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TECNOLOGIA
L’apertura di diaframma condiziona la qualità di una fotografia, sia come nitidezza sia come profondità di campo nitido. Vediamo come ricercarne il valore ottimale
Il diaframma ottimale i scatta, poi si osserva con occhio critico la fotografia e ci si chiede: sarebbe stato possibile ottenere un risultato tecnicamente migliore? L’esperto di turno dice subito che, se avessimo chiuso maggiormente il diaframma, la nitidezza sarebbe stata tutta un’altra cosa. Normalmente, è proprio così e viene dunque spontaneo chiedersi in quale misura l’apertura influisca sul risultato. Non basta: osserviamo, per di più, che l’avvento del digitale sorprende perché ci fa constatare che, molto spesso, la profondità di campo nitido appare normalmente molto più estesa. C’è dell’altro: se osserviamo attentamente molte fotocamere digitali notiamo che la loro scala diaframmi presenta pochi valori, spesso non si spinge oltre f/11. Anche questo fatto aumenta le perplessità: ha dunque ragione chi dice che ciò che conta è scattare sempre con quel “diaframma ottimale” che, si sussurra, deve equivalere a f/9.5? È il momento di provare ad avanzare qualche considerazione sul tema. La nitidezza in profondità. Affrontiamo il tema partendo da lontano. Diciamo che l’occhio umano sa valutare bene la nitidezza di una fotografia, sa analizzarla in modo molto critico. Pretende di distinguere bene anche piccoli dettagli. Quanto piccoli? Diciamo che ogni immagine è costituita da un insieme di
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di Maurizio Capobussi punti che “descrivono” minuscoli particolari. A bene guardare, però, questi dettagli appaiono nitidi quando sono disegnati da punti che siano davvero tali. La cosa si fa difficile: si sa bene che il concetto stesso di punto è una idealizzazione teorica. Per essere più precisi dovremmo dire che ogni punto è, in realtà, un microscopico e piccolissimo cerchietto che noi interpretiamo come punto. Ne deriva quindi, automaticamente, una domanda: quale misura deve avere il diametro di uno di questi cerchietti, per potere essere ritenuto “un punto” dall’occhio umano? Gli studiosi hanno analizzato attentamente i meccanismi della visione. Sono arrivati alla conclusione che l’occhio è in grado di distinguere al massimo 6 coppie di linee per millimetro. È un livello di nitidezza in corrispondenza al quale l’occhio riesce a separare distintamente piccoli elementi, affiancati, che si presentino con un contrasto abbastanza vivace. Si tratta di conteggi interessanti. Tra l’altro, nella fotografia digitale, sono proprio questi i parametri posti alla base di una decisione chiave: quella che porta ad assumere come risoluzione indispensabile, per realizzare stampe di qualità e lavori editoriali, il valore
di 300dpi (dot per inch, punti per pollice). Torniamo al cuore del nostro problema ed esaminiamo alcuni aspetti funzionali, che permettono di descriverlo in modo pratico. In breve: constatiamo che per potere spiegare quanto i cerchietti debbano essere piccoli per potere essere considerati come punti è necessario introdurre un altro elemento. È quello che è stato battezzato circolo di confusione. Lo definiamo come il cerchietto che, sul piano di messa a fuoco, il nostro occhio accetta come “punto”. Lasciamo agli ottici di professione gli aspetti di analisi matematica di questo problema. Qui, ci limitiamo a considerazioni pratiche. Diciamo quindi che, per comprendere che cosa succede quando si fotografa con diverse aperture di diaframma, soprattutto per capire come varia la profondità di campo nitido, si deve valutare il diametro del cono di luce che l’obiettivo proietta verso il sensore. A questo scopo analizziamo due casi. Uno, l’obiettivo viene adoperato con il diaframma tutto aperto. La messa a fuoco viene eseguita con precisione, sul sensore. L’immagine proiettata su di esso appare perfettamente nitida. Dunque, un punto appare come punto. Attenzione, però: il cono di luce proiettato sul sensore è molto aperto, ha un angolo molto pronunciato. Ciò significa che quello che
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A sinistra: per variare la profondità di campo nitido si agisce sull’apertura del diaframma dell’obiettivo. Con il diaframma molto chiuso, si ottiene una nitidezza molto estesa, che può andare anche dal primo piano all’infinito, come in questa ripresa del gruppo dolomitico del Latemar.
