io ho fatto a voi” (Gv 13, 15 )” ( De Zan ). DIO PERDONA Nella discussione (rib) del passo biblico ( Is 1, 10-20 ) , l’accusato, il popolo di Dio, ha la soluzione di accettare l’accusa di Dio e di dichiararsi colpevole per essere perdonato. Il perdono di Dio non ha limiti. Anche ciò che è umanamente ritenuto indelebile può essere deterso. Dice il Salmo 78: “Lo lusingavano con la bocca e gli mentivano con la lingua: il loro cuore non era sincero con lui e non erano fedeli alla sua alleanza. Ed egli, pietoso, perdonava la colpa, li perdonava invece di distruggerli. Molte volte placò la sua ira e trattenne il suo furore, ricordando che essi sono carne, un soffio che va e non ritorna” BENEDIZIONE E MALEDIZIONE “ Gli ultimi due versetti del testo sono impostati secondo le benedizioni e le maledizioni del documento dell’alleanza”. Dice infatti il Deuteronomio: “Vedete, io pongo oggi davanti a voi una benedizione e una maledizione: la benedizione se obbedite….la maledizione , se non obbedite….”( Dt 11, 26-28 ) . Anche qui c’è la stessa alternativa: “se sarete docili”,…… “se vi ostinate e vi ribellate”….. Questa alternativa vale anche per la storia che non è un gigantesco gioco di casualità, né un colossale intrecciarsi di interessi economici e culturali. La storia è nella mani di Dio, ma essa dipende anche dall’uomo e dalla sue scelte. Se le scelte umane sono secondo la parola di Dio ci sarà un mondo uomo, se invece gli uomini semineranno vento raccoglieranno tempesta.
PREGHIERA (=pregare la parola ) Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia; nel tuo grande amore cancella il mio peccato. Lavami da tutte le mie colpe, mondami dal mio peccato. ( Salmo 50 ) O Dio, autore della vera libertà, che vuoi raccogliere tutti gli uomini in un solo popolo libero da ogni schiavitù e doni a noi tuoi figli un tempo di misericordia e di perdono, fa che la tua Chiesa, crescendo nella libertà e nella pace, splenda a tutti come sacramento di salvezza e riveli a tutti nel mondo il mistero del tuo amore ( Liturgia penitenziale ).
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE
(=assunzione di impegni concreti)
Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, imparate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova ( Is 1, 16 ).
ISAIA 2, 1-5 1 Ciò che Isaia, figlio di Amoz, vide riguardo a Giuda e a Gerusalemme.2Alla fine dei giorni, il monte del tempio (bet) del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti. 3Verranno (wehaleku) molti popoli e diranno: «Venite( leku), saliamo sul monte del Signore, al tempio (bet) del Dio di Giacobbe, perché ci indichi le sue vie e possiamo camminare per i suoi sentieri». Poiché da Sion uscirà la legge e da Gerusalemme la parola del Signore. 4Egli sarà giudice fra le genti e sarà arbitro fra molti popoli. Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell`arte della guerra. 5Casa (bet) di Giacobbe, vieni (leku), camminiamo (wenelkàh) nella luce del Signore.
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) Questa pericope è un oracolo escatologico che annunzia la diffusione mondiale del monoteismo javistico, che avrà come centro Gerusalemme e come caratteristica la pace universale. Lo stesso oracolo con qualche variante si trova in Michea 4, 1-4. Questo celebre poema non è collegato né con quanto precede né con quanto segue ha affinità con altri passi di Isaia ( 8, 9-10; 9, 1-6; 11, 1-9; 17, 12-14 ) e trova paralleli in Ag 2, 6-9 e nei salmi 46, 48, 76,84, 87. Molti critici mettono in dubbio che sia di Isaia e lo considerano come una reinterpretazione del dopo esilio di parole del profeta. Il brano si suddivide in tre momenti principali: l’indroduzione (1-3 ) l’annunzio che le genti verranno al tempio del Signore (bet Jahweh); il pellegrinaggio al tempio del Dio di Giacobbe ( bet Eloe Ya’aqob ); la legge (tòrah ) come fonte escatologica di pace universale. VISIONE DI ISAIA ( 1 ) Il titolo reca di nuovo ( come 1,1 ) il nome del profeta, quello del padre (Amos ) e i destinatari (“Giuda e Gerusalemme”, è un abbinamento caratteristico per indicare la comunità dell’esilio e del dopo esilio ) . Un terzo titolo simile si trova in 13, 1. Qui serve probabilmente da introduzione ai capitoli 2-12. ALLA FINE DEI GIORNI ( 2 ) La formula, ( ina ahrat umi ) che è traducibile meglio con “ per i tempi avvenire”, e si può interpretare con “un futuro imprecisato” , introduce di solito le profezie messianio-escatologiche. SARA’ ELEVATO (2 ) Secondo la concezione mitologica dell’antico Oriente, il monte del tempio si identificava col monte altissimo in cui dimoravano gli dei e dove il mondo terrestre si univa con questo celeste. Nella concezione comune poi che vedeva i monti come luogo di riunione e di residenza degli dei, gli Ebrei pensavano che Javhé aveva scelto Sion come monte della sua dimora, che pertanto il monte del tempio era l’axis mundi, il “centro della terra” ( Ez 38, 12 ) e invece gli altri monti avevano cessato di essere divini. Questa mitologia viene usata per indicare l’importanza di Gerusalemme quale centro mondiale del monoteismo e luogo benedetto delle dimora di Dio sulla terra e ha la speranza escatologica di Israele. VERRANNO MOLTI POPOLI ( 3 ) A modello delle asserzioni che seguono sta l’affluire di principi, governatori, ambasciatore alla reggia del grande sovrano ( sarru rabu ) di Babilonia, che era supremo legislatore e giudice di tutti. Qui sono tutte le genti che affluiscono a Gerusalemme, per ricevere dal “gran re” Javhé l’insegnamento e la parola del Signore, ossia direttive e aiuti per superare la vita concreta nelle sue molteplici situazioni. ( ci indichi le sue vie ). POICHE’ DA SION ( 3 ) Legge e la parola del Signore sono termini per indicare la rivelazione divina nella sua totalità. EGLI SARA’ GIUDICE ( 4 ) Il culto universale di Javhé e l’instaurazione del suo regno sono accompagnati dal disarmo generale, dall’affratellamento dei popoli, dalla prosperità. Questo quadro idilliaco si realizza parzialmente e spiritualmente già sulla terra nella vera Chiesa di Cristo.
E’ chiaro che nel regno di Javhé le guerre sono assurde e l’obbedienza alla parola del Signore dà origine ad una situazione in cui gli strumenti di morte vengono cambiati in strumenti di vita (spade in vomeri, lance in falci); dove viene accettato Dio giudice, la guerra, che è conseguenza del peccato, non può esistere. CASA DI GIACOBBE ( 5 ) Questa esortazione è stata aggiunta posteriormente ed è estranea la poema. E’ una risposta né esaltata, né trionfalistica della comunità che prende sul serio la visione del futuro esposta in questo testo. Se deve venire un giorno in cui tutti i popoli accorreranno a Gerusalemme per farsi ammaestrare dalla legge di Dio e comportarsi di conseguenza, la casa di Giacobbe deve prima imparare a ”camminare alla luce del Signore”.
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) LA PAROLA UDITA E VISTA Il primo versetto si dovrebbe meglio tradurre così: “Ciò che Isaia, figlio di Amos, vide riguardo a Giuda e a Gerusalemme” , ricorda il primo versetto del libro: “Visione di Isaia. Figlio di Amos, che ebbe su Giuda e Gerusalemme”, e riguarda il legame visione-parola. L’uomo biblico ascolta e guarda insieme; per esempio è detto: “parole di Amos… che vide su Gerusalemme” ( Am 1, 1 ). Questo modo di esprimersi parte dalla concezione che la Parola non è solo “detta”, ma anche “fatta” ; è detto infatti nella Genesi: ” Dio disse: “Sia la luce”. E la luce fu” (Gn 1, 3 ). La parola di Dio è anche avvenimento e cosa. VERSO IL MONTE DEL SIGNORE Tutti i popoli ( goim ), i pagani, hanno per meta il “monte del Signore”, visto come il più alto delle cime dei monti, anche se Sion di fatto non è tale; si tratta in realtà di un monte dove non ci sarà più la possibilità di contaminarsi con l’idolatria e non s’inconbtrerà più il castigo di Dio. E’ un monte collocato al di là di ogni peccato e di ogni paura, di ogni giudizio. Tutti i popoli saranno impegnati a fare il “pellegrinaggio” verso questo monte. Israele ogni anno faceva tre pellegrinaggio a Gerusalemme, spinto dalla Parola di Dio e per manifestare la propria riconoscenza per i benefici ottenuti. “ Il profeta vede un legame profondo tra l’esperienza dei pellegrinaggi del popolo ebraico e la visione del grande pellegrinaggio di tutti i popoli” ( De Zan ). LEGGE E PAROLA Tutti i popoli sono attratti dal Dio d’Israele, perché egli ha voluto che ci fosse un esodo misterioso di ognuno di essi. Essi sono alla ricerca della legge (toràh ), degli insegnamenti che Dio ha donato attraverso la storia d’Israele e della parola del Signore ( debàr Jahweh ); l’attesa dei popoli e di poter entrare in contatto con Dio. SARA’ GIUDICE I popoli incontreranno Dio giudice ( shapar) e arbitro ( kokiach ) . I popoli non si avviano verso il Signore per essere giudicati e condannati, ma si avviano verso Dio giudice e arbitro , nel senso che guida, regge, governa, pacifica, chiarisce ; Dio che indica la via dei suoi sentieri, che toglie tutto ciò che è violenza ed empietà, che dona la sapienza alle nazioni. PACE Andando verso Dio, i popoli si indirizzano verso una situazione in cui le spade diventeranno vomeri, le lance falci, verso una situazione di pace. Ma di una pace che non sarà un processo pacifico, ma che esige l’impegno faticoso di forgiare le spade in vomeri e le lanci in falci, di una pace difficile. Gesù parlando del Regno dirà che entravi esige fatica: “ Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione….Quanto stretta è la porta e angusta la via che conduce alla vita” ( Mt 7, 13-14 ). Dice anche : “ E’ più facile per un cammello passare per la cruna di un ago, che per un ricco entrare nel regno dei cieli “ ( Lc 18, 25 ). “ La pace messianica, impossibile agli uomini, diventa invece possibilissima a Dio.” La pace inoltre non è soltanto la negazione della guerra e della mentalità che vede nell’uso della forza il mezzo per risolvere i problemi. La pace è la negazione del regno dell’uomo. “ La pace messianica potrebbe esser definita come la realizzazione del singolo all’interno della realizzazione della comunità” ( De Zan )
PELLEGRINAGGIO DEL CREDENTE La vita del credente è un percorrere la via, è un pellegrinaggio e un esodo verso la vera patria promessa. Alla fine del percorso l’uomo troverà Dio che giudica in modo strano: egli vuole la salvezza dell’uomo e la sua realizzazione. La felicità che Dio propone all’uomo non è un Regno dell’uomo riveduto e corretto. E’ il Regno di Dio, che è tutt’altra cosa: una realtà nuova dove la realizzazione del singolo è anche realizzazione della Comunità tutta intera. ( De Zan )
DIO VIENE Dio viene : nella nostra esistenza quotidiana s’inserisce un avvenimento sconvolgente, che butta all’aria tutte le nostre sicurezze. All’improvviso Egli cammina accanto a noi, e fa parte della nostra storia : lo riconosce presente chi tiene gli occhi aperti, chi aspetta e prepara un mondo nuovo. L’annuncio profetico parte da una realtà piuttosto deludente : un piccolo popolo senza importanza per nessuno sarà il centro religioso e spirituale di tutti i popoli finalmente in pace. Questo non può che essere opera di Dio, divenuto lui stesso ispiratore, norma e termine de cammino dell’umanità. E solo allo sguardo della fede è possibile scorgere il disegno che si va formando all’interno degli avvenimenti banali, oscuri, poco significativi ; un disegno che Dio rivela come una sua proposta per la crescita e il bene dei suoi figli, una realizzazione di cui non è dato sapere l’ora del compimento, ma che certo l’avrà un giorno. ( Messale LDC ) SPADE IN FALCI La storia sembra dar ragione al proverbio : “la guerra è la madre di tutte le cose”. Si sarebbe tentati di credere a una “necessità naturale “ della guerra. Isaia invece presenta una sua utopia costruttiva : “ un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo”, e indica la strada per la pace : le singole azioni per la pace devono cominciare e proseguire eseguendo gli insegnamenti della parola di Dio. Perché essa venga non occorre che sparisca la molteplicità dei popoli, ma si richiede il ritorno di tutti al bene, ossia a Dio. (Erich Zenner ) Bisogna dire senza frasi smorzate che pace, giustizia e salvaguardia del creato sono il compito primordiale della comunità cristiana. Che attingere a piene mani alla riserva utopica del Vangelo è l’unico realismo che oggi ci venga consentito. Che osare la pace per fede, sfidando il buon senso della carne e del sangue, è la prova del nove sul credito che dobbiamo esprimere a favore della parola del Signore, Che la non violenza attiva deve divenire criterio irrinunciabile che regola tutti i rapporti personali e comunitari. Isaia 2, 1-5 non tollera interpretazioni di comodo. Se noi cristiani permetteremo l’ingrandirsi degli arsenali delle spade e delle lance a danno dei depositi dei vomeri e delle falci, non risponderemo alle attese di Dio . ( Antonio Bello )
PREGHIERA (=pregare la parola ) Dio, Padre misericordioso, che per riunire i popoli nel tuo Regno hai inviato il tuo Figlio unigenito, maestro di verità e fonte di riconciliazione, risveglia in noi uno spirito vigilante, perché camminiamo sulle vie di libertà e di amore fino a contemplarti nell’eterna gloria ( Colletta 1 Avvento A ), Le cose passano, tu solo resti, Signore, perché tu solo sei colui che ad ogni istante vieni. Signore, aumenta la nostra fede in te che vieni, perché solo credendo e potremo attenderti nel silenzio e nella calma, con la forza paziente di chi sa che la sua speranza non sarà delusa (Suora carmelitana scalza). Abbiamo conosciuto diluvio di fuoco e di sangue, ma non abbiamo imparato nulla, Signore. E più ora destini segnati e imprevedibili ci attraversano: Signore, sola certezza dell’universo, liberaci dalla false sicurezze e questa nostra incoscienza non ci accechi fino all’ultimo giorno ( David Maria Turoldo ). Vergine santa, prega Dio per noi, perché ci conceda di perseverare, ci dia la forza di sopportare, perché ci consoli la pace e cresca l’amore; affinché quando verrà il giorno della calamità e della tristezza ti degni di presentarci al tuo Figlio, che solo è Dio. (Eleuterio di Tournai)
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio) AZIONE (=assunzione di impegni concreti) Camminiamo nella luce del Signore.
ISAIA 5, 1-7 1° strofa 1Canterò per il mio diletto ( yadid ) il mio cantico d`amore per la sua vigna (lekarmo). Il mio diletto possedeva una vigna ( kèrem) sopra un fertile colle. 2Egli l`aveva vangata e sgombrata dai sassi e vi aveva piantato scelte viti; vi aveva costruito in mezzo una torre e scavato anche un tino. Egli aspettò che producesse uva, ma essa fece uva selvatica (wayeqàw la’asot ‘anabim wayà’as be’ushìm ). 2° strofa 3Or dunque ( we’attàh ), abitanti di Gerusalemme e uomini di Giuda, siate voi giudici fra me e la mia vigna ( karmi) . 4Che cosa dovevo fare ancora alla mia vigna ( lekarmi ) che io non abbia fatto? Perché, mentre attendevo che producesse uva, essa ha fatto uva selvatica? (wayeqàw la’asot ‘anabim wayà’as be’ushìm ). 3° strofa 5Ora ( we’attàh) voglio farvi conoscere ciò che sto per fare alla mia vigna (lekarmi ) : toglierò la sua siepe e si trasformerà in pascolo; demolirò il suo muro di cinta e verrà calpestata. 6La renderò un deserto, non sarà potata né vangata e vi cresceranno rovi e pruni; alle nubi comanderò di non mandarvi la pioggia. 7Ebbene, la vigna (kèrerm ) del Signore degli eserciti è la casa di Israele; gli abitanti di Giuda la sua piantagione preferita. Egli si aspettava ( wayeqàw) giustizia (mishpàt) ed ecco spargimento di sangue, attendeva rettitudine (tsedakàh) ed ecco grida di oppressi.
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) Il testo di Isaia 5, 1-7 è conosciuto come “canto della vigna” , u o dei capolavori poetici dell’Antico Testamento. Esalta la tenerezza di Dio per il popolo ingrato, è un capolavoro di arte e di psicologia. I commentatori ci vedono un canto d’amore forse di una festa autunnale della vendemmia; ha l’aspetto di una favola, che permette di trasferire nella realtà i singoli suoi tratti. E’ probabilmente dei primi periodi dell’attività profetica di Isaia. Ha una struttura semplice ed è di effetto immediato. L’elemento più vistoso di Is 5, 1-7 è la ripetizione di un’intera frase al versetto 2 e al versetto 4: wayeqàw la’asot ‘anabim wayà’as be’ushìm , che la traduzione Cei così rende al v. 2 : “che producesse uva, ma essa fece uva selvatica”, e al 4 : “ che producesse uva, essa ha fatto uva selvatica” . Tutto il brano si divide in tre strofe, di cui le ultime due iniziano con : “we’attàh”. I protagonisti che entrano in scena sono: il profeta ( 1-2 ), il diletto (3-6 ), il profeta ( 7 ). CANTERO’ PER IL MIO DILETTO (1 ) Probabilmente è il profeta che fa la sua comparsa nel bel mezzo della festa e annunzia un “canto per il suo diletto” (sirhat dodi ), che può significare “amico” o l’amato di una ragazza., o zio da parte di padre. Il termine “diletto”, se riferito a Javhè, non è sconveniente e si può essere posto accanto a quello di “sposo” (Osea 2 ) e di fidanzato. (Gr 2, 2 ). LA SUA VIGNA (1 ) Questo amico, il cui nome è taciuto, possedeva una vigna (kaeraem ). Di qualunque apprezzamento di terra si tratti (pianura, colle, cima di monte, altipiano ) è una terra fertile, che è stata vangata a fondo e lavorata intensamente, liberata dai sassi e arricchita di viti. UNA TORRE (2 ) Il proprietario, che vuole farne una vigna modello vi costruisce in mezzo una torre, mentre di solito vi veniva costruita solo una capanna; la torre serve a dare protezione sicura al custode. Alla fine il proprietario vi scava un tino. CHE PRODUCESSE (23 ) Dopo tutto questo lavora, naturalmente , l’amico si aspetta un raccolto superiore alla media , invece va incontro ad una cattiva vendemmia, presentata come prodotto di uva selvatica.
UOMINI DI GERUSALEMME (3 ) Introdotto da un “ or dunque” ( we attah), il discorso, che prende la forma di una domanda, ha una svolta. Il proprietario parla e intenta un processo. Afferma che egli ha compiuto il suo dovere e che le sue aspettative nei riguardi della vigna sono andate deluse e domanda agli “abitanti di Gerusalemme” che cosa deve fare. Con un secondo “or dunque” ( we attah ) viene annunziata la sentenza sulla vigna: essa sarà completamente abbandonata alla distruzione. LA VIGNA… E’ LA CASA D’ISRAELE (7 ) Il profeta prende di nuovo la parola e spiega il significato dell’allegoria. Il proprietario è il “Signore degli eserciti”, la vigna è “la casa d’Israele”, tutto il popolo dei due regni, essa è stata la sua piantagione prediletta, quindi grande è la delusione di Dio perché non ha portato frutti. SI APETTAVA GIUSTIZIA (7 ) Il Signore aspettava giustizia e rettitudine e Israele si è macchiato di delitti e di oppressioni. GUAI (8 ) Segue in 8-24 un’invettiva su coloro che opprimono i poveri.
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) IL DILETTO E LA VIGNA Il protagonista della parabola è il diletto ( yadid ). Diletto è un vocabolo di uso poetico e indica una persona come destinataria di un amore immenso. Senz’altro qui il “diletto” è Dio; nella sua bocca ci sono parole che solo Dio può dire, inoltre solo Dio può aspettarsi giustizia e rettitudine dalla casa di Israele e dagli abitanti di Giuda. Il cantico dice che il diletto possedeva una vigna ( herem ) ; questo termine può indicare la vigna vera e propria, ma anche la donna amata, come appare dal Cantico dei Cantici. : “io sono per il mio diletto e il mio diletto è per me” (Ct 2, 16 ) . La “ragazza” del Cantico raffigura il popolo di Dio. “ Nel canto isaiano della vigna, dietro un linguaggio apparentemente agricolo, si nasconde un linguaggio da innamorati e dietro a questo, la storia della salvezza” ( De Zan). Nella vigna il diletto ha costruito una torre e ha scavato un tino. La torre è un luogo di difesa, e qui è figura di ciò che Dio è per il suo popolo, come dice il libro dei Proverbi: “Torre fortissima è il nome del Signore: il giusto vi si rifugia ed è al sicuro” (Pr 10, 18). Il tino poi , che serve per produrre il vino, indica l’amore. Il diletto ha predisposto tutto, ma la vigna non ha risposto ed è piombata su di lei la sciagura. Si tratta della storia del popolo d’Israele, che anche il salmo 80 descrive in modo simile: “Hai divelto una vite dall’Egitto, per trapiantarla hai espulso i popoli. Ha esteso i suoi tralci fino al mare e arrivavano al fiume i suoi germogli. Perché hai abbattuto la sua cinta e ogni viandante ne fa vendemmia… Dio degli eserciti volgiti, guarda dal cielo e vedi e visita questa vigna, proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato, il germoglio che ti sei coltivato. Da te più non ci allontaneremo, ci farai vivere e invocheremo il tuo nome. Rialzaci Signore, Dio degli eserciti, fa splendere il tuo volto e noi saremo salvi “.
STORIA DELLA SALVEZZA “Vigna del Signore degli eserciti è la casa d’Israele” ( Is 5, 7 ). Le cure premurose di Dio per il suo popolo segnano l’intera storia della salvezza, e continuano nei nostri confronti. L’amore divino è iniziativa creatrice: non trova nulla d’amabile, ma pone egli stesso grazia”, cioè amabilità, nelle sue creature, per poterle deliziare. Dio diviene allora “il diletto” a cui si rivolge un cantico d’amore riconoscente, che diviene tanto più esaltante quanto più si percepisce a quale unione con Dio conduce l’amore che egli ha per noi: “Le nostre vigne sono in fiore. Il mio diletto è per me e io per lui ( Ct 2, 15-16) Ogni cristiano può e deve ripercorrere la propria via e confermare con la sua esperienza che davvero Dio, da parte sua, non poteva fare di più. L’esame va approfondito, cercando di interpretare ogni evento alla luce della certezza di fede che in qualunque circostanza, anche in quelle più affliggenti, è nascosta una segreta provvidenza d’amore, perché in quel caso possa sbocciare amore “Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono chiamati secondo il suo disegno” (Rm 8, 28 ). (Costante Bravetto )
IL GIUDIZIO Il diletto chiede agli spettatori di fare da giudici tra lui e la vigna: “Siete voi giudici tra me e la vigna”. Desidera che siano gli uomini che hanno rifiutato la sua proposta di dialogo generoso e amoroso, a
giudicare se stessi. Sono gli uomini che con il loro rifiuti si autogiudicano e si condannano Lo dirà anche Gesù: “ “E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre, perché le loro opere erano malvagie” ( Gv 3, 19 ) (De Zan ). Per non cadere in un giudizio di condanna, l’uomo deve giudicare rettamente. Dio richiede che l’uomo sia giudice delle proprie scelte che è capace o non è capace di fare, ma egli spesso, è carico di pregiudizi e vuole sottrarsi al suo compito di giudicare. Non è facile giudicare. Il giudizio fa nascere una responsabilità e l’uomo vuol sottrarsi. … Il criterio di giudizio poi è quello di pensare secondo Dio; quando uno pensa e agisce secondo Dio, i suoi giudizi e le sue azioni sono giusti. Quando poi il giudizio viene applicato al prossimo, il credente deve ricordasi che solo Dio conosce l’intimo delle persone e che “ con la misura con cui giudicate, sarete giudicati” .( Mt 7, 2 ) (Vedi De Zan ) .
GIUSTIZIA E RETTITUDINE Dal popolo Dio aspettava “giustizia” ( mishpàt ) e “rettitudine” (tsedaqàh ) . Si tratta di quel rispetto e di quella armonia all’interno della comunità che rispecchia lo shalon del singolo e del gruppo, secondo il volere di Dio. Paolo sintetizza per i cristiani il comportamento da tenere nella società: “Rendete a ciascuno ciò che gli è dovuto: a chi si devono le tasse, date le tasse; a chi l’imposta, l’imposta, a chi il timore, il timore, a chi il rispetto, il rispetto. ( Rm 13, 7 )(De Zan ) DUE PARABOLE DELLA VIGNA L’immagine della vigna, come quella della sposa (Ez 16, 1-14) diventano quasi un esempio della storia della salvezza, dell’agire di Dio nei confronti del suo popolo e del mondo intero. Il dialogo di Dio con gli uomini si rivela in forma drammatica, ma alla fine è sempre l’amore che trionfa sul rifiuto e sull’infedeltà dell’uomo. Nel Vangelo troviamo un’altra parabola della vigna, che parla dei vignaioli omicidi, cui è tolta la vigna ( Mt 21, 33-44 ). Confrontando le due parabole, salta subito agli occhi la differenza: mentre, secondo Isaia, Dio abbatte la vigna che non produce frutti, nella parabola del Vangelo essa è consegnata al altri vignaioli che gli consegneranno i frutti a suo tempo”. Viene indicato così il compito della Chiesa dopo la morte di Gesù. La Chiesa è il nuovo popolo che ha il compito di “portare frutti”. Per questo essa ha preso il posto d’Israele e l’ha preso a Pasqua quando “la pietra che i costruttori hanno scartato, è diventata testata d’angolo”. Questa pietra è Gesù che, respinto e crocifisso, è risorto, e diventa il fondamento stabile su cui ogni costruzione futura dovrà poggiare (Messalino LDC). Il Regno di Dio, tolto a coloro che hanno ucciso il Figlio, viene dato a un’altra “nazione”, che comprende i pagani e gli Ebrei che credono in Cristo. Questo nuovo popolo si caratterizza per la fecondità spirituale, giacché produce i frutti del Regno. Questi frutti possono identificarsi con la giustizia, che i discepoli di Cristo sono tenuti a praticare come valore prioritario, e che consiste nella premurosa e costante attuazione della volontà di Dio (S. Virgulin) . Noi che facciamo parte del nuovo popolo, cui è stata consegnata la vigna, ci domandiamo come accogliamo i richiami accorati e insieme vibranti che ci giungono, a nome di Dio, dai pastori e in primo luogo dal Papa. Sono avvisi che non dobbiamo lasciar cadere. “ ( C. Bravetto ) LA VIGNA INGRATA Dio appare come un educatore sfortunato. Moltiplica i suoi gesti ma i figli non rispondono alle sue legittime attese, e così rendono vana tutta la sua opera. Si delinea così la storia di un amore respinto. Tragica storia che vede l’elezione tramutarsi in riprovazione. Alle divine proposte, l’uomo può opporre un “no”. .Dio rispetta questo “no”, e non forza la libera determinazione. E così l’uomo fallisce il bersaglio. Il suo “no”, che in gergo cristiano si chiama “peccato”, diventa uno sbaglio di direzione, un’azione mancata: perché spezza l’ordine dell’amore. E’ una delusione. Lo è per Dio, perché si aspettava qualcosa che non è venuto....Il suo disegno d’amore è messo in scacco. Ma questo si risolve in danno per l’uomo. Egli non si realizza. Diventa un “essere mancato”. E’ certo che tutto ciò che Dio poteva fare per salvare ogni uomo lo ha fatto e lo farà. Ma Egli non salva nessuno che non lo voglia. “Chi ti ha creato senza di te, non ti salverà senza di te”. .. Per chi vanifica tutto con un “no” ostinato fino alla fine, c’è la chiusura definitiva, che nell’Apocalisse è chiamata “seconda morte”. E’ l’inferno”. ( M. Magrassi)
PREGHIERA (=pregare la parola
)
Liberaci, Signore, da tutti i mali, fa che viviamo come viti nella tua vigna, sotto il segno del pane e del vino condiviso. Fa che ci impegniamo a costruire un mondo più fraterno e più giusto, nell’attesa che si compia la beata speranza e venga il nostro salvatore Gesù Cristo. Padre del cielo e Signore della vigna proteggila sempre, rendila feconda, non permettere che sia dilaniata dall’orgoglio e dalla divisione dei vignaioli. Sostieni i sacerdoti perché tra loro ci sia una sola emulazione, quella della santità, cioè della gioia di obbedire alla tua volontà e di cercare il bene dei fratelli. Dona a noi volontà e forza, perché cerchiamo solo ciò che è vero, nobile, puro, giusto, onorato e virtù meritevole della tua lode e seguiamo nella vita gli insegnamenti del tuo Vangelo. Donami, Signore, la prontezza di Maria nel rispondere alla tua chiamata, la sua premura con la cugina Elisabetta, il suo intuito a Cana, il suo coraggio ai piedi della croce, il suo amore per la Chiesa Aiutami a operare nella tua Vigna, come Maria, con la determinazione di chi vuole portare frutti, con la decisione di vivere sempre unito alla vera vite che è Cristo, come Maria col tuo Figlio e suo Figlio Gesù.
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE
(=assunzione di impegni concreti)
Viviamo con giustizia e rettitudine, rendendo a ciascuno ciò che gli è dovuto.
ISAIA 6, 1-8 1Nell`anno in cui morì il re ( hammelek ) Ozia, io vidi ( wa’er’eh) il Signore (Adonay ) seduto ( yoshèh) su un trono alto ed elevato; i lembi del suo manto riempivano il tempio. 2Attorno a lui stavano dei serafini ( serafim ) , ognuno aveva sei ali; con due si copriva la faccia, con due si copriva i piedi e con due volava. 3Proclamavano (qarà+amar) l`uno all`altro: «Santo, santo, santo è il Signore (Jahweh) degli eserciti. Tutta la terra è piena della sua gloria». 4Vibravano gli stipiti delle porte alla voce ( miqqòl) di colui che gridava (haqqòrè), mentre il tempio si riempiva di fumo. 5E dissi (wa’omàr ): «Ohimè! Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono e in mezzo a un popolo dalle labbra impure io abito (yoshèb); eppure i miei occhi hanno visto (ra’u) il re (hammèlek), il Signore degli eserciti ( Jahweh sebà’òt)». 6Allora uno dei serafini (serafim) volò verso di me; teneva in mano un carbone ardente che aveva preso con le molle dall’altare. 7Egli mi toccò la bocca e mi disse: «Ecco ( hinnek), questo ha toccato le tue labbra, perciò è scomparsa la tua iniquità e il tuo peccato è espiato». 8Poi io udii la voce (qòl) del Signore (Adonay) che diceva: «Chi manderò e chi andrà per noi?». E io risposi (wa’omàr): «Eccomi, manda me!».
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) In 6, 12- 8, con un racconto autobiagrafico di mirabile fattura poetica. Isaia narra la propria vocazione profetica. Il racconto è uno dei capolavori della Bibbia. Tutto ciò che il profeta affermerà più tardi è già racchiuso in questa visione. Non sappiamo perché questi versetti, che dovrebbero stare all’inizio del libro siano situati al sesto capitolo. Viene presentata la chiamata al ministero profetico. Leggendo attentamente il testo ebraico si vede che il Signore è nominato quattro volte con la seguente sequenza: Adonay (1), Jahweh (3) , Jahweh ( 5 ), Adonay ( 8 ); due volte si trova il termine “hammelek” ( =re), la prima volta indica Ozia (1 ) , la seconda il Signore stesso (5 ) ; “serafim” ( = serafini), si trova due volte (2 e 6 ); due volte il profeta dichiara di aver visto: “io vidi” (1 ), “i miei occhi hanno visto” (5 ) e una volta asserisce di aver udito : “Io udii” (8 ). IN CUI MORI’ OZIA (1 ) Ozia è il re Azaria ( Javhé ha aiutato ), che è chiamato Ozia da 2 Cron 26, 1-23, regna in Israele in tempo di prosperità economica, ad iniziare dal 779. La sua morte avviene tra il 742 e il 748. IL SIGNORE ( 1 ) Javhé appare come un re, il cui trono è situato nel cielo e il cui paludamento regale copre il tempio di Gerusalemme. Si tratta probabilmente di visione intellettuale e non sensibile. La concezione di Dio che siede nel tempio è probabilmente mutuata e purifica dalla religione cananea, il cui sistema mitologico prevedeva che El svolgesse le sue mansioni di governo seduto in trono come un re. Il nome di Mechisedech (= re è Zedek) prova che a Gesusalemme un dio era venerato come un “re”; anche “santo”, attribuito alla divinità è con probabilità di origine cananea. In Israele Javhè però non è re degli dei e uno tra di loro, ma il solo Dio, re d’Israele. La teofania di Javhé nelle vesti di giudice è poi frequente nella tradizione profetica. STAVANO I SERAFINI ( 2 ) Dio è circondato da una corte. Il nome di “serafino” significa “bruciante” , ed è termine che in Deut 8, 12 designa un serpente del deserto che procura un dolore che brucia.. Nel nostro testo però si tratta di esseri celesti dalla forma umana, dotati di sei ali e di sesso ( piedi) che si trovano al servizio di Javhé. A loro, come ad ogni altra creatura, non è lecito guardare Dio in faccia, per questo nascondono il viso e il corpo in segno di profondo rispetto e sono sempre pronti ad eseguire gli ordini di Dio. Di esseri simili non c’è cenno in nessuna altra parte della Bibbia. SANTO ( 2) L’acclamazione a Dio asserisce che Egli è tre volte santo, cioè santo in sommo grado, asserzione che indica l’assoluta diversità di Dio (“santo” da da qàdòs, che proviene forse dalla radice “qd” =
separare, dividere ) . Il testo dice che Dio è “Jahvè sebaot” , cioè Dio degli eserciti, intendendo della corte celeste o delle stelle. Asserisce che la terra è piena della sua gloria (kàbòt ) , cioè di quella potenza con cui rimane in contatto con il cosmo e la storia e ne regge i destini. VIBRAVANO GLI STIPITI ( 4 ) La manifestazione della “kàbòt” è una manifestazione violenta, espressa spesso dalle immagini della tempesta e del fulmine ( Sal 97, 1 ). Terremoto e fumo simile ad un nube sono elementi che fanno parte dell’usuale decorso della teofania. E DISSI (5 ) Viene ora descritta la presa di coscienza del profeta della sua condizione di peccatore di fronte alla maestà divina. Egli ha impure le labbra, cioè tutta la sua persona è liturgicamente impura e si sente perduto, dato che gli Israeliti pensavano che nessun uomo potesse contemplare Dio e restare vivo ( Es 3, 6 ). Isaia pensa che Dio è così santo che la violenza della sua santità è una minaccia, un pericolo mortale, per l’esistenza dell’uomo che si trova in una situazione peccaminosa. Isaia confessando la propria colpa riconosce la dignità di Javhè come giudice. Tale ammissione comporta anche il perdono e l’assoluzione del peccato. UNO DEI SERAFINI ( 6 ) Viene presentato ora un quadro cultuale. Con un atto simbolico “sacramentale”, che non sappiamo se si colleghi ad un atto presente nel culto ebraico, la colpa è cancellata e il peccato è perdonato. Il serafino tocca le labbra, cioè la persona e Dio consuma col fuoco l’antico modo peccaminoso di esistere dell’uomo, conservandolo in vita. Grazie all’intervento divino l’uomo non esiste più nel peccato, le sue opere cattive sono cancellate. Non si tratta solo di una purificazione interiore, ma di una modificazione di tutto l’essere. CHI MANDERO’ ( 8 ) Dio chiede chi andrà in missione “per noi”. Il noi potrebbe essere un plurale maistatis, ma probabilmente è un coinvolgere anche gli spiriti che sono al servizio di Javhé. La pronta risposta di Isaia: “ Ecco, mandami” contrasta con i tentennamenti di Mosé ( Es 4, 10-12 ) e di Geremia ( 1, 6 ) in simili circostanze.
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) LA VISIONE Isaia non raffigura Iahweh, ma vede solo i lembi del suo mantello. C’e qui la coscienza d’Israele che proibiva di raffigurare Dio in immagine. La visione viene concessa non per il profeta, ma per la comunità. Nell’incontro con Dio Isaia esperimenta la distanza abissale che esiste tra Dio e l’uomo… E proprio qui si rivela l’autonomia della “signoria” di Dio… solo chi capisce e accetta di dipendere in tutto da Dio riesce a presagire chi egli sia. ( E . Zenger ) LA CHIAMATA DI DIO La chiamata crea una situazione completamente nuova. Essa solleva il peccatore Isaia in una dimensione vicina a Dio. Questa elezione gratuita significa liberazione da un legame schiavistico dai bisogni umani” e ingresso nella libertà per Dio e per il prossimo. Non significa sopraffazione, viene accettata liberamente e realizzata attraverso decisioni sempre rinnovate. Il profeta vive sempre nella possibilità del fallimento e della frustrazione. ( E . Zenger ) INIZIAZIONE Il racconto di Isaia 6, 1-8 è vicino a quello di Ez 1, 1-3, 15, che parla dell’iniziazione e vocazione di Ezechiele. L’iniziazione di Isaia avviene in un clima di opposizione. Il re ( hammelek ) è Ozia , ma il vero re è il Signore degli eserciti ( Jahweh sebà’òt). Dio si trova su un trono alto ed elevato, Isaia in mezzo ad un popolo dalle labbra impure; Dio è il tre volte santo, il profeta è un peccatore. I due estremi si congiungono quando avviene l’iniziazione del profeta, che, ormai è perdonato, può auto-proporsi a Dio. Anche Gesù chiama in un modo simile i suoi discepoli. Nel racconto della chiamata degli Apostoli ( Lc 5, 1-11 ), il miracolo introduce misteriosamente in una logica nuova Simone , che è rincuorato da Gesù: “Non temere, d’ora in poi saranno uomini quelli che prenderai”. Allo stesso modo verrà chiamato Paolo di Tarso (At 9,1-19).
