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Cile. Inchiesta CIPER 2013: “La condizione degli istituti per minori” Pubblicato il marzo 18, 2014 da bertaro
Facendo questo resoconto sugli istituti per minori in Cile abbiamo compreso come il tema “minori” sia un argomento tabù un po’ dappertutto. Non è facile avere notizie sugli istituti o sulle case famiglie, neppure qui in Italia. Solo qualche mese fa è stato pubblicato un resoconto sul numero dei bambini istituzionalizzati in Italia (http://www.vita.it/welfare/adozioniaffido/index.html) ma non sappiamo che cosa succede “dentro” e di cosa abbiano bisogno. Perchè anche gli istituti per minori rientrano in quel sociale che, con la scusa della crisi, è stato penalizzato in termini di fondi e non crediamo che se la passi così bene! Le riflessioni e i dubbi sugli istituti cileni possano essere validi anche per altre realtà. Ricordiamoci che i bambini non hanno voce perché non votano, in tutto il mondo.
Hogar significa focolare. Dà l’idea di un posto caldo e affettuoso dove ci si può rilassare perché protetti. Purtroppo le intenzioni non vanno di pari passo con la realtà. Gli istituti per i minori cileni sono sotto l’attenzione dei mass media da quando di è cercato di insabbiare alcune tristi verità. Ci si riferisce all’inchiesta del CIPER-Centro de Investigaciòn Periodìstica che ha messo al corrente l’opinione pubblica dell’immobilismo degli organi competenti in fatto di tutela dei minori. Secondo un’indagine condotta nel 2012 dal Poder Judicial e l’Unicef il 7,8% di minori dai 7-12 anni e il 4,1% degli adolescenti dai 13-18 anni verrebbe molestato all’interno degli istituti. In prevalenza si tratterebbe di molestie da parte di ragazzini anch’essi ospiti e più grandi d’età e solo in pochi casi sarebbero coinvolti adulti. Ciò non giustifica il tentativo di occultare tali informazioni e la passività degli organi interessati. Nessuno, infatti, avrebbe fatto svolgere ulteriori indagini e trovato delle soluzioni, lasciando inalterato lo stato delle cose. Un elemento da segnalare è che le Autorità sarebbero state al corrente di alcune gravi situazioni già nel 2011, attraverso un’indagine condotta dallo stesso SENAME su un campione di istituti più ristretto. Di fronte a queste imperdonabili inadempienze ci si chiede se sia nell’interesse del minore essere tolto alla sua famiglia perché incapace di vigilare su di lui se poi le stesse strutture pubbliche non garantiscono rimedi migliori del danno. Sembra che metà degli istituti siano a rischio, quattro dei quali sono stati chiusi dal Sename in epoca recente a seguito dell’indagine.Il problema che investe
gli istituti cileni non riguarda solo i maltrattamenti e abusi, ma anche la poca professionalità e preparazione degli operatori a contatto con i bambini/ragazzo, gli estenuanti turni di lavoro, il numero elevato di minori da seguire e il basso stipendio. Allontanare un bambino dalla violenza familiare comporta altre forme di violenza (ad esempio la lontananza dalla madre anche se poco accudente) e ci vogliono anni per ricostruire l’autostima, sempre che si lavori su questo fronte e ci sia la possibilità di reinserire il minore nella famiglia di origine o introdurlo in una nuova famiglia. Troppo spesso la famiglia di origine non è seguita dai servizi sociali e l’iter burocratico per l’adozione è lento tanto che una buona parte dei bambini si ritrovano già adolescenti alla dichiarazione di adottabilità, complicando la ricerca di una famiglia adatta a loro. Anche l’affidamento sembra poco sviluppato in Cile e andrebbe supportato tramite l’attivazione di una banca dati di famiglie selezionate ad ospitare ragazzi grandi e un incentivo mensile base per la formazione scolastica del ragazzo. Per quanto riguarda poi la tesi che in istituto ci andrebbero i figli di famiglie povere ci sembra purtroppo vicina alla realtà in quanto alla povertà materiale spesso si associa la povertà culturale con inevitabili ricadute sui minori (inhabilidad parental). Infine, tra le varie considerazioni, ci si chiede se dietro alla non volontà di applicare norme già esistenti (per es.l’obbligo di rimuovere il bambino dalla situazione di rischio entro le 24 ore dalla segnalazione e l’applicazione dei diritti dei minori) non ci siano degli interessi economici che prolunghino la permanenza dei bambini in istituto (ogni anno vengono dati in adozione 600 bambini circa su un totale di 15.000 bambini istituzionalizzati). Inoltre non esiste una mappatura dei bambini con il numero di anni trascorsi in istituto in modo da accelerare le pratiche di chi aspetta da troppo tempo. Sono domande che qualsiasi paese civile dovrebbe farsi. In ogni paese il bambino dovrebbe essere al primo posto, venire prima di tutto. Il suo diritto ad una famiglia va interpretato come il diritto di vivere in un posto sicuro dove possa essere dotato degli strumenti per diventare un adulto autonomo. (sintesi di articoli CIPER dal 31/01/2012 al 19/08/2013)
Cile. Intervista ad Ethel: “Il Cile, le neo famiglie adottive e il desiderio dei nostri figli di conoscere le loro radici” Pubblicato il marzo 10, 2014 da bertaro Ethel Araya Geeregat vive a Santiago del Chile. Lavora per un” Ente Autorizzato” italiano: accompagna le coppie nel momento della formazione della famiglia, le accoglie all’aeroporto e le fa incontrare con i loro figli. Ha cominciato ad occuparsi di adozioni nel 2001 grazie a Padre Alceste Piergiovanni Ferranti, che abbiamo presentato in uno dei post precedenti. Pioniere delle adozioni in Cile le ha insegnato a guardare alle nuove famiglie con sensibilità e rispetto. L’abbiamo raggiunta e le abbiamo fatto alcune domande sui timori delle coppie che arrivano per adottare in Cile, sui bambini e le loro reazioni iniziali, fino ad arrivare a consigli pratici per i neo genitori. E’ ancora oggi in contatto con ragazzi ormai adulti che vivono da anni in Italia. L’intervista è stata divisa in tre parti.
D. Ci hai detto che segui le coppie italiane che arrivano in Cile per adottare un bambino: potresti descriverci le emozioni che vivono queste coppie e i bambini quando si incontrano? R.Quando incontro per la prima volta le coppie, al di là della grande stanchezza per il lungo viaggio, le vedo felici perché si sentono vicine a realizzare il loro progetto di famiglia…però io dico loro: “ Adesso comincia una nuova tappa”. E sarà una fase diversa, piena di sorprese, con momenti di frenesia, frustrazione, affetto, difficoltà e soddisfazione. Certamente, non è facile quello che affronteranno! Il loro maggiore desiderio è di vedere i loro figli il prima possibile. Il maggiore timore è il rifiuto da parte del minore: “ Siamo degli estranei, se non gli piacciamo, se non si avvicina…” Ci sono degli incontri a cui dobbiamo partecipare prima di conoscere i bambini (la Autorità Centrale in Cile riceve la coppia, si presenta, li accoglie e spiega i passi del processo adottivo nel nostro paese). A volte i genitori mi chiedono perché non si può andare subito dai bambini, questo per spiegare l’ansia e necessità di incontrare i figli subito! Preoccupa il momento dell’incontro, chiedono che cosa devono fare e dire, di stare loro vicino, si interrogano su quello che gli operatori possono pensare … Durante le prime ore in Cile la coppia è desiderosa di sapere come sono i loro figli, come vivono in Cile, come funzionano i centri di protezione per minori, hanno la necessità di rivedere la loro storia. Immagino che tutto ciò nasca dalla necessità di trovare i loro punti di forza. Per fortuna mi accompagna il dono dell’empatia e poco a poco arriviamo ad un dialogo chiaro e intimo. Mi sorprendo ogni volta quando aprono la porta del loro cuore perché io possa entrare nella loro vita e rendere più piacevole questo periodo di permanenza in Cile. Se ci caliamo nella prospettiva dei minori dobbiamo pensare che generalmente oscillano tra due sentimenti: l’allegria e l’ira. In Cile i bambini vengono preparati per l’incontro e l’integrazione in famiglia. Conoscono molto bene il significato della solitudine, del non aver nessuno che ti viene a trovare… il sentimento di abbandono è molto forte e dannoso. Non lo sanno esprimere con le parole, per questo hanno certe reazioni non sempre spiegabili. Esistono minori che per i danni inflitti dalla famiglia di origine non possono essere dati in adozione. La società, in questo caso, sceglie il compromesso di prepararli a diventare autonomi. Il percorso del minore in Cile consiste nel prepararlo ad integrarsi nella famiglia. La maggior parte dei bambini desiderano avere “dei genitori per sempre”. Nel percorso di preparazione per ottenere l’idoneità all’adozione, si elabora una storia di vita in modo terapeutico, lavorando su ricordi e paure, dando significato a quanto accaduto nella esperienza di vita del piccolo. I