appare come un “punto”, sul sensore, risulta essere un cerchio di diametro abbastanza ampio sui piani, paralleli, che immaginiamo intersecare il fascio di luce prima e dopo il sensore. Insomma: succede che i punti “fuori fuoco” mostrano circoli di confusione che non possono essere paragonati a punti. È chiaro che questi punti disegnano un’immagine che appare sfocata. Due, l’obiettivo viene adoperato con un diaframma molto chiuso. La messa a fuoco viene eseguita con precisione, sul sensore. L’immagine proiettata su di esso appare perfettamente nitida. Dunque, un punto appare come punto. Attenzione: se il valore di diaframma è decisamente chiuso, il cono di luce proiettato sul sensore in questo caso è molto stretto. Ne deriva una conseguenza interessante: il diametro dei cerchietti che la luce disegna, sui piani fuori fuoco prima e dopo il sensore, è molto contenuto. È così stretto da riuscire a risultare più piccolo del diametro del circolo di confusione che caratterizza quel determinato obiettivo. Ne deriva anche un’altra conseguenza: i particolari della scena inquadrata che sono collocati davanti e dietro il soggetto principale risultano, comunque, descritti con precisione. L’occhio li percepisce come nitidi. La profondità di campo appare essere di conseguenza molto estesa. Entrambe le opzioni fotografiche sono valide e utili. Di solito succede che un fotografo paesaggista desidera che tutta la scena risulti nitida, dal primo piano all’infinito. Al contrario, può accadere che un fotografo ritrattista desideri sfocare gli elementi distraenti, quelli dietro al soggetto inquadrato. Di conseguenza: il primo preferirà usare diaframmi chiusi, il secondo diaframmi aperti. La situazione fino a qui considerata è tra l’altro di interesse generale, perché vale sia per la fotografia su pellicola sia per la fotografia digitale. È normalmente riassunta dalla semplice regola che dice che quando si chiude il diaframma si aumenta la profondità di campo nitido, quando invece lo si apre la si diminuisce. Profondità di campo e lunghezza focale. Abbiamo detto che l’apertura di diaframma condiziona l’estensione della profondità di campo nitido, ed è vero. Tuttavia, occorre fare attenzione: un parametro che la condiziona è anche l’ingrandimento con il quale si effettua la ripresa. Ciò equivale a dire che, nel gioco, influisce anche la focale dell’obiettivo usato. Le immediate conseguenze sono due. Primo, scattare con obiettivi grandangolari, cioè con focali corte, significa potere disporre di una profondità di campo nitido più este-
Con un diaframma molto chiuso il cono di luce proiettato sul sensore è molto stretto e la profondità di campo si estende dal primissimo piano all’infinito.
Con un diaframma molto aperto, la profondità di campo nitido è di limitata estensione. Risulta a fuoco soltanto l’elicottero, un aeromodello stagliato sulle montagne.
Il valore di diaframma non regola soltanto la quantità di luce che entra nella fotocamera. Cioè non regola soltanto l’esposizione. Decide anche il diametro del cono di luce proiettato verso la pellicola o verso il sensore. Se il diaframma è molto chiuso, sui piani fuori fuoco il diametro del cono di luce risulta più piccolo del circolo di confusione. Ne deriva che la profondità di campo disponibile appare estesa. Se il diaframma è molto aperto, il diametro del cono di luce origina invece un cerchio di grande diametro, sicuramente non paragonabile ad un punto ideale. La nitidezza allora non appare estesa in profondità. FOTOGRAFIA REFLEX MAGGIO 2009
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Lo scatto di riferimento: un’anforetta greca del periodo Geometrico.
