"DIALOGHI FAMILIARI SOPRA LA PITTURA DIFESA ED ESALTATA..." DI PADRE FEDELE DA SAN BIAGIO, LE OPERE PITTORICHE TRA XVII E XVIII SECOLO NELLA CULTURA ARTISTICA SICILIANA. INDAGINE E CATALOGAZIONE MULTIMEDIALE.
I.
Il panorama artistico-culturale siciliano nel Settecento
Allo scadere del XIX secolo, è un nuovo corso, iniziato da studi europei (gli indirizzi metodologici della Scuola di Vienna) e italiani (con Adolfo Venturi in testa), ad investire manifestazioni artistiche interessate da una nuova rivalutazione dell’arte settecentesca nella locale letteratura artistica. Tale orientamento si volge a colmare una lacuna storiografica determinata dai canoni classicisti imperanti anche nel coevo pensiero estetico (ancora attardato nell’Ottocento su posizioni winckelmanniane e mengsiane), che avevano comportato la svalutazione nei confronti dell’arte barocca e rococò. In Sicilia, in particolare, fu avvertito in questi anni il ritardo negli studi sulla storia dell’arte isolana, al confronto con altre “scuole” regionali, che stimolò un nuovo impulso di ricerca su momenti e ambiti artistici (l’arte barocca, appunto, e le arti decorative). In tale contesto si colloca la riscoperta di artisti di prima linea del Sei e Settecento siciliano: se il caso più vistoso di recupero critico è fuor di dubbio Giacomo Serpotta, di cui proprio in questi anni si metterà a punto una serie di studi e aggiornamenti, anche la pittura fiamminga fu oggetto di analisi e approfondimenti. Figure di conoscitori e storici dell’arte quali Giuseppe Meli, Gioacchino Di Marzo o Enrico Mauceri, offrono i più maturi segnali di tale tradizione di studi sul Settecento locale, appoggiando i nuovi metodi di ricerca sulle basi gettate da eruditi quali Padre Fedele da San Biagio. Le tematiche riguardanti l’aspetto artistico nel panorama culturale della Sicilia del Settecento appaiono variegate e assai complesse, e non è questa la sede per darne I
una rassegna esaustiva. Tuttavia, vi sono alcuni aspetti ai quali è necessario accennare per meglio cogliere il contesto in cui si affaccia uno scritto come i “Dialoghi” oggetto di questa Tesi. Bisognerà innanzi tutto tener conto della situazione storica e politica, culturale in senso lato, che ha influito in maniera essenziale sul modo in cui le scelte artistiche e quelle legate alla committenza sono andate stratificandosi, venendo a creare quello che è lo straordinario patrimonio prodotto dalla cultura settecentesca isolana. L’avvento della sovranità piemontese a partire dal 1713 e la conseguente fine della dinastia spagnola, non hanno un immediato riscontro nella produzione artistica siciliana. La forte continuità con la tradizione precedente è dimostrata dal riscontro nelle soluzioni decorative adottate negli edifici religiosi e civili: i fitti corredi mostrano ancora chiaramente influssi iberici. Le stesse caratteristiche si ritrovano anche nelle arti minori e negli apparati effimeri che ci sono noti attraverso i disegni. Le mutazioni di gusto, dove si presentano, sono rivolte all’Europa e all’Austria in particolare. Gli influssi delle culture extraisolane si devono principalmente all’usanza dei viaggi (che sfocerà da lì a poco nella moda del Grand Tour) che si compiono fuori dall’isola, non più solo verso Roma, da sempre meta “formativa” degli artisti, ma anche fuori dall’Italia: sono artisti, sì, ma anche notabili della cultura più aggiornata (ad esempio il principe di Belmonte) che si fanno portavoce delle nuove istanze e che al contempo forniscono l’appoggio per l’arrivo in Sicilia di grandi nomi del clima intellettuale e dell’arte. Un altro aspetto al quale si può solo accennare, riguarda la nascita delle Accademie, che a patire dal Seicento con quella dei Carracci, acquisivano un’importanza sempre maggiore. A Palermo spicca quella del Buon Gusto, il cui fine era “illustrare in tutti i suoi punti la Storia di Sicilia e coltivare oltre a ciò la poesia e le II
pulite lettere” 1, di cui Padre Fedele fu membro. Queste istituzioni, che favorivano scambi e conoscenze grazie agli apporti con altre istituzioni analoghe dislocate in tutta Italia, tra l’altro supplivano all’assenza delle biblioteche ed erano frequentate dalle personalità di maggiore spicco: solo per citare alcuni nomi, il Villabianca, Ignazio Paternò Castello principe di Biscari, Alfonso Airoldi, Gabriele Lancillotto Castelli principe di Torremuzza, erano membri della citata Accademia del Buon Gusto, mentre Ludovico Antonio Muratori, Scipione Maffei, Metastasio2 erano soci della “concorrente” Accademia degli Ereini fondata dal canonico Mongitore e da Lorenzo Migliaccio3. Oltre l’indubbio influsso delle Accademie, si riscontra un condizionamento tra cultura isolana e il barocco di matrice romana e marattesca in particolare, che si fonde con gli esiti di un’impronta novellesca e il “linguaggio figurativo tardo barocco ad opera del Grano e del Tancredi”4. Sulla scorta del nuovo trend culturale, la cultura figurativa tardo-manierista, forte delle sue componenti desunte da artisti quali Paladini, Barocci, Zuccari, si evolve nello stile degli epigoni del Novelli, come ad
1 L’ “Accademia del Buon Gusto” fu fondata nel 1718 da Pietro Filangeri principe di Santa Flavia. L’inaugurazione ufficiale avvenne il 18 settembre 1718 con un’orazione di Giacomo Longo, “Oratio ad Siculos sive excursus varius rei literariae praesertim Siculae, ad bonam mentem exercendam (Inedita, B.C.P., Qq. F. 7, n.7). Ebbe sede nel palazzo di questi, anche dopo la sua morte, sino al 1790 quando fu trasferita nel palazzo del Senato di Palermo. “Fu oggetto di questa accademia illustrare in tutti i suoi punti la storia di Sicilia, e coltivare oltre a ciò la poesia e le pulite lettere; affinché richiamato si fosse il gusto, che sul cominciare di quel secolo vizioso, e scorretto ancor durava in Sicilia. A questo ottimo intendimento felici corrisposero e i progressi e la riuscita. La accademia del Buon Gusto fu in quei tempi l’arena, in cui si esercitavano, ed affinavano gl’ingegni, e divenne per li giovani un mercato di cognizioni e di scienza”. D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, Palermo 1824-27, 2a ed. con introduzione di Virgilio Titone, Palermo 1969, I,p. 67. Il suo stemma è un prato fiorito con api svolazzanti, sormontato dal motto “Libant et probant”. Successivamente lo stemma fu modificato: un tondo con le api e l’insegna municipale, un’aquila ad ali spiegate. Con il 1833 abbandonò la denominazione di originaria per assumere quella di “Accademia di scienze, belle lettere ed arti”. Con il nuovo Statuto approvato il 22 settembre 1884, ricevette il titolo di Reale venendo così a trovarsi inserita tra le maggiori Accademie d’Italia. L’Accademia si divide in due classi: una di scienze matematiche e l’altra di scienze giuridiche, filologiche, storiche e filosofiche. Essa svolge la propria attività attraverso adunanze, conferenze, discussioni, inaugurazioni e commemorazioni. L’Accademia dispone di una biblioteca specializzata ricca di atti accademici, compreso il fondo librario della cessata biblioteca filosofica e quello della biblioteca musicale. Attualmente è disciplinata dallo Statuto del 7 maggio 1954. Per la storia dell’Accademia cfr. L. Alessi, 1925; G. Giarrizzo, 1980, in part. p. 810 n. 4 2
M. G. Paolini, 1985, pp. 15-33 G. Bentivegna, 1999,p. 59 4 G. Costantino, 2002, p. 21 3
III
esempio Francesco Narbone – un altro artista la cui formazione risente dell’impronta marattesca – “principale destinatario delle più importanti commissioni” ad Agrigento5. La produzione artistica e letteraria di Padre Fedele va considerata nel contesto culturale della Sicilia occidentale, dove la fusione di classicismo e barocco, mediati dalla lezione del Conca, gli permisero di sviluppare un linguaggio figurativo personale improntato su una “forte capacità di rielaborazione, grazie al pieno dominio da parte del pittore di un repertorio figurativo, di solide regole accademiche, di una acuta capacità di lettura dell’opera dei grandi artisti…”6
5 6
Eadem, 2000, pp. 19-26 Eadem, 2002, p. 27 IV
═══ Capitolo Primo ═══
I “Dialoghi familiari sopra la Pittura” di Padre Fedele da San Biagio
I.
Classicismo e concezione moralistica dell’arte in Padre Fedele: aspetti storico-critici e didattici dei “Dialoghi”
I “Dialoghi familiari sopra la pittura difesa ed esaltata dal P. Fedele da S. Biagio pittore cappuccino col Sig. Avvocato D. Pio Onorato palermitano alla presenza de’ suoi Allievi nella Bell’Arte, disposti in quindici giornate…” furono editi a Palermo da don Antonio Valenza, impressore camerale, nel 1788; il frate cappuccino dedicò l’opera al Duca D’Angiò Giovanni Giojeni Valguarnera, suo mecenate. L’opera di Padre Fedele da San Biagio, che ha una struttura dialogica, si colloca nel panorama letterario siciliano del Settecento con una formula che si avvicina a quella della trattatistica toscano-veneta di Cinque-Seicento, legandosi alla tradizione fondata da Paolo Pino7, Ludovico Dolce8 e Raffaele Borghini9, che fino a quel momento non aveva attecchito nella cultura isolana. Lo scritto del Tirrito, nella sua forma dialogica, risulta innovativo rispetto alla trattatistica isolana coeva e precedente quasi sempre strutturata sotto forma di biografie di artisti, sebbene siano pochi i riferimenti eruditi, ad esempio a Cannizzaro, Mangananti, Mongitore, solo per fare alcuni nomi, e manchino gli accenni alla fiorente attività editoriale di Palermo e Messina. Fornendo un supporto alla storiografia artistica coeva e successiva, lo scritto del frate cappuccino si è affermato, specie negli anni più recenti, come ausilio alla ricostruzione del percorso artistico degli artisti, siciliani e non, che maggiormente contribuirono alla formazione della cultura figurativa della Sicilia, tentando una 7
P. Pino, 1548 L. Dolce, 1557 9 R. Borghini, 1584 8
V
sintesi di concetti generali e nozioni particolari della teoria sull’arte, riducendola ad una didattica di queste nozioni10. Fin dal frontespizio, è evidente l’intento didascalico dell’opera, riflesso dell’attività didattica del frate, che già da tempo teneva un’affermata scuola di pittura all’interno del Convento dei PP. Cappuccini di Palermo. Le motivazioni che spinsero Padre Fedele a scrivere i “Dialoghi” furono, “il desiderio di fornire notizie sulle opere d’arte della città capitale del regno e sugli artisti siciliani, che non sono conosciuti né elogiati dal pubblico; in secondo luogo il desiderio di affermare e sostenere il primato della pittura di fronte alla scultura; infine il proponimento di emendare gli artisti dall’eseguire dei soggetti da lui definiti ‘scandalosi’, oppure delle favole ‘menzognere e lascive’” 11. Il trattato affronta l’argomento sul duplice aspetto teorico e pratico; sempre con una impronta retorica Padre Fedele riaffronta l’ormai usuale tema dell’oraziano Ut pictura pöesis12 affermando che “…molti vogliono posporre la bella Pittura alla Scultura, come più antica, più nobile, e più difficile. Onde io colle ragioni, e colla pratica dò a vedere la differenza che passa tra l’una, e l’altra, godendone la Pittura con preferenza il Primato”13. Tra le varie “specializzazioni” della pittura, ovviamente, Padre Fedele patrocina soprattutto quella di historia14, la più nobile perché l’unica capace di esprimere gli affetti dell’animo umano. Secondo i suoi precetti “il vero pittore dev’essere ben informato dell’Istoria Sagra e Profana; dell’anatomia esteriore; del punto geometrico, e di tutt’altro, che necessariamente si ricerca per esprimere in tela ogni soggetto, che verrà proposto; ed in somma son di parere, che un uomo fornito di tutti codesti pregi, e talenti, lo costituiscono vero Pittore, se gli mancasse soltanto l’abilità di saper dare alle sue figure l’espressione dell’animo; delle interne passioni del cuore, allora non si 10
Cfr. D. Malignaggi, 1985, p. 352 Eadem, p. 351 12 L. Grassi – M. Pepe, 1989, pp. 904-908 13 P. Fedele da S. Biagio, 1788, p. XIV; S. La Barbera, 1997, p. 115 14 Idem, 1788, p. 23 11
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potrà chiamare vero Pittore, se questi non sa muovere a chi mira le sue figure alla medesima passione, ch’esprimono le dipinte. Siccome il Poeta non può chiamarsi tale, ma versificatore, se colli suoi versi, di qualunque genere, non muove gli animi all’amore della virtù, ed all’odio del vizio detestabile”15. Padre Fedele fa sostenere al suo interlocutore D. Pio, ingenuo e, in fondo, ignorante di arte, le motivazioni a sostegno della scultura, difendendone la maggiore “naturalezza”, giungendo ad ammettere che la scultura ha un grande pregio in quanto per “eternare le memorie de’ Monarchi si eriggono statue di marmo o bronzo, e restano a perpetuo esempio, ed imitazione dei posteri”16; comunque il Tirrito non cede il passo, e giunge a dichiarare che “la nobil arte della Pittura è la regina delle arti liberali, perché più bella, più vaga, più nobile, e la più rispettabile in tutto il mondo”17, ripetendo quasi gli stessi elogi nell’ottava giornata, quando sostiene che “…la nobilissima arte della Pittura è più perfetta, poiché più antica, più nobile, più difficile, più vantaggiosa, più dilettevole, più durevole, più gentile, più rispettabile, e più naturale all’imitazione di quanto è visibile, e perciò degna di ogni onore e rispetto”18. Ad avvalorare la sua posizione di obiettività nell’esprimere un giudizio sulla priorità delle arti, il Tirrito “chiama in causa anche un suo discorso che dichiara di avere letto all’Accademia del Buon Gusto, in cui trattava dell’eccellenza delle tre arti. Ma questo potrebbe essere un motivo ricorrente nell’ambito delle Accademie, che non proverebbe l’adesione del nostro autore alle nuove correnti del pensiero artistico”19. A supporto della sua idea di superiorità della pittura il frate sambiagese porta tuttavia, tesi tipiche della corrente classicista settecentesca, quali la maggiore complessità delle tecniche e la migliore resa naturalistica, tesi che accentuano 15
Idem, 1788, p. 11 P. Fedele da S. Biagio, 1788, p. 75 17 P. Fedele da S. Biagio, 1788, p. 93 18 Idem, pp. 141-142 19 R. Cinà, 2000-2001, p. 4 16
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ulteriormente le argomentazioni relative alla contestazione antigotica che trapelano dalle pagine dello scritto20. La condanna dell’arte gotica21 è condotta in nome di criteri quali la “Simmetria”, l’“Ordine”, la “Giusta Disposizione delle parti” e l’ “Uniformità”. I precetti di carattere didattico che Padre Fedele espone, quali l’abilità disegnativa non scissa da una cultura letteraria e scientifica che sono caratteristiche imprescindibili del buon pittore, sono manifestati attraverso la menzione di artisti e opere, tramite i quali il Tirrito lascia trasparire elementi pregnanti dell’estetica del tempo, come l’assoluta unione tra disegno e colore, asserendo infatti che il provetto pittore “deve essere in primo luogo un valente disegnatore, che sappia con perfezione contornare, concepire e mettere in pratica…”22. Tra le prerogative del buon pittore, oltre le capacità nel ben disegnare, contornare, colorire, non devono mancare le cognizioni di prospettiva, anatomia e la conoscenza di storia sacra e profana. Sempre nel pieno dell’ottica settecentesca si collocano quei precetti relativi alla realizzazione dei colori e alle regole di metodica pittorica; egli infatti ci fa sapere che la sua bottega era provvista di bozzetti, disegni accademici dei grandi artisti del Cinque e Seicento e modelli di gesso e creta rivestiti in carta, sui quali il pittore doveva esercitarsi in mancanza di modelli dal vero. Il frate riteneva opportuno mostrare ai suoi allievi23 dipinti degni di esempio seguendo “la precettistica dell’imitazione nell’arte pittorica, […] un fondamento aristotelico unito agli elementi della dottrina cristiana, secondo i principi della scolastica ancora vigente, che sono stati le qualità tipiche delle teorie dei manieristi 20
P. Fedele da S. Biagio, 1788, p. 130 Ad esempio contesta il modo degli artisti medioevali di rendere i drappeggi e gli abiti: “con piegature soverchiamente taglienti e quadrate [rese] a seconda dell’antica maniera che usarono già alcuni pittori e scultori… quando ancora non si era introdotta la grazia nel panneggiare…”, P.Fedele da S. Biagio, 1788, p. 146 22 P. Fedele da S. Biagio, 1788, p. 11 23 Tra i suoi allievi Padre Fedele menziona Giuseppe Errante, ma è probabile che vi fosse anche Agatino Sozzi (1765-1837), nipote di Olivio e figlio di Francesco; a suo tempo anch’egli occupò la Cattedra di Disegno come Direttore tra il 1795 e il 1837, all’interno dell’Accademia degli Studi di Palermo. Cfr. D. Malignaggi, 2002, p. 27 21
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accademici tra Cinquecento e Seicento”24. Padre Fedele sente come imprescindibile la necessità di accostare le doti naturali dell’artista all’esercizio, che seppur costante, non è sufficiente per la formazione di un pittore valido, ma comunque necessario per la sua corretta preparazione. Con estrema modestia Padre Fedele si dichiara indegno di essere chiamato pittore, in quanto ammette di avere egli stesso iniziato a dipingere per una inclinazione naturale; ciò nonostante ribadisce più volte di avere comunque approfondito quelle che erano le sue naturali disposizioni con lo studio presso la Scuola del Nudo dell’Accademia di San Luca, autentico baluardo del classicismo che il Nostro frequentò tra il 1751 e il 1752, con il Conca, dagli insegnamenti del quale trasse la “corposità statuaria delle sue figure, l’impianto compositivo equilibrato, i rapporti volumetrici tra le masse, gli impasti cromatici”25, dal Benefial26, un altro dei suoi numi tutelari e soprattutto con Olivio Sozzi, che lui stesso definisce suo “primo maestro”. I precetti di tipo iconografico che vengono spiegati dal Cappuccino a Don Pio, sull’esempio del proprio dipinto per l’altare maggiore della Chiesa dei Cappuccini di Palermo, sfociano in un dibattito a sfondo teologico, celato da una sorta di sentimento religioso, espresso dalle immagini artistiche. La necessità di una precettistica delle arti a tal punto definita è giustificata dal fatto che “…Fedele Tirrito accetta la credenza che esse sono artes nel significato del latino-medievale del termine e che come tali possono essere oggetto di un procedimento didattico, che permette la precisazione di regole da apprendere e da mettere in pratica”27. Come giustamente affermato da S. La Barbera28, è evidente nei
24
D. Malignaggi, 1995, p. 69 – A. Blunt, 1966, pp. 147/169 M. Guttilla, 1985, p. 111 26 L’artista, spesso ricordato nei “Dialoghi” fu “uno dei pittori più in auge nell’ambito dell’Accademia di San Luca […] che svolse a Roma un ruolo di opposizione al dilagante accademismo degli epigoni del Maratta, era ben noto anche in Sicilia dove aveva inviato nel ’20, le quattro tele del duomo di Monreale” (C. Siracusano, 1986, p. 325 cfr. P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 251) 27 D. Malignaggi, 1985, p. 352 25
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“Dialoghi” che “…la visione classicistica di Padre Fedele, certamente anche in virtù della sua professione religiosa, abbia un riflesso nella particolare concezione moralistica dell’arte: il decorum di tradizione ciceroniana oltre che compostezza formale e riguardo per la misura, diviene categoria di giudizio per saggiare la liceità di un opera”. Non bisogna dimenticare infatti, che il frate sambiagese è, oltre che pittore e trattatista, anche teologo e autore di drammi a sfondo didascalico-religioso29. In Padre Fedele il rispetto delle norme, dell’armonia compositiva e luministica hanno sempre la priorità, anche se gli spunti tratti dall’estetica classicista sono molteplici. Il coesistere di filosofia rinascimentale e teologia mistica costituiscono un aspetto peculiare del suo classicismo. Per la sua pittura, sentimentale e didascalica,sceglie soggetti semplici, che, resi in maniera sempre pacata mirano ad una imitazione dei modi dell’“Arcadia” rifuggendo gli estremismi barocchi. Nel riaffrontare le tematiche della Querelle des Anciens e des Moderns, nello scritto del padre cappuccino il riconoscimento nei confronti dell’Antico è sempre sottoposto alla preferenza accordata al Moderno, in quanto l’Antichità ha per il Tirrito una valenza solo come “rispetto della regola” e ricerca di quella “grazia” e “naturalezza” che sono ravvisabili nelle opere classiche. L’antico ha valore come precetto compositivo. I moduli interpretativi derivati dai modelli del Maratta, del Batoni e in genere dal classicismo romano più rigoroso,
28
S. La Barbera, 2000, p. 15 Tra gli scritti di chiaro intento moralistico opera di Padre Fedele si ricordano: “Trionfo del Divino Spirito”; “Prodigi della Fede Ortodossa”; “Sacro componimento anacreontico in lode della SS. Vergine Immacolata Madre di Dio Onnipotente da cantarsi a due cori da suoi divoti composta dal di lei servo fr. Fedele da S. Biagio”, Roma 1785; “Lu Giuvini addottrinatu pri nun attaccarisi a li vanita di stu munnu; in versu ottenariu, ed in lingua siciliana, cu l'aggiunta di multi proverbij, uniformi a chiddi di la Sagra Scrittura da lu p. Fidili di S. Brasi predicaturi capuccinu”, Roma 1774; La divina clemenza espressata nella parabola evangelica del figliol prodigo: opera sacrodrammatica-morale del padre fr. Fedele Palermo da S. Biagio…, Palermo 1760 29
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vengono applicati anche alla sua pittura, dove non contraddice con la prassi gli enunciati teorici30. Il Nostro considera i modelli classici utili in quanto valido supporto per lo studio del corpo umano; dalle sue parole si evince che “L’antico […] non riveste per Padre Fedele un ruolo importante dal punto di vista stilistico…”31, discostandosi dall’opinione dei maggiori teorici neoclassici che riconoscevano alle statue greche e latine la capacità di rappresentare la summa del bello esistente in natura emendato “dai difetti che accidentalmente vi si trovano”, seppur dimostrando di avere cognizione dei più considerevoli dibattiti sull’arte32. Le raccomandazioni del Cappuccino che sostiene l’importanza dello studio del nudo attraverso l’uso dei gessi tratti da statue romane33 (a loro volta desunte da originali greci, fatto che il Nostro evidentemente ignora!), rivestono una particolare importanza in un epoca in cui si affermavano le prime accademie del Nudo. Padre Fedele espone nel suo linguaggio schietto e semplice la belloriana Idea del bello34 che sintetizza con il termine “verità”, qualità che il pittore deve esprimere al pari del filosofo, rappresentando il reale come appare alla sua sensibilità estetica più che nella realtà. A dimostrazione di questa tesi ripropone l’ormai tradizionale assunto della selezione delle parti e l’aneddoto su Zeusi e le fanciulle di Crotone35. Il ruolo dell’artista è quello di selezionare ed eventualmente epurare e modificare quanto necessario, affinché il soggetto raffigurato rappresenti la perfezione ancor più che la realtà, e ciò è possibile solo se si applica una corretta prassi pittorica.