CONVERSIONE Il profeta ha la consapevolezza di avere le labbra impure, piene di morte, di essere un peccatore e questa consapevolezza lo apre al perdono, che appare sotto forma di purificazione liturgica: il fuoco di Dio uccide la morte che è nel profeta. La conversione è necessaria: non si può dire di sì al Signore senza un cambiamento interiore profondo. ESPERIENZA DI DIO- IMPEGNO NEL MONDO Solo dopo un’esperienza profonda e toccante, Isaia accetta di offrirsi a Dio, Lo schema “esperienza di Dio-impegno dell’uomo” percorre tutta la Bibbia. Così avviene per Mosè, che prima fa esperienza di Dio, attraverso il roveto, poi va a liberare il popolo. Così succede per i discepoli, che prima esperimentano cosa significa stare con Gesù, poi vanno in missione. Questa legge risponde ad una grande esigenza. Il mandato in qualche modo è prima di tutto chiamato a sposare il desiderio di Dio di salvare l’uomo, ad esplorare il progetto salvifico di Dio dal di dentro; egli non è un esecutore, ma un coinvolto. ( De Zan ) NEL MONDO MA NON DEL MONDO L’inziazione-conversione ha la conseguenza di far partecipare Isaia al Consiglio di Dio e di differenzialo dal popolo. Il profeta non ha più le labbra impure e non appartiene più alla logica dei suoi futuri ascoltatori; egli vivrà in mezzo a loro, ma con una logica diversa, egli appartiene alla cerchia celeste. Questa logica si rinnova in forma più esplicita nel Vangelo: “Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me… non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia” ( Gv 15, 18-19 ). ” Il credente non fa più parte dell’umanità, come il profeta non fa più parte del suo popolo, come il profeta, diventato parte del mondo celeste, è pronto ad essere mandato da Dio, allo stesso modo il cristiano diventato figlio di Dio, è pronto ad essere mandato”. ( De Zan ) CHIAMATI ALL’AMORE L’uomo è un chiamato. Per il fatto che egli nasce è chiamato da Dio a vivere una vita di amore. E durante tutto l’arco dell’esistenza ogni uomo richiede dall’altro di essere riconosciuto come uomo e rispettato come tale ( è continuo, per esempio, l’appello del bimbo che chiede amore, dell’affamato che chiede cibo, dell’uomo nella sofferenza che chiede sollievo, dei popoli in guerra che chiedono pace ). Dal fondo dell’umanità ci è rivolta la chiamata all’altruismo, alla dedizione e ci dice che la vita si realizza nell’amore, mentre fallisce nell’egoismo. Dietro questo appello c’è Dio, che ci chiama a vivere nell’amore di Dio e dei fratelli, non solo amando Dio, dato che non è possibile amare solo Dio che non si vede se non si amano gli uomini che si vedono. Ogni uomo è chiamato a vivere la vita come risposta all’appello di amore, di fraternità, di giustizia, di pace. RISPOSTA ALL’APPELLO Ogni uomo è un progetto da realizzare ed ha una missione da compiere: umile o nobile non importa, è sempre a suo modo grande e irrepetibile, perché un uomo non si esaurisce in quello che fa. Si esprime piuttosto attraverso quello che è, e attraverso le motivazioni profonde che lo guidano nell'azione. Per prima cosa occorre conoscere il progetto. Non si trova in nessun libro: o meglio è scritto nel cuore di ciascuno e nel libro della sua esperienza personale. Ce l’ha scritto Dio, e a lui bisogna chiedere la luce per saperlo leggere, e poi la forza per rispondere all’appello divino. Spesso invece le scelte fondamentali si fanno sotto la spinta dell’egoismo incosciente, desiderosi unicamente di un successo e di un tornaconto personale. Si vuole riuscire e non realizzare una missione per il bene degli altri. La prima fondamentale opzione che si impone è il voler vivere per gli altri. E’ un’opzione ancora umana, ma è la base per dire poi un bel “si” alla chiamata di Dio. Il tutto è legato ad un incontro personale con Dio. Siamo invitati ad assistere alla prima esperienza che Isaia fa col divino. Il canto misterioso dei Serafini gli rivela il Dio tre volte santo. Davanti alla sua maestà non c’è che da piegarsi in adorazione. Pietro davanti alla pesca miracolosa scopre questa stessa Gloria nel Cristo, cui obbediscono anche le creature inanimate. Dio così si rivela: è come il cadere di un velo che lascia trasparire un tratto del suo volto. La prima reazione è quella di sentirsi peccatori… Dall’incontro con Dio nasce il senso del proprio peccato: di fronte alla Gloria di Dio l’uomo si sente “venduto al peccato”. Non c’è alcun dubbio che se oggi si oscura il senso del peccato è proprio perché si oscura il senso di Dio. Ma c’è una scoperta più esaltante: quella di sentirsi oggetto di una particolare attenzione di Dio. Difatti Egli chiama
per nome: “ Simone, figlio di Giona” . E come è possibile dal momento che sono “ un uomo dalle labbra impure”?. A Dio non fa paura questo: a purificarmi le labbra, per metterci poi sopra le sue parole, ad espiare il mio peccato, ci pensa Lui. Dal chiamato chiede l’atteggiamento che ha assunto Isaia. “Eccomi, manda me”. Vuole cioè una totale disponibilità al suo progetto: la prontezza a lasciare e sacrificare tutto per mettersi al suo servizio. Vuole insomma uomini pronti a giocare la vita sulla sua parola. Allora “l’Onnipotente fa in noi dei grandi” come ha fatto in Maria. ( Mariano Magrassi ) CHIAMATA CRISTIANA All’interno della comune chiamata dell’uomo all’amore, quella alla vita cristiana è una vocazione da parte di Dio a partecipare gratuitamente alla propria vita divina, a diventare figli adottivi e ad avere nella storia del mondo un ruolo particolare, al servizio di tutti gli uomini. Nessuno è cristiano per se soltanto. Si è chiamati ad essere cristiani per annunziare Cristo al mondo, con le parole e con la vita. E questo annunzio deve avvenire dovunque, nella famiglia, nell’ambiente di lavoro, nel tempo libero, nei rapporti sociali. Per quanto modesto sia il posto in cui il cristiano si trova a vivere, egli è singolarmente chiamato per nome da Dio a compiere il suo ruolo col massimo impegno e a dare speranza ad un mondo che rischia di suicidarsi nell’egoismo. Davanti alla chiamata di Dio, d’istinto ci si sente impreparati come Isaia e Pietro, ma c’è sempre Dio che sostiene e dà forza. LA VOCAZIONE CI QUALIFICA Non c’è esistenza di discepolo che non sia fondata su una chiamata. Non siamo noi prima a scegliere Gesù, ma Gesù a scegliere noi. Così la vocazione ci qualifica. Gesù chiama per nome e poi ci accompagna per un itinerario che per sé dura tutta la vita. La vocazione è un appello per una vocazione definitiva. Nell’unica vocazione cristiana ci sono “le vocazioni” secondo i diversi carismi, per i diversi ministeri, in vista delle diverse operazioni. Ma chiamati sono tutti. La chiesa ha sempre sentito l’esistenza cristiana come una vocazione e Paolo può affermare un parallelismo reale tra lui “apostolo per vocazione” (Rm 1, 1 ) e i cristiani di Roma e di Corinto “ santi per vocazione” ( Rm 1, 7; 1 Cor 1, 2 ) . Se, però, chiamati sono tutti, gli eletti possono non essere tutti, perché l’appello è ultimativo e personale e ciascuno conserva la libertà di rispondere si o no. Ma, in ogni caso, deve sapere che, siccome la chiamata qualifica, la risposta lo giudica. (Giovanni Saldarini ) NON TEMERE Isaia ha paura…. come si può lavorare per conto di Dio se siamo peccatori?. Come possiamo sperare di far passare la parola di Dio se il popolo che ascolta è un popolo di peccatori? Dio lo chiama ad essere profeta. In Luca 5, 1-7 anche Simone ha paura . Quando Dio si avvicina è per cambiare le cose, e siccome le cose le cambia servendosi di noi, è evidente che l’avvicinarsi di Dio significa che qualcosa deve cambiare in noi. Simone ha paura e Gesù dice: “ Non temere”… Ciò non significa che il peccato non esiste, significa che il peccato non può essere assunto come un motivo per allontanarsi da Dio o neutralizzare la sua presenza. Irrigidirsi stanchi e delusi sul proprio ricorrente peccato vuol dire crearsi un alibi per evitare l’impegno. Gesù dà fiducia, affida un incarico, chiama al lavorio per radunare le folle attorno a lui. Noi ci stanchiamo così in fretta, siamo così presto delusi degli altri e più ancora di noi stessi. E ci fermiamo. Gesù offre sempre una possibilità, crede in noi più di quanto riusciamo noi a credere in noi stessi. (Domenico Pezzini )
PREGHIERA (=pregare la parola ) Signore Gesù. infondi in noi la luce del tuo Santo Spirito, affinché siamo conquistati e sedotti dalla tua Parola, deposta nei nostri cuori. Fa' che le siamo fedeli sia nella vittoria che nella sconfitta, nelle gioie e nei dolori dell'esistenza, e siamo presso i nostri fratelli i messaggeri coraggiosi e disinteressati del tuo Vangelo. ( Suore Benedettine Mater Ecclesiae ) Dio di infinita grandezza, che affidi alle nostre labbra impure e alle nostre fragili mani il compito di portare agli uomini l’annunzio del Vangelo, sostienici col tuo Spirito, perché la tua parola, accolta da cuori aperti e generosi, fruttifichi in ogni parte della terra. ( Colletta V perannum C ) In te mi rifugio, Signore, ch'io non resti confuso in eterno. Liberami, difendimi per la tua giustizia, porgimi ascolto e salvami. Sii per me rupe di difesa, baluardo inaccessibile, poiché tu sei mio rifugio e mia fortezza. Mio Dio, salvami dalle mani dell'empio. Sei tu, Signore, la mia speranza, la mia
fiducia fin dalla mia giovinezza. Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno, dal seno di mia madre
tu sei il mio sostegno. Dirò le meraviglie del Signore, ricorderò che tu solo sei giusto. Tu mi hai istruito, o Dio, fin dalla giovinezza e ancora oggi proclamo i tuoi prodigi. ( Dal salmo 70).
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE
(=assunzione di impegni concreti)
“Ecco, manda me”.
ISAIA 7, 1-17 1Nei giorni di Acaz figlio di Iotam, figlio di Ozia, re (melek ) di Giuda, Rezìn re (melek) di Aram e Pekach figlio di Romelia, re (melek ) di Israele, marciarono contro Gerusalemme per muoverle guerra, ma non riuscirono a espugnarla. 2Fu dunque annunziato alla casa di Davide (bet David): «Gli Aramei si sono accampati in Efraim». Allora il suo cuore e il cuore del suo popolo ( amo) si agitarono, come si agitano i rami del bosco per il vento.3Il Signore disse a Isaia (Jahwek wayyò’mer ) : «Và incontro ad Acaz, tu e tuo figlio Seariasùb, fino al termine del canale della piscina superiore sulla strada del campo del lavandaio. 4Tu gli dirai: Fà attenzione e stá tranquillo, non temere e il tuo cuore non si abbatta per quei due avanzi di tizzoni fumosi, per la collera di Rezìn degli Aramei e del figlio di Romelia. 5Poiché gli Aramei, Efraim e il figlio di Romelia hanno tramato il male contro di te, dicendo: 6Saliamo contro Giuda, devastiamolo e occupiamolo, e vi metteremo come re il figlio di Tabeèl. 7Così dice il Signore Dio (Jahweh ‘Adonay amàr ): Ciò non avverrà e non sarà! 8aPerché capitale di Aram è Damasco e capo di Damasco è Rezìn. 9aCapitale di Efraim è Samaria e capo di Samaria il figlio di Romelia. 8bAncora sessantacinque anni ed Efraim cesserà di essere un popolo. 9bMa se non crederete, non avrete stabilità». 10Il Signore parlò ancora (Jahweh le’mor) ad Acaz: 11«Chiedi un segno dal Signore tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure lassù in alto». 12Ma Acaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore». 13Allora Isaia disse: «Ascoltate, casa di Davide(bet David)! Non vi basta di stancare la pazienza degli uomini, perché ora vogliate stancare anche quella del mio Dio? 14Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele. 15Egli mangerà panna e miele finché non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene. 16Poiché prima ancora che il bimbo impari a rigettare il male e a scegliere il bene, sarà abbandonato il paese di cui temi i due re. 17Il Signore manderà su di te, sul tuo popolo (ammèka) e sulla casa di tuo padre giorni quali non vennero da quando Efraim si staccò da Giuda: manderà il re (melek) di Assiria».
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) Isaia 7, 1-17 si compone di due parti . La prima ( 7, 1-9 ) è il racconto biografico in terza persona dell’incontro avvenuto nel 733 tra il re Acaz e Isaia nel frangente della guerra siro-eframitica (734-732) , e culminante nella sentenza sulla fede. Damasco ed Israele assalirono Giuda, che aveva rifiutato di partecipare alla lega anti-assira. Lo scopo degli alleati era quello di destituire il legittimo discendente della dinastia davidica e di porre al suo posto uno straniero. Isaia è divinamente incaricato di comunicare al re l’insuccesso del piano progettato dal nemico e di consigliargli di affidarsi a Dio e non a criteri di politica umana. La seconda parte (10-17) racconta un altro incontro tra il re e il profeta, seguito forse a poca distanza del primo. Il brano contiene l’oracolo dell’Emmanuele. La scena ebbe luogo probabilmente nella reggia di Acaz. ( S. Virgulin ) Il testo si apre e si chiude con la presentazione di tre sovrani (melek) (di Giuda, di Aran e d’Isreale) , in esso due sovrani sono posti in antitesi : Acaz e il re di Assiria (17 ). Una sequenza di nomi ripetuti indica il popolo di Dio (Efraim-bet David- am ), per tre volte è detto che Jahweh parla (amar, wayyo’mer, le’mor ). Nel brano risaltano tre centri di attenzione: 1° l’antitesi tra tre re e il potente re dell’Assiria, 2° la triade indicante il popolo ebraico (casa di Davide, Efraim, popolo), 3° l’antitesi tra i progetti di Dio e i progetti di Achaz. NEI GIORNI DI ACAZ (1 ) I personaggi qui citati sono stati protagonisti della guerra siro-efraimitica : Acaz ( 734-727 ) era re di Giuda, Rezin re di Aram, Pekachia re usurpatore della Samaria ( 2 Re 15, 21 ). Rezin e Pekachia
mossero guerra a Gerusalemme, perché Acaz non aveva voluto far parte della coalizione contro l’Assiria, che già dai tempi di Adadninari III ( 909-889) era diventata una grande potenza e dopo un periodo di indebolimento aveva ripreso vigore con l’ascesa al trono di Tiglat-Pilesser III nel 745, durante i cui regno l’egemonia nella regione palestinese fu sempre in aumento. Acaz non aveva voluto far parte di una coalizione che si era formata contro l’Assiria, ritenendo la cosa pericolosa, e i confederati intendevano costringerlo a parteciparvi, assediando Gerusalemme e destituendolo dal trono. GLI ARAMEI SI SONO ACCAMPATI ( 2 ) L’assedio di Gerusalemme produce effetti psicologici devastanti nel popolo e nel re, che pensa di rivolgersi per aiuto proprio a Tiglat-Pilesser III. VA INCONTRO AD ACHAZ (3 ) In questo momento interviene Isaia, inviato da Dio come suo messaggero, per consigliare di mantenere la calma e riporre tutta la fiducia nel Signore. Lo accompagna il figlio Seariasùb, il cui nome significa “un resto ritornerà”, cioè si convertirà; l’incontro con Acaz avviene presso un canale, che era forse una piscina situata nella parte meridionale della città. TIZZONI FUMOSI (4) Espressione che indica l’insuccesso che avrà la spedizione contro Gerusalemme. IL FIGLIO DI TABAEEL ( 5) Questo personaggio della Trasgiordania era uno straniero per Giuda ; se fosse diventato re avrebbe interrotto la successione davidica al trono e avrebbe collaborato con gli alleati contro l’Assiria. CIO’ NON AVVERRA’ (7) Jahweh, fedele alle promesse fatte alla casa di Davide, impedisce categoricamente la riuscita del piano dei re in guerra contro Gerusalemme. CAPITALE DI ARAM E’ DAMACO ( 8 ) L’oracolo è lapidario: ogni capo ha il suo posto, ogni regno ha la sua capitale, ogni capitale ha il suo re. Senza che sia detto chiaramente, la conclusione è: la capitale di Giuda rimane Gerusalemme e re di Gerusalemme rimane il discendente di Davide. ANCORA SESSANTACINQUE ANNI (8 ) Il detto sulla caduta del regno del Nord ( Efrain ) , per alcuni è una glossa, per altri è una vera e propria profezia, che però non si riferirebbe alla caduta di Samaria (722 ), ma a circa mezzo secolo dall’inizio dell’esilio, quando, in seguito ad altre deportazione, divenne impossibile la ricostruzione del Regno del Nord. Così il popolo ebraico si ridusse a poco più di un “resto”, ossia al Regno del Sud. SE NON CREDERETE ( 9 ) Solenne enunciazione del principio della fede, quale condizione di salvezza. La fede è l’atteggiamento col quale il re e lo stato giudaico riconoscono la suprema maestà di Javhé e l’alleanza che egli ha stretto con il popolo. Accettando questo messaggio, confidando nel solo aiuto divino e rinunziando all’aiuto umano, il re e il popolo supereranno la crisi. PARLO’ AD ACAZ (11 ) La scena è cronologicamente distinta dalla precedente, ma logicamente congiunta. Anche in questo intervento, Jahweh è sempre nominato in terza persona, eccetto in questo versetto, dove la parola diretta può provenire probabilmente da un ampliamento secondario. UN SEGNO (11 ) Si tratta di un fatto strepitoso, proveniente dal cielo o dagli inferi, ma che si possa dimostrare divino e che confermi il re, propenso a chiedere l’intervento assiro, nella promessa di liberazione divina. NON LO CHIEDERO’ (12 ) Il re, che ha già fatto i suoi piani e non vuole seguire le indicazioni di Isaia, rifiuta il segno, dicendo che non vuole tentare Dio e protestando così alto sentimento religioso, che è però solo un’ipocrita maschera del suo rifiuto. CASA DI DAVIDE (13 ) Isaia si rivolge alla corte del re, a tutti coloro che sono responsabili delle decisioni politiche. STANCARE GLI UOMINI ( 13 ) Probabilmente Isaia allude alla politica ambigua di Acaz e dei suoi consiglieri, che si erano barcamenati tra la coalizione siro-palestinese e Assur, finendo per sottoporre Gerusalemme ad un prova lancinante. ANCHE QUELLA DEL MIO DIO (13 ) Isaia dice che Acaz vuole stancare il “mio” Dio; non dice il “tuo” Dio, quasi ad indicare che col suo atteggiamento la “casa di Davide” compromette l’alleanza con Jahweh.
VI DARA’ UN SEGNO (14 ) Malgrado la diffidenza di Acaz, Isaia promette un bambino che sarà segno di salvezza per i credenti, caparra di liberazione del paese, ma nello stesso tempo anche pegno di punizione che colpirà Giuda e i suoi nemici. LA VERGINE (14 ) L’identificazione della donna e del meraviglioso bambino non è facile. Essa è detta “ ha alma”, che significa “figlia arrivata all’età di marito”, o “fidanzata” o anche “giovane donna” . Proprio “giovane donna” qui sempre la migliore traduzione. Ma la parola “alma” è preceduta dall’articolo “ ha”, si parla quindi di una donna determinata, conosciuta, anche se non necessariamente presente. L’interpretazione più accreditata è che la donna sia la giovane moglie di Acaz. EMMANUELE (14 ) Emanuele ( Dio con noi) fa parte dei nomi di fiducia inerenti alla comune imposizione dei nomi in Israele. Il nome simbolico “Dio con noi” è riconoscimento dell’aiuto di Dio. Questo bimbo può essere Ezechia, figlio e successore di Acaz, che costituisce un grande segno della protezione divina alla casa di Davide. DIO CON NOI (14 ) La precedente lettura non interpreta del tutto il testo. La solennità del vaticinio, la natura del segno, il fatto che sia stato conservato da Isaia anche dopo la nascita di Ezechia, sembrano esigere un’interpretazione che, al di là della contingenza presente, punti ad una persona del futuro, sul vero Emmanuele, sul re davidico futuro, di cui Ezechia è tipo e anticipazione. L’interpretazione tradizionale cristiana, favorita dalla traduzione greca di “alma” con “partenos” ( = vergine) riconosce nel bambino il Messia ( Mt 1, 23 ) e ravvisa nel testo l’annunzio della nascita prodigiosa di Gesù da Maria Vergine a Madre. EGLI MANGERA (15 ) Questo cibo, secondo alcuni indica le ristrettezze nelle quali dovrò vivere il fanciullo, perché l’invasione nemica distruggerà i raccolti dei campi e si tornerà alla vita pastorale, come è detto al v 22: “ ognuno manterrà una vitella e due pecore….mangeranno panna e miele “ . Altri pensano invece che si tratti di un cibo del tempo dell’abbondanza e pensano che il testo asserisca che il bambino vivrà due catastrofi tremende, poi avrà un periodo di abbondanza e solo dopo arriverà all’età della maturità. SARA’ ABBANDONATO IL PAESE Mentre il bambino sarà ancora nell’infanzia i due paesi dei re che hanno assediato Gerusalemme saranno devastati. IL SIGNORE MANDERA (17) Il versetto contiene una minaccia. Se l’oracolo dell’Emmanuele indica un segno di salvezza per l’immediato futuro, dato che Gerusalemme sarò liberata dal pericolo del momento, l'incredulità di Acaz porterà pesanti frutti di sventura per il futuro del Regno del Sud. L’incredulità provocherà la rovina.
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) SE NON CREDERETE, NON AVRETE STABILITA L’intervento di Dio salva la dinastia davidica, giacché la coalizione mirava a colpire il re e sostituirlo con uno straniero. Dio resta fedele alle promesse fatte a Davide ( 2 San 7, 16 ) . Isaia però avvisa “ Se non crederete non avrete stabilità” . Acaz non si affida a Dio, ma ricorre all’Assiria e attira la condanna di Dio: “ Il Signore manderà su di te , sul tuo popolo e sulla casa di tuo padre giorni quali non vennero da quando Efiam si staccò da Giuda”; Dio mantiene la promessa e invia il bimbo, che salverà la dinastia, ma Acaz, non credendo”, attira sul suo popolo l’instabilità . EMANUELE, SEGNO DI FEDE Come in ogni altra promessa di salvezza, Jahwe esige da Acaz e dal popolo una fiducia assoluta nella sua parola. Il segno dell’Emmanuele è senza dubbio garanzia del compimento della promessa, ma deve essere accettato, per mezzo della fede. Promessa e fede sono due cose inscindibili. La fede non significa per Israele un abbandono cieco o incosciente, ma ha un fondamento solido in tutta la storia della salvezza di Dio col suo popolo. E’ qui che Acaz ha sbagliato. Egli fa più assegnamento sul calcolo politico che sulla potenza di Dio. Nel Nuovo Testamento la fede della comunità si concentra sulle parole e
sull’opera di Gesù Cristo. Alla luce della fede pasquale la comunità cristiana è profondamente convinta che in Cristo si sono avverate tutte le profezie dell’Antico Testamento.: “ Il tempo è compito e il regno di Dio è vicino: pentitevi e credete nel Vangelo” (Mr 1, 15 ). Questo messaggio di salvezza è l’ultimo evento salvifico escatologico che deve essere accolto con fede. ( Emanuel Bouzon ) TUTTO E’ POSSIBILE Dal punto di vista del rapporto di forza Acaz non aveva speranza di sopravvivenza: gli alleati avrebbero occupato Gerusalemme e abolito la dinastia; d’altra parte l’Assiria, prima o poi, avrebbe distrutto il suo regno, come di fatto distruggerà il regno del Nord. Ma il piccolo regno del Sud e la dinastia non crolleranno. Si vede con chiarezza che, quando la storia, guidata da Dio, diventa storia di salvezza, tutto può accadere, che Davide vinca il gigante Golia, che Gerusalemme sopravviva alla potenza assira. Dopo la disfatta del Regno del Nord (722 ), il popolo ebraico rimarrà più che dimezzato e si troverà schiacciato tra l’Egitto e l’Assiria, i due colossi politici di allora e il popolo della casa di Davide diventerà agli occhi umani una realtà decisamente insignificante sotto tutti i punti di vista. Ma Dio si prende cura di questo popolo e gli dona la speranza: Gerusalemme non verrà distrutta, il popolo della casa di Davide verrà nuovamente investito della sua vocazione ad essere il popolo del Messia. VISIONE MESSIANICA E MARIANA La tradizione ebraica ha contemplato l’Emmanuele, garante dell’alleanza tra Dio e gli uomini e contemporaneamente garante della libertà del popolo di Dio nei confronti della prepotenza umana degli altri popoli. La tradizione giudaica ha voluto vedere dietro l’almah, la “vergine” e tale tradizione ha trovato voce nella traduzione greca dei settanta che ha reso il termine con “partenos” (=vergine). Matteo dice : “ Tutto questo avvenne perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore , per mezzo del profeta: Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio; egli sarà chiamato Emmanuele, che significa, Dio con noi” ( Mt 28,20 ). All’interno della visione cristologia Matteo colloca anche le verginità di Maria. (De Zan ). “Tutto dipende nella storia dal Messia futuro e la stessa parola data da Dio a Davide si basa su questa parola di Dio, che è Cristo. Ciò legittima la lettura mariana e messianica di questo oracolo”. (Schokel ) DIO CON NOI Sia Isaia che Matteo riferiscono i nomi assegnati al bambino che viene tra gli uomini : “Si chiamerà Emanuele” ( Isaia ), “ Lo chiamerai Gesù “ (Matteo.) In quei tempi si dava molta importanza al significato dei nomi. Emanuele e Gesù sono nomi pieni di significato. Emanuele vuol dire “Dio con noi” e Gesù significa “ “Dio salva, Dio è salvezza”. I due nomi dicono dunque che Dio viene a stare con gli uomini e a realizzare un progetto di salvezza. La vicenda terrena del Verbo incarnato si è conclusa con la morte e la risurrezione. Ma non è venuta meno la presenza di Dio con noi. Anzitutto la sua è una presenza spirituale e noi lo scopriamo presente nel profondo della coscienza. Ma sappiamo anche che Gesù è dove due o più persone sono riunite nel suo nome. E che Dio si rende presente nella Santa Messa : lo incontriamo nelle sue parole e lo riceviamo nell’Eucaristia. E possiamo servire il Dio con noi, quando ci doniamo ai fratelli bisognosi : “Tutte le volte che lo avete fatto ai più piccoli dei miei fratelli lo avete fatto a me “ . ( E. Bianco ) MARIA VERGINE La Scrittura parla delle verginità di Maria, i Padri hanno dato larga testimonianza, i Papi, in particolare Siricio, Leone I, Paolo IV, Pio XII la proclamano solennemente, i Concili, soprattutto il Costantinopolitano primo e il Lateranense del 649 lo affermano come dato di fede e la Liturgia la contempla come meraviglia il dono di Dio . In una società come la nostra non è né più facile né più difficile di quanto lo fosse in passato accogliere a livello di fede la verginità di Maria e i valori che ne rendono vicino il mistero. Resta comunque sempre vera la parola di Gesù in merito a certe tematiche: “ vi sono eunuchi, che sono nati così dal grembo della madre; e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca” (Mt 19, 12 ). Per Matteo e per la Chiesa non c’è alcun dubbio che Maria è vergine : rimane incinta per opera dello Spirito Santo, e resta vergine anche dopo la nascita di Gesù. La verginità è il sì radicale a Dio, vissuto da Maria con tutta se stessa, anche col suo corpo. Non si tratta solo di uno stato di illibatezza, ma anche di disponibilità radicale, illimitata. Maria ha creduto col cuore e col corpo.
ACCOGLIENZA La venuta dell’Emanuele è resa possibile dall’accettazione di Maria. Nel suo essere è avvenuto l’appuntamento del Redentore con l’umanità. In Lei il Dio vivente si è unito all’uomo in modo nuovo e inaudito. Suo Figlio è Dio e uomo ad un tempo. Ed ella è ad un tempo vergine e madre. Due contrasti, o meglio due armonie. Maria personifica tutto Israele : è la punta di diamante , l’immagine più pura di quel “resto” del Popolo di Dio che era in attesa del salvatore. “Rallegrati” le dice l’Angelo. Quel saluto è l’eco di promesse profetiche : “ Figlia di Sion, rallegrati, Israele ...il Signore è in mezzo a te” ( Sof 3, 14-15 ). La “figlia di Sion, personificazione poetica di un popolo, si configura realmente in una donna in carne e ossa. Ella da sola riceve l’annuncio della salvezza ; lo accetta e ne rende possibile il compimento. Alla radice della sua grandezza sta un fatto : Ella è madre di Gesù. ( M. Magrassi )
PREGHIERA (=pregare la parola ) O Dio, Padre buono, tu hai rivelato la gratuità e la potenza del tuo amore, scegliendo il grembo purissimo della vergine Maria per rivestire di carne mortale il Verbo della Vita: concedi anche a noi di accoglierlo e generarlo nello spirito con l’ascolto della parola, nell’obbedienza della fede. ( Colletta IV Avvento: A ) Signore Gesù, tu sei l’Emmanuele, il Dio con noi. Aiutaci a comprendere questo mistero di amore, per il quale hai stretto alleanza con l’umanità. Aiutaci ad inserirci in questo mistero come il bambino in seno alla famiglia, per vivere della sua pienezza (Charles Brethes ) O Vergine Madre di Dio, colui che il mondo intero non può contenere si è formato nel tuo seno, facendosi uomo. La vera fede del tuo Figlio ha lavato i peccati del mondo, e la tua verginità è rimasta integra. L’universo ti chiama, o Madre d misericordia, in suo soccorso, vieni dunque in aiuto dei tuoi servi, madre benedetta (Canto gregoriano ).
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE
(=assunzione di impegni concreti)
Accogliamo l’Emmanuele, sempre presente tra di noi.
ISAIA 8, 23 - 9, 6 26 In passato ( ka’èt kari’shon ) umiliò la terra di Zàbulon e la terra di Nèftali, ma in futuro renderà gloriosa la via del mare, oltre il Giordano e la curva di Goim. 1Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce (or); su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce (or) rifulse. 2Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia (simhàr) . Gioiscono davanti a te come si gioisce quando si miete e come si gioisce (simehah) quando si spartisce la preda. 3Poiché (ki) il giogo che gli pesava e la sbarra sulle sue spalle (shikmò), il bastone del suo aguzzino tu hai spezzato come al tempo di Madian. 4Poiché (ki) ogni calzatura di soldato nella mischia e ogni mantello macchiato di sangue sarà bruciato, sarà esca del fuoco. 5Poiché (ki) un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle (shikmò), è il segno della sovranità ed è chiamato: Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace (shalom) ; 6grande sarà il suo dominio e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e sempre (me’attàh we’ad-òlàm); questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) Questo oracolo fu probabilmente pronunziato dopo che Tiglat-Pilesser III occupò nel 732 la Palestina del Nord. L’intervento di questo principe assiro, che era anche un genio militare, fu determinato dalla richiesta di aiuto del re di Giuda Acaz, che si era venuto a trovare in contrasto con i re di Aram (Siria) e d’Israele. Tiglat-Pilesser intervenne, conquistò la Siria e le località più importanti del Regno del Nord, che dieci anni dopo (722 ) verrà distrutto da un suo successore (Sargon II ). Il Sud restò in pace, ma cadde sotto la protezione dell'Assisia. Isaia disapprovò la politica di Acaz. Isaia 8, 239, 6 è una pericope profetica sulla nascita del Messia, non una visione “filmica” di quella nascita, ma un testo inserito in tutto il processo dell’attesa messianica della salvezza . Il vaticinio annunzia la nascita di un bambino di stirpe regale, che è il re Messia, apportatore di pace, gioia e prosperità, in contrasto con le tenebre dell’occupazione nemica della Palestina settentrionale. Il brano all’inizio accenna ad un passato di umiliazione : “ in passato” ( ka’èt kari’shon ) e alla fine indica un presente e un futuro ricco di luce: “ora e sempre” (me’attàh we’ad-òlàm). Le tematiche portanti sono: 1° il contrasto tra il “passato” è l’”ora e sempre” e l’antitesi tra l’umiliazione e la glorificazione. 2° la molteplice opera di Dio, riassunta con il simbolo della luce (or), che indica la gioia per la liberazione e per la nascita del bambino; 3° il bambino e le sue caratteristiche; 4° la conclusione: tutto è opera di Dio: “questo farà lo zelo del Signore degli eserciti” IN PASSATO ( 8, 23) Questo versetto prende lo spunto dal periodo turbolento in cui Tiglatipilesser III aveva invaso le regioni del Nord della Palestina, che erano state umiliate. I dati geografici con probabilità si riferiscono alla suddivisione territoriale effettuata da quel re assiro e riguardano le zone abitate dalle tribù di Naftali e di Zabulon, corrispondenti alla provincia di Megiddo o “Galilea delle genti”. La zona indicata era quella abitata un tempo dalla tribù di Zabulon e si trova a metà strada tra il Mediterraneo e il lago di Genezaret, che a oriente confinava con il territorio abitato dalla tribù di Neftali, più grande, che arrivava anch’esso fino al mare e che si estendeva molto più verso Nord, oltre la città di Chasor e Kades. Il territorio va approssimativamente dal Giordano al Mediterraneo ( mare ) VIA DEL MARE E TERRITORIO DEI GENTILI (23 ) Questo territorio era una naturale via verso il Mediterraneo e quindi verso l’Egitto. La stessa regione è detta “distretto dei gentili”, perché abitata da una popolazione mista di pagani e di Ebrei. In questo luogo di passaggio Isaia attende una luce, un “re”. ( renderà gloriosa ) E’ la regione in cui verrà Gesù).
CAMMINAVA NELLE TENEBRE ( 9, 1 ) Le tenebre sono quelle dell’oppressione assira. LUCE (1) Nelle tenebre, simbolo del caos e immagine della morte, sorge improvvisa la luce come di una nuova creazione. Il contrasto tra luce e tenebre indica la liberazione e la prosperità che succede all’oppressione straniera e alla miseria del paese. Da una parte la situazione è senza via d’uscita e dall’altra la luce si presenta così improvvisa e inaspettata, che l’evocazione della potenza creatrice di Javhé s’impone da sé. Qui, ma specialmente nei versetti seguenti, sembra che Isaia si elevi ad una concezione che trascende la situazione contingente e un paese e un tempo determinato. HAI MOLTIPLICATO LA GIOIA (2 ) Esplode una gioia, che è paragonata a due altre gioie, uno di tempo di pace e una di tempo di guerra: la mietitura e la divisione della preda. Viene la luce, è moltiplicata la gioia. AL TEMPO DI MADIAM ( 3 ) La liberazione è anche paragonata alla vittoria riportata da Gedeone sui Madianiti ( Gdc 7, 1625 ), non per opera umana ma per l’aiuto di Dio. HAI SPEZZATO….OGNI CALZATURE ( 3 -4 ) Scompare l’oppressione ( il giogo, la sbarra, il bastone) perché la guerra è terminata ( il fuoco distrugge i resti della guerra : le calzature e i mantelli insanguinati ). UN BAMBINO E’ NATO A NOI ( 5 ) Il motivo di tanta luce e tanta gioia e della fine dell’oppressione è la nascita di un bambino. Lo scrittore è tanto certo di questa futura nascita che dice: “E’ nato”. E’ un bambino che rimanda a quello dell’oracolo di 7, 14-15: “ La vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emanuele”. Isaia pensa ad Ezechia? Forse.! Ma ciò che dice supera ogni re d’Israele. “Ci è stato dato “ significa Dio ha dato a noi. In questo bambino di stirpe regale, re della stirpe di Davide, si vede il re-Messia, apportatore di pace, gioia e prosperità, in contrasto con le tenebre dell’occupazione della Palestina settentrionale. SULLE SUE SPALLE ( 6 ) Sembra che ora si passi dalla notizia della nascita all’incoronazione Secondo le usanze del tempo il re sulle spalle ha l’insegna di principe, gli viene consegnato lo scettro e gli vengono attribuiti quattro nomi : 1° Consigliere ammirabile, che opera meraviglie simili a quelle dell’Esodo 2° Dio potente, rivestito di potenza divina 3° Padre per sempre, amministratore della casa reale, 4° Principe della pace. In questi titoli di consigliere, generale, padre e principe che hanno tonalità “divine” sono attribuite al bambino tutte le massime virtù amministrative, militari e regie dei grandi spiriti d’Israele. Alcuni pensano che “ dal grande dominio”, cioè re che ha un vasto dominio , sia un quinto nome. GRANDE DOMINIO E LA PACE ( 6) Il bambino realizza in pieno e per sempre le promesse fatta da Dio alla casa di Davide, però in proporzioni sovrumane. La grande visione supera quanto si può dire dei re d’Israele. Niente manca: il dominio sarà universale, la pace non sarà più turbata, diritto e giustizia saranno sempre presenti. L’avvento di questo monarca segna la fine della storia di Giuda percorsa dall’infedeltà e inizia l’era salvifica in cui il Messia esercita il dominio di pace, di giustizia e libertà, quale rappresentante di Dio. LO ZELO DEL SIGNORE ( 6 ) E’ lo zelo, l’amore fedele di Dio, che compie le promesse.
