IL CONCETTO DI MINI-INVASIVITA’ APPLICATO ALL’ODONTOIATRIA CONSERVATIVA: DALLA PREVENZIONE ALLE SIGILLATURE AIC - Accademia Italiana di Conservativa
Autore: Simona Giani
Indice: 1. Introduzione 2. Patologia cariosa: definizione, indice di carie e profilassi 3. Motivazione del paziente 4. Igiene orale e alimentazione 5. Fluoroprofilassi 6. Rivelatori di placca, test salivari 7. Sigillatura dei solchi 8. Sigillature dei solchi tardive, Preventiv Resin Restoration 9. Fallimenti delle sigillature 10. Conclusioni 11. Bibliografia
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1. Introduzione L’odontoiatria è una delle branche mediche che, negli ultimi decenni, è riuscita a contrastare in modo significativo le patologie di propria competenza (patologia a carico dei tessuti mineralizzati del dente e dei tessuti parodontali). I pazienti oggi hanno in generale bocche più ‘sane’ e la condizione di edentulia parziale o totale è sempre meno frequente (Stromengher, 2006; Campus 2007). Ripercorrendo la storia dell’Accademia Italiana di conservativa si ritrovano frequentemente riferimenti ad una metafora del dottor Samuele Valerio nella quale la vita degli elementi dentari è paragonata ad una scala. I gradini più bassi sono rappresentati dalla profilassi e dai restauri preventivi mentre quelli più alti sono identificati da trattamenti più invasivi fino ad arrivare all’estrazione del dente. Il messaggio di questa metafora è chiaro: i gradini e quindi le scelte terapeutiche sono molte ed ogni volta che dobbiamo pianificare delle cure si “deve” cercare di risolvere il problema dal punto di vista funzionale ed estetico con il trattamento meno invasivo possibile, per consentire il maggior risparmio di tessuto dentale. Questo atteggiamento fa si che venga aumentata la longevità non solo dei denti stessi ma anche di tutto l’apparato stomatognatico. L’Università di Ginevra definisce l’Odontoiatria Conservativa, come “la combinazione tra le procedure cliniche per la conservazione degli elementi dentali naturali ed il mantenimento della loro funzione al fine di preservare sia la salute orale che quella generale”. La diagnosi viene definita come il “processo che porta all’identificazione di una malattia sulla base dell’anamnesi del paziente, dell’analisi dei segni e dei sintomi e, infine, dei risultati degli esami di laboratorio”. Questo articolo si propone di considerare le strategie psicologiche e le tecniche operative per consentire una diagnosi di carie precoce. Verranno inoltre considerati procedure e materiale per l’esecuzione di restauri preventivi ed intercettivi. 2
2. Patologia cariosa: definizione, indice di carie e profilassi L’ Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S) definisce la lesione cariosa come un processo patologico esterno, localizzato, che insorge dopo l’eruzione del dente provocando un rammollimento dei tessuti duri fino a formare una cavità vera e propria. L’International Clinical Workshop on Carious Clinical Trayals (ICW-CCT) del 2004 ha modificato questa definizione introducendo le seguenti precisazioni: 1. la carie è un processo patologico provocato da uno squilibrio, in favore della demineralizzazione, del normale ciclo di demineralizzazione - remineralizzazione presente del cavo orale a livello delle superfici dentali; 2. si tratta di un processo patologico che può manifestarsi con quadri variabili tra minime alterazioni dello smalto ed un’ampia distruzione del dente con cavitazione; 3. questo processo può regredire od interrompersi, portando alla completa guarigione del tessuto dentale demineralizzato o alla preservazione di tessuto dentale minimamente danneggiato. In generale la patologia cariosa è una malattia infettiva ad eziopatogenesi multifattoriale, i cui fattori causali sono: la flora batterica, la ricettività dell’ospite e la dieta. Inoltre, fattori iatrogeni come ad esempio i difetti marginali dovuti alla presenza di restauri incongrui devono essere attentamente valutati in quanto possono favorire accumuli di placca e conseguenti recidive cariose. Per quanto affermato finora risulta evidente l’importanza del ruolo degli operatori del team odontoiatrico nel motivare il paziente al controllo della dieta e dell’alimentazione (tempi e modalità) e nel fornire un’adeguata istruzione all’igiene orale domiciliare. Altrettanto importante risulta il ruolo della profilassi estesa a tutti i livelli:
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primaria (prevenzione della patologia), secondaria (trattamento intercettivo) e terziaria (terapia conservativa in senso esteso). In questo articolo prenderemo in considerazione la profilassi primaria. Affronteremo in particolare le tematiche relative ai seguenti aspetti: - motivazione del paziente - igiene orale e alimentazione; - fluoroprofilassi; - diagnosi di rischio carie (rivelatori di placca e test salivare); - sigillatura dei solchi.
3. Motivazione del paziente In generale negli ultimi anni tutto il mondo odontoiatrico sottolinea l’importanza della prevenzione e dell’Odontoiatria Minimamente Invasiva ed è proprio grazie ad esse ed all’informazione corretta e continuativa fornita ai pazienti che si sono potuti raggiungere grandi risultati. L’Accademia Italiana di Conservativa da sempre promuove la filosofia minimamente invasiva. Applicare le tecniche minimamente invasive non significa solamente individuare lesioni di piccole dimensioni e trattarle con strumenti miniaturizzati e tecniche sofisticate, ma è la diretta conseguenza di un ‘atteggiamento’ da parte dell’odontoiatra volto a raggiungere l’obiettivo del maggior risparmio biologico possibile (principio di massima conservazione del tessuto dentale sano). La possibilità di applicare tecniche minimamente invasive sui nostri pazienti dipende da un’azione sinergica di tutto lo staff odontoiatrico, a partire dal personale di segreteria e di poltrona, attraverso la figura dell’igienista per arrivare al medico. L’idea è quella di poter condizionare la storia odontoiatrica di un paziente quanto prima possibile. Un esempio calzante a questo proposito è fornito dal coinvolgimento precoce dei genitori fin dalla fase di gestazione del bambino (Fig. 1) al fine di creare
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i presupposti affinché il nascituro sia da subito inserito in un ambiente favorevole alla prevenzione.
Fig 1. La motivazione del paziente inizia ancora prima della nascita con l’‘informazione fornita ai futuri genitori. I genitori vanno educati prima possibile con un azione sinergica da parte di tutto lo staff odontoiatrico e devono essere istruiti sulle corrette abitudini alimentari e comportamentali e sull’efficacia della profilassi primaria (immagini scaricate da Internet). I bambini hanno di fatto un approccio neutro alle cure odontoiatriche, tuttavia sono molto sensibili ai condizionamenti che possono provenire da parte dei genitori e dalle prime esperienze cui vengono sottoposti come pazienti (ad esempio vaccinazioni e cure pediatriche). Dobbiamo corredare una precisa anamnesi medica non solo al fine di raccogliere dati ed informazioni relative alla salute e alle condizioni fisiche del bambino ma anche con l’obiettivo di identificare la personalità e le inclinazioni del piccolo paziente. Queste informazioni sono utili per instaurare un dialogo diretto con il piccolo paziente e per evitare situazioni che in passato possono averlo portato a stress emotivi. Bambini non condizionati negativamente non si oppongono alla visita, sono collaborativi e più facilmente trattabili. In questi casi si deve comunque cercare di rinforzare da subito la loro collaborazione positiva (Fig.2).
