LibertàEdizioni
Anna Alberico
HALD LA COMETA ASSASSINA ROMANZO
LibertàEdizioni
A Sergio
HALD LA COMETA ASSASSINA
Michele
investigatore-pizzaiolo
Giordano Ignazio Matilde
vicini di casa
Fulvio Nicola
investigatori privati
Rella Arti
commissario di polizia ispettore
Razza (Hans Frank) Tresca (Hugo) Mara (Elettra) Cenci (Voltimando)
agenti di polizia
Tobini Cornelio
consulenti psichiatrici
Giovanni Aldo Carla Ilaria
fratelli ex moglie di Giovanni moglie di Aldo
Elsa Gina Mirella
amiche
Landroni Lampo Ettore Osvald Giovanna Luigi Elisa Ernesto Eustachio Olivetta Amilcare Anacleto
medico legale direttore osservatorio guardiano osservatorio fattorino inserviente elettricista figlia di Luigi parrocchiano locandiere geometra notaio segretario
Samantha Telamone
maghi
Artemio Arturo
musicanti
1. HALD Nelle notti d’agosto tutto può accadere, anche di vedere Hald, la cometa distratta. Il meteoroide, con la sua mania di comparire in ogni dove del firmamento dimenticando pezzi di scia lungo il percorso, innervosiva gli astronomi, che si azzuffavano su calcoli matematici avanguardisti, costantemente obsoleti rispetto alle variazioni distratte. Hald gironzolava da sei mesi e, sebbene molti individui si fossero abituati alla sua presenza, la maggioranza continuava ad alzare gli occhi al cielo. Si moltiplicavano le cadute, i tamponamenti, i torcicollo, le serate trascorse all’aperto. Poiché gli astronomi sbagliavano le previsioni, nessuno era sicuro di quanto tempo avrebbe trascorso in compagnia della cometa e l’impulso ad ammirarla non scemava. Hald aveva lasciato scie nella volta celeste di entrambi gli emisferi e da circa tre mesi teneva la testa in quello boreale; uno dei paesi dove più risplendeva era l’Italia, specie a settentrione. Questo rappresentava un buon gettito per gli albergatori, i telescopi e gli astrolabi andava-
9
no a ruba e le serate contemplative zittivano molte iniziative ludiche. Oltre che distratta, Hald era dispettosa: una sera era luminosissima e quella dopo emetteva un polverio oscuro e impenetrabile, ricomparendo sfolgorante la notte successiva, quando tutti dormivano. La Nasa aveva inviato due satelliti a prelevare il misterioso pulviscolo, ma il primo era esploso in fase di decollo e il secondo era scomparso dagli schermi, forse risucchiato da un buco nero o finito a spasso in una galassia Come è noto, l’arrivo delle comete dà sempre la stura a profluvi di notizie e predizioni, comprese quelle iettatrici diffuse da astrologi, alchimisti, streghe e stregoni, veggenti, medium, indovini, fattucchiere, prestigiatori, sciamani, animisti, cartomanti, illusionisti, satanici, guaritori, oracoli, chiromanti, negromanti, spiritisti, predicatori, parapsicologi, esorcisti, rabdomanti, ipnotizzatori, cabalisti, esoterici, vuduisti, aruspici, menagramo e prefiche, che si ha un bel dire facciano parte di un mondo ormai estinto, dove imperavano miseria, analfabetismo e superstizione. Pur ammettendo che quell’epoca sia parzialmente estinta, la magia si era adattata all’era della comunicazione, i suoi rappresentanti viaggiavano in internet e in metropolitana, intascavano redditi invidiabili ed erano seguiti da stuoli di seguaci occulti o plateali. Chiaramente mettevano inserzioni sui giornali e, nei mesi antecedenti e coevi alla cometa, si trovarono a disquisire, su carta e su schermo, con insigni astronomi ed economisti. Coi primi dissertavano sulla valenza malvagia o propizia del corpo spaziale e sull’imprevedibilità, che le circonlocuzioni criptiche astrologiche interpretavano pronosticando tutto o niente contemporaneamente. Con gli economisti litigavano circa le ricadute attive o passive sul prodotto interno lordo secondo la portata malefica o benefica ma, soprattutto, si accapigliavano fra loro lanciandosi anatemi.
10
Astrologia, parapsicologia, magia bianca e magia nera, prestidigitazione, sciamanismo, negromanzia, vudù, demonismo, teosofia, psicometria, cartomanzia, ieromanzia, tarocchi, divinazione, demonolatria, spiritismo, numerologia, chiaroveggenza, cabala, sfere di cristallo, levitazioni, talismani, trance, telepatia, telecinesi, scrittura automatica, lettura della mano, delle uova à la coque, dei fondi di the e caffè, delle frattaglie di pollo, pendolini, amuleti, bacchette magiche, pozioni d’amore o di vendetta, tisane rassodanti, fluidi abbronzanti, snellenti e predittivi, ribollivano in un calderone di polemiche e riempivano pagine di giornali e intermezzi televisivi. Vaticinavano cataclismi o miracoli, esonerando i cronisti da sfiancanti reportage sui tragitti vacanzieri, sull’espansione dell’alga killer, sull’inadeguatezza dei sistemi fognari napoleonici, sui malanni dei viaggiatori da crociera o da traghetto che, per lo 0,001%, rischiavano la salmonellosi o la “maledizione di Montezuma”, per non parlare della deflagrante cinetosi (mal di mare). Ben lontani dall’essere paragonati ai debordanti affanni dei numerosi viaggiatori delle “carrette del mare”, che presenziavano tutto l’anno e, se non s’inabissavano, approdavano su coste relativamente lontane. In mancanza di notizie impigrite dall’afa, c’era sempre un pronostico magico a soccorrere i reporter i quali, per non ripetersi, ricorrevano alla New Age, a un santone indiano e all’onnipresente profezia di Nostradamus, che a tutto si adattava. Il pubblico sovente confondeva astronomi e astrologi, esclusi i casi in cui venivano volgarmente etichettati come scienziati e ciarlatani e le congetture positive prevalevano su quelle nefaste, poiché le sorprese di Hald risolvevano moltitudini di problemi. Una partita di calcio andava male? I perdenti avevano percepito un inspiegabile indolenzimento muscolare. Accadeva un incidente mortale sul lavoro? Il pulviscolo invisibile era piovuto sull’impalcatura, sulla piattaforma della nave, negli occhi del gruista, nelle pale della beto11
niera, negli ingranaggi della catena di montaggio, nel sistema di aerazione della fabbrica. Gli industriali erano contenti, gli assicuratori esultavano e i parenti delle vittime contavano zero come quando la cometa non c’era. Il globo era surriscaldato e il clima diventava furiosamente imprevedibile? Colpa degli influssi planetari uniti alla presenza del bolide. I prezzi aumentavano? Hald influiva negativamente sulle trattative Opec, indisponeva i mercati esteri, qualche granello meteoritico si era infilato nei computer degli operatori, causando un’inversione dell’indice Mibtel … Insomma il mondo girava più fantasioso e lieto del solito. Alla massa tutto sembrava cambiato pur rimanendo uguale: alcuni credevano al magnetismo celeste e speravano in un domani migliore; altri si consolavano guardando il cielo, tanto i prezzi sarebbero comunque aumentati per colpa di uno sceicco, dei cinesi o dei terroristi. Chi non ci ricavava niente erano gli studenti, poiché i professori non consideravano il pulviscolo nella memoria. Del resto non credevano neppure all’ipotesi dell’incidenza spaziale sulle congiunture internazionali; opinione condivisa da molti appartenenti al genere umano, abituati e rassegnati a non essere ascoltati. Questi, in buona parte, avevano rinunciato a parlare e borbottavano fra sé e sé seduti sulle panchine, guidando, camminando, viaggiando in bus o in aereo. Prima o dopo sarebbe finita. I simpatici isolati sostituivano l’oralità con la scrittura. Alcuni coprivano risme di fogli di caratteri che nessuno avrebbe letto, trasformandone raramente uno in lettera agli amici o ai giornali. Tanti si erano adattatati alla modernità, dedicandosi a cercare una comunione d’intenti o d’opinione tra i frequentatori di internet. Si collegavano ai social network o inviavano mail a ignoti compari di tasto e nuove conoscenze. Se fossero passati per matti, si sarebbero limitati a scomparire. Fra questi irriducibili si trovava Michele. Aveva passato i trentacinque accumulando un ottimo e vano curri12
culum di studi e collaborazioni accademiche, saltellando tra la povertà e la sopravvivenza, lo sconforto e l’impazienza, fino ad affondare nella rassegnazione del pizzaiolo, dopo un corso di abilitazione regionale a pagamento, offertogli dallo zio assessore. Dietro al banco teneva aperto il Faust e Urfaust, che non riusciva a leggere, infatti la pagina era coperta di schizzi di salsa, olio e mozzarella e un topo aveva rosicchiato i margini. Sconsolato e frustrato nelle sue vocazioni umanistiche, quando tornava a casa, dopo essersi liberato della puzza di fritto, leggeva, scriveva e chattava. Era sempre stanco, perché si attardava la notte a corrispondere coi suoi amici vicini o d’oltreoceano. Contattava anche diverse ragazze, che gli inviavano foto in allegato, per eclissarsi una volta saputo che non sarebbero state invitate al carnevale. Le sue fortune derivavano dalle generalità: giovane, espansivo, colto, chioma castana fluente, occhi verdi, alto, fisico prestante e tatuato, residente a Rio. Solo dopo vari scambi specificava che non era de Janeiro ma Salso, una delle cinque frazioni montane di un villaggio costiero: Rio Salso, Rio Freddo, Rio Secco, Rio Sperso, Rio Lago. Sulle carte geografiche non erano riportate, ma quando le interlocutrici lo legavano alla regione, Liguria e al comune, Orto – anch’esso escluso dalle carte internazionali – si volatilizzavano.
13
2. UN PAESE Fra i tanti paesi dell’Italia settentrionale dove le amministrazioni si scannavano su preventivi e appalti di concerti e sagre da sopprimere o incrementare, da tematizzare all’aere o alla terra, Orto era particolarmente attivo. Questo era un piccolo centro di sognatori, dove molti camminavano guardando il cielo. Gli abitanti non si dilettavano a sognare a occhi aperti ma, in rapporto alla densità della popolazione, la percentuale dei sognatori risultava alta rispetto alla media; come altrove era preponderante quella dei commercialisti, degli emarginati, dei pizzicagnoli, dei giudici, degli psicolabili, dei baristi, delle vedove o dei contadini. Il fenomeno, emerso dall’ultimo censimento dell’istituto di statistica, aveva una spiegazione sociologica: Orto avrebbe dovuto essere un centro di villeggiatura, ma gli assomigliava solo, poiché i paesi limitrofi lo superavano per architettura, dimensioni, strutture turistiche e commerciali. Non era in grado compensare il difetto con l’industrializzazione o iniziative di sviluppo competitivo; i suoi pregi erano la vicinanza alla città di Ninfere e i costi degli affitti inferiori a quelli stratosferici delle località confinanti, per non perdere ogni tipo di frequentazione umana. I sognatori erano amanti del paesaggio, non abbastanza ricchi da permettersi un appartamento elegante, né tanto poveri da rassegnarsi a tutto e che, anziché tumularsi in un costoso casermone grigio sepolto tra altri casermoni alla periferia della città, preferivano percorrere qualche chilometro per recarsi al lavoro, acquistare in negozi forniti come un agglomerato alpestre coi prezzi della Costa Azzurra, utilizzare mezzi pubblici a orari rarefatti, ma avere a disposizione mare, verde e ipotetica quiete. La loro presenza non intaccava la maggioranza autoctona, in passato dedita ad agricoltura e pesca e ora inte-
14
grata nel sistema socio-economico, pur conservando residui di usanze ataviche. Il paese, a pianta rettangolare, era disposto in un avvallamento fra i dirupi e protendeva uno dei lati minori sul mare, propagando gli altri all’interno. Sulla collina vulcanica retrostante sorgevano le nominate frazioni, nelle quali non era raro incontrare individui dallo sguardo vacuo o torvo, a causa dei numerosi incroci tra consanguinei che avevano creato schiere di ritardati, accompagnati a elementi dispregiatori del prossimo e ammiratori del progresso, infatti il paesaggio era disseminato di antenne paraboliche e telefoniche. Sia all’interno, sia sulla costa, i cognomi ricorrenti erano tre e bisognava fare attenzione a quel che si diceva, perché gli incroci di parentela si estendevano da un capo all’altro del comune, intersecando ogni ceto sociale e aggregazione familiare e non era raro che gli omonimi fossero nemici a causa di faide secolari. La stretta parentela era fonte di dissidio, mentre si trovavano alleanze tra cugini in terza e quarta, prozii, pro cugini, pseudo cognati, impegnati a fronteggiare trame traverse di antichi e recenti vituperi e questioni ereditarie, appalti, posti auto, sconfinamenti di proprietà, usufrutti, servitù di passaggio, lasciti di collezioni di francobolli, vecchi libri, cassapanche, muli, pollai, conigli, posti barca e recinzioni. Cosa c’entra Hald con tutto questo? Nella sua distrazione la cometa, da luglio, si era stanziata sul nord Italia e dal rilievo di Orto, che superava quelli dei paesi circonvicini, la vista del firmamento era uno spettacolo. Come se non bastasse, l’Associazione Interplanetaria, sapendo che Hald era in procinto di arrivare pur senza prevederne l’imprevedibilità, cercava il luogo idoneo per impiantare un centro di osservazione e optò per quella vetta pianeggiante inaugurando la struttura, completa di planetario, due mesi prima della sua comparsa.
15
Quell’agosto fu memorabile per Orto e accaddero fatti inimmaginabili, misteriosamente collegati alla distrazione della meteora e accompagnati da una scia di sangue.
16
3. PRIMI SEGNALI
La notte del 10 agosto, detta di S. Lorenzo, il comune aveva organizzato un servizio di bus-navetta per i turisti e gli studiosi che si sarebbero radunati all’osservatorio a contemplare la pioggia di meteoriti, chiedendosi se Hald avrebbe scelto di cadere anch’essa, sebbene niente lo facesse supporre. Il bolide decise di essere discreto, emettendo una luce soffusa che desse modo agli appassionati di vedere le costellazioni e le scie pulviscolari. Un gesto degno di nota, non corrisposto dall’umidità, che addensò una fitta foschia rendendo inutile ogni accanimento planetario. Gli unici a vedere le stelle cadenti erano i bambini, che le inventavano per donare il desiderio ai genitori. Questi, scettici dei bagliori inafferrabili, sognavano in segreto e i figli, furbescamente, risolvevano chiedendogli il giocattolo. Oltre ai bus-navetta era stato organizzato un percorso salutare attraverso le cinque frazioni di Orto, da percorrere a lume di torcia. In ognuna i turisti avrebbero sostato per ascoltare dagli autoctoni un resoconto sulle caratteristiche. Le località dovevano il loro nome a un ruscello che nei periodi di pioggia sorgeva dalla sommità meridionale della collina e scendeva tortuosamente. La prima era Rio Salso, dove l’acqua sgorgava carica di minerali; la seconda Rio Freddo, dove sbucava gelida dopo un tratto sotterraneo; la terza Rio Secco, dove il passaggio era stato deviato dallo scoppio di una granata, la quarta Rio Sperso perché non sempre vi passava e la quinta Rio Lago, a valle, dove l’acqua formava una pozza prima di defluire nel torrente Rione. Queste meraviglie d’estate non si vedevano, il sentiero era scosceso e irto di rovi e le frazioni erano sparuti agglomerati abitati da anziani e scorbutici contadini e da qualche erede psichicamente dissociato. Molte venivano ripopolate durante i fine settimana, ma non mancavano i 17
nuovi arrivi: diversi sognatori, tra cui Michele, non avendo trovato spazio in pianura, erano finiti abbarbicati sulla collina. Oltre alle case c’erano due bunker tedeschi perfettamente conservati. Michele abitava in una palazzina ristrutturata prossima alla vetta e all’osservatorio. La costruzione, deformemente oblunga in altezza, conteneva quattro appartamenti di proprietà della signora Elsa, che alloggiava al primo piano con giardino. Negli altri tre vivevano Michele, Giordano, Ignazio e Matilde. Il giardino di Elsa era adibito a orto e in quei giorni, nell’angolo dedicato alle piante ornamentali, erano accatastate pile di materiali vari. La confraternita religiosa ortese aveva deciso d’installare un presepe vivente a ferragosto. Il motivo era sempre Hald: nessuno sapeva se a dicembre sarebbe stata ancora lì, quindi meglio approfittarne subito. L’idea era stata di Elsa, che andava a bere il caffè alla macchinetta dell’osservatorio ciarlando con Gina, l’addetta alle pulizie, che cianciava col personale incamerando informazioni da divulgare. Gli astronomi erano inviperiti per l’iniziativa e si erano rifiutati di ospitare la capanna, la culla, il bue, l’asino e i costumi. Tutto era finito da Elsa, soffocando l’ortensia, i gerani e le margherite. Melanzane, zucchine, zucche, cipolle, fagiolini e pomodori erano salvi, almeno fino all’arrivo di asino e bue. Il problema era dove trovare i personaggi e mantenere in piedi l’iniziativa fino all’Epifania. Il parroco era furioso: il suo gregge si era lasciato prendere dall’euforia prestando fede agli spropositi di tre comari, Elsa, Gina e Mirella, anziché ai suoi moniti e aveva imposto alle fedeli di arrangiarsi. Le signore si erano messe all’opera, requisendo i costumi al teatro, gli animali a due contadini e il prefabbricato a una piccola industria dei paraggi. Rimaneva il personale. A ferragosto si andava in ferie ovunque, tranne a Orto, dove l’esodo veniva anticipato o posticipato, per assistere alla festa patronale. Tutti o quasi erano lì, ma addetti agli oboli, alle illuminazioni, ai concer18
ti, alle bancarelle, ai ristoranti o agli spettacoli pirotecnici. Molti sognatori si erano dileguati e non si sapeva a chi chiedere. La sera del 7 agosto un gruppo di parrocchiani si riunì in sagrestia; prese la parola Gina: «Il 10 ci sarà il primo raduno all’osservatorio, dobbiamo montare il presepe; chi si offre?» «- Verrei volentieri, ma ho la gotta e la salita è troppo ripida – Io ho gli sbalzi di pressione – La sciatica mi attanaglia da una settimana – Sapete tutti che non vedo a un metro dal naso …»; la parte maschile era fuori uso, tranne Ernesto. I figli erano già impegnati, escluso qualche perspicace fuggito per tempo e la parte femminile era inadatta alla manovalanza. Le patrocinatrici ne sapevano una più del diavolo ed elucubrarono di ricorrere al ricatto, approvato all’unanimità: Elsa avrebbe rincarato l’affitto agli inquilini se non si fossero prestati ai pii proponimenti. Il pomeriggio successivo, con una temperatura di trentadue gradi, Michele si caricò in spalla i pezzi del prefabbricato. Lo aiutava Giordano, che era appena tornato dal lavoro e avrebbe preferito farsi una nuotata. «Arriverò in pizzeria sudato fradicio» disse il primo. «Però ti scampi il ruolo di Giuseppe e pensa se avessero predisposto una Via crucis guidata» rispose l’altro, segretario notarile trentaquattrenne, alto, biondo e atletico. Ignazio e Matilde li seguivano con la culla e i costumi. Matilde, ventinovenne bionda, esile e al settimo mese di gravidanza, si era scampata la parte di Maria; così Ignazio, trentaduenne magro, dai tratti delicati e gli occhi chiari, aveva dovuto prestarsi al suo posto, dopo aver trascorso le giornate alle prese coll’edicola di giornali. Doveva alzarsi all’alba e Michele, al rientro, lo avrebbe sostituito. Gesù bambino sarebbe stato impersonato da un bambolotto e lo spettacolo si sarebbe svolto le sere dei fine settimana e nelle festività. Se si fossero rifiutati, avrebbero dovuto traslocare.