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) QUESTO FARA’ LO ZELO DEL SIGNORE L’orizzonte immenso che va dal “passato” all’”ora e sempre” è dominato dallo “zelo del Signore”. Dio salva il suo popolo e dalle “tenebre” si fa passare alla “luce"; La stessa situazione si verifica quando Sennacherib assedia Gerusalemme ( 2 Re 19, 31 e Is 37, 32 ) e quando tutto sembra perduto, un “resto” del popolo riuscirà a sopravvivere, è “il “resto” della casa di Giuda che scamperà e continuerà a mettere radici e a dar frutto”. “In Isaia 8, 23-9, 6 , Dio, che è padrone del tempo e della storia sta per compiere una salvezza forte e amorevole verso il suo popolo, è in procinto di donare al popolo un principe straordinario… Le terre di Zabolon e di Neftali vivono un’umiliazione legata alla
correzione per i peccati commessi; la loro liberazione sarà una delle tante esperienze di salvezza divina ( = gloria) vissute dal popolo ebraico. ” (Da: De Zan ) LUCE, GIOIA, PACE La liberazione straordinaria delle regioni del Nord è simboleggiata attraverso i segni della “luce”, della “gioia”, della “pace”. “Le “tenebre” sono vinte dalla “luce”, che è la prima creatura di Dio (Gn 1, 3) e costituisce il passaggio dalla non esistenza all’esistenza della creazione….. la reazione del popolo sarà di grande “gioia”; il tema della gioia è strettamente connesso al tema della luce… e illustra la situazione escatologica dei salvati….il terzo elemento simbolico è la pace ( shalon) …..Luce, gioia e pace sono elementi fondanti dell’epoca messianica che Dio ha voluto fosse in qualche modo preannunziata dalla liberazione delle regioni del Nord. Tale epoca messianica sarà affidata a quel “bambino” misterioso di cui viene fatta la descrizione”. (Da: De Zan ) IL BAMBINO La descrizione del “bambino” è fatta attraverso titoli di rango. In oriente si usava date ai re alcuni nomi o titoli reali d’intronizzazione; questi nomi in Egitto in genere erano cinque, mentre presso gli ebrei ne venivano attribuiti quattro. Qui ne troviamo appunto quattro, anche se alcuni commentatori pensano siano cinque o addirittura sei . I titoli sono : Consigliere ammirabile (pèle’yo’etz), Dio potente ( ‘el gibbor ), Padre per sempre (‘abi’àd ), Principe della pace ( sa-shalom ), Consigliere ammirabile indica la sapienza, Dio potente indica la capacità di portare a termine i progetti senza che nessuno possa impedirglielo, Padre per sempre indica un tempo lunghissimo di governo e Principe della pace mette in risalto le qualità del bambino. Si tratta quindi di un bambino straordinario dalla fisionomia messianica, della discendenza di Davide e con qualità divine. JAHWEH SALVATORE Isaia vede in Jhwèh la caratteristica del Salvatore come parte del suo essere Dio…Dio è salvatore di tutti gli uomini e lo è sempre: “in passato, ora e sempre” . Questa perennità dell’identità divina alle volte viene messa in dubbio dal credente, quando nella sofferenza e nell’incomprensibilità del dolore, urla a Dio la sua angoscia: “E’ forse cessato per sempre il suo amore, è finita la sua promessa per sempre? Può Dio ave dimentica la misericordia, aver chiuso nell’ira il suo cuore? E ho detto; “Questo è il mio tormento: è mutata la destra dell’Altissimo” ( Salmo 77, 9-11 ), L’esperienza salvifica del passato insegna che Dio è sempre se stesso. Egli, come ha agito in passato, agirà anche oggi e agirà anche in futuro….“Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre” ( Eb 13, 8 ). Ma la salvezza ha un costo. E tale costo è saldato da Dio stesso per mezzo del Bambino isaiano. ( vedi De Zan ) ATTESA DEL MESSIA L’attesa del Messia ha avuto varie accentuazioni nel corso dei secoli. Nei patriarchi troviamo le promesse e le benedizioni riferite al possesso della terra e alla crescita di Israele. Con l’Alleanza, la speranza si allarga e diventa universale. Al tempo della monarchia si pensa che attraverso la monarchia Dio attuerà il destino di Israele. E’ di questo periodo la promessa di Natan sulla perennità della dinastia davidica. In Isaia, nel periodo della pressione assira, la nascita del Bimbo “Emanuele” ( c. 7 ) è garanzia che Dio protegge Israele, l’intronizzazione del re e le sue qualità sovrumane, sono segno della salvezza certa ( c. 9 ), la rinascita del germoglio ( c. 11 ) garanzia dopo il vassallaggio dell’Assiria.( c. 9 ) Nel periodo dell’esilio , si pensa ad una ristrutturazione del Regno di Javhé, come centro di tutte le nazioni e alla sua riforma morale. Ciò avverrà non per impegno politico, ma per intervento divino con la collaborazione dell’uomo. Dopo la caduta della monarchia, è in risalto il messianismo del “servo”, che porta la salvezza. Nel periodo persiano, in Zaccaria, il re è raffigurato in un “povero” ( Zc 9, 9), il messia atteso salva soffrendo e donando. Nel I-I secolo si attende un re messianico. LETTURA CRISTIANA La nostra pericope è un mirabile vaticinio che annunzia un bambino di stirpe regale, un re della discendenza di Davide, che è il re-Messia, apportatore di pace, gioia e prosperità, in contrasto con le tenebre dell’occupazione della Palestina settentrionale. Il Nuovo Testamento e la tradizione della Chiesa hanno letto questa grande profezia in senso messianico e l’hanno riferita a Cristo ( Lc 4, 13-16; Lc 1, 32). Fino a Cristo infatti c’era stato attesa e speranza, ideale non compiuto, ma creduto e desiderato e quindi tensione verso il futuro, come annunzio e preparazione e solo in Cristo viene ad assumere la pienezza di
significato. I Padri della Chiesa e la liturgia cristiana hanno applicato direttamente a Cristo i quattro nomi del versetto Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. IL POPOLO VIDE UNA GRANDE LUCE. La luce sfolgorante indica il mondo misterioso di Dio manifestato agli uomini e il suo piano eterno di salvezza svelato. E’ la gloria di Javhè che si rende visibile agli occhi mortali, è la potenza divina che si fa toccare con mano, è l’amore infinito di Dio da cui il popolo si sente illuminato Questa luce è presente a Natale e scaccia le tenebre del dolore, della morte, dell’errore, dei dubbi, di ogni male. Gesù che nasce è la luce che manifesta il vero volto di Dio e la sua infinita bontà, svela pienamente il mistero del suo piano di amore e fa cadere i dubbi sulla vocazione e sul destino dell’uomo e del mondo. Il Bambino di Betlemme dona agli uomini la salvezza, mette in luce la vera dignità di ogni persona, il senso di ogni vita , la meta della storia. Perché nasce Gesù il male, il peccato, la morte sono destinati a scomparire e la pace, la gioia, la bontà, l’amore a trionfare per sempre. HAI MOLTIPLICATO LA GIOIA Non è difficile comprendere perché il Signore arreca gioia. La luce portata da Gesù è la verità sull’uomo e su Dio, che alimenta la fede e dilata la vita del cristiano. E scoprirci amati da Dio e invitati a collaborare a un progetto di salvezza, che abbraccia il mondo, è qualcosa di meraviglioso, che non può non riempire di gioia la vita. Gesù stesso nell’Ultima Cena ha confidato agli Apostoli il senso della sua venuta : “ Perché la mia gioia sia in voi” ( Gv 15, 11) “ Perché la vostra gioia sia piena “ ( Gv 16, 24 ). Aveva capito bene tutto questo S. Paolo, che scrisse ai cristiani di Filippi : “ Siate lieti, ve lo ripeto : siate lieti” ( Fil 4, 4 ). Ma noi forse pensiamo troppo poco alla gioia come conseguenza dell’essere cristiani, come caratteristica dello stile di vita inaugurato da Gesù. Il cristiano è ottimista e il suo ottimismo nasce dalla sua fede e dalla sua speranza. Non si affida agli stati d’animo, non poggia la sua serenità o tristezza sugli umori del momento. Non è un ingenuo che chiude gli occhi di fronte all’ingiustizia, alla sofferenza, alla malattia, alla morte. Sa che nella vita gli aspetti negativi ci sono. Ma colloca ogni sua considerazione all’interno del progetto di Dio. Il suo ottimismo è senza illusioni ingenue, perché egli sa di doversi misurare con il male. Ma nello stesso tempo è ben radicato sulla parola del Signore, sulla speranza in quel Gesù che ci ha promesso : “ Vado a preparavi un posto” ( Gv 14, 2 ). ( E. Bianchi ) INIZIO IN GALILEA Gesù inizia la predicazione in Galilea perché la Galilea era una regione religiosamente povera, terra di tenebre e di morte, che attende vivamente la rivelazione salvifica di Dio. E’ sua regola costante scegliere ciò che nel mondo è piccolo e disprezzato per realizzare con esso le meraviglie della sua salvezza. La Galilea entra a pieno titolo in questa tattica di Dio. Non è dunque una scelta casuale, ma il compimento di una rivelazione che diverrà progressivamente sempre più chiara. ( L. Monari )
PREGHIERA (=pregare la parola ) Ti ringrazio, Dio, perché ci hai chiamati dalle tenebre allo splendore della tua luce. Sii lodato per sempre, Dio del tuo Figlio Gesù, Dio dell’eterna misericordia, Dio di tutti gli uomini smarriti, Dio di chi soffre e muore, Dio che ci segui lungo i nostri oscuri cammini. O Dio, che hai illuminato questa santissima notte con lo splendore di Cristo, vera luce del mondo, concedi a noi che sulla terra lo contempliamo nei suoi misteri, di partecipare alla sua gloria nel cielo. (Colletta: messa natalizia della notte ) La creazione ti grida in silenzio, la profezia da sempre ti annunzia; ma il mistero ha ora una voce, al tuo vagito il silenzio è più fondo. E pure noi facciamo silenzio, più che parole il silenzio lo canti, il cuore ascolti quest’unico Verbo, che ora parla con voce di uomo. A te, Gesù, meraviglia del mondo, Dio che vivi nel cuore dell’uomo, Dio nascosto in carne mortale, a te l’amore che canta in silenzio. (David Maria Turoldo ) Maria, insegnaci a serbare nel cuore, stupiti, ammirati, il segreto gioioso dell’umile incontro alla grotta di Betlem, lì dove il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo si fanno volto di uomo nell’Uomo, affinché ogni uomo ritrovi il suo volto. O Madre di pace, insegnaci a dire col coro degli angeli la gloria di Dio e la pace del mondo. ( Suore Clarisse)
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE (=assunzione di impegni concreti) Viviamo sempre alla luce del Salvatore Gesù e avremo gioia e pace.
ISAIA 11, 1-10 1Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse (Yishày), un virgulto germoglierà dalle sue radici (mishorshàyw). 2Su di lui si poserà lo spirito ( rùach ) del Signore ( Jahwèh), spirito di sapienza (chokmàh ) e di intelligenza ( binàh), spirito di consiglio (ezàh) e di fortezza ( gheburràh), spirito di conoscenza (dà’at) e di timore (yir’àt) del Signore (Jahwèh). 3Si compiacerà del timore del Signore. Non giudicherà secondo le apparenze e non prenderà decisioni per sentito dire; 4ma giudicherà con giustizia i miseri e prenderà decisioni eque per gli oppressi del paese. La sua parola sarà una verga che percuoterà il violento; con il soffio delle sue labbra ucciderà l`empio. 5Fascia dei suoi lombi sarà la giustizia, cintura dei suoi fianchi la fedeltà. 6Il lupo dimorerà insieme con l`agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il leoncello pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà. 7La vacca e l`orsa pascoleranno insieme; si sdraieranno insieme i loro piccoli. Il leone si ciberà di paglia, come il bue. 8Il lattante si trastullerà sulla buca dell`aspide; il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi. 9Non agiranno più iniquamente né saccheggeranno in tutto il mio santo monte, perché la saggezza (de’àh) del Signore (Jahwèh) riempirà il paese come le acque ricoprono il mare. 10In quel giorno ( wehayàh bayyòm hahu ) la radice (shoresh) di Iesse (Yishày) si leverà a vessillo per i popoli, le genti la cercheranno con ansia, la sua dimora sarà gloriosa.
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) Il brano Isaia 11, 1-10 è inserito nel “libro dell’Emanuele” (7-12) ed è un celebre poema messianico. In contrasto con l’umiliazione che Javhé infliggerà all’Assiro sotto le porte di Gerusalemme. Isaia presenta la persona, le qualità ed il regno ideale del discendente davidico, apportatore di giustizia e di pace universali; è un oracolo di pace definitiva, di un nuovo paradiso. E’ probabilmente dell’ultimo periodo dell’attività profetica. Per alcuni il testo non è di Isaia, ma dei primi tempi dell’esilio, quando il regno di Giuda era stato stroncato ed era rimasta solo una radice. IN QUEL GIORNO (1 ) Nei versetti precedenti (10, 24-27 ) vengono annunziati la cessazione dell’invasione assira e il rapido arresto dell’aggressore alle porte di Gerusalemme, grazie all’intervento di Javhé ( 10, 28-34 ). UN GERMOGLIO (1 ) Nei versetti precedenti (10, 24-27 ) vengono annunziati la cessazione dell’invasione assira e il rapido arresto dell’aggressore alle porte di Gerusalemme, grazie all’intervento di Javhé ( 10, 28-34 ). In contrasto con la potenza assira, i cui rami saranno abbattuti “con veemenza” da Javhé, la volontà di Dio farà sorgere un nuovo germoglio dalle radici dell’albero della dinastia davidica. Come radice è nominato “Jesse”, padre di Davide e quindi antenato della dinastia davidica. Il pensiero è orientato agli umili inizi , ad un stirpe fatta di contadini e di pastori sconosciuti di Betlemme, da cui prima provenne Davide e in avvenire un nuovo Davide. Anche “germoglio” e “virgulto” alludono all’umile condizione di provenienza del nuovo Davide. SI POSERA’ LO SPIRITO ( 2 ) E’ la potenza divina concessa a persone elette destinate a gesta straordinarie. Il re messianico è permanentemente rivestito della pienezza della forza celeste. SPIRITO ( 2 ) La forza celeste riempie di doni l’eletto: di sapienza (conoscenza delle cose e capacità della vita pratica ), di intelligenza (capacità di discernere il bene e il male, il vero e il falso), di consiglio (capacità di indicare ai sudditi la via per una vita felice e di fare progetti e prendere decisioni ), di fortezza ( forza per mettere in pratica le decisioni), di conoscenza ( intuitiva e riconoscimento pratico di Dio ), di timore ( atteggiamento di venerazione davanti al creatore e di osservanza della sua legge ), di pietà, così i 70 hanno
tradotto la ripetizione di “timore del Signore”. E si è giunti così all’indicazione di sette doni, che servì poi di fondamento per la dottrina dei Padri e dei teologi che parlano dei “sette doni dello Spirito Santo” . NON GIUDICHERA’ ( 3 ) Dalla pienezza dei carismi spunta un governo giusto. Compito del capo o re è amministrare la giustizia e, prima di tutto, difendere il povero e l’oppresso. Il futuro capo imporrà il regno della giustizia e del diritto, senza parzialità personali, senza cedere a calunnie o false informazioni ( per sentito dire ). GIUDICHERA’ CON GIUSTIZIA ( 4 ) I poveri e gli oppressi, che potevano sperare aiuto e protezione solo da Dio, potranno ottenere giustizia per mezzo dei decreti del futuro re messianico. SARA’ UNA VERGA (4 ) La sua sentenza sarà “parola” efficace, verga che esegue il castigo del colpevole, “ soffio” che condanna a morte del malvagio. FASCIA DEI SUOI LOMBI (5 ) La funzione che ha nel vestito la cintura, che tiene insieme la tunica, dà libertà di movimento, diventando così anche un’attrezzatura necessaria per la battaglia e dà ornamento all’uomo, ha la giustizia nella condotta del re messianico. IL LUPO DIMORERA’ (6 ) Segue un quadro idilliaco, che illustra l’abbondanza della pace esistente nel nuovo regno. Le metafore sono tratte dal mondo animale e presentano una convivenza armonica degli animali tra loro e con l’uomo. In una serie di cinque membri gli animali feroci sono messi insieme o con animali domestici o con l’uomo. Il ritorno allo stato paradisiaco si basa sulla concezione ebraica dello stretto nesso che unisce l’uomo e l’opera della salvezza alla natura. La lotta e il disordine furono introdotti nel mondo dalla rivolta dell’uomo contro Dio ( Gn3, 17-19), mentre la pace universale è opera del re messianico. UN FANCIULLO… BAMBINO METTERA’ (6-8 ) Profondamente significativo è il tema del bimbo: gli animali si sono fatti così mansueti, che basta un bambino a pascolarli; oppure si sono fatti così mansueti per opera del bambino, che in questo caso sarebbe “il germoglio”. NON AGIRANNO PIU’ (9 ) Distrutti i malvagi e ammansite le fiere, il male cessa in questo nuovo paradiso, al cui centro sta il Monte Santo, sul quale Dio ha stabilito la sua dimora. Nel primo paradiso l’uomo si rovinò per aver ambito la “scienza di Dio”, qui gli si concede la “saggezza del Signore”, conoscere convivendo. E questo è pienezza di gioia e di pace, paragonabile all’immensa pienezza del mare ( come le acque ). IN QUEL GIORNO (10 ) Questo versetto fa parte del quadro seguente (11, 10-16 ), che descrive la pace e la concordia ritrovata tra i regni di Giuda e di Israele e il ritorno di tutti i dispersi ed esiliati nella terra d’Israele. Probabilmente il brano è del tempo dell’esilio ed è stato unito al precedente a causa della somiglianza delle espressioni “radice di Jesse”. Dice che la radice di Jesse, il germoglio, il futuro re sarà la salvezza per tutti; tutte le nazioni accorreranno a lui e accetteranno i suoi richiami e le sue decisioni. La salvezza che si estenderà anche ai pagani conferirà splendore alla residenza del Messia, al santo Monte del Signore e questo luogo diventerà il punto centrale della aspirazioni dei popoli verso Dio.
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) IL GERMOGLIO In contrasto con le armate assire, la salvezza viene da un “germoglio” proveniente da una radice, che sembra ormai secca. La radice è la dinastia di Davide ( Iesse era il padre di Davide ) e il germoglio è un bambino. Su questo germoglio passa un vento che arriva dai quattro punti cardinali e trascina con sé sei doni. Il vento è lo spirito di Dio, animatore dei capi carismatici. I doni sono quelli dell’investitura del “germoglio”, che è un personaggio non qualunque, ma un uomo sempre sperato e messo all’orizzonte dell’attesa si Isreale: è il Messia. I DONI DELLO SPIRITO DI JAHWEH La versione dei 70 ha tradotto la ripetizione di “timore del Signore” del versetto 2 con “pietà” e
la versione latina della Vulgata , per la poca chiarezza dell’ebraico, ha tradotto “conoscenza” come “scienza”, e i doni qui indicati sono stati letti sono risultati: sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà, timor di Dio e si è giunti così alla concezione di sette doni dello Spirito Santo, che servì poi di fondamento per la dottrina dei Padri e dei teologi che parlano appunto di “sette doni dello Spirito Santo. Però la traduzione di dà’at (=conoscenza ) e yir’àt Jahwèh ( = timore del Signore ), con “scienza” e “pietà” non è esatta e “rùach Jahwèh” , significa “spirito del Signore” e non “Spirito Santo”. Del resto i doni dello Spirito Santo non sono certamente solo sette, ma un numero senza fine. Lo spirito del Signore è il “carisma divino” donato ai profeti ( Is 40, 16 ), il dono che costituiva i Giudici ( Gd 3, 10 ) . Qui lo spirito donato al “germoglio” è prima di tutto capacità di governo ( sapienza e intelletto ) , poi capacità di progettare e portare a compimento ciò che è stato pensato ( consiglio e fortezza ) (conoscenza e timor di Dio ) ed infine capacità di possedere una dimensione religiosa profondissima. TIMORE DEL SIGNORE L’espressione “timore del Signore” riassume tutto ciò che lo spirito del Signore ha donato al “Germoglio”: capacità di governare, di progettare, di portare a compimento, di fare esperienza continua di Dio. In questo orizzonte si colloca una delle azioni più efficaci della sua regalità: l’amministrazione della giustizia…… La giustizia e la fedeltà saranno “fascia dei suoi lombi”, saranno come un tutt’uno con lui. Sarà il soffio delle sue labbra a percuotere e uccidere colpevole. Egli distruggerà con la sua sola parola il male, creerà il bene e la giustizia, così come Dio creatore, mentre crea la luce distrugge le tenebre. ( Da : De Zan ) DIMENSIONE PARADISIACA La nuova situazione che sarà realizzata per l’intervento del “Germoglio” sarà paradisiaca. E’ il ritorno alla situazione dell’umanità precedente la cacciata dal Paradiso terrestre. Si tratta di un ripristino del mondo così come lo aveva sognato il Signore fin dal suo inizio. La situazione paradisiaca non comporterà la presenza del peccato, infatti l’essere umano più indifeso, il lattante, può stare senza pericolo col serpente, che aveva spinto alla caduta i primogenitori. La situazione di pace universale tra popolo e popolo, tra uomo e animale e tra animale e animale sarà perfetta e avverrà per opera del “Germoglio”. La Chiesa nascente che ha subito identificato con Gesù il “Germoglio” della profezia di Isaia, ha constatato che con la sua venuta i tempi paradisiaci sono incominciati, e che i credenti possono esperimentare le realtà future come ormai possedete, anche se non ancora fruite del tutto…. Con Gesù che, durante le sue tentazioni, ha manifestato il ritorno della situazione paradisiaca come possibile ( nel deserto stava con le bestie selvatiche e gli angeli lo servivano : Mc 1, 13 ) , inizia l’incontro tra storia e felicità escatologica. Parlando del dono eucaristico… egli afferma da un parte la vita eterna come già presente, adesso, nel credente che mangia la sua carne e beve il suo sangue, dall’altra promette a lui per il futuro la resurrezione dai morti: “Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno” ( Gv 6, 54 ). ( Da : De Zan ) GESU’, L’UOMO DELLO SPIRITO, LO DONA A NOI Gesù è l’uomo dello Spirito, sempre presente nella sua vita, come egli stesso dice: “ Lo Spirito del Signore è sopra di me”. ( Lc 4, 18 ) Tutto ciò che Gesù ha detto e ha fatto è manifestazione di Cristo e dello Spirito . E Gesù dona a noi il suo Spirito, senza il quale non c’è esperienza di Dio: “Ricevete lo Spirito Santo” ( Gv 20, 23 ), “nessuno può dire “Gesù è Signore” se non sotto l’azione dello Spirito Santo”. ( 1Cor 12, 3 ) IL REGNO DEI CIELI E’ VICINO Mentre Giovanni predicava vedeva vicino l’avvento del Regno, della sovranità di Dio. Già toccava con mano che il Signore stava per erigere in modo definitivo e una volta per sempre la sua signoria in mezzo a questo mondo e alla sua storia e stava per giungere l’ora in cui sarebbe apparso evidente che la vita e l’attività dell’uomo nella storia hanno avuto un senso, perché in mezzo agli innumerevoli traviamenti dei singoli destini e della storia universale era in azione Dio. Questo Regno ha le fattezze di un uomo. E Giovanni lo vede come uno che, al momento della raccolta, sparge al vento col suo ventilabro le granaglie giacenti al suolo, cosicché la pula vola via, mentre i chicchi pesanti ricadono nell’aia e vengono raccolti nei granai eterni. Il Regno di Dio è davvero venuto nella figura di Gesù di Nazaret. Di fronte a Lui la pula si separa dal grano. E’ lui che fa sperare che la storia non sarà come la sabbia, che scivola senza fine fra le
dita, come la pula che si disperde al vento, bensì come il grano, che viene portato nei granai. Egli mostra che la presenza della signoria di Dio non si avvera per il fatto che Dio interviene continuamente nell’ingranaggio del mondo, bensì per il fatto che la sua volontà, che sola dona senso e scopo alla storia, viene attuata nelle azioni libere e responsabili dell’uomo. Nelle opere dell’amore di fronte ai colpiti e ai piegati dalla sventura matura il grano destinato a riempire i granai celesti. ( W. Stenger )
PREGHIERA (=pregare la parola ) O Dio dei viventi, suscita in noi il desiderio di una vera conversione, perché rinnovati dal tuo Santo Spirito sappiamo attuare in ogni rapporto umano la giustizia, la mitezza, la pace, che l’incarnazione del tuo Verbo ha fatto germogliare nella nostra terra. (Colletta 2 Avvento A ) Signore, il Precursore ci ha avvertiti che la scure è già alla radice dell’albero, pronta ad abbattere tutti quelli che non portano frutto. Taglia in noi i rami secchi e i germogli dell’egoismo, della pigrizia, della superbia, dell’indifferenza. Sostieni il nostro sforzo di conversione, affinché possiamo offrirti frutti copiosi di grazia e di santità. (C. Bréthes ) Tu sei un Dio d’amore, Signore: da te sappiamo che la stessa giustizia è ingiusta se non è ispirata all’amore; perciò ti chiediamo di dare a noi la coscienza del nostro peccato, a te, di non dimenticarti mai della tua pietà. ( David Maria Turoldo ) Dal nostro cuore di pietra, se lo consegniamo a te, tu sai trarre figli di Abramo. Se ci lasciamo battezzare dal tuo Spirito, immergere in te, acqua viva, tu riemergerai in noi per la compiacenza del Padre, quale Unico Figlio Diletto e quale frutto unico di quella terra benedetta che fu il grembo di tua Madre Vergine. Concedi di portare in noi quel regno dei cieli che tu sei, come frutto di vera e irreversibile conversione.
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE
(=assunzione di impegni concreti)
Apriamo il nostro curo allo Spirito che Gesù ci dona.
ISAIA 22, 1-24 Contro Gerusalemme Oracolo sulla valle della Visione. Che hai tu dunque, che sei salita tutta sulle terrazze, 2 città rumorosa e tumultuante, città gaudente? I tuoi caduti non sono caduti di spada né sono morti in battaglia. 3 Tutti i tuoi capi sono fuggiti insieme, fatti prigionieri senza un tiro d`arco; tutti i tuoi prodi sono stati catturati insieme, o fuggirono lontano. 4 Per questo dico: "Stornate lo sguardo da me, che io pianga amaramente; non cercate di consolarmi per la desolazione della figlia del mio popolo". 5 Poiché è un giorno di panico, di distruzione e di smarrimento, voluto dal Signore, Dio degli eserciti. Nella valle della Visione un diroccare di mura e un invocare aiuto verso i monti. 6 Gli Elamiti hanno preso la faretra; gli Aramei montano i cavalli, Kir ha tolto il fodero allo scudo. 7 Le migliori tra le tue valli sono piene di carri; i cavalieri si sono disposti contro la porta. 8 Così egli toglie la protezione di Giuda. Voi guardavate in quel giorno alle armi del palazzo della Foresta; 9 le brecce della città di Davide avete visto quante fossero; avete raccolto le acque della piscina inferiore, 10 avete contato le case di Gerusalemme e demolito le case per fortificare le mura; 11 avete costruito un serbatoio fra i due muri per le acque della piscina vecchia; ma voi non avete guardato a chi ha fatto queste cose, né avete visto chi ha preparato ciò da tempo. 12 Vi invitava il Signore, Dio degli eserciti, in quel giorno al pianto e al lamento, a rasarvi il capo e a vestire il sacco. 13 Ecco invece si gode e si sta allegri, si sgozzano buoi e si scannano greggi, si mangia carne e si beve vino: "Si mangi e si beva, perché domani moriremo!". 14 Ma il Signore degli eserciti si è rivelato ai miei orecchi: "Certo non sarà espiato questo vostro peccato, finché non sarete morti", dice il Signore, Dio degli eserciti. 1
Contro Sebnà Così dice il Signore, Dio degli eserciti: "Rècati da questo ministro, presso Sebnà, il maggiordomo, 16 bche si taglia in alto il sepolcro e si scava nella rupe la tomba: 16 aChe cosa possiedi tu qui e chi hai tu qui, che ti stai scavando qui un sepolcro? 17 Ecco, il Signore ti scaglierà giù a precipizio, o uomo, ti afferrerà saldamente, 18 ti rotolerà ben bene a rotoli come palla, verso un esteso paese. Là morirai e là finiranno i tuoi carri superbi, o ignominia del palazzo del tuo padrone! 19 Ti toglierò la carica, ti rovescerò dal tuo posto. 15
Elevazione di Eliakim In quel giorno chiamerò il mio servo Eliakìm, figlio di Chelkia; 21 lo rivestirò con la tua tunica, lo cingerò della tua sciarpa e metterò il tuo potere nelle sue mani. Sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme e per il casato di Giuda. 22 Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide; se egli apre, nessuno chiuderà; se egli chiude, nessuno potrà aprire. 23 Lo conficcherò come un paletto in luogo solido e sarà un trono di gloria per la casa di suo padre. 24 A lui attaccheranno ogni gloria della casa di suo padre: discendenti e nipoti, ogni vaso anche piccolo, dalle tazze alle anfore". 25 In quel giorno - oracolo del Signore degli eserciti - cederà il paletto conficcato in luogo solido, si spezzerà, cadrà e andrà in frantumi tutto ciò che vi era appeso, perché il Signore ha parlato. 20
LETTURA (= leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) Contro Gerusalemme (1-14 ) 1-14 è di Isaia, ma l’interpretazione del capitolo è discussa. Forse tratta della campagna di Sennacherib del 701, Immediatamente prima dell’assedio di Gerusalemme. Gli abitanti della città si danno alla gioia spensierata e Isaia annunzia la catastrofe. VALLE DELLA VISIONE (1 ) 'Valle della Visione' è forse un nome simbolico; certamente si tratta di Gerusalemme, circondata
dalla valle di Himmon e sede del profetiamo ebraico. la cui euforia sarà spenta dalla catastrofe che incombe. Nello sfondo è la campagna di Sennnacherib del 701 a. C. I TUOI CADUTI (2) Sono i morti dell’imminente assedio del 701. Mentre la città è piena di strepiti e gaudente si prepara la tragedia: morti in battaglia, capi che fuggono, soldati in rotta e prigionieri. STORNATE LO SGUARDO (4 ) Il profeta dà libero sfogo ad un sentimento umano, dato che tutto è avvenuto in modo diverso da come sperava. E chi può consolare il profeta? E’ GIORNO DI PANICO (5 ) Isaia allude all’assedio del 701: distruzione, confusione, mura abbattute, fuga verso i monti. ELAN.. ARAN .. KIR(6 ) Forze ausiliare dell’Assiria nell’occupazione della Palestina. Non si sa chi sia Kir. LE TUE VALLI (7 ) Le valli attorno a Gerusalemme rigurgitano di carri da guerra, i nemici sono alle porte della città, che è senza difesa, persino l’armeria, situata in un palazzo dalle colonne di cedro, è in pericolo. CITTA’ DI DAVIDE (9) Il nemico ha fatto breccia anche nel cuore di Gerusalemme, nella città di Davide, la fortezza gebusea della parte sud-orientale. VOI GUADAVATE (8-10 ) Il profeta si riferisce ai lavori del re Ezechia per fronteggiare l'assedio: cfr 2 Re 20. 20. cfr2 Cr 32, 15.30. Il palazzo della Foresta era una sala sostenuta da colonne di cedro che faceva da armeria: cfr 1 Re 7, 25. cfr10, 17. AVETE RACCOLTO LE ACQUE (9) Durante l’assedio si corre ai ripari. Ezechia fa delle opere per assicurare acqua alla città, si pensa a nuove costruzioni di difesa , viene costruita la piscina di Siloe. NON AVETE GUARDATO ( 10) Le opere di difesa erano state fatte, ma il popolo non ha avuto fiducia nell’aiuto divino. AL PIANTO… ED E CCO SI GODE ( 12-13 ) Gli abitanti della città avrebbero dovuto fare digiuni e lamenti, invece si comportano spensieratamente e cinicamente. SI GODE E SI STA ALLEGRI (13) E' la spensieratezza dei disperati. Sebnà ed Eliakim (15-25 ) I versetti 15-25 sono sempre di Isaia, ma anteriori alla campagna di Sennacherib; sono un oracolo riguardante Sebnà, maggiordomo di Ezechia, megalomane, che viene rimproverato e al quale viene predetta la sostituzione con Eliakim. SEBNA (15) Sebnà forse uno straniero (v. 16a) e divenne maggiordomo del re (2 Re 18, 18.37), 2 Re 36, 3.11. SI TAGLIA IN ALTO (16 ) Si era fatto costruire un sepolcro sotterraneo, secondo l’uso egiziano. TI SCAGLERA (17 ) Con alcune metafore Isaia dice che Sebnà sarà rimosso dal suo posto. ELIAKIM (20 ) Il posto di Sebnà sarà preso da Eliakin, che si comporterà bene e sarà come un padre per gli abitanti di Gerusalemme. LA CHIAVE DELLA CASA DI DAVIDE ( 22 ) La chiave er simbolo dell’autorità del maggiordomo. Aprire e chiudere indicavano i poteri di governo. Mt 16, 19 le applicata a Pietro . In Apocalisse 3, 7 è usata la stessa figura per indicare il supremo potere di Gesù. SOSPESA LA GLORIA (24 ) I versetti 24-25 in prosa forse sono stati aggiunti dopo e dicono che nemmeno Eliakim si comportò bene e anche lui fu rimosso, forse per favoritismi. Piccolo vasellame indica ironicamente i parenti prossimi del maggiordomo.
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) PADRE DEL POPOLO I versetti 15-24 parlano del licenziamento di un funzionario della corte regale e della chiamata, al suo posto di un successore. Di per sé si tratta di una faccenda politica, ma Isaia in questo evento ci vede un’azione speciale di Dio. Il motivo di ciò va visto nella concezione del profeta secondo la quale Dio conduce e guida l’umanità in generale e il popolo eletto in particolare, attraverso uomini chiamati a questo scopo. Così tutti i profeti si sanno obbligati di fronte a Dio a svolgere una determinata missione in forza della loro vocazione. Anche i sacerdoti e i leviti sono dei chiamati da Dio, come lo sono i re e le guide del popolo. Essi sono responsabili del popolo davanti a Dio e il loro comportamento può indurre su di esso benedizione o maledizione. Perciò anche i funzionai del re vanno considerati come degli incaricati di Dio. Nel licenziamento di Sebna e nella vocazione di Eliakim il bene del paese appare come il motivo principale. Il lusso del primo è una provocazione per i poveri e pesa su tutta la comunità, quando è frutto di un’amministrazione disonesta. Invece il nuovo chiamato Eliakin sarà un “padre” per il popolo e nel linguaggio veterotestamentario tale titolo significa sia creatore che benefattore. Nella visione del futuro, che ha Isaia , anche il Messia viene denominato “padre in eterno”, infatti egli è il creatore del popolo messianico, in quanto dona nuova vita, ed è il suo benefattore, in quanto gli porta la salvezza . ( J. Schtriner) CHIAVE DI DAVID A partire dalla profezia di Natan (2 Sam 7 ) la dinastia davidica era portatrice dell’aspettava messianica . E anche i funzionari partecipavano della vocazione dei re. . Con la loro attività e con il loro comportamento essi partecipavano alla formazione o al deturpamento dell’immagine del futuro re salvifico tracciato dai profeti. Per questo non fa meraviglia che Isaia faccia risuonare degli accenni messianici nella cerimonia della trasmissione dell’ufficio ad Eliakim. Egli si vede porre sulle spalle le chiavi della casa di Davide: condivide l’onore e il peso di tutte le aspettative, legate alla casa davidica. La sua attività è quella di un padre della casa di Giuda e l’allusione al “padre in eterno” delle profezie messianiche del capitolo 11 è evidente anche nella forma. Questa concezione ha portato Padri della Chiesa a vedere in Eliakim un’immagine del futuro Messia. Anche della Chiesa ha assunto queste formulazione nell’antifona del Magnificat del 20 Dicembre: “O chiave di Davide e scettro della casa di Israele” . ( E Zemgher ) IL POTERE DELLE CHIAVI Gesù affida a Pietro il ruolo di base, di roccia-fondamento della sua Chiesa.: non è Pietro che fa la Chiesa e non è lui il Signore della Chiesa. Gesù afferma che egli stesso “edificherà” la “sua” Chiesa. E’ poi spiegato in che consiste il potere di “legare e sciogliere”. Il “potere delle chiavi trasmesso a Pietro riguarda l’interpretazione autorevole della volontà di Dio come l’ha rivelata e attuata Gesù. Questa connotazione magistrale del potere delle chiavi in rapporto al Regno dei cieli è confermata dalla sentenza sul “legare e sciogliere”, che nel linguaggio rabbinico denota prima di tutto l’interpretazione e l’applicazione della legge. Pietro come saggio discepolo del regno dei cieli, ha il compito di interpretare in modo autorevole la volontà di Dio rivelata nelle parole e nei gesti di Gesù”. ( R. Fabbris ) LEGARE- SCIOGLIERE In Matteo 16, 19 troviamo le metafore delle «chiavi» e del «legare/sciogliere», per parlare dell'autorità e responsabilità di Pietro. Contro l'errato esercizio di tale ruolo da parte dei farisei (che legano fardelli, e impediscono l'entrata nel regno dei cieli), il buon uso è quello di interpretare - nella scia di Gesù la volontà di Dio in modo che diventi vera salvezza per tutti. Questa guida autentica è a soccorso della vita ecclesiale, suo fondamento e suo riferimento di esistenza e di coesistenza, essenziali per una comunità organizzata. La metafora delle «chiavi» esprime la funzione di Pietro come custodia dell'edificio/chiesa e come responsabilità autorevole su di essa, fiduciario immediato del Cristo risorto. Con la metafora del legare/sciogliere, traducibile secondo i rabbini con proibire/permettere, Pietro è il discepolo saggio che sa tradurre la volontà salvifica di Dio, rivelata in Gesù, per il bene di tutti. Pietro (e gli altri discepoli, cioè quelli cui si darà il nome di «chiesa apostolica») ha una funzione di fondamento/stabilità/fiducia e di interprete autentico (sarà riconosciuto anche da Dio) della dottrina e morale di Cristo, per la salvezza degli uomini. (Secondo Migliasso )
IL MANDATO DI PIETRO Cristo conferisce a Pietro un mandato molto grande, quello di rendere visibile la pietra d’angolo dell’edificio ecclesiale che è Cristo Risorto. La Pietra è Cristo. Pietro non gli fa concorrenza, ma lo rivela e lo rende presente. Il primato è sempre e solo di Cristo. Tutto viene da Lui, tutto cammina verso Lui. Pietro rende visibile questo primato. A questo titolo gli è dato il potere delle chiavi: apre e nessuno chiude, chiude e nessuno apre. La Chiesa è animata così da due azioni sincronizzate: quella invisibile dello Spirito di Cristo e quella visibile dell’Apostolo che ne è strumento.. E’ così ad un tempo un mistero divino e una società visibile e gerarchica. ( Mariano Magrassi )
PREGHIERA
(= pregare la parola)
«Ci preceda e ci accompagni sempre la tua grazia, Signore, perché, sorretti dal tuo paterno aiuto, non ci stanchiamo mai di operare il bene». «Donaci, Signore, la tua grazia, in te noi speriamo» (Sai 32,22). Tu, Signore, sei la pace. Tu sei gaudio e letizia. Tu sei la nostra speranza: dov'è errore, ch'io porti la verità; dov'è disperazione, ch'io porti la speranza». Tu sei tutta la nostra dolcezza. Tu sei la nostra vita eterna, grande e ammirabile Signore: dov'è tristezza, ch'io porti la gioia; dove sono le tenebre, ch'io porti la luce. Poiché: è dando che si riceve, perdonando che si è perdonati» Dio onnipotente ed eterno, che con ineffabile sacramento volesti porre nella sede di Roma la potestà del principato apostolico, perché per suo tramite la verità evangelica si diffondesse per tutti i regni del mondo, concedi che ciò che si è diffuso per la loro predicazione in tutto l`orbe, venga seguito da tutta la cristiana devozione. (Sacramentarium Veronense, ed. L.C. Mohlberg, Roma 1978, n. 292)
CONTEMPLAZIONE ( = silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE ( = assunzione di impegni concreti ) Siamo pronti a vivere secondo la nostra vocazione.
ISAIA 25, 6-10 6Preparerà il Signore degli eserciti per tutti i popoli (hol-ha’ammim) , su questo monte (bahàr hazzèh), un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. 7Egli strapperà su questo monte il velo che copriva la faccia di tutti i popoli ( kol-ha ammim ) e la coltre che copriva tutte le genti ( kol haggòym). 8Eliminerà la morte per sempre; il Signore (Jahwèh) Dio asciugherà le lacrime su ogni volto; la condizione disonorevole del suo popolo (ammò) farà scomparire da tutto il paese, poiché il Signore (Jahwèh) ha parlato. 9E si dirà in quel giorno: «Ecco il nostro Dio; (è questo: zeh) in lui abbiamo sperato ( qiuwwinù) perché ci salvasse; questi (zeh) è il Signore in cui abbiamo sperato; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza (bùshù’ato). 10Poiché la mano del Signore si poserà su questo ( zeh) monte» ( bahàr hazzèh).
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) Questa pericope scelta si trova all’interno dei capitoli 24-27 chiamati grande apocalisse isaiana, delimitata dagli oracoli contro Tiro (capitolo 23 ) e le invettive contro Efraim ( capitolo 28 ). I quattro capitoli sono ritenuti di composizione post-esilica, ma non si sa di quale periodo esatto. Il contenuto dei capitoli è la punizione del mondo e dei suoi potenti capi e lo stabilimento del regno di Dio sul Sion, al quale parteciperanno come invitati ad un grasso banchetto i Giudei e gli altri popoli salvati. IL SIGNORE DEGLI ESERCITI (6 ) Javhé degli eserciti preparerà in Sion un banchetto, così come il banchetto sacro del Sinai ( Es 24, 9-11 ). DI GRASSE VIVANDE (6 ) Il banchetto sarà particolarmente sontuoso e per presentarlo tale si fa cenno alle vivande e ai vini. I cibi ricchi di grasso erano particolarmente apprezzati e non per nulla le carni più grasse venivano offerte a Javhè nei sacrifici, i vini “eccellenti” e “raffinati” erano quelli stagionati e fatti con uva matura, liquorosi e dal gusto pieno. A Iavhè veniva offerto il meglio. STRAPPERA’ IL VELO (7 ) Il “velo” che copre il volto e la “coltre” distesa sui popoli stanno ad indicare la cecità religiosa. Prima i popoli non vedevano il Signore, perché erano ciechi, ora il Signore toglie il velo e la coltre e si rivela perché possano conoscerlo. ELIMINIRA’ LA MORTE ( 8 ) Iavhè distruggerà la morte. L’affermazione è sorprendente per l’A.T. va nella direzione della vita eterna e allude ad una speranza nella risurrezione. Tale speranza fa capolino anche più avanti in Isaia 26, 19: “ Ma di nuovo vivranno i tuoi morti, risorgeranno i loro cadaveri” .Viene preannunziato il fatto escatologico della fine della morte. ASCIUGHERA’ OGNI LACRIMA (8 ) I convitati vivranno sempre con il Signore senza dolore e senza lacrime. Questo annunzio della vittoria sulla morte e della fine di ogni sofferenza è una delle grandi rivelazioni dell’A.T. . L’Apocalisse di Giovanni ripresenta immagini simili quando descrive la salvezza finale ( 7, 17; 24, 4 ). LA CONDIZIONE DISONOREVOLE ( 8 ) L’attenzione a tutti i popoli non fa dimenticare il popolo di Dio, cui è assicurata la scomparsa della “condizione disonorevole”. L’autore pensa alla situazione di distruzione di Gerusalemme e di derisione da parte dei popoli e dice che questa situazione finirà. Qui fa capolino un tema che più tardi angustierà Paolo, anche se su un altro piano: il popolo di Dio non sarà escluso dall’azione salvifica divina che abbraccia tutti i popoli. ( Romani ) E SI DIRA’ ( 9 ) La pericope termina con un breve inno cantato dal popolo salvato. Israele ha tutti i motivi per cantare, date le opere di Dio che regna in Sion. Il popolo indica a dito Dio ( il nostro Dio) in cui ha
sperato; il giubilo e la gioia cui invita tutti ( rallegriamoci, esultiamo ) è indice dell’aiuto divino esperimentato. SU QUESTO MONTE (10 ) La mano di Javhé riposa sul monte Sion, dice la finale del breve canto, per sottolineare il motivo della gioia. Qui egli continuerà ad agire, da qui continuerà a salvare, ad aiutare, a benedire, a proteggere.