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Fig. 2. Piccoli pazienti collaboranti alla loro prima visita odontoiatrica e rinforzo positivo al termine della visita. Bambini condizionati negativamente invece difficilmente ci consentiranno di portare a termine la terapia prevista. Questo instaura un circolo vizioso che porta ad un continuo aumento di stress nel piccolo paziente. Aspetti collaterali dell’insuccesso nella comunicazione con il bambino e nella gestione della seduta sono rappresentati dalla perdita di tempo ed economica per lo studio dentistico. Il primo aiuto nel gestire queste problematiche può arrivare dalla segreteria. Si deve infatti scegliere l’orario più adeguato alle abitudini del paziente al fine di raggiungere lo scopo prefisso indipendentemente dal fatto che il nostro programma preveda una visita, una seduta di igiene orale, una sigillatura o una terapia conservativa con anestesia. A questo proposito l’incaricata valuterà con i genitori l’orario più adatto al fine di ottenere la massima collaborazione. Ogni volta che incontriamo degli adulti spaventati dalle cure ma anche dalla sola visita odontoiatrica, se indaghiamo, troviamo pregresse esperienze odontoiatriche traumatiche. Nella Fig. 3 vediamo le foto di una paziente sorridente anche quando è seduta in poltrona (Fig. 3a); è tuttavia sufficiente l’ingresso in studio dell’odontoiatra perchè si spaventi (Fig. 3b). L’anamnesi remota ha evidenziato ricordi spiacevoli legati alla figura di un odontoiatra scarsamente empatico.
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In questi pazienti la paura spesso innesca un circolo vizioso pericoloso che porta a trascuratezza, assenteismo dallo studio odontoiatrico e quadri patologici ingravescenti. Tali pazienti si recano allo studio solo in urgenza confermando la loro convinzione che le sedute odontoiatriche siano dolorose e che i risultati siano poco predicibili nel tempo, non imputando la reale causa dei fallimenti alla loro mancata collaborazione. Ogni volta che curiamo questa tipologia di pazienti è difficile poter eseguire una corretta prevenzione e delle cure minimamente invasive perché manca la compliance del paziente.
Fig. 3. Una paziente dal carattere allegro, si spaventa ogni volta che l’odontoiatra entra nello studio medico. Negli ultimi anni sono stati fatti passi da gigante per informare e motivare la popolazione tuttavia è sorprendente leggere (Serwint J del 2010) su una rivista pediatrica, quanto i genitori tendano a sottostimare l’importanza delle cure a carico dei denti decidui, per altro ignorando che nella bocca dei loro bambini a partire dai 6 anni circa siano già erotti denti permanenti. E’ altrettanto sorprendente che molti pediatri sostengano questo punto di vista e trascurino l’importanza della fluoro profilassi. E’ ancora più grave che alcuni odontoiatri sostengano che i denti da latte possano non essere curati. A questo proposito dobbiamo sottolineare l’importanza di instaurare ed intensificare i rapporti interdisciplinari tra odontoiatri e pediatri al fine
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di informare in modo corretto ed univoco la popolazione (Isong IA, Zuckerman KE, Rao SR, Kuhithau KA, Winickoff JM. Pediatrics. 2010). Precoci lesioni cariose e patologie del cavo orale possono tradursi in dolore orale, cattiva alimentazione, alitosi, difficoltà di linguaggio, infezioni ricorrenti oltre a notevoli oneri economici a carico della Sanità Pubblica e della famiglia. Secondo alcuni articoli l’indice di carie negli anni tra il 2006 e il 2007 (Stromengher et al, 2006; Campus, 2007) è del 21,6% nei pazienti di 4 anni e del 43,1% nei pazienti a 12 anni. Indice che, grazie alla prevenzione, tutto il mondo odontoiatrico si augura di abbassare ulteriormente. Eseguire una documentazione fotografica di routine dei pazienti aiutata ad aumentare la loro compliance perché vedendo la situazione reale riescono a capire i meccanismi delle patologia del cavo orale e come contrastarla. Fotografare lesioni cariose anche nei piccoli pazienti ha i seguenti vantaggi: 1.
esecuzione di una manovra poco invasiva e contestualmente testare la
collaborazione del paziente; 2.
la possibilità di mostrare la foto a scopo diagnostico, di programmazione delle
cure, e del risultato ottenuto; 3.
dimostrare l’esistenza delle lesioni cariose anche nei denti decidui. Una foto è
molto più incisiva di qualsiasi discorso o dato rilevato da articoli scientifici; raccogliere e mostrare le evoluzioni delle lesioni cariose sensibilizza i pazienti al problema andando ad aumentare la compliance dei pazienti; 4.
controllare la patologia e la sua progressione.
Le Fig. 4, 5, 6 illustrano il caso clinico di un paziente arrivato alla mia osservazione su richiesta della mamma per un controllo della permuta dentaria. All’esame obiettivo si evidenzia come il bambino presenti contemporaneamente una ricostruzione inadeguata del 8.5 e una lesione cariosa del 7.5. Questa situazione dimostra un insuccesso della prevenzione imputabile ad un errore diagnostico, operativo; i genitori sembrano essere consapevoli che siano necessarie delle visite di controllo periodiche, tuttavia non sanno guardare le superfici dentarie del figlio. 8
Le radiografie periapicali mostrano l’avanzato grado di permuta dentaria; si decide di estrarre gli elementi decidui. L’esposizione delle superfici mesiali del 4.6 e 3.6 evidenzia la presenza di lesioni cariose iniziali (Fig. 5, 6).
Fig. 4. Foto intra-orale e radiografia endorale periapicale rispettivamente del 8.5 e 7.5. Mostrare le foto e le radiografie , insegnando a leggerle al paziente ed in questo caso ai suoi genitori (Fig. 4), è un mezzo immediato per li rende consapevoli di quanto sia importante fare diagnosi anche tramite indagini radiografiche e li aiuta a capire e condividere il piano di trattamento consigliato. Nelle foto delle Fig. 5 e 6 appare chiaro come le lesioni cariose della superfici distali dei quinti decidui portino ad una lesione sulla superficie mesiale dei sesti, sono l’occasione per far capire ai genitori ma anche al bambino quello che avviene nel 9
caso di lesioni che interessano gli spazi interdentali e iniziare a sottolineare l’importanza dell’uso del filo interdentale oltre alla necessità di curare anche i denti da latte. Questo caso, se ben documentato, è adatto da usare per la motivazione tramite immagini anche degli altri pazienti. Le immagini delle Fig. 4, 5, 6, 7, 8 mostrano come: - la patologia cariosa coinvolge anche gli elementi decidui; - le lesioni cariose dei decidui favoriscono la formazione di lesioni cariose nei permanenti; - le lesioni cariose devono essere trattate con ricostruzioni del tutto uguali agli adulti, quindi con le stesse fasi operative, nel rispetto dei concetti di isolamento del campo con diga, adesione, forma e funzione; - nei bambini quanto negli adulti devono essere fatte delle visite periodiche con o senza radiografie a seconda della tipologia di paziente e con l’ausilio di tutte le metodiche non invasive per l’identificazione delle lesioni cariose. In questo caso clinico è curioso osservare come la lesione cariosa del 8.5 (Fig. 5), che sembra di minore entità rispetto a quella del 7.5 (Fig. 6), abbia determinato una lesione maggiore e più profonda del 4.6 rispetto a quanto sia successo nel controlaterale.
Fig. 5. Lesione cariosa della superficie distale del 8.5 e lesione speculare sulla superficie mesiale del 4.6.
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Fig. 6. Lesione cariosa della superficie distale del 7.5 e lesione speculare sulla superficie mesiale del 3.6.