30
Cfr. M. Guttilla, 1987, pp. 105-115 R. Cinà, 2000-2001, p. 5 32 A questo proposito cfr. E. M. Falconet, 1761 33 Tale studio riveste una notevole importanza, per Padre Fedele, sia per l’artista che per il conoscitore: cfr. P. Fedele da San Biagio, 1788, pp. 11, 50 e 166 34 G. P. Bellori, 1672; E. Cropper, 2000 35 Il tema è un topos della precettistica sul ‘Paragone’ delle arti dal Rinascimento in poi. Cfr. S. La Barbera, 1997 31
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Padre Fedele è estremamente coerente nel mettere in pratica le sue prescrizioni36, che sono sostenute da ideali estetici di origine classicista, e che trovano riscontro nella produzione pittorica dell’artista cappuccino; i canoni pienamente settecenteschi rimandano soprattutto a quelli propagati dall’Accademia di San Luca, tra le cui fila Padre Fedele indica alcune tra le personalità più prestigiose, e con cui lui stesso intrattenne rapporti. Come ricorda D. Malignaggi37 “i precetti da lui ricevuti nell’Accademia romana sono motivo costante di ricordo e ossequio, essi costituiscono la base teorica e pratica su cui si fonda la scuola di pittura del padre cappuccino”. Il Tirrito esprime un atteggiamento estremamente vicino a quello degli accademici del Settecento, atteggiamento rispecchiato nella scelta di artisti non solo del passato, ma anche contemporanei. L’uso di opere di grandi maestri come esempio nell’insegnamento della pittura, assume un valore universale, in quanto “il riferimento al principio di autorità è quindi una speciale qualità della cultura accademica che Padre Fedele, tuttavia, rende ‘moderna’ facendo riferimento ad artisti del proprio secolo”38. M. Guttilla39 coglie anche “i risvolti moraleggianti” del lavoro di Padre Fedele, considerando l’artista e letterato “ ugualmente distante sia dallo spirito neoclassico che dal gusto barocco e, al di fuori dei movimenti culturali del tempo, sospeso in quell’aura perenne di Arcadia pittorica…”. Non mancano nei “Dialoghi” momenti di una certa originalità, che rendono più leggera la sequela di precetti esposti dall’artista cappuccino, in merito alle tecniche di riduzione dei modelli, dipinti o scolpiti nella proporzione desiderata; nel florilegio delle tecniche di lavoro, risultano particolarmente gradevoli le informazioni sul modo
36
M. Guttilla, 1987, pp. 110-111 D. Malignaggi, 1985, p. 353 38 Idem, 1985, p. 354 39 M. Guttilla, 1987, p. 112 37
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di chiamare modelli e bozzetti da parte degli artisti napoletani, “pupariello”, “macchia”, che Padre Fedele presenta a Don Pio quasi come se fossero delle “curiosità”.40 I bozzetti sono spesso oggetto del discorso tra Padre Fedele e il suo interlocutore, in quanto, la natura e il gusto del suo animo d’artista, lo inducono ad enfatizzare i risultati che i pittori raggiungono nei loro bozzetti, e gli scultori nei modellini in creta41, (pur non mancando di accordare la sua preferenza sempre alla pittura). E proprio i bozzetti, fanno parte di quelle opere minori (o comunque dipinti di piccole dimensioni) del frate sanbiagese, che figurano nei lasciti testamentari42 delle famiglie imparentate con Padre Fedele, a conferma della committenza laica e del numero estremamente vasto di opere da lui prodotte citato nel Ragguaglio.
40
P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 29 D. Malignaggi, 2002, pp. 55-56 42 G. Costantino, 2002, p. 41, p. 42, n. 28 41
XIII
II.
Note biografiche e cenni sulla pittura di Padre Fedele
Non scindendo il duplice aspetto di artista e letterato, Padre Fedele si cala perfettamente nel ruolo culturale settecentesco, maggiormente vicino appunto, alle accademie che non alle botteghe di tipologia medievale (egli stesso era stato socio permanente dell’Accademia Palermitana degli Ereini, e, come si detto, dell’Accademia del Buon Gusto di Palermo e dell’Accademia dell’Arcadia43 di Roma, con il nome di Clorindo Eliniano). Le nuove Accademie istituite nei maggiori centri dell’isola sulla scia della tradizione già consolidata in Europa, perseguono le più svariate finalità, letterarie o più spiccatamente artistiche, ma comunque improntate allo sfoggio dell’erudizione locale, in un contesto culturale in piena espansione; andavano infatti fiorendo le biblioteche e l’istruzione pubblica in genere, che insieme alle altre novità di provenienza europea, finalizzate alla ristrutturazione sociale ed economica (sul fronte delle scienze, dell’arte e della cultura in genere) andavano prendendo piede anche in Sicilia. L’artista è libero e cosciente del nuovo ruolo che assume all’interno della cultura artistica isolana; giustamente la Malignaggi addita il passo relativo a Gaspare Serenario44, in cui Padre Fedele, una tra le prime volte nella storiografia artistica siciliana, fornisce una “valutazione dell’uomo-artista basata su principi di etica borghese, fondati cioè sull’apprezzamento del lavoro”.45 Il cambiamento del ruolo sociale dell’artista era stato reciprocamente influenzato dal rapporto di questi con la committenza, e se in altre aree culturali
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Padre Fedele ne fu membro a partire dalla metà degli anni ’60. P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 249 45 D. Malignaggi, 1985, p. 357 44
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questo mutamento aveva iniziato ad affermarsi già nel XV secolo, in Sicilia bisognerà attendere il compimento del XVIII per vedere fissata la nuova tendenza. Insieme a Padre Fedele, Francesco Susinno46 e Antonino Mongitore47, gettano le basi della nuova storiografia artistica siciliana, prestando maggiormente attenzione al problema attributivo, con interessi culturali innegabilmente più ampi, seppur non riuscendo ancora a sganciarsi da uno spirito campanilistico volto a dimostrare la competitività, se non addirittura l’equivalenza del valore dell’arte siciliana con quella dei maggiori centri di produzione artistica48. Padre Fedele, sia esprimendo opinioni sul ruolo dell’artista, sia fornendo una critica sull’arte a lui di poco precedente e contemporanea, lascia trapelare nel suo scritto, “il sorgere di nuovi ideali di cultura più ampi non legati alla pura tecnica”49. In questa nuova atmosfera si colloca appieno Padre Fedele pittore; dai presupposti pragmatici espressi in teoria nel suo trattato, muove la sua arte, impostata secondo i dettami del più puro classicismo, fondato sulle prescrizioni dell’Accademia di San Luca. Padre Fedele rifiuta in egual misura pittura barocca e pittura neoclassica, per esaltare l’“arte moderna”, prendendo a modello artisti quali Benefial, Conca, Sacchi. Per dimostrare la legittimità dei precetti esposti nel suo scritto, il frate cappuccino enumera all’amico avvocato una quantità di opere e di artisti, corregionali e non. Nella scelta degli elementi da esporre, concentra la sua attenzione sulla “perfezione” degli esempi citati, proprio a dimostrazione dell’inattaccabilità delle sue
46
F. Susinno, 1724 A. Mongitore, 1743 48 R. Cinà, 2000-2001, pp. 1/9 49 D. Malignaggi, 1985, p. 355 47
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affermazioni; infatti “Padre Fedele, attraverso la citazione di artisti e opere d’arte, adduce degli esempi relativi alla prassi che un pittore deve seguire” 50. Riaccostandosi alla tradizione vasariana, il Tirrito aspira ad essere un conoscitore e dimostra di avere una certa familiarità con le opere di cui tratta, per la maggior parte frutto delle fatiche di artisti di lui poco più anziani e che si erano formati alla luce di esperienze romane (eminente il numero di personalità che hanno frequentato l’Accademia di San Luca, quest’ultime, fondamentali nella sua precettistica). I modelli scelti da Padre Fedele dimostrano sempre il rispetto di norme di “decoro” e “convenienza”, e vanno apprezzate soprattutto per i loro contenuti, oltre che per l’aspetto formale. La completezza della figura di conoscitore a cui Padre Fedele aspira, è messa in evidenza dagli aneddoti relativi alla stima delle opere; infatti egli spiega a Don Pio che in più occasioni è stato cercato per valutare l’autenticità o meno di un dipinto, o per stimarne il valore51. In seguito alla querelle avuta con il suo interlocutore, in merito al tipo di cappuccio indossato dal patriarca S. Francesco, Padre Fedele si offre di cancellare la lunetta in un piccolo dipinto raffigurante S. Francesco con l’abito da osservante in possesso dell’avvocato52, affermando così, in modo implicito, una sorta di perizia critica in merito ad un dipinto preesistente e realizzato da altri, sostenendo in modo altrettanto sottinteso quello che era il senso etico ed estetico ma anche la concezione relativa ai criteri estetici della sua epoca. Nelle opere dipinte immediatamente dopo il suo ritorno a Palermo, Padre Fedele imprime quei caratteri accademici che si mettono in stretta relazione con
50
D. Malignaggi, 1985, p. 352 P. Fedele da San Biagio, 1788, pp. 38- 56 52 P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 22 51
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“reminiscenze manieristiche” prediligendo “storie semplici che colpiscono l’osservatore” come accennato da G. Davì53. Nei dipinti del Tirrito appaiono subito come caratteri qualificanti della sua pittura l’impianto compositivo estremamente corretto, ed il colorismo misurato, dove i toni caldi, dorati e marroni, sono a tratti sottomessi a squisite gradazioni di grigi, sottolineando l’equilibrio delicato dei volumi resi con un chiaroscuro vigoroso e un disegno che alterna momenti di evanescenza a momenti di maggiore rigidità. La scelta dei piani prospettici è quasi esclusivamente limitata ai primi piani, spesso annullando ogni illusione di profondità, ponendosi al fruitore del dipinto con un impatto estremamente incisivo. Nelle opere più mature, si denota una più marcata impronta naturalistica, e in dipinti come le Storie della Passione, il Roccaforte54 riscontra un uso del colore volto a sottolineare l’atmosfera del soggetto raffigurato. È notevole l’ascendenza emiliana in molte opere (ad esempio la Giuditta con la testa di Oloferne e Giaele e Sisara, o le Sibille), in cui emergono i richiami a Guido Reni, Guercino e Domenichino. Il Villabianca definisce Padre Fedele “un soggetto virtuoso, che fè onore ai suoi soci per essere stato buon letterato, valente pittore e osservante cappuccino”55, e altre testimonianze vengono dallo Houel, che ne ammirava “la sua modestia e la sua umiltà”56, benché lo scrittore francese abbia avuto modo di conoscere solo una quantità limitata della produzione di Padre Fedele, durante la sua visita presso l’atelier del pittore nel corso del suo viaggio siciliano del 1776.