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) UN BANCHETTO PER TUTTI Il profeta Isaia immagina che Dio, come re potente e ricco, offra sul monte Sion un banchetto sovrabbondante per tutti i popoli.... Ma il dono vero è la presenza e la manifestazione di sé: “Egli strapperà ..il velo”. Il secondo dono è l’eliminazione della morte. Il terzo dono è la scomparsa della condizione disonorevole del popolo, cioè la dispersione in mezzo agli altri popoli... Il banchetto è portatore della salvezza piena e definitiva, è festa, è vita senza tramonto: chi accoglierà il Regno potrà cantare con gioia ed esultanza indicibile. Nessuno è escluso dalla salvezza: “Un banchetto…per tutti i popoli”. ..I pagani, conquistati dalla salvezza che si fa visibile in Israele, vengono irresistibilmente attirati al popolo di Dio. ( A. Bonora ) BANCHETTO SUL MONTE PER TUTTI Sul monte Sinai avvenne un banchetto sacro : è il sacrificio dell’alleanza, modello di ogni sacrificio. Mosè, Aronne, Nabad, Abiu e i 70 “mangiarono e bevvero” ( Es 21, 11 ). Affermare che Dio preparerà un banchetto escatologico, equivale a dire che il Signore entrerà in alleanza con tutti i popoli. Le carni grasse indicano l’abbondanza ma anche il culto; i vini eccellenti, indicano la gioia. Sarà un banchetto straordinario e di grande gioia per tutti i popoli. ELIMINERA LA MORTE La morte sarà eliminata per sempre. Il termine usato è “billà” che significa “inghiottire”, “consumare”. La morte non ci sarà più, e coloro che sono morti torneranno in vita. Il concetto è molto più chiaro in Isaia 26, 19 : “Ma di nuovo vivranno i tuoi morti, risorgeranno i loro cadaveri. Si sveglieranno ed esulteranno quelli che giacciono nella polvere”. La morte è vista non solo come la fine normale della vita, ma anche la situazione in cui si è separati radicalmente da Dio, che è il vivente per eccellenza, il Dio dei vivi. Ciò che è annunziato è certamente: “ Vivrete per sempre”, ma anche : “Vivrete per sempre con me” . L’annunzio della risurrezione dei morti già chiara negli ultimi secoli di Israele è chiarissima nel Nuovo Testamento. Paolo dice: “ La morte è stata ingoiata nella vittoria” ( 1 Cor, 15, 55 ) e anche: “L’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte” ( 1 Cor 15, 27) e l’Apocalisse assicura: “non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate” ( Ap 21, 4 ). TOGLIERA IL VELO Durante il banchetto verrà tolto il velo. Potrebbe trattarsi del velo dell’ignoranza di appartenere a Dio o per ogni uomo di essere simile a Dio; nel tempo finale ogni uomo avrà coscienza della propria dignità, che si rifà al divino presente in lui. Togliere il velo può significare togliere ciò che ha portato nel mondo la morte, ossia il peccato; nel tempo finale Dio toglierà ogni peccato. Anche Paolo parla di velo, che alla fine sarà tolto ( 2, Cor 3, 10-18 ), si tratta del velo che impedisce al popolo ebraico di leggere la Bibbia con esattezza vedendoci in essa Gesù. Alla fine questo velo sarà tolto a tutti, popolo ebraico compreso. ATTESA CONSCIA E INCONSCIA Al termine del brano una voce dice : “ Ecco il nostro Dio, in lui abbiamo sperato”. E’ la voce di tutta l’umanità redenta, liberata da ogni peccato e in alleanza con il Signore. Riconosce di aver speratosa consapevolmente o inconsapevolmente nel Signore che salva. La speranza di essere liberati dalla morte e da tutto ciò che la morte comporta è una speranza, consapevole o meno, universale. Gesù invia i cristiani
nel mondo perché a tutti sia annunziata la salvezza che lui è venuto a portare a tutti: “Andate dunque e fatte discepoli tutti popoli” ( Mt 24, 18 ). L’ABITO NUZIALE Anche Gesù parla più di una volta di un banchetto escatologico. Matteo 22 1-14 assomiglia molto a Isaia 25, 6-10. C’è però un particolare che non si trova in Isaia: gli invitati devono portare la veste nuziale. Uno degli invitati viene trovato senza l’abito di nozze e viene perciò cacciato fuori dalla sala là dove sono tenebre, pianto e stridore di denti, segno di un pentimento ormai senza speranza. Il senso è ovvio: non basta aver accettato l’invito; bisogna anche trasformare la propria esistenza in funzione di questo invito. Non basta essere cristiani, avendo accolto l’annuncio della fede; bisogna anche lasciare che questo annuncio cambi la vita dell’uomo e lo conformi alla volontà di Dio. Matteo non spiega che cosa sia questo abito nuziale ( la grazia santificante? le opere buone? la gioia della fede? la comunione fraterna? ) e non vale la pena restringere il significato del simbolo. Rimane chiaro che anche il cristiano o credente non può sentirsi tranquillo per il fatto di avere pronunziato il primo “si” generoso alla chiamata di Dio; anch’egli ha da convertirsi ogni giorno per presentare a Dio un cuore adatto a ricevere i suoi doni. (S. Sibroni) SARA’ COME UN PRANZO DI NOZZE Il banchetto è di sua natura un tempo forte dell’esperienza umana: un segno di comunione. Non saremo certo sorpresi che Dio abbia scelto il banchetto come segno della comunione che vuole stabilire con noi. E neppure saremo stupiti che l’avvenire di speranza che Dio ci prepara alla fine dei tempi sia dipinto con l’immagine di un convito, imbandito da Dio, che radunerà tutti i popoli sulla montagna di Sion. Si sa che Gesù è entrato spesso in casa di amici, e più spesso ancora di peccatori, per pranzare con loro. Mangiare con Gesù non era un pranzo qualunque: era un segno della venuta del Regno. Gesù è il Regno, e dove entra Lui il Regno si fa presente. La festa del banchetto umano prende il suo senso quando l’UomoDio vi partecipa: “Oggi la salvezza è entrata in questa casa”, ha detto in casa di Zaccheo. E si sa che Regno e salvezza sono due aspetti di una identica realtà. Lo avrebbe dimostrato per sempre durante la sua ultima Cena, ma già i pasti della sua vita erano in vista di questa meta. Dove entra, Gesù porta l’amore misericordioso del Padre, la vittoria sul peccato, la liberazione. Tutto questo si compirà definitivamente quando Egli “si cingerà i fianchi, li farà sedere a tavola, e passando dall’uno all’altro, li servirà” (Lc 13, 37). Che con queste parola dipinga il Paradiso è veramente commovente. E intanto tutto questo continua ad accadere nella Chiesa: “ Ecco, sto alla porta e busso. se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3, 20 ). Il segno del banchetto indica dunque a un tempo la Chiesa, l’Eucaristia e il Regno definitivo, e ne mostra l’intima connessione. (M. Magrassi ) CHIESA SEGNO DI COMUNIONE La Chiesa è “segno e strumento dell’intima comunione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano” (Vat. II). La Chiesa è comunione e il suo compito è di aggregare. Lo fa introducendo tutti in quella intimità d’amore che c’è nel seno di Dio. Il grande strumento della comunione ecclesiale è l’Eucaristia. Dice il teologo De Lubac: “Se è la Chiesa che fa l’Eucaristia, è pure l’Eucaristia che fa la Chiesa”. La Chiesa cioè pone il segno eucaristico. Ma quel “segno” rende presente Cristo, capo del Corpo mistico, che unisce a sé le membra. E noi, come dice S. Agostino, “diveniamo ciò che riceviamo” . Se tutti diventiamo Lui, siamo ”uno” tra noi. Questa unità, al di là dell’Eucaristia si esprime poi nella vita con gesti concreti. “Se comunichiamo al pane celeste, come non comunicheremo al pane terreno?” (Didachè) (M . Magrassi). La Chiesa si pone come ponte che unisce gli uomini non solo con Dio, ma anche tra di loro. Essa ha per compito quello di andare incontro agli uomini e di raggiungerli là dove si trovano. In tempi di “cristianità” la Chiesa radunava non solo attorno all’Eucaristia, ma anche in molti altri settori della vita e dell’attività umana, sui quali esercitava una vera tutela; oggi questo compito è molto diverso per le mutate condizioni. Potremmo dire che la vera unità,, il vero raduno degli uomini avviene, oggi, al di fuori della sfera di influsso della Chiesa, quando non in opposizione ad essa.... In questa situazione. la “convocazione della Chiesa” non avviene solo attraverso la parola proclamata come nel passato, ma passa attraverso la testimonianza dei credenti, che è davvero un appello per tutti alla salvezza e a una “riunione” molto più totale e profonda di quella che l’uomo riesce a costruire con le sue sole mani. ( Messalino LDC)
PREGHIERA (=pregare la parola ) O Padre, che inviti il mondo intero alle nozze del tuo Figlio, donaci la sapienza dello Spirito, perché possiamo testimoniare quale è la speranza cella nostra chiamata. E nessun uomo abbia mai a rifiutare il banchetto della vita eterna o entrarvi senza l’abito nuziale ( Colletta 28 perannum A ). Ti desideriamo, Signore, noi assetati di amore, assetati di pace e di giustizia, bisognosi di consolazione. Tu solo puoi salvarci, tu solo puoi donarci il pane che ci sostiene, che ci dà forza nel cammino aspro della vita. Chiamaci, Signore al banchetto delle nozze, dove tu che sei lo Sposo, ti offri alla sua Sposa, a noi, all’umanità, nella donazione totale dell’amore, fino a lasciarti mangiare da noi poveri. Chiamaci, Signore, non ti stancare, anche se noi siamo sordi, ribelli, ostinati. ( Suore Benedettine ) Sii benedetto, Signore, per Gesù Cristo tuo Figlio, lo sposo delle tue nozze con l’umanità e la chiesa. Liberaci dalla follia di rifiutare il tuo invito, con le ridicole scuse di una miope indifferenza. Rivestici della condizione del nostro battesimo, dell’uomo nuovo nato in Cristo attraverso lo Spirito, perché siamo degni di sederci alla tua mensa per sempre. ( Basilio Caballero )
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE
(=assunzione di impegni concreti)
Partecipiamo degnamente al banchetto eucaristico e saremo partecipi per sempre del banchetto del regno dei cieli.
ISAIA 35, 1-10 1Si rallegrino (yesumum ) il deserto (midbàr) e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa ( arabàh). 2Come fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo (werannen) . Le è data la gloria (kabod ) del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saròn. Essi vedranno la gloria (kabod ) del Signore, la magnificenza (kadàr ) del nostro Dio. 3Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. 4Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio (chizqù=siate forti)! Non temete; ecco il vostro Dio, giunge la vendetta (naqàm) , la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». 5Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. 6Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto (bamidbàr), scorreranno torrenti nella steppa ( ba’arabàh ). 7La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso si muterà in sorgenti d`acqua. I luoghi dove si sdraiavano gli sciacalli diventeranno canneti e giuncaie. 8Ci sarà una strada appianata e la chiameranno Via santa; nessun impuro la percorrerà e gli stolti non vi si aggireranno. 9Non ci sarà più il leone, nessuna bestia feroce la percorrerà, vi cammineranno i redenti. 10Su di essa ritorneranno i riscattati dal Signore e verranno in Sion con giubilo ( berinnàb); felicità perenne splenderà sul loro capo; gioia (sason) e felicità li seguiranno e fuggiranno tristezza e pianto.
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) Isaia 35, 1-10 è tratta dai capitoli 34-35, comunemente chiamati “piccola apocalisse”, mentre i capitoli 24-27 sono denominati “grande apocalisse”. Questi brani, composti probabilmente dopo l’esilio, contengono una serie di oracoli di giudizio verso i nemici del popolo eletto ( 34 ) e di salvezza nei confronti di Israele ( 35 ). Nei versetti 1-7 del capitolo 35 viene illustrata la gloria di Gerusalemme restaurata nella sua dignità di capitale del regno di Dio, nei versetti 8-10 troviamo la processione dei redenti. SI RALLEGRINO IL DESERTO (1 ) In 34, 1-17 il testo parla della terribile predizione del giudizio su Edom ( “rosso”, discendenza da Esaù ), regione che si estendeva tra il Mar Morto e il Golfo di Aqaba, che sarà trasformata in uno squallido deserto e così descrive lo stato senza speranza a cui viene ridotto il nemico del popolo d Dio. Dopo questo brano viene una parola rassicurante diretta al popolo di Dio. LE E’ DATA LA GLORIA Il deserto e la steppa fioriranno in maniera tanto sgargiante come le terre del Libano , del Carmelo, della pianura di Saron, diventati proverbiali per la loro bellezza e fertilità. Questa trasformazione, che essi vedranno, è una manifestazione dell’eccelsa maestà di Dio. IRROBUSTITE LE MANI FIACCHE (3 ) Dal momento che la salvezza si fa attendere il popolo è scoraggiato e non ha più fiducia ( mani fiacche….ginocchie vacillanti ). Di qui l’invito di accogliere con gioiosa fiducia la salvezza promessa, e a rafforzare e consolare i concittadini scoraggiati ( smarriti di cuore ), intimoriti dal protrarsi della situazione. IL VOSTRO DIO ( 4 ) Dio è detto “vostro”, perché è il Dio dell’alleanza. Egli. viene, punisce i nemici, ricompensa i pii e dona la salvezza. Il termine “vendetta” non indica la rabbia e la violenza ingiustificate, ma esprime il giusto giudizio di Dio nei confronti di chi si è posto contro di lui e contro il suo popolo. “ Il Signore è il Dio delle retribuzioni e paga ( i suoi nemici ) con giustizia”, asserisce Geremia ( 51, 56 ). ALLORA SI APRIRANNO( 5 ) Il giorno della salvezza è descritto con le immagini tradizionali. Ciechi, sordi, muti sono sanati e cadono le situazioni di schiavitù. Nel nuovo ordine scompaiono le infermità corporali e spirituali, che sono i segni della colpa. Il versetto è citato liberamente in senso messianico in Matteo 11, 5 e in Luca 7, 22.
LE ACQUE SCATURIRANNO NEL DESERTO ( 6 ) Altra immagine molto significativa per un popolo, per cui l’acqua era elemento estremamente prezioso, è quella dell’abbondanza di acqua. Un’immagine inversa in 34, 9 “ I suoi torrenti si cambieranno in pece” indica la punizione dei nemici di Israele. Dio nell’era finale farà il prezioso dono di acque ricche e farà che il deserto diventi un paesaggio contornato di fiumi e stagni, di modo che la regione sia feconda ( torrenti nella steppa...suolo che diventa palude...erba che diventa canna e giunco ). CI SARA’ UNA STRADA (8 ) I versetti 8-10 descrivono il pellegrinaggio che i redenti di Babilonia e quelli dell’era escatologica faranno verso Sion. La “Via santa” è quella che condurrà in patria gli esiliati e i dispersi. Probabilmente si allude alla via sacra di Babilonia e delle città della Mesopotamia, che collegava i vari templi e serviva alle processioni, durante le quali le statue degli dei venivano trasportate da un tempio all'altro. VERRANNO IN SION ( 10 ) Sion è Gerusalemme dove sarà diretto il pellegrinaggio dei credenti. Anziché corone di fiori, come si usava “ sul loro capo” ( dei pellegrini ) spenderà la felicità, e saranno nella gioia piena. Questo quadro è ripreso da Apocalisse 24, 4.
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) TUTTO RACCHIUSO NELLA GIOIA Il testo di Isaia 35, 1-10 è racchiuso dentro la gioia: si tratta proprio di un dato oggettivo La radice ebraica “sus” include: “yerusun” ( = si rallegino :1); “sason” (= gioia: 10 ) e la radice “rnn” iclude: “werannèn” (= canti di giubilo: 2) , “berinnàh (= con giubilo: 10 ). Il deserto fiorirà e il cambiamento avverrà nella gioia, che nasce dalla liberazione dalla morte. Il deserto rifiorisce nella gioia come un narciso. Il vocabolo di ritrova in Ct 2, 1 dove la ragazza dice di sé: “Io son un narciso di Saron” , ed è possibile che l’autore si sia ispirato a un duetto fra gli innamorati, da cui ha attinto anche l’autore del Cantico, per indicare una gioia frutto della vicinanza di Dio e di liberazione definitiva dalla morte, che nasce in un clima di amore di Dio per il suo popolo. E’ la gioia per la salvezza che è una realtà vissuta subito dalla Chiesa nascente e spesso testimoniata nel nuovo Testamento. ( De Zan ) LA GIOIA PIU’ PROFANDA Le gioie spontanee dell’uomo sono quelle recate dalla sicurezza della vita quotidiana, percepite come altrettante benedizioni di Dio : le gioie della vendemmia e della mietitura, la gioia del lavoro ben fatto o della meritata distensione, la gioia di un pasto fraterno, la gioia di una famiglia unita, la gioia dell’amore, di una nascita, le gioie rumorose delle feste, come pure le gioie intime del cuore. Ma esiste una gioia ancora più profonda : quella di coloro che si fanno poveri davanti a Dio, e attendono tutto da lui e dalla fedeltà alla sua legge. Nulla può allora diminuire questa gioia, nemmeno la prova. La gioia di Dio è forza. La gioia della Chiesa nella sua condizione terrestre è la gioia del tempo di costruzione. La celebrazione eucaristica è il momento privilegiato in cui la comunità attinge alla sorgente della vera gioia ; ed è in questa prospettiva che i fedeli domandano di poter giungere “ a celebrare con rinnovata esultanza il grande mistero della salvezza“ . ( Messalino LDC ) IL VANGELO DELLA GIOIA ” Si rallegrino il deserto e la terra arida, esulti e fiorisca la steppa. Il fiore di narciso fiorisca; sì, canti con gioia e con giubilo” ( Is 35, 1 ) , “Rallegratevi nel Signore. Ve lo ripeto : rallegratevi, il Signore è vicino” (Fil 4, 4, 5 ) Nell’Antico e nel Nuovo Testamento l’invito alla gioia è perentorio. Ma a chi viene accordata la gioia? Potremmo dire che essa viene donata a chi ha questi tre atteggiamenti : umiltà, fedeltà, utopia. Umiltà. Certi messaggi del cielo si insinuano persino nella radice delle parole. “ Umiltà” ha la stessa radice di “terra” e “letizia” ha il significato di “forza fecondante”. E la letizia rende fertili e rigogliosi gli umili. C’è una turba di indigenti, che affollano il testo biblico, che sono soccorsi da Dio e gioiscono per liberazioni raggiunte. C’è una connessione tra i “poveri” e il “lieto annuncio” che viene ad essi portato. E c’è Maria, protagonista silenziosa di questi giorni che dà la spiegazione della sua “esultanza” proprio nell’umiltà : “ Dio è mio salvatore : sono piena di gioia. Ha guardato a me alla sua povera serva” ( Lc 1, 47-48 ).
Fedeltà La gioia cristiana deriva da due fontane. La prima è la certezza che Dio è fedele e non viene meno alle promesse. La seconda è la fedeltà che noi dobbiamo conservare nei confronti del Signore, fino a quando egli tornerà. Non sarebbe male riflettere se alle radici di tante nostre tristezze non ci siano forse dei processi patologici di infedeltà, nonostante le mille professioni di fede, e se, di fronte a Dio di parola, non dovremmo rivedere seriamente le nostre strutture comportamentali, connotate dal tradimento cronico e dalla slealtà sistematica. Utopia “Fuggiamo tristezza e pianto”. E’ l’ultima battuta del brano di Isaia, di una pagina intrisa di sogni : steppe che fioriscono come narcisi, deserti che risuonano di canzoni, zoppi che saltano come cervi, muti che esplodono in urla di gioia. Non sono intemperanze dovute a un particolare genere letterario, ma primi segnali di un mondo diverso, più vero, che facciamo fatica ad affrettare, perché, immersi nel presente della nostra esistenza, finiamo per vedere solo le realtà del momento, mentre siamo invitati a guardare oltre e ad operare perché il domani si avveri presto.( Da : A. Bello) GLORIA E MAGNIFICENZA DI DIO Come Dio avvolge il re di gloria ( kabod ) e di onore ( hadar ) nel giorno dell’incoronazione ( Sl 21, 6 ) così Dio riempie il tempio dello splendore ( hadàr ) del Carmelo e del Saron e della gloria (kabod) del Libano, dove crescono cipressi e olmi. Ora questi alberi crescono nel deserto, non più luogo di morte, ma di vita. Ecco dunque che la terra arida, diventata anche luogo sacro paragonabile al tempio vede la gloria ( kabod ) e la magnificenza (hadàr ) di Dio. E se Dio è presente non ci possono essere persone con “le mani fiacchi”, “le ginocchie vacillanti” o che siano “smarriti di cuore”. Improvvisamente si rende esperimentabile un Dio rassicurante, percepibile non nel suo volto, ma nella salvezza. TRASFORMAZIONE Il poeta scrittore di Isaia 35 accumula una serie di immagini negative (ciechi, sordi, muti, deserto, steppa, terra bruciata, luogo riarso ) seguite da una corrispondente serie di immagini contrarie, positive ( aprire gli occhi, schiudere gli orecchi, saltare, gridare di gioia, acqua corrente, stagno d’acqua, sorgente). Si vuole indicare, attraverso le immagini, una trasformazione cosmica , un rinnovamento profondo dell’universo. La causa di tale radicale trasformazione è la venuta del Signore: “ Coraggio! Non temete; ecco viene il vostro Dio, giunge il riscatto, la ricompensa divina. Egli viene a salvarci”. Certamente Dio farà queste cose ( cioè il riscatto, la ricompensa, la salvezza), ma le farà da Dio e perciò in modo diverso da come le faremmo noi., quindi in maniera più radicale e completa, ma anche secondo modalità che noi non riusciamo nemmeno ad immaginare. Dio cambia radicalmente il mondo sfigurato, deturpato, sconvolto e inquinato dell’uomo. Da qui la gioia grandissima per quello che Dio farà per salvare il mondo. Niente sfuggirà all’azione rinnovatrice di Dio e niente potrà fare l’intervento dell’uomo, perché la salvezza viene totalmente da Dio. ( Antonio Bonora ) VIA SANTA La strada che percorrerà il popolo di Dio sarà ricca di acqua ( di sapienza divina, di spirito divino, della Parola di Dio ? ) è sarà una strada “santa”. Dal momento che il vocabolo “santo” in ebraico è legato alla vita, mentre il vocabolo “impuro” lo è alla morte, dire che è “santa” questa via significa che non è possibile che ci sia chi è impuro, pieno di morte. Gli unici essere che ivi esistono sono i redenti che non incontreranno niente che faccia loro temere il peggio. E’ dunque da escludere che incontrino bestie feroci o il leone, che rappresenta il massimo della ferocia. Gli uomini sono liberati dalla morte, il loro rapporto con Dio è un rapporto di amore, dove l’alleanza non viene più violata. Quel tempo futuro sarà tempo escatologico-messianico, tempo della vera realizzazione dell’uomo: niente morte, grande gioia, vicinanza assolta con Dio. ( Da : De Zan ) I TEMPI SONO GIUNTI Isaia 35, 1-10 non ha voluto presentare la situazione messianico- escatologica definitiva, ma il momento primo che introduce ad essa. E Gesù dichiara che con ls sua venuta quel periodo è giunto. Agli inviati di Giovanni dirà: “Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, a i poveri è annunziato il vangelo. E beato è colui che non trova motivo di scandalo” ( Mt 11, 2-6 ). Con questa frase Gesù ricorda a Giovanni che quanto profetizzato da Isaia 35, 5-6 stava avverandosi per mezzo suo. Gesù ha piena consapevolezza di star non solo adempiendo le profezie, ma di star vivendo e facendo vivere quel tempo particolare che è già inizio di eternità. … Con Gesù l’eternità è entrata nel tempo. La
resurrezione, infatti, come il resto del miracoli, non appartiene alla storia, dove c’è la morte. La resurrezione di Gesù ha portato il tempo ultimo e definitivo nella storia. Il tempo della chiesa, è un tempo iniziato con Gesù ed è un tempo “contaminato” dall’eterno. ( De Zan ) VIENE LUI IN PERSONA Cristo è il termine finale del cammino che Dio ha percorso per venire a noi. Non c’è più da aspettare nessuno. E’ la salvezza definitiva. E’ l’ultima visita tuttora in atto, che il Signore fa al suo popolo. E illumina tutte le precedenti. Di qui viene la gioia, l’intuizione che è proprio Dio in persona, che viene a salvarci. Quando Isaia lo annunziava la profezia rimaneva oscura. Ma noi che abbiamo visto Dio “squarciare i cieli e discendere” e porre in mezzo a noi la sua tenda, misuriamo tutta la bellezza dell’annuncio. Non è dal di fuori e da lontano che Egli ci salva. Non cala giù dall’alto una fune, nell’abisso della nostra miseria. Discende lui stesso, ci viene a cercare dove siamo. Per questo la salvezza è così meravigliosa. Ci voleva il genio poetico di Isaia per dipingere la trasformazione radicale che la presenza del Messia avrebbe operato nel mondo : la sofferenza è mutata in gioia, il deserto in giardino, l’esilio in patria, la cecità si apre alla luce, la sordità alla parola. Tutto il peso della nostra miseria si annulla. E’ facile trasportare in chiave spirituale tutte queste immagini. Esse cantano allora la trasformazione che si opera in una esistenza, quando si apre a Dio e lo accoglie. ( M. Magrassi )
PREGHIERA (=pregare la parola ) Il Signore è fedele per sempre, rende giustizia agli oppressi, …dà il pane agli affamati,… libera i prigionieri, …ridona la vista ai ciechi,… rialza chi è caduto,… ama i giusti,… protegge lo straniero… sostiene l’orfano e la vedova. ( Dal Salmo 145 ) Sostieni, o Padre, con la forza del tuo amore, il nostro cammino incontro a colui che viene, perseverando nella pazienza, maturiamo in noi il frutto della fede e accogliamo con rendimento di grazie il vangelo della gioia. ( Colletta 3 Avvento A ) Donaci Signore, la fedeltà alla tua parola e l’impegno , perché dove siamo noi, per quanto sta in noi nel nostro mondo, i ciechi vedano, i sordi odano e ai poveri sia annunziata la buona novella. Donaci, o Padre la volontà di cercarti sempre e la gioia di trovarti e ascoltarti. Così la tua parola trasformerà la nostra vita e ci renderà capaci di realizzare ciò che è bene tra i nostri cari e nel mondo. (Enzo Bianco )
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE
(=assunzione di impegni concreti)
Viviamo nella gioia, Gesù è la nostra salvezza.
ISAIA 40, 1-11 1«Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio (yo’màr Elohim). 2Parlate (debbarù) al cuore di Gerusalemme e gridatele che è finita la sua schiavitù, è stata scontata la sua iniquità, perché ha ricevuto dalla mano del Signore doppio castigo per tutti i suoi peccati». 3Una voce grida (qòl qòre ): «Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio. 4Ogni valle sia colmata, ogni monte e colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in pianura. 5Allora si rivelerà la gloria del Signore e ogni uomo la vedrà, poiché la bocca del Signore ha parlato (dibbèr) ». 6Una voce dice (qòl’ omèr): «Grida» (qerà) e io rispondo: «Che dovrò gridare?». Ogni uomo è come l`erba e tutta la sua gloria è come un fiore del campo. 7Secca l`erba, il fiore appassisce quando il soffio del Signore spira su di essi. 8Secca l`erba, appassisce il fiore, ma la parola ( dabàr ) del nostro Dio dura sempre. Veramente il popolo è come l`erba. 9Sali su un alto monte, tu che rechi liete notizie in Sion; alza la voce ( harìmì qòl) con forza, tu che rechi liete notizie in Gerusalemme. Alza la voce, non temere; annunzia (‘imrì) alle città di Giuda: «Ecco (himmèh) il vostro Dio! 10Ecco, il Signore Dio viene con potenza, con il braccio (zer’ò ) egli detiene il dominio. Ecco (himmèh), egli ha con sé il premio e i suoi trofei lo precedono. 11Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio (zer’ò ) lo raduna; porta gli agnellini sul seno e conduce pian piano le pecore madri».
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) Isaia 40, 1-11 è tolto dall’introduzione del Deuteroisaia, detto “Il libro della consolazione “ ( capitoli 40-55 del libro di Isaia ). Il testo venne composto con molta probabilità pochi anni prima della fine dell’esilio (538) e fu concepito dall’autore come prologo, che svolge una funzione analoga a quello del prologo di Giovanni rispetto al quarto vangelo. La sua forma è quella del racconto di una vocazione profetica. Come in passato nel caso di Mosè (Es 3, 1-4.17 ), di Geremia (Ger 1, 4-19 ), di Isaia ( Is 6, 113 ) e di Ezechiale (Ez 1, 1-3.15 ), di poco più anziano e compagno di deportazione. Anche qui abbiamo il tema dell'investitura del profeta nel suo ufficio e della legittimazione dell’inviato da Dio. Come Mosè nel Documento sacerdotale, quasi contemporaneo, il Deuterioisaia non ha una visione, ma sente, senza vedere nulla, delle voci. La pericope si divide in quattro unità minori: 1° “Consolate il mio popolo” (1-2 ), 2° “Preparate la via al Signore” (3-5), 3 “Annunzia” ( 6-8 ), 4° La voce del profeta (911). CONSOLATE (1 ) ( Prima unità : 1-2 ). Javhè rivolge queste parola alla coorte celeste e indirettamente al profeta. Dio che parla è il Dio di Israele, dell’alleanza. La duplice espressione “mio popolo”, “vostro popolo” riflette la cosiddetta formula dell’alleanza “io vostro Dio” e “voi mio popolo” ( cf Es 7, 7; Ger 31,33, ecc ). Il tono è affettivo “ consolate” , “parlate al cuore” e indica un rapporto di amore. GRIDATELE ( 2 ) Il contenuto della promessa è un ribaltamento della situazione: la colpa gravissima, che solo Javhé può perdonare, e che ha condotto Israele in esilio, ora viene perdonata. Il soggiorno in Babilonia è paragonata alla schiavitù di Egitto e considerata come una punizione subita per i peccati. “E’ finita la schiavitù”, letteralmente “il servizio di guerra è compiuto”, secondo l’accezione egiziana del servizio che dovevano prestare gli schiavi: “E’ stata espiata la sua iniquità”, letteralmente “la sua colpa è espiata”, dice che non solo è finito il castigo, ma è stata rimessa anche la colpa.
DOPPIO CASTIGO (2 ) “Doppio castigo” si può anche tradurre con “equivalente” e significa che Israele ha già fatto abbastanza, o meglio, ha sofferto e subito abbastanza. Tutto si rimette a posto, è già di nuovo in ordine. UNA VOCE GRIDA ( 3 ) ( Seconda unità : 3-5 ). La voce misteriosa è l’equivalente profetico della formula profetica: “ Così parla Javhé”. NEL DESERTO (3 ) Si suppone che Javhè abbandoni Babilonia e si metta a capo degli esuli che prendono il cammino del ritorno verso Gerusalemme. La strada è quella che collega Babilonia alla Palestina e attraversa il deserto siro arabico. “Deserto” e guida di Javhè ricordano anche l’uscita dall’Egitto. Come per i monarchi orientali, che visitavano le città, si preparava la via, o anche erano preparate le strade per le processioni del dio Marduk, così si deve preparare la via per Gerusalemme a Javhé. Ma in fondo è Javhè stesso che prepara la strada al suo popolo. “ Ecco nel deserto aprirò una strada, e sentieri nelle aride terre” ( Is 43, 19; 49,11 ). OGNI VALLE (4 ) La natura inanimata prende parte al ritorno di Javhè. Gli ostacoli che vengono rimossi per agevolare la via del ritorno hanno anche un significato morale: gli esuli sono invitati a prepararsi interiormente al grande ritorno di Dio. ALLORA SI RIVELERA LA GLORIA (5) La presenza del Signore e la sua realtà divina, la sua efficacia e importanza, sono la sua “gloria” (kabod ) che riempie sempre la terra, ma di cui gli uomini non si accorgono. Questo ritorno, come prima quello dall’Egitto (Es 14, 4 ), o la creazione dell’universo (Sl 19, 2 ) o la dedicazione del tempio ( 1 Re 8, 10-13 ) ne è una chiara manifestazione per tutti; ed essa sarà una risposta di Javhé ai popoli che hanno vinto Israele e hanno chiesto con disprezzo: “Dov’è rimasto il vostro Dio” ( Sl 79, 10 ). UNA VOCE GRIDA ( Terza unità : 6-8 ). I versetti 6-8, che formano il nucleo centrale della pericope ed equivalgono ad una scena di vocazione profetica introdotta da un dialogo. Nei due versetti una voce dice al profeta “ “Grida”, ed egli risponde” Cosa dovrà gridare”; allora la voce precisa che dovrà “gridare” la parola di Dio che rimane in eterno e riesce ad imporsi nonostante la debolezza e la caducità del profeta e di coloro che ascolteranno ( secca è l’erba ). ALZA LA VOCE ( 9 ) ( Quarta unità: 9-11 ). In questi tre versetti abbiamo la drammatica e poetica descrizione del ritorno di Dio a Gerusalemme, come se fosse sul punto di realizzarsi. Il profeta invita una messaggera, che è poi Gerusalemme stessa ( Sion) ad annunziare alle borgate circostanti ( alle città di Giuda) “liete notizie”. L’immagine della messaggera è presa dall’uso antico di preparare l’arrivo dei grandi personaggi, mediante una solenne proclamazione, che aveva lo scopo di suscitare la gioia degli abitanti. ECCO IL VOSTRO DIO (10 ) Il ritorno è concepito come una teofania divina, con la quale si instaura il regno definitivo di Dio. “Potenza” e “braccio” sono termini usati per indicare la liberazione dall’oppressione faraonica. HA CON SE’ IL PREMIO (10 ) Gli esuli che fanno ritorno sono il bottino strappato ai Babilonesi e perciò appartengono al vincitore. COME UN PASTORE (11 ) Bellissima immagine di Javhè pastore, frequente nella Bibbia per indicare l’amore misericordioso di Dio per il suo popolo. Qui però l’amorosa cura non è per la comunità ma per le singole persone, che egli conduce, dirige e porta, perché ogni individuo abbia parte a ciò che è promesso alla collettività. Questa immagine che il Deutetroisaia ha ereditato dai predecessori ( Gr 23, 3; Ez 34, 2-4) sarà usata nel NT per descrivere l’infinito amore che Cristo porta agli uomini ( Mt 18, 12-13; Lc 15, 3-7; Gv 10, 1-16 ).
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore)
SECONDA PARTE DEL LIBRO DI ISAIA La seconda parte del libro di Isaia ( capitoli 40-55 ) è di un profeta anonimo, detto Deuteroisaia o Secondo Isaia, vissuto in Babilonia verso il 550 d. C., ai tempi delle prime vittorie di Ciro, che facevano presagire la caduta dell’impero babilonese. La composizione potrebbe essere avvenuta tra il 550 e il 540 a. C. E’ un grande poema del ritorno dall’esilio, contiene i quattro carmi del Servo di Javhé, inni di Javhé, di Gerusalemme e Sion. “La composizione dovrebbe essere avvenuta verso il 550-540 a. C. E’ un periodo in cui la storia della Mesopotamia era ad una svolta. L’impero babilonese che, era stato erede dell’Impero Assiro, aveva raggiunto il vertice della gloria durante il lungo regno di Nabucodonosor ( 605-562 a.C.). Questo imperatore aveva distrutto Gerusalemme nel 587 e portato in esilio i notabili d’Israele. I suoi successori non furono in grado di conservarne l’impero; Nabonid ( 556-539 a. C ) passò gran parte del suo regno a Teima in Arabia, forse nel tentativo di difendere il suo regno dalle tribù arabe, lasciando a Babilonia il figlio Baltassar, come reggente. Questi, fu sconfitto da Ciro di Anshan, e Babilonia si arrese per tradimento senza colpo ferire. Ciro II era figlio di Cambise e divenne re di Anshan, un regno vassallo dei Medi, nel 559 a. C. ; subito, nel 556 si ribellò ad Astiage, re dei Medi, nel 550 conquistò Ecbatana, capitale della Media che divenne satrapia del suo regno ; nel 546 iniziò una campagna contro Babilionia, la conquistò nel 539 e incorporò il suo territorio nell’impero persiano; morì combattendo contro i Massageti nel 529. Nell’Antico Testamento Ciro appare probabilmente nel 545, come speranza di restaurazione per Giuda e Gerusalemme. Il Deuteroisaia lo chiama pastore di Javhè e dice che compirà la volontà di Javhé (44, 28 ); lo qualifica con il titolo di “unto” di Javhé, che gli prende la destra, titolo anticamente riservato soltanto ai re e ai sacerdoti. E Javhé che offre a Ciro le sue conquiste, e lo fa perché Ciro possa restaurare il popolo d'Israele ( Is 45, 1 ss ) Questa speranza si compie nel 538 quando Ciro permise agli Ebrei esiliati a Babilonia di fare ritorno a Gerusalemme e di ricostruire la città e il tempio ( 2 Cro, 26, 32 s; Esd 1, 4 ). Il comportamento di Ciro nei confronti degli Ebrei è in armonia con la politica da lui seguita in Mesopotamia, dove riportò nei templi originari, spesso ricostruiti, le immagini degli dei catturati. Gli ebrei, che non possedevano immagini divine, ricevettero invece i vasi sacri del tempio, che Nabucodonosor aveva portato via. ( Esd 1,7)” ( J.L Mekenzie ). CONSOLATE IL MIO POPOLO Dio chiede a qualcuno di “parlare al cuore di Gerusalemme”, di annunziare al popolo prigioniero che la schiavitù è finita. Il linguaggio è quello dell’amore e gli sposi sono Dio e il suo popolo legati insieme da una perenne alleanza. Dio vuole che venga annunziata alla sua “sposa” una consolazione, che non è solo una parola incoraggiante, ma è legata all’intervento di Dio nei confronti del popolo. E’ un modo concreto che Dio ha di consolare la sua sposa. Israele era finito in schiavitù per la sua infedeltà, ma ora l’iniquità è stata scontata, anzi il popolo di Babilonia è andato oltre il mandato, il popolo eletto ha ricevuto un forte castigo, ma Dio ora ha deciso di porre fine allo scempio. UNA VOCE GRIDA Forse è il grido durante un’azione liturgica fatta a Babilonia, che annunzia : “nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio” . A Babilonia erano molto importanti le vie processionarie, nelle quali si svolgevano le grandi processioni in onore delle divinità e dei re vincitori; per gli israeliti esuli quelle vie erano segni che dimostravano la potnza di Babilonia. Il profeta indica una via processionale che non si snoda lungo la città, luogo di corruzione e di ricchezza smodata per alcuni e oppressione per altri, ma nel deserto, luogo di fede sicura da parte di Jawheh, di amore giovanile, come cantava Osea: La condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore” ( Os 2, 16 ). ( Vedi : De Zan ) LA GLORIA DI DIO Nella via sacra che si snoda nel deserto si mostrerà la “gloria” di Dio a “ogni carne” e tutti i popoli la vedranno. La “gloria” di Dio e la sua manifestazione. Dio che si è mostrato capace di giudizio severo verso Israele peccatore, ora, a conclusione dell’esilio, si mostra “glorioso” con popolo ebraico davanti agli occhi degli altri popoli, con una grande liberazione di servi che aspirano alla libertà che avverrà non con guerre o rivoluzione, ma “perché il Signore ha parlato”. ( Vedi: De Zan ) UNA VOCE GRIDA Gerusalemme diventa la messaggera davanti a tutte le altre città dell’esperienza di cui sarà
destinataria e protagonista: l’amore liberante di Dio. Essa annunzia che Jahweh è al di sopra di tutte le divinità del popolo oppressore: egli si è servito della storia prima per condurre in esilio il suo popolo e poi per riportalo in patria; questo è il nostro Dio, proclama. Poi annunzia il modo con cui Dio realizzerà la sua impresa: con la stessa potenza con cui ha compiuto la liberazione dall’Egitto, con braccio potente, come il pastore che raduna il suo gregge, perché il Dio dell’Esodo è il pastore d’Isreale. Poi dice che Dio porta il suo popolo come “stipendio”, termine da mettere in relazione al fatto che Giacobbe per avere in sposa Rachele dovette servire per sette anni il suocero Labano; portare il popolo come “stipendio” significa quindi che Dio percorrerà il deserto con la sua sposa liberata. ( vedi De Zan) LA GIOIOSA NOTIZIA La fede cristiana è una speranza, una gioiosa speranza: è “vangelo” (gioiosa notizia), proclamata da una “gioiosa messaggera” (Is 40, 9 ). Isaia vede la venuta del Signore nel prossimo ritorno degli ebrei in patria. Anche per noi il Signore viene. E’ importante questo presente: non solo Dio verrà nel momento stabilito, ma già ora viene incontro a noi. Ogni sua venuta è portatrice di tutte le sue venute precedenti ed è garanzia della sua ultima e definitiva venuta alla fine della storia. Ma come può essere “vangelo”, annunzio di gioia per noi, se pensiamo al giudizio di Dio ? Se guardiamo alle nostre opere nulla lascia prevedere un giudizio di cui ci si possa rallegrare, se invece guardiamo alla sua misericordia, possiamo dare spazio alla gioia, ci volgiamo e spianiamo la strada al Signore che viene. ( F. Bianchin ) CONVERSIONE, TESHUVAH, METANOIA Conversione in ebraico si dice “teshuvah”, che significa “ritorno”. E’ proprio questa è l’opera che verrà a compiere Elia, prima della venuta del Signore, “ farà tornare i cuori dei padri verso i figli e i cuori dei figli vero i padri “ ( Mal 3, 24 ). Vale a dire che non ci può essere ritorno a Dio senza una riconciliazione tra gli uomini. Anche Gesù ricorderà questa esigenza delle riconciliazione umana per una vera conversione a Dio. ( Mt 5, 23 ) In greco invece si parla di “metanoia”, cioè cambiamento del “nous” , parola che contiene l’idea di “ragione” , attraverso cui l’uomo conosce se stesso, gli altri, il mondo e prende le decisioni. Metanoia è capovolgere il modo di ragionare cioè un guardare la realtà non più a partire da sé, ma con gli occhi di Dio stesso, immettersi in una nuova strada in cui non più l’”io”, ma Dio, è il centro. E’ ovvio che un tale cambiamento non appartiene alle capacità umane. Solo Dio può fare questo. Cosa può fare l’uomo? Cominciare a gridare “ Facci ritornare a te, Signore e noi ritorneremo” ( Lam 5, 21 ). A questa preghiera l’uomo aggiungerà la confessione dei propri peccati; ascolterà “quel che dice il Signore, il quale annunzia la pace”, fino a lasciarsi abitare dalla sua parola, perché nell’uomo stesso “ misericordia e verità s’incontrino e giustizia e pace si bacino” ( Sl 85, 11 ) . ( F. Bianchin ) GESU PASTORE CI CONDUCE AL PADRE Gesù parlando di sé come pastore, ha voluto alludere al cammino di Jahweh che attraverso la strada processionale nel deserto, conduce la grande processione del suo popolo verso Gerusalemme. Il Maestro, infatti, descrivendo il rapporto tra il pastore e le pecore dice che : “il guardiano gli (al pastore) apre (la porta del recinto ) e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore per nome e le conduce fuori. E quando ha condotto fuori tutte le pecore, cammina davanti ad esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce” ( Gv 10. 3-4 ). Alla luce di quanto dirà tutta la riflessione della chiesa nascente, il “cammino” di Gesù è il cristianesimo che ci offre l’accesso al Padre per mezzo del sacrificio compiuto da Cristo: “Fratelli, poiché abbiamo piena libertà di entrare nel santuario per mezzo del sangue di Gesù, via nuova e vivente che egli ha inaugurato per noi attraverso il velo, cioè la sua carne e poiché abbiamo un sacerdote grande nella casa di dio, accostiamoci con cuore sincero nella pienezza della fede, con i cuori purificati da una cattiva coscienza e il corpo lavato con acqua pura” ( Eb 10, 19-22 ). Ciò che per gli esuli era Gerusalemme, per i cristiani è il Padre. Ciò che per gli esuli era Jhweh, per i cristiani è Gesù. Il cammino, comunque, è quello tracciato da Dio con l’amore di chi prende gli agnellini in braccio e conduce pian piano le pecore madri, e con la tenerezza di colui che non spezza la canna infranta e non spegne il lucignolo fumigante ( Mt 12, 20 ) ( De Zan )
PREGHIERA (=pregare la parola ) Ecco ci lasciamo alle spalle il rumore e gli affanni, le immagini opache di false illusioni, gli idoli vani, gli amori sciupati, le attese incompiute e deluse. Tu, Dio, ci chiami all’incontro. La “voce” ci guida laddove tu hai piantato una nuova speranza, una gioia, una luce che sorge per noi. Attiraci a te:
come popolo che vaga smarrito in cerca di un lembo di pace, ci lasciamo condurre dal grido che s’alza dall’arida terra” E’ finita la nostra schiavitù. Ecco il nostro Dio”. Sei tu la parola di fuoco, mandata dall’alto che sciogli le asprezze del male. Il sentiero del cuore del Padre non ha incrinature: è uno sguardo diritto, è uno sguardo d’amore. Sei tu che prepari la via, che abbatti i monti del male e dell’odio, che colmi le valli delle nostre omissioni, distendi le ripide vie della vana superbia. Sei tu che spiani le alte montagna, le rupi perenni che i nostri passi non sanno affrontare. Su questa mia povera terra prepari una strada appianata, perché sia più facile al cuore vedere i tuoi occhi, limpido specchio dell’amore del Padre. Sia la mia vita in quest’oggi di grazia un altro monte di gioia che gridi la lieta notizia del tuo venire. Sia trasparenza della tua parola che risuoni al mio cuore e al cuore del mondo di ognuno dei miei fratelli: “Siate consolati, siete consolati!”. Perché il cuore di Dio per noi e una carezza alle nostre infermità, un braccio potente che ci raccoglie nel regno della pace. Siamo noi la tua voce, Signore, noi che abbiamo raccolto l’annunzio, noi immersi nel fuoco dello Spirito Santo, noi tuo popolo scelto, terra purificata dal sangue di Cristo, che canta con gioia la nostra salvezza.