Fig 7. Le prime 3 immagini si riferiscono al 4.6 mentre le seconde tre al 3.6. Previa anestesia topica si procede all’estrazione degli elementi decidui 7.5 e 8.5. Il controllo del sanguinamento è buono, la collaborazione del paziente anche per cui si
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esegue le terapia conservativa nella stessa seduta tramite anestesia plessica e isolamento del campo con la diga di gomma. Si sceglie di posizionare contemporaneamente degli uncini 26N sul 4.6 e sul 3.6. Questa tecnica di isolamento consente di ridurre i tempi operativi ma necessità della collaborazione del paziente. Dalle immagini della Fig. 7 si apprezza come la cavità del 4.6 sia più estesa e più profonda rispetto a quella del 3.6 e come spesso le white spot siano situate nella profondità dello smalto fino ad interessare la dentina. Nella Fig. 8 possiamo osservare le lesioni cariose e le ricostruzioni a 15 gg di distanza, si noti come volutamente si è stati estremamente conservativi nel trattare la lesione del 3.6, una volta trovato smalto resistente non si è trattata white spot superficiale a livello linguale per i seguenti motivi: 1. la buon igiene orale domiciliare del paziente; 2. il controllo visivo e tattile della lesione estremamente facile; 3. l’inserimento del paziente in una terapia di fluoroprofilassi topica. Tutte questi aspetti vanno spiegati ai genitori e vanno da loro condivisi perché la loro collaborazione e quella del paziente stesso determinano il successo del piano di cure.
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Fig. 8. Lesioni cariose rispettivamente del 4.6 e 3.6 e le ricostruzioni a 15 gg di distanza.
4. Igiene orale e alimentazione L’istruzione all’igiene orale domiciliare ed i controlli in studio, come la motivazione del paziente, parte dall’insegnare al genitore ad aver cura del bambino ancora prima che spuntino i denti da late. Essa si basa su manovre volte a creare un imprinting corretto nella memoria del bambino. Di seguito analizziamo passo passo, man mano che il bambino cresce, cosa possiamo consigliare. 1. Trasferimento della placca batterica. Diversi studi svolti non recenti (Berkowitz e Jordan, 1975 e Kohler, Bratthall, 1978) hanno dimostrato come ci sia una trasferimento della flora batterica tra la persona che si occupa del neonato ed il neonato stesso. Tali trasferimenti avvengono con baci, scambio di posate o bicchieri o addirittura anche solo soffiando per raffreddare la pappa. E’ importante non solo che papà e mamma abbiano delle buone condizioni del cavo orale ma anche tutte le persone che si occupano del neonato. 2. 0 - 3 anni. All’inizio, anche se i denti non sono ancora presenti, è corretto consigliare dopo i pasti di passare una garza umida. Con questo gesto non si vuole ottenere che vengano puliti i denti ove presenti ma si vuole cercare di creare un imprinting nella memoria del bambino. Di solito dopo aver mangiato il bambino si addormenta e se si abitua a farlo con la bocca fresca, da adulto difficilmente 13
riuscirà ad andare a letto senza lavarsi i denti, viceversa avere la bocca sporca di latte prima di addormentarsi lo abitua ad avere abitudini scorrette come la necessità di bere del latte prima di addormentarsi, spesso viene somministrato con il biberon e senza poi risciacquare la bocca. (Hokala E e Frequency, 1984). 3. 3 - 6 anni. (Simin Z, et al. 2008) Dopo i 3 anni inizia il primo approccio con lo spazzolino, strumento che possono conoscere anche prima ( di solito avviene dopo l’anno) sotto forma di gioco e/o imitazione dei genitori assolutamente senza dentifricio. Dopo i 3 anni devono iniziare a spazzolare i denti senza o con pochissimo dentifricio senza fluoro per evitare che lo mangino, il tutto deve avvenire sempre sotto la sorveglianza dei genitori che comunque prima o dopo provvedono a lavare i denti personalmente. 4. Dai 6 anni in poi. (Simin Z, et al. 2008) Dopo i 6 anni il bambino di solito ha acquisito la capacità di controllare la deglutizione e possiamo iniziare ad usare una quantità maggiore di dentifricio. In base alla singola capacità manuale ed alla permuta, presenza e mancanza di diastemi, viene man mano spiegato l’uso del filo interdentale. Dal punto di vista psicologico un suggerimento per le famiglie che aiuta a gestire nel modo migliore il momento serale è quello di considerare come sia importante che il bambino percepisca l’importanza dell’azione di lavarsi i denti. Ad esempio finita la cena quando arriva il momento di metterli a letto la frase che più comunemente viene detta è “vai a lavarti e fila a letto”. In questo modo il bambino riceve un messaggio distorto perché associa l’atto di lavarsi i denti a qualcosa di spiacevole cioè il distacco dai genitori per andare da solo nella camera da letto. Un consiglio che genera una situazione positiva per tutta la famiglia è quello di suddividere le abitudini serali diversamente; appena terminata la cena tutti i componenti familiari vanno a lavare i denti per poi tornare a sistemare la cucina e/o giocare insieme ai propri figli, solo più tardi ci si preparerà per andare a letto. Questo accorgimento racchiude numerosi vantaggi: il primo è quello di tamponare quanto prima l’acidità prodotta dai batteri che si ha per circa 20 minuti dopo aver mangiato, il secondo è quello di sorvegliare monitorare e guidare nei modi e nei tempi lo 14
spazzolamento, il terzo da non sottovalutare è quello psicologico di separare due momenti con un carico emotivo molto diverso che non devono essere associati: il dovere di prendersi cura di se (lavare i denti) ed il distacco dai genitori (andare a letto). L’articolo di Simin Z, et al. 2008, sottolinea come manovre di igiene orali precoci rimangono impresse nella memoria e migliorino l’igiene orale domiciliare da adulti. L’igiene orale può essere integrata con l’ausilio di rivelatori di placca e lacche specifiche a base di clorexidina. I rivelatori di placca sono un ottimo ausilio per mantenere alta l’attenzione del paziente, colorando la placca possono fungere da stimolo e da controllo, mentre le lacche sono utili per proteggere le zone interprossimali, cervicali o intorno ai brackets al fine di ridurre l’attività dei batteri nelle zone a rischio di accumulo. Sul mercato sono disponibili rivelatori di placca in gel, pasta o compresse monotonali, bi-tonali e tri-tonali che permettono di individuare la placca colorandola. Il rivelatore di placca in gel o pasta viene applicato sulle superfici dentali con un pennellino o uno spazzolino da denti, si chiede al paziente di sciacquare la bocca con acqua per eliminare gli eccessi di pasta e si osservano e fotografano le variazioni di colore. I rivelatori più completi, i tri-tonali colorano la placca recente di rosso o rosa, quella matura (maggiore alle 48 ore) di blu o porpora e quella matura e fortemente acidogena di azzurro. Per quando riguarda l’alimentazione ci sono numerosi articoli che sottolineano come bambini che consumano pasti irregolari o che non fanno colazione sono portati a consumare più snack nel corso della giornata ed innalzano la quantità di zuccheri introdotti e di conseguenza il rischio di carie. Si deve sconsigliare l’uso di sostanze zuccherate e succhi di frutta. (Heriksen HB, Kolser SO, 2007). Nei bambini l’alitosi non è frequente ma se c’è dobbiamo insegnare al genitore a distinguerne le cause. In assenza di malattie sistemiche potrebbe essere dovuta a:
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- presenza di batteri che producono composti solforici volatili quando metabolizzano alimenti che contengono proteine (ad esempio carne, uova, latte, formaggi) ed è una condizione accentuata in caso di disidratazione; - insufficiente igiene orale domiciliare per ristagno di cibo; - lesioni cariose; - cause generali come adenoidi, sinusite, stati influenzali soprattutto se associati a rialzi febbrili o acetone ma in questo caso l’odore è simile a quello delle mele mature.