53
G. Davì, 2002, pp. 48-49 P. Roccaforte, 1968, pp. 33/36 55 F. M. Emanuele e Gaetani di Villabianca, 1801, ms. B.C.P., ai Ss. Qq-E-7, Cfr. P. Roccaforte, 1968, p. 80 56 J. Houel, 1782, v. I, p. 70, cfr. P. Roccaforte, 1968, p. 80 54
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Il ruolo di teorico dell’arte era maggiormente preso in considerazione dagli studiosi del XVIII e XIX secolo: la pittura de Tirrito è considerata ordinaria da Errante, Di Ferro, P. Antonino da Castellammare, Gambino e Rezzonico57. Queste valutazioni trovano riscontro in anni più recenti nello studio del Roccaforte che mette in risalto il ruolo della pittura nella vita del frate sambiagese, che dice “affascinato dagli splendori dell’arte”, nonostante la sua “…squisita sensibilità, che lo spinse ad interpretare ottimisticamente l’universo e ad entusiasmarsi di ogni cosa bella e buona” 58, pospose sempre l’arte al rispetto delle regole e agli impegni della vita religiosa. Va precisato che la moderna critica sulla pittura di Padre Fedele pone la sua attenzione all’opera dell’artista cappuccino attraverso le parole di Maria Accascina, che ne coglie i caratteri salienti e l’elaborazione di un suo linguaggio personale rispetto a quello dei maestri Olivio Sozzi e Sebastiano Conca59. Da questi studi infatti, hanno preso le mosse le indagini di P. Domenico da Partinico60 e del sopraccitato Roccaforte. Negli stessi anni in cui la Sicilia viveva un intenso fermento in campo artistico, dovuto sia alla richiesta di grandi imprese decorative da parte degli aristocratici e dei religiosi a seguito degli impulsi di rinascita dettati dalla presenza a dei Viceré borbonici, sia alla Riforma cattolica promossa da Gesuiti e Francescani, Padre Fedele fu avviato agli studi in Seminario ad Agrigento intorno ai quattordici anni,61 dove compì la sua formazione che fu favorita allo scopo di affinare uno strumento di evangelizzazione e di diffusione del culto francescano e cappuccino. Quest’aspetto è manifesto nella scelta dei temi, che costituiscono una sorta di filo conduttore insieme al modo d'esprimersi popolaresco chiaramente rivolto ad un ceto 57
Per la bibliografia relativa, cfr, P. Roccaforte, 1968, pp. 74-76 e G. Costantino, 2002, pp. 19-45 Idem, 1968, pp.76-77 59 M. Accascina, 1930, pp. 501-504 60 D. da Partinico, 1966, pp. 436-454 61 Per le informazioni biografiche su Padre Fedele cfr. Ristretto Ragguaglio… ms. sec. XIX, BCP 58
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sociale poco elevato, che il Nostro condivide con artisti quali fra Felice da Sambuca (anch’egli cappuccino) e fra Stefano da Carpi. Le prime opere del Cappuccino riflettono lo studio alla scuola del Sozzi, la conoscenza delle opere conservate presso il convento di Casteltermini e la chiesa madre di S. Biagio e l’influenza in genere del retroterra artistico girgentano: ad esempio, la Fuga in Egitto e Gesù tra i dottori sono un lampante esempio di come i modi dei più affermati artisti attivi ad Agrigento, quali Narbone e Provenzali, ma anche Pellino o Crestadoro, abbiano contribuito alle sue scelte compositive e formali62. La Natività di Maria63 e la Madonna del Latte64 sono tra le opere che mostrano una più evidente ascendenza conchiana. Di è entrambe non è possibile identificare il luogo per il quale erano state realizzate, nonostante le molte informazioni sulla vita e l’attività del Tirrito che ci giungono dal Ristretto Ragguaglio65 dettagliata opera biografica in forma manoscritta lasciataci da un nipote. Ed è sempre grazie al Ragguaglio che possiamo ascrivergli un S. Francesco d’Assisi oggi non più identificabile, una tela raffigurante l’Addolorata, il ritratto del Cardinale Casini66, e la Madonna e Santi cappuccini. La produzione pittorica di Padre Fedele fu infatti estremamente vasta, ma molte opere non ci sono pervenute; tra quelle probabilmente perdute per sempre, il San Francesco realizzato per il Monastero dell’Assunta e passato al Museo Civico a seguito della soppressione delle Corporazioni Religiose del 186667. Dalla permanenza nel convento di Casteltermini, all’epoca chiamata Monte d’Oro – dove resta negli anni tra il ’39 e il ’41 e poi di nuovo tra il ’59 e il ’61 – deriva la sua frequentazione con Filippo Randazzo, forse già incontrato a Licata o nel feudo dei Tomasi di Lampedusa68. Dopo il 1742 Padre Fedele venne trasferito al Convento
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G. Costantino, 2002, p. 28 Eadem, 2002, sch. 12, pp. 226-227 64 G. Bongiovanni, 2002, sch. 22-23, pp. 246-249 65 Ristretto Ragguaglio… ms. sec. XIX, BCP 66 B. Fasone, 2002, sch. 1, pp. 202-203 67 Cfr. G. Costantino, 2002, pp. 31 e 43, n. 63 68 Eadem, 2002, p. 33 63
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di Palermo: nel capoluogo isolano potrà completare la sua formazione e vedere di persona le opere che costituivano il cardine della cultura artistica siciliana del XVIII secolo; è in questi stessi anni che compie il suo apprendistato presso il Sozzi. Nel 1745 viene ordinato sacerdote e nello stesso anno compie il suo viaggio di studio a Roma dove soggiornerà presso il convento della Concezione, esperienza che ripeterà nel ’51. Le opere successive agli anni ’50 risentono visibilmente del contesto palermitano e ripropongono gli esiti degli aggiornamenti romani e l’attenzione alle opere dei classicisti bolognesi: le varie versioni della Madonna e Santi69, il S. Fedele da Sigmaringa70, il S. Francesco in estasi71 e l’Assunta. Tra i dipinti databili tra gli anni ’50 e ’60, alcuni soggetti vengono ripetutamente presentati, come il S. Francesco rinunzia al sacerdozio72; in questa fase della sua produzione Padre Fedele mostra la volontà di sperimentare un linguaggio più aperto, liberandosi dalla riproposizione pedissequa di schemi e regole accademiche che avevano sin ora caratterizzatoli suo stile, in favore di un lessico maggiormente espressivo, dove i valori cromatici acquisiscono più importanza ed emergono insieme a una stesura più fresca ed immediata: dipinti quali i due gruppi di ovali con i Sette Dolori delle Vergini e i Misteri del Rosario, il S. Francesco d’assisi e papa Innocenzo III, la Madonna degli Angeli, i Santi Patriarchi, la SS. Trinità e Santi di evidente ispirazione conchiana73, ne sono un limpido esempio. Successivamente al periodo trascorso a Casteltermini come Padre Guardiano, Padre Fedele si recò a Roma ancora una volta74. In questi stessi anni realizza ancora
69 Cfr. M. R. Basta, 2002, sch. 2-5, pp. 204-205, 212-213; S. Dell’Aira, 2002, sch. 6, pp. 214-215; B. Fasone, 2002, sch. 13, pp. 228-229; G. Bongiovanni, 2002, sch. 27, pp. 256-257 70 S. Dell’Aira, 2002, sch. 9, pp. 220-221; B. Fasone, 2002, sch. 13, pp. 228-229 71 G. Bongiovanni, 2002, sch. 28, pp. 258-259 72 Cfr. S. Dell’Aira, 2002, sch. 4, pp. 208-211 73 E’ possibile ravvisare un riferimento alla pala realizzata dal Conca per l’altare maggiore della chiesa di S. Ignazio all’Olivella di Palermo; cfr. B. Fasone, 2002, sch. 11, pp. 224-225 74 Il Ragguaglio ci riporta del viaggio in occasione della canonizzazione del Beato Serafino d’Ascoli nel 1765 (Ristretto Ragguaglio, ms. cit., f. 1404)
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molte opere: la Deposizione di Cianciana, la Madonna col Bambino e Santi Cappuccini e la Consegna delle chiavi di Gesù a S. Pietro di San Biagio Platani che mostrano diversi elementi formali desunti dalla cultura solimenesca e dal colorismo del Benefial75. Difatti, si coglie come nelle opere realizzate al rientro dall’ennesimo soggiorno continentale, come l’artista sanbiagese accolga e armonizzi i modi del Benefial con quelli del Sozzi; ad esempio, opere realizzate negli anni della maturità, quali il Cristo appare al beato Bernardo da Corleone – recentemente pubblicato per la prima volta76 – mostrano un evidente uso dei bianchi per rendere il panneggio del Cristo, una caratteristica certamente derivata dai modi del suo “terzo maestro”. Sono questi gli anni in cui esegue l’Adorazione dei Magi per la chiesa del convento annessa alla chiesa dei cappuccini di Trapani e le due pale d’altare per i confratelli di Monreale, ma soprattutto le opere per la committenza extra-isolana: l’arredo pittorico di S. Lorenzo Nuovo in Tuscia77, grazie ai quali papa Pio VI gli impose il titolo di “Padre Provinciale di merito”78. Bisogna menzionare inoltre gli innumerevoli bozzetti e le opere di piccolo formato citate nei lasciti testamentari79 delle famiglie legate a Padre Fedele, tenendo fede anche a quanto riferito nel Ragguaglio che attesta l’esistenza di oltre tremila tele di dimensioni contenute. Per il frate sambiagese la qualità nella pittura è necessariamente correlata ad intenti pedagogici e tensione morale: in tale contesto si chiarisce ancor di più la sua polemica antineoclassica e antibarocca, che nei discorsi pronunciati presso l’Accademia del Buon Gusto condannava apertamente i seguaci degli orientamenti
75
G. Costantino, 2002, p. 39 G. Bongiovanni, 2002, p. 143, fig. 14 77 Cfr. E. Manna, 1995 78 G. Costantino, 2002, p. 40 79 Eadem, 2002, p. 42, n. 28 76
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winckelmanniani, prediligendo invece, “i fini apologetici della morale religiosa e delle virtù cristiane, elevati a dogma artistico”80. Indubbiamente la figura di Padre Fedele, artista e uomo di lettere, si discosta da quella di molti suoi contemporanei, anche perché la “spiritualità francescana e il voto di povertà fanno decadere l’analisi del tenore di vita sociale e della condizione economica dell’Autore”81 dei ‘Dialoghi’; il contesto culturale in cui il Tirrito si mosse, le esperienze vissute nell’Isola e a Roma, sebbene avessero ampliato i suoi orizzonti, dandogli la misura di una prospettiva storica e artistica di più ampio respiro, non seppero sopraffare la sua forte devozione alle regole e alla disciplina della vita monastica, che in un certo modo, costituirono il suo limite.
80 81
M. Guttilla, 1987, p. 113 D. Malignaggi, 2002, p. 19 XXII
═══ Capitolo Secondo ═══
Artisti e dipinti del ‘600 e ‘700 nei “Dialoghi”
I.
La cultura pittorica della Sicilia del Seicento nei “Dialoghi”
Allo schiudersi del 600, la Sicilia continuava a rappresentare un punto di incontro delle più svariate tendenze artistiche. La vecchia classe dei pittori, chiamata ad assolvere sempre più numerose commissioni da parte degli ordini religiosi e di un numero sempre crescente di committenti privati, appariva ancora legata a posizioni tradizionali. Continuava a persistere la lezione controriformistica di ascendenza pulzoniana, ma soprattutto imperava ancora la formula del tardo manierismo toscoromano, aggiornata dal gusto barroccesco e divulgata, nell’isola, soprattutto dalla vivace e gioiosa pittura di Antonio Catalano il Vecchio82. Mancava – e la situazione rimarrà immutata nel corso di tutto il secolo – un elemento catalizzatore che fosse in grado di riunire i singoli artisti e consentisse loro di elaborare un linguaggio comune tale da trasformarsi in “scuola”. Ma, accanto ad un filone di studi e interessi ancora di stampo tradizionale, anche nell’ambiente palermitano, in vista del già avviato e innovativo cursus di istanze culturali ed esistenziali della società meridionale, nei primi decenni del ‘600, si fanno strada nuove attenzioni figurative che ricevono una prima decisiva spinta dalla presenza della “Natività con i santi Lorenzo e Francesco” di Caravaggio83. La tela, ormai tristemente famosa in seguito al trafugamento avvenuto nel 1969, era stata dipinta dal pittore lombardo durante la sua tappa siciliana e acquisita dalla Compagnia di S. Francesco per l’oratorio di S. Lorenzo. Il ruolo di riferimento che in
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T. Pugliatti, 1997 AA.VV., 1985; AA. VV., 1987 XXIII
breve tempo, in modo diretto o indiretto, la tela caravaggesca ricoprì nelle scelte e negli orientamenti degli artisti presenti nell’isola è testimoniato, in primo luogo, dalle opere del fiorentino Filippo Paladini84, realizzate nell’ultimo periodo della sua attività nella Sicilia occidentale. Paladini, a lungo residente nell’isola, protetto dai Branciforte, signori di quasi tutta la Sicilia centro-occidentale, grazie alla sua spiccata capacità di conciliare la vecchia cultura manierista con il contenuto del naturalismo caravaggesco, riesce a ben interpretare i contrasti dell’ambiente provinciale siciliano, combattuto tra remore di devozionalità arcaica e spinte innovatrici e dinamiche provenienti da quei rapporti economici che Palermo, “porto di mare”, intratteneva con i centri attivi di Napoli, Roma, Genova e da cui provenivano non solo merci ma anche artisti e opere per le “Nazioni” insediate in Sicilia, come gli ormai pluriennali studi di Vincenzo Abbate hanno posto in luce85. L’influenza di Paladini coinvolge tutta l’isola. I suoi effetti più immediati si possono riscontrare nell’opera di due artisti, Gaspare Vazano e Giuseppe Salerno, accomunati sino ai primi anni ‘70 del ‘900 sotto lo stesso pseudonimo di Zoppo di Ganci86. Ancora nel filone della tarda epigonia paladinesca si inseriscono le attività del palermitano Mariano Smiriglio e del pittore Pietro D’Asaro, meglio noto come il Monocolo di Racalmuto87. Dopo Paladini favorisce certamente una notevole diffusione del messaggio caravaggesco il pittore siracusano Mario Minniti, la cui attività è documentata all’interno dell’oratorio del Rosario in S. Domenico dove anche Novelli ha a lungo operato88.
84
Cfr. AA. VV., 1967; R. Bernini, 1999 V. Abbate, 1999 86 F. Alajmo, 1939; M. Andaloro, 1965; M.R. Chiarello, 1975; G. Mendola, 1999; AA.VV., 1997 87 B. Alessi, 1985 88 A.A. V.V., 1987; P. F. Palazzotto – C. Scordato, 2002 85
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Una seconda spinta decisiva che favorisce l’introduzione di nuovi fermenti figurativi, è data, alla fine degli anni ’20 del ‘600, dalla presenza a Palermo di un’altra famosissima tela. Si tratta della “Madonna del Rosario”, commissionata a Van Dyck89 durante il suo soggiorno palermitano, acquisita dalla Compagnia dei Sacchi in S. Domenico e collocata sull’altare maggiore dell’oratorio del Rosario90. Il dipinto del pittore fiammingo giunge circa un ventennio dopo rispetto alla tela caravaggesca e, se pur non cancella di colpo quanto il pittore lombardo aveva seminato tramite la sua opera, di certo favorisce il trapasso verso altri interessi ideologici e filoni di creatività e di gusto, basati su elementi di retorica barocca e di idealismo, come emerge soprattutto nelle nobili figure di santi. Un contributo decisivo alla diffusione del linguaggio fiammingo è offerto, oltre che dal determinante apporto di Van Dyck, dalla presenza, nella Sicilia occidentale, di altri pittori fiamminghi, come le ricerche e gli studi di Teresa Viscuso hanno chiarito sul finire del ‘900. Si tratta delle attività, ampiamente documentate, di pittori come Gaspare Momper, Geronimo Gerardi, Guglielmo Walsgart, l’olandese Mattia Stomer, artisti questi che influenzeranno la maniera pittorica propria di Novelli91. Una delle peculiarità di Padre Fedele che traspare dal suo scritto, è che, almeno per quanto riguarda le opere da lui menzionate, la conoscenza di esse è quasi sempre frutto di una esperienza diretta.92 Nel corso della nona giornata Padre Fedele è piuttosto esauriente nello spiegare a Don Pio che il tipo di produzione pittorica del secolo a loro precedente, il Seicento, si era organizzata soprattutto secondo la tradizione delle botteghe a
89
A.A. V.V. 1997; G. Mendola, 1999; P. F. Palazzotto – C. Scordato, 2002 91 T. Viscuso, 1990 92 Sebbene, data l’impostazione dei “Dialoghi…” sia possibile ipotizzare la conoscenza da parte di Padre Fedele di opere quali: P. Orlandi, L’Abecedario pittorico, Bologna 1719, F. Baldinucci, Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua, Firenze 1681-1728, L. Pascoli, Vite de’ pittori, scultori ed architetti moderni, 1736, B. De Dominici, Vite de’ pittori, scultori ed architetti napoletani, Napoli 1742 – 1745. 90
XXV
conduzione familiare, volta a soddisfare le esigenze di una committenza prevalentemente religiosa, e più raramente pubblica o privata. La scelta delle opere e degli artisti trattati93 dal Tirrito è fortemente influenzata dalla sua cultura accademica e dal suo ruolo di religioso, al punto di arrivare ad accostare agli artisti più rinomati personalità di minor rilievo, e al contempo di trascurare una figura di enorme importanza come il Caravaggio, che pure era stato presente in Sicilia nel primo decennio del XVII secolo, in seguito alla permanenza a Malta. Padre Fedele è in parte giustificabile riguardo le opere del Merisi presenti in Sicilia che si trovavano a Messina e Siracusa, due province che il Cappuccino non mostra di avere visitato, mentre più eclatante si prospetta il silenzio sulla palermitana Adorazione dei Pastori; ma il silenzio appare più dovuto a una non corrispondenza di gusto, piuttosto che a una non conoscenza delle opere del grande artista. Nel novero degli artisti secenteschi presentati come i maggiori maestri della “Bell’Arte”, il frate cappuccino crea una sorta di netta separazione tra l’inizio e la fine del secolo; la svolta è segnata dall’avvento di Pietro Novelli, a cui accosta Pietro Aquila, i soli artisti siciliani degni di essere citati insieme ai “grandi” maestri94. Padre Fedele costituisce una delle prime fonti riguardo la figura di Pietro D’Asaro, l’“Orbo di Recalmuto”, di cui realizza una sorta di prima biografia, nella cui premessa tiene a precisare l’attendibilità delle fonti e di alcune notizie sino ad allora inedite, in quanto scrive “Dunque da ragazzo, nella mia Patria, incominciai a sentire la fama del celebre pittore chiamato l’Orbo di Recalmuto, e la stessa cosa mi fu confermata in Girgenti dove 93 Per i profili biografici e bibliografici degli artisti citati si rimanda ai riferimenti nelle schede di catalogazione (infra) ed alle relative voci nei principali dizionari, in particolare: L. Sarullo, Dizionario Bibliografico degli Artisti Siciliani, Vol. II. Pittura, a cura di M. A. Spadaro, Palermo 1993; AA.VV. D.B.I., Dizionario Biografico degli Italiani, vol. I e seguenti, Roma 1960; AA VV., La pittura in Italia. Il Seicento, vol. II, Milano 1989; D. Malignaggi, I “Dialoghi familiari sopra la pittura” di Padre Fedele Tirrito da San Biagio, in Le Arti in Sicilia nel Settecento. Studi in onore di Maria Accascina, Palermo 1985, pp. 351-372; D. Malignaggi, Storiografi della pittura siciliana fra Settecento e Ottocento, in Domenico Provenzali pittore dei Lampedusa e la pittura in Sicilia nel XVIII secolo, Naro 1990. 94
P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 213 XXVI