professionisti cercheranno di sostituire il senso di colpa, visto che i minori pensano di essere arrivati in istituto per causa loro. A seconda dell’età e usando parole adatte si cerca di far capire che loro non c’entrano, le responsabilità della loro situazione è esclusivamente degli adulti. Questi adulti che non hanno la capacità di proteggerli, difenderli e nutrirli. Quando il minore viene ritenuto idoneo all’adozione, comincia la ricerca della ”migliore famiglia per lui”. Nel frattempo il piccolo è preparato a comprendere cosa significa vivere in famiglia, in che cosa consiste una famiglia, il ruolo dei genitori e dei figli. Nel momento in cui si individuano i genitori migliori per lui e questi accettano, comincia la tappa di preparazione ad entrare in una famiglia concreta. Si lavora usando fotografie (ogni coppia deve mandare un album con foto loro e della loro famiglia allargata, della casa, della stanza da letto e animali domestici…). A questo punto del percorso il bambino è molto felice ma allo stesso tempo è in tensione. Ogni giorno il comportamento cambia in istituto e a scuola. Si sente in qualche modo superiore o differente dagli altri bambini. Adesso loro appartengono ad un’altra categoria (“ho genitori perciò non mi daranno ordini nè le operatrici nè le maestre”) e comincia un periodo di instabilità o irrequietezza. Credo che in loro comincino ad affiorare le paure. Non mancherà di certo chi tra i compagni o i ragazzi più grandi lo intimidirà dicendo che se continua comportarsi così nessuno lo verrà più a prendere. Arriva il giorno dell’incontro. Sono allegri e euforici e in quel momento non c’è posto per la paura: “Finalmente arrivano i miei genitori!”. I bambini quando vedono i genitori, li riconoscono dalle foto, corrono ad abbracciarli. Alcuni, i più timidi, se ne stanno tranquilli e fermi finchè i loro genitori li cercano, li abbracciano e li baciano con amore. Di solito i bambini cominciano ad interagire da subito, fanno domande, mostrano giochi e ridono. Ricevono i regali che portano i genitori, giocano un poco e la maggior parte chiede di andare a casa (intendendo per casa gli aparthotel dove stanno le famiglie durante la permanenza in Cile). Sono tanto felici, sono così tante le novità! Stare in una casa, vedere tutti gli oggetti che i genitori hanno portato per loro, si lasciano lavare e mettersi il pigiama. Poi c’è il contatto via skype con i nonni, gli zii e cugini in Italia… Alla fine della giornata si deve andare a dormire. Alcuni bambini non ci vogliono andare, resistono, hanno bisogno della luce accesa, della compagnia dei genitori… Comincia la paura più grande: “Se mi addormento e i miei genitori se ne vanno, mi lasciano? Se questo è un sogno e quando mi sveglio sto ancora in istituto, come sempre?” D. Ricordi qualche episodio che ti è rimasto in mente perché un po’ particolare? R. Mi ricordo di un ragazzino di 12 anni. Era molto felice di avere due genitori per sempre, ma con il passare dei giorni, dopo due o tre settimane cominciò a comportarsi male, disobbedendo e facendo quello che voleva, arrivando al punto di non tornare a dormire la notte. Rimase a giocare con il pallone da solo oltre alle due del mattino. I genitori erano molto preoccupati perché non capivano il cambio di atteggiamento. Raccomandai a loro di andare a dormire, di spegnere tutte le luci e lasciare la camera aperta e la porta accostata in modo che il ragazzino capisse che lo stavano aspettando. I coniugi dovevano starsene in silenzio se lo avessero sentito ritornare, come se stessero dormendo. Il giorno dopo ebbi una conversazione profonda con il ragazzo esprimendo quello che sentivano i suoi genitori che erano venuti fino a qui solo per lui, per nessun altro, che per loro era loro figlio etc… la sorpresa fu la risposta. Dopo avermi ascoltata ed essersi preso un momento di silenzio, mi disse. “ Tìa, i miei genitori sono tanto buoni con me, io non li merito. Io sono cattivo!” Lo abbracciai con tutto l’amore che potevo, gli parlai delle qualità positive che aveva, di tutto quello
che aveva superato in quei pochi anni di vita e che, ad ogni modo, era meglio sentire cosa avevano da dire i suoi genitori, che cosa sentivano per lui. Quel momento fu un qualcosa di speciale. Quando i suoi genitori udirono le ragioni del figlio, lo abbracciarono e gli assicurarono che gli stavano dando quello che si meritava perché LUI ERA LORO FIGLIO, che lo amavano molto che avevano sognato da sempre la loro vita con lui, che era un ragazzino splendido, con i suoi difetti e virtù che comunque lo amavano. Da quel momento il suo comportamento cambiò e il ragazzino cominciò il suo processo di crescita in famiglia. Con delicatezza e affetto seguo le coppie e la cosa più meravigliosa del mio lavoro è esser testimone di come fiorisce nella nuova famiglia l’amore tra papà, mamma e figli, quasi un miracolo.
Cile. Intervista ad Ethel – II parte: “Come si forma la nuova famiglie tra aspettative di genitori e figli” Pubblicato il marzo 12, 2014 da bertaro D. Dopo l’incontro, quali sono le difficoltà, secondo te, che le famiglie incontrano appena costituita la nuova famiglia? R.Le coppie arrivano con una preparazione teorica, hanno frequentato corsi, ma la realtà ha un altro effetto. Per tutta l’esperienza che possano avere con i loro nipoti, i due coniugi non hanno l’esperienza di “genitori”. I genitori educano e formano, gli zii coccolano. I piccoli che incontrano non sono come i bambini a cui sono abituati. I due adulti possono aver immaginato comportamenti dettati dalla frustrazione però credo che nessuno abbia spiegato loro in che cosa consistono le scenate, la forza fisica che possiedono questi bambini e la rabbia che in alcune occasioni trasmettono nei loro gesti e parole. Per cui quando lo affrontano per la prima volta è un colpo molto forte. La prima cosa che pensano i due neogenitori è che il minore abbia qualche problema psicologico-psichiatrico. Alcuni cominciano a cercare su internet per avere una spiegazione di queste reazioni. Un’altra cosa che colpisce i due neo genitori è che dopo tali reazioni violente, i bambini diventano molto affettuosi con loro. E’ difficile da capire. Il meccanismo di difesa che usano i piccoli appare in qualsiasi momento, di fronte ad un no, soprattutto nella tappa di provocazione e messa alla prova dei due adulti. Per questo i genitori hanno timore di imporre piccole regole, pensano che insistere possa portare ad un rifiuto da parte del bambino nei loro confronti. Una delle cose più complicate è contenere un bambino dal comportamento iperattivo poiché non ascolta e sempre fa quello che vuole. Alcuni genitori pensano che sia una problematica ingestibile, ma ho visto dei grandi cambiamenti nei minori soprattutto quando la coppia con pazienza e perseveranza da loro sicurezza e disponibilità incondizionata. Come tutte le nuove relazioni che iniziano ci sono i tempi dell’aggiustamento. Per i genitori è la perdita del loro spazio di coppia dato che nel momento in cui mettono piede in Cile hanno a che fare, per tutto il giorno, con un bambino che tengono sempre al loro fianco. Situazione che da una parte li gratifica, dall’altro li invalida come persone. Per il minore non è da meno: la prima tappa è difficile con due genitori che 24 ore al giorno ti guardano, ti accompagnano e ti insegnano nuove abitudini e comportamenti, per la prima volta nella vita del bambino… Per la prima volta comincia anche a capire che il mondo va al di là delle pareti dell’istituto dove ha trascorso la maggior parte della sua esistenza. E’ un momento di grande scoperta, contrasti, varietà di sensazioni. Capisce che può ottenere molto con un comportamento equilibrato. Imparare a controllare tutta l’ira dell’abbandono trattenuta per anni è difficile, ma non impossibile.
D. Dalla tua esperienza, che cosa si aspetta la coppia? Che cosa si aspetta il bambino? R. Nei coniugi che arrivano c’è l’idea che il piccolo necessiti di molto amore, abbracci e baci. Talvolta, invece, ci sono bambini che rifiutano tanta dimostrazione di affetto e rispondono con l’aggressività. Senz’altro queste dimostrazioni sono importanti e necessarie, ma devono essere dosate altrimenti si rischia di soffocarli. Tutto si ottiene attraverso il gioco, spazio nel quale si ha l’opportunità di abbracciare, baciare e toccare fisicamente, lasciando spazio, ma emanando senso di sicurezza. Si possono indicare a parole e in teoria le problematiche e reazioni di un bambino che ha sofferto l’abbandono (senza indicare altre vicende di abuso) ma non sarà mai abbastanza per spiegare che nella realtà hanno lasciato una traccia indelebile che rimarrà sempre (attraverso la memoria affettiva). Prima delle risposte verbali o non verbali dei piccoli i genitori adottivi devono scoprire che sentimenti e paure stanno alla radice di tali comportamenti. A volte si aspettano bambini ad immagine dei bambini italiani che conoscono. A volte mi dicono che si aspettavano reazioni forti, ma non con quella intensità e forza che vedono nei loro figli, reazioni che provocano in loro molto spavento. Temono che non sia una reazione passeggera, ma un problema psichiatrico permanente. Si aspettano bambini che dipendano completamente da loro, che chiedano aiuto per vestirsi, per lavarsi e giocare. Invece trovano bambini che insistono ad arrangiarsi, bambini che non accettano consigli per ottenere buoni risultati sebbene abbiano a che fare con giochi o cose che non conoscono. Si aspettano che i bambini siano obbedienti, che capiscano che il buon comportamento verrà ricompensato, ma ci sono bambini che dicono sempre no a quanto proposto dai genitori, per il solo piacere di opporsi. Questo è un argomento su cui i genitori non vengono preparati. I bambini, d’altro lato, si aspettano genitori che facciano tutto quello che desiderano, come se fossero Babbi Natale, che comprino tutto, giochi, dolci etc… Sanno che sono i loro genitori ma dovranno guadagnarsi il loro rispetto. Hanno bisogno di genitori in grado di dimostrare amore, ma anche fermezza. Nel loro intimo sta l’idea che se i loro genitori sono troppo accondiscendenti e loro bambini sono troppo forti, nel senso che ottengono tutto quello che desiderano, questi genitori non potranno proteggerli né difenderli. Per questo i genitori dal primo momento devono mettere in chiaro le regole per formare il proprio figlio, come fa qualsiasi genitore. Il pensieri più sbagliato che un genitore può fare è il seguente: “Poverino, ha sofferto tanto!”. Alle coppie che seguo insisto nello spiegare che ciò conduce a fare solo danni da ambo le parti. D. Da quello che vedi, quali sono le motivazioni più comuni per cui un bambino viene dato in adozione? R. In generale i minori arrivano ad un centro di protezione per negligenza materna e paterna, quando esiste un padre, molto spesso legato all’uso di alcool e droghe da parte di entrambi. La maggior parte dei genitori ha avuto le stesse esperienze da piccoli, è una catena. C’è una buona parte di famiglie di origine dove la nonna tiene i i nipoti come è successo a loro. Oggi giorno ci sono casi più gravi di abuso da parte di conviventi delle madri, zii e degli stessi padri biologici. Una volta che il minore è nel centro di protezione, durante i primi mesi alcuni parenti lo vengono a trovare, ma quando le visite diventano controproducenti il Tribunale impone la sospensione su indicazione degli operatori. Nella maggior parte dei casi sono le istituzioni che sollecitano l’adottabilità del minore per cui questo significa che si deve dimostrare la negligenza e la mancata cura dei genitori di origine. D. Quanto è importante la figura della donna nella famiglia cilena? Quanto quella dell’uomo? R. Una famiglia cilena comune, considerando che siamo un paese a maggioranza cattolica, funziona normalmente e con responsabilità, senza distinzione di fasce sociali. E’ usuale che