19
Il montaggio lo terminarono al buio, con Michele che aveva esaurito le scorte di sudore infornando pizze ed Ernesto, dallo sguardo truce e il portamento funereo, che sorvegliava i malcapitati puntando la torcia. Il risultato fu piuttosto deprimente: la capanna era uno stipo per gli attrezzi a mono spiovente, incapace di ospitare le bestie, che sarebbero rimaste fuori, insieme ai piedi anteriori della mangiatoia. Elsa propose di sostituirla con una grotta di pietre montane, ma lo sguardo degli inquilini la fece ammutolire. L’apparato fu inaugurato la sera del 10. Giordano si vide costretto a indossare la barba finta e una coperta militare; Ignazio, che portava i neri capelli a spazzola, sfoggiò una parrucca castana e un sari turchese; Matilde fu sopraffatta dalla nausea e Michele prolungò il turno con una sosta al bar. I partecipanti giunsero alle dieci col bus navetta, osservarono il presepe e si addentrarono nel planetario in attesa della totale oscurità. Mezz’ora dopo arrivò il secondo bus, sul quale viaggiavano anche una cartomante e un astrologo, che montarono i banchetti ai lati della capanna. Il buio era calato e gli spettatori puntarono gli sguardi sul cielo torbido. Doveva ancora arrivare una comitiva di tedeschi in tour lungo la costa. Il loro mezzo era troppo voluminoso per i tornanti in salita e la guida li dirottò sul percorso salutare. Il più giovane aveva sessant’anni e pesava settanta chili; tutti gli altri lo supervano per mole ed età. Salivano lentissimi, sostando a ogni frazione senza incontrare l’ombra di un nativo. A Rio Freddo, un gitante si separò dal gruppo per urinare e, superato il sentiero e l’area picnic, inciampò in qualcosa di morbido e umidiccio: il corpo di un uomo. Chiamò la guida e l’ascesa si bloccò in attesa della polizia.
20
4. OMICIDIO Dopo un quarto d’ora, l’aria fu lacerata dalle sirene di ambulanza e volante, i cui passeggeri giunsero sul luogo dopo un breve tratto a piedi. Il commissario Rella aveva chiamato il medico legale e la scientifica: la guida, studentessa in medicina, aveva accertato la morte della vittima. L’uomo, privo di portafogli e documenti, fu riconosciuto dall’ispettore Arti: era Luigi, un contadinoelettricista sessantaquattrenne di Rio Lago. Stava accasciato a terra, col tronco appoggiato al fusto di una quercia e il cranio sfondato da un masso che teneva in grembo, imbrattato di sangue e materia cerebrale. Era morto da circa un’ora. La comitiva diede fondo alle ultime lattine di birra e, dopo aver rilasciato le generalità, fu scortata alla meta dagli agenti Razza e Tresca. «I cattivi auspici si addensano, interpretare, non subire: il vostro destino è nelle carte» urlava l’anziana cartomante mentre i poliziotti segnavano gli estremi di patenti e carte d’identità a tutti i presenti. «L’oroscopo è chiaro, il cielo si rivolta, cosa accadrà? Amore o discordia?» controbatteva l’astrologo. La guida aveva parlato e il dottor Lampo, direttore dell’osservatorio, era furioso: «Il presepe, i maghi e un omicidio, questa è fantascienza. Me ne vado» disse all’ispettore. Michele fu bloccato da Giordano e Ignazio, seduti al ciglio del bosco coi costumi sotto al braccio: «Se continua così, ce la scampiamo: un presepe del malaugurio non potrà durare» disse ottimista Giordano. «Il parroco sta irrorando la capanna d’acqua santa: sono salito da dare un’occhiata» disse Michele. «Non ho intenzione di continuare questa farsa umiliante: la megera ci ha colti di sorpresa, ma dobbiamo sferrare il contrattacco. È tutta la sera che ci penso, ispirato dai due bancarellari; l’astrologo è un merciaio am21
bulante e la cartomante gestisce una latteria in città. Dobbiamo avvalerci degli avversari: la sfiga è un ottimo deterrente» disse Ignazio. Il discorso avveniva su un tronco d’albero, lontano dalle orecchie indiscrete di Elsa, ma non da quelle dell’ispettore, che esplorava i dintorni e gli puntò la torcia negli occhi: «Chi siete, cosa fate?» «Giuseppe e Maria, ci conosciamo già» rispose Giordano. «E io sono la comparsa, ho mostrato i documenti agli agenti» disse Michele. I poliziotti si diressero all’abitazione della vittima, un villino poco distante dalla strada. Controllarono il pollaio e la stalla, poi entrarono forzando la serratura. L’interno era ordinato e pulito; Luigi era vedovo e delle mansioni casalinghe si occupava Gina. L’arredamento era nuovo, dotato di video al plasma e antenna parabolica. La camera della figlia Elisa, che viveva in Spagna, non conservava sorprese, ma l’armadio del proprietario sì. «Un copricapo piumato e sei paia di mocassini indiani, abiti vedo-non vedo, un boa di pelliccia artificiale, un frustino, un cappello da cow boy, un kimono con cintura rossa, una katana e un completo orientale» elencò Razza estraendo i capi dall’anta superiore sinistra. Tresca esplorava la libreria: «Riviste e video porno, mazzi di carte e fiche: il signore aveva una doppia vita.» Requisirono i video e rientrarono in centrale. La mattina dopo il medico legale, Landroni, eseguì l’autopsia: l’uomo era morto per sfondamento del cranio. Le impronte sul masso erano le sue. «Dobbiamo scoprire le personalità della vittima. Elettricista in pensione, dedito all’orto, al pollaio, alle bocce e al bar; un individuo apparentemente innocuo, che si sciroppa porno omosessuali, si veste da donna, da capo indiano, da cow boy, da principe arabo e pratica le arti marziali e il poker... Notizie che non devono trapelare. 22
La figlia arriverà stasera da Madrid; per ora interroghiamo i compaesani» disse il commissario. Gli abitanti di Rio Lago erano storditi dall’età e dall’omertà, dettata dalla diffidenza verso i cittadini, poliziotti compresi. Edmondo, novantenne, disse che sarebbe stato meglio catturare la pluriomicida, anziché disturbare i defunti. «Quale omicida?» chiese Arti. «Afa, che stermina impunita.» Raimondo, ottantacinquenne, non conosceva il signor Qualcuno dagli svaghi insoliti e gli altri non distinguevano il presente dal passato. Mirella asserì che Luigi era educato e gentile: le regalava uova fresche, potava le rose e curava l’orto. Aveva ceduto volentieri la mucca per la rappresentazione e promesso di sistemare l’illuminazione per la capanna, sebbene l’inaugurazione si fosse svolta al buio. A Orto molti avevano usufruito dei servigi dell’elettricista, competente ma costoso. I compagni di svago lo ricordavano con benevolenza e nessuno alluse a strane commistioni. Arti presentò i resoconti al commissario: «L’avvenimento ha destato sorpresa e dispiacere, senza eccessi. Tanti lo conoscevano e lo frequentavano, ma non trapelano notizie di abitudini inconsuete, per inconsapevolezza o complicità. Qualcuno deve sapere: avrà seguito un corso di karate, sarà entrato in un night club, in una bisca, in edicola o in videoteca.» «Probabilmente aveva dei compari, interessati a rimanere nell’ombra, ma nei paesi le voci circolano» disse il commissario. Quel pomeriggio, Michele chiamò l’amico Nicola e, bevendo una birra, gli descrisse la grottesca situazione del presepe. «Prospettiamo un’azione di boicottaggio: io, Ignazio e Giordano utilizzeremo il mio blog e tu, che vedi sfilare tutto il villaggio allo sportello postale, potresti contribuire a seminare discordia.»
23
«Lancerò delle provocazioni» disse Nicola e giunse Fulvio, suo socio all’agenzia investigativa “La Rabbia e la Quiete”: «Ciao, da lontano non vi si distingue l’uno dall’altro»; infatti Nicola era alto, con occhi castani e capelli neri, che portava lunghi fino alle spalle. Fulvio aveva corti capelli biondi, occhi verdi e fisico slanciato. Preferiva l’attività di detective alle desolanti prospettive di architetto neolaureato e propose di svolgere qualche indagine a fine propagandistico. Nel tardo pomeriggio Elisa, una ventottenne dalla figura longilinea e la chioma ondulata e castana, entrò in centrale. Si era trasferita a Madrid quattro anni prima; lavorava in una ditta di esportazione e tornava durante le ferie. I rapporti col genitore erano distaccati e i funzionari le svelarono solo parte dei retroscena. «Il war bonnet e i mocassini mic mac li acquistai per compassione al raduno campestre dei nativi americani» disse. «Sì, la scorsa estate al Passo del Cinghiale, erano presenti molte tribù?» chiese Arti. «Gli indiani erano i due gestori della stazione di servizio; gli altri erano rom del campo nomadi travestiti e componenti delle comunità ecuadoriana e cingalese. L’abito orientale è il costume di Melchiorre: mio padre lo usava alla rappresentazione natalizia della confraternita; recitava anche in teatro.» «Chiederemo. Chi impersonava Gaspare e Baldassarre?» «Anselmo ed Ernesto, un amico e un parrocchiano.» «Aveva la passione del gioco d’azzardo?» «Giocava a carte con gli amici al bar, qualche partita a bocce, ma non per soldi.» «Quando acquistaste il villino?» «Dopo la morte di mia madre, cinque anni fa.» «Non sopportavate il ricordo?» «Sì, ma soprattutto la compartecipazione ai programmi televisivi e alle riposizioni dei mobili piombati degli inquilini superiori. Uniti alla messa cantata condita 24
d’incenso e ai telequiz dell’appartamento a destra, accompagnati ai polizieschi mattinieri di quello a sinistra e alla techno degli studenti a nord-ovest, ci fecero esplodere. Ma il cambiamento non migliorò la situazione: senza mia madre non riuscivamo a comunicare; così colsi al volo l’opportunità di trasferirmi. Mio padre era ancora giovane e senza di me avrebbe avuto maggiore libertà di movimento.» «Chi possiede le chiavi del villino, oltre a lei?» «Gina, che si occupa di varie mansioni.»
25
5. VIGILIA
Nei giorni seguenti non vi furono svolte nelle indagini. Il funerale si svolse il mattino, tre giorni dopo l’omicidio, con grande partecipazione di pubblico e polizia. Intanto fervevano i preparativi della festa: dalla mattina precedente il paese era stato invaso da stand di ristorazione e bancarelle e dopo le esequie nessuno era intenzionato a sprecare energie. «A ogni angolo incappiamo in un cestino per gli oboli, ho svuotato il portafoglio senza cavare una parola» disse Arti ripulendo gli occhiali foto-cromatici e lisciando i folti capelli biondi. «È ovvio, chi fiata viene ammutolito dalle campane, sono rintronato» rispose il commissario detergendo il sudore che colava dalla disordinata capigliatura nera striata di grigio. Il primo aveva quarantadue anni, l’aspetto giovanile e allegro; il secondo, dal portamento severo, ne aveva tre di più. Non traendo profitto dalla ricerca, tornarono a Ninfere in centrale. I due agenti trentenni Razza e Tresca, detti “il Biondo” e “il Rosso”, propensi al lavoro di coppia che conciliava il disfattismo del primo all’entusiasmo del secondo, stilavano i verbali. Quando squillò il cellulare si allontanarono. Era stato Fulvio a convocarli, in funzione di collaboratori straordinari dell’agenzia investigativa, situata a Orto, nella soffitta del piccolo appartamento nel quale lui e Nicola coabitavano per sopperire all’esosità dell’affitto. Gli narrò la vicenda del presepe e le notizie finora apprese e questi ricambiarono con le loro informazioni. Nel pomeriggio si presentò in centrale il dott. Tobini, consulente psichiatrico: un cinquantenne tracagnotto, calvo e occhialuto, che tracciò l’identikit dell’assassino. «Il nostro uomo, presumibilmente di razza bianca, ha un’età compresa tra i trenta e i settant’anni, un’istruzione elementare e media, forse superiore. È 26
pratico dei boschi, infatti si è allontanato indisturbato dalla zona del delitto e forse conosce la vittima, che ha posizionato seduta con gli occhi chiusi in segno di pietà, lasciando l’arma utilizzata e sottraendo soldi e documenti. L’atto fa presumere una personalità tanto razionale quanto alienata» disse. «Siamo al punto di prima, anzi peggio, visto che il cialtrone verrà retribuito» commentò il commissario. L’ispettore lesse i rapporti: Gaspare e Baldassarre esibivano le attitudini recitative nelle vacanze natalizie; in teatro, dove il cartellone si esauriva con le rappresentazioni della compagnia locale e le proiezioni in terza visione, le specialità della vittima non erano donne e karateka, ma Iago e lo spettro di Banquo. E non pareva frequentasse le sale da gioco, limitandosi ai consueti tornei al “Bar Sociale”. «Della doppia vita non si trova traccia; più tardi tornerò a Orto a caccia di testi» disse l’ispettore. Iniziò dal Bar Sociale, dove c’erano solo due ragazzini impegnati ai videogiochi; chiese al barista: «Da giorni non si vede l’anima di un cliente, non legge i giornali?» rispose questi. «Non ne ho avuto il tempo.» «A luglio il ministro della sanità ha proposto ai pensionati di refrigerarsi nei supermercati e sono spariti, ma per stare al fresco dovevano scarpinare e sobbarcarsi la spesa; inoltre le sedie sono nell’area ristorazione, vietata ai giochi di carte. Hanno dato fondo alla pensione in due settimane, così sono tornati, ma senza poter spendere. Neanche il tempo di riprendersi e il sindaco ha emanato l’ordinanza del bus scontato e gratuito per sessantacinquenni e ultra settantacinquenni. Ora viaggiano ininterrottamente sulle linee interne e litorali con l’aria condizionata; di solito passano a carburarsi dopo le sei e se non fosse per i giovani e la festa, la stagione andrebbe in rosso» disse il barista. Arti riprese a girovagare assordato tra le bancarelle, sganciando caramelle nei cestini e traendo poche e inutili notizie. Quando rientrò al bar, un folto gruppo di an27
ziani si accalcava al banco bevendo bianchi e prosecchi. Tutti vociferavano sui rispettivi tragitti pomeridiani: avevano visitato località dove non tornavano da secoli e rivisto osterie dimenticate. Rispetto alla consuetudine il tasso alcolico era invariato, ma accompagnato da un tocco di allegria non condiviso dal gestore. L’ispettore offrì il giro e scucì qualche informazione smozzicata: Luigi non era un fedele praticante, ma amava recitare ed era rimasto invischiato nella parte di Melchiorre, trascinandosi dietro il compagno di bevute Anselmo, alias Gaspare, fuggito due settimane prima con l’amante. Con un secondo giro Arti carpì l’indirizzo di Gaspare e andò dalla moglie, Ermelinda. «Ispettore, piacere di conoscerla, si accomodi e scusi il disordine, ma sono in partenza. Gradisce un drink?» disse l’allegra signora preparando due gin tonic. Si sedettero sulle poltrone. «Avrei voluto parlare con suo marito di Luigi, ma dovrò chiedere a lei.» «Povero Luigi, ha fatto una brutta fine, ma non ho notizie piccanti da fornirle; bastava Anselmo, si figuri se avessi dovuto sorbirmi anche gli amici. Finalmente è sparito e stasera raggiungerò l’uomo dei miei sogni. Sono riuscita a crescere due figli normali, nonostante tutto. Per anni ho intimato al basilisco di trovarsi un’altra e ora gli auguro ogni bene, non foss’altro per non rivedermelo davanti: tanti giorni felici quanti me ne ha rovinati, il che supererebbe qualsiasi previsione di vita. Se per caso lo sciacallo dovesse rivolgersi alla polizia, accrediti la versione dei miei figli: sono inciampata in un kamikaze a Haifa e d’intero è rimasta solo una scarpa, bye bye.» «Già che son qui passerò da quel tanghero di Ernesto» pensò Arti, che fu accolto dal teste con evidente irritazione, poiché era nel pieno del fervore festivo.
28
Non frequentava Luigi e Anselmo, tranne il trovarseli fra i piedi come Baldassarre; andava al Bar Sociale, ma non vi trascorreva i pomeriggi né era stato contagiato dalla moda delle trasferte.