fui educato” 95, anche se, paradossalmente, non mostra di conoscerne il nome di battesimo. Padre Fedele dà molte informazioni in merito alla vita del pittore, nato nel 1579-80 a Recalmuto, e indicando come sua fonte primaria “un Missionario Sacerdote di Recalmuto, mio padre Spirituale, quand’era chierico secolare…”96, figura che B. Alessi97 identifica con P. Elia Lauricella (1707-80), un sacerdote racalmutese col quale probabilmente Padre Fedele trascorse alcuni anni al seminario di Agrigento98. In merito allo stile pittorico del D’Asaro99, è notevole l’accostamento che il Cappuccino fa con i fratelli Zuccari, esponenti di spicco del manierismo romano, con le cui opere l’Orbo poté venire in contattato durante il suo alunnato romano degli anni 1595–97, a cui seguì il soggiorno genovese. Padre Fedele, che si pregia di possedere un “picciolo libretto” di schizzi dell’artista – un’annotazione indubbiamente volta a dimostrare l’importanza che la pratica del disegno rivestiva per gli artisti, oltre che evidenziare un rapporto di “confidenza” col racalmutese – descrive il D’Asaro principalmente come pittore di paesaggi e scene di genere100, storiche, o di allegorie, ricche di “figurine”, che valuta indubbiamente migliori delle grandi pale d’altare che ai suoi giorni erano già “forse scoloriti, per non dirli denigrati”101. Tra le poche opere realizzate per la committenza religiosa, Padre Fedele indica a Don Pio le tele per la chiesa di “S. Laria”, mostrando una contraddittoria insicurezza innanzi alla richiesta di Don Pio di indicargli opere palermitane dell’artista racalmutese, al punto di scoraggiarlo nel suo intento di recarsi a vedere
95
Idem, 1788, p. 206 Idem, 1788, p. 206 97 B. Alessi, 2002, p. 104 98 B. Alessi, 2002, pp. 107-108, n. 12 99 M. P. Demma, 1984, pp. 23/29; P. Leone De Castris, 1991, p. 20; B. Alessi, 1997, scheda sez. Pittura n. 4. 100 V. Abbate, 1990, p. 25. I disegni del D’Asaro ad oggi noti sono quelli provenienti dalla collezione Sgadari di Lo Monaco e oggi conservati presso la Galleria Regionale della Sicilia, tra i quali non è possibile identificare quello realizzato a sanguigna citato da Padre Fedele. 101 P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 206-207 96
XXVII
personalmente i dipinti102 e attribuendo erroneamente al D’Asaro le pitture che la critica ha restituito a Gerardo Astorino103. Le notizie dateci da Padre Fedele sono state confermate dagli studi successivi104, comprese quelle relative alla collaborazione del Monocolo con lo Zoppo di Gangi, che il Nostro identifica con Giuseppe Salerno, ma senza distinzione tra sua personalità e quella del Bazzano, relegando alla storiografia artistica successiva le incognite relative alle attribuzioni delle opere ascritte indistintamente ai due pittori gangitani noti col medesimo appellativo105. Bisogna sottolineare come, tuttavia, Padre Fedele ascriva al Salerno opere già note che la critica ha in seguito assegnato ad altri artefici, quali l’Alvino106. Nel ricostruire la figura dello “Zoppo” Padre Fedele mostra un’acuta sensibilità, riconoscendo nel Paladini l’artista che probabilmente esercitò un’influenza rilevante nella formazione del Salerno107. Padre Fedele ha certamente coscienza della notorietà al di fuori dei confini dell’Isola del Paladini, artista la cui pittura, corrispose esattamente alle esigenze del contesto storico-culturale in cui si poneva, integrandosi completamente nel complesso di elementi legati agli ambiti religiosi e artistici siciliani, “…e assolse egregiamente al bisogno di rinnovato decoro degli Ordini monastici e della Controriforma”108, influenzando fortemente molti artisti locali. Tuttavia il Tirrito non mostra di conoscere altre opere oltre a quelle palermitane per le chiese dell’Olivella e di S. Francesco di Paola109 e tace anche sull’origine fiorentina dell’artista, che pure firma i suoi dipinti aggiungendo
102
Idem, p. 209 La paternità di tali opere era gia nota al Di Giovanni. Cfr. L. Di Giovanni, ms. sec. XIX in S. La Barbera, 2000, p. 219 104 Cfr. B. Alessi, 2002, p. 108, nn. 14 e 15 e B. Alessi, 1985, pp. 111-115 105 Per l’attribuzione dell’epiteto “Zoppo di Gangi” al Bazzano di vedano: G. Mendola, 1997; G. Mendola, 1999, p. 271; T. Viscuso, 1975 106L’attribuzione era già nota al Mongitore. Cfr. A. Mongitore, 1743, a cura di E. Natoli, 1977, p. 105; Documentato in anni recenti da C. Guastella, 1985, cfr. S. La Barbera, 1999, pp. 87/97 107 P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 224. Per l’influenza del Paladini sul Salerno cfr. E. De Castro, 1997, pp. 218-219 108 A. Barricelli, 1981, pp. 47-48 109 M. G. Paolini, D. Bernini, 1967, pp. 42-50-51 103
XXVIII
l’appellativo “flor.” 110. Tramite il linguaggio semplice di Don Pio, esprime giudizi in merito all’aspetto formale dei soggetti dei dipinti del Paladini. Insieme al Novelli, il sacerdote siciliano Pietro Aquila è ricordato dal Nostro come uno dei maggiori esponenti del Seicento pittorico isolano. Lo studio presso la scuola del Maratta (su cui esprime un lungo e positivo giudizio nel ricordare il dipinto con la Madonna del Rosario per l’oratorio di S. Cita) è considerato dal frate cappuccino caratteristica degna di grande rilievo, indicativo di un’apertura verso culture extraisolane che lo porta a paragonare i due artisti ai vertici del barocco europeo e che segna uno spartiacque con la consuetudine che voleva l’artista inserito in un sistema di botteghe a tradizione familiare, legato a committenze principalmente religiose e lontano da stimoli di tipo istituzionale. Il Tirrito si limita a menzionare solo poche opere tra le più note della produzione dell’artista, e tacendo “sui cicli ad affresco e sull’attività di ideatore di apparati effimeri che egli condusse insieme a Giacomo Amato”111. Segnala tuttavia un dipinto che era stato venduto e inviato in Francia112, originale testimonianza delle nuove tendenze di mercato che andavano affermandosi con l’affacciarsi del XVIII secolo113. Tra i pittori aderenti ai dettami della cultura marattesca, Padre Fedele addita le figure di Giacinto Calandrucci e del nipote Datini114; di quest’ultimo ricorda - oltre che i dipinti all’epoca presenti in Cattedrale e oggi irreperibili - l’opera, anch’essa perduta, in casa del Duca di Castellana115, il mecenate Agesilao Bonanno116, a
110
E. De Castro, 2002, p. 113: l’autrice nota come anche il Susinno compia la stessa omissione (F. Susinno, 1724) 111 E. De Castro, 2002, p. 113 L’autrice ipotizza una conoscenza derivata dalla letteratura artistica e dalla notorietà dell’Aquila negli ambienti romani più che per le comuni origini siciliane. 112 Padre Fedele si rammarica dell’allontanamento delle opere dell’artista come pure di quelle del Novelli che avevano subito la stessa sorte. P. Fedele da San Biagio, 1788, pp. 167-169 113 V. Abbate, 1990, pp. 67/85 114 Padre Fedele non distingue tra Domenico Calandrucci e Giambattista Datini, rispettivamente fratello e nipote del più noto Giacinto. Cfr. P. Fedele da San Biagio, 1788, pp. 232-233. 115 Le opere in casa del Duca di Castellana sono disperse. Non esiste più nemmeno il “nobil podere” e la relativa casena che il Giuseppe Emanuele Ventimiglia, Principe di Belmonte fece trasformare in villa residenziale nel 1830 circa. Cfr. B. Alessi, 2002, p. 103. XXIX
testimonianza della valente e accurata conoscenza che il cappuccino aveva degli ambienti legati al collezionismo privato. Antonino Grano è presente nel novero di artisti di ambito marattesco citati da Padre Fedele; ne ricorda la tela, non più esistente, realizzata per la Cattedrale117 palermitana nel 1715. Importante la collaborazione col Tancredi, anch’egli di formazione marattesca, di cui Padre Fedele segnala gli affreschi per la chiesa di S. Giuseppe “che onora infinitamente la sua memoria”118. I continui riferimenti ai soggiorni continentali degli artisti e in particolare agli alunnati presso personalità prestigiose, quale appunto quella del Maratta, rispecchiano nello scritto di Padre Fedele l’adesione ai nuovi ideali illuministici volti ad attestare una interdipendenza culturale che si andava affermando negli ambienti culturali siciliani di cui anche il frate sanbiagese faceva parte. Padre Fedele dimostra di conoscere a fondo la figura di Pietro Novelli, che esalta con termini entusiastici, ricordandolo come “Raffaello di Sicilia”119, unico pittore, tra quelli menzionati, di cui sottolinea anche l’attività di architetto, ideatore di apparati effimeri e progettista di monumenti120. Riguardo la formazione dell’artista, è indicato con molta enfasi un ipotetico rapporto col Van Dyck121, che sopperisce agli occhi di Padre Fedele alle carenze di una educazione non accademica. Appare evidente come il Tirrito ci tenga ad apparire come un grande conoscitore dell’artista, pratico di valutazioni, specie quando afferma di essere stato chiamato a stimare un
116
Al Bonanno Padre Fedele dedica il suo libretto intitolato “Lu Giovini addottrinatu…” edito nel 1774. Il mecenate sambiagese era il suocero di D. Giovanni Giojeni e Valguarnera, Duca d’Angiò, cui Padre Fedele dedica i “Dialoghi”. E. De Castro, 2002, p. 121, lo considera erroneamente il destinatario dei “Dialoghi”. 117 E’ interessante evidenziare che i “Dialoghi” vengono editi nel 1788, proprio durante i rifacimenti della Cattedrale ad opera del Fuga; Padre Fedele compie continue citazioni degli arredi, spesso menzionando opere oggi non più presenti in quella che definisce “la nuova Madrice”. P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 233, cfr. E. De Castro, 2002, p. 127, n. 27. 118 P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 228 119 P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 172 120 T. Viscuso, 1990, pp. 86/100 121 P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 55; Cfr. A.M. Scuderi, 1990, p. 133 XXX
dipinto del Monrealese, di cui però non chiarisce il soggetto122. Le opere del monrealese riservate al collezionismo privato sono oggetto di particolare attenzione da parete del Nostro, un interesse che egli riserva a tutte le opere destinate a tale finalità, sebbene dichiari esplicitamente di non eseguire volentieri le perizie che spesso gli erano richieste, in quanto si trattava di “un’attività che lo distoglieva dalla concentrazione nelle difficoltà tecniche della pittura”123. Il frate sanbiangese ne apprezza principalmente gli aspetti che lo avvicinano a “la tradizione naturalistica meridionale, vandickiana e riberesca”124. Nei “Dialoghi” vengono prese in esame opere del Novelli di varia tipologia, proprio per rendere appieno l’idea di artista a trecentosessanta gradi, sebbene venga dato maggiore risalto ai grandi cicli decorativi e alle creazioni di vasta portata. Da sottolinearsi l’attenzione prestata da Padre Fedele allo stato conservativo dei dipinti, come nel caso degli affreschi di Palazzo Sclafani, dei quali il Nostro lamenta l’avanzato stato di degrado125; il Tirrito, in merito alle tematiche relative alla conservazione dei monumenti, denota infatti uno spirito sensibile e lascia trapelare una considerazione di utilità dei manufatti artistici come elementi di prestigio del Paese, anticipando un motivo ricorrente nei dibattiti ottocenteschi126. Risalta il silenzio del frate cappuccino sul “Daniele nella fossa dei leoni” della Badia di Piana degli Albanesi127, oltre che sugli affreschi di S. Francesco d’Assisi di Palermo128 e della chiesa dell’Origlione con il “trionfo di Davide”129. Padre Fedele analizza la figura del Novelli come artista a tutto tondo, e non manca di sottolineare il suo ruolo di caposcuola.
122
Idem, p. 56 R. Cinà, 2003, p. 89 124 E. De Castro, 2002, p. 116 125 P. Fedele da San Biagio, p. 173 126 R. Cinà, 2000-2001, p. 4 127 G. Davì, , 1990, scheda II.6, pp. 178-181 e relativa bibliografia 128 S. Riccobono, 1990, scheda II.3, pp. 164-169 e relativa bibliografia 129 E. D’Amico, 1990, scheda II.82, pp. 364 -365 e relativa bibliografia 123
XXXI
Molti gli artisti epigoni del Monrealese citati da Padre Fedele; Fra Domenico da Palermo, il Canonico Nunzio Magro (anche se di costui non ricorda alcuna opera in particolare) tra i religiosi, ma anche Andrea Carreca, Vincenzo Marchese, Vincenzo Roggieri, dei quali, secondo la sua consuetudine, il Cappuccino menziona solo alcuni dipinti palermitani. Fra questi solo per il Carreca130, artista della stessa generazione del Novelli, Padre Fedele ritaglia un po’ più di spazio, seppur definendolo “pittore bizzarro, spiritoso”, del quale apprezza maggiormente la pittura a fresco131. Per le figure di Vincenzo Marchese, Vincenzo Roggieri e Fra Domenico da Palermo, Padre Fedele foggia poco più di un elenco, citando qualche opera degli artisti sopra menzionati, che probabilmente ebbe modo di esaminare personalmente. Per il Marchese, prevalentemente autore di pale d’altare e apparati effimeri, riscontra una dipendenza più rilevante dai modi del Monrealese, specie nelle opere realizzate per la “Terra del Parco” (Altofonte)132. Il Cappuccino mostra un certo apprezzamento per il canonico agrigentino Nunzio Magro133, mentre sulla personalità del nisseno Roggieri134, non si pronuncia espressamente citandolo come continuatore del Novelli, tuttavia lo inserisce subito di seguito agli artisti della cerchia del Monrealese, e confortando quindi l’interpretazione che lo vorrebbe incluso tra di essi, negli intenti dell’autore dei “Dialoghi”. Padre Fedele non manca di richiamare l’attenzione su grandi artisti non siciliani, che comunque influirono in modo significativo sulla produzione isolana; ecco comparire allora i nomi di Raffaello, Tiziano, Reni, Domenichino, di cui il frate segnala alcune opere palermitane (con attribuzioni più o meno arbitrarie). In merito 130
G. Davì, 19972, pp. 78-80 e 1990, pp. 476-477 E. De Castro, 2002, p. 117, ha riscontrato nella pittura del Carreca “esiti pittorici dichiaratamente barocchi in cui la lezione novellesca si arricchisce di altre desunzioni dal cortonismo di matrice romana”. 132 P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 229 133 Si vedano i contributi di B. Alessi, Regesto Documentario e G. Costantino, sch. 7, 8, 9, 10, in Opere d’arte… Agrigento, 1993; A. Cuccia, sch. 33, in La pittura nel nisseno…, 2001. 134 Si vedano F. Dell’Utri, 1987; le schede curate da E. Cuccia, G. Davì, E. De Castro in La pittura nel nisseno…, 2001; il contributo di M. Reginella in “Labor”, a. XLI, gen./. mar. 2000, seconda parte, pp. 67-71 131
XXXII
alla presenza di opere del Vecellio nella sagrestia della chiesa di S. Ignazio all’Olivella, anche G. Palermo e L. Di Giovanni concordano nel ricordare una delle tele citate da Padre Fedele, “un quadro in tela alto pal(mi) 3 e largo pal(mi) 2 ½ circa rappresentante un giardiniere, che tiene delle erbe in mano…”135. Nell’ambito del classicismo cinquecentesco è quasi d’obbligo per il Tirrito ricordare lo Spasimo di Raffaello e le numerose copie da esso derivate. Riguardo alle opere del Vecellio, pur trattandosi di due dipinti indicati in modo piuttosto vago, il frate è entusiasta delle “tinte fortissime, e d’impasto sanguigno, ma disegnati all’ultimo segno magistralmente”136. La presenza di opere di artisti del calibro del Reni, del Domenichino, di Raffello e Tiziano, mira a sottolineare ancora una volta la superiorità degli orientamenti classicisti nella produzione artistica; un atteggiamento di giudizio estremamente soggettivo, che funge da discriminante nella scelta delle opere da trattare, e che perdurerà anche nella storiografia artistica ottocentesca137. Ricordando Dürer, il Cappuccino si dilunga nella descrizione della finitezza di particolari che catturarono la sua attenzione; l’opera riferita, un Trionfo di Roma, faceva parte della collezione delle principessa di Larderia, quasi un’ulteriore conferma del consolidarsi delle nuove consuetudini che andavano allacciandosi al collezionismo siciliano138. Seguendo il filone classicista il frate sanbiagese passa a citare artisti secenteschi, quali Guido Reni139 o Domenichino, dei quali ricorda le opere siciliane – ad esempio l’angelo Custode nella cappella Vanni in San Francesco d’Assisi, dove
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L. Di Giovanni, ms. sec. XIX, in S. La Barbera, 2000, p. 101, n. 120, precisa che la tela è riferita da E. D’Amico (1999), a un anonimo riberesco della prima metà del XVII secolo. 136 P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 182 137 S. La Barbera, 2000, p. 13/15-35h 138 A. Gallo segnala la stessa opera citata da Padre Fedele, insieme ad altre “pale d’altare” che il tedesco avrebbe realizzato. Si veda A. Gallo, ms. XIX in M. M. Milazzo e G. Sinagra, 2000, p. 31 139 Del Reni, oltre alle opere citate da Padre Fedele, A. Gallo, segnala anche la Madonna col Bambino e S. Filippo Neri presso la Congregazione dei PP. Filippini all’Olivella (cfr. A. Gallo, Notamento alfabetico …, ms. 1838, ai segni XV-H-17, B.C.R.S., ed. 2000, Palermo) XXXIII
rimase fino alla fine del XIX secolo quando fu trasferita a Napoli140 a seguito della donazione da parete dalla famiglia ai Borbone – non senza qualche discutibile attribuzione (la Santa Cecilia ascritta al Domenichino è in realtà opera del messinese Antonio Alberti detto il “Barbalonga” ed è conservata al Museo Diocesano). Non ultime le menzioni ad artisti stranieri quali Simon Vouet, Mathias Stomer, oltre che, si potrebbe dire ovviamente, Van Dyck. Sulle opere dei tre artisti Padre Fedele esprime dei giudizi piuttosto sintetici, dilungandosi solo nell’elogiare i dipinti dello Stomer, di cui palesa una conoscenza personale. Le lodi per i dipinti dell’artista fiammingo sono magniloquenti sia per le opere dipinte “a lume di notte”, caratteristica della pittura dello Stomer, allievo dell’Honthorst141, molto amata dalla committenza religiosa ed aristocratica siciliana, sia anche per il S. Isidoro Agricola di Caccamo, dipinto “con proprietà a lume di giorno”142, di cui il Tirrito apprezza soprattutto i valori plastici. V. Abbate richiama l’attenzione sulla fortuna incontrata dall’opera che circolò ampiamente negli ambienti artistici siciliani attraverso copie di piccolo formato o schizzi realizzati probabilmente su specifica richiesta della committenza143. L’influenza dell’Honthorst, anche nei i suoi caratteri caravaggeschi, è evidente nelle opere dell’artista risalenti al suo soggiorno a Napoli, databile tra il 1632 e il 1641, anno in cui firma e data il S. Isidoro Agricola siciliano (una delle tre sole opere firmate dal pittore, nonostante una produzione che si aggira intorno ai centocinquanta dipinti!), mentre “Il periodo siciliano di Stomer, con le nuove esperienze di illuminazione naturale, segna un allontanamento dai modi di Honthorst e i dipinti, quasi tutti di dimensioni monumentali, sono caratterizzati da un progressivo indurimento delle forme e dai gesti innaturali e bloccati”144.