entrambi i genitori lavorino per sostenere le spese. Quando la mamma rimane a casa è lei che assume maggiore autorità sopra i figli. Ma c’è un gran numero di madri single. In generale i padri di questi minori non li hanno riconosciuti, sono i nonni materni che aiutano figlia e nipoti. Nel caso dei bambini istituzionalizzati, nella maggior parte dei casi hanno solo una mamma o una nonna di riferimento. In questo tipo di famiglia di origine, il padre è assente. Alcuni uomini riconoscono i figli, ma poi spariscono. Le madri sono giovani, hanno vissuto a loro volta l’abbandono e la mancanza di un padre. Sono nuclei che mancano di una vera forma di educazione, nella povertà estrema, alcolismo, uso di droghe, in presenza di violenza e abusi. Si tratta di donne che non sanno ciò che significa vivere in maniera stabile, e che passano da un partner ad un altro, in un rapporto di coppia dove l’aggressione è molto comune. Non avendo mai sperimentato l’essere amate, non sanno amare a loro volta. Le loro relazioni sono brevi e instabili. Per questo molto spesso hanno figli con uomini diversi. Sono donne che potrebbero ricevere aiuto dallo stato per una maternità gestita ma che non si presentano ai consultori. Mettere al mondo un bambino non è un fatto che le preoccupa, al contrario, talvolta è un modo per legare a sé un uomo così le mantiene assieme ai figli anche di altri uomini. Così trascorrono la loro vita trasferendosi da un posto all’altro a seconda dell’uomo del momento lasciando i figli da familiari o amici o nei centri di protezione per minori. I bambini che vivono nei centri per minori vengono raccolti per strada o su segnalazione dei vicini che denunciano lo stato di abbandono in casa o di pericolo per la strada, o per denuncia di abusi etc. Di solito non ci sono casi di intervento diretto da parte della famiglia di origine. I padri non sono punti di riferimento e se ci sono, sono di solito aggressivi con i figli. Tanti delinquono. Molti bambini assistono a scene di violenza sulla madre da parte del padre o convivente. Vivono in piccoli spazi: in una stanza possono dormire due o tre adulti e i piccoli assistono agli incontri sessuali di questi. D. Potresti spiegarci il ruolo delle donne nella Teologia della Liberazione? R. In Cile non si parla di Teologia della Liberazione. Siamo un paese che ha saputo uscire velocemente dalle sue difficoltà politiche e sociali. Potremmo dire che nel cammino verso la democrazia le donne sono tornate ad assumere un ruolo centrale nella famiglia. Prima era l’uomo il punto di riferimento che sosteneva la famiglia sotto il profilo economico e che stabiliva le regole, imponeva l’ordine e il rispetto. Ma arrivò un momento che, a causa della mancanza di lavoro, il capo famiglia cadde in depressione, facendo uso di droghe e alcool. In questa decadenza arrivarono anche gli abusi e la violenza, l’abbandono e il disinteresse. Le donne reagirono cercando un lavoro per mantenere i figli. Si cominciarono a vedere madri che uscivano da casa per guadagnare denaro. Alcune riuscirono a crescere i loro figli con dignità. Altri nuclei rimasero nella devastazione e ignoranza, senza aiuto sociale, cadendo dell’alcolismo e uso di droghe. Ci fu un aumento della delinquenza, nacque la mancanza di responsabilità verso i figli, il pensiero comune che i figli potevano fare quello che volevano. In Cile le donne cominciano ad avere figli molto giovani e nella loro vita fertile possono metter al mondo numerosi figli.
Cile. Intervista ad Ethel – III parte: “Cosa dire o non dire ai figli sui genitori di nascita” Pubblicato il marzo 14, 2014 da bertaro
D. Se tu fossi una mamma adottiva, conoscendo a fondo la realtà delle donne cilene, cosa diresti ad un bambino di 10-12 anni che ti chiede informazioni della mamma biologica? E ad un adolescente? R. In Cile i bambini dati in adozione internazionale hanno più di 5 anni per cui sanno bene di essere stati adottati. Come ho detto prima, sono stati preparati e hanno elaborato la loro storia personale. Non resta che dire la verità. Alcuni ricordi ritorneranno, ma anche se il piccolo non li ha, mantiene una memoria interiore lontana. Ci sono molti bambini che desiderano ricominciare e cancellano la loro storia in Cile (hanno ragione, chi vorrebbe ricordare un periodo tanto duro e doloroso?). Altri idealizzano la famiglia biologica. L’importante è mantenere un’immagine accettabile dei loro genitori o familiari di origine, spiegando le cose come stanno, a seconda dell’età del minore. Inizialmente si dovrebbe spiegare che la mamma non aveva i mezzi per tenerlo (economici, psicologici, sociali…). Spiegare che anche la storia della mamma è stata segnata da un abbandono e che per questo non è stata capace di amare, che non ha avuto l’appoggio di nessuno, che quando questo aiuto le è stato offerto era troppo tardi per farle capire, che non aveva abbastanza autostima per superare questa mancanza. Qualsiasi sai il motivo dell’abbandono è necessario spiegarlo, con parole semplici, usando le informazioni che vengono fornite dagli operatori. I bambini non perdoneranno mai una bugia, anche se detta con buone intenzioni, i genitori pagheranno caro se nasconderanno la verità o cercheranno di occultare informazioni. Dosando parole e fatti si deve raccontare la vera storia, se è dolorosa si deve accompagnare il bambino nell’accettare la sofferenza. La presenza costante e certa e l’amore incondizionato dei genitori è fondamentale. Alle coppie che accompagno dico che si deve fare chiarezza tra papà e mamma di origine e papà e mamma, spiegandolo ai figli . In questo modo i bambini possono capire molto meglio lo stato di genitori adottivi. D. Quali sono, secondo te, le cose importanti che dovrebbe sapere una coppia che sta adottando un bambino cileno per creare un rapporto migliore con il figlio?
R. Per prima cosa devono trattarlo come figlio, senza pensare alle sofferenze che ha patito in precedenza. “Poverino” – è fatale per iniziare una relazione padre e figlio, non finirò mai di ripeterlo. Il minore adottato necessita di genitori che lo accettano per quello che è e questo va espresso attraverso gesti di amore fisici e verbali (contatto fisico, abbracci, baci, parole affettuose..) e attraverso la fermezza nell’impartire norme e regole proprie di ogni famiglia. Devono essere genitori che si assumono il ruolo di genitori sul serio, che si sentono genitori, che ascoltano il loro cuore per trovare la determinazione per relazionarsi con il figlio. Che si sentano sicuri nel loro ruolo, che non abbiano paura di sbagliare (tutti i genitori sbagliano), che ricordino la loro vita, la loro crescita , la relazione con i loro genitori. Ciò li aiuterà a interpretare le decisioni che presero i loro genitori così potranno migliorarle. Inoltre devono giocare molto con i figli e per farlo dovranno recuperare il bambino che è dentro di loro, ridere molto con i loro bambini, ogni tanto uscire dal ruolo serio di adulto per riappropriarsi del ruolo di genitori dopo il gioco (se nel gioco i bambini si manifestano aggressivi, correggerli subito). Animare e sostenere i figli rafforzandoli nella sicurezza e nel controllo della loro forza , pensiero e azione. E’ importante che il figlio si senta amato. I genitori devono essere uniti con criteri comuni in fatto di educazione e formazione. La divisione provoca grandi danni: se il papà è permissivo e la mamma più severa ciò permette al bambino di manipolare la relazione. I genitori devono formare un’alleanza in modo da far introiettare questo sentimento nei bambini in modo naturale. I bambini diventeranno come i loro genitori! Se non sono indirizzati verso un fine comune, la relazione con il figlio sarà molto difficile. Penso che quando un minore non trova stabilità sono gli adulti che si devono interrogare, chiedersi dove stanno sbagliando. Un figlio che sin dall’inizio sa che un no è un no, che sa interpretare lo sguardo di mamma e papà, potrà controllare meglio il suo impeto. Sapere che mamma e papà sono più forti di lui significa che sono in grado di proteggerlo, difenderlo e amarlo. Quando i genitori mostrano stabilità e non si alterano né si spaventano di fronte alle prove, i minori capiscono che qualsiasi cosa facciano non avranno quello che vogliono. In breve, amore e fermezza. D. Sei in contatto con ragazzi cileni adottati in Italia? Cosa ti raccontano? R. La maggior parte sta bene, hanno imparato a vivere e superare la loro storia. Mi rallegra molto quando su facebook parlano dei loro genitori con amore. Ciò significa che hanno saputo integrare la loro vita, inclusa l’ombra dell’abbandono. Si sentono accettati! In alcune occasioni ho dovuto aiutare giovani adulti adottati da piccoli a coniugare la storia personale. E’ una bel compito. Lo considero un onore quello di rafforzare pensieri, di far diventare idee fissate più gestibili e docili in modo da permettere di vedere la storia da un’altra prospettiva, di trasformare la sofferenza che ha pesato per tanti in anni in esperienza positiva. Il grande problema è che nessuno ha insegnato che le esperienze, dolorose o negative, sono insegnamenti da cui c’è sempre qualcosa da imparare e che possono influire positivamente sulla nostra vita e su quella dei nostri cari. Ci sono ragazzi che ancora si trascinano nel pensiero di essere cattive persone o colpevoli di qualcosa, includendo il risentimento per fratelli e sorelle con le quali furono dati in adozione. Nel profondo di se stessi sentono di non meritare di essere amati perché ancora non hanno imparato ad amarsi ed accrescere la loro autostima. Qui c’è l’errore iniziale dei loro genitori che all’inizio non hanno dato loro le cure necessarie per trasformare tale sentimento. Come dicevo, all’inizio sono necessari fermezza, molto amore e supporto per le conquiste fatte. I confronti tra fratelli sono fatali, causano molto danno e separazione.