29
6. DELITTO
Michele, prima di recarsi al lavoro, controllò il blog, dove aveva inserito l’argomento “Deflagrazioni psicoplanetarie”, lanciando l’esca del presepe della discordia. Si erano collegati Samantha, aspirante spiritista, il mago Telamone e il laboratorio artistico “Pensieri paralleli”. La prima prometteva di catturare le presenze occulte che orbitavano intorno alla capanna; il secondo era propenso a collocare il banchetto dei misteri; il terzo proponeva un incontro. Michele inviò una mail agli investigatori e si diresse alla defatigante serata. La pizzeria era stracolma e sferzata dalle correnti gelide emesse dal condizionatore in collisione con quelle roventi provenienti dal forno; metà dei clienti teneva la testa china, giubbotti e camicie abbottonati e foulard sulla gola; l’altra parte sventolava menu e ventagli e alcuni stavano a torso nudo. Al ronzio del condizionatore si sommavano i discorsi, le ordinazioni, le campane, il ballo liscio e la banda. Nelle piazze e negli slarghi erano impiantati gli stand di oggettistica e ristorazione, ognuno con orchestra o stereo, le trattorie traboccavano e i passanti girovagavano fra i banchi aspirando a una panchina libera. Alle undici partì una serie di detonazioni e, in mezzo al frastuono, nessuno udì la sirena. L’ambulanza era stata chiamata da cinque giovani che, quando la banda attaccava i Carmina Burana soffocati da una mazurca, avevano trovato, nell’angolo estremo della spiaggia, una giovane donna accasciata in un lago di sangue. Le sirene non servivano più e giunse la polizia, recintò l’area, fece i primi rilievi e interrogò i testimoni. «Recuperate il fumo e sparite prima che cambi idea; nei prossimi giorni sarete convocati» disse Razza ai ragazzi. Arti fece rapporto al commissario: «La vittima è Carla, una trentacinquenne residente a Rio Sperso. È stata colpita al cuore e all’addome. I soldi 30
e gli effetti personali sono stati rubati, ma tanta ferocia per un furto non si spiega. Controlleremo i dati di bancomat, carta di credito e cellulare. Nessuno ha assistito all’omicidio o scorto movimenti sospetti. Quando è stata trovata, era morta da almeno mezz’ora. Abbiamo avvertito il fratello; il marito è irreperibile e domani contatteremo amici e conoscenti.» Michele, uscendo, incontrò Nicola: «Carla è la sorella di Ignazio: lavorava al catasto» gli disse. «Ho letto i messaggi e iniziato a sobillare; domani pomeriggio verrò a trovarti.» Il mattino successivo la polizia riprese le investigazioni su due fronti. Il primo a recarsi in centrale fu Ignazio, distrutto dal dolore. «Dovete trovare l’assassino. Carla aveva appena ritrovato un equilibrio, dopo cinque anni da incubo. Non voglio giudicare né spargere accuse, ma cercate Giovanni, l’ex marito: minacciava che se l’avesse vista con un uomo l’avrebbe uccisa. Aveva insultato Giordano, il mio vicino.» «Avevano una relazione?» «Non credo, Carla era traumatizzata dall’esperienza precedente; comunque Giordano è disposto a testimoniare.» Citò i nomi degli amici e lasciò gli indirizzi degli zii. «I nostri genitori sono morti in un incidente aereo e meglio per loro» disse andandosene. I funzionari e gli agenti si dedicarono alle testimonianze e all’infruttuosa ricerca di Giovanni. Operaio in un’industria tessile, era partito per le ferie e nessuno sapeva dove si fosse diretto. Amici e parenti di Carla concordarono sulla sua tempestosa vita coniugale, ma non rivelarono notizie determinanti. Il medico legale terminò l’autopsia nel pomeriggio: la vittima, morta tra le 22 e le 23 circa, era stata colpita con un coltello affilato, prima all’addome e poi al cuore. Sul corpo non c’erano tracce di violenza né di tentata difesa. 31
Il commissario controllava i verbali quando giunse Tobini. «Lieto di vederla dottore, ma non è stato convocato.» «Passavo da queste parti e sono salito a offrirle un consulto disinteressato; dovrebbe mostrarmi la documentazione.» «Valuti con calma, mentre discuto coi subordinati» disse l’altro e si allontanò. Arti presentò gli stagnanti resoconti delle indagini: «Gli agenti stanno svolgendo ulteriori sopralluoghi e attiverei l’ausiliario Cenci: due omicidi a ferragosto sono un’aberrazione.» «D’accordo, affiancalo a Razza e vieni a farti due risate.» Cenci, un ventisettenne alto e longilineo, dai neri capelli ondulati e i baffi sottili, era alle prese con le pratiche burocratiche. Di fronte all’ispettore divenne paonazzo e si mise sull’attenti; poi uscì fiero per la prima missione: trovare Razza. Il consulente espose l’identikit: «Il nostro SI (Soggetto Ignoto) potrebbe essere un uomo o una donna, non necessariamente robusta: la lama è lunga e ben affilata. Di età compresa tra i trenta e i sessant’anni, ma non è escluso che un settantenne passeggi armato sulla spiaggia. Forse conosceva la vittima, che non si è difesa o era uno sconosciuto/a che l’ha colta di sorpresa. Un delitto a scopo di lucro, che potrebbe celare il movente passionale di una personalità avida: uccide per amore e prende i soldi. Non nutre sensi di colpa, a differenza dell’assassino dell’elettricista; ma potrebbe essere lo stesso che muta modus operandi per confondere gli inquirenti. Un Serial Killer molto scaltro o un impulsivo-ossessivo-compulsivo che coglie l’occasione della perpetrata violenza per agire o un ladro spietato che colpisce a caso.» «La ringraziamo per la preziosa collaborazione, augurandole un buon ferragosto» disse Rella congedandolo «O tutti o nessuno, ma almeno questa è gratis» commentò Arti. 32
Cenci raggiunse i colleghi a casa di Giordano e ascoltò l’interrogatorio prendendo appunti. A colloquio terminato, Tresca e Razza si rassegnarono alla direttiva: il primo accompagnò Ignazio all’obitorio e l’altro si diresse da Elsa con l’ausiliario. «Entrate pure e attenzione, sono alle prese con le creazioni di découpage, che tra tempo e denaro sono un vero salasso» disse lei, districandosi come un pachiderma con la grazia di una libellula tra pile di cartoncini, ampolle, pennelli, stoffe, colle e colori, che Razza non riuscì a scansare, provocando un crollo a catena. Dopo essersi scusati, gli agenti interrogarono la donna. «Non ho da dirvi niente di nuovo, tranne di lasciare in pace i morti. I miei arrostiscono salsicce e peperoni, sintonizzano la radio su brani strazianti e scompigliano vecchie foto; sono simpatici ma ingombranti: non mi lasciano dimenticare.» Nicola e Michele erano alle prese con internet: altri utenti si erano collegati al blog e la sera avrebbero visitato l’osservatorio. «Non sanno che il presepe è saltato. A meno che Elsa non abbia un asso nella manica, c’è solo Giuseppe» disse Michele e come concluse la frase bussarono alla porta: era Giordano. «Altro che presepe del malaugurio. Siamo a pezzi e la strega ti va a scovare Maria: la figlia dell’elettricista assassinato; l’avrà plagiata con i sensi di colpa. Ho perso un’amica, sono nei guai a causa del marito e devo fare il buffone.» «Stasera ci sarà un bel via vai di maghi, forse riusciranno a mandarlo a rotoli. Vi raggiungerò il prima possibile» disse Michele pronto per il turno. Nicola scese con lui e raggiunse Fulvio all’agenzia, quindi si recarono ai Pensieri paralleli. Al laboratorio artistico si accedeva dal garage di un’abitazione sulla statale lungomare. Li accolse Linda, una minuta ed elegante signora sessantenne: «Non so chi abbia lanciato l’invito sul blog, ma siete i benvenuti.» 33
«Come funziona il laboratorio?» chiese Fulvio aggirandosi fra le stanze che occupavano il seminterrato. C’erano computer, tavoli, sedie, tappeti imbottiti e pouf, una sala di lettura, una musicale, una pittorica decorata a murales. I frequentatori erano in giardino, arredato con sdraio, tavoli e ombrelloni, stesi al sole o seduti a leggere, scrivere, conversare, disegnare, studiare o meditare. «Ognuno si occupa di quel che gli pare. All’ingresso c’è un quaderno dove i visitatori scrivono le loro idee e gli interessati le sviluppano.» «Cosa significa Pensieri paralleli?» chiese Nicola. «Un mondo parallelo per affrontare quello reale.» «Un’idea originale.» «Con l’età ci si rinchiude nei rimpianti delle occasioni perse e dei sogni infranti, finendo col coltivare astio e rancori. Il mondo è una valle di lacrime, perché aggiungere dolore? Mio marito ha smesso di ammorbarmi l’aria e dispongo di questo spazio: chi vuole lo utilizza per qualsiasi fine o attività positiva, nei limiti del realizzabile» spiegò Linda. «C’è una quota d’iscrizione? Il laboratorio è frequentato da giovani, anziani, uomini o donne?» chiese Fulvio. «L’accesso è libero e gli ospiti variano. Questo è un covo di naufraghi col nome di artisti che, anziché spargere malvagità gratuita, affondano tra simili. Sulla frequenza influisce il tema prescelto; ora affrontiamo i messaggi dispersi.» La visita fu interrotta dal suono delle sirene e i detective si allontanarono.
34
7. COMPLICAZIONI
Le sirene si smorzarono di fronte al mare, dove una motovedetta della guardia costiera lanciava corde e salvagente a una ventina di bagnanti vestiti. «Cosa succede?» chiese Nicola a Tresca, giunto con la volante. «I gitanti della Rimpatriata padana si sono inabissati urtando la boa di segnalazione e ben gli sta, così imparano ad avvicinarsi a riva coi motori accesi; del resto non sanno remare né nuotare.» Il motoscafo era colato a picco e due sub recuperavano gli effetti personali dei naufraghi, che stavano approdando. Una voluminosa anziana ossigenata sbraitava pretendendo l’immediato recupero dei chili di catene d’oro sganciati per non affondare; gli altri rivolevano carte di credito, documenti e cellulari. I sommozzatori riemersero scocciati sbattendo sulla spiaggia borse e portafogli.
35
«La prossima volta immergetevi voi» urlò il primo; il secondo si diresse da Tresca e gli consegnò un coltello. I superstiti lasciarono nella sabbia una borsa e il sub la raccolse: conteneva il portafogli di Carla. Razza, dopo aver sperimentato l’interrogatorio itinerante, volle mostrare a Cenci l’allenamento nella Palestra ristretta. «Attento alla testa» disse alla recluta, ma troppo tardi. «Come si può allenarsi in un buco di quattro metri quadri?» chiese Cenci col pedale della cyclette bloccato nel tapis roulant, dopo aver ricevuto un pugno da un ginnasta in estensione. Razza, schivando un guanto da boxeur e il rinculo del sacco, gli spiegò che pagava solo il gettone della doccia. Udirono lo squillo del telefono e si diressero in centrale. Il commissario aveva radunato la squadra: «L’assassino ha gettato in mare la borsa della vittima: ha lasciato la carta d’identità e sottratto patente, cellulare, bancomat e soldi. Probabilmente abbiamo l’arma del delitto: un coltello sportivo con lama ricurva e affilata, che corrisponde alle ferite riscontrate; attendiamo gli esiti dei rilievi.» Impartì le direttive e trattenne l’ispettore, Razza e Tresca: «Ragazzi, sappiamo che siete in combutta coi detective.» «Commissario, non metteremo a repentaglio le indagini» disse Tresca. «Viste l’eccezionalità del caso e la scarsità di personale, vi lasceremo collaborare, ma niente eccessi e attenzione ai giornalisti.» Intervenne Arti: «Razza, come procede Cenci?» «Si applica, ma è tedioso e si fa troppi scrupoli: i testi lo disdegnano.» «Qualche giorno in tua compagnia e diventerà una iena.» A quel punto Michele era sceso a valle; Ignazio era tornato da Matilde e Giordano lasciava sconsolato la spiaggia. 36
Cenò con gli afflitti vicini e si diresse al presepe, dove trovò Elsa, il parroco che salmodiava al prefabbricato ed Elisa che si aggirava tristemente. Elsa gli presentò la ragazza e gli porse due lampade da campeggio: «Dovrete arrangiarvi con queste; comportatevi bene» e si allontanò col prete. «Mi sento un idiota» disse Giordano inciampando nella culla. «Siamo in due» rispose Elisa riuscendo finalmente a sorridere. Nell’arco di un minuto s’immersero in una fitta conversazione intercalata da risa e sorsate di birra. Non badarono all’arrivo del mago Telamone e di Samantha, finché questa non indispose l’asino nel tentativo di ipnotizzarlo. L’animale scalciò il banco di Telamone, che cadde sulla lampada a gas; la tovaglia di nailon blu a stelle e pianeti dorati emanò una lingua di fuoco, le bestie fuggirono e la capanna s’incendiò all’istante. In quel momento giungeva il bus navetta carico di seguaci del mago, astrologi improvvisati e curiosi. Giordano ed Elisa chiesero al guardiano dell’osservatorio se ci fosse una pompa per l’acqua. Ettore li accompagnò con la sedia a rotelle all’interruttore esterno, ma il getto del tubo non bastava a smorzare le fiamme, che lambivano gli alberi circostanti; quindi rientrò a chiamare soccorsi. Samantha descriveva a tre accolite lo spirito maligno sprigionatosi dalle narici dell’asino provocando il disastro, che avrebbero fermato posizionandosi verso i punti cardinali con le mani incrociate. Telamone condusse il pubblico nell’atrio, tentando di bloccare il fuoco con rituali e giochi di prestigio e in breve giunsero Elsa, i pompieri, la polizia e i detective. Il fuoco venne domato; Tresca pose qualche domanda ai presenti e si allontanò. Fulvio e Nicola sostarono a bere e conversare con Elisa, Giordano ed Ettore.
37
«Michele aveva ragione: i maghi hanno mandato tutto a rotoli. E pensare che stasera mi stavo divertendo» disse Giordano guardando Elisa. «Questi comici imprevisti rallegrano anche me» interloquì Ettore scostando i riccioli neri che gl’incorniciavano il viso dalla carnagione ambrata e gli occhi scuri. «Non ti senti isolato quassù?» chiese Nicola. «Assolutamente no: ho tutto il tempo di dedicarmi alla ricerca e alla sorveglianza e libertà di movimento. Le ruote non schiacciano merda di cane, non ci sono cessi, bar, negozi e vie inaccessibili; la spesa me la consegna Osvald, se devo partire chiamo un taxi e le vostre rappresentazioni sono meglio di un film. E, da quanto ho appreso, presto ci saranno anche passeggiata panoramica e piscina.» «Questa è una novità» disse Elisa. «Verso le sette sono venuti un geometra, un tecnico e un architetto norvegese a scattare foto e controllare planimetrie.» Arrivò Michele: «Ciao ragazzi, ho saputo dell’incendio, ma salendo ho udito altre sirene.» «Andiamo!» dissero Fulvio e Nicola. Il luogo dell’incidente era un palazzo di periferia, dove il signor Agenore era stato sottratto in extremis dalla stretta ferale delle porte dell’ascensore. Agenti e ambulanza si erano già allontanati ed erano rimasti i reporter di TVT, l’emittente locale, che intervistavano gli inquilini. «La porta aveva già stritolato la coda di Rino, il chihuahua della signora Gilda, che sta al quarto piano; da un anno presentiamo esposti contro l’ascensore assassino e in risposta l’amministratore c’invia i conti di manutenzione» disse Enrica, l’anziana del secondo. «E se non era per lo scarpone di Otello, Agenore sarebbe morto. Continuo a dirvelo di non salirci che è pericoloso: da quando Giovanni l’ha riparato, si serra come una ghigliottina; lo proibisco pure a mia moglie…» aggiunse Guido, che stava all’ultimo piano. 38
«Giovanni è il tecnico?» chiese Fulvio. «No, è l’inquilino del primo: era sposato con la donna assassinata. Sarà tormentoso, ma coi lavori manuali se la cava. Il mio non disturba, sembra un tappeto fuori posto, ma non sa avvitare una lampadina» rispose Enrica. «Giovanni è in casa?» chiese Fulvio. «Dev’essere partito» rispose Guido.