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE (=assunzione di impegni concreti) Seguiamo sempre Gesù che attraverso il deserto della vita ci conduce al Padre.
ISAIA 42, 1-9 1Ecco il mio servo (aebaed) che io sostengo (’etmak) , il mio eletto (bekiri) di cui (nepshì) mi compiaccio. Ho posto (natàttì ) il mio spirito ( ruchi) su di lui; egli porterà il diritto ( mishpàt) alle nazioni. 2Non (lo) griderà né (lo) alzerà il tono, non (lo) farà udire in piazza la sua voce, 3non (lo) spezzerà una canna incrinata, non (lo) spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta. Proclamerà il diritto (mishpàt) con fermezza (emet ; 4non (lo) verrà meno e non (lo) si abbatterà, finché non avrà stabilito il diritto (mishpàt) sulla terra; e per la sua dottrina ( thorah) saranno in attesa le isole. 5Così dice il Signore Dio che crea i cieli e li dispiega, distende la terra con ciò che vi nasce, dá il respiro alla gente che la abita e l`alito a quanti camminano su di essa: 6«Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, 7perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre. 8Io sono il Signore (Jahwèh): questo è il mio nome; non cederò la mia gloria ad altri, é il mio onore agli idoli. 9I primi fatti, ecco, sono avvenuti e i nuovi io preannunzio; prima che spuntino, ve li faccio sentire».
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) Isaia 42, 1, 4 è il primo dei quattro carmi del Servo di Javhé (aebaed Javhé ). La pericope presenta un personaggio misterioso, che avendo delle affinità con il popolo d’Israele, se ne distingue per alcune marcate qualità. Dio stesso descrive la speciale natura di questo eletto. La missione del Servo, ripieno dello spirito, dall’agire delicato e soave, è quello di essere il profeta della religione javista presso tutti i popoli. Matteo 12, 17,21 applica direttamente a Gesù questo testo. ECCO IL MIO SERVO (1 ) Javhè presenta il servo, consacrandolo per un’alta missione. Il termine “servo” non indica una posizione sociale disprezzata, anzi spesso è un titolo d’onore. Così è designato come “servo” il primo ministro, i profeti, il re, il popolo d’Israele. La parola “aebaed” qui usata può denominare, come il latino “puer” , sia il servo che il figlio, l’altra parola altre volte usata “talia” può significare sia servo che agnello; così non è escluso che le parole del Battista: “Ecco l’agnello ( talia ) di Dio” ( Gv 1, 29, 36 ), significassero all’inizio “ Ecco il servo di Dio”. Qui il servo risulta essere oggetto di una protezione, di un affetto, di un’assistenza particolare di Dio ( io sostengo.. mio eletto ) che lo prende per mano ( 6 ) e lo sorregge. IL MIO SPIRITO SU DI LUI (2 ) Lo spirito che viene comunicato è quello profetico, che lo abilita a svolgere un ufficio di missionario presso i pagani, “le nazioni “ ( i “goyin”). Il “diritto” che porterà è la grande decisione di salvezza presa da Dio e anche il retto ordinamento e la “verità” in generale. Proclamando il “diritto di Dio”, il servo crea il fondamento per la pace e per la salvezza. NON GRIDERA’ (3 ) Il testo non specifica positivamente il modo in cui il “servo” eseguirà il compito, ma si limita ad alcuni cenni proposti in forma negativa ( 7 volte “ non” ). La prime tre negazioni: “ Non griderà., né alzerà il tono, non farà udire “ dicono che il “servo” avrà uno stile diverso da quello dei falsi profeti che amavano assumere atteggiamenti carismatici. NON SPEZZERA’ UNA CANNA (3 ) La successiva coppia di negazioni: “ Non spezzerà… non spegnerà “ indica l’attenzione e la delicatezza con la quale il “servo” adempirà la sua missione di fronte ai poveri e agli oppressi, agli stanchi e agli spossati, a chi vive nello scoramento e nell’abbattimento. PROCLAMERA’ IL DIRITTO (5 ) Si distinguerà per la fedeltà nello svolgimento della missione di annunzio della salvezza e della
verità ( il diritto con fermezza ). NON VERRA’ MENO ( 4 ) Le ultime due negazioni dichiarano la costanza del servo in mezzo ai contrasti, nel compiere e fino al compimento della sua missione ( stabilito il diritto ). PER LA SUA DOTTRINA (4 ) Le “isole non sono solo gli abitanti di terre lontane, ma anche tutti i popoli privi della vera rivelazione. Di questa rivelazione sono “in attesa” i pagani. La “dottrina” attesa dai pagani è la legge, la vera religione. Versetti 5-9 TI HO CHIAMATO PER LA GIUSTIZIA ( 6 ) L’interpretazione dei versetti 5-9 è controversa: alcuni li considerano un prolungamento del carme, altri li interpretano del re Ciro. Per chi segue la prima interpretazione l’oracolo di investitura del v. 6 si riferisce al Servo e indica il fine per cui è stato scelto da Javhé. Dio ha chiamato il servo per la salvezza ( giustizia ) e “lo ha preso per mano”. TI HO FORMATO ( 6 ) Il servo è lo strumento di cui Dio si serve per stingere alleanza con tutti i popoli, come già strinse alleanza con Israele. E’ detto che per questo Dio lo “ha formato” e il verbo è quello usato in Gn 2, 7. L’espressione “luce delle nazioni” probabilmente appartiene a 49, 6. TU APRA GLI OCCHI AI CIECHI ( 7 ) Il versetto esprime in modo metaforico la missione del servo verso Israele , cioè la liberazione dall’esilio ( reclusione ) di Babilonia. Ma esprime anche la missione del servo verso i pagani, che saranno illuminati dalla salvezza. La prigionia è perdita della libertà e della luce. Il “servo” darà la vista ai ciechi (Gv 9) e la libertà ai prigionieri (Gal 5, 1). L’uomo deve riconoscere la sua schiavitù e cecità prima di essere liberato. IO SONO IL SIGNORE (9 ) Dio si presenta in prima persona, unico di fronte agli dei; si manifesta nel suo nome : “Io sono il Signore: questo è il mio nome” , nella sua gloria : “non cederò la mia gloria” e nella sua parola che svela il futuro : “ i nuovi (fatti) io preannunzio”; con la stessa parola che ha annunziato il passato che si è avverata : i castighi, annunzia il futuro: la salvezza , che inizia a realizzarsi.
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) I QUATTRO CARMI Nel Deuteroisaia ( Isaia 40-45 ) troviamo quattro canti che illustrano una figura misteriosa conosciuta come “servo di Javhè”: Nel primo ( 42, 1-4 ) è descritta la missione di colui che deve proclamare la giustizia e il diritto; il secondo ( 49, 1-6 ) descrive l’elezione, la formazione, le difficoltà, la missione del servo ; il terzo ( 50, 4-9 ) le opposizione e la certezza di vittoria ; il quarto ( 52, 13, 53-12 ) la sofferenza e la morte del servo. IL SERVO Servo ( ebed =schiavo ) non è qui visto come titolo negativo, ma come titolo onorifico e che esprimeva l’umiltà dovuta davanti al sovrano. Questo titolo viene dato a Mosè, a Davide, ad alcuni capi politici e ai profeti, quindi ad una schiera di grandi figure bibliche che hanno una totale fedeltà a Dio e operano perché i suoi progetti si adempiano. In Isaia 40-45 viene chiamato servo anche il popolo ebraico, ma è presentato come cieco e sordo ( 42,18-19). Chi sia questo servo non è certo. Per alcuni è il profeta che scrive, per altri Geremia, per altri il popolo d’Israele, o l’Israele ideale, il resto. Per gli ebrei era il popolo d’Israele. Nel Nuovo Testamento il titolo è attribuito a Cristo. CONTRAPPOSIZIONI Troviamo contrapposizioni violente, che riflettono gli eventi e la storia d’Israele nel libro di Isaia e come sintetizzate nei quattro carmi del “servo di Jahwèh”, in una progressione di temi che va dalla vocazione del Servo fino alla sua morte espiatrice. Di fronte a questa figura saltano tutti i nostri schemi. Ci accorgiamo di essere uomini limitati, incapaci di comprendere i piani di Dio e di entrarvi. La salvezza non sarà mai opera nostra ma dono, gratuito per noi e sofferto da parte di chi ce lo ha meritato. Fin dalla
vocazione il Servo è destinato a far coincidere nella sua azione qualità che appaiono inconciliabili. ( Messale ldc ) IL PRIMO CARME E’ la presentazione del servo nell’interno della corte celeste, e della sua missione che ha connotati originali: egli romperà gli schemi tradizionali della profezia che annunziava il giudizio; egli annunzierà la grazia e sarà l’uomo della tenerezza e della compassione. La sua parola non sarà destinata solo ad Israele, non solo alle nazione, ma anche alle isole che sono, nella visione di Israele, i punti più remoti della terra: la grazia annunziata a tutti i popoli della terra. ( G, Ravasi ) QUESTO E’ IL MIO SERVO Dio presenta il suo servo, come eletto, alla stregua di Mosè, di Davide, dei leviti; lo presenta anche come colui sul quale risiede il suo spirito ( ruach) che era donato ai profeti, ai capi militari e ai re. Questo servo appare come una persona scelta sa Dio per un incarico salvifico, e come un personaggio del futuro. L’incarico dato al “servo” è di portare il diritto (mishpàt) alle nazioni, cioè una corretta sentenza; questa corretta “sentenza” è l’annunzio chiaro su Dio unico e misericordioso in un mondo dove su di lui ci sono idee distorte. Il servo lo farà in modo che sia accolto stabilmente (finche non avrà stabilito ) e adempirà la sua missione in maniera delicata e rispettosa non però con debolezza o buonismo, ma in modo fermo e fedele : questo dicono le sette negazioni ( lo=no) che offrono un quadro generale ricco di umanità, e il termine usato “emet”, che indica fermezza , fedeltà e sicurezza.. (vedi : De Zan ) GESU HA LE CARATTERISTICHE DEL SERVO Gesù non è venuto “per essere servito ma per servire e dare la sua vita in riscatto di molti” ( Mt 10, 45 ), identificandosi così col servo del Deuteroisaia. E, proprio secondo queste linee, il Nuovo Testamento ha descritto la sua figura e il suo destino; soprattutto nei primi testi della comunità paleocristiana egli appare come il “servo di Jahweh” ( es. Mt 2, 8; At 3, 13, 26; 4, 27, 30.. ) , come l’eletto ( Lc 9, 35 ), oggetto della compiacenza divina (Mr 1, 11 ) e depositario dello spirito ( Mc 1, 10). Egli possiede tutte le caratteristiche che Isaia 42, 1 aveva attribuito al servo di Jahweh . Ma anche gli attributi di “figlio di Dio” e di “agnello di Dio” sono collegabili a quello del “servo di Jahweh”, sulla base di alcune traduzione antiche : aebaed - pais – talia. Infine sussiste anche l’identificazione tra il Messia davidico e il “servo”, perché al servo non vengono attribuiti solo caratteristiche profetico-mosaiche, ma anche tratti tipici del re davidico. (Notker Fuglister ) BATTESIMO E PREDICAZIONE DI GESU’ Confrontando l’inizio del brano di Isaia e quanto Matteo dice del Battesimo ( Mt 3, 13-16 ), Gesù appare chiaramente come il “servo di Jahwèh”. In Isaia, Dio presenta il servo dicendo : Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui. Matteo dice che quando Gesù esce dall’acqua “vide lo Spirito di Dio discendere… ed ecco una voce da cielo che diceva: “ questi è il mio Figlio, il prediletto: in lui ho posto il mio amore” . ( Mt 3, 13-16 ) . Inoltre contenuto e dallo stile della predicazione di Gesù è come l’aveva profetizzata Isaia 42, 1-4: Egli annunzia il Padre come unico Dio e fa il suo annunzio con fedeltà e fermezza e contemporaneamente con profondo senso di rispetto per tutti. VERSETTI 5-9 Alcuni pensano che anche questi versetti facciano parte del carme del “servo”. Il brano inizia con un inno a Javhe, che esalta la sua opera creatrice; segue un oracolo di investitura, che sembra in gran parte riferirsi al “servo”: “ Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre”. Dio dice che il servo è lo strumento di cui si serve per stringere alleanza con tutti i popoli, come aveva fatto con Israele ed è insieme mediatore di luce, cioè apportatore di salvezza. L’accenno all’uscita del carcere e dalle tenebre allude alla liberazione dalla schiavitù babilonese e per questo alcuni pensano che l’oracolo sia da riferirsi a Ciro. La pericope termina (8-9) con la puntualizzazione che il nome di “Javhè”, rivelato a Mosè, esprime la natura di Dio, che possiede la pienezza dell’esistenza e dell’azione salvifica.
PREGHIERA (=pregare la parola ) Gesù, inserendomi nel battesimo tu mi hai chiamato ad imitarti in tutto. Io devo imitarti. Ma è qui la mia tragedia: io sono ben poco la gioia del Padre, io cerco la mia volontà…. Io non riesco a vivere un giorno solo nella carità o vi riesco a fatica. Signore Gesù, voglio anch’io essere la gioia del Padre. Aiutami. Io confido in te! (A.. Gasperino ) Padre onnipotente ed eterno che, dopo il battesimo nel fiume Giordano, proclamasti il Cristo tuo diletto Figlio, mentre discendeva su di lui lo Spirito Santo, concedi ai tuoi figli, rinati dall’acqua e dallo Spirito di vivere sempre nel tuo amore ( Colletta Battesimo del Signore ) Signore, siamo un popolo sacerdotale e regale, una comunità chiamata ad annunziare le tue meraviglie, sostienici perché come figli eletti e amati sentiamo la serietà e la gioia della missione alla quale siamo chiamati. Signore Dio, tu hai reso degni i tuoi servi di ricevere la remissione dei peccati con il bagno di rigenerazione dello Spirito Santo. Manda a noi la tua grazia perché di serviamo secondo la tua volontà. (Ippolito di Roma )
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE (=assunzione di impegni concreti) Imitiamo il “servo di Jahwèh” nell’annunziare al mondo il vangelo con fedeltà e fermezza e contemporaneamente con profondo senso di rispetto per tutti.
ISAIA 43, 16-21 Così dice il Signore ( Jahwèh ) , che offrì ( hannotèn ) una strada (dèrek) nel mare e un cammino in mezzo alle acque possenti, che fece uscire (hammòtzi) carri e cavalli, esercito ed eroi insieme; così giacciono morti: mai più si rialzeranno, si spensero come un lucignolo, sono estinti. : “ Non (‘al) ricordate più le cose passate, non (‘al) pensate più alle cose antiche!” Ecco faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? Aprirò anche nel deserto una strada (dèrek), immetterò fiumi nella steppa, perché avrò fornito acqua al deserto, fiumi alla steppa. Mi glorificheranno le bestie selvatiche, sciacalli e struzzi, perché avrò fornito acqua nel deserto, per dissetare il mio popolo (‘am), il mio eletto. Il popolo (‘am) che io ho plasmato per me celebrerà le mie lodi” .
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) Isaia 43, 16-21 è un dei brani del Deuteroisaia caratterizzati dall’annunzio della storia della salvezza. Si colloca nella prima parte (40-44) introdotta da un prologo (40, 1-11) e conclusa con un inno di ringraziamento ( 44, 23 ). Vi troviamo l’annunzio dell’evento della salvezza che Dio, unico, potente e buono intende realizzare. E’ un annunzio di salvezza ed è nettamente diviso dal testo successivo dalla radicale diversità dei temi. COSI’ DICE IL SIGNORE....OFFRI’ UNA STRADA (16 ) Introduce il brano la formula araldica: “ Così dice il Signore: ”.Il testo allude ai fatti dell’esodo dall’Egitto, di cui le nuove gesta sono una riproduzione e una sublimazione. Lo stile inizia in forma innica e prosegue col 17 in forma narrativa. Un tempo Dio ha condotto Israele attraverso un sentiero da lui aperto in mezzo alle acque. Ora egli promette: condurrò i ciechi per vie che non conoscono. NON RICORDATE (18 ) Dio si rivolge direttamente agli esiliati, invitandoli a non pensare più al passato. Il passato si identifica con la liberazione dalla schiavitù d’Egitto. Ricordare le azioni salvifiche di Dio è molto importante, ma la memoria non può essere una fuga nostalgica, un cullarsi nel ricordo, ma deve aprirsi al futuro. Il poeta sembra sostituire la legge della memoria con la speranza. FACCIO UNA COSA NUOVA ( 19 ) La “cosa nuova” è un intervento di liberazione atteso per un prossimo futuro. E si tratta della liberazione da Babilonia. Tale liberazione è un “agire” divino, che ha il sapore della creazione, “far germogliare” infatti esprime la potenza creatrice di Dio. APRIRO’ ANCHE NEL DESERTO (20 ) L’annunzio della salvezza diviene concreto, anche se proposto con linguaggio enfatico. Javhè ricondurrà il suo popolo in patria guidandolo attraverso il deserto. Nel primo esodo Javhè aprì il mare, ma il deserto rimase immutato, ora il deserto stesso sarà trasformato. LE BESTIE SELVATICHE (21 ) Tanto grande e prodigiosa sarà l’azione di Dio che se ne accorgeranno anche gli animali selvatici, di cui sono citati gli sciacalli e gli struzzi, che vivono nella steppa, ed essi onoreranno con la loro esistenza il Dio che garantisce la via facendo trovare ricche fonti di acqua. IL POPOLO (21 ) Il popolo dovrà celebrare le lodi di Dio in maniera particolare, prima e più di ogni altro popolo, dal momento che è il popolo eletto. Anche dopo il nuovo esodo Israele dovrà celebrare nel suo culto il ricordo dell’intervento divino e attraverso questo eco di gioia l’azione di Dio andrà oltre la cerchia di coloro che l’hanno direttamente esperimentata.
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) COSI DICE IL SIGNORE La profezia del nuovo esodo inizia con la formula solenne: “Così dice il Signore”. Javhé è presentato con due participi ; hannotè ( donante, offerente ) e hammotzi ( che fa uscire ). Dio, come Signore
della creazione e della storia, è colui che liberamente dona; ai tempi dell’Esodo ha donato “una strada nel mare e un sentiero in mezzo alle acque possenti” e ora aprirà “una strada nel deserto” . Lungo la strada aperta nel mare, Jahweh ha fatto uscire gli Ebrei dall’Egitto, che era la più grande potenza del tempo, manifestando la sua onnipotenza. Fu un fatto grandioso, ma non bisogna fermarsi lì. Dio sta per compiere un nuovo esodo in modo diverso , durante il quale prevarrà il suo amore infinito e la sua misericordia. ( Vedi: De Zan ) NUOVO ESODO Nel primo esodo, durante la traversata del deserto gli Ebrei incontrarono serie difficoltà, la strada del nuovo esodo sarà invece senza ostacoli, ricca di acque in modo inusitato. Durante il ritorno da Babilonia a Gerusalemme non ci saranno occasioni né prove, né contestazioni, il ritorno sarà una marcia di liberazione. Tutte le schiavitù saranno abolite, le bestie selvatiche glorificheranno il Signore ( 43, 20 ) e gli uomini celebreranno la lode di Dio (43, 21 ). E’ il popolo del nuovo esodo è definito “mio”, “mio eletto”, ossia popolo dell’alleanza, infranta da Israele e ripristinata da Dio. ( De Zan ) NON RICORDATE Il ricordo è una legge fondamentale d’Israele: ricordare, trasmettere, proclamare le azioni salvifiche di Dio. ( sl 23 ). Da qui nasce il senso della storia. Però la memoria non può essere una fuga nostalgica verso il passato, né può cullarsi del ricordo, ma deve aprirsi verso il futuro. Il poeta sembra annullare paradossalmente questa legge della memoria per sostituirla con la speranza…. Il paradasso vuole sottolineare la superiorità del futuro e preparare il popolo a farne l’esperienza. ( A Shokel ) . ECCO IO FACCIO UNA COSA NUOVA L’esodo che attende Israele sarà “una cosa nuova”. E la novità non nella Bibbia non indica solo diversità. Geremia aveva annunziato l’alleanza nuova tra Dio e il suo popolo ( Ger 31, 321-34 ), Ezechiale parla di un cuore nuovo dato ai credenti ( Ez 36, 26 ), il Deuteroisaia annunzia un nuovo esodo e il Tritoisaia profetizza cieli nuovi e terra nuova ( Is 65, 17 ) , l’orante innalzerà a Dio un canto nuovo ( Sl 33, 3 ) perché si è instaurato un nuovo rapporto con Jahwèh. Il nuovo non è solo novità o cosa inaspettata e non conosciuta. E’ molto di più, perché è una realtà che in qualche modo appartiene alla nuova creazione che Dio sta compiendo” : “Ora sono create e non da tempo” ( Is 48, 6) . ( Vedi : De Zan ) NON FERMARSI AL PASSATO Nella celebrazione liturgica Israele “attualizzava” l’intervento liberatore e salvifico. Il profeta dice che non bisogna fermarsi qui, che non ci si può fissare sul “passato”, sia pure attualizzandolo, e dimenticare il nuovo, il futuro. Tale contesto è importante anche per la ricorrente attualizzazione dell’atto redentore compiuto da Cristo e per il quotidiano rinnovamento della celebrazione eucaristica, Non è sufficiente garantire “presenza” al “passato”, ma bisogna guardare a ciò che Dio compie ora e in futuro. Non basta fermarsi a ricordare, con spirito di ringraziamento e di preghiera, ciò che Dio ha compiuto, sebbene esso sia fondamentale ed efficace per tutti. Anche l’atto liberatore compito sul Mar Rosso, aveva tale carattere, eppure il profeta invita a non arrestarsi ad esso, ma a volgere lo sguardo anche al futuro. Medesimo orientamento presentano le parole eucaristiche della Seconda Alleanza ( Lc 22, 18 ) e Paolo dice alla comunità di Corinto di proclamare la memoria della morte del Signore sino a quando egli non sarà ritornato”. ( 1 Cor 1, 26 ) (Josef Schreiner ) NOVITA CRISTIANA L’insegnamento di Gesù era nuovo; egli infatti insegnava fondamentalmente se stesso. Ma per cogliere la novità di Gesù era ed è necessaria una mentalità nuova, aperta alla suprema legge di quello Spirito che è la fantasia di Dio. Chi accoglie la novità assoluta, può entrare nella nuova alleanza, adempiuta secondo le profezie e messa in atto dall’Eucaristia: “Questo calice è la nuova alleanza” ( Lc 22, 20 ) e conseguentemente è chiamato ad accogliere il comandamento nuovo che Gesù gli affida : “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri”. ( Gv 13, 34 ) GENTE NUOVA CHE GUARDA AVANTI Dio libera e salva, ma ogni volta lo fa in modo meraviglioso. E’ sempre la stessa cosa, ma insieme è sempre “una cosa nuova”. Al culmine c’è quella liberazione suprema che viene dall’innesto nella Pasqua di Cristo. E’ la liberazione ultima che non invecchia mai; se fa della vita una corsa avanti che non conosce
soste. Si butta alle spalle ciò che sta dietro per protendersi in un futuro sempre più bello e più pieno. Il cristiano non appartiene a quella categoria di gente che guarda sempre indietro, diventando prigioniero del passato, ma a quella dei coraggiosi che guardano avanti e si aprono con fiducia ed entusiasmo all’avvenire. Il passato, anche se segnato dalla miseria e dal peccato, fa da trampolino di lancio per un futuro più bello. E’ Cristo con la sua presenza misteriosa, che rende possibile questo ardimento. E’ il suo perdono che ci fa “nuovi” e ci permette di guardare avanti, cioè di ricominciare ogni giorno. Questo è vero per chiunque crede . ( M. Magrassi )
PREGHIERA (=pregare la parola ) Signore, tu ci inviti a cambiare, a rinnovare la nostra vita per renderla conforme allo spirito del vangelo. Fa che siamo più generosi e non esitiamo a camminare, al seguito del tuo Figlio, sulla via della giustizia e della verità Dio di bontà, che rinnovi in Cristo tutte le cose, davanti a te sta la nostra miseria; tu hai mandato tuo Figlio unigenito non per condannare, ma per salvare il mondo, perdona ogni nostra colpa e fa che fiorisca nel nostro cuore il canto della gratitudine e della gioia. (Colletta della 5 di Quaresima C) La nostra bocca si aprì al sorriso, la nostra lingua si sciolse in canti di gioia. Grandi cose ha fatto il Signore per noi, ci ha colmati di gioia (Salmo 125 ) Signore, tu ci inviti a cambiare, a rinnovare la nostra vita per renderla conforme allo spirito del Vangelo. Fa' che siamo più generosi e non esitiamo a camminare, al seguito del tuo Figlio, sulla via della giustizia e della verità, anche se talvolta si tratta della via della croce. ( C. Berthes )
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE (=assunzione di impegni concreti) Siamo sempre aperti alle novità del Signore.
ISAIA 44,24-45,7 44. 24Dice il Signore (koh ‘ amar Jhweh ), che ti ha riscattato ( go’èl ) e ti ha formato (yotzer ) fino dal seno materno: «Sono io, il Signore (‘anok i Jahwèh), che ho fatto tutto ( ‘osèh) , che ho spiegato i cieli da solo, ho disteso la terra; chi era con me? 25Io svento ( mefer ) i presagi degli indovini, dimostro folli i maghi, costringo i sapienti a ritrattarsi e trasformo in follia la loro scienza; 26confermo ( mequin) la parola dei suoi servi, compio i disegni dei suoi messaggeri. Io dico ( ha’ omer le ) a Gerusalemme: Sarai abitata, e alle città di Giuda: Sarete riedificate e ne restaurerò le rovine. 27Io dico ( ha’ omer le ) all`oceano: Prosciugati! Faccio inaridire i tuoi fiumi. 28Io dico ( ha’ omer le ) a Ciro: Mio pastore; ed egli soddisferà tutti i miei desideri, dicendo ( le’ mor le ) a Gerusalemme: Sarai riedificata; e al tempio: Sarai riedificato dalle fondamenta». 45 1Dice il Signore (koh ‘amar Jahwèh ) del suo eletto, di Ciro: «Io l`ho preso per la destra, per abbattere davanti a (lepamayw ) lui le nazioni, per sciogliere le cinture ai fianchi dei re, per aprire davanti a (lepamayw) lui i battenti delle porte e nessun portone rimarrà chiuso. 2Io marcerò davanti ( lepamayw ) a te; spianerò le asperità del terreno, spezzerò le porte di bronzo, romperò le spranghe di ferro. 3Ti consegnerò tesori nascosti e le ricchezze ben celate, perché (lema ‘an ) tu sappia ( rad: yd ) che io sono il Signore ( anok i Jahwèh ), Dio di Israele, che ti chiamo per nome. 4Per (lema ‘an ) amore di Giacobbe mio servo e di Israele mio eletto io ti ho chiamato per nome, ti ho dato un titolo sebbene tu non mi conosca. 5Io sono il Signore ( anok i Jahwèh ) e non v`è alcun altro ( wen en od ); fuori di me non c`è dio; ti renderò spedito nell`agire, anche se tu non mi conosci ( rad: yd ), 6perché (lema ‘an ) sappiano ( rad yd ) dall`oriente fino all`occidente che non esiste dio fuori di me. Io sono il Signore ( anok i Jahwèh ) e non v`è alcun altro( wen en od ). 7Io formo la luce e creo le tenebre, faccio il bene e provoco la sciagura; io, il Signore( anok i Jahwèh ), compio tutto questo (‘osek kol ).
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) Il capitolo 44 di Isaia inizia con un oracolo di salvezza ( 1-8 ) in cui viene descritto il radioso avvenire di Israele, rinnovato dallo Spirito e aumentato di numero; segue una satira sulla fabbricazione degli idoli (9-20 ), cui fa seguito una promessa ad Israele di perdono delle colpe (21-22 ), un cantico di giubilo per la redenzione operata da Jahwèh (23 ) e un oracolo che annunzia la vittoria di Ciro, che renderà possibile la riedificazione del tempio e della città di Gerusalemme. (24-28 ) DICE IL SIGNORE (24 ) Dio si rivolge ad Israele con un autoinno, in cui celebra quanto ha fatto : ha creato tutto, ha sbugiardato indovini e maghi , ha trasformato la follia in sapienza, conferma la parola dei servi, compie i disegni dei messaggeri . IO DICO A GERUSALEMME ( 26 ) Jahwèh conferma la parola dei profeti, sia quella che parla di distruzione che quella che annunzia la ricostruzione di Gerusalemme. Come hanno detto i profeti è avvenuto e avverrà. IO DICO ALL’OCEANO (27 )
Sono posti in parallelismo due comandi categorici di Dio: uno alle forze cosmiche, all’oceano primitivo, con allusione al Mar Rosso e uno ad un personaggio storico che libererà Israele dalla prigionia; di questo personaggio per la prima volta è detto il nome: è Ciro, chiamato “mio pastore” EGLI SODDISFERA’ (28 ) Ciro eseguirà gli ordini del Signore e Gerusalemme e tempio saranno riedificati.
DEL SUO ELETTO , DI CIRO ( 45.1 ) I titolo di “unto” (eletto ) , cioè Messia, riservato ai re d’Israele (1Sm 9, 23 ), è per la prima volta nella storia del popolo eletto attribuito ad un re straniero. Ciro, vincitore della potenza babilonese, è uno strumento di cui Javhé si serve per stabilire nel mondo la sua sovranità. Dio fa entrare un pagano nella linea della successione davidica e nella storia della salvezza e così a Ciro compete il posto che nell’epoca preesilica era proprio dei re d’Israele. Per il deuteroisaia, Ciro è un unto, uno strumento nelle mani di Dio come per Isaia il re assiro è verga del furore di Javhè ( Is 10, 5 ) e per Geremia Nabucodonor è “servo di Javhe” ( Ger 25, 9; 27, 6; 43, 10 ), attraverso cui egli compie la sua opera. IO L’HO PRESO PER LA DESTRA (1 ) Ciro è più vicino a Javhè di ogni altro re pagano. Dio lo ha “preso per la destra”, in segno di protezione e di amicizia ( prendere per la destra era un’usanza babilonese: il re nell’incoronazione prendeva per mano il dio Marduk, in segno di legittimazione ), lo destina ad un grande compito e lo aiuta nelle conquista, anzi è Javhé stesso che scioglie “le cinture ai fianchi” dei nemici, ossia priva i re della loro potenze e li rende inoffensivi ( alla cintura si portavano le armi, e soprattutto la spada ed avere le cinture sciolte significa impossibilità a combattere ) e apre “ i battenti delle porte”, fa in modo che le porte delle città si aprano davanti a lui senza che egli incontri resistenza. IO MARCERO’ DAVANTI A LUI (2-3 ) Questi due versetti, completano e perfezionano quanto detto nel versetto 1, asserendo che Javhè stesso marcerà davanti a Ciro, preparerà la via al conquistatore, appianerà le vie, eliminerà gli ostacoli. PER AMORE… GIACOBBE (4 ) Le imprese di Ciro nel piano di Dio riguardano Israele. Javhè ha chiamato Ciro, perché conquisti il mondo per la salvezza d’Israele prigioniero a Babilonia. Egli travolge i popoli per fondare un suo impero, ma tutte le sue vittorie sono soltanto un riflesso della benedizione della piccola comunità di Dio, che è caduto su di lui. TI HO CHIAMATO PER NOME (4 ) Viene descritto il rito dell’investitura di Ciro mediante la menzione del nome ( ti ho chiamato per nome ), e del titolo ( ti ho dato un titolo). SEBBENE NON MI CONOSCA ( 4 ) Ciro non conosce nulla del Dio d’Israele, ma è Javhè che lo inserisce nella grande storia mondiale e gli fa compiere un’impresa gigantesca per uno scopo in apparenza minuscolo. Dio domina la storia e si serve di strumenti umani, anche se questi non lo conoscono. IO SONO IL SIGNORE (5 ) Il versetto dice ancora una volta che è stato Javhè a rendere spedito Ciro nelle conquiste ( letteralmente “ti ho cinto” = ti ho dato il potere e la forza necessari ): e puntualizza che egli è l’unico Signore di tutti e di tutto e non esiste altro dio che Lui. Segue di nuovo la precisazione: “sebbene tu non mi conosca”. PERCHE’ SAPPIANO (6 ) Lo scopo ultimo delle imprese di Ciro è la manifestazione dell’unico Dio e quindi la conversione di tutte le genti al monoteismo. IO FORMO LA LUCE E CREO LE TENEBRE (7 ) Jahwèh è l’autore di ogni cosa qui riassunta in forma ardita, con gli estremi di luce e tenebre, bene e sciagura.