Cile. World Bank: “Uno sguardo d’insieme” Pubblicato il gennaio 17, 2014 da bertaro Iniziamo un’altra esplorazione in America Latina. Il secondo paese in scaletta è il Cile.
Negli ultimi 20 anni il Cile ha introdotto importanti riforme. Nel 2011 il Governo ha proposto sette riforme strutturali nel campo della Sanità (registra il terzo più alto tasso di mortalità infantile in OECD) e Sistema Educativo (vedi prossimo post sulla scuola), riduzione della Povertà (il 20% della popolazione è povera) e Criminalità e una riforma generale dello stato e del sistema politico. Il Cile è uno dei paesi dell’America Latina dalla crescita più veloce, con un sistema finanziario ben diversificato ben più moderno di altri paesi limitrofi. Il terremoto devastante del 2010 ha portato ad una contrazione dell’economia ma il ciclo si è di nuovo invertito. Una delle sfide più importanti per il Cile è una più equa redistribuzione dei redditi. Le classi medio basse sono molto vulnerabili. Secondo le classifiche OCSE il Cile è tra i paesi con i più elevati indici di diseguaglianza. Il 5% più ricco della popolazione guadagna 257 volte di più del 5% più debole (Sole 19/11/2013)
Cile. World Bank: “Scuola – quadro generale” Pubblicato il gennaio 19, 2014 da bertaro Quando i nostri figli arrivano in Italia e li portiamo a scuola, dobbiamo sempre ricordare da dove partono. Non possiamo pretendere che scavalchino le montagne, soprattutto se sono stati adottati già grandicelli e devono fare i conti con il gap linguistico e culturale.
Il Cile ha fatto notevoli passi avanti nell’Educazione garantendo l’istruzione di base ad una larga parte della popolazione, ma non offre un sistema scolastico di qualità. Più del 50% degli istituti sono privati e vi può accedere solo la parte benestante della società. Difficile anche l’accesso ad internet. I maggiori elementi discriminanti sono il tasso di scolarizzazione dei genitori e il luogo dove il bambino/ragazzo abita (ogni regione attiva metodi diversi per aiutare le famiglie con minori opportunità). Le persone sono considerate fuori dal tasso di povertà se hanno entrate per $4.00 al giorno procapite; difficilmente riescono a raggiungere la classe media ($10.00 al giorno procapite) confermando una certa rigidità interna della struttura sociale.
Considerando l’ipotetico caso di due bambini nati nel 2009, in Cile, si può dare una chiara idea della discriminazione. Patrizio è nato in campagna da genitori che non hanno completato la scuola primaria. Christian è nato a Santiago da genitori con studi superiori. Christian ha il doppio delle probabilità di andare alla scuola materna e di avere giocattoli adeguati durante i suoi primi anni di vita (3-5 anni). Avrà anche il 50% delle probabilità in più di avere un linguaggio adatto ad un bambino di 5 anni e il doppio delle opportunità di completare la scuola secondaria nei tempi previsti dai piani scolastici. Anche le prestazioni saranno ben superiori a quelle di Patricio. Cristian vivrà in una casa con acqua corrente, servizi sanitari e computer, parteciperà alla vita politica (64% delle probabilità in più) e arriverà alla laurea con otto possibilità in più rispetto a Patricio. Potrà far parte della la classe media con il doppio delle probabilità rispetto all’altro bambino. (fonte: “Monitoring Basic Opportunities throughout the Lifecycle with the Human Opportunity Index in Chile – World Bank maggio 2012)
Cile. “I bambini soli di Santiago” Pubblicato il gennaio 21, 2014 da bertaro Le disuguaglianze sociali producono povertà. La povertà porta all’esclusione sociale. E i bambini sono i primi a rimetterci. I bambini dati in adozione non provengono da famiglie come siamo abituati ad immaginare. Dietro c’è sempre tanta tanta solitudine. di Alessia DeRubeis “Santiago è la settima città più popolosa del Sudamerica e la 35esima area metropolitana del mondo. Una città ricca e moderna, con il reddito pro capite più alto del Sud America, un ritmo di crescita simile alla Cina, da far invidia alle maggiori nazioni europee. Eppure anche il Cile ha la sua emergenza: 15 mila minori sui 15 milioni di abitanti vivono fuori dalla loro famiglia, abbandonati in centinaia di istituti senza l’amore di una mamma e di un papà. Al dramma dei minori senza famiglia i cileni hanno risposto con grande fervore e non sono rimasti a guardare. Hanno stretto una collaborazione fra pubblico e privato sociale al fine di trovare una soluzione che possa tutelare i diritti dei bambini abbandonati. Una delle risposte più importanti è stata la nascita delle fondazioni di utilità sociale, organizzazioni private autorizzate a gestire il sevizio pubblico dell’affido e dell’adozione nazionale e internazionale. (…) (fonte: aibi.it – 26/10/2012)
Cile. SENAME: “Caratteristiche dei bambini e ragazzi inseriti nel programma di interventi brevi” Pubblicato il gennaio 24, 2014 da bertaro In Cile i servizi sociali dispongono di un programma che permette loro di intervenire per un breve periodo a favore dei minori in stato di difficoltà. Gli interventi si dividono in tre categorie: situazione di difficoltà bassa, difficoltà media e difficoltà alta. Ci siamo concentrati per lo più su quelle di difficoltà media e alta. In queste due casistiche si osserva che la linea di demarcazione è in realtà molto labile. Ci è sembrato interessante perché offre uno spaccato delle difficoltà dei minori nel paese. Sesso ed età dei bambini/ragazzi. I più svantaggiati di solito sono i maschi in tutte e tre le categorie, ma le età si differenziano. Mentre per i casi problematici medi l’età varia dai 6 ai 17 anni, nei casi più difficili i ragazzi sono adolescenti (12 e 17 anni). Famiglie di provenienza e cause dell’intervento. Le difficoltà derivano per più del 50% dei casi in famiglie disagiate che rientrano in quel 20% della popolazione considerata molto vulnerabile. Per la classe di rischio medio il 39% degli interventi viene attivato da casi di abuso e maltrattamento
mentre nei casi più a rischio si cerca di prevenire il degenerarsi di situazioni già difficili (26% dei casi) o per la presenza di reati perseguibili (22,8% dei casi). Scuola. Solo la metà dei ragazzi ad alto rischio va regolarmente a scuola. Nella classe più a rischio si riscontra il maggiore ritardo scolastico dagli 1 ai 3 anni rispetto al regolare ciclo di studio. (fonte: Caracterìsticas de los ninos, ninas y adolescentes atendidos en el programa de intervenciòn breve – Sename agosto 2011)
Cile. SENAME: “Caratteristiche delle famiglie allargate che accolgono minori in difficoltà” Pubblicato il gennaio 28, 2014 da bertaro Lo studio si basa su interviste fatte a 54 famiglie cilene e 124 famiglie spagnole per focalizzare le caratteristiche delle famiglie allargate che accolgono minori in difficoltà e le caratteristiche dei minori accolti e il tipo di cura. Forse il campione potrà risultare poco rappresentativo ma può, a nostro avviso, dare un’idea della condizione dei minori in stato di difficoltà nei due paesi. Noi ci focalizzeremo sui casi cileni. Famiglia. In Cile la famiglia allargata è costituita dai nonni mentre in Spagna vi è anche una forte presenta della disponibilità degli zii. Ciò comporta degli elementi di debolezza per le famiglie cilene. Molto spesso i nonni sono più anziani (dai 50-60 anni), hanno un tasso di scolarizzazione più basso e un reddito inferiore. Inoltre i nonni cileni sono disponibili ad accogliere più minori con notevole dispendio di energie che non consente loro di seguire adeguatamente i nipoti. Peggiora il quadro la mancanza di una rete parentale o amicale in caso di estremo bisogno. Un anziano è anche più probabile che abbia problemi di salute e soffra di depressione. Caratteristiche dei bambini. Nel 90% dei casi i bambini cileni, prima di arrivare dai nonni, sono stati maltrattati e ciò rende più difficile l’adattamento nella nuova famiglia di riferimento nonostante sia costituita da figure conosciute (difficoltà nel 68,5% dei casi contro una percentuale pari alla metà per le famiglie spagnole). Ciò sembra in parte attribuibile alla maggiore età dei bambini quando entrano nella famiglia dei nonni (3 anni contro i 2 anni della Spagna) fatto che fa aumentare l’esposizione al rischio di maltrattamento. Il maltrattamento porta a difficoltà relazionali. In Cile purtroppo il maltrattamento su minori è in crescita e deriva da una cultura in cui il castigo fisico è considerato educativo. Grazie al sistema di protezione infantile si sta cercando di divulgare un diverso approccio. (fonte: “Estrès parental y apoyo social en familias extensas acogedoras cilena y espanolas – Fundaciòn Infancia y Aprendizaje – 2011)
Cile. Scuola: “L’importanza degli investimenti nella scuola primaria per colmare le disuguaglianze sociali” Pubblicato il gennaio 31, 2014 da bertaro
Sotto l’impulso del movimento studentesco guidato da Camila Vallejo sembra che il Governo cileno abbia maturato una maggiore propensione a supportare il sistema scolastico. L’intervento, però, sarebbe orientato per lo più verso la scuola superiore dove gli studenti stanno dimostrando una maggiore forza. Ciò pone degli interrogativi su quali siano le priorità. Un maggior investimento nella scuola primaria è il passo più importante per permettere a tutti la “mobilità sociale”: se un bambino riceve delle buone basi è probabile che aspiri poi ad andare alla scuola superiore e all’università, al contrario si fermerà al saper a malapena leggere o scrivere. (fonte: sintesi di un articolo apparso sulla Tercera) Curiosità. Oggi un corso di laurea in Cile costa tra i 4.000-6.000 dollari all’anno. Metà della popolazione cilena guadagna 500 dollari al mese. Se le famiglie vogliono far studiare i figli si devono indebitare con le banche che applicano tassi d’usura. Tutta la classe media in Cile è indebitata. E’ un dato che non rientra nelle statistiche sulla povertà. Le persone sono senza tutela sociale perché in Cile bisogna pagare per qualsiasi cosa. – fonte internazionale 15/11/2013
Cile. Condizione delle donne: ”Il machismo è ancora diffuso” Pubblicato il febbraio 4, 2014 da bertaro di Sara Romanelli – tesi di laurea Si consideri che la tesi è del 2008-2009. Nel frattempo sono stati sviluppati piani di formazione e coinvolgimento delle donne svantaggiate per farle entrare nel mondo del lavoro. (Programas de Fundaciòn PROdeMu – Promociòn y Desarrollo de la Mujer – vedi http://opinion.lasegunda.com/sociedadanonima/mujeres-nunca-es-tarde-para-trabajar/). Alla fine di questa sezione dedicata al Cile ci sarà un’intervista ad una signora residente che integrerà quanto detto sulle donne.