Le decorazioni sull’anforetta, in uno scatto con ottica 100mm macro a f/2.8. La nitidezza in profondità è davvero ridotta. A destra, le decorazioni sull’anforetta, in uno scatto con ottica 100mm macro a f/32. La nitidezza in profondità è al massimo.
sa. È una regola generale, valida sia per la fotografia analogica sia per quella digitale; Secondo, scattare con focali “corte”, in questo caso intendendo lunghezze focali di pochi millimetri come quelle che compaiono soprattutto sulle fotocamere digitali compatte e che sono la conseguenza del dovere adeguare l’obiettivo alle minuscole dimensioni di un piccolo sensore, porta ad un considerevole aumento della profondità di campo apparente. Questa seconda condizione, che suscita la curiosità e l’interesse dei fotografi, merita di essere analizzata in dettaglio. È ciò che facciamo, qui di seguito. Nel mondo digitale. Non c’è dubbio che
anche nel mondo digitale valgono le consuete regole dell’ottica, quelle stesse che valgono nel mondo della pellicola. Per un fotografo che disponga di una reflex digitale con sensore full-frame, cioè 24x36mm, è infatti facile constatare che nulla cambia, anche rispetto alla profondità di campo nitido ottenibile ai diversi diaframmi, rispetto a quanto era solito ottenere scattando fotogrammi 24x36mm tradizionali, su pellicola. Attenzione, però. Le cose cambiano, considerevolmente, quando si adoperano fotocamere reflex digitali con sensore ad esempio in formato APS o, ancora di più, fotocamere digitali compatte che sono caratterizzate da sen-
sori molto più piccoli. Ciò che conta, precisiamo, non è il numero di pixel di un sensore ma la sua superficie utile. Il ragionamento chiave che è necessario fare è molto semplice: se un sensore digitale ha una dimensione inferiore a quella di un fotogramma 24x36mm (che assumiamo come riferimento), ne deriva che, per mantenere invariato l’angolo di campo che l’obiettivo riprende, la focale dell’ottica deve essere più corta, in valore assoluto. A questo punto, considerato che le formule di calcolo rimangono invariate, succede che a parità di valore diframma l’obiettivo di focale più corta offre una maggiore profondità di campo nitido.
LA SCALA DELLA PROFONDITÀ DI CAMPO Quanto è estesa la nitidezza in profondità? Come è possibile control- presente sulla scala distanze, quello che indica la distanza della meslare la sua estensione? sa a fuoco effettuata; Valutare la profondità di campo che corrisponde ai diversi valori di 5 – In corrispondenza delle due cifre del valore di diaframma si legdiaframma è facile: basta consultare le tabelle fornite dai fabbricanti, gono, sulla scala distanze che le fronteggia, due valori di distanza. spesso pubblicate sul foglietto di istruzioni degli obiettivi. Un’alterna- Indicano il punto in cui inizia e il punto in cui finisce la zona che, fotiva è poi imparare ad adoperare la scala di profondità di campo, pre- tograficamente, possiamo considerare sufficientemente nitida. sente su ottiche professionali (purtroppo oggi è raramente riportata Esprimono cioè la profondità di campo disponibile. su obiettivi economici; è anche volutaRiteniamo opportuno sottolineare una mente eliminata sulle ottiche per fotocaparticolarità che, nella pratica fotografimere digitali compatte, in conseguenza ca sul campo, ci sembra che sia abbadel fatto che queste offrono sempre una stanza importante: la scala della profonnitidezza molto estesa generata dalla dità di campo incisa sugli obiettivi è di presenza di sensori di piccole dimensiosolito calcolata basandosi su di un circoni. Ecco come adoperare la scala della lo di confusione abbastanza “generoprofondità di campo nitido. so”. Dunque indica un’estensione della 1 – Si esegue come di consueto la mesprofondità di campo piuttosto ottimistisa a fuoco di precisione sul soggetto ca, spesso più ampia di quella ottenuta principale (manualmente o con autofotramite calcoli. Il fotografo particolarcus); mente esigente in questo caso può, per 2 – Si decide il valore di diaframma da Su di un obiettivo supergrandangolare da 14mm si