5. Fluoroprofilassi Il fluoro è uno degli elementi della tavola periodica più reattivo, è presente in natura nelle acque ed in alcuni alimenti (nel te, piante tropicali, salmone secco, sardine, merluzzo ed in piccole quantità anche nella carne, nel latte e nella frutta). Odontoiatri e medici negano il rischio di intossicazione e ribadiscono l’importanza della profilassi anti-carie. Il fluoro fa bene nella prevenzione della carie e deve essere somministrato ai bambini fin da subito, a partire dalla nascita, e anche alla madre durante la gravidanza e l’allattamento. Quanto ai pericoli di tossicità e fluorosi pediatri e farmacologi ribadiscono che si hanno rischi solo con dosaggi elevati e continui nel tempo superiori a 4-5 mg/l; rischio che in Italia è ancora più contenuto perché le acque non sono fluorate e la quantità di fluoro contenuta nella pastiglie o nei dentifricio è più bassa rispetto agli Stati Uniti. Il D.M.F.T. è un indice epidemiologico che identifica e quantifica la patologia cariosa, è un acronimo e prevede la conta degli denti (Teeth) cariati (Decayed), mancanti (Missing), otturati (Filled). (Inga B. Árnadóttir et al., 2004) Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (O.M.S.) ritiene che la fluoroprofilassi rappresenti un ottimo mezzo per prevenire e ridurre le lesioni cariose, 16
infatti l’assunzione di fluoro per via sistemica produce una riduzione del DMFT dal 49% al 40% nei denti decidui e dal 59% al 50% nei permanenti. E’ importante sapere che l’apporto quotidiano di fluoro ideale è di 0,05-0,07 pro chilo, ed anche se come è stato detto fino ad ora in Italia c’è un rischio basso di pericoli di tossicità o fluorosi, si deve andare ad indagare se il bambino assume acqua della rete idrica o del commercio (ci sono acque che contengono molto fluoro) e per lo stesso motivo che acqua viene usata per cucinare i pasti del bambino. La somministrazione del fluoro avviene per via sistemica o per via topica ed assume due azioni diverse. La somministrazione sistemica di fluoro agisce sulla struttura dello smalto ed avviene attraverso gocce o compresse, dev’essere iniziata quanto prima a partire dalla 18ma settimana di gestazione e per tutto l’allattamento proseguendo fino almeno i 6 anni del bambino, cioè durante tutta la fase di amelogenesi, con un dosaggio progressivamente più elevato come indicato dalla tabella in Fig. 9. Il fluoro assunto per via sistemica aumenta la resistenza dello smalto agli acidi, arricchendolo di Fluorapatite, ma dev’essere assunto per almeno 260 giorni all’anno. La somministrazione topica invece agisce sul metabolismo batterico (inibisce la glicolisi batterica ed agisce su enzimi e depositi intracellulari), ostacola l’abbassamento del pH e favorisce la riparazione di piccole aree demineralizzate. Nella tabella della Fig.10 viene ribadito che non dev’essere usato dentifricio prima dei 3 anni. La profilassi topica prevede la somministrazione di gel, dentifrici, collutori, lacche.
ETA’
< 0,3 ppm F
0,3-0,6 ppm F
> 0,6 ppm F
3°-9° mese GRAVIDANZA
1 mg
1 mg
0
17
0 - 6 MESI
0,25 mg
0
0
6 MESI 3 ANNI
0,25 mg
0
0
3 - 6 ANNI
0,50 mg
0,25 mg
0
Fig. 9. Tabella con le indicazioni per la somministrazione di fluoro per via sistemica.
ETA’
F
6 MESI - 3 ANNI
NO DENTIFRICIO
3 - 6 ANNI
< 500 ppm
> 6 ANNI 1000 -1450 ppm Fig. 10. Tabella con le indicazioni per la somministrazione di fluoro per via topica.
6. Rivelatori di placca, test salivari La saliva ha un ruolo importante nella difesa batterica, nell’assimilazione alimentare, nel trasporto di sostanze protettive (ioni remineralizzati, sistemi tampone come i bicarbonati, i fosfati e le proteine). Ha anche un ruolo di risciacquo delle superfici dentali e delle mucose. I test salivari consentono in modo semplice di raccogliere dei dati importanti ad identificare la tipologia di paziente ed il rischio di carie al fine di definire le scadenze dei richiami (visite di controllo ed igiene orale domiciliare) e la programmazione di eventuali cure. Questi test definiscono: 1. Indice di flusso salivare. Un flusso considerato normale prevede la produzione di 1,2 ml a minuto. Il test prevede di raccogliere la saliva prodotta in 5 minuti cercando di stimolare la produzione, per cui si fa masticare una pastiglia di paraffina e si raccoglie la saliva prodotta per 5 minuti in un bicchiere graduato (Fig. 11). Se la condizione ideale è la produzione di 1,2 ml in un minuto in 5 minuti si dovrebbe produrre 6 ml di saliva. Il limite di questo test è rappresentato 18
dal fatto che può essere eseguito solo se il paziente è in grado di masticare la paraffina senza ingerirla e che sappia sputare, per cui non è applicabile in bambini molto piccoli. Un basso flusso salivare è associato ad una elevata cariorecettività del soggetto poiché vi è una compromissione della funzione protettiva salivare cioè il potere tampone. Si ha anche una limitazione della funzione detergente per la minore quantità di saliva. Negli adulti si parla di Xerostomia quando si ha un flusso salivare minore 1ml/min e spesso è legata a fattori come la disidratazione, il diabete, la scarsa assunzione di liquidi, i farmaci, le patologie autoimmuni, l’irradiazione nella zona della testa, lo stress e la compromissione della funzione masticatoria. Nei bambini un ridotto flusso salivare favorisce l’insorgenza della patologia cariosa.
Fig. 11. Viene fatta masticare una pastiglia di paraffina e si raccoglie la saliva prodotta in 5 minuti in un bicchierino graduato. La quantità ideale al minuti dovrebbe essere di 1,2ml/min per comodità di misura e per avere la quantità di saliva sufficiente ad eseguire i test microbiologici si raccoglie la saliva per 5 minuti che corrisponde ad una quantità ideale di 6 ml.
2. Potere tampone salivare. Il potere tampone è la capacità di riportare il pH a valori neutri. In modo molto semplice è possibile misurare il potere tampone della saliva grazie a degli appositi stick su cui, con l’ausilio di una pipetta viene posizionata
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una goccia di saliva, si attende 1 minuto e poi è possibile confrontare la variazione del campione con dei campioni di riferimento. (Fig. 12).
Fig. 12. Applicazione di una goccia di saliva sullo stick che misura il potere tampone e suo confronto con dei campioni di riferimento.
3. Presenza ed attività batterica. La flora batterica cariogena è costituita principalmente da tre famiglie di batteri, gli Streptococco Mutans che colonizzano le superfici lisce dei denti, i Lattobacilli colonizzano le nicchie e i Salivarius aderiscono ai tessuti molli. I supporti disponibili in commercio consentono di rilevare la presenza batterica e di coltivare Streptococchi e Lattobacilli. Abbiamo a disposizione un terreno Agar blu per gli Streptococchi (Fig. 14) ed un terreno Agar verde per i Lattobacilli (Fig. 15). La procedura prevede di aprire la provetta che contiene i terreni, di rimuovere la plastica protettiva e di far cadere la saliva con l’aiuto di una pipetta senza toccare il terreno. Prima di richiudere la provetta si deve inserire una pastiglia di Carbonato di Sodio (Na2CO3) e poi viene inserita in un’incubatrice già portata a 37-38° C e si attendono 48 ore. (Fig. 13)
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Fig. 13. Immagini che mostrano le fasi di utilizzo dei terreni Agar. La prima immagine si riferisce alla rimozione delle protezioni, la seconda mostra come la saliva vada fatta cadere senza toccare il terreno Agar mentre la terza sottolinea l’importanza di non dimenticare di inserire la pastiglia di Carbonato di Sodio (Na2CO3). La provetta una volta chiusa viene inserita nell’incubatrice pre-impostata a 37-38° C per 48 ore. (Sequenza di fotografie scattata insieme alla dr.sa E. Oneto in occasione della preparazione di una relazione di pedodonzia del Continuing Education dell’Accademia Italiana di Conservativa).