Ad oggi la situazione della donna in Cile risulta relativamente complessa. Storicamente subordinata, è la donna, anche quando incinta, che all’interno della famiglia si deve assumere la responsabilità di fare i lavori di casa, di accudire i figli ed il resto della famiglia.
Ovviamente in seguito ai cambiamenti dati dalla modernità e dai modelli occidentali, la situazione si presenta molto differente se si analizzano un contesto rurale od uno urbano. Il lavoro domestico non è ovviamente riconosciuto come un lavoro nel senso classico del termine, di conseguenza non viene retribuito nè tantomeno riconosciuto come fonte di prestigio sociale, ma semplicemente come un compito che una qualsiasi donna per sua natura deve portare a termine in quanto “donna”. Oltre a non essere ricompensato a livello economico ha sempre permesso agli uomini di dedicarsi ad altre attività remunerative per se stessi o la famiglia, o di partecipare alla vita sociale, politica artistica, spesso negata alle donne. Quando una donna intraprende un lavoro remunerativo o una carriera fuori dall’ambiente domestico tuttora non è trattata allo stesso livello di un uomo e non si produce una giusta distribuzione dei compiti all’interno della coppia o del nucleo familiare. In Cile la maggior parte delle donne deve supplire a questa mancanza facendo un doppio lavoro: mantenere una casa ed avere un lavoro per guadagnare. Tutto questo causa, nella maggior parte delle donne, un sovraccarico emotivo e fisico che le espone maggiormente al rischio di contrarre patologie. Spesso l’uomo cileno non si fa carico della responsabilità dei figli e della casa e tutto grava sulla donna. È stato dimostrato che i livelli di salute personale e quindi familiare migliorano notevolmente quando entrambe i coniugi o la coppia si dividono compiti e responsabilità nella gestione dei figli. Negli ultimi tempi, in seguito a pressioni perché questo aspetto “machista” della cultura cilena cambiasse verso la parità, molti giovani padri partecipano attivamente alla gestazione, al parto ed al puerperio. Il machismo in Cile è un problema sociale tuttora presente, dato dalla impari relazione tra i sessi. La definizione classica di “machismo” è: “un atteggiamento di ostentazione di caratteri virili e mascolini”, una più profonda ed interessante definizione è: “un comportamiento en que las actitudes, acciones y discursos son coherentes con el sistema sexo/género; un sistema social en que hombres y mujeres forman dos grupos desiguales. Cada grupo constituye un género y ambos están jerárquicamente organizados de tal manera que los hombres son quienes detentan el poder y las mujeres son subordinadas. Cada grupo constituye un género polar y complementario del otro y ambos están jerárquicamente organizados de tal manera que los hombres son quienes detentan el poder y las mujeres son subordinadas. Esta jerarquía es causa y consecuencia de la valoración que se hace de las características asignadas a cada género y las capacidades que estas confieren a cada uno” (F.A.Limone Reina). Il marito spesso si comporta in modo violento con la moglie, è autoritario, abusa di alcool e droghe, ha relazioni sessuali non protette con altre donne, tutte condotte che possono solo aumentare il rischio di violenza sessuale verso la moglie o la compagna, di trasmissione del virus dell’HIV e di presenza di gravidanze non desiderate, oltre ovviamente alla generazione di un circolo vizioso di sofferenza per la donna nel nucleo familiare. La violenza, che si può definire “l’uso deliberato della forza fisica o del potere, contro una persona o un gruppo sociale” è un fenomeno ricorrente in questo Paese. La violenza contro le donne come atto fisico o psicologico che porta sofferenza psichica, lesioni personali, morte, è ancora un fenomeno diffuso. Questa violenza causa spesso lesioni personali, patologie fisiche, psichiche, gravidanze indesiderate frutto di violenza sessuale, diffusione di malattie come l’AIDS o l’epatite B, inoltre crescere sin da
piccoli in un ambiente violento o presenziare fisicamente ad aggressioni e maltrattamenti porta a far sì che facilmente si ricada negli stessi comportamenti; quella che viene chiamata “trasmissione culturale intergenerazionale”. La forte discriminazione sociale e culturale di cui sono vittime le donne, e spesso i figli, sono frutto di una condotta culturale “machista” che può portare a conseguenze disastrose per i protagonisti di queste vicende. Questo circolo vizioso di sofferenza è talvolta alimentato dalla cultura stessa nel suo aspetto educativo: alle bambine viene insegnato ad essere protette e dipendenti dal padre prima e successivamente dal marito, ai bambini viene insegnato ad essere indipendenti già dall’età infantile e viene dato loro meno affetto. In Cile il problema della violenza intra-familiare è un grave problema di salute pubblica, solo nella regione metropolitana il 50,3% delle donne nella sua vita ha vissuto esperienze di violenza da parte del marito o del compagno. Quello che adesso ci si aspetta dal sistema educativo e sanitario cileno è che si cerchi di creare una maggiore educazione rivolta soprattutto ai padri, ed ai ragazzi, che devono essere consapevoli del fatto che è anche loro responsabilità generare benessere nelle loro compagne, specialmente se si sta generando una nuova vita. L’importante per l’equipe medica e educativa è sapersi proporre al padre/compagno nella maniera corretta per renderlo capace di stare accanto alla sua compagna. Il governo cileno da quasi trent’anni sta attuando a livello nazionale campagne di sensibilizzazione e miglioramento del servizio sanitario al cittadino, specificatamente nel settore delle politiche sessuali e riproduttive e della prevenzione della violenza di genere. Le azioni sono dirette principalmente in due direzioni: la prima si preoccupa di mettere in pratica, educando le equipe mediche e gli stessi pazienti, il concetto di “insieme di più diritti” in ogni singola persona nel momento in cui questa necessita di una cura o di un intervento medico; la seconda propaganda e sostiene il pensiero progressista in merito al sesso femminile. La tesi principale è che perché un paese si possa considerare moderno in tutti i suoi settori è essenziale che al suo interno esista la parità di trattamento in tutti gli ambiti – sociale, economico, lavorativo e familiare – tra l’uomo e la donna. La donna deve emanciparsi in maniera sempre maggiore ed iniziare a ricoprire ruoli di potere all’interno della società, ruoli che sono sempre stati ricoperti da uomini. (fonte: tesi online.it – estratto da “Negoziare la nascita. Una analisi antropologica dei sistemi medici dell’isola di Chiloè – Cile” 2008-2009)
Cile. Libro: “Dieci donne” Pubblicato il febbraio 6, 2014 da bertaro
. Marcella Serrano “Dieci donne” Feltrinelli 2012 Nove donne più una. Nove donne sono convocate dalla psicoterapeuta che hanno in comune per raccontare la loro storia e le ragioni per le quali sono andate in terapia. Sono donne diversissime fra loro: dall’attrice ormai anziana che da giovane ha fatto la vita spensierata della cicala e ora si trova a dover affrontare una difficile solitudine, a quella con un passato problematico che ha saputo, con anni di lavoro su stessa, riconquistarsi una normalità apparentemente banale e insignificante. Sono diversissime per origini, professioni, età, estrazione sociale, in tutto, ma in questi coraggiosi monologhi, tra le righe, scopriamo che per quanto diverse le loro esperienze si richiamano, e che la vera protagonista del romanzo è la femminilità. Nata a Santiago del Cile nel 1951, Marcela Serrano è una delle voci più importanti della narrativa sudamericana.
