Il “diverso” in Arte Franco Maria Messina 0. Nota introduttiva Il tema del “diverso” ha avuto sulle Arti Figurative un impatto importante, anche se, per certi aspetti, forse inferiore rispetto alla Letteratura. Le principali ragioni possono essere: 1. la maggiore tolleranza degli artisti figurativi nei riguardi della “diversità”; 2. la maggiore “esposizione” delle opere visive alla censura ed al controllo delle autorità politiche e religiose, nonché il rapporto diretto committente-artista; 3. il fatto che sia nell’Antichità che nel Rinascimento l’artista figurativo ha vissuto e lavorato non da solo, come in genere il letterato o il filosofo, ma nell’ambito di una “bottega”, abituandosi ad una maggiore promiscuità fisica e culturale. Va inoltre tenuto presente che per la tematica in oggetto non è interessante individuare artisti “diversi” (cosa che sarebbe estremamente facile), ma la ‘proiezione’ artistica della “diversità”, ovvero quegli elementi che possono essere più o meno percepiti dal fruitore dell’opera d’arte.
1. L’ebreo Nell’arte occidentale non vi è cultura piú rappresentata di quella ebraica: l’arte figurativa medievale si incentra sulla Bibbia, per cui i protagonisti di tutte le opere di tematica religiosa, a partire da Gesú Cristo in quanto uomo, sono ebrei. E però va fatta una precisa distinzione fra l’iconografia che si richiama alla vita di Cristo ed all’Antico Testamento ed il personaggio dell’Ebreo deicida, maledetto e condannato alla diaspora. Nel Medioevo vi fu una chiara demonizzazione dell’Ebreo, che si ritrasse legato al Diavolo, l’angelo ribelle precipitato dal cielo. La triade dei personaggi demonizzati era completata dalla Donna, fonte di seduzione e malizia, che porta l’uomo alla perdizione. L’associazione dell’Ebreo con le attività economiche e finanziarie non contribuí a renderlo popolare: era pur sempre “l’uomo dei trenta denari”. La “diversità” dell’Ebreo venne fortemente caratterizzata fisiognomicamente, sí da stabilire una chiara differenza con i Cristiani: in pitture, incisioni, miniature e bassorilievi egli figura con naso prominente, bocca larga, barbetta ed occhi demoniaci. Circolavano molti sermoni aventi a protagonisti gli ebrei, ed essi erano accompagnati da una serie di miniature. Il rifiuto degli Ebrei di rappresentare la figura umana, per una restrittiva interpretazione del Secondo Comandamento, fece sí che non vi fosse alcun contributo ebraico atto a smentire i luoghi comuni, incentrandosi la loro arte, come quella araba, sull’elemento decorativo. Tale rifiuto portò ad associare l’Ebreo proprio all’immagine, spesso con valore salvifico. Immagini di Ebrei si ritrovano sulle facciate di molte cattedrali, come a Puy (Francia) e Messina. La cacciata degli Ebrei dalla Spagna nel 1492, a seguito dell’editto promulgato da Ferdinando il Cattolico, produsse una seconda diaspora. I Sifarditi dapprima si recarono in Portogallo e poi da lí verso il Nord, venendo quindi accolti, tra la fine del Cinquecento ed i primi del Seicento, dalla liberale Repubblica delle Province Unite, impegnata nel conflitto con la Spagna ed il Portogallo. Nelle città olandesi gli Ebrei giunsero presto a radicarsi nel mondo commerciale e finanziario, pur mantenendo i loro usi culturali e religiosi. Proprio la diversità di usi e costumi, nel contesto di un’Olanda mercantile e tollerante, forní motivo d’interesse e d’attrazione, per cui la figura dell’Ebreo Sifardita compare in molte pitture olandesi del Seicento.