Le colonie, dopo 48 ore, vengono fotografate e confrontate con delle fotografie che rappresentano dei campioni di riferimento per la conta batterica; è intuitivo che più batteri sono cresciuti sul terreno di coltura e più è alto il rischio di carie. Con questo test è possibile rilevare anche la presenza di Candida Albicans identificabile come una macchia bianca su Agar verde di dimensioni maggiori rispetti ai lattobacilli. E’ consigliabile annotare il dato in cartella clinica e archiviare le fotografie dei campioni per archiviarli e poterli confrontare in futuro (Fig. 14, 15). Alcuni consigli per 21
rendere più forte la motivazione soprattutto dei piccoli pazienti è quello di documentare i risultati dopo 48 ore dall’inserimento della provetta nell’incubatrice ma di far visionare il campione dopo 1 settimana; se aspettiamo qualche giorno in più, (Fig. 16), la visione è raccapricciante: le colonie presenti non aumentano di numero ma solo di dimensione. Un altro trucco è quello di aprire la provetta sotto il naso del paziente per stimolarne anche l’olfatto e fissare nella memoria in modo più forte l’idea dell’odore che producono le colonie batteriche. Negli appuntamenti di richiamo di igiene, l’igienista potrà sfruttare questo ricordo per mantenere alta l’attenzione del paziente verso l’igiene orale domiciliare.
Fig. 14. Fotografia di un campione di Streptococco Mutans su terreno Agar blu e campione di riferimento, dopo 48 ore di coltura nell’incubatrice a 37-38° C.
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Fig. 15. Fotografia di un campione di Streptococco Mutans su terreno Agar blu e campione di riferimento, dopo 48 ore di coltura nell’incubatrice a 37-38° C.
Fig. 16. Fotografia del terreno di coltura Agar verde dopo 2 settimane dall’inserimento dell’incubatrice. Le colonie non aumentano di numero ma solo di dimensione rendendo l’immagine più sgradevole agli occhi dei pazienti, e più motivante.
Recenti test salivari sono in grado di consentire in modo analogo a quello precedentemente illustrato di identificare la presenza di Streptococco Mutans.
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Sono in grado di fornire la risposta della presenza batterica significativa solo dello Streptococco Mutans in soli 15 minuti, evitando di far tornare il paziente in studio e di gestire l’incubatrice .
7. Sigillatura dei solchi Fino al capitolo precedente sono state descritte procedure minimamente invasive nel senso stretto del termine, in quanto abbiamo solo condizionato positivamente il paziente, lo abbiamo aiutato a conoscere i meccanismi patologici per tenere alta la sua attenzione soprattutto verso i recall ed abbiamo valutato la tipologia del paziente. Le sigillature, con o senza apertura dei solchi, sono la prima manovra che va a modificare in modo artificiale l’anatomia dentale, seppur in maniera minima. I sigillanti costituiscono un importante presidio nei programmi di prevenzione in quanto rendono i solchi inaccessibili ai batteri responsabili dei processi cariosi. Le sigillature diminuiscono i processi cariosi delle superfici occlusali così come fa la fluoroprofilassi sulle superfici interprossimali. Cercando nella letteratura il concetto di prevenzione e di sigillature non appartiene solo alla moderna odontoiatria ma parte da molto più lontano, nel 1923 Hayatt (Hayatt T.P., 1923) osservava che le prime lesioni comparivano soprattutto sulle superfici occlusali a partire proprio dai solchi, proponeva quindi l’esecuzione di amalgame di prima classe per andare a sigillarli, al giorno d’oggi potrebbe sembrare una manovra invasiva ma nel 1923 era senza ogni ombra di dubbio un’idea avveniristica nel pieno rispetto dei concetti di prevenzione. Se si pensa poi che più dell' 80% delle lesioni cariose che si manifestano nei bambini e ragazzi di età compresa fra i 5 ed i 17 anni, ha origine proprio dalle irregolarità dello smalto situate sulla superficie masticante, si può facilmente intuire quali vantaggi apporterebbe la diffusione di questa metodica con il vantaggio di oggi di avere a disposizione materiali più performanti dell’amalgama.
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Possiamo quindi definire le sigillature come un procedimento di ameloplastica additiva atto a rendere i solchi dentali più detergibili e meno aggredibili dai processi cariosi. (Bodecker C.F., 1964). Appare evidente come sia importante aver individuato la tipologia di paziente (anatomia dentale e fattori predisponenti la patologia cariosa) al fine di poter eseguire le sigillature quando prima nel rispetto delle procedure della odontoiatria conservativa. Talvolta può essere necessario eseguire sigillature anche dei denti decidui come mostrato dalle sequenza di immagini delle Fig. 17, 18, 19. Il paziente ha 6 anni e mezzo, all’esame obiettivo con un controllo di placca ancora non ottimale (si noti l’arrossamento del solco gengivale e la placca accumulata in esso), necessità di sigillare l’ 8.5. Si isola il campo con la diga di gomma (Fig. 18), i denti decidui hanno un’anatomia diversa rispetto ai permanenti soprattutto per quanto riguarda il profilo di emergenza. La convessità del terzo coronale, tipica dei denti decidui, può rappresentare un ostacolo facilmente superabile dall’utilizzo di ganci particolari (come il 27, 2, 14, 14A) e dall’apposizione di una diga liquida a colmare lo spazio consentendo di isolare il dente da sigillare velocemente e contemporaneamente di stabilizzare il gancio. Il confine tra sigillature e restauri minimamente invasivi è molto sottile e spesso queste situazioni coesistono sullo stesso elemento come viene mostrato nella Fig. 19; nell’immagine di destra (Fig 19 a) si apprezza come alcuni solchi siano stati solo detersi, altri leggermente preparati ed in un punto si ha una vera e propria cavità. A sinistra il dente restaurato appena rimossa la diga (Fig 19 b).
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Fig.17. Paziente di 6 anni e mezzo, con controllo di placca non ottimale, come evidenziato dall’arrossamento del solco gengivale e dalla placca accumulata in esso.
Fig. 18. Isolamento del campo con diga di gomma. La convessità del terzo coronale, tipica dei denti decidui, può rappresentare un ostacolo facilmente superabile dall’apposizione di una diga liquida a colmare lo spazio consentendo di isolare il dente da sigillare La convessità del terzo coronale, tipica dei denti decidui, può rappresentare un ostacolo facilmente superabile dall’apposizione di una diga liquida a colmare lo spazio consentendo di isolare il dente da sigillare.
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Fig. 19. Particolare prima di eseguire la fase di adesione. Nell’immagine di destra si apprezza come alcuni solchi sono stati solo detersi, altri leggermente preparati fino ad avere una vera e propria cavità . A sinistra il dente restaurato, appena rimossa la diga di gomma. Le fasi della sigillatura possono essere suddivise in: 1. Esame obiettivo e radiografico 2. Anestesia e Isolamento del campo 3. Detersione del dente e dei solchi 4. Ispezione dei solchi ed eventuale preparazione 5. Adesione 6. Sigillo 7. Controllo occlusale e del sigillo Vediamo ora un caso di sigillatura classica senza apertura dei solchi analizzando tutti i passaggi. 1. Esame Obiettivo e radiografico E’ sempre consigliabile sigillare i sesti in quanto compaiono in un momento di crescita in cui il controllo di placca potrebbe non essere ottimale, e in genere sia per quanto riguarda i decidui che per i permanenti, quando l’anatomia dentale lo richiede. Per decidere se un dente è da sigillare la prima cosa da fare è osservare le superfici dentarie e l’anatomia dei solchi e va fatto con i denti asciutti (Fig. 21), con l’aiuto di 27
un assistente che aspira la saliva ed asciuga attentamente e possibilmente con occhiali ingrandenti e luce sufficiente. Spesso per completare la diagnosi dobbiamo avvalerci di un presidio radiografico, utile ad individuare le lesioni interprossimali sia dei decidui che dei permanenti, associato all’esame obiettivo ed alla valutazione del paziente.