Cile. Società: “Giovani e donne uniti dalla difficoltà di trovare un lavoro garantito” Pubblicato il febbraio 8, 2014 da bertaro
di Tiziano Ceccarelli – tesi di laurea presso l’Università “La Sapienza” di Roma Siamo ancora lontani da lavori tutelati e dai diritti sindacali per tutti. Anche in Cile, come in Italia, giovani e donne evidenziano peculiarità simili: lavori saltuari, basso tasso di scolarizzazione e quindi basso inserimento sul mercato del lavoro. (…) La questione Giovanile In Cile, ci sono circa 3 milioni di giovani, di questi 1milione e 350 mila vivono nelle aree più povere del Paese. Nonostante gli sviluppi positivi espressi degli indicatori economici e sociali, il tasso di disoccupazione giovanile sfiora un valore tre volte più grande del tasso generale con una differenza del salario medio per il gruppo dei giovani tra i 15 ei 29 anni di quasi 100 mila pesos, secondo l’Organzaciòn Internacional del Trabajo. La precarietà del lavoro è la caratteristica che più colpisce nel rapporto dei giovani con il mercato del lavoro. Tra le motivazioni che contribuiscono alla costruzione di questa situazione troviamo, in primo luogo, il basso livello di istruzione che aumenta le difficoltà di ingresso nel mercato del lavoro; in secondo luogo si può notare la riluttanza delle aziende a concedere il reddito minimo ai giovani che si affacciano nel mercato del lavoro ostruendo considerevolmente i meccanismi di accesso al mercato stesso. Nella fascia di età composta da persone tra i 30 ed i 34 anni, il 48% ha meno di 12 anni di istruzione, dato che ritroviamo leggermente più basso se si analizza il gruppo con età tra i 25 ei 29 anni (43%). Ancora secondo gli ultimi rapporti dell’OIL il 19 % dei giovani non lavora né studia ed un 12% neanche cerca lavoro. Altra caratteristica peculiare della situazione (dis)occuazionale giovanile cilena è un mercato del lavoro estremamente precario. Sempre secondo un rapporto dell’INE il 56,5% dei giovani tra i 15 ed i 24 anni percepisce il salario minimo mentre il 26,7 % riceve un salario inferiore.
A questo punto è necessario aggiungere un altro fenomeno che si sta verificando nel Paese: la sottoccupazione giovanile, ovvero quei giovani che lavorano solo parzialmente – in alcuni casi meno di 5 ore settimanali. Questo scenario ci mostra come la situazione giovanile cilena sia estremamente complessa. Lungo tutto il 2011 ed in questi primi mesi del 2012 il Cile è stato attraversato da un grande movimento studentesco. I temi di tali mobilitazioni riguardano la situazione dell’impiego giovanile e le sue prospettive. Il mondo dell’istruzione, in Cile come in qualunque altro Paese, è legato a doppio filo con il mondo del lavoro ed i suoi meccanismi di inclusione. Molti giovani, dopo aver terminato tutto il percorso scolastico ed alcuni anche quello universitario, non trovano sbocchi ed il mercato del lavoro sembra non essere adeguato per assorbirli. Questo porta al fatto che moltissimi giovani abbandonano gli studi con largo anticipo ed anche coloro che riescono a portarli a termine vanno ad alimentare quella già molto elevata percentuale di giovani che viene costretta ad inserirsi nell’economia informale. Il problema dell’inserimento nell’economia informale riguarda soprattutto i giovani tra i 15 ed i 19 anni per la stragrande maggioranza poveri, disoccupati e con un curriculum scolastico estremamente breve costretti ad accontentarsi di lavorare senza contratto, con salari molto bassi e nessuna tutela. L’occupazione femminile in Cile Le differenze di genere nel mondo del lavoro in Cile è osservabile all’interno dei settori in cui le donne sono maggiormente occupate: servizi, commercio, insegnamento (anche se in misura minore) e si concretizza nella differenza del salario percepito per il medesimo impiego, che se svolto da una donna risulta estremamente inferiore (anche fino al 70%). Le donne, in Cile, sono entrate all’interno del mondo del lavoro senza abbandonare i tradizionali ruoli assegnati loro. Insieme al lavoro restano principali responsabili del mantenimento e la cura della casa e dei bambini. Tale condizione ha portato ad una maggiore accettazione di lavori precari o situazioni di parziale occupazione. Un altro motivo di preoccupazione rispetto alla situazione occupazionale femminile è la mancanza, quasi totale, di copertura pensionistica dovuta al fatto che solo il 41% delle donne occupate ha un contratto regolare – secondo l’INE. (…) (fonte: eurasia-rivista.org)
Cile. SERNAM: “Servizi alle donne che subiscono violenza e nuova cultura dei rapporti di coppia” Pubblicato il febbraio 10, 2014 da bertaro
Leggendo l’intervento presentato dalla commissione delle donne cilene a New York nel 2012, ci sembra di capire che per le donne le problematiche sono più o meno le stesse che si riscontrano anche qui in Italia: 1) promuovere azioni positive in favore di una maggiore uguaglianza e opportunità tra uomini e donne supportando una maggiore partecipazione delle donne nella politica; 2) aiutare le donne nell’inserimento nel mondo lavorativo con corsi di specializzazione e supporto alla conciliazione familiare;3) appoggio alla maternità in quanto la famiglia è un elemento basilare della società; 4) riduzione, prevenzione e sradicamento della violenza familiare; 5) promozione della partecipazione delle donne in tutti i settori della società. Una certa attenzione è stata posta sul capitolo “violenza”. Una donna su tre in Cile subisce violenza in famiglia. Sono stati portati avanti vari programmi e costituiti centri di accoglienza per arginare il fenomeno: Programa Chile Acoge, 94 centri di attenzione che danno appoggio legale, 24 case di accoglienza di vittime con figli, Programa “Alerte Temprana” per una nuova cultura che insegna a far riconoscere i segni iniziali della violenza per stroncarla sul nascere; istruzione a 25.000 giovani adolescenti per educarli nel rispetto della propria compagna, Centri di attenzione per uomini violenti al fine di recuperarli. Possiamo concludere che anche in Cile il fenomeno della violenza contro le donne esiste ed è abbastanza diffuso. Lo stato sta cercando di tamponare le situazioni di emergenza e di divulgare una nuova cultura del rapporto di coppia. Nel 2011 le denunce di donne maltrattate sono aumentate dell’11%, segnale positivo che significa che le donne cominciano a parlare e a prendere coscienza del fenomeno. (fonte: “Intervenctiòn de la delegaciò de Chile – 56 periodo de sesiones de la Comisiòn sobre la condiciòn juridica y social del la mujer – Sernam marzo 2012)
Curiosità. Ci hanno colpito i programmi di formazione delle donne per farle partecipare alla vita politica. Sembra che abbiano sortito un loro effetto nelle amministrative per il rinnovo dei comuni cileni quando le protagoniste sono state le donne. Alcune sono note per la loro militanza contro la dittatura e hanno avuto un forte consenso popolare. Tra queste Michelle Bachelet rieletta nelle presidenziali 2013.
Cile. Famiglia: “Violenza intra familiare” Pubblicato il febbraio 12, 2014 da bertaro
. Nel 2005 è stata pubblicata la nuova legge 20.066 che regola la violenza intra familiare con l’intento di dare a questo fenomeno una risposta più severa da parte dello stato. Senza entrare nei dettagli, ci sembra utile sapere che buona parte della materia è stata inclusa nel diritto penale e che è stato predisposto un registro dei condannati. Sulla base delle nuove indicazioni (distinzione tra violenza fisica lieve e grave, violenza psicologica e sessuale) è stata condotta un’indagine sul alcune regioni (II, IV, Regiòn Metropolitana, IX, X e XI) su direttiva dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Intervistando un campione di donne dai 18 ai 49 anni è risultato che la X regione è quella più colpita da questo fenomeno (il 55% delle intervistate ha dichiarato di essere stata oggetto di violenza) e vanta il triste primato in tutte e quattro le tipologie di violenza. La XI regione, invece, tra quelle analizzate, registra una percentuale del 36%, inferiore alle altre. In tutte le regioni è la violenza psicologica la più presente con una percentuale che si avvicina o supera il 40%. Nel 90% dei casi le vittime sono donne e si collocano nella fascia d’età tra i 30 e i 47 anni. Nella fascia 12-17 si colloca il 3%. Con l’introduzione della legge le denunce sono aumentate solo del 4,6%. Si noti che le donne anziane denunciano per lo più figli alcolisti e drogati.
Le vittime di regola vivono in coppia e si decide a denunciare il compagno/marito per tutelare i figli. Un terzo sono casalinghe mentre la percentuale maggiore sarebbe rappresentata da donne che lavorano fuori casa. Ciò potrebbe far affermare che un’occupazione fuori casa è una forma di tutela per la donna lavoratrice che, sentendosi più forte e autonoma, è meno disposta a sopportare i soprusi del maschio convivente. Non ci sono dati esaustivi sulla tipologia e occupazione dell’aggressore anche se da più studi a livello mondiale si può concludere che la violenza è trasversale in tutte le classi sociali e occupazioni. (fonte: “Violencia de gènero y la administraciòn de la justicia” – SERNAM 2012)
Cile. Il personaggio: “Gabriela Mistral” Pubblicato il febbraio 19, 2014 da bertaro
Gabriela Mistral (pseudonimo di Lucila de María del Perpetuo Socorro Godoy Alcayaga; Vicuña, 7 aprile 1889 – New York, 10 gennaio 1957) è stata una poetessa, educatrice e femminista cilena. Fu la prima donna latinoamericana a vincere il Premio Nobel per la letteratura, nel 1945. Educare Educare è equipaggiare il motore di una barca… Serve prendere le misure, pesare, equilibrare… e mettere tutto in funzione. Ma per questo si deve avere nell’animo un po’ del marinaio… un po’ del pirata… un po’ del poeta… e un chilo e mezzo di pazienza concentrata. Ma è consolante sognare, mentre si lavora, che quella barca, quel bambino, prenderà il largo, se ne andrà lontano. Sognare che quel bastimento porterà il nostro carico di parole verso porti distanti, verso isole lontane. Sognare che quando si sarà messa a dormire la nostra barca, nuove barche porteranno inalberata la nostra bandiera.