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L’opera è conservata al Museo di Capodimonte. M. Guttilla, 1987, p. 232/234, accosta il dipinto alle opere di Gerard Honthorst, pur riscontrando una vicinanza ai modi del Terbruggen nella scelta dei colori. 142 P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 170 143 V. Abbate, 19902, p. 50 144 G. Davì, 19902, p. 154 141
XXXIV
Principe dell’Accademia di San Luca dal 1624 al 1627, Simon Vouet, formatosi nell’ambito del tardo manierismo della scuola di Fontainbleau, a Roma, documentato nel 1615 e nel 1622, è in contatto con i caravaggeschi francesi e i collezionisti romani. Durante il quindicennio di permanenza in Italia l’artista lavorò molto per la committenza siciliana e genovese. A. Barricelli scrive che “la pittura del Vouet si affina, soprattutto durante il soggiorno genovese del 1620-21, a contatto con talune presenze di artisti o di opere che in quegli anni rendevano la città ligure un crocevia di primaria importanza per quanto riguarda i fatti artistici oltre a quelli commerciali”145; le opere di Caravaggio, Reni e poi anche di Van Dyck, costituiranno il punto di partenza per la sua produzione successiva alla permanenza a Genova. Ponendo attenzione agli studi più recenti sul collezionismo secentesco, si manifesta chiaramente come la committenza palermitana si muovesse in ambiti ben più vasti di quello locale, “talora con scelte e indirizzi così specifici da far scartare l’ipotesi della casualità nell’acquisizione dei dipinti”146. Nei “Dialoghi” ricorrono dunque i nomi documentati dagli inventari delle più ricche quadrerie siciliane, a riprova del “legame di reciprocità fra arte e committenza laica aristocratica”147 delineando precise scelte di gusto orientate verso un tentativo di mediazione tra “sacralità devozionale dei temi biblici con le caratteristiche formali dei quadri ‘da anticamera’ e ‘da galleria’, tanto richiesti dal collezionismo privato, cui come si è visto si rivolge precipuamente il padre cappuccino”148. Quest’ultimo aspetto denota la modernità e l’aggiornamento del Nostro, che coglie appieno il panorama della fortuna del collezionismo isolano del XVII secolo, si
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A. Barricelli, 19902, p. 72 V. Abbate, 19902, p. 29 e segg. 147 E. De Castro, 2002, p. 125 148 Eadem, p. 123 146
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a Palermo che in provincia149, i cui elementi, accostati ai modelli stilistici delle grandi soluzioni decorative, sia laiche che religiose, completano il panorama artistico di transizione tra i due secoli, ove coesistevano tipi espressivi tradizionali e tendenze innovatrici appartenenti ad un’estetica dichiaratamente settecentesca. La comparsa in Sicilia dei nuovi elementi caratteristici del gusto barocco in una prima fase si mostra evidente soprattutto a Palermo verso la metà del XVII secolo, dove, con i grandi cantieri nella chiesa di S. Giuseppe dei Teatini e nella Casa Professa dei PP. Gesuiti si ha il pieno passaggio dalla tradizione tardo-manierista; il momento di successione sarà sancito dall’incontro tra Giacomo Amato e Giacomo Serpotta, che insieme realizzeranno i maggiori complessi decorativi della prima metà del secolo150. Gli stucchi, veri o dipinti, costituiranno il primo elemento di questo “processo di grande libertà inventiva e spaziale”151 dettato da rapporti commerciali e culturali tra Palermo e Genova, Napoli, Roma, che sarà all’origine delle “nuove istanze del barocchetto settecentesco in Sicilia”152.
149 Messina ed Agrigento rivelano una situazione altrettanto aperta e variegata. Si veda in proposito: V. Abbate, 1999, pp. 107-140 150 C. Siracusano, 1986, pp. 31-35 151 Eadem, 1986, p. 35 152 Ibidem
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II.
La pittura siciliana del Settecento nei “Dialoghi” di Padre Fedele
Dall’inizio del secolo la Sicilia fu interessata da grandi trasformazioni urbanistiche. Nella parte orientale a causa di catastrofi naturali, a Palermo, solo per dirne alcune, in occasione dell’apertura di nuove direttrici, della sistemazione del “piano Palazzo” e dell’utilizzazione di spazi alla Marina e della riorganizzazione del “Teatro dei Re”, ed in genere allo “sviluppo in gran parte dovuto sia ai rapporti intensificatisi nel corso del secolo, tra città e territori feudali, tra palazzi e ville dell’agro urbano, sia alla forza di irradiazione culturale esercitata dall’insediamento dei grandi centri monastici degli Ordini religiosi”153. L’alta qualità delle insistenze architettoniche è supportata dalla scienza teorica. Temi cari alla trattatistica rinascimentale vengono riproposti senza note di particolare originalità. Topoi della poetica classicista e principi di buona pratica si leggono in Padre Fedele come in Giovan Biagio Amico154 quasi il suo corrispettivo in architettura. Dalla letteratura artistica vengono sanciti i modelli aggiornati ai precetti della cultura romana e la collaborazione di pittori e architetti rispecchierà il clima culturale generale, nel rispetto dei principi di rinnovamento dibattuti nelle Accademie sul tema del progresso delle Scienze e delle Arti155 e del mutamento dell’aspetto sociale dei pittori e del rapporto tra l’artista e la committenza che era avvenuto in Sicilia nel Settecento. Dai “Dialoghi” traspare l’intento di Padre Fedele di mostrare questa nuova concezione che stava affermandosi rapidamente negli ambienti culturali frequentati dall’artista cappuccino; puntualizzando i rapporti dei pittori con gli ambienti romani, 153
M. Guttilla, 2002, p. 73 G. B. Amico, 1726 155 M. Guttilla, 2002, pp. 74-75 154
XXXVII
e comunque continentali, Padre Fedele tende ad evidenziare gli elementi di modernità presenti nella cultura figurativa siciliana settecentesca. Infatti, il sistema di selezione operato dal frate sambiagese nella scelta di artisti e dipinti, tradisce una predilezione per quelli che avevano intrattenuto rapporti con l’Accademia romana di San Luca o che avevano colto le influenze di pittori napoletani156. Nella trattazione degli artisti a lui contemporanei infatti è ancor maggiormente palese l’importanza data dal Nostro alla formazione di tipo accademico, difatti, in diversi passaggi157 è ribadita l’utilità dell’uso di modelli in creta e della realizzazione di bozzetti – valido veicolo di circolazione e divulgazione di modelli artistici e culturali, apprezzati soprattutto negli ambienti del collezionismo privato di Sette-Ottocento; lo stesso Padre Fedele ne esegue durante il compimento di grandi opere ad affresco. La pittura del Settecento ebbe diversità di tendenze e di espressioni a seconda dell’influenza delle scuole napoletana o romana; da queste l’arte siciliana del XVIII secolo trasse spunti (specie per la decorazione a fresco) nel senso della indiscutibile monumentalità, dell’esuberante colorismo e l’impetuosa costruzione scenografica. Le nuove preferenze stilistiche, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti scenici delle figurazioni artistiche, erano stati ampiamente accolti anche dagli Ordini religiosi, quali i Teatini e i Gesuiti, che spesso molto influenzavano gli orientamenti delle arti figurative. In questo contesto Padre Fedele non manca infatti di considerare il suo “primo Maestro D. Olivio Sozzi” tra i primi artisti d’Italia. Il Cappuccino ebbe modo di incontrare l’artista e di conoscerne la pittura, intorno al 1741-43, quando, ancora non ordinato, Padre Fedele si recava nel Convento palermitano mentre il Sozzi 156
G. Bongiovanni, 2002, p. 129 ipotizza che per la stesura della sua Storia pittorica della Italia del 1789 (L. Lanzi, Storia pittorica della Italia dal Risorgimento delle belle arti fin presso al fine del XVIII secolo, VI ed. Milano 1823 (I ed. 1789), pp. 393-394) l’abate Luigi Lanzi abbia utilizzato i “Dialoghi”, editi appena un anno prima, per redigere la parte relativa ai pittori siciliani, inseriti all’interno delle scuole pittoriche romana e napoletana, enfatizzando il ruolo dello scritto di Padre Fedele e la loro diffusione. A sostegno della sua ipotesi sottolinea che il Lanzi, al pari di Padre Fedele, cita Olivio Sozzi come artista catanese, segnalandone gli affreschi nella chiesa di S. Giacomo. 157 P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 29 e segg. XXXVIII
realizzava lo Sposalizio della Vergine e il S. Francesco nella Cappella della Selva158 “per caritatevole donazione”159, opere in cui sono chiaramente ravvisabili le derivazioni da modelli del Conca e del Trevisani160. Nel descrivere la pittura del suo maestro Padre Fedele ne ricorda l’alunnato presso il Conca alla Scuola di Palazzo Farnese, al tempo del soggiorno romano lungo dieci anni161, effettuato all’epoca del suo noviziato grazie alla spinta del suo maestro P. Antonino da Ciminna162, durante il quale poté venire in contatto anche con le opere del Giaquinto e del Maratta; di quest’ultimo il Sozzi emulò la Madonna del Rosario, come lo stesso Padre Fedele ci informa, che grande importanza ebbe sul nuovo orientamento della pittura palermitana163. Numerose sono le opere del Sozzi – artista che il Roccaforte descrive come provvisto “di fervida fantasia, di spirito poetico, di nobiltà di idee, di squisita sensibilità, di grazia trasparente e di luminosità interiore, scaturite da profonde convinzioni religiose e dalla illibatezza della sua coscienza…”164 – di cui il Tirrito tratta: i già citati dipinti palermitani per il Convento dei PP. Cappuccini, per la chiesa della Pietà165 – per la quale si è già detto che la “composizione […] fu appoggiata all’unico Quadrone, che abbiamo del Cavalier Carlo Maratti”166 – per quella di S. Giacomo la Marina167, per Casa Professa, per la chiesa della Concezione168 e per
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M. Genova, 1985, pp. 437, 439 n. 37, le definisce “di dubbia attribuzione” Registri di Introito ed Esito 1741-1743, Archivio di Stato di Palermo, cfr. P. Roccaforte, 1968, p. 20 160 Cfr. C. Siracusano, 1986, p. 219 161 A. Mongitore, ed. a cura di E. Natoli, 1977, p. 119 162 Il religioso, padre Provinciale dell’Ordine, fu anche il mecenate di Padre Fedele per le opere che questi compì per il convento di Ciminna. Cfr. D. Malignaggi, 2002, p. 21 163 P. Fedele da San Biagio, 1788, pp. 163-164; F. M. Emanuele e Gaetani di Villabianca, 1873, vol. XIV, p. 178, riferisce la tela ad Francesco Manno. L’attribuzione è confermata in anni recenti da D. Malignaggi (1978, p. 36) che però la pubblica indicando erroneamente la chiesa di S. Teresa come luogo di ubicazione del dipinto; successivamente la stessa corregge l’attribuzione (D. Malignaggi, 1984, pp. 213-214); il disegno preparatorio è pubblicato da M. Genova, 1985,p. 447, figg. 9-10 164 P. Roccaforte, 1968, p. 20 165 Le due grandi pale raffigurano La Vergine che assiste alla vestizione di S. Chiara da parte di S. Domenico e La Madonna del Rosario e Santi, realizzate agli inizi del quinto decennio, mostrano un volgersi dell’artista verso toni rococò, seppur mitigati da un certo convenzionalismo iconografico (cfr. C. Siracusano, 1986, pp. 219 e 221, n. 27) 166 P. Fedele da San Biagio, 1788, pp. 163-164 167 Le commissioni al Sozzi per la chiesa di S. Giacomo la Marina sono diverse (cfr. C. Siracusano, 1986, pp. 219 e 221, n. 29 con annessa bibliografia); Padre Fedele si riferisce in particolar modo agli affreschi, in parte perduti, per la volta della navata, che completavano la decorazione realizzata dal Serenario nel 1729 159
XXXIX
quella della Catena169, non mancando di segnalare anche la decorazione a fresco realizzata ad Ispica170, ultima opera del Sozzi, realizzata in collaborazione col figlio Francesco dal 1763 al ’65, “probabilmente il capolavoro del pittore tardo-barocco che qui mostra una figuratività fastosa, orchestrata tra forme disegnate e stesure pittoriche di effetto porcellanato, con guizzi improvvisi di intensità cromatica”171 dove l’artista replica il soggetto realizzato per la chiesa di S. Giacomo la Marina di Palermo, utilizzando per gli episodi secondari i cartoni di Vito D’Anna eseguiti per la chiesa di S. Matteo e quelli di S. Caterina per i peducci della cupola172. Tra gli esponenti della cultura artistica romana e napoletana, Sebastiano Conca e Marco Benefial figurano tra i maestri di Padre Fedele; egli stesso scrive che in seguito agli studi col Sozzi, “dopo qualche anno, vago di veder Roma, col merito dell’obbedienza, andai a mettermi sotto la direzione del cavalier Sebastiano Conca e sotto pure la disciplina del cavalier Marco Benefial, ambi rinomati pittori in quell’alma città”173; non bisogna dimenticare tra l’altro, che anche il Sozzi era stato allievo del Conca e che quindi anche la precedente formazione palermitana del Frate sambiagese era stata improntata secondo lo il suo stile. Nel 1751, mentre Padre Fedele si trovava a Roma, il Conca fu chiamato a Napoli ad affrescare la volta della chiesa di S. Chiara, e non si può quindi stabilire con certezza per quanti mesi il Nostro poté fruire degli insegnamenti del maestro laziale; proprio per questo Padre Fedele “ripiegò” su Marco Benefial, che chiama suo “terzo maestro”, accostandosi alle sue opere più mature, dove è più evidente
168
L’opera risalente al 1737 è gravemente guasta. Immediatamente dopo la realizzazione il Sozzi fu richiamato dal granduca di Toscana. Cfr. G. Palermo, 1916, p. 544; F.M. Emanuele e Gaetani di Villabianca, 1873, vol. XIV, p. 276; A. Giuliana Alajmo, 1946, p. 18; E. Fronterrè Torrisi, 1976, p. 52 169 Gli affreschi, di manifesta derivazione conchiana, sono ancora esistenti, ma estremamente deteriorati. M. Genova, 1985, p. 443, pubblica il documento di commissione degli affreschi (Atti del notaio Lo Cicero, Bastardelli, 110065, p. 595, Archivio di Stato di Palermo); cfr. G. Palermo, 816, p. 91; 170 A. Gallo, ms. XIX in M. M. Milazzo e G. Sinagra, 2000 171 G. Bongiovanni, 2002, p. 130 172 C. Siracusano, 1986, p. 220 e 223 n. 57 173 Padre Fedele da San Biagio, 1788, p. 159 XL
l’aderenza alla realtà. Il Cappuccino ricorda le opere di entrambi i maestri, presenti a Palermo e Monreale. M. Guttilla sottolinea che “l’adesione pressoché incondizionata alla tendenza rappresentata dal Conca e dai numerosi seguaci in ambito palermitano, è in Padre Fedele da San Biagio uno degli aspetti più rilevanti – che è anche la spia degli orientamenti estetici dei contemporanei”174. Oltre ai pittori con cui intrattenne rapporti diretti, Padre Fedele menziona alcuni dei più significativi esponenti della cultura pittorica isolana: Vito D’Anna, Guglielmo Borremans, Filippo Randazzo, Gaspare Serenario, Gioacchino Martorana, e Giuseppe Velasco, figurano tra i nomi più applauditi, mentre si limita ad una rapida citazione di Giovanni Bonomo, Martino Susinno, Raffaele Visalli, Francesco Sortino175 e Onofrio Lipari176, “artisti che se ‘fossero andati a studiar la pittura in Roma, e se si fossero esercitati, come quelli nello studio dell’Accademia del nudo, sarebbero riusciti con più distinta fama’177 oltre che di Vincenzo e Pellegra Bongiovanni, Rosario Intergugliemo incisore corleonese attivo a Roma, Giuseppe Vasi e degli stranieri Anton Raphael Mengs e Angelica Kauffmann, per i quali non fa menzione di alcuna opera. Altri nomi sono solo suggeriti: si tratta di artisti che probabilmente il Nostro ha incontrato durante il suo soggiorno continentale178. Vito D’Anna, accademico di San Luca, “Conte Palatino”, genero e allievo prediletto del Sozzi, è altamente stimato da Padre Fedele179, che ne tesse ampie lodi
174
M. Guttilla, 2002, p. 85 Il cognome potrebbe essere anche Sortini o Sciortino. G. Bongiovanni, (2002, pp. 136-137) ricorda l’attività palermitana dell’artista e segnala la presenza di un “più noto Gaetano” attivo a Roma ed in Umbria, che eseguì una tela per la Chiesa Madre di S. Angelo di Brolo nel messinese. (cfr G. Barbera, 1980, pp. 265-268) e di un Antonio Sortino, “forse allievo di Vito D’Anna. 176 Per la bibliografia sull’artista trapanese cfr. L. Lanzi, 1823 (I ed. 1789) e C. Siracusano, 1986, p. 296 177 G. Bongiovanni, 2002, p. 136; cfr. E. D’Amico, 1981, p. 163 178 Padre Fedele si riferisce con semplici appellativi, il “pittore di Mazzara”, “uno di Sciacca” a pittori quali Tommaso Maria Sciacca e Mariano Rossi, artisti che potevano vantare esperienze romane, napoletane, piemontesi. Cfr. G. Bongiovanni, 2002, pp. 139-141; C. Siracusano, 1986, p. 318, tav. LXXVII, 5; T. Viscuso, 2002, pp. 159-180 179 Anche nel citare il D’Anna Padre Fedele coglie l’occasione per ribadire il valore dell’uso di modelli nella prassi accademica, specificando che al ritorno dalla sua esperienza romana l’artista acese aveva 175
XLI
ricordandone le numerose opere, non limitandosi soltanto agli incarichi da parte di Ordini religiosi180, bensì citando anche le commissioni per l’aristocrazia181, e di conseguenza “lasciando intuire, la propria dimestichezza, oltre che con gli ambienti ecclesiastici della città, anche con le classi abbienti che assai spesso forniscono il supporto – e non solo materiale – all’attività artistica”182. Di un altro accademico di San Luca183, Gaspare Serenario, nelle cui opere è forte la coesistenza di elementi classici e barocchi184. Allievo del Susinno insieme ad Olivio Sozzi, studiò in seguito col Borremans; la sua produzione ben si colloca all’interno del panorama classicista post-marattesco siciliano della prima metà del XVIII secolo, sebbene l’impostazione incline alle consuete formule del barocchetto accademico risulti predominante rispetto alle più aggiornate influenze apportate dallo studio con l’artista anversate. Padre Fedele ricorda numerose opere, molte delle quali, purtroppo, sono state gravemente danneggiate durante l’ultima guerra. Proprio in merito ai distrutti affreschi della cupola di Casa Professa – commissionatigli nel ’45 e da compiersi entro tre anni185, ma che saranno ultimati solo nel ‘51 – Padre Fedele, tramite la bocca di don Pio, riporta un’opinione che pare essere piuttosto comune riguardo gli anzidetti dipinti: “…di questo Cavaliere non si parlò bene per quelle figure gigantesche, che dipinse nella Cuppola di Casa professa. Le figure a mio parere non dovrebbero farsi più grandi di sette palmi, come è un uomo di giusta misura. Quelle figuracce son troppo spaventose, e
riportato con sé molti “belli Gessi, Disegni, Bozzetti, e Stampe di Autori rinomati”. Cfr. P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 253 e segg. 180 Idem, 1788, p. 254 181 Il marchese Beninati Ventimiglia e il Principe di Resuttano., cfr.A. Gallo, ms. IX sec., f. 301 182 G. Bongiovanni, 2002, p. 133 183 C. Siracusano, 1986, pp. 255 e 258, n. 74, riferisce quanto affermato da A. Gallo (ms. XIX, f. 987) dell’intenzione del Serenario, in collaborazione con Vito D’Anna e Gioacchino Martorana di costituire a Palermo un’Accademia del Nudo esemplificata sulla scorta di quella napoletana, progetto sfumato a causa dell’ostilità di Francesco Sozzi che si era visto negare il ruolo di Direttore. Cfr. M. Guttilla, 2002, p. 76 184 F. Brugnò, 1985, p. 461 185 Il documento di commissione dei lavori, datato 12 agosto 1745 (conservato nel Fondo Archivistico di Casa Professa, busta 193, atti del notaio Antonio Terranova) è pubblicato in N. Marsalone, 1942, pp. 74-77, doc. 6 XLII
al doppio del naturale”186, affermazioni alle quali il Cappuccino risponde motivando le scelte del Serenario, che “teneva gli occhi pieni delle magnificenze di Roma, vale a dire delle gran figure dipinte nelle gran Chiese di Roma…”187, con una breve lezione di prospettiva. Alcuni dei caratteri pregnanti della pittura del Serenario, quali i contorni sfumati delle figure, la pennellata lunga e velata, l’effetto “porcellanato” caro al gusto rococò, le bellissime e ridondanti pieghe del panneggio, evidenziano la capacità dell’artista di trovare un proprio linguaggio, distinguendosi dai modi dei maestri Conca, Borremans e Maratta e sopperendo alle debolezze che a volte l’artista manifesta nelle carenze disegnative e negli scorci prospettici poco curati; mancanze che comunque non sminuiscono il suo peso nella cultura pittorica palermitana188. Vengono menzionati inoltre, “alcuni dei suo primi Ritratti, che fece in piedi”.189 Un altro artista di cui Padre Fedele ricorda un gran numero di opere190 è Filippo Randazzo, detto il Monocolo di Nicosia, anch’egli formatosi a Roma alla scuola del Conca; il frate sambiagese ritrova nel disegno vigoroso e nel “bel colorito accordato” le principali caratteristiche della pittura dell’artista, che accosta al Sozzi, anche in virtù della comune formazione conchiana e dell’alunnato presso il Giaquinto191. Sempre nella cerchia di artisti siciliani che avevano completato la loro formazione a Roma, il Cappuccino fa menzione di Gioacchino Martorana, di cui ricorda la grande pala d’altare per la chiesa di S. Ninfa dei Crociferi192.