ve- cautelarsi nell’ottenere una nitidezza adoperare: chiuso per avere una estesa de la finestrella che copre la scala della profondità di molto estesa, chiudere ulteriormente il profondità di campo nitido, aperto per campo nitido. Il puntino rosso è il riferimento per la diaframma di un valore. messa a fuoco infrarossa. ridurla. In questo caso la messa a fuoco è re3 - Per ottenere una corretta esposizione golata sulla distanza di 0.5m. Leggiasi regola, in funzione del diaframma mo la scala della scala della profondità scelto, la durata del tempo di esposiziodi campo ipotizzando di adoperare ad ne; esempio il diaframma f/16. L’area niti4 – Si osserva sull’obiettivo la scala delda in questo caso si estende dalla posila profondità di campo. Il valore di diazione A fino alla posizione B, cioè rispettivamente da poco meno di 0.3m framma che è stato scelto compare in fino all’infinito. È notevolmente estedue posizioni. Viene infatti riportato sia sa, anche grazie al fatto che l’obiettivo prima sia dopo il riferimento centrale è un grandangolare.
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Cerchiamo di scoprire perché tutto questo accade. La regola base. Non vogliamo annoiare il lettore con elucubrazioni matematiche. Però, alcune semplici considerazioni meritano la nostra attenzione. La prima è che il valore di diaframma è sempre un valore relativo ed è frutto di un semplice calcolo. In pratica, risulta da questo conteggio: si prende la focale dell’obiettivo e la si divide per il diametro del foro che corrisponde al diaframma che si sta usando. A questo proposito facciamo un esempio. La focale di un obiettivo “normale”, per un sensore o un fotogramma di pellicola che misura 24x36mm, equivale a circa 43mm. Immaginiamo a questo punto di volere disporre di un valore di diaframma pari a f/2. Lo otterremo se il diametro del foro che verrà attuato dalle lamelle poste nell’obiettivo sarà pari a 21.5mm. Infatti, 43 diviso 21.5 dà come risultato appunto il valore 2. Ora, spostiamo il ragionamento nel mondo della fotografia digitale. Supponiamo di adoperare, su di una piccola fotocamera compatta, un sensore da 1/8”. È decisamente più piccolo di un sensore 24x36mm, perché misura 7.17x5.31mm. In questo caso succede allora che la sua diagonale risulta essere pari a 8.92mm. Questo obiettivo “da 1/8 di pollice”, per fornire sempre lo stesso angolo di ripresa che caratterizza un obiettivo “normale”, deve dunque avere una focale pari a circa 13.8mm. È una misura considerevolmente più corta, rispetto a quella del caso precedente. In questa nuova situazione succede, allora, che il diametro effettivo del diaframma necessario per fornire un valore f/2 deve essere molto più piccolo. Per la precisione, facendo un semplice conto, deve essere pari a 4.46mm. Infatti: 8.92 diviso 4.46 uguale a 2. Una interessante conclusione. A parità di valore di diaframma, che come abbiamo visto in entrambi i casi equivale ad f/2, il diametro effettivo del foro del diaframma che viene utilizzato quando si scatta con il piccolo sensore digitale è allora considerevolmente minore rispetto a quello adoperato per il sensore, o per la pellicola, che sia di formato 24x36mm. Ne derivano tre importanti conclusioni. La prima: in entrambi i casi l’esposizione fotografica, a parità di sensibilità Iso impostata sulla fotocamera ed anche a parità di tempo di esposizione, non varia. La seconda: il diametro reale del foro del diaframma è diventato, nel secondo caso, decisamente più piccolo. La conseguenza è rilevante: risulta molto più stretto il cono di luce proiettato verso il sensore. Sono dunque molto più piccoli, sui piani fuori fuoco posti davanti e dietro il sensore, i diametri del cono che attraversa quelle aree che normalmente appaiono “sfocate”. Ecco il punto chiave: in questo caso succede, di conseguenza, che esse NON appaiono sfocate. I diametri del cono sono infatti più
Lo schema mostra visivamente le differenze dimensionali tra alcuni sensori digitali adottati su fotocamere compatte e reflex, fino alla versione per medio-formato.