Fig. 20. L’osservazione dello stesso dente bagnato di saliva può far commettere degli errori importanti nella valutazione delle condizioni dei solchi. Lo stesso dente nell’immagine di destra consente di poter apprezzare l’anatomia dentale e dei solchi.
2. Anestesia e Isolamento del campo Nelle sigillature senza preparazioni dei solchi non serve fare l’anestesia; aver eseguito un buon esame obiettivo delle superfici dentarie ci consente quindi di fare la scelta giusta quando dobbiamo decidere se eseguire o meno l’anestesia.
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E’ consigliabile invece l’utilizzo di pomate pre-anestetiche per ridurre i fastidi legati all’uso della diga e di uncini che, in denti poco erotti, comprimono la gengiva del solco gengivale. Nell’isolamento del campo potremmo trovare problematiche legate all’anatomia dentale, come nel caso clinico di sigillature di denti decidui illustrato precedentemente, e all’anatomia gengivale, nel caso di denti poco erotti. Le sigillature vanno eseguite con isolamento del campo operatorio, qualsiasi terapia eseguita senza diga di gomma, per la mancata collaborazione del paziente, la considero provvisoria e da rieseguire appena sia possibile ottenere la collaborazione del paziente. Nella pratica quotidiana sono pochi i casi trattati senza diga e solo con bambini di età inferiore ai 5 anni. Per arrivare ad ottenere la collaborazione al primo appuntamento si deve investire un po' di tempo per spiegare cosa faremo per sigillare il dente. Un consiglio per consentire un approccio più facile è quello di tagliare un dito del guanto in lattice (di solito il mignolo di un guanto piccolo), di farlo indossare al paziente e di mimare tutte le procedure compreso il montaggio della diga di gomma prima sul dito dell’operatore e poi su quello del paziente; l’unica accortezza da tenere è quella di provare la diga solo sul dito dell’operatore poiché il gancio o la diga stessa potrebbero stringere troppo dando fastidio al piccolo paziente con il risultato di far perdere la sua collaborazione. A seguire si esegue la sigillatura di solito di un dente inferiore per evitare di farlo stare in una posizione troppo sdraiata e di sottomissione, al secondo appuntamento spesso si riesce a fare l’altra sigillatura inferiore e quelle superiori vengono eseguite contemporaneamente (Fig. 21)
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Fig. 21. Esempio di un isolamento contemporaneo dei sesti superiori utilizzando due ganci 27 N, per consentire la sigillatura contemporanea e contrarre i tempi di lavoro.
3. Detersione del dente e dei solchi Una volta isolato il campo con diga di gomma le superfici dentali vanno deterse per rimuovere la pellicola di placca acquisita. Possiamo farlo utilizzando della polvere di pomice impastata con acqua con un mini-spazzolino e/o con una polvere di glicina associata all’air-flow come illustrato in Fig. 22; è invece sconsigliato utilizzare paste che contengono fluoro o bicarbonato perché potrebbero interferire con le fasi adesive. Osservare un dente isolato con diga di gomma e deterso migliora notevolmente la visione dell’anatomia dei solchi (Fig. 23) e rende più facile la loro ispezione e la scelta terapeutica più adatta. Si consiglia di eseguire delle foto di queste fasi ma soprattutto del dente deterso per due motivi: controllare di non aver variato l’anatomia e poter valutare se la visione in prima visita e la scelta terapeutica sono state corrette. Quest’ultima osservazione si riferisce soprattutto alla decisione di sigillare i solchi senza o con preparazione dei solchi, scelta che a mio avviso dev’essere rivista in questa fase perché ora possiamo osservare l’anatomia dei solchi nelle condizioni migliori. Questo esercizio di controllo fotografico aumenterà l’accuratezza della diagnosi iniziale e la capacità già in prima visita di valutare se sarà una sigillatura semplice o estesa cioè con preparazione dei solchi.
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Isolare adeguatamente il dente da sigillare con la diga di gomma inoltre diminuisce il rischio di contaminazione dei solchi soprattutto dopo la mordenzatura (Silverstone L.M., 1981)
Fig. 22. Detersione dentale tramite della polvere di pomice impastata con acqua passata con un mini-spazzolino o con una polvere di glicina associata all’air-flow. Non si usano paste contenenti fluoro o bicarbonato perché potrebbero compromettere la fase adesiva.
Fig. 23. Immagine della superficie occlusale di un dente permanente isolato con diga di gomma prima della fase di detersione (immagine di sinistra) e dopo (immagine di destra).
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Fig. 24. Il caso clinico preso ad esempio: a sinistra durante l’esame obiettivo e a destra dopo esser stato isolato il campo con l’ausilio della diga liquida per tenere in posizione il gancio della diga (perché era poco erotto) e dopo la fase di detersione che rende i solchi maggiormente visibili ed analizzabili.
4. Ispezione dei solchi ed eventuale preparazione La fase di ispezione dei solchi può essere eseguita facendo scorrere lungo tutti i solchi, principali e secondari una sonda molti sottile (ad esempio una sonda endodontica o una appositamente assottigliata) oppure dei file sottili, si deve valutare la scorrevolezza dello strumento nel solco ed eventuali aperture di quest’ultimo che potrebbero determinare l’accumulo di batteri e/o la mancata pulizia delle setole dello spazzolino. Un altro consiglio, suggerito dal Dr. Sandro Pradella, è quello di sondare i solchi con strumenti sonici con punte assottigliate che mettono in evidenza lo smalto non integro e quindi i solchi da preparare.
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Fig. 25. Ispezione dei solchi occlusali e conseguente scelta di quali preparare con microfrese a pallina o a lancia. Ispezione ottenuta con una sonda endodontica assottigliata, un file sottile e una punta sonica assottigliata.
5. Adesione La fase adesiva deve rispettare ogni passaggio a seconda della tipologia di adesivo scelto. Nelle sigillature pure, cioè senza aperture dei solchi, dobbiamo considerare il substrato ed utilizzare il sistema adesivo che garantisce i migliori risultati con lo smalto, ovviamente nel caso di sigillature con preparazione dei solchi dovremo considerare come substrato lo smalto ma in qualche caso anche la dentina, dipende da quanto è profonda la preparazione. Nel caso mostrato in Fig. 26 si è scelto di eseguire una tecnica a tre passaggi con applicazione del mordenzante con dei micro aghi, seguita dal Primer e dal Bonding, seguendo i tempi di applicazione del sistema prescelto. La polimerizzazione viene invece prolungata 2 applicazioni di un minuto.
Fig. 26. La sequenza di applicazione dei sistemi adesivi (mordenzante, primer e bonding) e successiva polimerizzazione prolungata. 33
6. Sigillo Il sigillo viene eseguito con del composito Flow altamente caricato, viene fatto scorrere lungo i solchi con l’aiuto di una sonda endodontica molto appuntita che rispetto allo specillo consente di avere una visuale migliore grazie alla sua inclinazione. Per stendere il materiale è possibile usare anche un file. Un’attenzione prima di applicare il materiale va prestata alla punta della sonda, è importante caricare il materiale avvolgendo tutta la punta per ridurre il rischio di bolle (Fig. 27) e appoggiandolo sul fondo del solco. Sempre per lo stesso motivo i movimenti per stendere il composito devono essere lenti per avere un controllo visivo migliore, possibilmente nella stessa direzione staccando lo specillo dal solco il minor numero di volte possibile. Una volta che si è sicuri di non aver creato bolle sul fondo del solco possiamo, con la sonda o con un file rimuovere gli accessi di materiale non prima di aver atteso qualche secondo per consentire al materiale di adagiarsi sul fondo. Il materiale viene polimerizzato per 1 minuto, successivamente viene applicata della glicerina a ricoprire tutta la superficie ed immergendo il puntale della lampada in essa viene polimerizzato per un altro minuto.