186
P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 245 Idem, 1788, p. 246 188 F. Brugnò, 19872, pp. 111-112 189 Si tratta dei ritratti del Viceré Laviefuille, del 1754 e oggi conservato nella “Galleria dei Viceré” a Palazzo dei Normanni, mentre l’altro, raffigurante il Principe di Carini, è oggi irrintracciabile. 190 P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 141, elogia in prevalenza i dipinti per il duomo di Cinisi (cfr. A. Gallo, ms. XIX sec., ff. 968 – 928; C. T. Dal Bono, 1859, p. 198; V. Sgadari di Lo Monaco, 1940, p. 113) 191 Per Filippo Randazzo si vedano: T. Viscuso, 19903; C. Siracusano, 1986 con annessa bibliografia 192 La tela, eseguita a completamento dell’altare maggiore realizzato da l Marvuglia, è firmata e datata “G. Martorana 1768”. Riscosse grande successo anche presso i contemporanei dell’artista. Cfr. F. E. Gaetani di Villabianca ed a cura di D. Malignaggi, 1988, p. 159; G. Agnello, 1936, pp. 286-299; A. Mazzè, 1979, pp. 3-4 187
XLIII
Padre Fedele ci fa sapere che spesso il Martorana, grazie alla scelta di colori vivaci che impiegava nella realizzazione dei suoi dipinti, era preferito addirittura a Vito D’Anna193; inoltre giudica “il suo trattare sciolto, pronto, spiritoso, ed esprimente nel far concepire il bello della Pittura. Insomma , che si sapea meglio presentare alli Signori”, dando il suo giudizio da esperto, che non si lasciava abbagliare come “chi non capisce il forte della Pittura”194. Oltre che di Gioacchino Martorana, anche del di lui padre, Pietro, Padre Fedele fornisce utili informazioni in merito ad alcune caratteristiche nel modo di dipingere: “…soleva dipingere con due mani, vale a dire, quando dipingeva a guazzo, o a fresco aveva le scodelle delle tinte a fianchi. Teneva nella man sinistra un pennello grosso, e nella destra un pennello di contornare, ed inzuppava nelle scodelle ora un pennello, ed ora l’altro per far presto negli affari scabrosi…”195 Il Nostro ricorda – come si è accennato – Guglielmo Borremans, siciliano d’adozione, come “oriundo dalle Fiandre, e domiciliato in Palermo”196; ne difende la pittura contestando le critiche mosse all’artista nelle parole di Don Pio: “Dicono, che faceva gli Angioli colle braccia, e gambe lunghe; che il suo impasto de’ colori era a capriccio, e specialmente nelle carnaggiorni era differente dal vero. Li suoi panneggi poi li dipingeva, come fossero tanti scogli con quadrature proprie de’ sassi…”197, seppur ammettendo che “usava tinte manierose, proprie dello stile fiammingo, ed improprie alla verità”; proprio nella violenza della composizione ritrova il virtuosismo del Borremans. Il frate sanbiagese documenta anche gli affreschi della cupola della chiesa di S. Giuseppe dei Teatini di
193P.
Fedele da San Biagio, 1788, p. 253 M. Guttilla, 2002, p. 85, ha evidenziato che “a proposito del Martorana, […] il travisamento ideologico mostrato dall’autore finisce col considerare pure la finzione sottoposta alle regole dell’ortodossia classicista”. 195 P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 252 Cfr. M. Natale, 1909; G. Di Marzo, 1912; C. Siracusano, 2 1990 ; L. Sarullo, vol. II, ad vocem Borremans Guglielmo 1993, pp. 49-50. 196 Idem, 1788, p. 240 197 P. Fedele da San Biagio, 1788, p. 242 194
XLIV
Palermo198 raffiguranti la Caduta degli Angeli ribelli nella cupola e i Quattro Evangelisti nei peducci, oggi purtroppo talmente deteriorati da risultare del tutto illeggibili199. G. Bongiovanni mette in evidenza che “con uno spazio più ristretto – ma nel solco del suo procedere critico che privilegia quelle figure di artisti che avevano perfezionato il loro linguaggio a contatto con i luoghi deputati della cultura accademica – fornisce altri lati su pittori e opere”200. Tra questi Antonino Guastaferro, artista nisseno, protetto del Principe di Castelnuovo Carlo Cottone, di cui Padre Fedele ricorda alcune opere, tra le quali la Sacra Famiglia dipinta a Roma per esser poi inviata a Villafrati. Anche nell’espressione tecnica del Guastaferro è possibile cogliere echi della cultura del Conca di età più tarda, sebbene già proteso verso espressioni neoclassiche. Nell’ultima giornata Padre Fedele non tralascia un accenno a due decorazioni ancora incompiute, ricordando le opere di Antonio Manno e Giuseppe Velasco, rispettivamente per la volta della chiesa di S. Ignazio all’Olivella e per la Sala Gialla di Palazzo Reale, non rinunciando “alle descrizioni cronachistiche, alle annotazioni pure marginali, ai commenti campanilistici in difesa non solo della pittura in generale, ma soprattutto di quella siciliana a cui riconoscere finalmente dignità di scuola”201. Un ruolo che un nuovo cursus di studi sta finalmente rivalutando, anche in rapporto con le altre scuole italiane e con la tradizione locale, un’esigenza messa in evidenza già oltre vent’anni or sono da Alessandro Marabottini202, che ribadendo ancora una volta la vastità del patrimonio artistico ( e pittorico in particolare) siciliano – considerando anche le molte opere, purtroppo, perdute – auspicava la rivalutazione e l’arricchimento degli studi sulla pittura siciliana del Settecento.
198
Idem, 1788, p. 243 Gli affreschi risultavano già “guasti dal tempo e dall’umidità” già al tempo del Villabianca: F.M. Emanuele e Gaetani di Villabianca, ms. 1783, ed. a cura di D. Malignaggi, 1988, p. 265, n. 2; cfr. G. Di Marzo, 1912, p. 32 200 G. Bongiovanni, 2002, p. 135 201 M. Guttilla, 2002, p. 93 202 A. Marabottini, 1986, pp. 11-27 199
XLV
═══ Capitolo Terzo ═══
“Dialoghi familiari sopra la pittura…”, i dipinti
I.
Criteri adottati nella trattazione delle opere e nella catalogazione multimediale
Ho ritenuto di selezionare, tra le opere pittoriche menzionate da Padre Fedele, esclusivamente quelle di artisti siciliani, o comunque quelle presenti in Sicilia nei secoli XVII e XVIII, poiché da esse è stata influenzata la cultura artistica locale. Riguardo a queste ho ritenuto di procedere sia in direzione di un aggiornamento
bibliografico
(con
lo
spoglio della letteratura artistica
immediatamente successiva al frate cappuccino e fino al XX secolo) che critico, con l’analisi della fortuna critica dei dipinti citati. In merito alla schedatura cartacea, le cartelle sono state strutturate per essere consultate singolarmente, pertanto eventuali ripetizioni di giudizi complessivi su più schede consecutive sono da ascriversi alla genericità del giudizio citato. Quando questo si è rivelato molto lungo, l’intera citazione è riportata per intero solo sulla prima; nella successiva è stato espresso solo un richiamo. Alcune schede possono apparire povere di materiale, o perché l’opera risulta irreperibile o perché, pur essendo identificabile, le informazioni al riguardo da me rintracciate erano molto carenti. In alcune schede l’ubicazione originaria è indicata tra virgolette, poiché ho riportato lo scritto originario di Padre Fedele, non essendo più chiaramente localizzabile la collocazione dell’opera. Nei casi in cui l’ubicazione di un’opera è XLVI
rimasta invariata, ovvero non è stata rintracciata, ho mantenuto quella citata originariamente da Padre Fedele. Quando nei “Dialoghi” un’opera è citata più volte ed in diverse pagine, ho inserito la scheda secondo la prima menzione di Padre Fedele. La catalogazione informatica e le immagini relative alle opere saranno disponibile on line a breve.
XLVII
INDICE DELLE OPERE
AUTORE
TITOLO DELL’OPERA
Aquila Pietro Negazione San Pietro
DATAZIONE
CITTÀ
di Sec. XVII,
LUOGO D’ORIGINE
Casa di Signore
PAG.
Ignoto 71
Aquila Pietro Morte di Melchisedech
Sec. XVII, 1690
Palermo
Gran Cappellone della Chiesa del Monastero 69 della Pietà.
Aquila Pietro Ritorno del Figliol Prodigo
Sec. XVII, 1690
Palermo
Gran Cappellone della 67 Chiesa del Monastero della Pietà.
Aquila Pietro Morte di S. Benedetto
Sec. XVII,
Palermo
Chiesa del Monastero 65 delle Vergini, seconda cappella della navata sinistra.
Benefial Marco
Morte di Gesù
Sec. XVIII, 1722
Monreale (Pa)
Chiesa Collegiata, Altare Maggiore
19
Benefial Marco
Ascensione di Gesù
Sec. XVIII, 1722
Monreale (Pa)
Chiesa Collegiata, Altare Maggiore
25
Benefial Marco
Deposizione di Gesù
Sec. XVIII, 1722
Monreale (Pa)
Chiesa Collegiata, Altare Maggiore
21
Benefial Marco
Resurrezione di Sec. XVIII, Gesù 1724-27
Monreale (Pa)
Chiesa Collegiata, Altare Maggiore
23
Bongiovanni Vincenzo
Volta dipinta
Palermo
Collegio Nuovo dei Pp. Cappuccini
214
Borremans Guglielmo
Scene della Vita Sec. XVIII, di S. Paolo, tra 1720-25 vari Santi e Sante
Caltanissetta Duomo (S. Maria la 254 Nuova), Navata destra
Borremans Guglielmo
Trionfo Sec. XVIII, dell’ordine 1724 Teatino, la caduta degli Angeli Ribelli, I Quattro evangelisti
Palermo
Chiesa di S. Giuseppe 242 dei PP. Teatini, Cupola
Borremans Guglielmo
Giacobbe sul letto di morte benedice i suoi dodici figli
Palermo
Casa del Principe della 244 Cattolica, Galleria
Sec. XVIII
Sec. XVIII, 4° decennio ca.
XLVIII
Borremans Guglielmo
Complesso Sec. XVIII, decorativo della 1735-37 Cattedrale di Alcamo (in particolare: Assunzione, Nozze di Cana, Moltiplicazione dei Pani )
Alcamo (PA) Cattedrale
Borremans Guglielmo
Scene della vita di S. Pietro
Sec. XVIII, 1720-25
Caltanissetta Duomo (S. Maria la Nuova), Navata sinistra
256
Borremans Guglielmo
Trionfo della Sec. XVIII, Religione, Coro 1720-1725 delle Vergini inneggianti a Maria, Paradiso, Gloria della Vergine, S. Michele caccia gli Angeli Ribelli
Caltanissetta Duomo (S. Maria la Nuova), Navata centrale
251
Borremans Guglielmo
Adorazione dei Sec. XVIII, Magi, 1733-34 Adorazione dei Pastori, Fuga in Egitto, Sogno di Giuseppe, Orazione Nell’orto, vari Profeti
Palermo
Palazzo Arcivescovile, 246 cappella, ex alcova
Bovet (Vouet) Simon
Sant'Agata in carcere visitata da San Pietro
Palermo
Collegio Massimo dei Gesuiti al Cassaro, Cappella
158
Calandrucci Giacinto
Santa Rosalia ai Sec. XVIII, piedi di Gesù 1703 Cristo e Maria
Palermo
Chiesa del Monastero del SS. Salvatore
215
Campolo Domenico
Paesaggio
Palermo
Convento dei Cappuccini di Palermo
223
Carreca Andrea
Trasfigurazione, Sec. XVII Storie del Nuovo Testamento
Palermo
Chiesa di S. Giuseppe 198 de’ Teatini
Carreca Andrea
Cristo con la Croce sulle spalle e Santi Martiri
Palermo
Chiesa del Gesù (Casa Professa)
Sec. XVII
Sec. XVIIXVIII
Sec. XVII
200 XLIX
anch’essi con la Croce Carreca Andrea
Sacra Famiglia
Sec. XVII
Casteltermini Chiesa di S .Giuseppe, 206 (Pa) Altare Maggiore
Carreca Andrea
Santissima Triade con Madonna e Santo Vescovo
Sec. XVII
Palermo
Chiesa del Gesù (Casa 202 Professa)
Carreca Andrea
S. Pietro Nolasco
Sec. XVII
Palermo
Chiesa di S. Maria del Popolo dei Pp. del Molo
205
Carreca Andrea
Santa Teresa con Gesù Cristo Ai Piedi
Sec. XVII
Palermo
Cattedrale
192
Carreca Andrea
Senza Soggetto
Sec. XVII
Palermo
Chiesa del Gesù (Casa 204 Professa)
Conca Sebastiano
Madonna Addolorata
Sec. XVIII
Palermo
Sagrestia della Chiesa di S. Ignazio all’Olivella
38
Conca Sebastiano
S. Filippo Neri con la Vergine e il Bambino Gesù
Sec. XVIII, 1740
Palermo
Chiesa di S. Ignazio all’Olivella
34
Conca Sebastiano
S. Anna con Maria Bambina
Sec. XVIII
Palermo
Sagrestia della Chiesa di S. Ignazio all’Olivella
37
Conca Sebastiano
S. Vergine con la serpe sotto i piedi
Sec. XVIII
Palermo
Sagrestia della Chiesa di S. Ignazio all’Olivella
39
Conca Sebastiano
Morte di S. Andrea Avellino
Sec. XVIII, 1737 ca.