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) AUTOPRESENTAZIONE DI DIO Forse per la mancanza di fede degli esuli, Dio si autopresenta, proclamandosi: go’èl (redentore), yotzer ( plasmatore) ‘osèh ( che fa tutto ), mefer ( che fa fallire ) mequin ( che conferma ). Dice che è il redentore, che riscatta Israele dalla schiavitù , che lo ha plasmato donandogli una missione profetica, che è il creatore di tutto, fa fallire i presagi di indovini e maghi, che pullulavano nel mondo mesopotamico e rende credibili i suoi profeti . Dio, con la stessa onnipotente autorità con cui ha compiuto i prodigi dell’esodo , adesso opera in favore di Gerusalemme e lo fa quasi demandando parte della sua autorità di pastore ad un pagano, Ciro, che chiama “ mio pastore”. L’investitura di Ciro serve a tradurre in pratica la promessa di Javhwèh. E
Ciro compirà la sua missione, rimanderà in patria gli ebrei e pronunzierà l’ordine di riedificare la città e il tempio. ( vedi : De Zan ) CIRO IL GRANDE Nel capitolo 45 il Deuterisaia asserisce che Dio eleggerà Ciro un re pagano a suo luogotenente e per suo mezzo libererà Israele. Il profeta segue da Babilonia il cammino vittorioso del persiano Ciro, che ha conquistato l’Asia Minore e ora si dirige verso Sud, verso la Mesopotania. Da lui si aspetta la liberazione del suo popolo, il ristabilimento di Gerusalemme e di Giuda e la ricostruzione del tempio. In tal modo risveglia delle speranze, che secondo i profeti precedenti andavano riposte soltanto su un re della casa di David. Tutto finirà con la vittoria del monoteismo in tutto il mondo. Per il profeta la salvezza dell’epoca di Ciro, la salvezza messianica e la salvezza finale coincidono: egli non ha avuto coscienza delle grosse distanze che le separano. Ciro è il fondatore dell’impero mondiale persiano. Salito al trono di Anshan nel 558 a.C , come vassallo dei Medi, si ribella contro il suo signore Astiage, ed occupa la capitale Ecbatana. Nel 546 vince il re delle Lidia, Creso. Nell’ottobre 539 vince il re di Babilonia Nabonide e Babilonia si arrende senza resistenza. Astuto in politica e tollerante dal punto di vista religioso nei confronti dei popoli soggiogati, permette il ritorno dei Giudei dall'esilio e la ricostruzione del tempio ( Es 1, 1-4; 6, 3-5 ; 2 Cr 36, 22 ss ). ADOZIONE DI CIRO Ciro viene chiamato “eletto”, “unto” ( meshichù ) . Ciro, re straniero, viene immesso nella dinastia regale biblica. Jahwèh lo unge, lo prende per la mano destra, trattandolo come ha trattato il suo popolo. Poi gli parla dicendogli ciò che deve imparare e ricordare: le sue vittorie e le sue fortune sono funzionali a un progetto salvifico divino che mira a due obiettivi. Il primo è la salvezza d'Israele e la ricostruzione di Gerusalemme e del tempio, l’altro è di riconoscere che esiste un solo Dio, che è Jahwèh. ( vedi: De Zan ) SEBBENE NON MI CONOSCA Nel testo di Isaia che parla dell’adozione di Ciro Dio ripetutamente dice: we lo’ yeda ‘ttàni , ossia “sebbene tu non mi conosca” e “non mi conosci;” anche se tu non mi conosci” . Ciro è stato voluto da Dio e reso obbediente e funzionale al suo piano salvifico per Israele senza però che abbia fatto esperienza di Dio. Ne farà esperienza attraverso le azioni vittoriose che compirà. E’ una situazione che si ripete sempre : gli uomini possono fare esperienza di Dio anche all’interno dei loro piani umani vittoriosi o no, nella riuscita o nella sconfitta. Tutto dipende da Dio, anche la luce insieme alle tenebre, anche la sciagura insieme al bene (Is 45, 7 ) . Natura e storia, in tutte le loro dimensioni polari (favorevoli o no, buone o meno) dipendono da Dio. Anche il male in mano a Dio diventa qualcosa che dipende da lui e per questo può diventare salvifico: il Crocifisso sul Golgota ne è la dimostrazione più ardua, ma anche la più chiara. ( De Zan ) IL MALE NEL MONDO Isaia 44, 24-45, 7 è un testo che turba e ci pone di fronte anche al problema del male nel mondo. Abbiamo certamente nella Bibbia frammenti di verità che ci aiutano a riflettere sul male. La Genesi ci parla del peccato originale, il libro di Giobbe dimostrerà che la sofferenza del giusto, pur se non compresa dall’uomo, ha un valore e può diventare strumento di redenzione. Ma sembra che la parola di Dio non abbia voluto dischiudere all’uomo il cuore di questa realtà. La stessa parola tuttavia si è assunta il compito di aiutare l’uomo a convivere con il male e a combatterlo, offrendogli come esempio supremo di convivenza e superamento del male il mistero vissuto da Gesù.. Nei cieli nuovi e nella terra nuova per tutti e per tutto, il mistero del male sarà sciolto da Dio e fatto scomparire. ( De Zan )
LIMITE IMPOSTO AL MALE IN EUROPA Colui che può porre un definitivo limite al male è Dio stesso. Lui infatti è Giustizia per essenza. Lo è perché è Colui che premia il bene e punisce il male con perfetto adeguamento alla situazione oggettiva. Qui si tratta del male morale, si tratta del peccato… Si può dire che la storia dell’uomo è, sin dall’inizio, segnata dal limite che Dio creatore pone al male. Mi è stato dato di fare esperienza personale delle “ideologie del male. E’ qualcosa che resta incancellabile nella memoria. Prima ci fu il nazismo. ….vivevamo sprofondati in una grande eruzione di male e soltanto gradualmente cominciammo a renderci conto della sua realtà entità…. Più tardi, a guerra finita, pensavo tra me : il Signore Dio ha concesso al nazismo dodici anni di esistenza e dopo dodici anni
quel sistema è crollato. Si vede che quello era il limite imposto dalla Divina Provvidenza ad una simile follia…. Se il comunismo è sopravvissuto più a lungo…. deve esserci un senso in tutto questo….. Ciò che veniva fatto di pensare era che tale male fosse in qualche modo necessario al mondo e all’uomo. Succede, infatti, che in certe concrete situazioni dell’esistenza umana il male si riveli in qualche maniera utile, in quanto crea occasioni per il bene. Non ha forse Johann Wolfang von Goethe qualificato il diavolo come : “ una parte di quella forza che vuole sempre il male e opera sempre il bene” ? ( Giovanni Paolo II: Memoria e identità p. 25-26 ) PROVVIDENZA DIVINA E STORIA Il “Compendio del catechismo della Chiesa cattolica” nei numeri 55-58 così risponde a quattro domande su Provvidenza e storia: In che consiste la Provvidenza divina? Essa consiste nella disposizione, con cui Dio conduce le sue creature verso la perfezione ultima, alla quale Egli le ha chiamate. Dio è l’autore sovrano del suo disegno. Ma per la realizzazione si serve anche della cooperazione delle sue creature. Allo steso tempo dona alle creature la dignità di agire esse stesse, di essere causa le une delle altre. Come l’uomo collabora con la Provvidenza divina? All’uomo Dio dona e chiede, rispettando la sua libertà, di collaborare con le sue azioni, le sue preghiere, ma anche con le sue sofferenze, suscitando in lui “ il volere e l’operare, secondo i suoi benevoli disegni”. ( Fil 2, 13 ) Se Dio è onnipotente e provvidente, perché esiste il male? A questo interrogativo, tanto doloroso quanto misterioso, può dare risposta soltanto l’insieme della fede cristiana. Dio non è in alcun modo né direttamente né indirettamente, la causa del male. Egli illumina il mistero del male nel suo Figlio, Gesù Cristo, che è morto e risorto per vincere quel grande male morale, che è il peccato degli uomini e che è la radice degli altri mali. Perché Dio permette il male? La fede ci dà la certezza che Dio non permetterebbe il male, se dallo stesso male non traesse il bene. Dio questo l’ha mirabilmente realizzato in occasione della morte e risurrezione di Cristo; infatti dal più grande male morale, l’uccisione del suo Figlio, egli ha tratto i più grandi beni, la glorificazione di Cristo e la nostra redenzione. RELIGIONE E POLITICA Il cristiano è cittadino di due patrie: la terra e il cielo, il mondo degli uomini e quello di Dio, la società civile e la comunità di fede. Il cristiano deve avere la lealtà civica verso lo Stato (Cesare), ma soprattutto fedeltà a Dio, che solo può domandare l’impegno totale della persona. Gesù indica che, sul terreno loro proprio, comunità religiosa e comunità politica sono indipendenti l’una dall’altra e autonome..... Egli ha manifestato la sua libertà sovrana di Figlio di Dio, ma insieme si è inserito pienamente nel suo tempo e nel suo popolo. Ha insegnato ai suoi seguaci a vivere pienamente la loro condizione di cittadini. Religione e politica sono entrambe al servizio degli stessi uomini e delle loro vocazioni. Non possono dunque ignorarsi, ne avere binari paralleli che non s’incontrano mai. S’impone una sana cooperazione. Storia sacra e storia profana non sono due sfere separate. Non si giustifica uno stato laico che ignora la Chiesa, né una Chiesa chiusa in se stessa come in un fortilizio. Il Cristiano non può dimenticare la sua fede nel momento in cui si impegna sul piano civile e politico: nella scuola, nella cultura, nei partiti, nel sindacato, nello sport. La sua coscienza diventa il luogo di un’originale sintesi tra la fede e l’impegno per l’uomo. Non si può avere una doppia persona, una per il cielo e l’altra per la terra, una per i giorni feriali e l’altra per i giorni di festa. Per rivolgerci a Dio non possiamo voltare le spalle all’uomo e alla società: quell’uomo per cui Cristo ha sparso il suo sangue. Diceva D. Orione: “Servire negli uomini il Figlio di Dio” . La fede cristiana se è veramente vissuta, aiuta il credente ad assumere la propria responsabilità sia all’interno della Chiesa, che all’interno della società. Una fede che spingesse al disimpegno nei confronti dei problemi dell’uomo non sarebbe autentica..... Nella sintesi tra fede e impegno bisogna tuttavia guardarsi da due scogli: quello di politicizzare la fede, riducendo la missione della Chiesa all’ambito temporale e quello dell’integralismo, che battezza una politica identificandola con la fede. ( M. Magrassi)
PREGHIERA (=pregare la parola ) Padre, a te obbedisce ogni creatura nel misterioso intrecciarsi delle libere volontà degli uomini; fa che nessuno di noi abusi del suo potere, ma ogni autorità serva al bene di tutti, secondo lo spirito e la parola del tuo Figlio, e che l’umanità intera riconosce te solo come unico Dio. ( Colletta 29 perannum A ) Donaci, Signore, un cuore limpido e semplice perché mentre riconosciamo il valore della politica, ne riconosciamo anche i limiti e mentre proclamiamo la tua regalità sappiamo incontrarti anche nel volto del fratello e offrire la testimonianza del nostro amore. Signore, attraverso gli eventi del tempo, tu costruisci il tuo regno e vuoi anche noi associati a questa tua opera. Insegnaci a dare a ciascuno ciò che gli è dovuto: alla società comprensione e coscienza professionale, alla famiglia dedizione e affetto, e soprattutto lode, adorazione e amore a te, Dio Padre nostro. ( C. Berthes ) Fa, Signore che siamo convinti che sei il Signore della storia e che sai far concorrere tutti gli avvenimenti, lieti e tristi, al bene dell’umanità Donaci, Padre, la capacità di assumerci le nostre responsabilità di cittadini e che ci sforziamo di rendere la società più giusta, più fraterna, più umana.
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE (=assunzione di impegni concreti) Abbiamo sempre fiducia in Dio, anche nei momenti di sofferenza, sicuri che il Signore trae sempre il bene dal male.
ISAIA 49, 1-6 Secondo canto del servo del Signore
1Ascoltatemi, o isole, udite attentamente, nazioni lontane; il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunziato il mio nome. 2Ha reso la mia bocca come spada affilata, mi ha nascosto all`ombra della sua mano, mi ha reso freccia appuntita, mi ha riposto nella sua faretra. 3Mi ha detto: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria». 4Io ho risposto: «Invano ho faticato, per nulla e invano ho consumato le mie forze. Ma, certo, il mio diritto è presso il Signore, la mia ricompensa presso il mio Dio». 5Ora disse il Signore che mi ha plasmato suo servo dal seno materno per ricondurre a lui Giacobbe e a lui riunire Israele, - poiché ero stato stimato dal Signore e Dio era stato la mia forza - 6mi disse: «E` troppo poco che tu sia mio servo per restaurare le tribù di Giacobbe e ricondurre i superstiti di Israele. Ma io ti renderò luce delle nazioni perché porti la mia salvezza fino all`estremità della terra». 7Dice il Signore, il redentore di Israele, il suo Santo, a colui la cui vita è disprezzata, al reietto delle nazioni, al servo dei potenti: «I re vedranno e si alzeranno in piedi, i principi vedranno e si prostreranno, a causa del Signore che è fedele, a causa del Santo di Israele che ti ha scelto».
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) Nel Deuteroisaia ( Isaia 40-45 ) troviamo quattro canti che illustrano una figura misteriosa conosciuta come “servo di Javhè”: Nel primo ( 42, 1-4 ) è descritta la missione di colui che deve proclamare la giustizia e il diritto ;il secondo (49, 1-6 ) descrive l’elezione, la formazione, le difficoltà, la missione del servo; il terzo ( 50, 4-7 ) le opposizione e la certezza di vittoria il quarto 52, 13, 53-12 ) la sofferenza e la morte del servo. Servo ( ebed =schiavo ) non è qui visto come titolo negativo, ma come titolo onorifico; anche i funzionari del re erano chiamati i “servi” del re e il titolo esprimeva l’umiltà dovuta davanti al sovrano. Il titolo di servo si usava anche in rapporto a Dio, così si diceva di Davide “ per mezzo di Davide mio servo” ( 2 Sam 3, 18 ). Chi sia questo servo non è certo. Per alcuni è il profeta che scrive, per altri Geremia, per altri il popolo d’Israele, o l’Israele ideale, il resto. Per gli ebrei era il popolo d’Israele, nel Nuovo Testamento il titolo è attribuito a Cristo. Nel terzo canto il servo appare come un fedele discepolo di Javhè che a sua volta diventa un maestro di sapienza per gli umili e i dubbiosi. Perseguitato e maltrattato dagli avversari, egli pone la sua fiducia in Dio, che gli assicura protezione e trionfo. E un salmo di confidenza, una confessione profetica personale nella quale si fondono sentimenti di lamentazione e di fiducia. Il servo di Javhé è colui che dice “sì” al Signore.. In questo carme, più chiaramente che negli altri il servo si identifica con l’Israele teologico che Isaia aveva chiamato il “resto”. Storicamente potrebbe essere quei ventimila giudei che tornarono pieni di speranza per ricostruire Gerusalemme. La storia però non tardò a dimostrare che nemmeno essi erano il vero Israele. La sua figura si manifesta in pienezza in Gesù. ASCOLTATEMI , O ISOLE (1) Il servo stesso prende la parola e descrive la sua vocazione e la sua missione nei riguardi di Israele e delle nazioni. Il canto comincia con grande solennità, secondo lo schema vocazionale di Geremia, ma questo servo non è solo profeta, come Geremia, ha la missione di far giungere la salvezza
a tutti i confini della terra, che allora era ristretta all’area mediterranea, unico mondo conosciuto. Le isole sono appunto le coste del mediterraneo e in generale le lontane terre di occidente.
DAL SENO MATERNO MI HA CHIAMATO ( 1 ) Prima ancora della nascita, nelle radici dell’esistenza, Dio gli ha assegnato un incarico. Fin da allora ha un nome proprio e una missione concreata da compiere ( “mi ha chiamato”, “pronunziato il mio nome “ ). HA RESO LA MIA BOCCA (2 ) Le immagini della spada e della freccia alludono al successo dell’attività profetica, del servo che è perfetto strumento nella mani di Dio. MIO SERVO TU SEI ( 3 ) Primo oracolo divino. E’ chiamato “servo” e gli si dà un nome, Israele, che può essere inteso, come titolo onorifico in quanto rappresenta l’espressione ideale del popolo eletto. IO HO RISPOSTO ( 4 ) L’atteggiamento di reazione del servo sorprende: “ Invano ho faticato”. E’ lo scoraggiamento umano, è l’impotenza già esperimentata. Si può supporre che il servo abbia già iniziato la sua missione ma senza ottenere alcun successo. Però ecco il paradosso: l’insuccesso è apparente; il servo riceva la ricompensa da Dio ( “ la mia ricompensa è presso il mio Dio” ). IL SIGNORE CHE MI HA PLASMATO (6) Secondo oracolo. Il servo ha il compito, come nuovo Mosè di radunare non solo politicamente, ma ancor più religiosamente Israele, cioè di convertirlo a Dio. E’ per l’insuccesso di questa missione, già iniziata che nel versetto precedente il servo si è dimostrato scoraggiato. Qui per Giacobbe s’intendo il popolo d’Israele in esilio. RICONDURRE (6 ) “Ricondurre” e “ritornare” in ebraico sono “ sub”, e “sub” ( = ritornare ) è il termine classico del profetismo, Significa compiere una svolta di 180 gradi e tornare a Dio. La traduzione dei 70 parla in proposito di “metanoia” ( = cambiare mentalità). In italiano traduciamo con “conversione”. E’ TROPPO POCO (5 ) Il Signore dice che è insignificante la missione verso Israele se messa a confronto con la missione nuova che gli affida di superare le frontiere di Israele e di estendersi a tutte le nazioni. LUCE DELLA NAZIONI (6) Luce significa la pace, la prosperità, cioè la salvezza, che solo da Dio viene; ma il Signore si serve del servo come strumento e mediatore.
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) GLORIA NASCOSTA DI DIO “Il Signore mi ha detto : “ Mio servo sei tu, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria”. Siamo di fronte ad una affermazione paradossale. Dio manifesta la sua gloria, nascondendola in un servo, la cui opera ha tutte le apparenze del fallimento e comporterà molte sofferenze. Viene in mente, a questo proposito, la riflessione ebraica, che medita sulla presenza di Dio ( “shekinah ) che abita con Israele esiliato in mezzo alle nazioni e soffre in ogni luogo dove un ebreo soffre. La “shekinah” non dà il suo sostegno solo ad Israele sofferente, ma ha continua cura di tutta l’umanità ed è presente là dove si visitano i malati, si vestono gli ignudi, si seppelliscono i morti : in una parola, dove si aiutano coloro che hanno bisogno. ( Vedi Mt 35, 37-40 ). Il mistero profondo della presenza di Dio nascosto nella debolezza umana, addirittura in un uomo crocifisso, è il paradosso centrale su cui si fonda il cristianesimo. ( Laura Cesarini Achilli ) GESU’ SERVO DI JAHVE Il servo si identifica con Israele (49, 3 ) e nello stesso tempo ha una missione che riguarda Israele (49, 6 ); è una di quelle personalità che portano in sé il destino e la missione di tutto un popolo. Ma quello su cui Isaia insiste è l’ampiezza universale di questa missione: al di là della restaurazione delle tribù di Giacobbe, egli è chiamato a diventare “luce delle nazioni” , per portare la salvezza di Dio fino all’estremità della terra. In questa missione si compie ciò che Dio ha proclamato: “Mio servo sei tu, Israele,
sul quale manifesterò la mia gloria”. Collegare queste parole con la missione di Gesù non è difficile. La gloria di Dio risplende attraverso l’umanità di Gesù, diventa visibile e percepibile agli occhi della fede. : “ Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi e noi abbiamo visto la sua gloria” ( Gv 1,14 ), quella del Verbo che è il riflesso di quella stessa del Padre, quella che il Padre ha donato al Figlio prima della creazione del mondo ( Gv 17, 24). ( Luciano Monari ) IL PADRE MANIFESTA IL FIGLIO Dio Padre manifesta al mondo il suo Figlio. Lo fa in forma di preannunzio per bocca del DeuteroIsaia, proclamandolo suo “servo”, faro della sua gloria, rivelatore delle meraviglie divine, mandato ad essere luce delle nazioni, a portare la restaurazione a Israele, a liberare l’umanità dai suoi mali Cristo è il perno di tutto l’agire di Dio, rivela la Gloria di Dio, raduna Israele (il vecchio, come il nuovo, che è la Chiesa ), illumina il mondo, porta la salvezza toglie i peccati del mondo, dona lo spirito di Dio, Ireneo dice : “ Ha ricapitolato in sé il lungo svolgimento della storia umana offrendoci, condensata in Lui, la salvezza”. Come dire che Egli è la sintesi suprema. Tutta la storia sacra si “ricapitola” in Lui, secondo una forte espressione di Paolo ( Ef 1, 10). LUCE DELLE GENTI “Ti renderò luce delle nazioni”. L’espressione profetica fu applicata a Cristo dalla comunità cristiana del tempo apostolico. Cristo d’altronde disse: “Io sono la luce del mondo, chi mi segue non cammina nelle tenebre” ( Gv 8,12) . Cristo è la luce che viene dalla luce, cioè da Dio Padre. E’ dunque luce sostanziale. Ma splende per farci vedere che cosa? Anzitutto per farci vedere Dio in una maniera nuova e profonda, ciò che altrimenti ci sarebbe stato impossibile, essendo troppo scarso e inadeguato il lume del nostro intelletto. Nel Cristo vediamo Dio, vediamo il Padre ( Gv 12, 45 ). Cristo è luce anche per farci vedere noi stessi. Il Verbo infatti risplende nelle tenebre ( Gv 1, 5 ) e le tenebre siamo noi. Noi siamo un mistero da chiarire a noi stessi. Vi sono momenti in cui tenebre lo siamo in maniera particolare, anche se ci atteggiamo a luminari. Il fascio luminoso che viene dalla parola vivente e che si posa su di noi ci rivela i lati buoni escopre ai nostri occhi le immancabili deformità. La luce divina ci mostra l’autentico volto dell’universo creato e la funzione di tutte le cose in ordine alla nostre mete ultime. Ci scopre il genuino significato e il vero valore degli esseri che ci circondano. Quella luce ci indica come dobbiamo considerare le persone che incontriamo, ci educa a interpretare sanamente le realtà terribili come il dolore, l’umiliazione e la morte. Ci insegna che dobbiamo considerare e aspettare il futuro, come dobbiamo giudicare le azioni nostre e quelle degli altri. Questa è la vera luce che non inganna mai. ( Vincenzo Raffa )
PREGHIERA
(=pregare la parola )
“ Signore, tu mi scruti e mi conosci” ( Sl 138, 1 ) . “Ti sei fatto mio pedagogo, mio precettore, mia guida, mia nascita, la tua misericordia è stata la prima a raggiungermi.. immergendomi nella luce delle tue meraviglie, ti lodo”. (Teodoreto) Signore, nulla è nascosto a te, che hai formato la sostanza dell’uomo nei laboratori segreti della natura. Per te, che sei luce spirituale, la notte stessa e perfettamente luminosa e più chiara del giorno. “ Dal grembo di mia madre tu mi hai chiamato” ( Sl 138,13). Ti prego, medico eccellentissimo, di osservare la mia vita e di sanare ciò che in essa ti dispiace, per condurmi alla vita eterna.
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE
(=assunzione di impegni concreti)
Rispondiamo con prontezza alla chiamata del Signore, che ci ha assegnato un compito nella vita prima della nostra nascita.
ISAIA 50, 4-7 Terzo canto del servo del Signore
4Il Signore Dio mi ha dato una lingua da iniziati, perché io sappia indirizzare allo sfiduciato una parola. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come gli iniziati. 5Il Signore Dio mi ha aperto l`orecchio e io non ho opposto resistenza, non mi sono tirato indietro. 6Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi. 7Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso. 8E` vicino chi mi rende giustizia; chi oserà venire a contesa con me? Affrontiamoci. Chi mi accusa? Si avvicini a me. 9Ecco, il Signore Dio mi assiste: chi mi dichiarerà colpevole? Ecco, come una veste si logorano tutti, la tignola li divora.
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) Isaia 50 4-9 è il quarto carme del Servo di Javhé . In esso il servo appare come un fedele discepolo di Javhè che a sua volta diventa un maestro di sapienza per gli umili e i dubbiosi. Perseguitato e maltrattato dagli avversari, egli pone la sua fiducia in Dio, che gli assicura protezione e trionfo. E un salmo di confidenza, una confessione profetica personale nella quale si fondono sentimenti di lamentazione e di fiducia. IL SIGNORE DIO MI HA DATO ( 4 ) Signore Javhé è il titolo ripetuto quattro volte. Tale titolo lo troviamo anche nel primo Isaia ed in Ezechiele. LINGUA DA INIZIATI (4 ) Chi parla descrive il proprio rapporto con Dio. Egli è un discepolo, ciò che dice non è un’invenzione, ascolta e riferisce (“orecchio da iniziati” suppone l’atto di ripetere ciò che sente per impararlo e la fedele comunicazione agli altri). E gli altri sono gli sfiduciati, gli stanchi, coloro che hanno perso ogni confidenza in Dio. APERTO L’ORECCHIO ( 4 ) Dio ha formato perfettamente il suo messaggero, che non oppone resistenza e perciò è giustificato. “ Aprire l’orecchio” significa ricevere la rivelazione divina con docilità e obbedienza. Come i sapienti egli annunzia un messaggio che non è suo. Egli è l’uomo della parola. NON HO OPPOSTO RESISTENZA ( 5 ) Non “ho opposto resistenza” significa che non ha disobbedito alla parola alla parola comunicatagli “ogni mattina” , e non si è tirato indietro”, che non è indietreggiato nemmeno nel momento difficile, nelle prove più dure ( vedi v. 6 ) HO PRESENTATO IL DORSO ( 6 ) Vengono elencate nei dettagli le conseguenze concrete che derivano al servo dall’adempimento preciso del suo compito: percosse, strappo della barba, grande insulto in Oriente, oltraggi e sputi, la massima ingiuria. Sono le sofferenze dei profeti, fatte soprattutto da coloro per i quali il servo si impegna ( “ sostenere lo stanco con la parola” ), le sofferenze del mediatore. DIO MI ASSISTE ( 7 ) E’ un’affermazione di fiducia. Dio lo conforta e lo assiste, lo rende forte e gli permette di resistere. Questa assistenza corrobora il servo, dà sicurezza tra tutti gli assalti e certezza di non venire travolto. Dio è vicino al suo servo, e lo assiste .
VICINO COLUI CHE MI RENDE GIUSTIZIA(8 ) Con questo aiuto il servo nel fallimento non fallisce, ma glorifica Dio e realizza quanto doveva fare ( 49, 9 ) e in un immaginario giudizio, Dio appare come il giudice e il difensore. (“chi mi dichiarerà colpevole? ) Il servo condannato, indifeso, apparentemente messo in condizioni di non nuocere, trascina alla sbarra gli avversari. San Paolo dirà: “ Se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?…Chi ci separerà dall’amore di Cristo?”. ( Rom 8, 31-35) ISAIA 50, 10-11 Alcuni autori aggiungono al terzo carme i versetti 10-11 : “Chi tra di voi teme il Signore, ascolti la voce del suo servo! Colui che cammina nelle tenebre, senza avere luce, speri nel nome del Signore, si appoggi al suo Dio. Ecco, voi tutti che accendete il fuoco, e tenete tizzoni accesi, andate alle fiamme del vostro fuoco, tra i tizzoni che avete acceso. Dalla mia mano vi è giunto questo; voi giacerete fra le torture.” . I due versetti sono una continuazione e sembrano essere un’applicazione del poema ai fedeli e ai ribelli alla legge divina, perché imitino il Servo. “Colui che cammina nelle tenebre” potrebbe anche essere il pagano che è invitato ad accettare il messaggio del servo e a porre la fiducia nel Dio d’Israele; le metafore del fuoco indicano i recalcitranti e gli avversari dei buoni, che vengono puniti secondo la legge del taglione.
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) PERIODO DEL SECONDO ISAIA La composizione di Isaia 40- 55 , attribuita ad un profeta vissuto in Babilonia durante l’esilio, dovrebbe essere avvenuta verso il 550-540 a. C. E’ un periodo in cui la storia della Mesopotamia era ad una svolta. L’impero babilonese che, era stato erede dell’Impero Assiro, aveva raggiunto il vertice della gloria durante il lungo regno di Nabucodonosor ( 605-562 a.C.) Questo imperatore aveva distrutto Gerusalemme nel 587 e portato in esilio i notabili d’Israele. I suoi successori non furono in grado di conservarne l’impero; Nabonid ( 556-539 a. C ) passò gran parte del suo regno a Teima in Arabia, forse nel tentativo di difendere il suo regno dalle tribù arabe, lasciando a Babilonia il figlio Baltassar, come reggente. Questi, fu sconfitto da Ciro di Anshan, e Babilonia si arrese per tradimento senza colpo ferire. Ciro II, figlio era figlio di Cambise e divenne re di Anshan, un regno vassallo dei Medi, nel 559 a. C. ; subito, nel 556 si ribellò ad Astiage, re dei Medi, nel 550 conquistò Ecbatana, capitale della Media che divenne satrapia del suo regno ; nel 546 iniziò una campagna contro Babilionia, la conquistò nel 539 e incorporò il suo territorio nell’impero persiano; morì combattendo contro i Massageti nel 529. Nell’Antico Testamento Ciro appare probabilmente nel 545, come speranza di restaurazione per giuda e Gerusalemme. Il Deuteroisaia lo chiama pastore di Javhè e dice che compirà la volontà di Javhé (44, 28 ); lo qualifica con il titolo di “unto” di Javhé, che gli prende la destra, titolo anticamente riservato soltanto ai re e ai sacerdoti. E Javhé che offre a Ciro le sue conquiste, e lo fa perché Ciro possa restaurare il popolo d'Israele ( Is 45, 1 ss ) Questa speranza si compie quando nel 538 quando Ciro permise agli Ebrei esiliati a Babilonia di fare ritorno a Gerusalemme e di ricostruire la città e il tempio . ( 2 Cro, 26, 32 s; Esd 1, 4 ). Il comportamento di Ciro nei confronti degli Ebrei è in armonia con la politica da lui seguita in Mesopotamia, dove riportò nei templi originari, spesso ricostruiti, le immagini degli dei catturati. Gli ebrei, che non possedevano immagini divine, ricevettero invece i vasi sacri del tempio, che Nabucodonosor aveva portato via. ( Esd 1,7) ( J.L Mekenzie ) I QUATTRO CARMI Nel Deuteroisaia ( Isaia 40-45 ) troviamo quattro canti che illustrano una figura misteriosa conosciuta come “servo di Javhè”: Nel primo ( 42, 1-4 ) è descritta la missione di colui che deve proclamare la giustizia e il diritto (Battesimo di Gesù B – Lunedì Santo ); il secondo ( 49, 1-6 ) descrive l’elezione, la formazione, le difficoltà, la missione del servo ; il terzo ( 50, 4-9 ) le opposizione e la certezza di vittoria ; il quarto ( 52, 13, 53-12 ) la sofferenza e la morte del servo. IL SERVO Servo ( ebed =schiavo ) non è qui visto come titolo negativo, ma come titolo onorifico; anche i funzionari del re erano chiamati i “servi” del re e il titolo esprimeva l’umiltà dovuta davanti al sovrano.
Il titolo di servo si usava anche in rapporto a Dio, così si diceva di Davide “ per mezzo di Davide mio servo” ( 2 Sam 3, 18 ). Chi sia questo servo non è certo. Per alcuni è il profeta che scrive, per altri Geremia, per altri il popolo d’Israele, o l’Israele ideale, il resto. Per gli ebrei era il popolo d’Israele, Nel Nuovo Testamento il titolo è attribuito a Cristo. OBBEDIENZA E FIDUCIA Il profeta assicura di non di non essersi tirato indietro, non aver opposto resistenza alla parola del Signore, di non avergli disobbedito, non essergli stato infedele. E si dimostra fedele non solo nel momento dell’ascolto, ma anche quando si tratta di attuare la missione divina. Egli rimane sino alla fine docile ed obbediente, rimane al suo posto anche quando lo oltraggiano. Esteriormente la sua situazione è disonorevole, ma lui non si lamenta, dimentica completamente la sua persona e si mostra preoccupato solo di rendere onore a Dio. Egli sa che per la sua missione l’obbedienza è l’unica cosa importante, che gli dà la possibilità di onorare Dio e di testimoniare la sua potenza salvifica. In mezzo alle sofferenze è sicuro del compimento delle promesse salvifiche di Dio, sa che il Signore non lo abbandona, che lo fortifica, lo consola, gli è vicino e, che, pur attraverso il dolore e nonostante l’apparente fallimento, gli renderà giustizia. GESU’ SERVO FEDELE Come il servo di Dio dell’A.T. , Gesù è inviato per fortificare gli sfiduciati. Questa missione però non lo protegge esteriormente, ma lo abbandona ad un destino di persecuzione e di morte, Egli venne ‘ “messo alla prova, in tutto come noi, escluso il peccato”. (Eb 4, 15 ) . Da tutto ciò deriva un’immagine di Gesù molto sobria, priva di qualsiasi traccia di quella gloria e potenza divina che, secondo alcune concezioni, dovrebbe accompagnare ogni intervento di Dio nella storia. In questo mondo terreno e storico la vita di Cristo non volle essere una manifestazione pubblica e solenne del divino, ma l’assunzione da parte di Dio dell’esistenza e del destino dell’uomo. Fece parte della missione di Gesù anche il sottoporsi, in obbedienza al proprio mandato, alla prove inflittegli dai nemici di Dio. Il fatto è che, mentre Gesù dona la salvezza divina, il mondo umano, sottoposto al dominio del maligno, non accetta nessun’altra salvezza che non venga dall’uomo; così dal momento stesso in cui Dio manda il proprio Figlio lo espone al rifiuto del mondo, al disonore, all’annientamento della morte. Dio non si spaventa e non indietreggia di fronte al dolore e alla morte, ma al contrario salva attraversa tali mezzi. ( J. Schreiner ) LE NOSTRE ATTESE Per noi l’esperienza umana di Gesù significa che la realtà del dolore e della morte continua a restare nella nostra esistenza nonostante l’incarnazione di Dio. Da Gesù e dal cristianesimo non dobbiamo aspettarci la soluzione di questi problemi. Non si può dire che la venuta di Gesù abbia iniziato un’epoca priva di sofferenze. La sua esistenza e la sua presenza in mezzo a noi significano che Dio ci ha perdonato il peccato, ci ha salvato e la sua morte ne è il segno visibile. Ma Dio non ci salva strappandoci dalla nostra realtà umana e storica ( non lo ha fatto neppure per Gesù) , ma conservando e sopportando nella persona di Gesù questa realtà, senz’altro buona e bella, ma anche ambigua, cattiva e crudele. Per il momento non dobbiamo attenderci se non che egli viva e perseveri con noi nell’abisso delle tenebre e della sofferenza. La giustizia, l’amore e la divinità di Dio si manifestano nella sofferenza e compassione di Dio, in mezzo a noi, nella persona di Gesù. ( J. Schreiner ) IMPEGNO DI AMORE Noi non possiamo credere in Gesù, né accettarlo, senza riconoscere nel medesimo tempo che la sua testimonianza d’amore rappresenta un impegno per noi. Il fatto che in Gesù Dio abbia preso le nostre difese anche a prezzo della morte, che egli, superando la morte, ci abbia testimoniato il suo amore che salva e perdona, impone a noi cristiani l‘obbligo di manifestare tale amore in una carità fraterna e disinteressata. Dalla fede in Gesù e da ciò che egli ci ha detto sull’amore dio Dio, noi attingiamo la forza per attuare la carità nei nostri rapporti umani. Questo è l’impegno che scaturisce dalla fede. Soltanto nella carità e nella giustizia, che irradia dai cristiani e che effettivamente potrebbe cambiare il mondo, noi riconosciamo che la parola di Gesù fu vera e che la sua passione ebbe un significato. Soltanto in questo l’uomo moderno e il suo mondo possono capire che l’amore di Dio non è un fantasma o una specie di oppio, ma una realtà concreta. Là dove mancano la giustizia, la carità, il rispetto e la libertà, dove i cristiani non amano, il messaggio di Gesù diventa un inganno oltraggioso, la sua morte un evento
inutile, lo stesso Dio un punto interrogativo. La carità efficace e intraprendente dei cristiani costituisce l’ambiente essenziale, in cui l’uomo nella propria vita quotidiana e il mondo nella propria disperazione possono esperimentare concretamente l’amorevole interessamento di Dio. ( Erich Zenger )
PREGHIERA (=pregare la parola ) O Dio onnipotente ed eterno, che hai dato come modello agli uomini il Cristo tuo Figlio, nostra Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce, fa che abbiamo sempre presente il grande insegnamento della sua passione per partecipare alla gloria della risurrezione ( Colletta Domenica di Passione) Egli, che era senza peccato, accettò la passione per noi peccatori e, consegnandosi a un’ingiusta condanna, portò il peso dei nostri peccati. Con la sua morte lavò le nostre colpe e con la sua risurrezione ci acquistò la salvezza. E noi, con tutti gli angeli del cielo, innalziamo a te il nostro canto. ( Prefazio Domenica di Passione )
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE (=assunzione di impegni concreti) Accettiamo la nostra missione di battezzati con la stessa obbedienza del Servo di Jahvé e di Gesù Cristo.
ISAIA 52,13-53,12 52.13Ecco, il mio servo ( ebed ) avrà successo, sarà onorato, esaltato (ns) e molto innalzato. 14Come molti (rabbim) si stupirono di lui - tanto era sfigurato per essere d`uomo il suo aspetto (r’h ) e diversa la sua forma da quella dei figli dell`uomo - 15così si meraviglieranno di lui molte (rabbim) genti; i re davanti a lui si chiuderanno la bocca, poiché ( hi’ ashèr) vedranno (r’h) un fatto mai ad essi raccontato e comprenderanno ciò che mai avevano udito. 53.1Chi avrebbe creduto alla nostra rivelazione? A chi sarebbe stato manifestato il braccio del Signore? (Jahwèh) 2E` cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra (‘eretz ) arida. Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi (r’h), non splendore per provare in lui diletto. 3Disprezzato (bazàh ) e reietto dagli uomini, uomo dei dolori ( mak’ob ) che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato (bazàh) e non ne avevamo alcuna stima. 4Eppure egli si è caricato (ns ) delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio ( ‘elohim ) e umiliato. 5Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dá salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. 6Noi tutti ( kulanu ) eravamo sperduti come un gregge, ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore (Jahwèh) fece ricadere su di lui l`iniquità di noi tutti (kulanu) ). 7Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca (we lo’ yiptàch pìu); era come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca (we lo’ yiptàch pìu ). 8Con oppressione e ingiusta sentenza fu tolto di mezzo; chi si affligge per la sua sorte? Sì, fu eliminato dalla terra (‘eretz) dei viventi per l`iniquità del mio popolo fu percosso a morte. 9Gli si diede sepoltura con gli empi, con il ricco fu il suo tumulo, sebbene non avesse commesso violenza né vi fosse inganno nella sua bocca. 10Ma al Signore (Jahwèh) è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in espiazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo, si compirà per mezzo suo la volontà del Signore (Jahwèh). 11Dopo il suo intimo ( nèfeh) tormento vedrà (r’h) la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo ( ebed ) giustificherà molti (rabbim), egli si addosserà la loro iniquità. 12Perciò io gli darò in premio le moltitudini (rabbim), dei potenti egli farà bottino, perché ha consegnato se stesso ( nèfeh) alla morte ed è stato annoverato fra gli empi ( posh’ ìm), mentre egli portava (ns’) il peccato di molti (rabbim) e intercedeva per i peccatori ( posh’ ìm).
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) Isaia 52, 12-53, 12 è il quarto carme del servo di Jahwèh., che presenta il Servo innocente, mite, disprezzato, perseguitato e messo a morte che offre le proprie sofferenze per espiare i peccati degli uomini e diventa il capo di tutti i giustificati davanti a Dio. Il tema di questo carme è semplice: la salvezza attraverso la sofferenza, attraverso la croce, alla gloria. Questo però è considerato, da quelli che parlano, un messaggio inaudito, incredibile. Il tema determina, in parte, la struttura: al centro un gruppo narra la passione, morte e trionfo del servo, il tutto è racchiuso da un oracolo del Signore, che conferma il trionfo, attraverso la sofferenza. ECCO IL MIO SERVO (52.13) Jahwèh presenta ad Israele il servo trionfante, che dalla massima abiezione passa al somma esaltazione. L’elevazione consiste nella stima e nell’apprezzamento di cui gode il servo a causa del successo della sua opera.
MOLTI SI STUPIRONO DI LUI (14 ) Il dolore e la gloria del servo sono presenti attraverso l’effetto che producono in coloro che li osservano. Lo stupore è per la sofferenza che sfigura il suo volto e oscura l’immagine di Dio. SI MERAVIGLIARONO (15 ) La meraviglia e il “chiudersi la bocca”, in segno di ossequio, è per un fatto nuovo, mai avvenuto, nella storia della salvezza CHI AVREBBE CREDUTO ( 55.1 ) Incomincia a parlare un gruppo anonimo o il profeta, si riporta al tempo in cui il dramma del servo è già concluso e fa due domande retoriche, che prevedono una risposta. La potenza del Signore, sempre attiva nella storia, ha compiuto un’opera difficile da capire e, quando viene annunziata, coloro che la odono non riescono a credere al messaggio. E’ CRESCIUTO COME UN VIRGULTO ( 2 ) Il Carnto inizia la descrizione delle sofferenze del servo, che è come un virgulto o una radice che cresce in terra arida. La terra arida è la decaduta dinastia davidica. NON HA APPARENZA (2 ) Gli manca la bellezza corporea, considerata dagli antichi come un effetto della benedizione divina. DISPREZZATO ( 3 ) E’ un uomo sfigurato, sofferente è ripudiato dagli uomini, come Geremia e Giobbe. Ai dolori e alle sofferenze si aggiunge l’abbandono da parte di quasi tutti, che interpretano la sofferenza come castigo di Dio, temono di contagiarsi se si avvicinano e si nascondono il viso per proteggersi dalla sua vista. SI E’ CARICATO DELLE NOSTRE SOFFERENZE (4-5 ) Viene data la spiegazione dei dolori del Servo. Egli non è un peccatore punito, ma un innocente espiatore dei peccati, delle infermità e del castigo cui dovrebbero essere sottoposti gli altri uomini. NOI TUTTI ( 6 ) Nuova confessione del peccato con l’immagine del gregge che fa ricordare il popolo di Dio, desolato e disperso. Il Signore ha fatto ricadere sul servo il peccato degli uomini. MALTRATTATO, SI LASCIO’ UNILIARE (7 ) Il servo non solo non si lamenta, come farebbe ogni persona che soffre, ma “si lascia umiliare”, come un agnello “condotto al macello”, come “una pecora muta di fronte ai tosatori”. Probabilmente per riferimento a questo testo Gesù è stato chiamato da Giovanni “ agnello di Dio” (Gv 1, 27 ) . FU TOLTO DI MEZZO ( 8 ) Con un’iniqua sentenza umana fu condannato a morte (fu tolto di mezzo) fra la generale indifferenza ( chi si affligge per la sua sorte). SI DIEDE SEPOLTURA (9 ) La sepoltura ha posto il sigillo ad una vita di sofferenze. Egli finisce nella fossa comune dei giustiziati ( con gli empi ); nel luogo dove venivano sepolti i ricchi (con il ricco fu il suo tumulo), che spesso erano visti come persone odiose ( i ricchi della città sono pieni di violenza: Mi 6, 12 ).Ma di lui si deve dire che fu innocente in opere e parole.(sebbene non avesse commesso violenza). E’ PIACIUTO PROSTRARLO ( 10 ) Dio non ha piacere a prostrare, a lui non piace l’ingiustizia. Versetti come questo vanno letti attentamente alla luce dello stile letterario ebraico. Ciò che si deve dire è che tutta la vicenda dolorosa del servo corrisponde ad un piano divino di salvezza dato che la passione e la morte del servo espiano i peccati degli uomini e li salvano. Una interpretazione dell’asserzione può essere la seguente “ Il Signore ha trovato compiacenza nel suo colpito, e ha guarito colui che ha dato la sua vita in espiazione” (Westermenn) , se si ammette una lettura che parla della compiacenza di Dio rivolta al servo e non alla prova; un’altra lettura può essere: Dio ha consentito che il servo fosse provato dai dolori, in vista della salvezza degli uomini. QUANDO OFFRIRA’ ( 10 ) Il Servo di Dio mette volontariamente a repentaglio la vita e la impegna perché gli altri siano salvi; egli dona la vita dà se stesso come vittima, per ottenere l’espiazione. Il linguaggio era più comprensibile nel mondo ebraico, dove si offrivano animali come vittime di espiazione.