Due sensori Sony a confronto, entrambi destinati a fotocamere digitali compatte.
Uno scatto con una fotocamera digitale compatta, a distanza ravvicinata e diaframma 8. La profondità di campo nitido equivale a quella ottenibile con una reflex con sensore 24x36mm con diaframma chiuso a f/45.
piccoli del circolo di confusione ritenuto accettabile dal fotografo. Il risultato spiega dunque ciò che accade. O meglio ciò che i fotografi constatano, spesso meravigliandosi: l’apparente profondità di campo nitido risulta essere decisamente molto, molto più estesa! Una terza conclusione è legata ad aspetti squisitamente di ottica. Riguarda un possibile inconveniente. È infatti vero che diametri di diaframma molto stretti portano ad una maggiore profondità di campo. Ma è anche vero che presentano uno specifico inconveniente. È quello che espongono la ripresa al rischio di una perdita di qualità per colpa dell’effetto di diffrazione. Si tratta di un difetto ottico che non deve essere sottovalutato e che è capace di rovinare in modo molto visibile la qualità dell’immagine fornita dagli obiettivi. Scala diaframmi ridotta. Quando si parla di diffrazione ci si riferisce al fatto che la luce, quando transita attraverso un’apertura molto piccola e dal bordo molto sottile, viene
deviata e genera un’immagine imperfetta, che al fotografo appare meno nitida. È per questo motivo che molti obiettivi superluminosi destinati a fotocamere con sensore 24x36mm, che ad esempio vantano una massima apertura pari a f/1.4, non si spingono a superare una chiusura di diaframma pari a f/16. È sempre per questo motivo che ottimi obiettivi per macrofotografia giungono fino a chiusure di diaframma pari a f/22 e qualche volta anche f/32, ritenute utili per disporre di una profondità di campo nitido particolarmente estesa, ma non vanno oltre per non perdere eccessivamente qualità d’immagine. Infine, è ancora per questo motivo che quasi tutte le fotocamere digitali compatte, o comunque le fotocamere con sensori di piccole dimensioni, normalmente montano obiettivi che non “chiudono” oltre f/11. Dopo avere fatto questa considerazione, tuttavia, riteniamo opportuno indicarne un’altra, che normalmente non viene segnalata FOTOGRAFIA REFLEX MAGGIO 2009
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SCEGLIERE DIAFRAMMI MEDI La possibilità di verificare la resa del proprio obiettivo, ai diversi tratta di un’ottica a correziodiaframmi, è alla portata di tutti: con la fotocamera su treppiede si ne apocromatica di alta classcattano almeno tre fotografie al medesimo soggetto, la prima con se, spesso ottimizzata per il diaframma tutto aperto, la seconda con un diaframma intermedio, operare su valori di diaframla terza alla massima chiusura. Per comodità di lavoro si può foto- ma un poco più aperti (ad es. grafare, molto semplicemente, un oggetto anche posto su di un ta- f/5.6 o f/8). volo, a distanza abbastanza ravvicinata. La messa a fuoco, nei tre A titolo di conferma, pubbliscatti, non deve essere modificata. Si confrontano poi i risultati e si chiamo alcuni scatti ottenuti nota subito che la profondità di campo nitido varia sensibilmente. fotografando una classica miAumenta molto, rispettando le regole dell’ottica, in corrispondenza ra test con due obiettivi molto del diaframma più chiuso. Attenzione però: ciò che più ci interessa differenti tra loro per imponon è la valutazione