39
8. FERRAGOSTO
Nonostante la festività, Landroni constatò che la lama del coltello combaciava con le ferite, ma non risultavano impronte né residui ematici. Quel giorno gli abitanti erano quasi tutti al paese e funzionari e agenti si dedicarono alle indagini sul campo. Fulvio e Nicola andarono al mare e nel pomeriggio si recarono al laboratorio artistico, dove trovarono gli astanti a refrigerasi sotto gli ombrelloni. Posarono le bibite, si sedettero accanto a Linda, che scriveva cartoline e ripresero l’argomento interrotto. «L’idea dei messaggi dispersi è partita dal silenzio. Le espansioni riguardano sms d’amore o di soccorso perduti nell’etere; frasi che sarebbe stato meglio non dire o non ascoltare; messaggi scritti troppo tardi, interpretazioni sfalsate, sentimenti inespressi. Idee e intuizioni che sbocciano e svaniscono nell’oblio; silenzi e parole, scritti e pagine sparse, che chissà dove andranno a finire.» Si avvicinò una signora: «Io, per esempio, stufa di ripetere a mio marito se avesse chiuso il gas, ho provocato l’esplosione della cucina.» «Io ho scritto un messaggio d’amore e me lo sono messo in tasca» disse Michele appena giunto. «Sei un frequentatore e non lo dici» disse Fulvio. «Siete o non siete investigatori? Ho un argomento da proporre: l’espressione.» «Chiaro» disse Nicola. «Il margine d’errore nell’esporre l’intuizione: l’enunciato mentale non corrisponde a quello pronunciato e la scrittura può risultare fallace. Vi lascio nel dubbio e vado a lavorare» concluse e gli amici lo seguirono. La sera si avvicinava, insieme a una massa di nuvole scure dai riflessi violacei, proveniente da nord-est e incespicante sulle sommità montuose. 40
Dal pomeriggio era iniziato il flusso dei turisti che si aggiravano tra spiaggia, bancarelle, ristoranti, panchine, scale e muretti, in attesa dell’oscurità. In mare sostava la chiatta col materiale incendiario; i carabinieri presidiavano le vie e i vigili affiggevano multe e avvisi d’interdizione al pubblico. L’aria si raffreddò e prese a soffiare una brezza fastidiosa che accelerava l’incedere delle nubi minacciose. Fulvio e Nicola avevano invitato a cena Giordano ed Elisa. Discutevano delle indagini e dei sogni dispersi, quando citofonò Tresca: «Ciao ragazzi, sono passato a salutarvi, anche stasera sono di corvée.» «E il tuo socio?» chiese Nicola. «È affiancato alla recluta. Sento quasi la mancanza della patina di squallore e negatività che diffonde, scovando ogni spregevole sfumatura. In compenso, Cenci ha aggredito il proprietario della Palestra ristretta e ha dato del beccamorto a Ernesto.» «Avrà avuto le sue ragioni» disse Fulvio ridendo. «Indubbiamente: il primo gli ha chiesto di pagare l’ingresso e l’altro gli ha detto di non rompere le scatole.» «Ernesto è vedovo?» chiese Elisa. «No, è menagramo per vocazione; Razza al confronto sembra un caleidoscopio» concluse Nicola. Ignazio e Matilde uscirono verso le undici per raggiungere gli amici. «Che strano, Elsa è ancora in casa; le chiedo se vuole un passaggio» disse Matilde vedendo la luce accesa. Bussò alla porta senza ottenere risposta e Ignazio raggiunse la finestra socchiusa; entrò e aprì alla moglie, che corse in camera. Il letto-catafalco era impregnato di sangue ed Elsa giaceva supina, con un coltello piantato nel cuore; la donna svenne e Ignazio chiamò i soccorsi. Il bimbo, Rodrigo, nacque appena varcata la soglia dell’ospedale per finire dritto nell’incubatrice; contemporaneamente la polizia, la scientifica e il medico legale si dedicavano ai rilevamenti. 41
«Anche qui sono stati sottratti documenti e soldi» disse il commissario. «E la donna ha aperto al suo carnefice: non ci sono segni d’effrazione» aggiunse Arti. «Avrebbe potuto entrare dalla finestra: è socchiusa» disse Tresca. «È morta da circa un’ora per recisione dell’aorta. Portatela via» disse Landroni. A Orto il cielo aveva assunto riflessi nero metallico e il vento temporalesco scoperchiava le tettoie dei banchi e degli stand, seguito dalla pioggia battente. La folla pressata cercava rifugio nei bar, sotto i porticati o i cornicioni. Il mare, in ebollizione, scatenò una serie di ondate possenti e grigie sulla chiatta pirotecnica, che si inabissò senza che motoscafi o elicotteri potessero soccorrere la ciurma, che raggiunse fortunosamente la riva stremata. Il peggio avvenne quando i fulmini irriverenti incenerirono la bandiera del “Comitato festeggiamenti” e anche gli ultimi curiosi si unirono al generale fuggi-fuggi, culminato in un ingorgo indissolubile di auto e clacson. Gli amici si erano rifugiati in casa e osservavano il nubifragio dalle finestre. Li raggiunse Michele: «C’è stato un omicidio» e uscì coi detective. In centrale si trovavano una maga, due astrologi, una chiromante e un telepatico. La prima era Samantha. «Signorina, non le è bastato provocare l’incendio, cosa faceva all’osservatorio?» chiese l’ispettore. «L’incendio l’hanno scatenato gli spiriti maligni e mi stavo consultando con Ettore sugli influssi mefitici.» «Ma quali influssi, di cosa si occupa precisamente?» «Di spiritismo.» «Si spieghi meglio.» «Tagliamo corto: sono una disoccupata in veste di maga fallita. Posso andare?» Gli astrologi, Henry ed Enriquez, erano due vagabondi che tentavano di raggranellare qualcosa per continuare il viaggio. Arti riconobbe la chiromante: 42
«È la cartomante della notte di S. Lorenzo?» «Sì, sono lattaia, cartomante e chiromante: tanto per non morire di pensione. Ero alla festa e non so niente.» Arduino, il telepatico, sfruttava le capacità sensitive sviluppate come rappresentante per pagare le tasse: «Credevo di trovare il presepe, invece ho percepito gravitare un’entità malvagia.» Fulvio, Nicola e Michele erano all’osservatorio con Ettore, che era già stato interrogato. «Roba da non credersi. Chi ha acceso l’incubo?» disse Michele. «Io no, figurati che stavo naufragando e ora che mi confortavo col presepe, gli splendidi capelli rossi, le lentiggini e i vaneggiamenti di Samantha, mi ritrovo solo» rispose Ettore. «Ragazzi, abbiamo un rompicapo da risolvere: dobbiamo orientare le ricerche e potremmo spartire i ruoli. La direzione spetta a me» disse Fulvio. «Io intercetterò dall’ufficio postale e nel tempo libero indagherò» disse Nicola. «Io seguirò il blog e aguzzerò le orecchie in pizzeria» disse Michele. «E io potrei dedicarmi all’informatizzazione dei dati» disse Ettore. Terminata la frase, il debole riflesso di Hald filtrante dalle nubi, scomparve inghiottito dalle tenebre.
43
9. INDAGINI
Il mattino dopo, Rella espose ai collaboratori il quadro della situazione e li adibì ai vari settori di ricerca. I muri della sala riunioni erano tappezzati con le sanguinose foto dei delitti e le carte geografiche e topografiche della zona. «Molto americano» disse Tobini entrando a relazione terminata. «Buongiorno, professore, non mi pare di averla convocata» disse il commissario. «Consulenza gratuita; questo è Cornelio, il mio assistente» disse lo psichiatra presentando un giovane mingherlino dagli occhi incavati sommersi da spesse lenti. I due osservarono bramosi le foto e chiesero la documentazione, che consultarono in ufficio. Telefonò Landroni: «I primi riscontri dell’autopsia confermano quanto ti avevo anticipato ieri sera: la vittima è stata tramortita con un colpo alla nuca, poi trascinata in camera e accoltellata; ti comunicherò eventuali aggiornamenti» disse al collega. Gli psichiatri, dopo aver confabulato sullo scottante materiale, dissero: «Data la condizione recidiva, riterremmo opportuno divulgare le analisi comportamentali allo staff.» «Apprezzo il suggerimento, ma i nostri fondi non permettono sciali» rispose il commissario. «Le consulenze sono retribuite dalla “Commissione mista d’integrazione”, per equiparare i metodi d’indagine alle direttive internazionali; organizzeremo un briefing» disse Tobini e si allontanò. Rella si volse ad Arti: «Siamo in un ginepraio delittuoso senza barlume di logica, infarcito di tracce scombinate e arriva lo psichiatra coi profili fuorvianti; vedrai che confusione scatenerà nelle menti ibernate degli agenti. Scrivi una circolare:
44
intermezzo comico in cui non si può ridere. Poi concentriamoci.» Le indagini si orientavano sugli ambienti frequentati dalle vittime: i luoghi di lavoro, gli svaghi e le famiglie. Luigi abitava a Rio Lago, era vedovo e si dedicava agli impianti elettrici, al bar, alla recitazione e a loschi passatempi. Carla risiedeva a Rio Sperso, era divorziata e impiegata al catasto; nelle ore libere leggeva, passeggiava e s’intratteneva con le amiche o col fratello. Elsa abitava a Rio Salso, era grassa, nubile e ubiqua: si spostava fulmineamente da un luogo all’altro senza scomporsi, frequentava la chiesa, le amiche e si svagava con maldicenze, découpage e iniziative assistenziali femminili. I rispettivi vicini di casa lasciavano intendere di conoscerne poco o niente; i familiari erano allibiti e non riuscivano darsi spiegazioni, tranne la prepotenza dell’ex marito di Carla e gli amici ne sapevano ancor meno. Tresca si era recato al catasto, dove il demotivato personale era falcidiato dalle ferie. Il poco che riuscì a carpire era che Carla, come i colleghi, visionava planimetrie, progetti e variazioni. Lavorava con sufficiente impegno e non si distingueva per caratteristiche specifiche; negli ultimi mesi era parsa più serena, forse grazie alla riconquistata libertà. Razza e Cenci si erano addentrati nelle frazioni, dove ricavarono scarse e deludenti informazioni da aggiungere a quanto già sapevano, in particolare su Carla, che si era trasferita da poco e frequentava più la casa del fratello della sua. Elsa l’avevano conosciuta indagando sul primo omicidio; quel che riuscirono a sapere di più lo estirparono a forza alle amiche Gina e Mirella: in gioventù aveva intrattenuto diverse relazioni amorose delle quali ignoravano, volutamente o meno, qualsiasi notizia. Fulvio procedeva nelle ricerche e andò da “Ortofrutta & Alimentari” per parlare con Osvald, uno dei giovani che avevano trovato Carla.
45
«Servo frutta e verdura e consegno la spesa a domicilio. Se i clienti mi angariano, anziché atterrarli con una cassetta esco con l’ape e mi fumo una sigaretta. Vado anche all’osservatorio ma tranne Ettore, che è davvero simpatico, non vedo altri e non ho notato alcun movimento» disse. Carla non la conosceva, Elsa era una delle sue persecutrici e Luigi era stato amico del padre. «Se dovessi comunicarmi qualcosa chiamami» disse Fulvio consegnandogli il biglietto da visita. Per le strade gli spazzini e i volontari erano alle prese con i residui del tornado e sul paese aleggiavano la disillusione dell’occasione mancata e la feroce consapevolezza dei milioni investiti inghiottiti dai marosi. I dirigenti del Comitato festeggiamenti, importante istituzione politico- economico-burocratica, erano rinchiusi nella sala carte del Bar Sociale, a stilare l’elenco di perdite e rimborsi per calamità naturale, progettando nuove iniziative per saldare gli ammanchi e trarre i fondi per la festività ventura. I primi a sborsare dovevano essere i negozianti, seguiti dagli abitanti che avrebbero dovuto prodigarsi in una serie ininterrotta di sagre, concerti, spettacoli e lotterie, atte a estorcere denaro a sufficienza per tenere in auge gli esimi dirigenti e la celebrità del villaggio. «Non so se ve ne siete accorti» disse Ernesto con voce funebre e colorito più cinereo del consueto, «ma quella porca cometa ieri notte è sparita. Chissà cos’avrà in mente di combinare.» «Può darsi che stasera ricompaia» disse il geometra Olivetta, altro elemento di spicco del comitato, insieme a un salumiere, un piccolo imprenditore e tre prepensionati delle aziende sanitaria, portuale e tranviaria. Quando la mesta e afosa giornata tramontò e la notte calò implacabile sulla valle, di Hald nessuno vide traccia e furono in molti a lanciare preghiere, ingiurie o anatemi alla volta celeste, per invocarne la ricomparsa. Hald non sapeva quel che accadeva chilometri sotto di lei ma, come per incanto, aveva scelto di chiudere le po46
lemiche e si era spenta a nord per rifulgere a sud, donando un po’ di buonumore agli esclusi lamentosi. Per prepararsi ad affrontare i preventivi autunnali, le amministrazioni delle regioni meno favorite dal fascio luminoso avevano intimato ai giornalisti d’istigare nell’opinione pubblica la recrudescenza del diverbio sul divario nord-sud. Sempre a meridione approdavano i diseredati, si ammucchiava la spazzatura, imperversavano mafia, ’ndrangheta, camorra, contrabbando, degrado sociale e disoccupazione e l’opacità di Hald dimostrava che anche il cielo imperversava sui disperati. Lo stato e la comunità europea avrebbero dovuto tener conto delle congiunture ed emanare maggiori stanziamenti. Dileguandosi nel bel mezzo della polemica, Hald rivoltò la frittata a favore del nord: la stagione era nel pieno e gli albergatori montani si angustiavano col restringimento dei ghiacciai e le tempeste ad alta quota; quelli marittimi erano sconfortati dalle alghe pestilenziali, le mareggiate e le meduse; i traghetti non raggiungevano il pieno carico, gli stabilimenti balneari non erano stipati, i ristoranti non traboccavano abbastanza, i saldi procedevano in disavanzo, gli alimenti deperivano sugli scaffali e pure il cielo si metteva contro. Se continuava così, inoltre, le morti bianche preventivate per settembre non avrebbero trovato giustificazioni plausibili. Nei giorni in cui i contrasti di politica interna si intrecciavano alle amenità vacanziere e agli inarrestabili sommovimenti internazionali, a Orto si cercava una soluzione alle tenebre di meteora e indagini.
47
10. PROGRESSI
Il pomeriggio del 17 agosto, il commissario ascoltò il resoconto dell’ispettore: «Gli agenti hanno battuto a tappeto le palestre di arti marziali: Luigi è un perfetto sconosciuto; la documentazione tratta da bische clandestine, sexi-shop e videoteche hard è altrettanto deludente, ma mesi fa è stata sottratta una partita di riviste e dvd pornografici, sui quali non è stata sporta denuncia. Sulle due donne la nebbia è totale: il violento ex marito di Carla e principale sospetto s’è eclissato e pare che lei non intrattenesse relazioni affettive o sessuali con alcuno. Elsa conduceva un’esistenza tranquilla, escluso il comparire ovunque simultaneamente e sui trascorsi amorosi non si è riusciti a far luce, ma dubito che un amante deluso possa covare rancore per venti o più anni. Il dato positivo è che nel suo appartamento la scientifica ha trovato un capello, che potrebbe appartenere all’assassino.» «Caro Arti» disse il commissario «le indagini corrono a rotta di collo verso le calende greche. Troppi morti, elementi fuorvianti, testi inconcludenti e motivi demotivanti: non credo che i tre circolassero coi portafogli traboccanti e non sono stati effettuati prelievi con i loro bancomat o carte di credito.» «Caro Rella, ci vuole un colpo di scena, una folgorazione, un deus ex machina, altrimenti siamo fregati. Le esequie collettive di Elsa e Carla si terranno domani: organizziamo la vigilanza e rimandiamo il briefing psichiatrico, altrimenti gli agenti si troveranno le meningi avviluppate.» La sera funzionari e collaboratori si raccolsero in sala riunioni per riepilogare i deludenti rendiconti delle ricerche, emanare le direttive e distribuire la circolare. Nel mezzo della discussione, si udì la cadenza di una litania a volume crescente. La luce calda della fiamma viva si riflesse sul cielo nebbioso e i poliziotti, incuriositi, corsero ai davanzali. 48
In strada sfilava un corteo di cittadini, maghi, astrologi, suore e carmelitani scalzi, sventolanti torce accese. Era guidato da due preti, dietro ai quali campeggiava uno striscione bianco col nome HALD dipinto di blu e un altro rosso con la scritta bianca VERITA’ E GIUSTIZIA. La manifestazione, patrocinata da commercianti e imprenditori, partiva da Ninfere per giungere a Orto, dove si sarebbe riunita a quella del Comitato festeggiamenti. «Ecco la palese dimostrazione del nostro distacco dalla comunità di cui rappresentiamo la sicurezza: la polizia indaga a tappeto e i cittadini sfilano invocando la provvidenza profana e divina» disse alterato il commissario. L’accozzaglia di rappresentanti religiosi, prodigiosi e commerciali, si riunì sulla piazza principale di Orto, ove si divise in due tronconi. La prima parte rimase sullo spazio circolare dove, dal palco, i conferenzieri propalavano omelie, giaculatorie e filippiche sulle future prospettive religiose ed economiche dei comuni interessati. La frangia paranormale, più variopinta e rumorosa, continuò il percorso verso l’osservatorio. A maghi, astrologi e seguaci, si erano aggiunti ragazzi e ragazze intenzionati a trascorrere una serata in allegria. A scalare la collina impiegarono due ore buone, con numerose soste nelle aree picnic, danze, dileggi e smarrimenti. In prossimità della vetta disturbarono il sonno di Giordano, l’insonnia di Ignazio e intralciarono il rientro di Michele, che li seguì incuriosito. Ettore udì la musica, ricevette un sms da Samantha e raggiunse l’allegra comitiva dimentica di Hald. Maghi e astrologi issarono un padiglione decorato; alcuni seguaci montarono le tende sul pianoro e la folla si divise in gruppetti dediti alla concentrazione, alle sedute spiritiche, alle predizioni e agli intrattenimenti alcolici e musicali. Ettore e Samantha si appartarono al limitare del bosco, sotto un enorme pino silvestre.
49
«Sono contento di rivederti, ma non dovresti unirti agli astrologi?» chiese Ettore. «Loro sono un pretesto per arrivare a te.» «Ma non conosco l’alchimia.» «La magia che sono in grado di attuare è intuire di avere incontrato una persona che vale più di ogni sortilegio e sei tu. Se vuoi mi allontano, altrimenti resto» rispose Samantha. «Rimani, ma sappi che posso darti solo la mia compagnia.» «Non ho niente da chiederti. Gli incantesimi esistono solo se ci credi.» «Da cosa iniziamo?» chiese Ettore. «Dal passato remoto» disse lei. «L’argomento è arduo» disse Ettore e cominciarono a discorrere; quando giunsero alla conclusione della fase pre- adolescenziale, molti dei gitanti si erano addormentati. Alcuni sussurravano accanto al fuoco accompagnati dalle note della chitarra e altri erano ripartiti per tornare a valle. «Samantha, adesso dovresti riposare e non posso portarti all’interno» disse Ettore. «Hai un sacco a pelo?» chiese lei. «Sì.» Si sdraiarono sotto il pino; le fronde li proteggevano dal cielo plumbeo e minaccioso e Samantha, rigirandosi, sussurrò: «L’orizzonte si è ottenebrato, Solo qua e là balena e accenna un rosso lume di malaugurio»1 e si addormentarono. Michele, stanco dell’insulsaggine festaiola, si collegò al blog, dove trovò l’annuncio dell’iniziativa in corso e alcune profezie sulla latitanza di Hald. La mattina successiva, buona parte del commissariato e degli abitanti di Orto si diresse in chiesa. L’edificio era zeppo di microspie, cavi, microfoni e telecamere di 1
Johann Wolfgang Goethe, Faust, Atto IV, v. 10575.
50
giornalisti e operatori televisivi locali e nazionali. Curiosità e dolore, familiari, amici, spettatori, non trovando sufficiente spazio all’interno, si accalcavano sulla gradinata, sulla piazza e sulla via, a covare silenzioso dispiacere o a scambiare futili opinioni sull’integrità morale delle vittime, sulla belva assetata di sangue, sulle previsioni del tempo e delle meteore, sui resoconti o le prospettive della villeggiatura. La funzione collettiva fu celebrata con estenuanti lentezza e mestizia e il suono dell’organo diede il via al corteo cimiteriale. I poliziotti in borghese non riuscirono a schedare i molti visi ignoti; né colsero atteggiamenti sospetti, sguardi truci, frasi compromettenti. L’ascolto delle microspie non condusse a eclatanti risultati e i filmati non riservarono sorprese. Allo sportello postale, Nicola udì qualche commento funebre e Fulvio, che aveva partecipato alla funzione, sedeva sconfortato in agenzia quando fu contattato da Osvald, che lo raggiunse dopo la chiusura del negozio. «Ho intravisto il funerale e la polizia; forse potrai darmi un consiglio su come comportarmi» disse ansioso il ragazzo. «Dimmi qual è il problema» disse Fulvio. «Sai se a casa di Luigi è stato trovato qualcosa di particolare?» «Sì, ma dimmi cosa» e Oscar descrisse i video, le riviste e i costumi. «Glieli ho dati io. Prima di diventare commesso ero disoccupato. Non so se hai presente: “Lavoro interinale, marginale e fluttuante, cercasi: apprendista esperto, esordiente, volenteroso, valente, capace che non superi un incapace, seriamente instabile, aspirante a trasferte e precariato, automunito senza patente, specializzato non certificato, ufficioso e formale, giovane e pensionato, di bella presenza non appariscente, investitore non esigente…” Insomma un fango tale che dopo vari apprendistati coronati da licenziamenti e formazioni bruciate dall’esperienza, sono stato arruolato in un giro di furti e ricettazione, per sostenere mia madre che è vedova e 51
mia sorella che deve diplomarsi. Luigi mi fece uscire dall’inghippo; sono dispiaciuto che lo si ritenga un pervertito quando era una brava persona, ma se parlo sono finito: la polizia mi chiederebbe notizie sui mandanti e temo una ritorsione.» «Hai cercato tu Luigi?» chiese Fulvio. «Nascondevo la refurtiva nel bosco, lui mi scoprì, chiese chiarimenti e decise di aiutarmi. Mise il bottino in casa in previsione di liberarsene, prese contatti con l’organizzazione, si fece garante e forse versò una somma. Favorì la mia assunzione nel negozio e amici come prima.» «Che fosse una persona altruista non è emerso dalle indagini, evidentemente non se ne vantava» disse Fulvio. «Infatti, ma il problema resta: Luigi è stato assassinato e Carla l’ho vista io; se taccio sbaglio, se parlo rischio e se mi beccano mi incriminano per reticenza… cosa devo fare?» «Torna al lavoro; ho degli amici in polizia e proverò a intercedere. Ti sei presentato spontaneamente, seppure a un detective privato e questo ti favorirà. Ci risentiremo presto» e Osvald si ritirò più sollevato. Fulvio e il socio si rivolsero a Tresca. In centrale si era alle prese col vaglio del materiale emerso in giornata, le direttive e la riunione; decisero quindi di discutere a cena.