VEDRA’ UNA DISCENDENZA ( 10 ) Vengono fatte esplicite promesse di salvezza: la discendenza e una lunga vita. Ma dal momento che il servo darà proprio la vita in espiazione, la promessa della vita va intesa metaforicamente come futura elargizione di salvezza. Queste promesse intendono dire che l’opera del servo sarà coronata da successo. DOPO IL SUO INTIMO TORMENTO ( 11 ) Dopo l’assicurazione del successo dell’opera ora anche al servo personalmente è promesso la salvezza. “Vedere la luce” significa godere prosperità e vita. Qui lo scrittore anticipa di quattro secoli l’idea della risurrezione ( 2 Mc 7, 11-29 ) e quella più recente della felicità beata. ( Sp 2 ) SAZIERA’ DELLA SUA CONOSCENZA ( 11 ) La conoscenza è probabilmente quella di Dio e dell’opera redentiva. IL GIUSTO…GIUSTIFICHERA’ ( 11 ) Il giusto si addossa le iniquità umane e salva “molti”. Si asserisce che la possibilità di salvezza ormai è data a molti. I “ molti” sono in realtà l’umanità intera. GLI DARO’ …LE MOLTITUDINI (11-12 ) Dio annulla il giudizio umano, dichiarando innocente il suo servo e dicendo che la sua passione innocente servirà a render giusti “molti”. Questi uomini giustificati, liberati da una condanna meritata, saranno il bottino della sua vittoria e il servo ottiene un potere regale su tutti gli uomini.
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) IL QUARTO CANTO Il quarto canto è l’ultimo dei quattro canti classici del “servo di Jahwè” E’ anche il più lungo e, teologicamente, il più ricco. I temi dominanti sono almeno due. Il primo si può identificare nella discrepanza tra il giudizio negativo dato dagli uomini sul Servo mentre questi soffre e muore e il giudizio opposto, positivo, dato dai medesimi, successivamente, quando Dio lo riabilita e lo glorifica. Il secondo tema, è la sofferenza vicaria: “egli ha consegnato se stesso alla morte ed è stato annoverato tra gli empi, mentre egli portava il peccato di molti e intercedeva per i peccatori” ( Is 53, 12 ) . Circa l’identità del Servo si può dire che non dovrebbero esserci dubbi. Il Servo è una persona e non una comunità. Egli vive, soffre e muore per la comunità di cui il profeta fa parte ( mio popolo) e per tutta la comunità degli uomini. ( re e moltitudini ). ( De Zan ) ESPIAZIONE VICARIA Nei versetti 53, 4-5: “Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dá salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti”. viene espressa il tema della soddisfazione vicaria . Grazie a questa dolorosa sostituzione gli uomini ottengono la pace e la guarigione. “ Quest’idea, completamente nuova, trascende i limiti dell’antica concezione del male. Dolore e castigo sono separati: il castigo è nostro, il dolore è suo; è stato salutare, perché ci ha dato pentimento e perdono. Si scopre il paradosso di un castigo che dà la pace, delle cicatrici che curano”. (A. Schokel ) ESPIAZIONE E RIPARAZIONE DEL PECCATO L’espressione “ vittima di espiazione” contiene una ricchezza di idee che vanno nella direzione dell’interpretazione neotestamentaria della morte di Gesù “ per noi” e la riempiono di un contenuto profondo. Il servo innocente del Signore dona se stesso a Dio per noi, che, consapevolmente o inconsapevolmente, siamo colpevoli. Egli supplisce ciò che può essere prestato soltanto nell’offerta totale di una vita senza macchia. Non va però dimenticato che con la presentazione della vittima di espiazione per il peccatore non tutto è fatto. Gli resta il dovere di riparare il peccato nei confronti di Dio e del prossimo ( Lc 5, 15-25 ). La vittima di espiazione ottiene da Dio il perdono, e dà così la possibilità di rimettere in ordine con i propri sforzi ciò che era stato omesso, defraudato e portato via. Neppure il Servo di Dio con la sua donazione esime da questo obbligo. ( Josef Schreiner )
PER LE SUE PIAGHE SIAMO STATI GUARITI Il profeta descrive il Servo del Signore nel momento in cui attua la missione di liberare il popolo dai peccati: come agnello innocente, carico dei delitti del suo popolo, si lascia condurre in silenzio al macello. E proprio dalla sua morte liberamente accettata sgorga la giustificazione per i “molti”. Le scelte di Dio sono sconcertanti: l’onnipotenza rinunzia ad imporsi con la forza e diventa impotenza. Ma il fallimento e la sconfitta, frutto della dedizione a Dio e agli uomini, sono vissuti da Gesù con incrollabile fiducia nella paternità di Dio. Gesù muore nel momento in cui nel tempio si immolano gli agnelli destinati alla celebrazione della Pasqua: la sua è un’immolazione “reale”, un sacrificio compiuto una volta per tutte, perché la vittima “spirituale” ha reso inutili le vittime materiali. Dal suo fianco trafitto sgorga il sangue da cui sono misteriosamente segnati gli appartenenti al nuovo popolo, quelli che Dio salva ( Es 12, 7-13 ). Cristo crocifisso è dunque il vero agnello pasquale; è lui la “nuova Pasqua” immolata ( 1 Cor 5, 7 ). “Vero” perché è la realtà di ciò che i sacrifici antichi esprimevano: l’alleanza con Dio e l’inserimento nel suo progetto di salvezza . ( Messale ldc: Venerdì Santo ) SEMPRE PRESENTE NEL NUOVO TESTAMENTO Adolfo Schokel elenca quindici citazioni neotestamentarie che riportano materialmente alcuni versetti del quarto canto del Servo di Jahwèh; P. Grelot dedica una cinquantina di pagine per indicare citazioni e allusione del Carme nel Nuovo Testamento e C. H Dodd afferma che i suoi “versetti sono praticamente tutti rappresentati in un modo o nell’altro, nel Nuovo Testamento, in quasi tutti i libri: Vangeli Sinottici, Giovanni, Atti, Paolo, Ebrei e I Pietro. La sua importanza come fonte di “testimonia” è evidente e, poiché lo si trova ovunque, è molto probabile che sia stato adoperato come tale fin dai più lontani tempi in cui possiamo risalire”. SECONDO LE SCRITTURE Il Credo della Chiesa primitiva diceva: “ Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture, fu sepolto ed è risorto il terzo giorno, secondo le Scritture”. Quest’atto di fede allude in particolare al quarto Carme del Servo di Jahwèh, dove le verità ivi proclamate appaiono con chiarezza. Tra l’altro il Carme dice: “ Egli si è caricato delle nostre sofferenze” “ è stato trafitto per i nostri peccati, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti” “Il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti” “ Per l’iniquità del mio popolo fu percosso a morte” “ Offrirà se stesso in espiazione” “ il giusto mio servo giustificherà molti egli si addosserà le loro iniquità” “ fu tolto di mezzo” “ gli si diede sepoltura” “vedrà la luce… il giusto mio servo giustificherà molti”. SERVO E FIGLIO DELL’UOMO Nella frase introduttiva del carme, Dio anticipa il risultato della missione del Servo : “avrà successo, sarà onorato (rum) esaltato ( nasa ), e molto innalzato”. I due verbi “rum” e “nasa”, che indicano la situazione del Servo dopo il compimento della sua missione, sono due verbi che, associati, descrivono il trono di Jahwèh in Is 6, 1 : “ io vidi il Signore seduto su un trono alto (rum) ed elevato (nasa ) “ . L’autore sacro con questa allusione ha voluto associare la situazione del Servo con la situazione divina, quasi a voler sottintendere una particolare intimità tra il Servo e Dio. Qualche cosa di simile si trova in Dn 7, 13-14 dove viene tratteggiata la vicinanza del Figlio dell’uomo a Dio. Un particolare colpisce: sia il Servo sia il Figlio dell’uomo ricevono da Dio in dono l’autorità sui popoli. Se il Servo è intimo a Dio, che gli darà in premio le moltitudini, il Figlio dell’uomo è intimo a Dio e i popoli lo serviranno” . ( De Zan ) SERVO E AGNELLO Quando Giovanni pone in bocca al Battista l’espressione: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo” intende rifarsi non solo alla materialità della citazione isaiana, ma a tutta la ricchezza che si trova dietro l’espressione profetica. Gesù viene presentato dal Battista come l’agnello dell’alleanza e come il Servo di Jahwèh con quei legami forti e sobrii con il Figlio dell’uomo e l’orante del Salmo 22. C’è infine, una piccola particolarità. In aramaico il vocabolo “taljà” indica sia l’agnello sia il servo. E’ stato questo il vocabolo usato dal Battista? Se fosse stato così, con una semplice frase già il Precursore avrebbe rivelato in modo chiaro e completo la figura profetica di Gesù e la sua missione”. ( De Zan )
IL SERVO DI JAHWEH E L’EUCARITIA Nell’ultima cena Gesù disse : “ Poiché io vi dico: deve compiersi in me questa parola della Scrittura. E fu annoverato tra gli empi”. Infatti tutto quello che mi riguarda volge al suo termine” ( Lc 22, 37 ). Si tratta di una citazione esplicita del testo ebraico di Is 53, 12: “ E’ stato annoverato fra gli empi”. Gesù ha rivelato esplicitamente di essere il Servo, ma ha anche rivelato la sua piena coscienza di ciò che stava per accadere. Questo dato è impressionante se teniamo conto che poco prima di questa citazione isaiana Gesù aveva istituito l’Eucaristia, d icendo : “Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me” e “Questo è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi” ( Lc 22, 19-20 ). Il detto di Gesù è illuminante per interpretare il valore delle espressioni “dato per voi” e “versato per voi”. Nell’Eucaristia Gesù ha dato la chiave interpretativa del mistero pasquale, servendosi della profezia isaiana del quarto canto del Servo: egli ha donato tutto se stesso per gli uomini, addossandosi i loro peccati e le loro iniquità, ma anche ricevendo in dono le moltitudini che ha trascinato con sé nel mistero della risurrezione. L’Eucaristia è il memoriale di questo mistero salvifico perché ogni uomo di ogni tempo e di ogni luogo possa farne esperienza profonda: “ In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno”. ( Gv 6, 53-54 )
PREGHIERA (=pregare la parola ) O Dio onnipotente ed eterno, che hai dato come modello agli uomini il Cristo tuo Figlio, nostra Salvatore, fatto uomo e umiliato fino alla morte di croce, fa che abbiamo sempre presente il grande insegnamento della sua passione per partecipare alla gloria della risurrezione . ( Colletta Domenica di Passione ) Egli, che era senza peccato, accettò la passione per noi peccatori e, consegnandosi a un’ingiusta condanna, portò il peso dei nostri peccati. Con la sua morte lavò le nostre colpe e con la sua risurrezione ci acquistò la salvezza. E noi, con tutti gli angeli del cielo, innalziamo a te il nostro canto e proclamiamo insieme la tua lode. ( Prefazio Domenica di Passione ) Per noi Cristo si è fatto obbediente fino alla morte, alla morte di croce. Per questo Dio lo ha esaltato e glia ha dato il nome che è sopra ogni altro nome. ( Fil 2, 8-9 ) Padre che consegni il tuo unico Figlio per noi; Figlio che vivi il supremo abbandono della Croce, Paraclito, che unisci il Padre donante e accogliente al Figlio morente e in lui alla passione del mondo, Trinità del dolore, Dio nascosto del Venerdì santo, donaci di prendere ogni giorno la croce dell’abbandono e di offrirla con te in una comunione più grande. (B. Forte )
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE
(=assunzione di impegni concreti)
Guariti per le piaghe di Cristo, viviamo sempre come suoi seguaci.
ISAIA 55, 6-11 6Cercate il Signore, mentre si fa trovare, invocatelo, mentre è vicino.7L`empio abbandoni la sua via (dèrek) e l`uomo iniquo i suoi pensieri (makashabàh); ritorni al Signore che avrà misericordia di lui e al nostro Dio che largamente perdona. 8Perché i miei pensieri (makashabàh) non sono i vostri pensieri (makashabàh), le vostre vie (dèrek) non sono le mie vie (dèrek) ) - oracolo del Signore. 9Quanto (ki) il cielo (shamàym) sovrasta la terra (erretz), tanto le mie vie (dèrek)
sovrastano le vostre vie (dèrek), i miei pensieri (makashabàh) sovrastano i vostri pensieri (makashabàh). 10Come infatti la pioggia e la neve scendono dal cielo (shamàym) e non vi ritornano (lo’ shub) senza (kì ‘im) avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme al seminatore e pane da mangiare, 11così (ken)sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà
(lo’ shùb) a me senza effetto, senza (kì ‘im) aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l`ho mandata.
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) La pericope Is 55, 6-11, desunta dall’ultimo capitolo del Deuteroisaia, si apre (1-5 ) con un pressante invito a procurarsi la salvezza, simboleggiata dall’acqua ( O voi che avete sete venite all’acqua: 1), dal vino e dal latte. Essa sarà costituita da un’alleanza perpetua, che sostituirà quelle conclusa con la casa di Davide ( stringerò con voi un patto eterno: 3 ). Segue il nostro brano che richiede la conversione intima e sincera degli esiliati. CERCATE IL SIGNORE (6 ) Come all’inizio del capitolo (1-3 ), risuona ancora una volta l’invito ad afferrare la salvezza. L’esortazione : “cercate (darash) Iavhé” , non va intesa nel senso del nostro linguaggio, ma nel senso del verbo ebraico, che in primo tempo significava visitare un santuario per chiedere una risposta al Signore e qui significa domandare perdono e ripudiare una condotta contraria alla legge di Dio. INVOCATELO ( 6 ) Sotto questo invito : “cercate il Signore”, azione che si compiva nella preghiera, l’autore dice di afferrare l’offerta di salvezza di cui ha parlato a partire dal capitolo 40. Adesso Javhé non nasconde più il suo volto davanti a Israele e questa occasione va afferrata. L’asserzione “mentre è vicino” sembrerebbe presentare un’occasione passeggera, ma bisogna intenderla nel senso di “ora è possibile trovarlo”. L’EMPIO ABBANDONI ( 7 ) Naturalmente la ricerca e l’invocazione di Javhè ha a che fare con la decisione morale ( cf Sl 24, 3-6 ) e comporta la conversione ( cf Is 9, 12; Os 10, 12), l’abbandono delle “vie” e dei “pensieri” da peccatore, deboli e inefficaci e anche empi e iniqui. PERCHE’ I MIEI PENSIERI Invece i “pensieri” e le “vie” di Dio non sono come quelli umani ma sono sempre sublimi ed efficaci. L’asserzione è preceduta da “perché” per indicare che se Javhé si fa trovare da chi lo invoca è perché le sue vie e i suoi pensieri sono di gran lunga superiori a quelli umani. ORACOLO DEL SIGNORE (8 ) L’espressione “neum Jawaeh” ( = sentenza di Javhé ), permette il passaggio al discorso diretto del Signore. Naturalmente è sempre lo scrittore che parla, anche quando fa parlare Javhè, ma così è sottolinea il valore dell’affermazione. Del resto anche ciò che precede è parola del Signore. QUANTO IL CIELO (9 ) Le vie e i pensieri divini sovrastano immensamente quelli umani, come il cielo sovrasta la terra.
LA PIOGGIA E LA NEVE ( 10 ) Con un paragone tratto dalla vita dei campio, la parola di Dio è personificata: è messaggero e agente, è efficace e dinamica, non solo annunzia ma opera. La parola, paragonata alla pioggia, grande benedizione di Dio in Oriente, scende dal cielo per realizzare la salvezza. La promessa concerne il ritorno dall’esilio. Forse deriva da questo testo la concezione giovannea del Verbo di Dio (Gv 1 ) e dell’eucaristia, Verbo disceso dal cielo in forma di pane. ( Gv 6, 22-35 )
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) CERCATE IL SIGNORE Gli esuli di Babilonia stanno per partire verso Gerusalemme: dalla terra dell’esilio alla patria.( voi dunque partirete con gioia, sarete condotti in pace ….: Is 55, 123-13 ). Questo cammino non è solo una deambulazione geografica, ma soprattutto un’esperienza religiosa. Partire significa abbandonare qualche cosa per trovare qualche cosa d’altro. Questo è l’atteggiamento di chi vuole cercare Dio (cercate il Signore ). Chi cerca Dio non accumula, ma abbandona per accogliere. Alla ricerca di Dio si associa il cammino ….. Per trovare a non basta la “ricerca” di Dio, magari fatta con tutto il cuore, è necessario anche che Dio si faccia trovare e per farsi trovare deve essere vicino… ma il popolo ebraico sapeva che almeno in tre circostanze Dio è sempre vicino e raggiungibile dal credente: nella sofferenza, nella preghiera e nella fedeltà a lui…. Il Deuterioisaia pone come condizioni per la ricerca la strada, i pensieri e la parola di Dio. La parola di Dio è per il credente il “luogo” privilegiato della ricerca di Dio. Ma per cercare Dio è necessario “convertirsi”: l’uomo iniquo deve abbandonare la sua via e i suoi pensieri; la via è quell’insieme di comportamenti senza valore, l’habitus difforme dal volere di Dio; i pensieri sono tutto il mondo interiore dell’uomo. La conversione comporta la pazienza di rimodellare tutto il mondo interiore e di rompere i meccanismo dell’habitus malvagio. E l’abbandono della via e dei pensieri e il ritorno al Signore non sono cose di pochi minuti. ( vedi: De Zan ) PAROLA CHE RIVELA E OPERA Sono nominati due aspetti di Dio: la lontananza (quanto il cielo sovrasta la terra tanto le mie vie sono lontane) e la vicinanza (invocatelo,mentre è vicino) , tra i due è mediatrice la parola che scende dal cielo per rivelare e realizzare la salvezza. La parola di Dio, paragonata prima al grano, è paragonata ora alla pioggia: benedizione primaria di Dio, dono attivo che suscita attività, irrigazione che feconda e germoglia. Fecondando la terra, la pioggia pone in movimento un ciclo: dà il seme ai futuri raccolti e alimenta l’uomo. Però l’uomo non vive di solo pane, ma anche della parola che esce dalla bocca di Dio; la parola è un araldo che annunzia ed un incaricato cui è affidato il compito di realizzare. La parola del Signore non solo parla, anche fa: è dinamica, è efficace. ( Alonso Schokel ) PAROLA DI DIO VIVA, EFFICACE La parola di Dio non è solo verità di fede, ma è anche operatività, azione efficace. Il profeta porta l’esempio della pioggia. L’acqua dal cielo è una benedizione. Lo stesso è della Parola. Quando Dio parla, questa vera locuzione raggiunge l’uomo, ma superando il piano della locuzione, opera trasforma, agisce. ( De Zan ) A proposito della Parola la Bibbia è chiarissima. All’inizio della creazione “ Dio disse; Sia la luce. E la luce fu” ( Gn 1, 3 ). La parola è creatrice, diventa luce. La lettera agli Ebrei dice: “La parola di Dio è vera, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla e sa discernere i sentimenti e i pensieri del cuore” ( Eb 4, 12 ). E Paolo asserisce: “Proprio per questo anche noi rendiamo continuamente grazie a Dio perché, ricevendo la Parola di Dio che noi vi abbiamo fatto udire, l’avete accolta non quale parola di uomini, ma come è veramente, quale parola di Dio; essa opera in voi che credete”. ( 1 Ts 2, 13 ). POTENZA DELLA PAROLA DI DIO “Hanno la bocca e non parlano” (sal 113 ). Questa satira degli “idoli muti” sottolinea per contrasto uno dei tratti più caratteristici del Dio vivente. Egli parla agli uomini. si rivela non soltanto nel linguaggio silenzioso della natura e dei segni creaturali, egli “parla” con i suoi interventi storici di salvezza e di misericordia, di richiamo e di castigo. (Messale LDC) La parola porta in sé un potenziale di salvezza.
Non è solo verità: è forza. Non si accontenta di insegnare: opera in noi. Non ci addita solo dei modelli di azione: opera in noi e ci fa agire. Dalle Scritture “si beve la salvezza” dice un’antica regola monastica. Questa efficacia si rivela anzitutto a livello cosmico. “Io sono Colui che dice all’oceano: prosciugati. Io inaridisco i fiumi” ( Is 44, 27 ). Ma più vicina a noi si fa questa energia, quando la Parola di Dio afferra un uomo e ne fa il suo strumento. E’ il caso del profeta, che inizia in genere il suo discorso così: “La Parola di Dio si è rivolta a me in questi termini...” . Attraverso i Profeti, la Parola entra nell’impasto della storia umana e ne suscita il cammino. Enuncia un piano di salvezza e nello stesso tempo lo attua. E’ Parola ed evento inseparabilmente. (M. Magrassi ) DIO PARLA PER MEZZO DEL FIGLIO Dio che, nei tempi antichi, molte volte e in diversi modi aveva parlato ai padri attraverso i profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo. Egli, il Figlio, è irradiazione della sua gloria e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la sua parola potente. Dopo aver compiuto la purificazione dei peccati, si è posto alla destra della maestà nell’alto dei cieli”. ( Eb 1, 1-3 ) CRISTO E’ LA PAROLA Cristo segna la tappa ultima e definitiva della Parola che in Lui si fa carne. A Cristo non si rivolge la Parola di Dio, perché è Lui la Parola. Il discorso ormai è diretto, senza intermediari. E l’efficacia raggiunge il suo culmine; ha un potere che ridona la vita. “Lazzaro, esci fuori”. Nomina un uomo e ne fa un apostolo. In un istante rinnova le carni disfatte di un lebbroso e ricostruisce nell’intimo un’esistenza con un parola di perdono. ( M. Magrassi) LA PAROLA NELLA CHIESA Questa Parola suprema continua a vivere nella Chiesa. Il Vangelo, che la Chiesa proclama, è Parola di Cristo glorificato. E’ perciò viva ed energica e “più tagliente di una spada a doppio taglio”, come dice la lettera agli Ebrei. Basta riflettere che essa è il seme da cui rinascono i figli di Dio: si può immaginare una fecondità maggiore? ( M. Magrassi ). Anche ora, come ai tempi di Cristo, è la Parola che convoca e raduna la Chiesa attorno al Padre, ed è nell’approfondimento della Parola che i cristiani prendono coscienza di essere famiglia di Dio, suo nuovo popolo di salvati. E’ ancora l’atteggiamento nei confronti della Parola ( di indifferenza, di rifiuto, di trascuratezza o di accoglienza) che definisce la nostra posizione nel Regno di Dio. (Messale LDC)
PREGHIERA (=pregare la parola ) Apri, Signore, il nostro cuore per comprendere i tuoi pensieri e per camminare nelle tue vie di salvezza e di pace; apri la nostra mente, perché non proiettiamo su di te le nostre misure e i nostri metodi di giudizio e aiutaci a capire che impegnarci per il Regno è già una grande ricompensa della vita. Facci comprende, Signore che la tua giustizia è diversa dalla nostra giustizia: la congloba e la trascende e che in te la magnanimità supera la giustizia e il tuo agire nei nostri confronti è sempre gratuito, sempre eccedente i nostri meriti, sempre fondato sul criterio dell’amore. Concedici, o Dio, di accostarci con umiltà e santo timore a questa Parola che ci supera infinitamente, a questa realtà che è mistero della tua presenza. Fa che là dove la nostra mente non può arrivare giunga il nostro cuore mediante l’intuizione dell’amore; e tutto il nostro essere taccia davanti a te, ti contempli e ti adori. ( Suore benedettine) O profondità della ricchezza, della sapienza e della scienza di Dio! Quanto sono imperscrutabili i tuoi giudizi e inaccessibili le tue vie. Infatti chi mai ha saputo conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo si che abbia e a riceverne il contraccambio? ( Rm 11, 33-35 ).
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio) AZIONE (=assunzione di impegni concreti) Accogliamo sempre la parola di Dio.
ISAIA 61, 1-11 1Lo spirito del Signore (‘Adomay Jahwèh) Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l`unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare (qarà) la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, 2a promulgare (qarà) l`anno di misericordia del Signore (Jahwèh), un giorno di vendetta per il nostro Dio (‘elohim), per consolare tutti gli afflitti, 3per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro una corona invece (tàchat) della cenere, olio di letizia invece (tàchat) dell`abito da lutto, canto di lode invece (tàchat) di un cuore mesto. Essi si chiameranno querce di giustizia, piantagione del Signore (Jahwèh) per manifestare la sua gloria. 4Ricostruiranno le vecchie rovine, rialzeranno gli antichi ruderi (shomemot) , restaureranno le città desolate, devastate (shomemot) da più generazioni. 5Ci saranno stranieri a pascere i vostri greggi e figli di stranieri saranno vostri contadini e vignaioli. 6Voi sarete chiamati sacerdoti del Signore (Jahwèh), ministri del nostro Dio sarete detti. Vi godrete i beni delle nazioni (goyim) , trarrete vanto dalle loro ricchezze. 7Perché il loro obbrobrio fu di doppia misura ( mishnét) , vergogna e insulto furono la loro porzione; per questo possiederanno il doppio (mishnét) nel loro paese, avranno una letizia perenne (‘olàm) . 8Poiché io sono il Signore (Jahwèh) che amo il diritto e odio la rapina e l`ingiustizia: io darò loro fedelmente il salario, concluderò con loro un`alleanza perenne (‘olàm). 9Sarà famosa tra i popoli (goyim) la loro stirpe (zèra) , i loro discendenti tra le nazioni. Coloro che li vedranno ne avranno stima, perché essi sono la stirpe che il Signore(Jahwèh) ha benedetto. 10Io gioisco pienamente nel Signore (Jahwèh), la mia anima esulta nel mio Dio (elahà) , perché mi ha rivestito delle vesti di salvezza, mi ha avvolto con il manto della giustizia (tzedaqàh), come uno sposo che si cinge il diadema e come una sposa che si adorna di gioielli. 11Poiché come la terra produce la vegetazione e come un giardino fa germogliare i semi, così il Signore Dio (‘Adomay Jahwèh) farà germogliare la giustizia (tzedaqàh) e la lode davanti a tutti i popoli (goyim).
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) Isaia 61, 1-11 fa parte di un blocco di capitoli 55-66 attibuito al Tritoisaia L’orizzonte storico dei capitoli è quello del dopo l’esilio in Palestina, dove vive una comunità in preda alla sfiducia e alla lotte intestine (66, 5 ) e in difficoltà di ordine morale e religioso ( 55, 9-11 ) con capi inetti e indifferenti e con tracce di idolatria ( 57, 7 ). L’interesse dello scritto è centrato su Gerusalemme che si trova in uno stato miserevole, senza tempio ( 66, 1 ) e senza prospettive. A questa città è profetizzato un avvenire radioso. In particolare i capitoli 60-62 presentano una visione grandiosa della futura Gerusalemme, avvolta nella luce di Dio, centro della religione universale e punto d’incontro di tutti i popoli. La descrizione altamente idealizzata abbraccia con un solo sguardo la ricostruita Gerusalemme del postesilio, quella messianica, trasformata dalla presenza di Dio e quella della gloria dell’epoca escatologica. A causa della certezza delle fede profetica il futuro sembra realizzato nel momento presente. Nel capitolo 61, un personaggio non meglio definito, che ha l’incarico di svolgere un certo compito racconta la propria missione (1-3 ). Seguono parole di salvezza (4-9 ); al v. 10 prende la parola la comunità, alla quale era stato annunziato il lieto messaggio e il v. 11 si riallaccia alla proclamazione della salvezza. LO SPIRITO DEL SIGNORE (1 ) Nei versetti 1-3 è raccontata la missione del profeta, autore dell’ultima parte di Isaia (capitoli 5666 ) o almeno dei capitoli 60-62. Egli è incaricato di annunziare la liberazione dai nemici e l’anno della
misericordia e della giustizia divina. La pericope presenta molte affinità letterarie con i carmi del servo di Javhé. Gesù applicò a se stesso il messaggio del profeta ( Lc 4, 17-21 ).
E’ SU DI ME (1 ) Lo spirito del Signore afferrava i Giudici di Israele ( Gdc 3, 10; 6, 34, ecc ), era concesso ai re ( 1 Sam 16, 14 ) e l’unzione era il rito di chiamata e di insediamento ( 1 Re 1, 39 ). Il dono dello Spirito caratterizza la missione profetica e l’unzione è da intendersi come una speciale illuminazione che fa conoscere la parola di Dio e rende atti a comunicarla. ANNUNZIO AI POVERI ( 1 ) E’ probabile che il Tritoisaia si riferisca soprattutto alla cattività babilonese, che parte del popolo aveva già lasciato. Ma nelle sue parole c’è un aprirsi di più larghi orizzonti spirituali. Allora “i poveri”, quelli dal cuore spezzato. sono i pii della comunità post-esilica, che nella sofferenza e pazienza attendono da Dio la salvezza, i deportati e i “prigionieri” sono gli schiavi del peccato. ANNO DI MISERICORDIA (2 ) Il versetto che troviamo così tradotto dal nostro testo “ l’anno di misericordia del Signore”, va tradotto più esattamente così: “ “un anno di grazia da parte di Javhé, un giorno di vendetta da parte del nostro Dio“. L’espressione “ anno di grazia” evoca l’anno giubilare, in cui avveniva la liberazione degli schiavi ( Lv 25, 10-12; Ez 6, 17 ), GIORNO DELLA VENDETTA (2 ) “Giorno di vendetta” ( naqàn) rimanda al “giorno di Javhé” ( Is 2, 12; 13, 6 ), il giorno in cui Javhè opererà la salvezza per il suo popolo. Il termine “naqàn” indica la riparazione di un ordine leso dalla cattiveria degli uomini, può significare un’azione che riporta al giusto equilibrio una situazione come era stata creata della giustizia ( tzedaqàh ). La vendetta di Dio è, in ultima analisi la restaurazione del suo popolo e il ristabilimento dell’ordine precedente. PER CONSOLARE TUTTI GLI AFFLITTI ( 2) Viene descritta la metamorfosi prodotta dal messaggio consolatorio del profeta ( olio, invece di abito di lutto ) e il glorioso avvenire degli Israeliti, fondato sulla celebrità e sulla prosperità. RICOSTRUIRO’ LE VECCHIE ROVINE (4 ) Gli Israeliti avranno un glorioso avvenire Saranno restaurate la città l’agricoltura, la pastorizia. I lavori dei campi saranno fatti dagli stranieri, lasciando il popolo libero di dedicarsi agli uffici sacri. SACERDOTI DEL SIGNORE ( 6 ) Viene ripetuto il concetto del sacerdozio universale dei fedeli, di cui tratta Esodo 18, 6 . “Ministri “ di Dio sono coloro che compiono le azioni liturgiche. VI GODRETE I BENI DELLE NAZIONI (6) Come i leviti ricevevano il loro sostentamento dal popolo, così ora gli israeliti riceveranno le ricchezze degli altri popoli. OBBROBRIO ( 7 ) “Doppia misura” si riferisce ai prodotti del paese e alle ricchezze delle nazioni. Come il soffrire fu grande in terra straniera, così sarà grande la gioia in patria. E la festa sarà senza fine. AMO IL DIRITTO (8 ) La garanzia di tutto è il Signore, che appare in prima persona come colui che odia la rapina, il salario rubato, il lavoro forzato; ama la giustizia e la ristabilisce col suo intervento. ALLEANZA PERENNE (8 ) La nuova condizione del popolo è confermata da un patto, voluto da Jahwèh e che dura in eterno. FAMOSA… LA STIRPE (9 ) Il popolo d’Israele appare come una nazione gloriosa, benedetta da Dio ed eternamente riconosciuta dai popoli. IO GIOISCO PIENAMENTE ( 10 ) La comunità, personificata con una donna, esulta perché Dio ha già profeticamente compiuto la salvezza. La metafore delle “vesti” e del “manto” indicano che la “salvezza” o “giustizia” avvolge lietamente la comunità come delle vesti festive. Il giubilo e l’abito festivo richiamano l’immagine dello sposo e della sposa pronti per il giorno delle nozze. I primi due stichi ( io gioisco pienamente nel Signore, la mia anima esulta nel mio Dio) sono ripresi nel primo versetto del Magnificat. ( Lc 1, 46 ) COME LA TERRA PRODUCE (11) La comunità conclude la sua risposta, proclamando con fiducia l’intervento salvifico di Dio. ( farà germogliare la giustizia ) Egli interverrà realizzando le aspettative senza sconvolgimento o rivoluzioni; la sua opera sarà una definita da una serena crescita, senza prodigi appariscenti, “come un giardino fa germogliare i suoi semi”.