Ma chi dedicò la massima attenzione ai nuovi venuti fu Rembrandt (1606-1669). E’ stato osservato che almeno un quinto delle figure maschili del grande maestro ritraggono personaggi ebraici, e ciò nonostante i Sifarditi rappresentassero appena l’1% della popolazione di Amsterdam. La critica è divisa sulle ragioni di tale interesse: c’è infatti chi dice che Rembrandt avesse una particolare simpatia per un popolo vittima di persecuzioni; ma c’è chi replica che molto probabilmente si tratta solo di persone amiche e conoscenti che egli amava ritrarre. Tra il 1632 ed il 1658 egli visse molto vicino al quartiere ebraico e presto divenne amico del Rabbino Manasseh ben Israel. E proprio ad un Rabbino è dedicato un dipinto attribuito quasi universalmente a Rembrandt, il quale tra i primissimi usò autentici Ebrei per i suoi ritratti (anche legati alla Bibbia), piuttosto che operare di fantasia. C’è da dire, ancora, che i ricchi mercanti ebrei furono spesso i committenti del grande pittore olandese. Il suo dipinto di carattere ebraico piú famoso è certamente La sposa ebrea, in cui la moglie “diversa” viene accolta con serena affettuosità dal marito olandese. Un quadro che fece dire a Van Gogh che avrebbe dato 10 anni di vita pur di poterlo guardare per 15 giorni di seguito. La critica è d’accordo nel ritenere che nessun altro né prima né dopo ha saputo ritrarre gli Ebrei con la stessa intensità ed accuratezza che ritroviamo in Rembrandt.
Rembrandt van Rhijn: “La moglie ebrea” (circa 1662)
2. L’omosessuale Nell’antichità classica ed orientale l’omosessualità faceva parte integrante della cultura, per cui non si può parlare di vera “diversità” dell’omosessuale. Molti Greci e Romani erano bisessuali, e la pratica di tenere presso di sé a vario titolo degli efebi era assai diffusa: abbiamo numerose pitture greche che ritraggono uomini in rapporti intimi, e le molte sculture di ermafroditi che ci sono pervenute in originale o in copia ci fanno capire come quella che viene oggi vista come “diversità” fosse vissuta con grande naturalezza. Le cose cambiano quando le religioni (ed in particolare il Cristianesimo) condannano i rapporti omosessuali. Essendo l’arte medievale strettamente legata, in Occidente, all’iconografia religiosa, è ovvio che per molti secoli il fenomeno non ha riscontri nelle arti figurative, nonostante la pratica fosse presente nella società dell’epoca. Anche nel Rinascimento e nei secoli successivi non vi sono tracce evidenti di tale “diversità”, benché molti artisti fossero omosessuali. La critica moderna, però, tende a cercare di individuare elementi di omosessualità nelle opere di alcuni grandi artisti come Michelangelo e soprattutto Caravaggio. Si sa che quest’ultimo ebbe contatti con i giovani omosessuali, pittori e musici, che abitavano la casa del Cardinal Del Monte. Alcuni modelli del Caravaggio, come ad esempio quello che posò per il Bacco, sarebbero stati amanti del pittore. Come sia, ben poche sono le tracce artistiche di questo fenomeno fino ai nostri giorni, con qualche notevole eccezione nell’Ottocento. L’esempio più classico di lesbismo ci viene dalla Francia, ed esattamente dal bel quadro di Gustave Courbet intitolato Le sommeil. Dipinto nel 1866 per il diplomatico turco Khalil Bey, esso raffigura due donne nude dormienti che hanno avuto un amplesso.
Gustave Courbet: “Le sommeil” (1866)
Il trait-d’union con i nostri giorni è fornito da Romain de Tirtoff, l’artista franco-russo noto con lo pseudonimo di Erté. Divenuto, giovanissimo, amante di un principe russo che viveva a Parigi, è stato il ‘cantore’ della donna inizio-secolo, ed in particolare degli anni Venti. Le donne che egli amava vestire e svestire sono da lui ritratte belle ed eleganti, ma prive di sensualità. Anche le famose “lettere dell’alfabeto” suscitano ammirazione, ma non seducono. Le poche figure maschili ritratte sia ne L’Alfabeto che ne I Numeri fanno invece intuire come l’interesse sessuale del Maestro fosse tutto per loro, che non a caso sono stati definiti “omoerotici”.
Ertè: Il Numero 4
Negli ultimi 50 anni l’omosessualità è entrata nelle arti figurative, prima discretamente con Francis Bacon, e poi piú chiassosamente con gli artisti delle ultime generazioni. Agli inizi degli anni Novanta un gruppo di artisti americani, uomini e donne, dichiaratamene omosessuali hanno provocatoriamente introdotto il tema della loro sessualità per lottare contro l’AIDS, di cui poi molti di loro sono morti. Su tutti va ricordato il pittore-fotografo Robert Mapplethorpe. Il fenomeno non è solo maschile, ed anzi è molto diffuso fra le donne, tra cui spicca Carolee Schneemann, nota per le sue figure femminili e per l’essersi dedicata a ritrarre l’apparato genitale della donna. L’opera piú famosa della Schneemann è Interior Scroll (“Rotolo di carta interno”). L’opera in realtà è lei stessa: entrata a East Hampton (New York) avvolta in un lenzuolo, si spogliò e rimase seminuda, con un semplice grembiulino. sottolineando il corpo con strisce di pittura scura. Quindi salí su una pedane e assunse delle pose da modella d’arte, per poi leggere alcune pagine dal suo libro Cezanne, She Was a Great Painter (“C., ella era un grande pittore”) . Gettato via il libro estrasse lentamente dalla vagina un rotolo di carta che cominciò a leggere: un esempio di “arte visuale” con chiari intenti femministi.