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Fig. 27. Il materiale viene posizionato sulla punta di una sonda endodontica a ricoprirla completamente come mostrato nell’immagine in basso.
7. Controllo occlusale e del sigillo Terminata la sigillatura si controlla di non aver creato degli eccessi di Bonding o di materiale ed il dente può essere lucidato anche prima di rimuovere la diga. Una volta rimossa la diga di gomma si deve eseguire il controllo occlusale con delle cartine sottili. Spesso un eventuale rialzo è imputabile a dei residui di Bonding ed è sufficiente usare un gommino per rimuoverli. I denti vengono poi passati con uno spazzolino e della pasta da profilassi. Viene fatto anche un controllo del sigillo facendo scorrere la sonda lungo i solchi e valutandone la forma ed il grado di scorrevolezza. Nella Fig 29 si apprezza come l’obiettivo della sigillatura sia stato raggiunto: l’immagine di sinistra (Fig. 29a) è del caso iniziale durante l’esame obiettivo e quella di destra (Fig. 29b) è la finale, in quest’ultima si apprezza come il fondo dei solchi non sia più a forma di “V “ma di “U”, consentendone una migliore detersione.
Fig. 28. Il controllo occlusale ed il caso finito.
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Fig. 29. Il caso iniziale e finale in cui si apprezza come il fondo dei solchi non è più a forma di “V “ma di “U”, consentendo un minor accumulo di cibo e placca e una migliore detersione .
8. Sigillature dei solchi tardive, Preventiv Resin Restoration Se l’approccio al piccolo paziente ed alla sua famiglia è stato eseguito correttamente si dovrebbero intercettare ed eseguire sigillature semplici senza preparazione dei solchi, come quella del caso clinico illustrato nel capitolo precedente. Quando fallisce il percorso della profilassi illustrato in questo articolo per cause dipendenti od indipendenti dall’odontoiatra eseguiamo sigillature tardive che richiedono non solo una preparazione dei solchi ma spesso la preparazione di una vera e propria cavità. In questo capitolo illustriamo 2 casi clinici: il primo sottolinea l’importanza di non avere lesioni cariose della dentatura decidua, il secondo evidenzia i vantaggi dell’isolamento con la diga di gomma negli elementi poco erotti; entrambi sono interventi tardivi per il fallimento della profilassi primaria. 36
Nel primo caso (Fig. 30, 31) vediamo un caso di lesioni cariose iniziali dei solchi di un elemento deciduo che si riproducono anche nel sesto permanente : è un fallimento nella comunicazione delle corrette abitudini alimentari, manovre di igiene orale domiciliare, interpretazione dell’anatomia e della cariorecettività del paziente oppure solo il primo contatto con il mondo odontoiatrico, riconducibile ad un errore nella comunicazione con la famiglia. La terapia prevede le stesse fasi operative illustrate nel capitolo precedente, esame obiettivo, radiografico (bite-wing e/o periapicali), anestesia (quasi sempre necessaria in questi casi), isolamento del campo con diga di gomma, detersione, la pulizia dei solchi porta all’esecuzione di una vera e propria cavità. In questo caso appare evidente come sottovalutando l’importanza dell’esecuzione di un esame radiografico possiamo avere delle sorprese nella rimozione della lesione cariosa, aggravata dal fatto che agendo su un bambino avremmo dovuto informare i genitori e programmare l’appuntamento diversamente (Fig. 30c). Segue la fase adesiva, in cui dobbiamo sempre considerare i diversi substrati e ricordare di aumentare i tempi di mordenzatura dello smalto dei denti decidui perché hanno uno smalto più resistente agli acidi. Infatti lo smalto della dentatura decidua è costituito da uno smalto aprismatico più resistente agli acidi e se il bambino assume anche del fluoro la resistenza agli acidi è aumentata. Si consiglia l’uso di un sistema adesivo con i componenti separati: mordenzante, Primer e Bonding e in questo caso visto l’esposizione della dentina si inserisce l’applicazione di Clorexidina Digluconata al 2% tra il mordenzante ed il Primer. Il sigillo viene eseguito con un materiale composito Flow altamente caricato sul fondo in uno strato sottile e un composito caricato a riempire le cavità, trattandole come se fossero delle cavità di prima classe. Segue la polimerizzazione prolungata, 37
senza e con glicerina e il controllo dei contatti occlusali, come illustrato nel caso precedente.
Fig. 30. Lesioni cariose del 7.5 duplicate nel dente permanete contiguo. Le fasi illustrate nel capitolo precedente vanno tutte seguite, come si vede dalla terza immagine è molto importante eseguire l’esame radiografico durante la visita per non commettere errori nella diagnosi e conseguentemente nella terapia.
Fig. 31. Il caso iniziale, le cavità, il sigillo e il caso subito dopo aver rimosso la diga di gomma.
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Il secondo caso clinico mostra sempre un’intercettazione tardiva del paziente e soprattutto la potenzialità dell’isolamento della diga di gomma nonostante il 4.7 sia poco erotto (Fig. 32, 33). Anche il questo caso si ripetono le fasi più volte ripetute: - Esame obiettivo e radiografico - Anestesia e Isolamento del campo: nonostante dente poco erotti - Detersione con pomice e spazzolino o con polvere di glicina e air-flow - Ispezione dei solchi ed eventuale preparazione con frese molto piccole (Fig. 33) - Adesione: uso di Clorexidina associata ad un sistema a 3 passaggi. - Sigillo: con materiali Flow e caricati - Controllo occlusale e del sigillo Le frese utilizzate per l’apertura dei solchi e la loro preparazione devono essere di piccole dimensione e di forme ben definite (Fig. 33): possiamo usare frese cilindriche, a pallina, a fiamma con la caratteristica fondamentale di avere un gambo assottigliato per consentire una maggiore visione del solco. Nella Fig. 34 possiamo osservare come nello stesso elemento coesistono solchi, solo detersi, solchi con una preparazione minima e vere e proprie piccole cavità. Sempre grazie all’isolamento con la diga di gomma possiamo avere il tempo di osservare in condizioni ottimali l’anatomia dentale e scegliere di eseguire diverse terapie all’interno dello stesso tavolato occlusale applicando tutti i principi della restaurativa minimamente invasiva (Manton D.J., Messer L.B., 1995).
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Fig. 32. Un caso clinico in cui il paziente è stato intercettato tardivamente e non ci si è potuti limitare alla sola apertura dei solchi ma si sono preparate delle vere e proprie cavità.
Fig. 33. In questa immagine si mostrano diversi esempi di frese con il gambo assottigliato ed allungato in un confronto con un 6.5; ideali per poter avere una visione ottimale del punto in cui lavorano.
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Fig. 34. In queste immagini si apprezza come nello stesso elemento coesistono solchi, solo detersi, solchi con una preparazione minima e vere e proprie minime cavità.
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Fig. 35. Il caso iniziale, le cavità, le cavità una volta terminata la fase adesiva, sigilli e restauri preventivi terminati.