52
11. INTRECCI
Nel tardo pomeriggio, sulla scrivania del commissario stanziava una pila di verbali e intercettazioni tanto voluminosa quanto aleatoria e l’ispettore forniva uno sconfortante resoconto. «Arti, devo ringraziarti per l’impegno che profondi nell’alleviare il vero senza stravolgerlo: la tua collaborazione è il lato migliore di questa sequenza raggelante. Prepariamoci al trasferimento, alla rimozione dei gradi o al ritorno del commissario Lotti… al peggio non c’è fine e speriamo che il pazzo la pianti prima di decimare il paese» disse Rella. «Non abbatterti, altrimenti gli agenti si perdono nel dedalo delle prove fittizie. Tra mezz’ora avremo il faceto Tobini a illuminarci sulle mosse passate e future del Soggetto Ignoto, il che dovrebbe rinfrancarti» rispose Arti. Il briefing si tenne nella sala riunioni, a luci smorzate e fari puntati su foto e ingrandimenti raccapriccianti, che contornavano un telo per diapositive. Davanti vi si trovava il tavolo presieduto da Tobini e Cornelio; il commissario e l’ispettore sedevano in prima fila e gli agenti erano sparsi sulle sedie con scrittoio removibile e notes per gli appunti. Il divieto di ridere aveva sortito l’effetto opposto: le labbra erano contratte e gli occhi ispezionavano stringhe, orli e mattonelle per evitare di incrociare quelli dei colleghi o, peggio, dei relatori, talmente immersi nel ruolo da non scorgere il contagio psicologico. «Gentili signori e signore» esordì Tobini «siamo qui riuniti per tracciare l’identikit dell’omicida che, nell’arco di pochi giorni, ha sconvolto gli equilibri del villaggio, in un’escalation di violenza che dovremmo bloccare e risolvere. L’assassino ha esaurito il suo scopo? È mosso da passione, avidità o rancore? I crimini sono premeditati o casuali? Commessi da una mente razionale o folle? Da un Serial Killer o da una cellula di 53
criminali? Queste sono le domande alle quali io e il mio assistente ci approntiamo a rispondere, con la vostra attiva collaborazione. Per questo l’incontro si articolerà in due fasi: espositiva e delucidante-interattiva. Inizio dalla prima. Come avrete appreso dalla circolare, l’SI è un uomo o una donna di età, cultura e forza fisica variabile. Oppure è un SK, Serial Killer, oppure è una serie di SI incrociata con un SK, che colpisce perché indisposto/i da qualcosa. Come e perché le vittime hanno irritato lo/gli assassino/i? Sono state loro o le circostanze? E quali sono le circostanze? La cometa? La festa? Il paesaggio? L’amore? Il denaro? Cosa accomuna le vittime? La morte. Cosa accomuna le morti? La violenza. La scia di sangue si è fermata o continuerà? L’assassino/i è/sono uno di noi o un/dei forestiero/i richiamato/i da particolari concatenazioni astratte o concrete? Ora che ho esposto le circostanze, cedo la parola a Cornelio» disse Tobini e si risedette. Cornelio si schiarì la voce e si alzò: «Gentili ascoltatori, sullo schermo sono proiettati i particolari delle ferite e un diagramma criminale. Esso è stato realizzato seguendo le isoipse del delitto applicate al teorema di Pitagora e trasposte tridimensionalmente su un asse cartesiano riportante la costante d’identità assassina, applicata a un’equazione di valore vittimistico elevata alla potenza infinitesimale del quid intellettivo di una mente contorta o ribaltata all’essenza consustanziale di un quark demenziale applicato a un cervello diabolico. Otteniamo così una serie simultanea di ripercussioni e ritratti a frammentazione labirintica, dai quali trarremmo, applicando l’incognita della costante recidiva e il punto di vista multi focale, un ritratto deformante assai prossimo alla realtà attraverso la formula: I: ia ═ cr: vv ⁿ ≠qi: qd ═ ∞√ⁿ. Consultate gli appunti e applicatevi alle informazioni fornitevi; immaginate un viso, una personalità, descriveteli, disegnateli, presentateli entro due giorni; io e il professore li elaboreremo, desumendo il ritratto dell’SI o 54
SK. Grazie per l’attenzione e arrivederci al prossimo incontro, ove potrete porci le domande alle quali ora non abbiamo tempo di rispondere.» I due si allontanarono impettiti prima che la luce elettrica smascherasse lo sgomento dipinto sui visi degli astanti. Rella prese il posto dei relatori: «Tranquilli, ragazzi, ora potete ridere e Arti stapperà un pinot gelato per riprenderci dallo shock.» Dopo due sorsate, Cenci ebbe l’ardore d’intervenire: «Sarò tardo, ma non ho capito un tubo, tranne che l’S comesichiama potrebbe continuare e dovremmo cercarlo in ogni cittadino di sesso maschile o femminile di età adulta, uso a qualsiasi mestiere e alla frequentazione di ogni luogo.» Al che si levò un coro di sarcasmi, brindisi, risate e pacche sulle spalle che i due funzionari non ebbero cuore d’interrompere all’istante. Dieci minuti dopo tornò la calma e gli agenti poterono ritirarsi. Tresca raggiunse Fulvio e Nicola in pizzeria. Michele li aveva sistemati in un angolo privilegiato, al riparo dalle correnti termiche e da orecchi indiscreti, in modo che potessero tramare in armonia. «Queste notizie vanno comunicate al commissario, che saprà come servirsene, seguendo l’iter adatto a proteggere il teste proseguendo nelle indagini» disse Tresca una volta appresa la testimonianza di Osvald. «La refurtiva nel bosco; Luigi ucciso nel bosco; le vittime risiedono in case ai margini del bosco; l’osservatorio circondato dal bosco… ripetimi le frasi del briefing» disse Nicola. «SI o SK, teorema di Pitagora, frammentazione labirintica» disse Tresca. «No, un’altra» disse Nicola. «Ci sono» disse Fulvio: «le isoipse del delitto. Forse i due non sono fusi come sembrano, oppure sparando alla cieca hanno colpito un bersaglio. Valuteremo in seguito.» Dopodiché i tre discussero del più e del meno e, terminata la cena, si separarono. 55
Fulvio e Nicola attesero Michele in birreria. «Come procedono le ricerche?» chiese questi. «Si profilano delle piste, ma indefinite» disse Fulvio. «Chiacchierando ho scoperto che Elsa era una delle rare abitanti di Orto priva di legami di parentela» disse Michele: «i suoi genitori emigrarono in Argentina e alla morte del padre, lei e la madre vennero qui, dove risiedeva la nonna, che morì poco dopo, seguita a ruota dalla nuora. La bambina venne affidata a un tutore nominato dal sindaco, che amministrò i suoi averi. La famiglia di Elsa è estinta e non so a chi abbia lasciato la proprietà. Per noi affittuari le brutte sorprese non mancheranno.» «Le brutte sorprese costituiscono il fulcro del caso: se lo interpretassimo applicando la logica della malvagità, troveremmo la soluzione» disse Fulvio. «Allora abbiamo un esperto a disposizione» disse Nicola: «Razza gira con la fonte del male nel taschino.» «Hai ragione, ma credo sia meglio limitarsi ai contatti con Tresca, lasciando che sia lui a intrattenere quelli col collega» controbatté Fulvio. I tre amici tornarono a casa e Michele, prima di collegarsi al blog, fece un salto all’osservatorio, dove trovò Elisa e Giordano, Samantha ed Ettore seduti sulle panche antistanti l’ingresso ad ammirare il cielo. Sul pianoro erano issati il padiglione arabescato e alcune tende a igloo. I campeggiatori erano sparsi qua e là: alcuni intorno al fuoco o al coperto, altri nel bosco in seduta spiritica. Mentre i cinque amici conversavano, dai cespugli sbucarono correndo tre giovani nerovestiti e una ragazza-strega. «Acqua, presto!» urlavano «Si sono accesi le candele e i fuochi fatui, incendieranno gli alberi.» Michele e Giordano balzarono in piedi e cercarono ogni sorta di recipiente, dai catini ai sacchi di plastica, perché il tubo non arrivava fino alla radura ardente. A sorvegliare era rimasto il grasso mago Telamone in canottiera che, grondando litri di sudore ascellare e unto,
56
sbatteva la tunica acrilica contro le fiamme, aumentando il disastro. «Lei non fa che combinare guai!» gli urlò Michele giunto col primo catino, seguito dagli altri. Il fuoco non si era esteso a livello indomabile e il passamano riuscì a scongiurare un’ennesima catastrofe. La strega consentì a Telamone di riacquistare carisma passandogli una tunica argentata, ma i seguaci erano delusi di aver sprecato ore di concentrazione, rischiando una denuncia per atti dolosi, per poche fiammelle e senza l’appagamento di voci tenebrose, demoni o scie luminose; decisero quindi che al mattino sarebbero tornati ai confortevoli domicili, dove potevano comodamente dedicarsi a sfogliare riviste esoteriche, scaricare file ultraterreni e farsi la doccia. Nel frattempo Tresca aveva aggiornato i superiori sulle dichiarazioni di Osvald, manifestamente collegabili al furto di materiale hard emerso durante le indagini. «Conosciamo i malavitosi e interrogheremo Osvald, ma è difficile che quelle mezze tacche abbiano che fare con gli omicidi: se le vittime fossero legate a un giro losco, fosse anche come inconsapevoli testimoni, una vera organizzazione criminale non sarebbe tanto stolta da usufruire della manovalanza di un branco di sconclusionati» disse Arti.
57
12. SOMMOVIMENTI
Il pomeriggio successivo, mentre Razza e Tresca si dedicavano ai contatti con la malavita, Cenci andò dai superiori. «Scusate il disturbo, ma avrei un suggerimento utile a individuare il Signor S» disse emozionato. «Accomodati» disse l’ispettore e il giovane mostrò una cartella. «Ho uno stuolo di nipotini da zero a dodici anni, così ho scartabellato i loro quaderni ed ecco qui: ritratti e descrizioni di adulti e bambini. “La mia amica del cuore”, “Il mio vicino di banco”, “I miei compagni di scuola”, “La mia famiglia”, eccetera. Trascrivendo i temi al computer e consegnando i disegni, rimarrà il tempo per dedicarsi alle indagini anziché alle boiate psicoartistiche.» «Cenci, la tua iniziativa è ammirevole» disse il commissario. Nel frattempo, all’osservatorio, Michele scavava nella radura alla ricerca della fonte dei fuochi fatui. «Nessun cadavere sepolto, i gas si sono sprigionati dagli avanzi dei soliti barbecue: ho trovato qualche osso, un coltello rotto, pezzi di carta e bicchieri di plastica» disse a Ettore. «Sai riconoscere un osso animale da uno umano?» «No, infatti li ho raccolti in una busta: basterà l’occhiata di un macellaio per appurare se sono resti di braciole di maiale o fiorentine» rispose Michele, indi si allontanò. In tarda serata, Tresca e Razza andarono all’abboccamento con Gigi, il pezzo grosso del clan, in una bettola malfamata del porto. Strabismo e calvizie incipiente infierivano sul quarantenne, che indossava un basco a scacchi e azzannava un sigaro giocando al video poker. Ordinò tre whisky con voce roca, strizzò l’occhio buono, increspò i baffi rossicci e, in cambio di qualche disattenzione poliziesca, spiegò loro che si occupava di 58
furti e ricettazione di merce varia stivata nei container: dvd dai cartoni animati all’hard, abiti, pellicce, computer, scarpe, mobili, componenti elettrici e quant’altro capitava sotto mano, escluso droga ed esseri umani. La manovalanza la reclutava tra amici e parenti disoccupati e fra gli ultimi colpi e gli omicidi non vi era alcun collegamento. «La nostra momentanea rimpatriata e il fatto che Osvald ne sia rimasto fuori, sono i soli risultati che abbiamo ottenuto» disse Razza al collega al termine dell’operazione. La mattina successiva, Cornelio ritirò gli identikit stilati dai poliziotti e la sera, prima del briefing, si presentò dai funzionari col professore. «Signori, più che ritratti di Serial Killer, questi sembrano ritratti dei Serial Killer: o la centrale è un covo di assassini o i vostri agenti hanno le menti disturbate, eccetto l’extrema ratio che ci stiano prendendo per i fondelli» esordì Tobini con sguardo corrugato. «Emergono, specie dai disegni, chiari segnali di regressioni infantili e alterazioni inconsce, pregresse o sincrone allo sviluppo evolutivo. Le ossessioni dominanti, unite a sprazzi d’ingenuità, esprimono inquietanti componenti caratteriali» disse Cornelio. «Vi converrebbe controllare il personale, in particolare gli autori di questi quadri di femmina e famiglia» disse Tobini «e, umilmente, ammetto di sentirmi spiazzato dalla traccia che intendevo seguire.» «Vi ringraziamo per il suggerimento; ci rivedremo in sala riunioni» disse Arti congedandoli. «Non che presti fede ai loro deliqui, però dovremmo stare all’erta: se Cenci fosse l’assassino e intendesse sfidarci con la trovata dei nipotini?» chiese Rella. «Saremmo ai limiti dell’assurdo, cioè nel reale. I consulenti pensano a una congrega di agenti impazziti e noi a una genealogia di bambini degenerati. O la famiglia Cenci è un covo di matti o gli psichiatri hanno fatto cilecca. Chiaramente propendo per la seconda ipotesi, ma
59
dovremmo accertarci sugli alibi dell’ausiliario e tenerlo sotto controllo» disse Arti. «È timido eppure ha dato in escandescenze» disse Rella. «Sì, ma lavora con Razza, che inferocirebbe anche un’ameba. Ora andiamo allo spettacolo» concluse l’ispettore. In sala riunioni imperversava il raffreddore: gli agenti che non si soffiavano il naso, lacrimavano dagli starnuti, che indirizzavano al pavimento. La scenografia era la stessa dell’incontro precedente, con l’aggiunta di una lavagna e Cornelio aprì il discorso. «Gentile pubblico, innanzitutto vi ringrazio per la collaborazione. Prima di scendere nei particolari, tratterò dell’arma del delitto: un masso e due coltelli. Le statistiche dimostrano che d’estate aumentano i crimini all’arma bianca: il caldo innervosisce tutti e in particolare le menti disturbate. La corteccia cerebrale comprime i neuroni, l’afa li attanaglia e la mano parte. Aumentano gli stermini familiari, perpetrati dai mariti contro le mogli, le suocere e i veri o presunti amanti, fenomeno collegabile all’uso femminile dei bikini. Individui qualunque, almeno secondo i parametri islamici, diventano pazzi omicidi. Il germe deviato abita in loro e salta alla prima ribellione: un costume, una frase, un gesto, un’occhiata. Il nostro/i assassino/i appartiene alla collettività, consuetamente sprovvista di armi da fuoco; ma apro una parentesi sugli omicidi di congiunti compiuti da guardie giurate, cacciatori, militari e addetti alle forze dell’ordine. Uno o più di noi uomini/donne comuni: quando scopriremo quanti è, il sesso e il movente, il gioco sarà fatto. A questo punto apriamo la fase dell’interazione, nella quale io e il professore risponderemo ai vostri quesiti.» Un agente chiese: «L’ipotesi dell’arma bianca punta sull’uomo, non sarebbe sufficiente a definire l’appartenenza dell’assassino?» 60
«Non possiamo escludere il fenomeno dell’emulazione femminile verso il maschio dominante» rispose Tobini. «Il mondo gira al maschile in linea pratica, ma i maschi sono frustrati dall’inadeguatezza rispetto ai modelli di sviluppo condivisi e inclini alla codardia e alla sopraffazione. L’assassino/i è/sono uomo/ini» disse Mara, la telefonista. «Terremo presente la sua teoria, agente» disse Cornelio; quindi Cenci, rosso in viso, disse: «Io e i miei colleghi vorremmo riuscire a stabilire se il Signor S è un I o un K e definire se l’I è uno, due, tre, cellula.» «I vostri componimenti e il dialogo interattivo servono appunto a questo. Per ora sorvoliamo sui primi e continuiamo: chi dice uomo, chi donna, chi uno o x, chi Serial Killer, chi giovane, chi vecchio eccetera» rispose Tobini. «Potremmo procedere per alzata di mano» propose l’ispettore. «Ottimo» disse Cornelio: «il professore pone le domande, io segno le adesioni e riproduco il soggetto sulla lavagna secondo le indicazioni.» Quel che avvenne nella mezz’ora successiva fu un misto tra un gioco a quiz, un sondaggio e un’asta all’incanto e l’idea di Cornelio di disegnare il Signor S, una creatura cubista asessuata a due teste, sei occhi, capelli biondi e neri, ricci e lisci, lunghi e corti, due nasi, cinque braccia, un artiglio, tre gambe, lunghe zanne, mezzo sorriso e mezzo broncio, affiancato da due nani ibridati tra un’idra e un fungo, portò l’epidemia allo stadio convulsivo, con lacrimazioni, singulti e contorsioni di tutta la platea. I relatori, temendo di contrarre il disturbo, decisero di tagliare la corda e stilare un documento da distribuire agli agenti che, dopo la loro uscita, emisero un boato di risa e gridi liberatori, salutato da un giro di pinot. Chiusa la riunione, Cenci entrò nell’ufficio del commissario. 61
«Agente, donde provengono questi elaborati?» chiese questi posando sulla scrivania i fogli incriminati. «Sono di mia nipote Erika: “La mia maestra”, detta “Gestapo” e di mio nipote Giorgio: “La mia famiglia”; i genitori hanno seri problemi di convivenza» rispose il giovane, poi si congedò. «Il mistero è pressoché risolto, ma una puntata in famiglia Cenci pare doverosa» disse Rella.