Palermo
Chiesa di S. Giuseppe 30 dei Teatini
Conca Sebastiano
Madonna del Carmine con S. Giovanni della Croce e S. Simone Stock
Sec. XVIII, 1718-19
Palermo
Chiesa di S. Teresa alla Kalsa
27
Conca Sebastiano
S. Giuseppe col XVIII sec. Bambino Gesù
Palermo
Sagrestia della Chiesa di S. Ignazio all’Olivella
36
Conca Sebastiano
Ss. Trinità con la Vergine e Sette Arcangeli
Palermo
Chiesa di S. Ignazio all’Olivella, Altare Maggiore
32
Sec. XVIII, quarto decennio L
D'Anna Vito
il Paradiso con i Sec. XVIII, Segni 1754 preannunzianti la venuta di Cristo
Palermo
Chiesa di S. Matteo, Cupola
297
D'Anna Vito
Battesimo di Gesù
Sec. XVIII, 1756
Palermo
Chiesa del Monastero di S. Giovanni all’Origlione
309
D'Anna Vito
Il Miracolo di San Basilio, la predica di San Basilio
Sec. XVIII, 1763-65
Palermo
Chiesa del Monastero del S. Salvatore, Quadroni laterali
307
D'Anna Vito
Trionfo delle Arti e delle Scienze, Gloria dei Principi di Resuttana
Sec. XVIII, 1762
Palermo
Casino del principe di Resuttano ai Colli, Galleria
305
D'Anna Vito
Cristo e l’adultera
Sec. XVIII, 1758
Palermo
Villa Filippina
315
D'Anna Vito
Scena Sec. XVIII, evangelica con 1758 Gesù, la moglie e i figli di Zebedeo
Palermo
Villa Filippina
317
D'Anna Vito
Nascita nella Grotta
Palermo
Chiesa di S. Ignazio all’Olivella
319
D'Anna Vito
Strage degli innocenti
D'Anna Vito
Entrata di Gesù Sec. XVIII, a Gerusalemme 1758
Palermo
Villa Filippina
311
D'Anna Vito
La Promessa Sec. XVIII, del Riparatore 1754 Messia e Agnus Dei
Palermo
Chiesa di S. Matteo, Cappellone absidale
299
D'Anna Vito
Allegorie di Virtù
Sec. XVIII, 1751
Palermo
Palazzo Beninati Ventimiglia
303
D'Anna Vito
La Gloria di S. Gregorio
Sec. XVIII, 1754
Palermo
Chiesa di S. Matteo, transetto sinistro
295
D'Anna Vito
La Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso Terrestre
Sec. XVIII, 1754
Palermo
Chiesa di S. Matteo, transetto destro
293
D'Anna Vito
Sec. XVIII, Le Anime del 1754 Purgatorio in mezzo al Fuoco
Palermo
Chiesa di S. Matteo, Navata Maggiore
291
Sec. XVIII
321
LI
D'Anna Vito
Apoteosi degli Sec. XVIII, Apostoli 1754 Matteo e Mattia
Palermo
Chiesa di S. Matteo, Navata Maggiore
289
D'Anna Vito
Apoteosi di San Sec. XVIII, Domenico 1751
Palermo
Chiesa del Monastero di S. Caterina, Cupola
287
D'Anna Vito
Ss. Concezione
Sec. XVIII, 1768/69
Palermo
Chiesa di S. Francesco, Gran Cappella Senatoria
286
D'Anna Vito
Gloria di S. Basilio
Sec. XVIII, 1763-65
Palermo
Chiesa del Monastero del S. Salvatore, Cupola
283
D'Anna Vito
I Re Magi a Gerusalemme dinanzi ad Erode
Sec. XVIII
Palermo
Chiesa di S. Ignazio all’Olivella
320
D'Anna Vito
Trionfo di Minerva
Sec. XVIII, 1751
Palermo
Palazzo Beninati Ventimiglia
301
d'Asaro Pietro, detto l'Orbo di Recalmuto
Libretto di schizzi
Sec. XVII
Presso P. Fedele dal San Biagio
173
d'Asaro Pietro, detto l'Orbo di Recalmuto
Scena di genere Sec. XVII
“Casa del Principe di Carini”
172
d'Asaro Pietro, detto l'Orbo di Recalmuto
Madonna di Monserrato (Opera attribuita dalla critica a Gerardo Astorino)
Sec. XVII, 1636
Palermo
Chiesa di S. eulalia dei 166 Catalani, transetto, lato destro
d'Asaro Pietro, detto l'Orbo di Recalmuto
Martirio di S. Eulalia (Opera Attribuita dalla critica a Gerardo Astorino)
Sec. XVII, 1636
Palermo
Chiesa di S. eulalia dei 168 Catalani, transetto, lato sinistro
d'Asaro Pietro, detto l'Orbo di Recalmuto
Natura Morta
Sec. XVII
d'Asaro Pietro, detto l'Orbo di Recalmuto
S. Michele Sec. XVII, Arcangelo in 1607 atto di scacciare gli Angeli
“Due anticamere del 170 duca di Castellana e S. Biagio, Principe di S. Antonino & c” Palermo
LII
Chiesa della Compagnia di S. Maria di Gesù dei Minori Osservanti
164
Ribelli
Riformati, (“fuori le mura, dirimpetto la Chiesa della Misericordia”)
Datini Giovan Battista
Cristo e la Samaritana al Pozzo
Sec. XVIII
“Anticamera del duca di Castellana e S. Biagio, Principe di S. Antonino &c”
221
Datini Giovan Battista
Cristo porge le chiavi a S. Pietro Suo Vicario
Sec. XVIII
Palermo
Cattedrale
218
Datini Giovan Battista
La Sec. XVIII Moltiplicazione dei pani e dei pesci
Palermo
Cattedrale
219
De Matteis Paolo
S. Benedetto e Sec. XVIII, il Monaco 1726/27 Romano, S. Benedetto e un sacerdote, l’immacolata e le cinque Vergini palermitane, Madonna col Bambino, l’Addolorata (Opera Irreperibile), S. Benedetto e i Ss. Mauro e Placido, S. Benedetto e Totila, S. Martino e il Povero, S. Gregorio Magno sfama i poveri, Re Teodoberto e S. Mauro, Martirio di S. Placido
San Martino delle Scale (Pa)
Abbazia Benedettina
106
Domenico da Senza Soggetto Palermo
Sec. XVII
Caltanissetta Convento di S. Michele dei PP. Cappuccini
227
Domenico da S. Cristofano Palermo (S. Cristoforo)
Sec. XVII, seconda metà
Palermo
226
LIII
Convento dei PP. Cappuccini, Antisacrestia
Durer Albrecht
Trionfo di Roma
Sec. XVI
Palermo
Casa della Principessa di larderia
140
Sec. XVIII, ante 1788
Palermo
Convento dei Pp. Cappuccini, Coro
7
Fedele da San Sacra Famiglia e Sec. XVIII, Biagio S. Francesco ante 1788 con l’abito dei Cappuccini
Palermo
Convento dei Pp. Cappuccini, Cappella dell’infermeria
8
Fedele da San S. Francesco Biagio con l’abito Da Osservante
Sec. XVIII
Palermo
Casa di D. Pio Onorato
10
Fedele da San Testine di Biagio Madonna
Sec. XVIII, ante 1788
Fedele da San Bozzetto per il Biagio Quadro con la Trinità, la Concezione, S. Francesco, S. Antonio da Padova, il Beato Lorenzo da Brindisi, S. Rosalia e S. Cristina
Sec. XVIII, ante 1788
Palermo
Convento dei Pp. Cappuccini
16
Fedele da San Davide Biagio Pastorello
Sec. XVIII, ante 1788
Palermo
Convento dei Pp. Cappuccini, Coro Convento dei Pp. Cappuccini, Coro
6
Fedele da San S. Antonio da Sec. XVIII, Biagio Padova risuscita 1751/52 ? un morto Copia da Andrea Sacchi
Palermo
Chiesa di S. Maria della Pace dei Pp. Cappuccini, Sagrestia
17
Fedele da San Trionfo sul Biagio Vizio con San Francesco D’Assisi e S. Domenico Gusman
Palermo
Cattedrale, ultima Cappella
9
Fedele da San Sansone Biagio Risentito
Sec. XVIII, 1765
15
Fedele da San Quadro con Sec. XVIII, ante 1745 Biagio Teschio di Morto (dello Scultore Gio. Battista Ragusa) Fedele da San Vergine Biagio Addolorata
Sec. XVIII, ante 1788 LIV
160
Palermo
Casa di D. Pio Onorato
73
Fedele da San Quadro con la Biagio Trinità, la Concezione, S. Francesco, S. Antonio da Padova, il Beato Lorenzo da Brindisi, S. Rosalia e S. Cristina
Sec. XVIII, ante 1788
Palermo
Chiesa di S. Maria della Pace dei Pp. Cappuccini, Altare Maggiore
162
Fedele da San Giuditta Uccide Sec. XVIII, Biagio Oloferne ante 1788
Palermo
Chiesa del Convento dei Pp. Cappuccini, Coro
2
Casa di D. Pio Onorato
1
Fedele da San Ss. Crocifisso Biagio
Sec. XVIII, ante 1788
Fedele da San Giaele Uccide Biagio Sisara
Sec. XVIII, ante 1788
Palermo
Convento dei Pp. Cappuccini, Coro
4
Fedele da San Storie della Sec. XVIII, Biagio Passione: 1774/76 Ultima Cena, Bacio di Giuda, Davanti a Caifa, Cristo Schernito e Spogliato, Coronazione di Spine, Ecce Homo, incontro di Gesù con la Madre, la Caduta di Gesù, Cristo Svenuto, la Flagellazione
Palermo
Convento dei Pp. Cappuccini, Coro
11
Grano Antonino
San Gaetano con la Vergine, il Bambino , S. Andrea da Avellino, Putti ed Angeli
Sec. XVIII, 1715
Palermo
Cattedrale
209
Guastaferro Antonino
Sacra Famiglia con i Santi Gioacchino, Anna e Giovannino
Sec. XVIII, 1765 ca.
Villafrati (Pa)
Chiesa Madre
324
Guastaferro Antonino
S. Francesco di Paola
Sec. XVIII, ante 1771
(Santa Caterina Villermosa,
Santa Caterina Xirbi
325
LV
(CL) Guastaferro Antonino
Crocifissione
Sec. XVIII, ante 1771
Guastaferro Antonino
Senza Soggetto
Sec. XVIII
Manno Antonio
Episodi della Sacra Scrittura
Sec. XVIII, 1788/90
Maratta Carlo Madonna del Rosario Marchese Vincenzo
Santa Caterina Villermosa (CL)
Santa Caterina Xirbi, Chiesa Madre
326
Casa del Principe di Castelnuovo Carlo Cottone
323
Palermo
Chiesa di S. Ignazio all’Olivella, Volta
327
Sec. XVII, ante 1695
Palermo
Oratorio del Rosario in S. Cita
56
Annunciazione (?)
Sec. XVII
Altofonte (Pa)
Chiesa Madre di Santa 207 Maria (della “Terra del Parco”)
Marchese Vincenzo
Ss. Concezione
Sec. XVII
Palermo
Monastero delle Stimmate
208
Martorana Gioacchino
Quattro Vergini Sec. XVIII, 1768 Patrone della città di Palermo
Palermo
Chiesa di Santa Ninfa dei PP.Crociferi
280
Martorana Pietro
S. Antonio da Sec. XVIII Padova in abito da Cappuccino col Bambino in braccio
Palermo
Palazzo Pretorio, Scala Grande
18
Martorana Pietro
Senza Soggetto
Sec. XVIII
Palermo
Chiesa del Monastero 276 di Santa Rosalia, Volta
Martorana Pietro
Senza Soggetto
Sec. XVIII
Palermo
Chiesa del Monastero di San Vito (S. Maria di tutte le Grazie), Altare Maggiore
279
Martorana Pietro
Cristo consegna Sec. XVIII, a S. Pietro le 1749 ca. chiavi della Chiesa
Palermo
Chiesa del Monastero di Santa Chiara, Volta
277
Narbone Francesco
San Vincenzo Ferreri
Sec. XVIII
322
Novelli Senza Soggetto Pietro detto il Monrealese
Sec. XVII, Prima metà
Novelli Progetto per Pietro detto il Porta Felice e Monrealese Affresco
Sec. XVII, 1636-37
Casa di Ignoto Signore Palermo
LVI
14
86
Novelli Storie di S. Pietro detto il Francesco: la Monrealese Vergine mostra il Bambino a S. Francesco, S. Giorgio a cavallo, Apparizione della Madonna a S. Francesco, incontro di S. Francesco, S. Domenico e S. Angelo da Licata
Sec. XVIII, 1633
Palermo
Novelli Apparati Pietro detto il effimeri per la Monrealese Festa di S. Rosalia
Sec. XVII, Palermo dopo il 1625
Basilica di S. Francesco d’Assisi, Volta demolita nel 1836
119
93
Novelli Progetto per il Sec. XVII Pietro detto il Teatro di Statue Monrealese intorno alla gran statua dell’imperatore nella piazza di Palazzo Reale
Palermo
Novelli Paradiso Pietro detto il Monrealese
Sec. XVII, 1634
Palermo
Ospedale Grande (Palazzo Sclafani), parete settentrionale del Chiostro
94
Novelli S. Benedetto Pietro detto il distribuisce i Monrealese Pani
Sec. XVII, 1634-35
Monreale (Pa)
Abbazia Benedettina, convitto Guglielmo
99
Novelli S. Benedetto Pietro detto il distribuisce la Monrealese “Regola” agli Ordini Monastici e Cavallereschi
Sec. XVII, 1635
San Martino delle Scale (Pa)
Chiesa dell’Abbazia
103
Novelli Eterno, Pietro detto il Risorto, Monrealese Apostoli, Santi e Padri della Chiesa Greca
Sec. XVII, 1641/1644
Piana degli Albanesi (Pa)
Cattedrale, Presbiterio 112
Novelli Ascensione di Pietro detto il Cristo e Storie Monrealese Francescane, Storie dei Ss.
Sec. XVII, 1633
Palermo
Chiesa di S. Maria di Monte Oliveto, detta della Badia Nuova, Volta
LVII
91
115
Francescani Novelli Madonna del Pietro detto il Carmine e Ss. Monrealese Carmelitani
Sec. XVII, 1642
Palermo
Chiesa di S. Maria in Valverde
Novelli S. Filippo Pietro detto il d’Argirò che Monrealese esorcizza un indemoniato
Sec. XVII, 1639
Palermo
Chiesa del Gesù (Casa 128 Professa)
Novelli Vergine col Pietro detto il Bambino, S. Monrealese Ignazio e S. Francesco Saverio
Sec. XVII, 1633/34
Palermo
Cattedrale
131
Novelli Madonna col Pietro detto il Salvator Mundi Monrealese
Sec. XVII, 1634 ca.
Palermo
congregazione di S. Orsola
134
Novelli Trionfo di Pietro detto il David Monrealese
Sec. XVII,
Palermo
Chiesa del Monastero di S. Giovanni dell’Origlione
136
Novelli Arcangelo Pietro detto il Gabriele Monrealese
Sec. XVII, 1645 ca.
Palermo
Chiesa di S. Ignazio all’Olivella
138
Paladini Filippo
S. Michele Arcangelo
Sec. XVII, 1601
Palermo
Chiesa di S. Francesco 174 di Paola, prima cappella destra
Paladini Filippo
Madonna e Santi
Sec. XVII, 1605
Palermo
Chiesa di S. Ignazio all’Olivella, Cappella destra del transetto
176
Sec. XVIII
Roma
Accademia di S. Luca
224
Pellino Pietro Senza Soggetto
Pellino Pietro I Sette Santi Sec. XVIII Vescovi Agrigentini (Opera Già Nella Cattedrale di Agrigento)
124
225
Spasimo di Raffaello Sanzio e aiuti Sicilia e copie
Sec. XVI, 1515 ca.
Palermo
Chiesa di S. Maria dello Spasimo
150
Randazzo Martirio di S. Filippo detto Barbara "il Monocolo di Nicosia"
Sec. XVIII, 1742
Cinisi
Chiesa Madre
241
Randazzo Gloria di Santa Filippo detto Caterina tra le "il Monocolo Vergini
Sec. XVIII, 1744
Palermo
Chiesa del Monastero di Santa Caterina, Volta
233
LVIII
di Nicosia"
Palermitane
Randazzo Senza Soggetto Filippo detto "il Monocolo di Nicosia"
Sec. XVIII
Palermo
Collegio di Maria a S. Gioacchino, all’Olivella
240
Senza Soggetto Randazzo Filippo detto "il Monocolo di Nicosia"
Sec. XVIII
Palermo
Monastero delle Vergini
239
Randazzo Filippo detto "il Monocolo di Nicosia"
Sec. XVIII, 1741-42
Palermo
Chiesa di S. Matteo, Sagrestia
237
Randazzo S. Rosalia Filippo detto "il Monocolo di Nicosia"
Sec. XVIII
Palermo
Chiesa di S. Ignazio all’Olivella
236
Randazzo Concezione Filippo detto "il Monocolo di Nicosia"
Sec. XVIII,
Palermo
Chiesa del Monastero di Santa Caterina, prima cappella a sinistra
235
Randazzo Gloria dei Santi Sec. XVIII, Filippo detto dell’ordine 1743 "il Monocolo Gesuitico di Nicosia"
Palermo
Chiesa del Gesù (Casa 231 Professa)
Reni Guido
Giuditta in Trionfo
Sec. XVII
Palermo
Casa di nobile siciliano
149
Reni Guido
Madonnina
Sec. XVII
Palermo,
Casa di D. Gaetano Montalto
148
Reni Guido
Lucrezia Romana
Sec. XVII
Palermo
Casa di D. Giuseppe Giurato
147
Roggieri Nascita della Vincenzo Vergine (Attr.) (Ruggero da Caltanissetta)
Sec. XVIIXVIII
Agrigento
Cattedrale
228
Roggieri S. Agnese Vincenzo Vergine e (Ruggero da Martire Caltanissetta)
Sec. XVIIXVIII
Palermo
Convento dei PP. Cappuccini, Sagrestia
230
Salerno Giuseppe, detto lo Zoppo di Gangi
Sec. XVII, 1629
Gangi
Chiesa Madre
179
Giuda Maccabeo raccoglie le elemosine
Giudizio Universale
LIX
Salerno Giuseppe, detto lo Zoppo di Gangi
S. Francesco che adora il Crocifisso
Sec. XVII
Sammartino delle Scale (Pa)
Convento dei Cappuccini
188
Salerno Giuseppe, detto lo Zoppo di Gangi
Senza Soggetto
Sec. XVII
Palermo
Ospedale Grande (Palazzo Sclafani)
190
Salerno Giuseppe, detto lo Zoppo di Gangi
S. Vincenzo Ferrer, Altri soggetti
Sec. XVII
Palermo
Ospedale di S. Bartolo 191 (Loggiato S. Bartolomeo?)