9. Fallimenti delle sigillature Le principali cause del fallimento delle procedure di sigillatura sono principalmente dovute a: - un sigillo tardivo - nessun isolamento del campo - imprecisa detersione, ispezione e preparazione dei solchi - materiali inadeguati A causa di uno o più di questi fattori si ha spesso un apparente successo iniziale, in quanto non vediamo cosa succede nel solco, a cui segue in insuccesso dopo solo pochi anni (Fig. 36). Dal racconto del paziente e confermato dai genitori, il sigillo è stato eseguito a 7 anni, senza isolamento del campo operatorio. Si visita il paziente all’età di 15 anni per un fastidio alla masticazione ed una lieve sensibilità, si rimuove il sigillo sotto isolamento del campo con diga di gomma con degli strumenti ad ultrasuoni. Come si osserva nell’immagine a sinistra della Fig. 36 al di sotto di esso si trova una lesione cariosa importante del solco distale mente appaiono intatti i solchi mesiali; è un fallimento per mancata valutazione ed adeguata detersione del solco ma anche del tipo di materiale scelto che ha solo apparentemente sigillato il solco.
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Fig. 36. Dal racconto del paziente e confermato dai genitori, il sigillo è stato eseguito a 7 anni, senza isolamento del campo operatorio. Si visita il paziente all’età di 15 anni per un fastidio alla masticazione ed una lieve sensibilità, lo si rimuove e come si osserva nell’immagine a sinistra al di sotto di esso si trova una lesione cariosa importante del solco distale mente appaiono intatti i solchi mesiali. Nella Fig. 37 vediamo un caso di re-intervento per il fallimento delle tecnica scelta per sigillare. La paziente viene vista per una visita di controllo, non le piacciono i restauri bianchi sulle superfici occlusali che sono stati eseguiti quando era bambina prima di iniziare una lunga terapia ortodontica. La paziente è collaborante con una buona igiene orale domiciliare con poche abitudini alimentari scorrette, dal controllo radiografico non ha lesioni interprossimali. Si decide di rimuovere questi sigilli perché al di sotto si intravedono delle zone scure e perché sembrano essere incompleti. Nella Fig. 38 si nota come sulla superficie occlusale coesistono diverse situazioni: c’è un solco non sigillato o che ha perso il sigillo, un sigillo apparentemente corretto, un altro che sembra essere interrotto ed un restauro in composito eseguito a contatto con le sigillature. Le fasi sono tutte quelle elencate per le sigillature e per le ricostruzioni dirette, anestesia, isolamento del campo con la diga di gomma, la rimozione del
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vecchio sigillante fatta con punte ad ultrasuoni appuntite per essere il più conservativi possibile (Fig. 38).
Fig. 37. Esame obiettivo, quello radiografico conferma l’assenza di lesioni interprosimali. Si è deciso di rimuovere questi sigilli per una richiesta estetica della paziente ma anche perché al di sotto si intravedono delle aree scure.
Fig. 38. Particolare del 4.6 all’esame obiettivo e dopo l’isolamento del campo con diga di gomma e la rimozione con punte soniche assottigliate. A destra possiamo osservare dei solchi sigillati, altri non trattati ed un restauro in composito contiguo rispetto alle sigillature.
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Con delle frese a grana rossa, cilindriche a testa arrotondata, si rimuove lo smalto sottominato e la dentina periferica rammollita, la cavità è di ampie dimensioni e c’è ancora dentina da rimuovere sul fondo con delle frese a rosetta con gambo lungo e sottile. Indipendentemente dalle dimensioni delle cavità si deve cercare di rifinire lo smalto dei bordi della cavità nel modo più accurato come illustrato nella Fig. 39. Tanto più la superficie periferica è regolare tanto migliore sarà il sigillo in composito.
Fig. 39. Particolare della cavità rifinita con margini regolari e sinuosi per consentire una facile apposizione del materiale composito.
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Fig. 40. Il caso clinico iniziale, particolare delle cavità otturate con una visione che fa apprezzare i dettagli anatomici riprodotti con i restauri.
10. Conclusioni Nel contesto dell’odontoiatria, negli ultimi anni si sente sempre più spesso parlare, in tutte le discipline, di odontoiatria minimamente invasiva con classificazioni, strumentario e materiali sempre più performanti. Nell’odontoiatria più che in altre discipline nel trentennio appena trascorso si sono fatti passi da gigante per ridurre la patologia cariosa e parodontale; ma la sola attenzione e preparazione da parte degli operatori del settore siano essi l’odontoiatra, l’igienista, l’assistente di studio e la segretaria non basta, si deve ricercare la collaborazione di tute le figure che accompagnano il bambino nella crescita cioè si deve cercare sempre più di coinvolgere i genitori, i famigliari ed il pediatra. La chiave di volta per poter applicare tutti i concetti dell’odontoiatria minimamente invasiva infatti è stato iniziare e continuare ad informare i paziente affinché capiscano i meccanismi di una patologia che coinvolge tutta la popolazione. 46
Avere dei pazienti attenti alla loro salute, informati e correttamente seguiti con pazienza fin da piccoli ci permette di poter applicare l’odontoiatria minimamente invasiva nel significato più alto del termine, viceversa saremmo solo in grado di conoscere molte classificazioni, strumentario ma non in grado di preservare la salute orale e dentale. In questo articolo si suggerisce un metodo per incanalare i nostri pazienti all’interno di un percorso conoscitivo ed informativo che li porta a ridurre o scoprire precocemente le patologie del cavo orale: fare una corretta profilassi con le sigillature dei solchi consente di fare il minimo sforzo per ottenere il massimo beneficio: la salute orale. Il caso illustrato in questo ultimo capitolo (Fig. 41) racchiude tutti i concetti visti fino ad ora, errori compresi. Delle sigillature poco precise e che non rispettano i principi elencati in questo articolo sono inutili. L’odontoiatria minimamente invasiva in conservativa risponde ad un pensiero che si basa su principi certi e rigidi in ogni passaggio, dalla profilassi al restauro più complesso. Vanno eseguiti nel modo più scrupoloso perché sconti di attenzione, cura e materiali vengono pagati cari dal paziente sia dal punto di vista biologico che economico. La scelta della terapia più conservativa è solo l’ultimo atto di un pensiero che parte da lontano. Le immagini delle figure 41 e 42 mostrano un’ altro caso di fallimento della profilassi primaria, ben recuperato dal punto di vista operativo, tuttavia dovremo lavorare molto più a lungo dal punto di vista psicologico per riportare l’attenzione del paziente verso la salute orale ed il programma di mantenimento più adeguato per la tipologia di paziente. Anche in questo caso mi piace sottolineare come le immagini possano aiutarci a motivare il paziente. L’articolo è iniziato con una metafora del dottor Samuele Valerio e mi piace concluderlo con una frase spesso ripetuta e ampiamente condivisa nell’ambiente dell’Accademia. Quando prendiamo delle decisioni in un piano di cure, quando consigliamo delle terapie dobbiamo lavorare al meglio seguendo le procedure meticolosamente, ma per vedere se abbiamo operato bene i conti li faremo passati 47
diversi anni, questo è un motivo in più per documentare, fotografare tutti i nostri casi clinici inizialmente dopo la terapia ed a distanza per poterli condividere con i paziente ma anche tra colleghi per un aggiornamento quotidiano.
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Fig. 41. Il caso iniziale, l’isolamento del campo con diga di gomma, rimozione delle vecchie sigillature con ultrasuoni. Ispezione dei solchi e loro detersione.
Fig. 42. Si inizia a rimuovere lo smalto rammollito aprendo i solchi con una piccola fresa diamantata rossa a lancia e laddove i solchi sono stati sigillati senza essere 49
ispezionati e detersi, ci sono lesioni cariose che coinvolgono la dentina. Nella foto in alto a destra si apprezza come essere minimamente invasivi vuol dire trattare ogni singolo solco con una tecnica e dei materiali diversi.
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