della profondità di campo ma una verifica del- stazione generale e nello stesla qualità del risultato in termini di nitidezza. so tempo molto recenti sotto Controllarla è facile, sopratil profilo della progettazione tutto quando si scatta con ottica. Sono un Canon EF L’assetto adottato per il test, con la una fotocamera digitale, 100mm f/2.8 Macro USM ed classica mira ottica. perché basta aprire le tre foun Canon EF 14mm f/2.8L IItografie con un ingrandiUSM, entrambi particolarmente adatti a fornire eccellenti risultati in mento del 100% sullo scherriprese con fotocamere digitali, anche su sensori di formato mo del computer ed osserva24x36mm (Canon EOS 5D). re attentamente un dettaglio fine. Si scoprirà facilmente che un obiettivo di buona qualità saprà fornire un eccellente risultato anche alla massima apertura; poi, che fornirà un risultato ragionevolmente buono alla massima chiusura (ma con una perdita di nitidezza dovuta alla diffrazione!); infine, che fornirà il risultato migliore in corrispondenza di un diaframma intermedio. La conclusione che si potrà Il Canon EF 100mm f/2.8 Macro USM, un obiettivo per macrofotografia dotato di diaframma in grado di chiutrarre sarà naturalmente dere fino a f/32. La resa ottica ai diversi diaframmi conferma perfettamente la teoria: a f/11 si ha il risultato che, a meno che altre esi- migliore; a f/2.8 l’obiettivo si comporta bene ma la delineazione cala sensibilmente; a f/32 la qualità è elevagenze fotografiche non ob- ta ma, per colpa della diffrazione, è sensibilmente inferiore rispetto a quella fornita dal diaframma medio. blighino a scegliere valori di diaframma molto aperti o molto chiusi, sarà sempre preferibile scegliere diaframmi medi. Considerando l’ampiezza della scala dei diaframmi delle ottiche di oggi, il consiglio dei fotografi navigati è quasi un ritornello: “il diaframma migliore è pari a f/9.5”. Si tratta di un’affermazione, un po’ azzardata, che deriva dal luogo comune che dice che i valori che di Il Canon EF 14mm f/2.8L II-USM, un supergrandangolare con angolo di campo di 114°, lenti asferiche e vetri a solito forniscono i migliori bassa dispersione, espressamente progettato per la fotografia digitale. La resa ottica del 14mm consente di risultati sono f/8 oppure trarre conclusioni interessanti. A f/2.8 la qualità appare ridotta e compare anche un poco di aberrazione crof/11. In essa c’è comunque matica; a f/11 la qualità è, al solito, soddisfacente (anche se inferiore rispetto a quella del 100mm macro); a f/22, sorprendentemente, la qualità si mantiene ad un livello elevato, pari e anche superiore alla resa che si del vero, anche se per amore riscontra ad f/11. È un risultato pratico interessante, conseguenza anche della progettazione supergrandandella verità si dovrebbe te- golare dell’obiettivo. Notiamo che la luminosità massima, su di un grandangolare di questo tipo, è utile sonere conto di volta in volta prattutto per facilitare all’autofocus una messa a fuoco di precisione; la resa qualitativa elevata a diaframma delle caratteristiche di pro- f/22 è invece molto utile anche perché quest’ottica ha una scala distanze che scende fino a 20cm dal soggetgettazione di ogni obiettivo, to e dunque la possibilità di chiudere molto il diaframma diviene importante per potere disporre anche in ad esempio valutando se si questa condizione di una profondità di campo nitido molto estesa.