62
13. PENSIERINI
Alle nove del mattino successivo, Arti entrò nel desertico Bar Sociale, assaggiò un caffè acquoso, addentò una brioche rafferma ed emulò lo squillo del cellulare: «Arrivo subito», posò una banconota sul banco, il barista grugnì e lui si diresse al Bar Centrale. Dopo la colazione andò da Ilaria, la sorella dell’ausiliario Cenci e le mostrò il tema del figlio. «Descrive me, Giorgio e Shining. Questo è niente, per le vacanze ha scritto: “Pensierini di una vita dannata” e “Infernetto su misura”» disse Ilaria, scrollando la lunga treccia nera. «Signora, cosa sta dicendo? Chi è Shining?» chiese Arti. «Aldo, mio marito. Giorgio risente del clima paranoico che si respira in casa e i primi segni di squilibrio sono evidenti.» «Si verificano episodi di violenza?» «Un incubo a orologeria; tormenti e sciarrate entro gli indefinibili confini della norma e il gioco è fatto: non esiste denuncia e il mostro sono io. Per anni ho resistito, per proteggere il bambino; ora è giunto il momento di 63
voltare pagina e affrontare l’ira di Shining che, come ben saprà, è il fratello di Giovanni, altro esemplare di psicopatico.» «Suo marito è già stato interrogato riguardo al fratello ed è parso una persona equilibrata.» «È un simulatore, infatti m’ha ingannata.» «Ha dato segni di squilibrio dopo il matrimonio?» «Due giorni. Un’ossessione senza scampo.» «Ne avrà sofferto» disse Arti. «Sofferenza e rabbia. Shining punta al cuore: mancandolo, continua.» «Anche suo cognato era possessivo ed è sospettato di omicidio; cosa sa di lui? Vi frequentavate?» «Poco, Shining è invidioso anche del fratello minore, altrimenti avrei avvertito Carla del pericolo che correva. Loro provano gusto nel sincopare l’esistenza altrui; è una tara di famiglia, dalla quale spero di sottrarre il discendente. Ora glielo presento» disse Ilaria: «Giorgio, vieni.» «Finisco di reincarnarmi, decapito il dannato della giungla, passo di livello e arrivo» urlò il bimbo dalla camera. «Ha proprio ragione: il caso è preoccupante» disse Arti. «Sta giocando al game boy. Giorgio, ti reincarni dopo, qui c’è un vero poliziotto» e si materializzò un simpatico ragazzino di sette anni. Dopo avergli fornito le adeguate spiegazioni poliziesche, Arti lasciò alla madre il suo biglietto da visita e se ne andò. Anche gli altri componenti della famiglia Cenci, due fratelli e una sorella, abitavano a Orto e passò dalle loro abitazioni; conobbe le mamme e i loro vivaci bambini, compresa Erika, che detestava la scuola. Non registrò ulteriori anomalie, comunicò agli esperti comportamentali di procedere col ritratto definitivo del Signor S e riprese le ricerche su altri versanti. La sera, consigliò al superiore di riconvocare il fratello dell’indiziato, considerando le dichiarazioni della moglie e usufruendo degli analisti. 64
«I consueti resoconti vespertini cominciano a deprimermi: nessun indizio e neanche l’ombra di un risultato. Copriamo Osvald, proteggiamo Ilaria, ma siamo poliziotti, mica assistenti sociali!» urlò Rella battendo il pugno sui verbali. «Sono certo che i testimoni nascondano verità sepolte, il problema sta a trovare quali e chi» disse Arti. «Ti esprimi come i consulenti psichiatrici; potremmo giocarci il movente ai dadi, estrarre un alienato dalla congrega di bifolchi e chiudere il caso. Non è così che si lavora! Ora chiami gli agenti a rapporto e, se entro domani non si ricava qualche elemento concreto, procedo alle sostituzioni» urlò il commissario. «Questo lo racconti a loro, non certo a me: non solo sono insostituibile, ma non potresti rimpiazzare neanche la donna delle pulizie.» «Arti, sai che ti rimprovero perché sei l’unico in grado di ascoltarmi, ma è chiaro che bisogna cambiare andazzo prima che i giornalisti ci sbranino, lasciando i nostri resti al questore» gli rispose rabbonito, per poi riassumere lo sguardo corrucciato necessario a stroncare l’indolenza dei sottoposti. Tresca, frustrato dai rimbrotti dei superiori, il mattino dopo si posizionò di fronte all’appartamento di Gina, che tornò dalla messa domenicale insieme a Mirella. «Buongiorno agente, qual buon vento?» chiese Gina. «Vorrei porvi ancora qualche domanda su Elsa» rispose ed entrò in casa con loro: «Parlatemi dei suoi trascorsi sentimentali.» «Il poco che sappiamo l’abbiamo detto ai suoi colleghi, non abbiamo altro da aggiungere» disse Gina. «Infatti» commentò Mirella. «Signore, siete in perfetta forma fisica e mentale, è impossibile che non ricordiate i trascorsi di gioventù.» Le amiche, galvanizzate dall’inatteso complimento, scambiarono uno sguardo d’intesa e Gina proferì: «Agente, ricordiamo benissimo, il fatto è che Elsa, pace all’anima sua, aveva delle qualità che sarebbe meglio tacere.» 65
«Così finirete incriminate per reticenza e la vostra parrocchia è migliore di quella carceraria» disse lui severamente. Le amiche, esautorate dai fastidiosi rimorsi di coscienza, sprigionarono la valanga di astio e veleno trattenuta per secoli. Iniziò Mirella: «Elsa, come trasvolava compostamente in più punti da vecchia, amava più uomini da giovane.» «Amare» interloquì Gina «non amava nessuno: abbindolava ogni maschio che l’avvicinasse.» «Era magra come una silfide e malvagia come un’arpia: si divertiva spezzando cuori» continuò Mirella. «Infatti è morta col cuore infranto» aggiunse Gina. «Per questo dovreste dire i nomi dei suoi antichi innamorati» disse Tresca. «Molti non abitano qui, altri sono passati a miglior vita, ma proveremo» disse Gina e, insieme all’amica, rimembrò nomi, episodi e notizie dal passato e dal presente. Dopo un’ora di consulto, l’unico individuo noto all’agente risultò Ernesto: «Parlatemi di lui» disse. «Ernesto era il mio fidanzato» disse Gina «ma lei lo ammaliò, riducendolo a una pezza da piedi. Io sposai la buonanima di Egidio, ma Ernesto mi rimase sullo stomaco finché, dopo anni, venne a implorare comprensione per lui e le sue camicie stropicciate. Avreste dovuto vederlo quando lo congedai citando Il fu Mattia Pascal e lo spedii in lavanderia! Mi reputava ignorante come una scarpa, mentre Elsa era colta e raffinata. Ma noi poveri di spirito ricordiamo i torti e quello che leggiamo: io mi son tolta la soddisfazione e lui continua a volteggiare come un corvo rintronato.» «Signore, vi ringrazio per la collaborazione e vi auguro buona giornata» disse Tresca e si diresse da Ernesto che, come ogni giorno, pranzava alla “Trattoria del Bosco”. L’uomo accolse il poliziotto con la caratteristica scortesia, ma questi non si lasciò impressionare, ordinò un 66
piatto di ravioli e un quarto di vino e, dopo averli assaporati scambiando pochi monosillabi con l’interlocutore, si dispose a rovinargli la digestione. «Non ha riferito di essere amico intimo di Elsa, Gina e Mirella» esordì. «Non sono amico di nessuno, tantomeno intimo e quelle tre sono affidabili come un covo di serpi che gioca a ramino.» «Eppure lei un tempo le frequentava; è stato fidanzato di Gina ed Elsa e tuttora partecipate alla stessa congregazione religiosa.» «La chiesa non è un club selezionato; sono state le megere a raccontarle questa storia?» «La verità, prima o dopo, viene a galla: lei è stato irretito da Elsa e ha abbandonato Gina; la prima lo lasciò e l’altra, tempo dopo, la respinse.» «Respinto da Gina? Dopo la morte di mia madre, le proposi di lavarmi e stirarmi il bucato, a pagamento; per il resto so arrangiarmi. E quella va a tirar fuori Pirandello, i morti che non tornano e il passato che non passa.» «Ma non amava di Elsa per la sua ricercatezza?» «Elsa, pace all’anima sua, aveva la testa piena di fanfaluche: cogliere l’attimo, prendere l’onda, seguire la luce e Balzac, Hugo, Dostojevskij… pensi cosa me ne fregava; la assecondavo perché era bella e, devo ammetterlo, non sono riuscito a dimenticarla» disse Ernesto alzando il bicchiere. «Così la perseguitò.» «No. Quando lei si rese conto dell’errore e tornò da me, il risentimento non mi permise di perdonarla. Ci siamo rovinati la vita a vicenda.» «Come divennero i vostri rapporti?» «Ci tolleravamo come vecchi amici-nemici. Lei vuole rimestare nel torbido per trovare il marcio, ma non tocchi Elsa. Mi lasci solo col mio dolore, offro io e si tolga dai piedi» concluse Ernesto tentando di schiacciare la commozione con la rabbia. Contemporaneamente Fulvio, Nicola, Giordano, Ettore, Elisa e Samantha, erano nella radura a cucinare il 67
pranzo sul barbecue riesumato e nel pomeriggio si addentrarono nel bosco. Samantha rimase con Ettore sullo spiazzo. I loro sguardi spaziavano dal mare aperto e la costa a meridione, agli aspri e verdeggianti rilievi montani a settentrione. «È un panorama meraviglioso, dev’essere bellissimo vivere qui» disse Samantha. «Preferirei abitare in periferia come un tempo, ma usare le gambe per raggiungere i belvedere» disse Ettore. «Lo so; dovresti tentare qualcosa per rimediare.» «Non ho intenzione di diventare una cavia per perdere il lavoro e la speranza.» «La ditta per cui lavoravi dovrebbe rimborsarti.» «Lavoravo in nero per una ditta in nero, che riparava una casa affittata in nero agli immigrati clandestini. Il pavimento è crollato, sono finito in compagnia dei topi e nessuno ne risponderà mai. Così sono e così resto, mentre tu dovresti unirti agli altri e passeggiare, anziché intorpidirti per pietà.» «Non è per questo che rimango.» «Non ho niente da offrirti e più mi lego a te, più difficile sarà dimenticarti; lasciami.» «Senza di te mi cade l’orizzonte» disse Samantha. La discussione fu interrotta dall’arrivo di Michele, che si diresse alla ricerca degli amici e loro accantonarono lo spinoso argomento con una partita a carte, che Samantha trasformò in lettura del destino. «Un demone giungerà, una creatura danzerà e la ruota volterà» disse scompigliando semi e figure. «Mi fai ridere; per questo mi piaci così tanto» disse Ettore. Fulvio, dotato nello scoprire i piccoli indizi, camminava a passo di lumaca scrutando ogni particolare, ma tutto quel che riuscì a trovare furono mozziconi di sigaretta, un fermaglio per capelli, una lattina arrugginita e un frammento di carta millimetrata. Nicola, fiducioso delle capacità del socio, raccolse i miseri reperti, poi
68
raggiunsero gli altri, che portavano pochi funghi striminziti e un mazzo di fiori. A tarda sera, Ettore lavorava al computer, ma l’allegria contagiosa di Samantha rendeva insopportabili i calcoli matematici, passò quindi a studiare gli indizi consegnatigli dai detective. Elaborandoli su uno schema di comunanze e collegamenti, notò un elemento e, riflettendo sul suo significato, non udì i passi che si avvicinavano. Quando si voltò spaventato, un uomo, col viso celato dal passamontagna e armato di una mazza da baseball, lo colpì violentemente al capo e cadde a terra privo di sensi.
69
14. RIEVOCAZIONI Come ogni lunedì mattina, Osvald giunse con l’ape all’osservatorio, ma non trovò alcuno ad accoglierlo. Arrivò Gina per le pulizie e, allarmati, telefonarono alla polizia. Un quarto d’ora dopo i poliziotti forzarono la serratura e trovarono Ettore riverso in una pozza di sangue. Sulla porta d’ingresso non c’erano segni d’effrazione; probabilmente il malintenzionato era entrato durante il giorno e si era nascosto. Sale, laboratori, uffici e planetario parevano in ordine e nella stanza della vittima era stato sottratto il computer, come confermò il direttore presentatosi per l’emergenza. L’aggressione insospettì gli investigatori, che si impegnarono febbrilmente alla ricerca di un movente ma, senza la testimonianza di Ettore, non trovavano il bandolo della matassa. Il dott. Lampo fu convocato in centrale. L’aspetto trasandato, scontroso e distratto, lo rendeva più simile a un clochard che a un esperto traspositore dell’universo in equazione. Rella, chiedendosi se i corpi celesti che esplorava col telescopio fossero le macchie bisunte degli occhiali, procedette a interrogarlo sull’attività di ricerca del suo staff. Lampo lisciò la sozza chioma brizzolata, i baffi spioventi ingialliti di nicotina e proruppe in una fiumana di formule basate sulla rielaborazione del diagramma di Hertzsprung-Russell, riferito all’inspiegabile qualità di Hald di possedere le proprietà di un asteroide, la velocità di un satellite impazzito, la luminosità intrinseca e le magnitudo di stelle giganti blu, nane rosse, nane bianche, proto stelle e buchi neri, rimanendo un meteoroide. Cenci faticava a trascrivere teorie, calcoli e funzioni mantenendone l’occulta logicità. L’unico elemento chiaro era che il tempo dell’assunzione a tempo determinato di Ettore sarebbe scaduto tempestivamente se le sue meningi avessero preso la direttiva delle gambe.
70
La sera Samantha, derelitta, dopo essersi travestita da infermiera ed essere stata smascherata da un inserviente, osservava Ettore attraverso il vetro della sala rianimazione. In corridoio incontrò Matilde, che trascorreva interminabili giornate di ricovero forzato in attesa di estrarre il neonato dall’incubatrice. Aveva saputo dell’aggressione e provò immediata simpatia per la ragazza. «Mi annoio a morte, potrei tornare a casa lasciando qui il latte, ma temo di snervarmi: Ignazio è insopportabile e la tragedia di Carla peggiora il suo carattere deprimente. Dovere materno o coniugale?» disse Matilde all’affabile Samantha, specializzata nell’attirare le confidenze altrui. «L’entusiasmo di essere padre non lo distoglie dal dispiacere?» chiese quest’ultima. «Dubito che Ignazio conosca l’entusiasmo e il fatto che continui a smoccolarmi addosso litri di disgrazie trascorse, presenti e future, senza pensare al latte che s’inacidisce, mi indispone assai, altrimenti sarei felice, sperando che il figlio non gli assomigli.» «Purtroppo esistono persone specializzate nel logoramento altrui» disse Samantha rivolta al vetro, poi cadde in trance e finì al pronto soccorso. Quando si riprese, partì alla ricerca della soluzione. Si ripresentò all’ospedale due giorni dopo ed Ettore era stato trasferito in una stanza singola. Indossò il camice, vi applicò il tesserino e, insieme all’amico Angelo addobbato da infermiere, s’intrufolò nella camera. Estrasse dalla borsa un mazzo di fiori e un copricapo da sciamano; sedette accanto al letto e Angelo s’impiastrò il viso e prese a danzare in circolo pronunciando formule inuit scuotendo i sonagli. Dopo pochi minuti, Ettore sbarrò gli occhi e starnutì: «Samantha, che piacere vederti! Etci! Cos’è ’st’odore pestilenziale? Porta via i fiori che sono allergico e fai sparire quell’allucinazione da circo Barnum» disse innervosito.
71
«Taci, Angelo sta pronunciando la formula. Ho interpretato in trance il linguaggio delle carte: ti salveremo.» «Per salvarmi basterebbe che mi lasciassero firmare il foglio di dimissioni; sono due giorni che fingo di dormire per non farmi rompere il c… Interrompi ’sta baggianata, passami i vestiti e scappiamo.» «Lo show è finito» disse Angelo scoprendo sorriso e riccioli neri: «Piacere, sono contento che tu stia meglio.» «Spiegatemi cosa state combinando» disse Ettore. «Angelo è artista di strada, fattorino e sciamano: le sue attitudini sono sbalorditive» disse Samantha. «Hai seguito un rito d’iniziazione?» chiese Ettore. «Ho seguito un corso di sciamanismo on line. Dopo la prima esibizione, uno spettatore affetto da impetigine guarì. Da allora ho rimediato a vari casi di congiuntiviti, eritemi, ferite infette ed herpes.» «Samantha, qualcosa si muove!» disse Ettore emozionato guardando le lenzuola «Le dita dei piedi!» e scoppiò in lacrime. «Dobbiamo chiamare i medici» disse Samantha. «Non se ne parla: trovate un mezzo di trasporto.» Angelo portò una barella e i tre imbucarono l’ascensore un attimo prima dell’ingresso di un’infermiera e fuggirono. Una volta a casa di Angelo, Ettore, spossato dalla stanchezza e dall’emicrania, non riusciva a rilassarsi temendo di risvegliarsi immobilizzato. Il trauma aveva toccato un punto nevralgico danneggiato dall’incidente e lui, muovendo debolmente le estremità, si accorse di non ricordare alcunché. Provando a concentrarsi sugli avvenimenti, si addormentò. Quando i poliziotti si accorsero dell’inaudita scomparsa del teste-chiave, che non avevano sottoposto a sorveglianza, s’infuriarono e partirono alla ricerca. Sul fronte dell’analisi comportamentale, i profili erano stati consegnati due giorni prima e i consulenti, dopo essersi scervellati su temi e disegni, manuali, grafici, statistiche criminose e vecchi casi americani, avevano 72
accantonato l’argomento per il week end, sperando che il Signor S se ne stesse calmo. L’aggressione li colse di sorpresa e decisero di raffazzonare un ritratto per non perdere credibilità. «Applicheremo la teoria quantistica alla fisiognomica di lombrosiana memoria, elaborando un calcolo delle probabilità correlato al concetto di rifrazione della percettibilità psicologica sulla flessione lineare di tratto e colore» disse Tobini a Cornelio, che gli chiese: «In parole povere, cosa devo fare?». «Collegati a You Tube e Wikipedia, voce thriller e scarica.» Dopo ore di lavoro febbrile, completarono i ritratti. L’uomo aveva la fronte e gli occhi di Jack Nicholson in Shining, le occhiaie, il naso e le guance di Klaus Kinskj in Nosferatu e il sorriso di Jerry Lewis in Il nipote picchiatello. La donna era il cadavere di Marilin Monroe, coi capelli di Shirley Temple, gli occhi di Bette Davis e la bocca di Glenn Close. Agli inquietanti fotogrammi seguiva la traccia psicologica di Mister S, che soffriva di alterazioni manifeste e velate: una lucida follia ingannatrice dai risvolti imprevedibili, contrastati tra affabilità e spietata violenza, non sadica ma suscettibile di degenerazioni degradanti. Una mente capace di razionalizzare un piano di sterminio consequenziale, ma esposta all’incontenibile irrazionalità irosa, che eludeva qualsiasi interpretazione inoppugnabile. Rella, osservando i ritratti, esclamò: «Mi sembra di conoscerli! Mi congratulo per la rapidità e la precisione» e congedò gli autori con una vigorosa stretta di mano. Ripose gli ibridi nel cassetto della scrivania, in attesa di stabilirne la sorte e si risolse a diffonderli la sera della scomparsa di Ettore, per alleviare lo sconforto dei subordinati.