Cile. La condizione dei popoli indigeni: “I mapuche” Pubblicato il febbraio 24, 2014 da bertaro
Si tratta della seconda parte di un articolo apparso sull’Internazionale del 18 gennaio 2012. In breve viene spiegata la discriminazione contro il popolo mapuche. Gli occhi neri di Lautaro gettano migliaia di lampi. Come soli fanno germogliare i solchi come soli guidano l’avanzata di un popolo combattente che non vuole essere schiavo come un puma in gabbia (Rayen Kvyeh – poetessa mapuche) . (…) In Cile vive un milione di mapuche, molti dei quali sono discriminati. Avere un cognome mapuche è uno svantaggio quando si cerca lavoro e non è un caso che l’Arauracanìa sia ancora la zona con la maggiore percentuale di cileni poveri. I mapuche, il sei per cento della popolazione del paese, non hanno avuto le stesse opportunità degli altri cittadini. Sono stati segregati e definiti spesso pigri, stupidi, traditori, testardi e ubriaconi. Il Governo dovrebbe avviare dei programmi sociali per le famiglie mapuche più povere, per esempio stanziando un sussidio mensile alle madri a condizione che mandino i figli a scuola e li portino dal medico. Potrebbe anche essere utile concedere ai mapuche delle terre, incentivare tutte
le loro iniziative nella regione o autorizzarli ad aprire dei casinò, come hanno fatto gli Stati Uniti in molte riserve indiane. Si potrebbe inoltre aumentare il sistema di quote per i mapuche nelle università ed estendere i programmi di discriminazione positiva prevedendo delle quote riservate ai mapuche nell’amministrazione pubblica. Tutte queste iniziative possono essere utili, ma non bastano a risolvere il conflitto tra il Cile e l’etnia mapuche. Per trovare una soluzione serve un cambiamento culturale. Per riuscire a integrare i mapuche nella società cilena, ogni cileno dovrà prima accettare che entrino a far parte dell’identità nazionale. (fonte: Internazionale – 18/01/2013)
Cile. La condizione dei popoli indigeni: “L’escalation del conflitto mapuche in Cile” Pubblicato il febbraio 26, 2014 da bertaro
Ancora sul popolo mapuche e sulle lotte impari contro le multinazionali e lo stato, informazioni diffuse dalla stampa internazionale. Da anni i mapuche lottano per riappropriarsi della loro terra. La guerra è impari: i latifondisti potenti da una parte e una popolazione umiliata dall’altra. Il governo ha finora arginato il conflitto schierando forze di polizia ma non è così che si risolve il problema. Siamo arrivati persino a reintrodurre la legge antiterrorismo emanata durante la dittatura militare di Pinochet! Di conseguenze gli attivisti Mapuche vengono condannati a pene detentive e pecuniarie sproporzionatamente alte, i minorenni vengono processati e condannati come se fossero adulti. Agli inizi di gennaio 2013 le tensioni sono aumentate a seguito del quinto anniversario della morte di Matìas Catrileo, un ragazzo mapuche ucciso nel 2008 dalla polizia cilena dopo essere entrato senza permesso in una proprietà privata che, secondo lui, apparteneva ai suoi antenati.
Rappresentanti della Chiesa cattolica e il premio Nobel per la Pace Adolfo Perez Esquivel hanno chiesto al governo di prendere sul serio le richieste dei Mapuche e di avviare trattative reali. Complessivamente la popolazione e le comunità mapuche chiedono la restituzione di almeno 700.000 ettari di terra che erano già stati loro restituiti con la riforma agraria di Salvador Allende (1970-1973) e subito dopo riespropriati dalla dittatura militare del generale Augusto Pinochet. L’agenzia statale Conadi, tra i cui compiti figurerebbe anche l’acquisto di terre dai latifondisti e dalle imprese per restituirle ai Mapuche, non dispone dei necessari mezzi finanziari e istituzionali per poter assolvere in modo soddisfacente ai propri compiti. I Mapuche detenuti continuano a rischiare la propria vita con scioperi della fame prolungati, che sono ormai l’unica possibilità loro rimasta per ottenere l’attenzione sulla situazione delle loro comunità. Inoltre si moltiplicano le denunce di perquisizioni particolarmente brutali, di maltrattamenti e trattamenti umilianti in carcere. I rappresentanti delle comunità mapuche infine lamentano il clima di paura in cui crescono i bambini. Dal 2002 ad oggi 8 esponenti Mapuche sono stati uccisi dalle forze dell’ordine. Nel 2009 le Nazioni avevano sottolineato la scarsa conoscenza che esiste in Cile del patrimonio di diversità etnica e culturale: «Bisogna iniziare un processo di avvicinamento interculturale, iniziando dalle scuole, dai più piccoli, educando alla differenza» c’era scritto nel rapporto sul Cile. Sempre nello stesso documento si affermava l’obbligo da parte del Cile alla restituzione delle terre ancestrali appartenenti ai popoli indigeni e allo stanziamento di fondi per rendere effettivo il ritorno delle terre alle popolazioni. Le violazioni più gravi verso il popolo mapuche sono commesse dall’Esercito e dalla Polizia come riportato anche nella relazione del Comitato Contro la Tortura delle Nazioni Unite, nel quale si è fatto esplicito riferimento a maltrattamenti che si trasformano in veri e propri casi di tortura, all’ impunità imperante per cui chi commette le violazioni non viene mai giudicato e condannato (fonte sintesi di vari articoli pubblicata su carta e sul web)
Cile. L’adozione in Cile vista da una coppia Pubblicato il marzo 3, 2014 da bertaro Abbiamo tralasciato la parte iniziale per concentrarci sull’ultima parte dell’intervista che ci sembrava più significativa. di Egizia Mondini (…) Come avete scelto di adottare una bambina cilena? La maggior parte dei paesi richiede che le coppie siano sposate da un certo numero di anni. In Cile invece non c’è questo parametro, per questo l’ente che ha seguito la nostra adozione ci ha consigliato questo paese. Un giorno ci hanno chiamato per parlare di quello che viene chiamato ‘abbinamento’. Ci hanno raccontato la storia di questa bambina, il suo background, e poi ci hanno fatto vedere una foto. Quindi c’è tutta una relazione con i servizi sociali che ti fa ‘conoscere’ la bambina prima di vederla. E la stessa cosa avviene per la bambina. Noi abbiamo preparato un dossier fotografico che è stato mostrato alla bambina dal momento che le è stato detto che era stata
trovata una coppia di genitori per lei. Un album fotografico che ha fatto mia moglie con le nostre foto, la nostra casa, i nonni, l’auto, la bicicletta, tutto quello che serve a dare un inizio di preparazione per capire con chi andrai a vivere. Una fase preparatoria pensata molto bene che ti permette di arrivare all’adozione gradualmente. Poi siamo partiti per circa due mesi per il Cile. Abbiamo fatto un primo incontro con i servizi sociali di Santiago e poi con la bambina che viveva in un istituto. Parlaci della prima volta che avete incontrato vostra figlia… Il primo incontro è una cosa che non è possibile descrivere. È inutile fare giri di parole. Sei in una specie di catalessi, di sogno. Poi lo gestisci, in qualche maniera miracolosa tutto va bene. Siamo state con lei un paio d’ore, abbiamo giocato insieme, ci ha mostrato la sua stanza, abbiamo chiacchierato, ci siamo ambientati. Poi è venuta via con noi, accompagnati da una persona che fa da interprete e da guida, e siamo stati al parco. Poi è tornata a dormire nell’istituto per una notte. Siamo tornati la mattina seguente e poi è venuta a stare con noi. È stato amore a prima vista? In realtà ci vuole spesso molto tempo prima che diventi amore padre/madre e figlio/a. Nostra figlia all’inizio era un po’ paralizzata ma dopo poco, essendo una bambina intraprendente e affettuosa, si è aperta a noi. Ci sono bambini che ti saltano subito al collo e altri che piangono e non vogliono venire con te. È una grandissima incognita. Per noi è stato abbastanza amore a prima vista, perché è una bambina simpatica, socievole, che sa farsi voler bene. Poi naturalmente ci sono dei momenti difficili in cui ha avuto paura, è stata frustrata, arrabbiata. Non è sempre tutto facile. La bimba si ricorda della sua famiglia di origine? Abbastanza. A volte ne parla, ma non troppo. È una bambina molto intelligente e ha un’ottima memoria, per cui sono certo che si ricorda molte cose, anche se alla sua età non saranno ricordi precisi. Magari ne riparlerà in futuro. In Italia come si trova? Mia moglie parla spagnolo. Poi abbiamo imparato il cileno, anche grazie a lei. Parlava bene italiano dopo soli 2 mesi. L’inserimento in Italia è stato assolutamente positivo. Ma anche grazie al suo carattere. Consiglieresti l’adozione? L’adozione è abbastanza complicata ma nella maggior parte dei casi non è difficile. Ci sono molte persone che potrebbero affrontare questo percorso se sapessero un po’ di più come funziona. C’è tanta ignoranza su questo argomento, speriamo anche con la nostra storia assolutamente positiva di essere utili e incoraggianti in questo senso. (fonte: Donna moderna – 20/05/2013)
Cile. Il personaggio: “Padre Alceste Piergiovanni Ferranti” Pubblicato il marzo 5, 2014 da bertaro La dolcezza di chi capisce e sente cosa significa essere soli.