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quando si parla di pratica, sul campo, con la fotografia digitale. È la seguente. Se si tiene conto della dimensione del sensore, della dimensione del circolo di confusione, della dimensione effettiva del foro del diaframma che consente il passaggio della luce nell’obiettivo, si arriva alla una conclusione che, adoperando un sensore digitale da 1/3”, del tipo montato su molte fotocamere digitali molto compatte, a parità di profondità di campo disponibile accade che sulla macchina compatta è necessario diaframmare molto meno rispetto a quanto non si debba fare su di una reflex con sensore formato 24x36mm. Supponiamo che entrambe le fotocamere siano dotate di obiettivi che possano essere ritenuti, nei due casi, di focale “normale”. In particolare, la corrispondenza delle due scale di diaframma è quella qui di seguito indicata: Diaframmi sulla reflex 24x36mm:
f/11 f/16 f/22 f/32 f/45 f/64 Diaframmi equivalenti su compatta:
f/2 f/2.8 f/4 f/5.6 f/8 f/11 Sul piano pratico, possiamo ragionare subito sulle posizioni estreme. In particolare notiamo che l’apertura di diaframma pari a f/2, sulla fotocamera compatta, consente ad una profondità di campo nitido pari a quella ottenuta con il diaframma f/11 sulla macchina reflex. È già molto estesa. All’estremità opposta della scala poi, notiamo che il valore f/11 di una compatta equivale addirittura ad un valore f/64 su di una reflex. È una prestazione straordinaria, che fa addirittura raccomandare e magari preferire la compatta per alcune riprese specialistiche, ad esempio per quelle in campo macrofotografico dove… la profondità di campo nitido particolarmente estesa è sempre benvenuta. A questo punto, si impongono però due osservazioni. In primo luogo, abbiamo già detto che le equivalenze tra le due scale dei diaframmi sono riferite esclusivamente all’estensione della profondità di campo nitido. Non si deve mai dimenticare questa specifica particolarità. Infatti, esaminando la cosa da un altro punto di vista, occorre poi specificare che invece dal punto di vista dei valori assoluti di diaframma, l’apertura pari a f/64 richiederà un tempo di esposizione molto più lungo (di ben 5 stop) rispetto a quello necessario per scattare ad f/11. La fotocamera compatta sarà dunque avvantaggiata anche in questo campo, sulla reflex (beninteso, sempre a parità di sensibilità Iso impostata), In secondo luogo, la profondità di campo apparirà normalmente molto estesa, operando con una fotocamera digitale compatta, anche quando si scatterà con l’apertura di diaframma pari a f/2. Il fotografo, sul campo, si troverà dunque a potere riprendere con tempi di esposizione abbastanza brevi, consentiti appunto dalla grande apertura di diaframma,
DIAFRAMMA E ABERRAZIONI Variare il valore di diaframma modifica la profondità di campo nitido. Ma influisce anche sulla qualità dell’immagine? Questa migliora davvero se si chiude il diaframma? La risposta è: sì, ma non sempre. Ecco allora come variano alcune aberrazioni ottiche. ABERRAZIONE SFERICA. Diaframma chiuso = miglioramento. La curvatura sferica di una lente fa sì che i raggi che la attraversano in periferia vanno a fuoco su di un piano differente rispetto a quelli che passano dal centro. Qui si vede il Chiudere il diaframma limita il diametro di lavoro e la resa dunque migliora. È diaframma montato in una per questo motivo che i progettisti hanno anche percorso, con successo, la strafotocamera da delle lenti a superficie asferica. digitale Sony. ABERRAZIONE DI COMA. Diaframma chiuso = miglioramento. Variare I raggi obliqui, ai bordi dell’immagine, disegnano un punto allungato che seml’apertura di bra una “cometa” o una farfallina. È l’aberrazione di coma, spesso presente su diaframma ottiche superluminose ed evidente alla massima apertura. Chiudere il diaframmodifica anche ma neutralizza il difetto. È anche vantaggioso disporre di lenti asferiche. la