73
Quando Mara, l’addetta alla reception e alle decriptazioni, consegnò le fotocopie storte e sbiadite, sbottò: «Se Grisham ti avesse vista all’opera, non avrebbe scritto Il Socio».2
2
Ne Il Socio di John Grisham, la moglie del protagonista fotocopia i documenti incriminanti dello studio legale. 74
15. HIT PARADE
Gli investigatori scovarono Ettore grazie a Samantha, che ordinò tre pizze d’asporto a Michele, il quale avvertì Nicola, che si rivolse a Tresca. Questi si appostò presso l’appartamento della ragazza e a mezzanotte, quando rientrò, le si parò davanti. Lei lo fece entrare e gli raccontò i fatti. «Se Ettore non aveva niente da nascondere, perché è fuggito?» chiese l’agente. «Non gli piaceva l’ambiente» disse lei. «Nelle sue condizioni avrebbe fatto meglio a rimanere e se non l’ha capito lui avresti potuto arrivarci tu.» «Il nostro è un amore in linea teorica e la sua guarigione dipenderà da me. Ti dico dove trovarlo; adesso dorme e non ricorda niente.» Tresca fece un sopralluogo da Angelo e tornò il mattino dopo. Ettore era seduto sul divano e continuava a non ricordare. Samantha gli descrisse come avevano trascorso la giornata; Angelo si mascherò, si esibì in una danza e preparò il caffè; infine Ettore intravide qualche sprazzo sfocato. L’agente ne dedusse che l’aggressione fosse dovuta ai dati contenuti nel PC, sottratto insieme alla chiave USB. «Ho perso mesi di lavoro, che ricostruirò mediante gli appunti, che pare siano rimasti nello scaffale. Stavo anche schedando i dati dell’indagine» disse Ettore. «Quindi abbiamo due piste: lo spionaggio astronomico o poliziesco. La prima dipenderebbe dall’argomento della tua ricerca: il pulviscolo di Hald e la seconda da un indizio utile a smascherare l’assassino. Quale?» disse Tresca. «Sono stanco, non riesco a concentrarmi.» «Capisco, riposati e, se ti sovviene, chiama.» Tobini e Cornelio, dopo la riconoscenza manifestata dal commissario, furono assaliti dai rimorsi e trascorse-
75
ro nottate tormentose. Quando, al bar, i loro sguardi cerchiati s’incrociarono, capirono di dover rimediare. «Accantoniamo la grafica e passiamo alla musica» disse Tobini. Cornelio, abituato dalla lunga collaborazione a interpretarne il pensiero, disse: «Ti seguo: la geometria euclidea applicata alla dodecafonia sincopata.» «Perfetto e da qui, abbattendo le barriere sociali, evolviamo al pop: la radio, la discoteca, l’hit parade.» «Geniale: applicando la matematica alla musica dedurremo l’equazione assassina, l’hit parade assassina e la legge assassina che muove Mister S» disse Cornelio rinvigorito. «Dal punto di vista pratico dovremo ascoltare la radio, consultare “Sorrisi e canzoni” e i manuali di psichiatria e geometria, fotocopiare gli spartiti di Shönberg, Gershwin e Glenn Gould e registrare tranci di jazz, blues, reggae, techno e disco che accompagnino le immagini!» esclamò Tobini. «Facile a dirsi e difficile a farsi» rimuginava Cornelio dopo un’ora di lavoro e si diresse in edicola per prendere “Sorrisi” e una boccata d’aria. Lo studioso era bistrattato dai colleghi, ma non da Giovanna, l’addetta alle pulizie, una ventenne paffuta dall’aura casalinga, che combatteva inzeppandosi di piercing e tatuaggi. La loro esposizione invernale le aveva procurato tracheiti, bronchiti, cistiti, lombaggini e coliti che, evolute in croniche, l’affliggevano pure d’estate. Terminato il turno, entrò in ascensore con Cornelio, che le offrì un fazzoletto di carta e la invitò al bar a prendere un’aspirina. Dopo l’elencazione dei vari malanni, Cornelio le confidò le sue difficoltà musicali. Lei, mentre si dibatteva tra la vita e la morte, andava in discoteca e conosceva le tendenze ultime e recenti, così l’analista la reclutò. Giovanna riempì lo studio di germi, spray, unguenti e compresse ma, con le sue competenze informatiche e melodiche, la composizione sarebbe stata pronta per sera. 76
In centrale, Tresca era a rapporto dai superiori. «Caro ragazzo, purtroppo non posso offrirti un bicchiere di rosolio» esordì il commissario. «Declinerei volentieri, mi disgusta» rispose l’ingenuo. «Strano, i tuoi verbali sono così melensi che sembrano usciti dalla Collezione Harmony; questo è un commissariato, mica un’agenzia matrimoniale! Vite rovinate, amori in linea teorica… qui ci vogliono prove, moventi, non romanzi d’appendice!» urlava Rella sbattendo i fogli. «Scusa l’intromissione ma, leggendo tra le righe, si scorgono significati reconditi che potrebbero, alla lontana, fornire probabili moventi passionali» disse l’ispettore bonariamente. «Arti, ti prego di limitarti al sociale, perché se prendi la tangente sentimentale ne vien fuori un centro di assistenza per cuori infranti. Tresca, puoi andare.» Indi si rivolse all’ispettore: «Ho confrontato il verbale del ricercatore fuggitivo con quello del direttore dell’osservatorio e anche qui nebbia: se la trascrizione l’avesse fatta il mio cane, anziché Cenci, sarebbe più chiara. Dimmi cosa ci capisci.» Dopo un’attenta lettura, Arti disse: «Non per offendere il tuo cane, ma Cenci ha semplicemente trascritto un discorso incomprensibile. L’unica soluzione è riconvocare Lampo, deodorare l’ufficio e registrare il responso su nastro.» Bussarono. «Avanti» disse l’ispettore. «Sorpresa!» rispose Cornelio facendo capolino dalla porta socchiusa. «Una giornata da vaso di Pandora» sussurrò il commissario. «Signori, io e il professore gradiremmo proiettare un supporto audiovisivo per la cognizione psicofisica di Mister S» disse Cornelio consegnando il dvd. «Ci vedremo più tardi in sala riunioni» disse Rella rassegnato.
77
Due ore dopo i poliziotti, confortati dalla complicità del buio, attendevano lo spettacolo. I boriosi consulenti sedettero al tavolo e Tobini presentò una prolusione rimescolata di geometria euclidea, parametri criminosi, musica classica e popolare, contaminazioni melodiche e delittuose, che scatenò una sfilza di sbadigli. Le luci si spensero e iniziò la proiezione. Ai fotogrammi degli ibridi si sovrapponevano rombi e triangoli, vortici e spirali, equazioni, grafici, ferite, spartiti e classifiche, accompagnati da brani classici sinfonici e da camera, canoni, contrappunti, sesquialtera e arie dell’opera, inframmezzati da folk, rock, free jazz, techno e rap, celtica e reggae, heavy metal e blues, mambo e punk, afro e merengue, trash e tzigano, hard core e disco, in un turbinio affastellato di generi e strumenti dal clavicembalo all’ocarina, dal bongos alla fisarmonica, dalla batteria al violoncello, dalla cornamusa all’arpa, dallo scacciapensieri al contrabbasso, che disturbò il torpore insinuatosi negli spettatori, trasformandolo in ansiosa irritazione. Apparvero infine, su fondo rosso, la legge fondamentale: L’ASSASSINIO È RECIDIVO e il The End liberatorio. Quando si riaccesero le luci, gli psichiatri riconsiderarono all’unisono l’ipotesi che Mister S fosse il personale del commissariato e, timorosi per la loro sorte, aggirarono il dibattito e fuggirono. «Ho il cervello in fusion» disse il commissario: «altro che pinot, offro una pizza ai diretti collaboratori e un aperitivo agli altri» e gli astanti, impegnati a massaggiarsi le tempie, diedero flebili segnali di ripresa. Una parte si diresse al bar e Cenci, Razza, Tresca e Mara, seguirono i funzionari a Orto. Cornelio, per sdebitarsi, aveva invitato Giovanna alla Sagra dell’acciuga ma, poiché la brezza notturna le avrebbe acutizzato la tonsillite, dirottò su un tavolo area forno in pizzeria. Quando intravide i poliziotti in avvicinamento, sganciò dal chiodo il provvidenziale ventaglio vesuviano: 78
«Non tutto il male vien per nuocere» pensò. Michele infornava pizze scrutando intorno e Cornelio, allibito dall’allegria dei convenuti, sospettava plurimi e latenti sdoppiamenti di personalità. Giovanna starnutiva per l’aria smossa dal ventaglio, che rendeva difficoltosi il taglio e l’ingestione della pizza e lui ripose la copertura. I poliziotti avevano notato Cornelio ancor prima di varcare la soglia e lo ignoravano tenendolo sottocchio, astenendosi dal commentare la rivoltante proiezione. Per evitare inconvenienti, Arti rispolverò la plausibile colpevolezza dello scemo del villaggio. Tutti i paesi hanno uno scemo ma Orto, in conseguenza degli incroci fra consanguinei e della beat generation, ne possedeva tanti che non si sapeva chi lo fosse di più. Sul finire dei fantastici anni ’60, una comitiva di ragazzi, partita in furgone alla volta di Londra, rientrò estasiata con una provvista di LSD. La gioventù paesana visse un mese di indimenticabili follie, per alcuni trasformatasi in perpetua ebetaggine. Gli scemi o matti erano suddivisi in “di serie A e di serie B”; del primo settore facevano parte gli alienati totali, del secondo, più fluido, vario e nutrito, tutti gli altri. Fra questi ultimi il primato per simpatia spettava ad Artemio e Arturo, due sedicenni di sessant’anni cotti dagli acidi che, quando non si aggiravano tra i bar, venivano ingaggiati per manovalanza e intrattenimento alle feste dove, con flauto traverso e chitarra elettrica, ripercorrevano il repertorio dei Jethro Tull. L’innocua discussione sulla pubblica imbecillità andò a parare sul mistero del testamento di Elsa. Fra gli scemi di serie B, infatti, si trovava Amilcare, il figlio del notaio, un promettente quarantenne concepito durante uno sballo. L’ereditarietà del prestigioso mestiere aveva convinto il padre a sottovalutarne le tare e a sottoporlo a costanti, costose e inutili cure, nella speranza dell’insperabile risveglio. Finché il genitore esercitò, Amilcare rimase a vegetare in ufficio senza arte né parte, poi venne investito della carica e affiancato a un va79
levole assistente, Giordano. Amilcare soprassedeva alle incombenze notarili dalla sala biliardo, dal “Bar degli aperitivi” o dallo stabilimento balneare e Giordano sgobbava. La cosa funzionò perfettamente fino all’avventura del testamento di Elsa: era scomparso o non era stato redatto? Giordano nulla ne sapeva, Amilcare non se lo ricordava insieme a tutto il resto, il paese diceva che esisteva e la polizia non ne veniva a capo.
80
16. LA SVOLTA DELL’ACCIUGA
Usciti dalla pizzeria, i poliziotti si diressero alla Sagra dell’acciuga. Nell’area si librava un persistente olezzo di pesce avariato e olio rifritto; c’erano acciughe in salamoia, sottolio, in tortiera, marinate, fritte, al verde, in zuppa, in bagna caôda, in pasta, accomodate e pochissimi ospiti. L’iniziativa del Comitato festeggiamenti di prolungare le celebrazioni dal giovedì alla domenica, nell’ambito del programma “No-stop sagra” e “Una festa per amica”, pubblicizzato da miriadi di manifesti, era sgradita agli abitanti, in parte partiti per le sospirate vacanze e nell’altra estenuati dal servizio di ristorazione. Artemio e Arturo erano contagiati dallo sconforto e, allarmati dall’incedere poliziesco, interruppero Aqualung sull’attacco. Ciò nonostante, fu proprio un’acciuga a determinare una svolta nelle indagini. Michele, costretto a esibirsi dal vivo per compiacere la clientela femminile, si era accorto che Cornelio, tra la pizza e il dessert, scribacchiava su un notes, mentre Giovanna era in bagno a fare i gargarismi. Poiché occupava il tavolo adiacente ai roventi mattoni vetrinati contornanti il forno, gli fece scivolare un’acciuga nel colletto; corse a scusarsi armato di smacchiatore a spruzzo, gli appannò le lenti e consultò gli appunti. Cornelio aveva tracciato uno schema comportamentale: l’imperscrutabilità del commissario, la bonomia dell’ispettore, l’espansività di Mara, l’ottimismo di Tresca, la timidezza di Cenci e l’aggressivo pessimismo di Razza, indicavano che, se i colleghi non agivano in combutta, ognuno avrebbe potuto essere il colpevole. Lo scaltro pizzaiolo diede appuntamento a Fulvio e Nicola alla fatidica Sagra. Ordinarono acciughe fritte e birra e sedettero lontano dai poliziotti, che confabulavano sorseggiando amari e cordiali. Artemio e Arturo riordinavano lentamente, poiché la deludente serata era in chiusura. 81
Michele espose a bassa voce le nozioni sottratte a Cornelio e i detective rimasero strabiliati. «Strano, Tresca non ci ha parlato di indiziati all’interno della centrale» disse Nicola. «Potrebbe non esserne al corrente, oppure attenersi allo spirito di corpo» rispose Fulvio. «È anche lui nella rosa dei sospetti, che comprende tutti» disse Michele. «Saranno affidabili le interpretazioni di Cornelio?» chiese Nicola. «Il mestiere del detective è il dubbio: non ci resta che adeguarci e diffidare del nostro collaboratore» concluse Fulvio. Da quel momento le indagini presero un nuovo corso: gli psichiatri sospettavano i poliziotti; questi sorvegliavano gli psichiatri e i detective dubitavano di entrambi, mentre tutti vigilavano sui principali indiziati: l’introvabile Giovanni, amici e parenti delle vittime, eventuali ritardati a scelta ed estranei. L’indiziato numero uno rimaneva Giovanni: aveva una motivazione ed era scomparso, ma non si capiva perché avrebbe dovuto freddare anche Luigi ed Elsa e in base a quale priorità. Il resto gravitava nel nebuloso e il commissario attribuì a Mara il compito di rivedere il lavoro degli esperti informatici sugli ipotetici spostamenti dell’indiziato: via terra su strada o ferrovia, via mare e via aerea, nonché i movimenti bancari. I colleghi avrebbero dovuto ricontrollare tutti i verbali e aggirarsi fra i compaesani. Il mattino seguente, Cenci e Razza ripresero il programma d’infiltrazione; poiché erano stati diffidati dalla Palestra ristretta, indossarono le tute da jogging e corsero sul lungomare. Tresca si dedicò ai verbali, approfittandone per omettere i cedimenti sentimentali e Mara si alienò sul computer. In qualche ora, mise a fuoco quel che era sfuggito agli informatici: il buco nero. Dall’uccisione di Luigi, Giovanni era andato in fabbrica, ma non aveva telefonato, né effettuato transazioni postali o bancarie, né usufruito del telepass, né acquista82
to biglietti di viaggio. Il suo ultimo giorno lavorativo era stato venerdì 13 agosto e sarebbe dovuto rientrare dalle ferie lunedì 30. Sebbene si fosse volatilizzato, non poteva escludersi che si trovasse in un’amena e remota località, a digiuno dei fatti. Mara presentò il rapporto e, come disse: «… buco nero», la porta si spalancò: il dottor Lampo, d’udito sopraffino, era stato convocato; colto l’arcano, entrò. Arti ebbe la presenza di spirito di rispedirlo fuori in attesa: arieggiò, spruzzò il deodorante e lo richiamò. Lampo, ignorando convenevoli e domande, partì in quarta a illustrare le recenti tendenze sperimentali su bosoni, buchi neri e asimmetria dell’universo e terminò lo sproloquio scientifico tre quarti d’ora dopo, invitando gli interlocutori al prestigioso Festival astronomico, che si sarebbe svolto all’osservatorio nel week end. Di Ettore e della sua ricerca non fece parola e i funzionari, storditi, se ne accorsero solo dopo aver ascoltato il nastro, vedendosi costretti a ottemperare all’invito. Il giorno dopo, sabato, Orto pullulava di turisti: oltre ai bagnanti, erano arrivati diversi astronomi, consuetamente seguiti da astrologi e affini. I bagnanti si distinguevano per l’abbigliamento succinto, gli astronomi per l’eleganza o la sciatteria e gli astrologi per le stravaganze: tuniche planetarie, berretti giullareschi, tutine aderenti, cappelli conici, cilindrici e piumati, velette, strascichi, manti neri, viola, argentati, corpetti dorati, abiti ottocenteschi, si aggiravano per le vie seguiti da un carro ricolmo di banchi pieghevoli, sfere di cristallo, carte, candelabri, bacchette, amuleti e pergamene antichizzate. Verso il calare del sole, i turisti affollarono i ristoranti e la sagra e studiosi e sensitivi partirono, in autobus, in taxi o a piedi, alla volta del Festival. I primi battibecchi tra le fazioni planetarie scoppiarono sul bus, perché i bagagli magici occupavano posti a sedere e lungo il sentiero, ove il carretto rallentava il passo agli scienziati. Quando il folto gruppo affollò la spianata dell’osservatorio, il dott. Lampo, eccezionalmente pulito e ordinato, chiamò smanioso le forze dell’ordine per 83
scacciare gli intrusi. Arti e Rella, che si trovavano a due passi da lui, dissero che avrebbero allontanato solo eventuali disturbatori della quiete pubblica, non della sua. I poliziotti si aggiravano presumibilmente inosservati fra i presenti; Ettore, che aveva ripreso il suo posto, curiosava in attesa dell’inizio della conferenza e gli ospiti, dopo aver montato attrezzature ovunque, si avventarono sulle cibarie, in parte sottratte dalla Sagra dell’acciuga e nell’altra da quella del fungo prospettata per la settimana successiva. Fulvio e Nicola spiluccavano funghi e acciughe con aria abbattuta e Tresca si avvicinava sorridente. «Non è professionale lasciarsi influenzare dall’amicizia» disse Fulvio. «Sarà, ma mi sento un rettile» rispose Nicola, che seguì l’intuito, secondo elemento basilare del mestiere e comunicò all’amico le teorie di Cornelio. «Non mi risulta vi siano indiziati fra noi» disse Tresca: «vi consegno i verbali che ho dovuto riscrivere» e porse i fogli ripiegati. Alle 21,30, Lampo introdusse la noiosa conferenza e gli astrologi si radunarono intorno a Telamone per la gara d’illusionismo. Chi non era interessato agli intrattenimenti, poteva osservare le stelle col telescopio, sebbene i favori della luna calante fossero azzerati dalla nuvolosità montante. Al quarto sbadiglio, Arti fu scosso dalla vibrazione del cellulare e scese a valle. Matilde, a casa col bimbo e preoccupata per il mancato rientro del marito, si era rivolta a Giordano, che si era diretto in edicola; trovando la saracinesca sprangata aveva chiamato la polizia. Gli agenti forzarono la serratura e trovarono Ignazio accasciato su una pila di riviste ceduta sotto il suo peso. Era immerso nel sangue, gli occhi sbarrati rivolti al soffitto e la gola squarciata. La cassa era aperta e vuota; isolarono la scena e chiamarono il medico legale, che stabilì il decesso a un’ora prima circa.