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) MISSIONE DEL PROFETA Un profeta si presenta qui in prima persona; non usa il termine tecnico di profeta, ne enumera però le due proprietà principali: l’invio o missione e il servizio della parola. La sua attività consiste nel dare una buona notizia o “evangelizzare” e proclamare come araldo il messaggio del Signore. Per questo compito egli è dotato del dono dello spirito, che è unzione o consacrazione carismatica. Il contenuto del suo messaggio è di liberazione e di consolazione. Con la sua parola egli guarisce interiormente coloro che soffrono, perché la sua parola annunzia un anno giubilare da parte del Signore, nel quale Dio realizzerà la sua salvezza. Nella sinagoga di Cafarnao Gesù applicò a se stesso questo testo, dandogli così il suo senso pieno. ( Lc 4, 16-21 ) ( Alfonso Schokel )
I CONTENUTI DEL SUO MESSAGGIO I contenuti del messaggio e dell’azione del profeta sono in buona parte i compiti attribuiti al Servo di Jahwèh ( Is 42, 6 ) . Non si estendono a coprire tipici compiti sacerdotali, ma si concentrano su tutto il popolo di Jahwèh con particolare attenzione per gli afflitti, che ripongono tutta la loro fiducia nell’aiuto del Signore. Anche qui il linguaggio passa in una dimensione immaginifica. E’ necessario spezzare le catene reali. Ottenere liberazioni quanto mai concrete. Al tempo stesso però attraverso la grazia divina dovrà compiersi una liberazione interiore, crearsi una disponibilità interna per accogliere la volontà di Dio. Temi della parola e dell’azione sono: annunzio della lieta novella agli afflitti; guarigione degli ammalati, perdono delle colpe e liberazione dalla schiavitù; inizio di un periodo di grazia, ricostruzione della comunione con Dio; gioia per chi è disprezzato e salvezza per tutti coloro che ne sentono la mancanza e il bisogno. ( Josef Schreiner )
PREDICAZIONE E AZIONE Il possesso dello spirito e l’unzione definiscono il lavoro che il profeta svolgerà e sono gli strumenti che egli riceve per realizzare il compito che lo attende improrogabilmente. L’inviato di Jahwèh vede nell’unzione ricevuta il conferimento dello spirito, che lo mette nelle condizioni o addirittura nella necessità interiore di realizzare il compito affidatogli, come era occorso in passato ai giudici e ai re d’Israele. L’inviato che presenta le sue credenziali non si limita a parlare, ma agisce. Tuttavia egli rimane il messaggero del Dio d’Israele, la cui volontà di salvezza diviene operante nella sua parola. Il profeta non deve far altro che predicare il messaggio affidatogli. Dio trasformerà le sue parole in azione. E durante la predicazione stessa si realizzerà quanto essa dice. Il Signore che garantisce la validità delle sue parole, darà sì che tutto ciò si traduca in fatti concreti. Tuttavia non si può segnare una netta linea divisoria tra quanto Dio compie e quanto realizza il suo profeta. Si ha l’impressione infatti che sia il profeta a guarire, consolare, donare gioia e salvezza. A più riprese viene ribadita questa continua osmosi tra l’agire divino e quello del profeta. Non è escluso che l’autore porti alle ultime conseguenze un accenno che troviamo alla fine del messaggio del Deuteroisaia (Is 55, 10 ) . La mia parola, dice Jahwèh, “ non ritorna a me senza frutto, ma compie ciò che desidero e adempie la sua missione ( Is 55, 11 ) . La predicazione dell’inviato è dunque parola efficace, non semplice comunicazione, ma azione di Dio. ( Josef Schreiner )
L’ANNO DI GRAZIA L’anno del Signore annunziato dal Profeta rimanda all’anno giubilare prescritto in Levitico 25 , che era l’espressione di un ideale, che avrebbe voluto riportare il paese alla situazione iniziale, quando fu dato da Dio in dono a Israele, evitando l’accumularsi di grandi proprietà in poche mani, ingiustizia deplorata tra l’altro da Is 5, 8 e da Mi 2, 2 . In quell’anno particolare vigevano due principi: Il primo diceva : “Ognuno di voi o tornerà nella sua proprietà e nella sua famiglia” ( Lv 25, 10 ), Il secondo: “Ciascuno tornerà in possesso del suolo”. ( Lv 25, 13 ) . Dietro all’anno del Signore proclamato dal Trito Isaia c’è l’attesa di un tempo voluto da Dio in cui avverrà la liberazione dell’uomo da qualunque schiavitù (peccato, malattia, servitù, morte, ecc ) compresa la schiavitù del possesso e della ricchezza. ( Vedi De Zan)
A NAZARET Gesù , “venuto a Nazaret, dove era stato allevato, entrò nella sinagoga in giorno di sabato, come era suo costume, e si alzò per leggere. Ora gli fu portato il volume del profeta Isaia; e svolto che l’ebbe, trovò il luogo dove era scritto: “ “Lo Spirito del Signore è sopra di me…” ( Lc 4, 16-30 ) Gesù non trova a caso il passo di Isaia 61, 1 ss , ma sotto la guida dello Spirito Santo, dal quale era stato unto e con la cui forza agiva. … Alla lettura segue una spiegazione: “ Oggi si è compiuto questo passo della Scrittura”. All’inizio della frase sta quell’”oggi”, al quale hanno guardato i profeti e che era stato tanto ardentemente desiderato; ora è giunto. Mentre Gesù pronunzia questa parola, ecco che ha inizio l’anno di grazia del Signore. Gesù annunzia e insieme porta il tempo della salvezza. Questa è l’inaudita novità dell’ora presente. Una pia usanza e una parola della Scrittura, che era di promessa, ora ricevono l’adempimento. … La profezia che ora si compie è il programma di Gesù: egli non se l’è scelto per sé, ma gli è stato prescritto da Dio. Gesù è il Messia, l’unto di Spirito, che opera in virtù dello Spirito. E’ inviato da Dio; in lui Dio stesso invita gli uomini. Oggi il Salvatore dimora fra gli uomini; è questo un tempo che non può essere sprecato. ( Alois Stroger )
E’ GIUNTO L’ANNO DI GRAZIA Gesù opera con la parola e con gli atti, con l’insegnamento e con la salvezza. Il tempo della grazia è sorto per i poveri, per i prigionieri e per gli oppressi. Il Gesù del vangelo lucano è proprio il Redentore di questi oppressi. Il grande dono portato da Gesù è la libertà: libertà dalla cecità fisica e spirituale, libertà dalla povertà e dalla schiavitù, libertà dal peccato. Finché Gesù rimane sulla terra, dura l’”anno di grazia del Signore”. Ad esso hanno guardato gli uomini prima di Gesù, ad esso guarda la Chiesa. E’ il centro della storia, la più grande delle grandi opere di Dio, Nella gioia e nello splendore di quest’anno acquista il suo vero significato ciò che Isaia aveva pure profetizzato: “a prolungare per il Signore un anno di grazia, un giorno di rivincita per il nostro Dio” ( Is 61, 2.) Il Messia è anzitutto il donatore della salvezza che illumina tutto. ( Alois Stroger ) UN ANNUNZIO DI GIOIA La gioia è una caratteristica fondamentale del cristianesimo. A ragione uno scrittore inglese ha detto : “ la gioia è il gigantesco segreto del cristiano”. Essa invece non abita nella nostra società, che ha dovuto constatare che il benessere non ha portato la gioia. Anzi benessere e gioia sembrano inversamente proporzionali: col progredire del benessere regredisce la gioia, e aumenta l’angoscia. E’ altra la sorgente della gioia. E’ Cristo stesso. La sua venuta arreca gioia . Chi lo avverte e lo accoglie attinge ad una sorgente inesauribile, come Maria che ne esulta nel Magnificat. E la venuta non è nel passato o nell’avvenire : è “qui, ora”, nell’arco della nostra esistenza. Essa è sempre attuale. Il cristiano che la esperimenta è un uomo felice. Chi invece non la esperimenta, deve sentirsi interpellato dal rimprovero del Battista: “ C’è in mezzo a voi uno che non conoscete” . Il Signore Gesù riempie l’Eucaristia che noi celebriamo. E, a partire da questo centro focale, irradia la sua presenza in tutte le direzioni. Afferra i “segni” ecclesiali , cioè i sacramenti, e poi, al di là, la vita dei credenti, il mondo umano e il cosmo intero. Egli è in mezzo a quelli che si riuniscono per pregare; è negli araldi della sua Parola, nei quali vuole essere ascoltato; è in tutti gli infelici, nei quali vuol essere servito. E’ una presenza che riempie tutto, che ci viene incontro da ogni parte, che non può essere elusa; a meno di chiudere gli occhi alla fede. Ogni incontro con la realtà si traduce in un incontro con lui. E di lì scocca la scintilla della gioia. ( Mariano Magrassi ) ATTESE DI SALVEZZA E SALVEZZA DI CRISTO L’idea che l’uomo ha oggi della salvezza è fortemente influenzata da due proposte di salvezza, che vengono dall’uomo; la liberazione dal bisogno o dell’oppressione economica di origine marxista e la liberarione dal desiderio o dall’inconscio della psicanalisi di Freud. Liberazione è diventata in poco tempo, parola magica; si parla di liberazione dai condizionamenti socioeconomici, dall’oppressione di regimi politici totalitari; di liberazione della donna, di liberazione sessuale, ecc.. Liberazione sembra interpretare in modo più concreto e dinamico che non salvezza l’anelito dell’uomo. Molti cristiani hanno tentato di reinterpretare in questa chiave il messaggio biblico. Non senza un fondamento, del resto, perché la salvezza operata da Gesù, accanto ad una liberazione spirituale dal peccato, dalla legge e dalla morte, esige e comprende anche la liberazione materiale dalla fame, dall’ingiustizia, dalla malattia. Ma la chiesa non può accontentarsi della parola liberazione per esprimere tutta la speranza di salvezza di cui è portatrice. ... Ciò che Dio vuole per l’uomo è la vera vita. ... Gesù si è presentato come
colui che vuole e può dare la vita all’uomo: “ Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” ( Gv 10, 10 ). Si tratta di una vita che ha la sua realizzazione suprema nella sfera dello spirito ma che si fonda, senza soluzioni di continuità, sulla vita biologica, psichica e sociale dell’uomo. Cristo moltiplica il pane per la vita del corpo, poi dà il suo corpo per la vita dell’anima. E’ una vita eterna che risponde perciò all’insopprimibile desiderio dell’uomo a cui, diceva S. Agostino, non basta “vivere bene”, perché vuole “vivere sempre”. Questa è la promessa che egli ha fatto, la vita eterna. ( 1 Gv 2, 25 ) ( Raniero Cantalamessa )
PREGHIERA (=pregare la parola ) O Dio, Padre degli umili e dei poveri, che chiami tutti gli omini a condividere la pace e la gioia del tuo regno, mostraci la tua benevolenza e donaci un cuore puro e generoso, per preparare la via al Signore che viene. (Colletta 3 Avvento B ) Signore, nostro Padre, rendici capaci di accogliere il messaggio di amore e di gioia portato dal tuo Figlio, e di credere che con lui e per lui il mondo può cambiare, la giustizia può germogliare sulla terra, la libertà e la pace rifiorire. Fa che noi, ripieni di questa gioia, ne siamo testimoni e messaggeri. (Charles Berthes ) La vita che tu affidi, ad ogni tuo Figlio sia grido di gioia nella tristezza del mondo, e dica la tua bontà di Padre premuroso verso ogni creatura. L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’onnipotente e santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato a mani vuote i ricchi. Ha soccorso Israele suo servo, ricordandosi della sua misericordia ( Lc 1, 46-50 . 53-54 )
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE
(=assunzione di impegni concreti)
Accogliamo la liberazione del Signore e viviamo sempre liberi da ogni peccato
ISAIA 62, 1-5 Splendore di Gerusalemme 1Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi darò pace, finché non sorga come stella la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. 2Allora i popoli vedranno la tua giustizia, tutti i re la tua gloria; ti si chiamerà con un nome nuovo che la bocca del Signore indicherà. 3Sarai una magnifica corona nella mano del Signore, un diadema regale nella palma del tuo Dio. 4Nessuno ti chiamerà più Abbandonata, né la tua terra sarà più detta Devastata, ma tu sarai chiamata Mio compiacimento e la tua terra, Sposata, perché il Signore si compiacerà di te e la tua terra avrà uno sposo. 5Sì, come un giovane sposa una vergine, così ti sposerà il tuo architetto; come gioisce lo sposo per la sposa, così il tuo Dio gioirà per te. 6Sulle tue mura, Gerusalemme, ho posto sentinelle; per tutto il giorno e tutta la notte non taceranno mai. Voi, che rammentate le promesse al Signore, non prendetevi mai riposo 7e neppure a lui date riposo, finché non abbia ristabilito Gerusalemme e finché non l`abbia resa il vanto della terra. 8Il Signore ha giurato con la sua destra e con il suo braccio potente: «Mai più darò il tuo grano in cibo ai tuoi nemici, mai più gli stranieri berranno il vino per il quale tu hai faticato. 9No! Coloro che avranno raccolto il grano lo mangeranno e canteranno inni al Signore, coloro che avranno vendemmiato berranno il vino nei cortili del mio santuario». 10Passate, passate per le porte, sgombrate la via al popolo, spianate, spianate la strada, liberatela dalle pietre, innalzate un vessillo per i popoli. 11Ecco ciò che il Signore fa sentire all`estremità della terra: «Dite alla figlia di Sion: Ecco, arriva il tuo salvatore; ecco, ha con sé la sua mercede, la sua ricompensa è davanti a lui. 12Li chiameranno popolo santo, redenti del Signore. E tu sarai chiamata Ricercata, Città non abbandonata»
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) L’orizzonte storico dei capitoli 56-66 di cui fa parte questa pericope, è quello del dopo l’esilio in Palestina, dove vive una comunità in preda alla sfiducia e alla lotte intestine (66, 5 ) e in difficoltà di ordine morale e religioso ( 55, 9-11 ) con capi inetti e indifferenti e con tracce di idolatria (57, 7 ). L’interesse dello scritto è centrato su Gerusalemme che si trova in uno stato miserevole, senza tempio (66, 1 ) e senza prospettive. A questa città è profetizzato un avvenire radioso. In particolare i capitoli 60-62 presentano una visione grandiosa della futura Gerusalemme, avvolta nella luce di Dio, centro della religione universale e punto d’incontro di tutti i popoli. La descrizione altamente idealizzata abbraccia con un solo sguardo la ricostruita Gerusalemme del postesilio, quella messianica, trasformata dalla presenza di Dio e quella della gloria dell’epoca escatologica. A causa della certezza delle fede profetica il futuro sembra realizzato nel momento presente. Il capitolo 62 inizia con un fervido poema che canta la risurrezione di Gerusalemme ( 60, 1-5 ). Troviamo la metafora dello sposalizio, che unisce Javhé alla città come un giovane sposo alla sua sposa. PER AMORE DI SION ( 1 ) Il profeta non vuole tacere né darsi tregua per amore di Gerusalemme ma parlerà a coloro cui è stato inviato in nome di Dio e a Dio in nome del popolo. Oggetto della sua supplica è la salvezza di Gerusalemme e la liberazione dalle sventure, I POPOLI VEDRANNO LA GIUSTIZIA …NOME NUOVO (2 ) La restaurazione di Gerusalemme avrà una risonanza universale (“popoli vedranno” ). E la “giustizia” che i popoli vedranno è la salvezza, la situazione di pace ( shalom ). TI SI CHIAMERA’ CON UN NOME NUOVO (2) Il “nome nuovo” che avrà Gerusalemme corrisponde ad una nuova essenza, ed è segno della trasformazione , del nuovo rapporto con Dio. In altri passi della Bibbia viene anche detto quale è il nome
nuovo: “Trono di Javhé” (Ger 3,17), “Qui è Javhé” ( Ez 48, 35), “Javhé nostra giustizia” ( Ger 33, 16), “Città fedele” (Zc 8, 3 ). SARAI UNA MAGNIFICA CORONA (3 ) La corona e la tiara, simboli della rinata Gerusalemme sono un ornamento di gloria per Javhé, che favorisce e protegge la Città. La figura della città come corona forse è presa dalle raffigurazioni dell’epoca in cui non erano insolite presentazioni divine, in cui il dio protettore reca sul capo come diadema la corona delle mura della città. Gerusalemme è anche diadema nella “mano di Dio” . Le figure della corona e della gemma nella mano illustrano il rapporto unico e irrepetibile tra Javhé e Sion. NESSUNO…ABBANDONATA ( 4 ) Segue una nuova immagine tratta dalla vita matrimoniale. I nomi simbolici antitetici indicano la differenza tra il periodo del castigo e quello della grazia. Il paese desolato, abbandonato e devastato è raffigurata ad una sposa abbandonata, Gerusalemme risorta è come la donna sposata, di cui si compiace lo sposo. COME UNA GIOVANE SPOSA ( 5 ) Ancora sotto la figura matrimoniale è messo in risalto il profondo amore e la fervida gioia di Javhé per la città ricostruita. HO POSTO SENTINELLE (6) Forse è il profeta che ha posto sentinelle sulle mura, non con il compito di suonare l’allarme all’avvicinarsi del Signore, ma di ricordare sempre a Javhé le sue misericordiose promesse di restaurazione, con l’invocazione ( e neppure a lui dare riposo ); sono quindi uomini di preghiera di zelo che stanno tra il popolo e pregano Dio. IL SUO BRACCIO FORTE (8 ) Saranno rimosse le punizioni attirate dalla disobbedienza e sarà garantita una pace perpetua ( mai più darò ). COLORO CHE AVRANNO RACCOLTO IL GRANO (9) Il godimento dei prodotti della terra sarà sicuro, e per essa verrà lodato il Signore (inni al Signore) e vi sarà perpetua celebrazione della festa dei Tabernacoli ( berranno il vino nei cortili ) ( Dt 16, 123-16 ). PASSATE, PASSATE (10 ) Gli abitanti di Gerusalemme sono invitati a preparare la via per la quale tornerà trionfante e vincitore Javhé giudice e salvatore. La via che deve essere preparata e il vessillo che sarà innalzato hanno lo scopo di attirare i pagani e anche gli Ebrei che vivono all’estero al centro del regno universale. ECCO CIO CHE FA SENTIRE ( 10 ) Il messaggio da proclamare dice che il Signore verrà avendo al seguito il popolo riscattato, che e il premio della sua vittoria.
LI CHIAMERANNO POPOLO SANTO (11 ) Il messaggio continua indicando le qualità del nuovo popolo, adunato a Gerusalemme: la santità, la libertà e il costante favore da parte di Dio.
MEDITAZIONE
(=meditare con attenzione e ascoltare con amore)
LA SPOSA DEL SIGNORE Isaia 62, 1-5 presenta la restaurazione del popolo di Dio, dopo la dispersione e la distruzione del regno davidico ad opera dei Babilonesi, come un rinnovamento del patto sinaitico in prospettiva di nozze. Il brano si trova nel cuore degli oracoli del Trito-Izaia che descrivono ed esaltano la rinascita del popolo ebraico al termine dell’esilio in Mesopotamia, La comunità d’Israele con il patto sinaitico è stata scelta dal Signore come sua sposa, ma a causa delle sue infedeltà è stata abbandonata e punita ( cf Os 2, 4 ss; Ger 2, 2 ss, Ez 16, 2 ss ). L’ira di Dio però non è senza fine, mentre eterno è il suo amore. Perciò lo sposo d’Israele vuole manifestare a tutte le nazioni quanta tenerezza egli nutra ancora per la sua sposa, perdonata e riammessa nella sua amicizia. In tal modo la giustizia di Gerusalemme sorgerà come una stella e la sua salvezza risplenderà come lampada. Con tale intervento salvifico divino, colei che era abbandonata e devastata, diventerà nuovamente “ Compiacimento” e “Sposa” del Signore, sperimentando la dolcezza della vita nuziale. Questo oracolo, se deve essere letto e interpretato innanzitutto in
rapporto alla resturazione della comunità ebraica dopo la cattività babilonese, certamente ha un significato profetico, in prospettica della nozze messianiche inaugurate con la manifestazione del Figlio di Dio, che unisce a sé la Chiesa, la sposa amata, fino al segno supremo della carità. ( Salvatore Panimolle ) GIOIA DI DIO E DEL POPOLO La gioia divina proclamata dalla pericope è la gioia che Dio, per il suo amore, prova nei confronti di Gerusalemme sua città e suo popolo, oggetto della sua compiacenza, a questa divina gioia Gerusalemme risponde con la gioia nel suo Dio. Questa seconda gioia scaturisce dalla convinzione e dalla fede di essere accolti e amati da Dio. Dopo la vergogna, il ludibrio e il disprezzo, ha “ricevuto la gioia eterna” (61, 7). Ma non basta: Dio trasformerà la Gerusalemme, che in lui ripone tutta la sua gioia, rendendola “delizia per tutte le generazioni” ( 60, 15 ), “delizia di tutto il mondo” ( Sl 48,12 )….Anche i cristiani, uomini in cui Dio ha posto la sua compiacenza, dovranno proclamare quella gioia che Dio ha loro concesso e che consiste in Cristo e nella salvezza da lui predicata e realizzata, diffondendola in tutto il mondo attraverso tutte le generazioni: “ Siate sempre lieti nel Signore… La vostra, letizia sia nota a tutti gli uomini. Il Signore è vicino… “ ( Fil 4, 4 ss ). ( Notker Fuglister ) VIVERE DA SPOSI GIOIOSI Vivere di fede in Cristo è vivere da sposi, gioiosi e sicuri. Perché lo sposo Gesù è indissolubilmente fedele; perché la sposa , la Chiesa è sempre bellissima, dotata di tutti i doni necessari ( i carismi ), che l’unico sposo distribuisce non per il privilegio di qualcuno ma per il bene di tutti; perché, anche se viene a mancare il vino, come alle nozze di Cana, c’è chi è capace di trasformare in vino anche l’acqua. Perciò i cristiani sono contenti del loro Signore, della loro Chiesa, dei loro Sacramenti. Sanno di essere amati e di amare, sanno di essere di Cristo sempre; sanno di avere un nido di amore, una vita ogni giorno nuova. Per loro Gesù non è un padrone, ma uno “sposo” da amare, dal quale sono stati scelti; per loro la Chiesa non è una cosa antiquata, un’accolta anonima, della quale non resta che parlare male, ma la sposa immacolata senza macchia e senza rughe, di cui Maria è il tipo perfetto; è la grande casa del Dio vivente, la famiglia unita che ha Dio per Padre e tutti gli uomini per fratelli; per loro l’Eucaristia non è un peso e una noia, ma il pranzo gioioso della comunione e dell’amore del Signore, che fa vivere della sua stessa vita e godere della sua stessa gioia. (Giovanni Saldarini )
PREGHIERA (=pregare la parola ) Dio, sono le nozze l'ipostasi del mondo e tu l'eterno Innamorato! Inesausta fantasia d'amore è la tua creazione, patto d'amore sono le tue alleanze: festa drammatica di nozze la scelta e i rapporti con il tuo popolo, e più ancora, connubio consumato fino alla passione e all'annichilamento la tua incarnazione: dolcissimo banchetto di nozze la tua eucarestia, invito a nozze eterne a celebrazione nei cieli del tuo Regno: Signore, che nessuno sia senza l'abito nuziale il giorno della festa! ( David Maria Turoldo ) Signore Gesù, così tu hai amato la chiesa , fino a dare te stesso per lei; l'hai amata quando essa ancora era ignara di te, straniera e mendicante, prostituita in estremo squallore. Con il tuo sangue l'hai purificata, nutrendola con il tuo corpo le hai ridato bellezza e vigore; colmandola del tuo Spirito l'hai fatta rifiorire di giovinezza e di gioia. ( (Suore Benedettina “ Mater Ecclesiae” )
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE
(=assunzione di impegni concreti)
Viviamo con gioia ed entusiasmo nella Chiesa, sposa amata dal Signore.
ISAIA 63,7-64,11 63.7Voglio ricordare i benefici del Signore, le glorie del Signore, quanto egli ha fatto per noi.
Egli è grande in bontà per la casa di Israele. Egli ci trattò secondo il suo amore, secondo la grandezza della sua misericordia. 8Disse: «Certo, essi sono il mio popolo, figli che non deluderanno» e fu per loro un salvatore 9in tutte le angosce. Non un inviato né un angelo, ma egli stesso li ha salvati; con amore e compassione egli li ha riscattati; li ha sollevati e portati su di sé, in tutti i giorni del passato. 10Ma essi si ribellarono e contristarono il suo santo spirito. Egli perciò divenne loro nemico e mosse loro guerra. 11Allora si ricordarono dei giorni antichi, di Mosè suo servo. Dov`è colui che fece uscire dall`acqua del Nilo il pastore del suo gregge? Dov`è colui che gli pose nell`intimo il suo santo spirito; 12colui che fece camminare alla destra di Mosè il suo braccio glorioso, che divise le acque davanti a loro facendosi un nome eterno; 13colui che li fece avanzare tra i flutti come un cavallo sulla steppa? Non inciamparono, 14come armento che scende per la valle: lo spirito del Signore li guidava al riposo. Così tu conducesti il tuo popolo, per farti un nome glorioso. 15Guarda dal cielo e osserva dalla tua dimora santa e gloriosa. Dove sono il tuo zelo e la tua potenza, il fremito della tua tenerezza e la tua misericordia? Non forzarti all`insensibilità 16perché tu sei nostro padre, poiché Abramo non ci riconosce e Israele non si ricorda di noi. Tu, Signore, tu sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore. 17Perché, Signore, ci lasci vagare lontano dalle tue vie e lasci indurire il nostro cuore, così che non ti tema? Ritorna per amore dei tuoi servi, per amore delle tribù, tua eredità.
18Perché gli empi hanno calpestato il tuo santuario, i nostri avversari hanno profanato il tuo luogo santo? 19Siamo diventati come coloro su cui tu non hai mai dominato, sui quali il tuo nome non è stato mai invocato. Se tu squarciassi i cieli e scendessi! Davanti a te sussulterebbero i monti. 64. 1Come il fuoco incendia le stoppie e fa bollire l`acqua, così il fuoco distrugga i tuoi avversari, perché si conosca il tuo nome fra i tuoi nemici. Davanti a te tremavano i popoli, 2quando tu compivi cose terribili che non attendevamo, 3di cui non si udì parlare da tempi lontani. Orecchio non ha sentito, occhio non ha visto che un Dio, fuori di te, abbia fatto tanto per chi confida in lui. 4Tu vai incontro a quanti praticano la giustizia e si ricordano delle tue vie. Ecco, tu sei adirato perché abbiamo peccato contro di te da lungo tempo e siamo stati ribelli. 5Siamo divenuti tutti come una cosa impura e come panno immondo sono tutti i nostri atti di giustizia tutti siamo avvizziti come foglie, le nostre iniquità ci hanno portato via come il vento. 6Nessuno invocava il tuo nome, nessuno si riscuoteva per stringersi a te; perché tu avevi nascosto da noi il tuo volto, ci hai messo in balìa della nostra iniquità. 7Ma, Signore, tu sei nostro padre; noi siamo argilla e tu colui che ci dá forma, tutti noi siamo opera delle tue mani. 8Signore, non adirarti troppo, non ricordarti per sempre dell`iniquità. Ecco, guarda: tutti siamo tuo popolo. 9Le tue città sante sono un deserto, un deserto è diventata Sion, Gerusalemme una desolazione. 10Il nostro tempio, santo e magnifico, dove i nostri padri ti hanno lodato, è divenuto preda del fuoco; tutte le nostre cose preziose sono distrutte. 11Dopo tutto questo, resterai ancora insensibile, o Signore, tacerai e ci umilierai sino in fondo?
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) Isaia 63,7-64-11, è forse il più impressionante salmo di implorazione del popolo di tutto l’AT. E’ un canto di rara bellezza poetica e profondità di concetto, un gioiello della Bibbia. Non conosciamo la datazione, evidente però è che il regno di Giuda è già stato sconfitto e che Gerusalemme è distrutta e città e tempio sono ancora un cumulo di macerie; pertanto il salmo è databile al primo periodo del ritorno dall’esilio quando l’unico appoggio dei rimpatriati era Dio stesso. La lamentazione collettiva si articola in
due grandi sezioni. La prima (63,7-14) propone una considerazione storica, che guarda retroprospettivamente agli interventi di Javhè per salvare il popolo. Tale ricordo offre lo spunto alla lamentazione successiva ( 63, 15-64, 11 ). VOGLIO RICORDARE ( 63, 7 ) Il salmo ha inizio con la commossa evocazione delle gesta salvifiche di Javhè nel passato, che l’orante, parlando a nome del popolo, vuole celebrare ( voglio ricordare ) EGLI E’ GRANDE IN BONTA’ ( 7 ) E celebra la bontà ( hesed ) di Javhè che “ ci trattò secondo il suo amore, secondo la grandezza della sua misericordia”, che fece alleanza col popolo ( mio popolo), fu salvatore ( fu per loro un salvatore) e “egli stesso li ha salvati, con amore e compassione, egli li ha riscattati, li ha sollevati e portati con sé”. MA ESSI SI RIBELLARONO (10-14 ) Il salmista dice anche che il popolo si è ribellato e ha contristato “il suo santo spirito”. E ricorda l’esodo in cui attore delle gesta sono Dio col suo santo spirito e il suo braccio èMosè. GUARDA DAL CIELO E OSSERVA (15 ) Ha qui inizio la seconda parte. Il salmista inizia con un’invocazione a Dio perché soccorra di nuovo il suo popolo. A Javhè chiede : “ guarda dal cielo e osserva dalla tua dimora santa e gloriosa”, alludendo al tempio celeste del cielo, di cui quello di Gerusalemme è una figura” , e dice “ dove sono il tuo zelo ( ossia l’amore appassionato di Dio per il suo popolo ) e la tua potenza?”. TU, SIGNORE ( 16 ) L’invocazione a Dio motiva la richiesta precedente. L’apostrofe è coraggiosa. Dio è visto come Padre. Israele sapeva di essere un figlio prediletto, ma fino ad ora aveva evitato di chiamare Dio “Padre”, per non creare confusioni. I popoli dell’oriente consideravano i loro dei come padri delle famiglie e dei gruppi etnici, invece la paternità divina per Israele era basata su un fatto storico, la liberazione dall’Egitto, e la paternità di Dio era intesa in senso traslato. Dio era visto anche come “Redentore” , “go’el”. Il termine “go’el”, deriva dal diritto tribale e denota il parente più prossimo, che aveva l’obbligo di riscattare o ricomperare chi fosse caduto in schiavitù straniera. Il Signore si era rivelato “goel” riscattando il popolo dalla schiavitù d’Egitto. PERCHE’ CI LASCI VAGARE (17 ) Vengono rivolti a Dio arditi interrogativi, che sembrano renderlo responsabile dello stato di abbandono in cui versa il popolo. Sembra un’accusa a Javhè, ma l’orante sa che e Israele colpevole della situazione in cui versa. Il “perché” è segno di uno stupore : perché Dio ha permesso che il popolo deviasse dalla retta via, che vagasse come chi si è perso nel deserto e che il suo cuore si indurisse come quello del faraone ( Es 7, 3 ) ? Nel v. 18 e 19/a l’autore domanda come mai sia stata possibile la distruzione di Gerusalemme per opera dei Babilonesi e asserisce : “Siamo diventati come coloro su cui tu non hai mai dominato, sui quali il tuo nome non è stato mai invocato”. RITORNA PER AMORE (17 ) Questa situazione non porta il popolo a perdere fiducia e ad allontanarsi da Dio, ma ad invocarne il ritorno. Le tribù d’Israele esistono ancora, sono ancora proprietà di Dio ( delle tribù, tua eredità) e sulla base reale di questo rapporto, mai sconfessato, il popolo prega Dio di intervenire. SE TU SQUARCIASSI (19 ) Con un linguaggio simbolico, la comunità rivolge a Dio una travolgente invocazione. Lo stile è quello del Sinai ( Es 19, 18.20 ); come allora Dio scese dalle sedi celesti, avvolto nei segni della potenza e della gloria, irresistibile tale da scuotere la terra e far scomparire i monti dal suo cospetto, così ora voglia rivelarsi al suo popolo. Ma i cieli sembrano chiusi e il popolo chiede che Dio li squarci , appaia e discenda tra il suo popolo. Questo versetto è usato dalla liturgia latina dell’Avvento, nel senso di affrettare la venuta di Cristo. DAVANTI A TE (64, 1 ) La grandiosa manifestazione di Dio dovrebbe operare la salvezza d’Israele e la distruzione dei nemici. Il versetto 1/a descrive con due esempi un po’ strani la potenza distruttiva dell’apparizione divina ( come il fuoco incendia le stoppie e come il fuoco fa bollire l’acqua ) che è simboleggiata dal fuoco. COMPIVI COSE TERRIBILI (2 ) Viene ricordato l’intervento di Dio e i prodigi ( cose terribili) che accompagnarono l’uscita dall’Egitto. ORECCHIO NON HA SENTITO (3 ) Nessun dio ha mai operato come ha fatto Javhè con il suo popolo. Non gli idoli ma Dio solo opera
la salvezza. Il versetto è ripreso liberamente da Paolo ( 1Cor 2, 9 ) ed applicato alla rivelazione di Cristo. TU VAI INCONTRO (4 ) Ma perché Dio intervenga, la comunità deve ammettere di aver peccato e di essersi allontanata da Lui, dato che il popolo si è davvero allontanato da Javhè , e il salmista ammette questo peccato , caratterizzato da quattro forme: ribellione ( siamo stati ribelli ), corruzione (cosa impura, immondizia legale ), apostasia ( ci hanno portati via come il vento ), mancanza di fiducia ( nessuno invocava il tuo nome ). TU AVEVI NASCOSTO A NOI ( 6 ) Dio ha abbandonato e consegnato Israele in balia dei nemici, ha nascosto il proprio volto, ha sottratto la propria presenza che dava salvezza e il popolo è caduto nella desolazione e nella morte. Dio interrompe la sua relazione personale, abbandonando l’uomo alla mercè della sua colpa. SEI NOSTRO PADRE (7 ) Vibrante appello alla paternità divina. Malgrado le colpe, Israele appartiene fondamentalmente a Dio. L’immagine del vasaio e dell’argilla, che sottolineano la completa dipendenza dell’uomo a Dio, sono frequenti nella Bibbia. SIGNORE NON ADIRARTI SENZA FINE (8 -11) Il salmo prosegue fino al versetto 11, con l’invocazione a Javhé: “Signore non adirati troppo”, la lamentazione sulla desolazione del paese e del tempio distrutto e l’attestazione che la sincera confessione delle colpe non può non commuovere Dio, che nella sua bontà e potenza può salvare.
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) SUPPLICA E LAMENTAZIONE Isaia 63,7-64, 11 forma un’unità completa, che risponde allo schema della supplica e della lamentazione pubblica. La situazione è una sventura nazionale: il popolo si rivolge al Dio della sua storia, chiedendogli che intervenga a salvare. E prima viene una carrellata lungo la storia, in cui il passato viene schematizzato in tre tappe: benefici di Dio (7-9 ), ribellione del popolo e castigo (10 ) ricordo delle azioni di Dio. Questo ripasso storico ricorda poemi come Dt 32 e Sal 78: contiene elementi innici e anche confessione di peccati. Le due cose saranno argomenti per muovere Dio. L’introduzione è tipica dell’inno. La tonalità è triste, per il doppio contrasto che viene introdotto: contrasto con la risposta del popolo, contrasto con il presente atteggiamento di Dio. Il Signore appare con grande partecipazione personale ed emotiva, non è affatto un Dio imparziale e lontano. ( Alonso Schokel ) INDURIMENTO DEL CUORE Il Trito Isaia ha davanti a sé una situazione di popolo smarrito e deluso. Questo popolo, dopo aver sognato e implorato la liberazione dalla schiavitù, e averla anche ottenuta, ora si trova in crisi profonda. Alla libertà donata non ha fatto riscontro una nuova stagione di rinnovata fedeltà, ma solo un abuso peccaminoso, una specie di ribellione testarda. C’è stato un “vagare lontano”, un “peccare per lungo tempo”; e la condizione ora è quella di gente da “cuore indurito”, un accumulo di falsi “atti di giustizia”. Rinsecchiti e “avvizziti come foglie portare via dal vento” ora gli Israeliti sono diventati prigionieri della loro stessa malvagità. Incapaci di stringersi fedelmente al loro Dio, hanno perso ogni senso religioso, non sopravvive nemmeno la paura de un giudizio. E’ uno stato di addormentati. ( Mario Masini )
LAMENTAZIONE Il testo parla anche dei problemi dell’uomo in difficoltà, il quale spesso deve soffrire interiormente proprio per la sua fede in un Dio padre, che sembra intrisa dalle situazioni storiche e dal fatto che questo Dio permette che l’uomo si smarrisca nella colpa e nel peccato….. L’orante ha talora l’impressione che Dio non sia il Signore, che il suo silenzio vada interpretato come assenza……. Ma è significativo che le lamentazioni siano preghiera, parola rivolta a Dio e siano, nonostante tutto, segno di fiducia. Vi presuppone nell’uomo la prontezza nell’affidarsi totalmente a Dio, che è al di sopra del suo pensiero e della sua ragione. Il nostro testo rivela la problematicità e le difficoltà della fiducia in Dio che si rivela essere padre, ma ne propone anche la possibilità e la legittimazione. ( Da : Josef Schreiner )
TU SEI NOSTRO PADRE “Tu, o Signore, sei nostro Padre” , che è familiare nella preghiera cristiana, è un formidabile atto di coraggio. Può essere fraintesa e strumentalizzata, ove la si usi per tranquillizzare quotidianamente la nostra coscienza. Non bisogna dimenticare che ci troviamo per la prima volta davanti ad un’apostrofe con cui ci si rivolge al Padre in una situazione tragica, dove Dio non si mostra più. In tal senso essa si adatta magnificamente ad ogni epoca, in cui la salvezza divina è oggetto di viva aspettativa. ( Josef Schreiner )
PREGHIERA
(=pregare la parola )
Solo tu puoi ridare all’uomo la pace, perché tu, Signore, tu sei nostro Padre, da sempre ti chiami nostro redentore. Non lasciarci vagare lontano dalle tue vie, non lasciar indurire il nostro cuore, non metterci in balia della nostra iniquità
Ricorda che tu, Signore, tu sei nostro Padre, sei tu che mandi la pioggia sui buoni e sui cattivi, che fai levare il tuo sole sui giusti e gli ingiusti, tu che hai dato alla nostra povera argilla la forma del tuo unico Figlio. O nostro Padre, salvaci. Tu sei la luce alla mia lampada, tu rischiari le mie tenebre, o Santo Spirito, gioia divina che sgorga dal cuore, unzione crismale che hai fatto di noi i veri figli del Padre, pienezza di doni che accoglie in noi la Parola e la Vita. (Suore Clarisse )
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE
(=assunzione di impegni concreti)
Nei momenti difficili rivolgiamo con fede al Signore.
ISAIA 65, 16-25 16Chi vorrà essere benedetto nel paese, vorrà esserlo per il Dio fedele; chi vorrà giurare nel paese, giurerà per il Dio fedele; perché saranno dimenticate le tribolazioni antiche, saranno occultate ai miei occhi. 17Ecco infatti io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, 18poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, e farò di Gerusalemme una gioia, del suo popolo un gaudio. 19Io esulterò di Gerusalemme, godrò del mio popolo. Non si udranno più in essa voci di pianto, grida di angoscia. 20Non ci sarà più un bimbo che viva solo pochi giorni, né un vecchio che dei suoi giorni non giunga alla pienezza; poiché il più giovane morirà a cento anni e chi non raggiunge i cento anni sarà considerato maledetto. 21Fabbricheranno case e le abiteranno, pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto. 22Non fabbricheranno perché un altro vi abiti, né pianteranno perché un altro mangi, poiché quali i giorni dell`albero, tali i giorni del mio popolo. I miei eletti useranno a lungo quanto è prodotto dalle loro mani. 23Non faticheranno invano, né genereranno per una morte precoce, perché prole di benedetti dal Signore essi saranno e insieme con essi anche i loro germogli. 24Prima che mi invochino, io risponderò; mentre ancora stanno parlando, io già li avrò ascoltati. 25Il lupo e l`agnello pascoleranno insieme, il leone mangerà la paglia come un bue, ma il serpente mangerà la polvere, non faranno né male né danno in tutto il mio santo monte». Dice il Signore.
LETTURA (=leggere con intelligenza e comprendere con sapienza) La futura salvezza è descritta con i colori
apocalittici
dell’età dell’oro, Si avrà una
nuova creazione e una nuova Gerusalemme, lieta della felicità recuperata, mentre i suoi abitanti godranno di una rispettabile longevità. L’instaurazione del nuovo ordine è descritta con due gruppi di dati: gli uni appartengono alla vita storica e terrena del popolo, sono le benedizioni esaltate quanto più possibile; gli altri sono un segno trascendente, che include un nuovo cosmo e un nuovo paradiso. SARANNO DIMENTICATE (16 ) Questo versetto conclude il brano (65, 8-16 ) che parla della sorte finale dei buoni e dei cattivi e fa da transizione verso la pericope ( 17 –25 ) , che tratta del nuovo ordine. Ormai si invoca solo il nome del vero Dio. IO CREO (17 ) Il verbo “barà” ( creare) indica una radicale trasformazione. CIELI NUOVI E TERRA NUOVA (17 )
Espressione che indica il nuovo universo. La creazione di un cielo nuovo e di una terra nuova non comporta la distruzione materiale dell’universo, ma la trasformazione morale, con la quale viene instaurato un nuovo ordine di cose. DI GERUSALEMME UNA GIOIA (18 ) Nella creazione finale l’uomo godrà di una gioia eterna, liberato dalla sofferenza e dalla morte. Gerusalemme sarà il centro del nuovo mondo. NON CI SARA’ PIU UN BIMBO (20 )
La longevità era considerata come una ricompensa e la morte prematura una punizione. Nell’era escatologica viene restaurata la longevità dei patriarchi, indice della benedizione divina ( Gn 5). Si tratta di una descrizione metaforica della felicità finale. FABBRICHERANNO CASE (21 ) La benedizione del lavoro porterà alla riuscita e al godimento dei suoi prodotti. E’ una classica formula del Deuteronomio. PERCHE ALTRO VI ABITI (23 ) Non ci saranno più invasioni di nemici o di predoni. NE GENEREANNO (23 ) Sarà eliminata la mortalità. Le madri non generanno figli che muoiono giovani. IO RISPONDERO’( 24 ) Dio sarà vicino e accessibile ai fedeli e non ci sarà più bisogno di chiedere nulla con la preghiera.
IL LUPO E L’AGNELLO (25 ) Viene citato il celebre passo di Isaia 11, 6-9, senza porlo in connessione col Messia. Nell’era escatologica regneranno la pace e l’ordine paradisiaco. L’allusione al serpente ricorda il testo della Genesi (Gn 5, 15 ) e la completa assenza di pericoli.
MEDITAZIONE (=meditare con attenzione e ascoltare con amore) LA SPERANZA DEL CIELO “La nostra patria è nei cieli, donde aspettiamo ardentemente come salvatore il Signore Gesù Cristo, che trasfigurerà il nostro corpo di miseria per conformalo al suo corpo di gloria . con quella forza con cui può sottomettere a sé tutte le cose” ( Fil 3, 30 ) . Tutti gli elementi del cielo che è oggetto della speranza cristiana sono qui raccolti. E’ una città, una comunità fatta per noi, una nuova Gerusalemme ( Ap 3, 12 ); è fin d’ora la nostra città, in cui si costruisce la dimora, cui aspiriamo ( 2 Cor 5, 1 ) . E’ un nuovo universo ( Ap 21, 5 ) , composto, come il nostro, di nuovi cieli e di una terra nuova ( 2 Piet 3, 13; Ap 21, 1 ) , ma di dove saranno spariti “morte, lutto, grido, dolore” ( Ap 21, 4,) “impurità” (Ap 21, 27) e “notte” ( Ap 22, 5) Quando questo apparirà, l’antico universo, il “primo cielo e la prima terra” saranno spariti nella fuga ( Ap 20, 11 ) come un libro che si ravvolge ( Ap 6, 12 ). Sarà non di meno il nostro universo, perché il nostro universo è per sempre quello del Verbo fatto carne e del suo corpo; e il cielo non sarebbe nulla per noi, se non fosse la comunione con il Signore ( 2 Cor 5, 8 ) che sottomette a sé tutte le cose per rimetterle tutte a Dio Padre. ( 1 Cor, 11-24 ). ( J Guillet )
CIELI E TERRA NUOVI Ignoriamo il tempo in cui avranno fine la terra e l’umanità, e non sappiamo il modo con cui sarò trasformato l’universo. Passa certamente l’aspetto di questo mondo, deformato dal peccato. Sappiamo, però, dalla rivelazione che Dio prepara una nuova abitazione e una terra nuova in cui abita la giustizia, e la cui felicità sazierà sovrabbondantemente tutti i desideri di pace che salgono dal cuore degli uomini. Allora, vinta la morte, i fili di Dio saranno risuscitati in Cristo, e ciò che fu seminato in infermità e corruzione rivestirà l’incorruzione; e restando la carità con i suoi frutti, sarà liberata dalla schiavitù della vanità tutta quella realtà, che Dio ha creato appunto per l’uomo. Certo, siamo avvertiti che niente giova all’uomo se guadagna il mondo intero ma perde se stesso. Tuttavia l’attesa di una terra nuova non deve indebolire bensì piuttosto stimolare la sollecitudine nel lavoro relativo alla terra presente, dove cresce quel corpo dell’umanità nuova che già riesce ad offrire una certa prefigurazione che adombra il mondo nuovo, Pertanto, benché si debba accuratamente distinguere il progresso terreno dallo sviluppo del Regno di Dio, tuttavia, nella misura in cui può contribuire a meglio ordinare l’umana società, tale progresso è di grande importanza per il Regno di Dio. Ed infatti, i beni, quali la dignità dell’uomo la fraternità e la libertà, e cioè tutti i buoni frutti della natura e della nostra operosità, dopo che avremo diffusi sulla terra nello Spirito del Signore e secondo il suo precetto, li ritroveremo poi di nuovo, ma purificati, allorquando il Cristo rimetterà al Padre “il regno eterno e universale; che è regno di verità e di vita, regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore di pace”. Qui sulla terra il Regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore, giungerà a perfezione. (Gaudium et Spes 39 )
PREGHIERA (=pregare la parola ) Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrà paura? Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrà timore? Una sola cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, per gustare la dolcezza del Signore ed ammirare il suo santuario. ( Dal Salmo 26 ) Padre santo…in Cristo tuo Figlio, nostro Salvatore, rifulge a noi la speranza della beata risurrezione . Ai tuoi fedeli la vita non è tolta ma trasformata; e mentre si distrugge la dimora di questo esilio terreno, viene preparata un’abitazione eterna nei cieli. ( Prefazio dei defunti I )
Ascolta, o Dio, la preghiera che la comunità dei credenti innalza a te nella fede del Signore risorto, e conferma in noi la beata speranza che insieme ai nostri fratelli defunti risorgeremo in Cristo a vita nuova. (Colletta 2 Novembre )
CONTEMPLAZIONE (=silenziosa accoglienza della parola di Dio)
AZIONE
(=assunzione di impegni concreti)
La nostra patria è nei cieli, donde aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo” (Fil 3, 30 ) .