Salerno Giuseppe, detto lo Zoppo di Gangi
Ss. Diecimila Martiri
Sec. XVII, 1618
Gangi
Chiesa di S. Cataldo
Serenario Gaspare
Sponsali del Re dei Numi
Sec. XVIII, 1743-45
Palermo
Palazzo Mazzarino del 272 Principe di Scordia, Volta della Galleria
Serenario Gaspare
Disegno per le statue degli Imperiali
Sec. XVIII, ante 1750
Serenario Gaspare
San Benedetto veste San Mauro
Sec. XVIII, 1756
Serenario Gaspare
Ritratto in Piedi Sec. XVIII del Principe di Carini
275
Serenario Gaspare
Ritratto in Piedi Sec. XVIII, del Viceré 1754 Eustachio De Laviafuille
274
Serenario Gaspare
Matteo Sec. XVIII, D’Aiello, 1747- (48?) Cancelliere di Guglielmo II e la moglie Sica che presentano alla Madonna, a S. Scolastica e a S. Benedetto il nuovo monastero
185
161 Palermo
Palermo
LX
Chiesa del Monastero di S. Giovanni all’Origlione
Chiesa di S. Maria del Cancelliere, Altare Maggiore
267
Serenario Gaspare
Deposizione
Sec. XVIII, 1748 ca.
Palermo
Chiesa del Monastero di Santa Chiara
265
Serenario Gaspare
San Nicola di Bari fa abbattere il Tempio di Diana
Sec. XVIII, ante 1743
Palermo
Chiesa del Monastero di Santa Rosalia
263
Serenario Gaspare
San Benedetto Sec. XVIII, abbatte gli Idoli 1739 a Montecassino
Palermo
Chiesa del Monastero di Santa Rosalia
260
Serenario Gaspare
Paradiso
Sec. XVIII, 1746-48
Palermo
Chiesa del Gesù (Casa 258 Professa), Cupola
Serenario Gaspare
L’annuncio di Nathan a Davide
Sec. XVIII, 1751
Palermo
Chiesa del Gesù (Casa 260 Professa)
Serenario Gaspare
Trionfo della Sec. XVIII, maternità di 1746 Maria sull’eresia di Nestorio
Palermo
Chiesa di S. Teresa alla Kalsa, Altare Maggiore
269
Sozzi Olivio
Trionfo dei Sec. XVIII, fondatori degli 1740-43 Ordini Religiosi
Palermo
Chiesa della concezione di Palermo
51
Sozzi Olivio
Trionfo del Sec. XVIII, Sacramento tra 1763-65 le Virtù Cardinali con S. Gregorio Magno; la Fede tra i Padri della Chiesa
Spaccaforno (Ispica - Rg)
Chiesa di S. Maria Maggiore, Volta
213
Sozzi Olivio
S. Vergine; S. Giuseppe e le Vergini Martiri Siciliane; Fondatori degli Ordini Religiosi; Papi; Vescovi; Confessori; Patriarchi; Profeti Biblici
Sec. XVIII, 1763-65
Spaccaforno (Ispica - Rg)
Chiesa di S. Maria Maggiore, Cupola
212
Sozzi Olivio
Madonna col Bambino e Santi
Sec. XVIII
Spaccaforno (Ispica - Rg)
Chiesa di S. Maria Maggiore, Cappella Maggiore
211
LXI
Sozzi Olivio
Madonna del Rosario con i Santi Domenico, Vincenzo Ferrer, Papa Onorio III, la Beata Rosa Da Lima e le Sante Caterina d’Alessandria e Margherita
Sec. XVIII, 1741-43
Palermo
Chiesa del Monastero della Pietà
52
Sozzi Olivio
Ss. Concezione
Sec. XVIII
Palermo
Monastero dei Pp. Cappuccini
50
Sozzi Olivio
Sposalizio della Vergine
Sec. XVIII, 1741
Palermo
Chiesa di S. Maria della Pace dei Pp. Cappuccini
46
Sozzi Olivio
Trionfo della Mensa Eucaristica
Sec. XVIII, 1743
Palermo
Volta della Chiesa di S. Giacomo alla Marina
40
Sozzi Olivio
Beata Vergine della Catena
Sec. XVIII
Palermo
Chiesa dei Pp. Teatini 45 di S. Maria alla Catena
Sozzi Olivio
Episodi della Vita di Maria e di Gesù
Sec. XVIII, 1743
Palermo
Chiesa dei Pp. Teatini 43 di S. Maria alla Catena
Sozzi Olivio
Madonna e S. Francesco d’Assisi
Sec. XVIII, 1741-43
Palermo
Selva del Convento dei Pp. Cappuccini
48
Sozzi Olivio
La Vergine Assiste alla Vestizione di S. Chiara da parte di S. Domenico
Sec. XVIII, inizio del quinto decennio
Palermo
Chiesa di S. Maria della Pietà
54
Stomer Mathias
Cristo alla Colonna (Flagellazione)
Sec. XVII, 1638-39
Palermo
Oratorio del Rosario
79
Stomer Mathias
Catone ucciso
Sec. XVII, 1644-45
Palermo
Casa del conte Federico
84
Stomer Mathias
Nascita nel Presepe con Adorazione dei Pastori
Sec. XVII
Monreale (Pa)
Convento dei Cappuccini
Stomer Mathias
S. Isidoro Agricola
Sec. XVII, 1641
Caccamo (Pa)
Chiesa di S. Agostino
76
Stomer Mathias
Seneca Svenato Sec. XVII
Palermo
Casa del conte Federico
82
LXII
Tancredi Filippo
Apoteosi e Sec. XVII, storie della Vita 1693 di San Gaetano
Palermo
Chiesa di San Giuseppe dei Teatini, Volta della navata Maggiore
Van Dyck Anton
Madonna del Rosario
Sec. XVII, 1624
Palermo
Oratorio del Rosario in San Domenico
Vecellio Tiziano
Ritratto di Console
Sec. XVI
Palermo
Casa di Ignoto Pittore 157
Vecellio Tiziano
Ritratto di Giardiniere
Sec. XVII
Palermo
Chiesa di S. Ignazio all’Olivella, Sagrestia
Velasco Giuseppe
La Maestà Regia protegge le Arti
Sec. XVIII, 1787-88
Palermo
Palazzo dei 329 Normanni, Volta della Sala Gialla (Sala d’ercole)
Zampier Domenico detto il Domenichino
S. Cecilia Sec. XVII (Opera attribuita dalla critica ad Antonio Alberti Detto ‘il Barbalonga’)
Palermo
Chiesa di S. Ninfa dei PP. Crociferi
145
Zampier Angelo Custode Sec. XVII, Domenico 1615 detto il Domenichino
Palermo
Chiesa del Convento di S. Francesco d’Assisi
141
LXIII
193
59
156
Bibliografia
Manoscritti
ANONIMO, “Ristretto Ragguaglio della molteplicità delle grazie che volle fare Iddio per sua misericordia ad una creatura nata nella Terra di S. Biagio; oggi in età decrepita, vicino a rendere conto all’Eterno Giudice”, ms. sec. XIX, ai segni Qq E 151, ff. 1403 -1408, B. C. P.
P. CANNIZZARO, Religionis Christianae Panormi. Libri sex, ms. del XVIII secolo in B. C.P. ai segni Qq E37
F. M. EMANUELE
E
GAETANI
DI
VILLABIANCA, Chiese e monumenti sacri della città di
Palermo, ms. ined. 2° metà sec. XVIII, ai segni Q q D 163, B.C.P.
G. LONGO, “Oratio ad Siculos sive excursus varius rei literariae praesertim Siculae, ad bonam mentem exercendam (Inedita, B.C.P., Qq. F. 7, n.7).
O. MANGANANTE, Sacro Teatro Palermitano cioè Notizia delle chiese tanto dentro, quanto fuori le Porte della Città, come anco delle antiche distrutte con i loro Tumuli, Tabelle, iscrittioni e Lapidi Sepulcrali, ms. sec. XVII, ai segni Qq D 11/15, B.C.P.
A. MONGITORE, Le parrocchie, Maggione, Spedali, , ms. aut. 1721, ai segni Qq E 4, B.C.P.
A. MONGITORE, Storia sagra di tutte le chiese, conventi, monasteri, ospedali ed altri luoghi pii della città di Palermo – Le chiese e le case dei regolari, ms. sec. XVIII, ai segni QqE5, B.C.P.
A. SOZZI, Catechismo pittorico teorico pratico ove si discorre del disegno, e delle sue parti, della proporzione, e della nomenclatura de’ suoi processi colla pratica del disegnare, ms. sec. ai segni 4QqB36-37, B.C.P.
LXIV
Testi Dattiloscritti A. GALLO, Parte Prima delle Notizie di Pittori, ms. sec XIX, ai segni XV-H-18, Biblioteca Centrale della Regione Siciliana, Palermo, Trascrizione di F.P.Campione, La Pittura siciliana del Seicento negli scritti di Agostino Gallo, relatore S. La Barbera, Facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo, a.a. 1998/99 R. CINÀ, Padre Fedele da San Biagio conoscitore nella Sicilia del Settecento, Palermo 20002001
Testi a Stampa AA.VV. D.B.I., Dizionario Biografico degli Italiani, vol. I e seguenti, Roma 1960 AA. VV., Mostra di Filippo Paladini, Catalogo a cura di M. G. Paolini e
D. Bernini,
Palazzo dei Normanni, Palermo 1967 AA.VV., Dizionari Enciclopedico Bolaffi dei Pittori e degli Incisori Italiani – dall’XI al XX, Palermo 1972 AA.VV., X Mostra di Opere d’Arte Restaurate, Palermo,1977 AA.VV., XI Catalogo di Opere d’Arte Restaurate (1976-1978), Palermo 1980 AA.VV., XII Catalogo di Opere d’Arte Restaurate (1978-1981), Palermo 1984 AA. VV., Pietro D’Asaro, il Monocolo di Racalmuto 1579 - 1647, Catalogo della Mostra, Racalmuto, 1984 AA.VV., Caravaggio in Sicilia, il suo tempo, il suo influsso, Catalogo della Mostra, Siracusa, Museo Regionale Di Palazzo Bellomo, 10 Dicembre 1984-28 Febbraio 1985, Palermo 1985 AA. VV., La chiesa di S. Chiara a Palermo, Palermo 1986 LXV
AA. VV., L’ultimo Caravaggio e la cultura artistica a Napoli in Sicilia e a Malta, a cura di M. Calvesi, Palermo 1987 AA. VV., Il barocco in Sicilia – tra conoscenza e conservazione, Palermo 19872
AA. VV., La Pittura in Italia, il Seicento, Palermo 1989
AA. VV., La Pittura in Italia, il Settecento, Palermo 1990
AA. VV., Pietro Novelli e il suo Ambiente, Catalogo della Mostra, Palermo 1990
A.A. VV., Pittori del Seicento a Palazzo Abatellis, Catalogo della Mostra a cura di Vincenzo Abbate, Palermo 19902
AA.VV., La Rosa dell’Ercta, Palermo 1991
AA. VV., Opere d’arte restaurate. Agrigento 1988 – 1993, a cura di G. Costantino, Agrigento 1993
AA. VV., Maestri del Disegno nelle collezioni di Palazzo Abatellis, Catalogo della Mostra a cura di V. Abbate, Palermo 1995
AA. VV., Domenichino 1581-1641, Catalogo della Mostra, Milano, 1996
AA. VV., Van Dyck a Genova, grande pittura e collezionismo, Catalogo della Mostra, Milano, 1997
AA.VV., Vulgo Dicto lu Zoppo di Gangi, Catalogo della Mostra a cura di V. Abbate, Palermo 1997
AA. VV., Capolavori d’Arte del museo Diocesano – Ex sacris imaginibus magnum fructum…, Catalogo della Mostra a cura di M.C. Di Natale, Palermo 1998
LXVI
AA. VV., Arti decorative nel Museo Diocesano di Palermo – Dalla città al museo dal museo alla città, a cura di M. C. Di Natale, Palermo 1999
AA. VV., Porto di Mare 1570 - 1670 – Pittori e pittura a Palermo tra Memoria e Recupero, Catalogo della Mostra a cura di V. Abbate, Napoli, 1999
AA. VV., Vincenzo degli Azani da Pavia e la cultura figurativa in Sicilia nell’età di Carlo V, a cura di T. Viscuso, Palermo 19992
AA. VV., Altofonte – Guida ad Altofonte e al suo territorio, Palermo 19993
AA. VV., La pittura nel nisseno dal XVI al XVIII, a cura di E. D’Amico, Caltanissetta 2001
AA. VV., Padre Fedele da S. Biagio, Catalogo della mostra a cura di G. Costantino, Palermo 2002
V. ABBATE, I tempi del Caravaggio. Situazione della pittura in Sicilia (1580 – 1625), in Caravaggio in Sicilia, il suo tempo, il suo influsso, Catalogo della Mostra, Siracusa, Museo Regionale Di Palazzo Bellomo, 10 Dicembre 1984-28 Febbraio 1985, Palermo 1985
V. ABBATE, esperienze di Pietro Novelli in Pietro Novelli e il suo Ambiente, Catalogo della Mostra Palermo, Albergo dei poveri, 10 giugno-30 ottobre 1990, Palermo 1990
V. ABBATE, Quadrerie e collezionisti palermitani del Seicento, in Pittori del Seicento a Palazzo Abatellis, Catalogo della Mostra a cura di Vincenzo Abbate, Palermo 19902
V. ABBATE, Dalla quadreria privata alla pinacoteca publica: origini e vicende delle raccolte seicentesche della Galleria Regionale della Sicilia, in Pittori del Seicento a Palazzo Abatellis, Catalogo della Mostra a cura di Vincenzo Abbate, Palermo 19902
V. ABBATE, Amici e committenti madoniti del Bazzano e del Salerno, in Vulgo Dicto lu Zoppo di Gangi, Catalogo della Mostra a cura di V. Abbate, Palermo1997
LXVII
V. ABBATE, La città aperta. Pittura e società a Palermo tra Cinque e Seicento in Porto di Mare 1570 - 1670 – Pittori e pittura a Palermo tra Memoria e Recupero, Catalogo della Mostra a cura di V. Abbate, Napoli, 1999 V. ABBATE, Viaggio nella pittura del Seicento – Quaranta capolavori da Palazzo Abatellis, Palermo 2001 M. ACCASCINA, Per la pittura del ‘700 nel Museo Nazionale di Palermo, Nuovi Acquisti, in «Bollettino d’Arte», X, 1930, pp.501-504 M. ACCASCINA, Quadri, argenti e stoffe, in Petralia Sottana, in «Giglio di roccia», II (giugno-luglio 1935) 6-7, pp.1-3 G. AGNELLO, Note e documenti inediti su artisti ignorati dl XVIII secolo in Sicilia. Luciano Alì, Ermenegildo Martorana, Gregorio Lombardo, Rosario Minniti, Giacomo Ferlito, Archivi, III, 1936 F. ALAJMO, Lo zoppo di Gangi, pittore siciliano del secolo VII: saggio storico-critico, Palermo 1939 B. ALESSI, Il Monocolo di Racalmuto e lo Zoppo di Gangi, in Atti della giornata di studio su Pietro D’Asaro, Racalmuto 5 febbraio1985, Palermo 1985 B. ALESSI, Due mecenati di Padre Fedele e la “memoria” di Pietro d’Asaro, in Padre Fedele da S. Biagio – fra letteratura artistica e pittura, Catalogo della mostra a cura di G. Costantino, Caltanissetta 2002 B. ALESSI, Scheda sez. Pittura n. 4, in M. C. Di Natale - F. Messina Cicchetti - D. Ciccarelli - R. La Duca – T. Pugliatti, L’Eredità di Angelo Sinisio, l’Abbazia di San Martino delle Scale dal XIV al XX secolo, Palermo 1997 L. ALESSI, Le Accademie di Sicilia nel '700, Palermo 1925 G.B. AMICO, L’Architetto Pratico, 1726, tomo I
LXVIII
V. AMICO, a cura DI G. DI MARZO, Dizionario Topografico della Sicilia, Palermo 1856 M. ANDALORO, 1965, Restaurato ma non ben collocato il Giudizio Universale dello Zoppo di Gangi, in “il Corriere delle Madonie”, a. II, 1965, n. 3, pag. 3 R. ASSUNTO, Stagion e ragioni dell’estetica del Settecento, Milano 1967 M.G. AURIGEMMA, Schede, in Pittori del ‘600 a Palazzo Abatellis, Catalogo della Mostra a cura di V. Abbate, Palermo1990 C. BAJAMONTE, in C. DE SETA, M.A. SPADARO, S. TROISI - Palermo città d’arte, Palermo, 1999 F. BALDINUCCI, Notizie de’ professori del disegno da Cimabue in qua, Firenze 1681-1728 G. BARBERA, episodi di pittura del Settecento nel territorio messinese, in “Archivio Storico Messinese”, s. III, a. XXX, 1980, pp. 265-268, fig. 1, Messina 1980 S. J. BARNES, Van Dyck a Genova in Van Dyck a Genova, grande pittura e collezionismo, Catalogo della Mostra, Milano, 1997 P. BAROCCHI, Trattati d’arte nel Cinqucento tra Manierismo e Controriforma, 3 voll,.Bari 1960-62 A. BARRICELLI, La Pittura della Sicilia dal Quattrocento alla Controriforma, in Storia della Sicilia, Palermo 1981 A. BARRICELLI, Schede, in Pittori del Seicento a Palazzo Abatellis, Catalogo della Mostra a cura di Vincenzo Abbate, Palermo 19902 M. R. BASTA, Schede, in Padre Fedele da S. Biagio – fra letteratura artistica e pittura, Catalogo della mostra a cura di G. Costantino, Caltanissetta 2002 G. BELLAFIORE, Palermo, guida della città e dei dintorni, Palermo 1956, rist. 1995
LXIX
G. BELLAFIORE, La Civiltà Artistica della Sicilia – dalla preistoria ad oggi, Firenze 1963 G. P. BELLORI, Le vite de' pittori scultori et architetti moderni, rist an. ed. Roma 1672, Sala Bolognese 2006 G. BENTIVEGNA, Dal riformismo muratoriano alle filosofie del Risorgimento : contributi alla storia intellettuale della Sicilia, Palermo 1999 R. BERNINI, Biografia di Filippo Paladini, in in Porto di Mare 1570 - 1670 – Pittori e pittura a Palermo tra Memoria e Recupero, Catalogo della Mostra a cura di V. Abbate, Napoli, 1999
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