In questa frase è sintetizzata, secondo noi, la personalità di Padre Pier. Padre Alceste Piergiovanni Ferranti era un sacerdote dell’Ordine della Madre di Dio, nato nel 1929 a Tuscania. Poco tempo fa è stato ricordato nei dieci anni della sua scomparsa avvenuta nel 2003. Entra nell’ordine molto giovane e dopo un’esperienza di due anni in un orfanatrofio italiano, viene mandato, a soli 27 anni, in Cile. Qui ha il compito di organizzare le colonie estive per bambini di famiglie disagiate. Sarà durante quest’esperienza che s’imbatte nel dramma dei piccoli senza famiglia e decide di dedicare la sua vita a loro. Fonda vari istituti in diverse aree del Cile, accogliendo bambini dalla tenera età fino agli adolescenti, attento alla loro formazione in modo da fornire loro gli strumenti per camminare da soli. Il suo progetto, partito in Cile negli anni settanta, anticipa la legge 184/83, la Convenzione dell’Aja del 1993, la legge 476/98. In estrema sintesi i punti essenziali sono: Profonda conoscenza del minore, del suo paese e della coppia prima dell’abbinamento Esperienza della coppia all’interno dell’hogar dove vive il bambino per tutto il periodo di permanenza nel paese Trasmissione dell’orgoglio per la terra di origine dei propri figli Particolare attenzione ai bambini grandicelli Supporto a minore e famiglia in tutto l’iter pre e post adottivo Creazione di rete di amicizie e solidarietà Alternativa immediata al presentimento di rischio fallimento adottivo Abbiamo chiesto ad Enrico, che lo ha conosciuto da vicino, di farci un ritratto: “Descrivere padre Alceste non è semplice, chi lo ha conosciuto solitamente ne ha un ricordo intimo, personale, che custodisce con gelosia forse per paura che gli venga tolto questo ricordo
rassicurante. Ne parla con affetto, ma in modo quasi superficiale, come a dire “lui è nel mio cuore là deve rimanere, mio e basta”. Descrivere la sua attività nel mondo delle adozioni internazionali è ancora più complesso, in quanto il percorso adottivo è “per tutta la vita “ perché coinvolge la famiglia nei singoli aspetti sociali ad essa legati, prima durante e dopo. Lui era comunque presente in tutte le fasi.” (…) Il resto del ritratto lo potete leggere su http://www.8ealtro.it un sito che parla di lui e della sua opera, del Cile sua seconda patria (legislazione, iter adottivo, costumi, consigli partici…). Un sito che raccoglie anche materiale prezioso sul mondo delle adozioni per chi ne vuole sapere di più e per chi considera l’adozione un’avventura umana. Senza pietismi, senza storie patinate. Solo autentica umanità.
Nel 2000 a padre Pier viene riconosciuta la cittadinanza onoraria cilena. “Bisognerebbe davvero chiedersi che cosa ha motivato questo sacerdote in questo compito inesauribile, nonostante la malattia e non poche incomprensioni e indifferenze, con i bambini di questo paese. La sua opera è stata grandiosa e in pieno beneficio dei bambini del nostro paese, opera che ci commuove in forma speciale quando vediamo attraverso i mezzi di comunicazione, il maltrattamento di molti minori che vivono situazioni irregolari, o il traffico di minori che è realizzato da persone senza alcun rispetto per la vita umana. E’ per tutte queste ragioni, che risulta di tutta giustizia dare la nazionalità per grazia a questo instancabile sacerdote, che si è donato per intero in beneficio dei bambini del nostro paese. Per tanto, in merito alle considerazioni anteriori, sollecito si approvi il Progetto di Legge proposto, il cui articolo è il seguente: Articolo 1°- Concedasi la nazionalità cilena, per grazia speciale, al Padre Alceste Pier Giovanni Ferranti. MINISTERIO DEL INTERIOR SUBSECRETARIA DEL INTERIOR LEY NUM. 19.682 CONCEDE LA NACIONALIDAD CHILENA, POR ESPECIAL GRACIA, A DON ALCESTE PIERGIOVANNI FERRANTI
Teniendo presente que el H. Congreso Nacional ha dado su aprobación al siguiente: Proyecto de ley: ” Artículo único – Concédese la nacionalidad chilena, por especial gracia, al sacerdote italiano, don Alceste Piergiovanni Ferranti “
Cile. Per le coppie: “Procedure adottive ad oggi” Pubblicato il marzo 26, 2014 da bertaro Circa un mese fa è apparso questo articolo su El Mercurio, uno dei quotidiani più venduti in Cile (vedi: http://impresa.elmercurio.com//Pages/NewsDetail.aspx?PaginaId=5&bodyid=3&dt=2014feb-18) dove si evidenziava la tendenza delle coppie cilene ad aprirsi alle adozioni dei bambini superiori ai 4 anni. Nel 2013, su un totale di 217 bambini di quest’età dati in adozione, 114 sono rimasti in Cile e 103 sono stati adottati all’estero mentre gli anni precedenti le adozioni estere in questa fascia d’età risultavano più numerose. Il motivo sarebbero i tempi: mentre per un neonato i tempi di attesa per le coppie cilene possono raggiungere anche i 5 anni, per un bambino superiore ai 4 anni basterebbe un anno e mezzo. Secondo l’articolo starebbero anche variando la legge, guardando con maggior favore ai single.
Secondo le tabelle CAI, nel 2013 sono arrivati 71 bambini dal Cile. Questo paese da in adozione quasi esclusivamente bambini di età superiore ai cinque anni a meno che non si tratti di più fratellini e di bambini con bisogni speciali.. Adottando questa politica, il SeNaMe, ente statale equivalente della nostra CAI, consapevole della maggiore difficoltà di inserire in famiglia un bambino grande, ha studiato una guida al fine di fornire consigli pratici per garantire l’esito positivo delle adozioni. Proponiamo alle neo coppie questo vademecum sull’inserimento dei bambini grandi: “Adottare in Cile, un lungo cammino per diventare famiglia” – SeNaMe aprile 2010. Tra i temi trattatti: Aspetti dell’abbinamento Aspetti pratici del post adozione -Le paure ed i timori dei futuri genitori -Le paure ed i timori dei futuri figli(e) Comportamento dei bambini adottati in Cile 1. Bambini con appetito vorace 2. Bambini che non vogliono uscire in strada 3. Bambini regressivi 4. Bambini che si avvicinano solo a uno dei genitori 5. Bambini che evitano il contatto fisico 6. Bambini che fanno le bizze 7. Bambini che nascondono il cibo 8. Bambini che mettono a prova i limiti 9. Bambini con difficoltà nell’attaccamento 10. Bambini che non vogliono andarsene dall’istituto o chiedono di tornarci 11. Bambini che cercano di compiacere sempre l’adulto 12. Bambini che temono un nuovo abbandono 13. Bambini che mentono 14. Bambini che ricordano la loro vita passata
15. Bambini iperattivi 16. Bambini perfezionisti . Altre considerazioni importanti Routine, routine, routine Evita la parola abbandono Rivelazione: un compito necessario La depressione post adottiva Affrontare la depressione post adottiva dei genitori adottivi Adottare un fratello Gelosie e rivalità tra fratelli E’ l’età o è l’adozione? Per scaricare il vademecum vedi http://8ealtro.it/files/6-ADOZIONE-BAMBINE-E-APRILE.pdf Si veda anche http://www.commissioneadozioni.it/it/per-una-famigliaadottiva/paesi/america/cile.aspx
Cile. Blog: “Un modo diverso per rispondere alle mille domande sul Cile” Pubblicato il marzo 24, 2014 da bertaro
Questa è un immagine di Valparaìso, una città in fermento da quando nel 2003 è stata dichiarata patrimonio dell’Umanità dall’Unesco. Da allora i cileni hanno capito che la loro città era piena di fascino e la stanno trasformando in un centro di attrazione per i turisti. Il museo delle belle arti ha riaperto nel settembre del 2012 dopo una chiusura di 15 anni. E’ ospitato in una villa dei primi del
novecento e ha più di duecento dipinti di artisti cileni ed europei. Nel 2012 i turisti sono raddoppiati rispetto al 2010. Consigli di viaggio, cultura, folklore e poi foto, libri e cibi da assaggiare se si vuole scoprire il gusto profondo e autentico del Cile. Questo è il blog di Perla Simeone che vive da qualche anno a Santiago e vuole condividere le sue esperienze. Lo fa con entusiasmo accompagnata da un cileno di origine che l’aiuta a sviscerare anche alcuni aspetti burocratici. http://vivereincile.wordpress.com/
Cile. Film: “No – I giorni dell’arcobaleno” di Pablo Larraìn (Cile 2012) Pubblicato il marzo 28, 2014 da bertaro Vedi - https://www.youtube.com/watch?v=pwexb6gwYEw Per completare la nostra indagine sul Cile non poteva mancare questo film fresco e giovane. “Chile l’alegrìa ya viene” è il tormentone studiato da un giovane pubblicitario, Renè Saavedra, per vincere il referendum del 1988, indetto da Augusto Pinochet, su pressione internazionale, come test sulla sua presidenza dopo 15 anni di dittatura. E’ un film ottimista dove un gruppo di giovani si mette insieme e cerca di smuovere un paese stanco e triste. Ne esce un’immagine del Cile gioiosa con la popolazione che alla fine ritrova il suo carattere fiero e forte. I documenti televisivi della propagande per il SI e per il NO sono autentici. Sono inventati, invece, i personaggi del film anche se le dinamiche potrebbero avvicinarsi al vero. Colpiscono le immagini di normalità della vita di tutti i giorni della gente comune sotto l’ombra cupa dell’esercito, anche solo per incutere paura. Al di là dell’indimenticabile vicenda cilena e della dura denuncia contro la dittatura e la sua violenza, il film lascia spazio ad altre chiavi interpretative: rapporto tra politica e media, tra arte e compromesso, tra tv e cinema. Noi preferiamo l’interpretazione dell’”energia del fare” che calza con il nostro tempo italiano: si può sempre riprendere in mano la nostra vita, trasformare il negativo in positivo, in qualsiasi momento. Non a caso il film è stato proiettato all’interno della rassegna “Cinema e Lavoro” su proposta dal Coordinamento Giovani del sindacato. Il film si è aggiudicato parecchi riconoscimenti ed è il terzo di una trilogia dello stesso regista dopo “Post Mortem” (ambientato nel 1973) e “Tony Manero” (ambientato nel 1978) entrambi collegati ad un discorso politico sul Cile. Adatto a chi crede nel cambiamento e nella forza delle parole per avvicinare le persone.