resa ABERRAZIONE DI ASTIGMATISMO. Diaframma chiuso = non influisce. qualitativa dell’immagine. Punti di immagine lontani dall’asse ottico vengono proiettati come segmenti tra Meccanicament loro differentemente orientati e leggermente fuori fuoco. La correzione dell’ae, è importante stigmatismo è affidata solo al progettista dell’obiettivo. Chiudere il diaframma che il foro del non ha un effetto particolarmente significativo sull’immagine finale. diaframma CURVATURA DI CAMPO. Diaframma chiuso = influisce parzialmente. appaia quanto È un difetto legato alla progettazione dello schema ottico. Obiettivi per mapiù possibile crofotografia ne sono normalmente esenti. Obiettivi superluminosi ne sono incircolare. La vece spesso affetti. Chiudere il diaframma migliora leggermente la situazione perfetta perché aumenta la profondità di fuoco sul piano del sensore: non neutralizza l’acircolarità berrazione ma la fa risaltare di meno. permette di mantenere un ABERRAZIONE DI DISTORSIONE. Diaframma chiuso = non influisce. elevato È un’aberrazione spesso presente su grandangolari o focali corte: le linee rette, contrasto anche soprattutto ai bordi dell’immagine, appaiono curvate all’infuori (distorsione a botnei particolari te) o in dentro (distorsione a cuscino). Chiudere il diaframma non influisce sul profuori fuoco. blema. La correzione deve essere eseguita in sede di progettazione dell’ottica. Determina quella che viene ABERRAZIONI CROMATICHE. Diaframma chiuso = non influisce. La regola è semplice: lunghezze d’onda diversa, cioè colori differenti, vengono definita come deviate diversamente da una lente. Ne deriva che vanno a fuoco su piani differesa nello sfocato. renti, a scapito della nitidezza. Chiudere il diaframma non migliora la situazione. I rimedi sono in una progettazione molto elaborata, con uso di vetri speciali, oppure nell’uso di software di correzione cromatica, oggi diffusi su alcune fotocamere digitali. FLARE E RIFLESSI. Diaframma chiuso = influisce parzialmente. Le ottiche più recenti, destinate alla fotografia digitale, dispongono di trattamenti antiriflesso sofisticati anche sulla faccia posteriore delle lenti, molto utili per ridurre l’influenza di riflessi parassiti indesiderati. Chiudere il diaframma può comunque essere sempre utile per migliorare la situazione e limitare questi inconvenienti. VIGNETTATURA GEOMETRICA. Diaframma chiuso = miglioramento. Accade spesso che ai bordi del sensore giunga meno luce, per colpa di una vignettatura geometrica e cioè perché l’obiettivo proietta meno luce ai margini dell’inquadratura. Chiudendo il diaframma l’effetto si riduce, almeno parzialmente. VIGNETTATURA MECCANICA. Diaframma chiuso = peggiora. Con il termine di vignettatura meccanica si intende un effetto di oscuramento ai bordi del fotogramma provocato dalla montatura di un filtro ottici che sia troppo sporgente, oppure da un paraluce inadatto. Adoperando diaframmi molto stretti l’effetto viene di solito esaltato.
senza rinunciare ad avere la scena “tutta nitida”. Oppure, accettando di operare con tempi di esposizione più lunghi, potrà riprendere con maggiore facilità in condizione di luce anche molto scarsa. La cosa, come si vede, si è fatta davvero interessante. Se a questa situazione aggiungerà la comodità di un dispositivo di stabilizzazione automatica delle vibrazioni, oggi ampiamente presente in molte fotocamere digitali
compatte, ecco che finalmente si spiegherà perché l’avvento delle moderne compatte ha fatto fare un concreto passo in avanti alla fotografia eseguita al tramonto ed al crepuscolo, ed anche alla fotografia in interni, in tutti questi casi senza ricorrere al flash. È una fotografia che porta facilmente a risultati affascinanti e che risulta essere davvero un punto di forza per una parte, davvero notevole, della più l generale fotografia digitale. FOTOGRAFIA REFLEX MAGGIO 2009
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