Interior Scroll (1975)
3. Lo straniero L’influenza esercitata da pittori, scultori ed architetti stranieri nei vari paesi è stata grandissima: si pensi ad Antonello da Messina ed all’influenza fiamminga; al ruolo avuto da Juan de Flandes (Jan van Vlaanderen) e dagli altri maestri d’Anversa sulla pittura spagnola; e da pittori come Hans Holbein (autore del famoso ritratto di Enrico VIII), Taddeo Zuccaro, Pietro Torrigiano, Marcus Gheeraerts, Antonis Mor, nonché dagli scultori italiani sull’arte figurativa alla Corte d’Inghilterra. Meno evidente è invece lo “straniero” quale elemento “diverso” nelle tematiche figurative. Elementi “estranei” e “diversi” abbondano specie in pittura ed una parte di ciò che si è detto per l’Ebreo (v. sopra) può valere anche per lo Straniero. Tra gli elementi di spicco della “diversità” va annoverata la “piccola gente”, vale a dire quella plètora di fate, maghi, elfi, coboldi e gnomi che, sulla scia del Romanticismo e delle favole dei fratelli Grimm, costituí la moda dominante dell’Età Vittoriana. Si tratta di elementi per lo piú derivati dalle mitologie germanica e celtica, ma anche legati al teatro shakespeariano: si pensi a La Tempesta ed al Sogno di una notte di mezza estate.
Edward Hughes: Sera di Mezza Estate (s.d. – Età Vittoriana) Se vogliamo vedere lo Straniero alla maniera di quanto ci fornisce la Letteratura dobbiamo però rivolgerci all’Oriente ed alle seduzioni che da esso promanano. Un esempio significativo è quello di Jan Toroop (1858-1928). Nato a Giava da padre olandese e madre sino-indonesiana, egli si dedicò presto alla pittura e venne in Europa, dapprima a Bruxelles con Ensor, poi a Londra con Whistler ed i Pre-Raffaelliti, ed infine a Parigi. Toroop divenne un grande pittore simbolista, ma inizialmente il suo successo fu determinato dai caratteri fisici orientali, che costituivano la gioia dei suoi colleghi pittori, che lo ritraevano quale esempio vivente di quell’Oriente cosí di moda.
Ancora l’Olanda ci aiuta ad identificare la tematica dello Straniero in Indonesia e Giappone. In quest’ultimo paese gli Olandesi furono gli unici stranieri ammessi nel periodo che va dal giorno di Pasqua dell’anno 1600 al 1853. E’ ovvio che molta parte dell’arte pittorica giapponese ritragga questi Stranieri, “diversi” per colore di pelle, per usi e per abbigliamento. Nella realtà però le figure maschili ritratte, seppur in abiti occidentali, hanno caratteristiche somatiche giapponesi. Al proposito un bell’esempio è fornito sia dalle incisioni in legno colorato che ritraggono gli Olandesi che si trastullano in case da tè o di tolleranza, sia dalle cosiddette “stampe di Yokohama”, successive all’apertura al resto del mondo, in cui compaiono anche marinai russi ed americani, sempre con i caratteristici tratti giapponesi: “diversità” sí, ma senza esagerare.
Due stampe di Yokohama (1859-1862)
Bibliografia essenziale Friedman, John Block The Monstrous Races in Medieval Art and Thought, Harvard, 1981. Kasi, Meana “Sexuality in Art”, in Verge : 2000. Landsberger, Franz Rembrandt: the Jews and the Bible, Philadelphia, 1946 (trad. inglese). Messina, Franco Maria Sei Studi nederlandesi, Roma, 1980. Messina, Franco Maria (a cura di) Erté – Fascino e seduzione déco, Cinisello Balsamo, 2001 (catalogo). Nadler, Steven Rembrandt’s Jews, Chicago, 2003.
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