84
«La freccia dell’assassino non ha ancora esaurito la traiettoria. Meglio tenerci fuori dalla sua portata. A cavallo, dunque, e dileguiamoci senza tante cerimonie. Rubare il tempo a dei ladri spietati è il meno che si possa fare»3 declamò Arti. «Lascia stare Shakespeare, siamo ignari attori di un horror scadente! Chi va dalla moglie di questo disgraziato?» disse Rella. «Andrò io» rispose Tresca e si allontanò con Giordano. Matilde rimase raggelata dalla notizia e, mentre Giordano cullava Rodrigo in lacrime e le versava un brandy, Tresca perlustrava l’appartamento. In un cassetto trovò una lettera indirizzata alla vittima e la prelevò insieme al computer. Matilde se ne accorse: era la sua richiesta di separazione da Ignazio, recapitata quando aveva scoperto la gravidanza: «Decisi quindi di tentare una riappacificazione e la nascosi.» «Capisco, però la lettera costituisce un presupposto incriminante: dovrà rimanere a disposizione ed essere riascoltata» disse l’agente.
3
William Shakespeare, Macbeth, Atto II, Scena III. 85
17. INQUIETANTI PERSISTENZE «Cos’è il macabro entusiasmo fuori luogo che leggo nel tuo sguardo?» chiese indispettito il commissario al collega, la mattina dopo. «Finalmente intravediamo il bandolo della matassa» rispose l’ispettore: «fra i reperti raccolti dalla scientifica sulle scene dei delitti c’era del terriccio, simile a quello trovato ieri notte in edicola. Attendiamo i risultati delle analisi comparative.» «Dovremmo rallegrarcene? Sono due settimane che aspettiamo i responsi. Il DNA del capello rinvenuto in casa di Elsa non trova rispondenze né fra gli schedati né fra i sospetti e potrebbe non appartenere all’assassino.» «Abbiamo anche due nuovi indiziati: Matilde e Giordano. Lei non andava d’accordo col marito e lui aveva presentato le dimissioni dallo studio notarile e sai cosa stava architettando? Di rilevare l’edicola di Ignazio! Era amico, forse intimo, di Carla; amoreggia con Elisa, la figlia di Luigi; lavora dal notaio e si licenzia; mira al negozio e trova il cadavere del proprietario. Troppe coincidenze per essere casuali» disse Arti. «Interessante. Lui e Matilde potrebbero essere complici o addirittura amanti; come hai reperito le informazioni?» «Razza e Cenci hanno fatto amicizia con il notaio Amilcare e Tresca ha interrogato Matilde e Giordano, che ha convocato in centrale.» Giordano, dopo che l’ispettore aveva sciorinato la sfilza di sospetti a suo carico, disse: «È una spada di Damocle, ma vi state sbagliando: non ero l’amante di Carla, non ho mai visto il testamento di Elsa, né avevo interesse a eliminare Ignazio. Le mie dimissioni non riguardano l’indagine e ho l’opportunità di ritirarle.» «Perché lasciare l’impiego per un’edicola? Lo studio ha trovato un sostituto?»
86
«Mi sono stancato di avere le responsabilità di un notaio e di una balia con la qualifica di un impiegato: saldare i conti aperti e coprire le marachelle di Amilcare per non incorrere nelle ire del padre. Questi ha esaminato diversi aspiranti, ma non conosco le sue decisioni: domani l’ufficio chiuderà per ristrutturazione e io aprirò l’edicola.» «Conosce il mestiere?» chiese Rella. «Assolutamente no, avrei dovuto iniziare con Ignazio o Matilde; in mancanza di meglio, Michele ha rinunciato alle ferie per affiancarmi; anzi, se la scientifica ha terminato i rilevamenti, dovrei riordinare.» I funzionari lo congedarono e si recarono da Matilde. Le chiesero come fossero i rapporti col consorte, perché questi avesse ceduto l’attività e con quali prospettive. Lei rispose che il matrimonio era in crisi, ma l’arrivo del figlio li aveva spronati a tentare la riconciliazione. Della questione del negozio sapeva poco e delle prospettive niente: dovendo stare a riposo e tranquilla, aveva chiesto a Ignazio, uso a coinvolgerla nelle sue problematiche, di cambiare sistema. Lui, per una volta, aveva capito; inoltre la morte di Carla e la nascita prematura di Rodrigo avevano portato i loro discorsi su altri argomenti. Non traeva alcun beneficio dalla dipartita del marito: il figlio sarebbe cresciuto orfano e in miseria. Rientrati in ufficio, i funzionari riepilogarono i dati: il ferimento di Ettore era motivato dal computer, altrimenti l’aggressore avrebbe sottratto anche la documentazione cartacea, a meno che qualcosa non l’avesse distolto. Giordano andava posizionato al secondo posto fra i sospetti nonostante negasse gli addebiti; Matilde occupava momentaneamente il numero tre e il resto era da stabilirsi. Il medico legale comunicò i risultati dell’autopsia: Ignazio era morto dissanguato tra le 21 e le 22, per recisione della vena giugulare, inflitta con una lama affilata e non aveva lottato con l’aggressore. Landroni s’impegnò a disturbare il collega della scientifica per accelerare le analisi. 87
Lunedì mattina, sulla scrivania del commissario campeggiava una busta contenente i referti sui primi tre omicidi e l’aggressione. Intorno a Luigi erano state trovate orme probabilmente lasciate dai gitanti, ramoscelli spezzati, foglie, terriccio e cartacce. Accanto a Carla c’erano mozziconi di sigaretta, cenere, sabbia e terra dalla composizione simile a quella del bosco. In casa di Elsa, oltre a impronte di vernice, gesso e ghiaia, era stata rilevata una misera percentuale dello stesso materiale, che era stato trovato anche nello studio di Ettore; riguardo a Ignazio, l’analisi era in corso, ma si presumeva un’ulteriore corrispondenza. «Se fossimo stati messi al corrente sulle analogie o se appartenessimo alla scientifica, come avremmo agito?» chiese il commissario. «Avremmo prelevato dei campioni di terreno dal bosco e da altre zone frequentate dalle vittime o meno, per conoscerne la diffusione geografica e, conseguentemente, dedurne le ipotesi» rispose l’ispettore. «Ma non siamo della scientifica, infatti ragioniamo. Scientifici e informatici sono una zavorra economica depistatrice e dovremmo accollarci le loro funzioni.» «Il terreno rinvenuto sulla prima scena del delitto si differenzia parzialmente da quello trovato sulle altre due e su quella del tentato omicidio, mentre sul quarto caso non abbiamo conferme. Il secondo, il terzo e il quarto assassinio sono stati eseguiti con un’arma da taglio; il primo con un oggetto contundente e l’aggressione pure» disse Arti; poi diede le disposizioni agli agenti. Razza, costretto a consultare gli appunti e le fotocopie di Ettore, smaniava insofferente e rabbioso al pensiero che, mentre si ostinava su fogli indecifrabili, i suoi colleghi gironzolavano tra prati, spiagge e boschi. Non venendone a capo neppure con i ragguagli forniti dall’autore, scopiazzò qualche frase e formula qua e là. Prima di andarsene, scorse Ettore muovere lentamente le gambe e, senza chiedere spiegazione, lo inserì nella pole position dei sospetti.
88
Tresca e Cenci riempirono con le palette diversi contenitori sterili e terminarono l’impresa in riva al mare, costruendo un castello di sabbia con i bambini. Nicola e Fulvio, che stavano in agguato nei pressi dell’osservatorio, raggiunsero Ettore appena l’agente partì: da giorni avevano preceduto i poliziotti, raccogliendo campioni di terreno nell’area circostante, compresi i bunker, il bosco, il giardino di Elsa, spingendosi fino ai Pensieri paralleli e avevano consegnato il materiale a un laboratorio d’analisi. Il mattino successivo, i referti sulla quarta scena del delitto erano pronti e dimostravano che il terreno era lo stesso rinvenuto sulle due precedenti. «Interessante» disse il commissario: «se fra i campioni raccolti ieri risultassero le medesime componenti, avremmo una prova a carico; purtroppo non possediamo impronte digitali, né orme di calzature, decifrabili.» Giordano e Michele annaspavano fra quotidiani, pagamenti, resti, abbonamenti, gadget e dispense e la consapevolezza di essere sorvegliati contribuiva a gettarli nel panico. In loro soccorso giunse Matilde. I due ne furono lieti e la polizia ancor di più: gli acquirenti, fermati all’angolo di strada, asserivano di non averla vista per mesi e, sebbene ciò fosse dovuto al suo stato di salute, l’altruismo, con un neonato da accudire e un marito da seppellire, risultava sospetto e forniva un ottimo passatempo agli indaffarati crocchi di signore. Samantha, arguta e distratta, sorseggiando un cappuccino stomachevole al Bar Sociale, carpì che aria tirava e corse in edicola ad avvertire l’amica che, dopo aver fornito le indicazioni necessarie a evitare il tracollo morale dei vicini, se n’era andata. Ma le calunnie erano ormai partite e al funerale, fissato per il giorno dopo, erano più gli sguardi puntati su Matilde che quelli posati sulla bara e i mormorii sul suo ignoto, indi nefasto, passato, costituivano il principale argomento di discussione fra i partecipanti, che nelle ultime file cambiavano tema per lamentarsi dei flagelli del fallito ferragosto, rimpiazzato dalla sagra persistente 89
mettendo a dura prova la resistenza fisica d’intere famiglie. Le novità avevano il risvolto positivo di lasciare in secondo piano il terrore. Gli abitanti accettavano il perpetuarsi dei crimini efferati come una circostanza ineluttabile quanto l’influenza stagionale e i commercianti più intraprendenti tramavano di farne un’attrazione. Fra essi si distinguevano le eminenze del Comitato festeggiamenti, che preconizzavano sagre infernali, un Halloween dirompente e nuove insegne quali “Il Bar dello Sgozzato”, “Intimo Un colpo al Cuore”, “Casalinghi Fiele e Veleno”, “Pasticceria del Maleficio” e altre pregevoli iniziative illustrate alla riunione del pomeriggio al Bar Sociale. Il barista, obbligato a sottomettersi alle decisioni del Comitato che dirigeva pure il locale, si oppose fermamente a cambiare l’insegna, non per reminescenze socialistiche, ma per superstizione. Il suo ultimatum fu accolto con la minaccia di licenziamento in tronco e questi non trovò altra soluzione che chiedere una procrastinazione per motivi economici e disporsi a raccogliere firme tra gli avventori. I pensionati iniziavano a stufarsi delle peregrinazioni in autobus e, a giorni alterni, tornavano alle usuali comodità: partite a biliardo e a carte, ordinazioni a grido e battibecchi. Il barista gli presentò la petizione nel pieno dell’ultimo aperitivo, dando fuoco alle polveri. Il primo rifiutò di aderire per la sua incolumità, il secondo firmò per contraddire il primo, il terzo avrebbe siglato a patto di intitolare l’insegna “Il Bar dell’Ubriaco”, il quarto vi oppose il “Bar dello Zotico” e gli altri proposero un sondaggio. Il barista inserì le mozioni e raccolse un buon numero di firme malferme, che rimpinguò con quelle di amici, parenti e passanti ed entro quarantottore stroncò l’iniziativa: il “Bar dello Sgozzato” l’avrebbe aperto qualcun altro.
90
18. LUCI E OMBRE «Abbiamo speso un capitale; l’agenzia è andata in deficit prima di raggiungere un utile» disse Fulvio il giorno dopo, consultando i risultati delle analisi. «Se non investiamo non procediamo» disse Nicola. I due non sapevano se i loro campioni di suolo avessero elementi in comune coi reperti raccolti dalla scientifica: cercavano delle rispondenze e scoprirono che il terreno del bosco dove era stato rinvenuto il primo cadavere era simile a quello dell’osservatorio, che conteneva anche tracce di calcio, alluminio, silice, magnesio e residui ferrosi; le stesse sostanze si ritrovavano nell’area del laboratorio artistico. I minerali, presenti nella sabbia, erano propri del materiale edilizio. Approntarono una schedatura con l’aiuto di Ettore, esperto in grafici e tabelle e profilarono nuove congetture. «Supponiamo che le tracce di terreno presenti sulle scene dei delitti abbiano la stessa composizione chimica di quello prelevato da noi» disse Nicola. «Potrebbero provenire dalle calzature delle vittime: Carla frequentava questa zona ed è stata trovata sulla spiaggia; Elsa viveva qui e andava all’osservatorio e Ignazio pure» disse Fulvio. «Accantoniamo l’ipotesi e pensiamo che appartengano all’assassino» disse Nicola. «Significherebbe che questi frequenta l’osservatorio» disse Ettore. «Oppure il laboratorio artistico» aggiunse Nicola. «Come entrambe le zone o nessuna: il cemento viene utilizzato ovunque» disse Fulvio. «Certo, ma questo contiene elementi specifici» disse Ettore. «Allora escludiamo il laboratorio artistico» disse Nicola.
91
«No, il laboratorio è ai piedi del monte: il terreno ha una composizione chimica corrispondente e la costruzione è stata ristrutturata recentemente» disse Fulvio. «L’assassino frequenta il laboratorio e l’osservatorio. Conosciamo un soggetto del genere?» chiese Ettore. Fulvio e Nicola si guardarono negli occhi e dissero: «Noi.» «E Michele» aggiunse Fulvio. «Siamo a posto» concluse Ettore. Nei giorni seguenti, le ricerche annaspavano senza approdare ad appigli consistenti e il sistema di reciproca sorveglianza provocava più disguidi che risultati. Cornelio, la mattina, spiava i poliziotti al bar, scribacchiando plichi di foglietti quadrettati. In due giorni di osservazione dedusse i parametri della nuova equazione: 1.l’assassino è recidivo; 2. nega l’evidenza; 3. è astuto e ingannatore; 4. non si smentisce mai. Per l’elaborazione della formula avrebbe applicato rivisitazioni pitagoriche ed euclidee al teorema di Fermat e alla “matrice Ckm” della fisica quantistica, che aveva letto senza afferrarne il senso. Venerdì sera, invitò Giovanna a bere una tisana al Bar degli aperitivi. Michele serrò la saracinesca, entrò, ordinò una birra e inciampò rovesciandogliela sulla giacca. Scusandosi per l’increscioso incidente, sfilò il taccuino dalla tasca interna; andò in negozio, lo fotocopiò, rientrò e lo buttò sotto al tavolo. Dopodiché raggiunse i detective all’osservatorio; cenarono insieme, accamparono ipotesi e tracciarono tabelle. I poliziotti, nel contempo, avevano stilato un nuovo elenco dei sospetti: al primo e secondo posto si sfidavano Ettore e Giovanni, Giordano scivolava al numero tre e gli altri seguivano di conseguenza. L’ultimo omicidio aveva confermato le ipotesi dei negozianti: la stagione balneare volgeva al termine, ma Orto rimaneva affollata ed era il momento di agire. I rappresentanti del Comitato, raggirati dal barista, plagiarono il locandiere Eustachio, notoriamente indeciso. 92
“La Locanda Stellare”, ex “La Locanda del Mare”, “Albergo del Monte”, “Ostello la Lanterna”, “Pensione Panorama”, “Locanda del Viaggiatore”, sorgeva all’imbocco della strada montana, era sbilenca e scrostata e il balenio delle onde s’intravedeva solo dagli abbaini, reclinando il capo per non sbatterlo nel soffitto. Osvald, reduce anche da un tirocinio di verniciatore carrozziere, ridipinse la lamiera spenzolante. Sul fondo di smalto nero spiccavano, in rosso a caratteri gotici, “La Locanda dello Sgozzato” e un coltello insanguinato. Appena la targa sventolò, un nuovo cliente varcò la soglia cigolante: era il mago Telamone, che affittò per un mese a tariffa ridotta una camera normale e una mansardata. Eustachio, che non si spiegava perché i turisti disdegnassero il suo locale e non le costosissime stamberghe diroccate o “L’Albergo Lungomare”, ringraziò esultante i rappresentanti del Comitato per il suggerimento e quando altri tre maghi, due uomini e una donna, affittarono due stanze, pensò addirittura di dare una verniciata di viola alle persiane. Concesse agli ospiti, attirati dalla prospettiva di sfruttare l’atmosfera mefitica gravante sul paese, l’opportunità di ribollire il calderone in cucina, pronunciare sortilegi o malefici nel salone e riunirsi in seduta spiritica in giardino, adiacente al cimitero, causa originaria della disaffezione dei clienti, che non amavano trascorrere le vacanze immaginando che i lumini funerei fossero luci di transatlantici solcanti onde invisibili. La causa correlata era il tetro e imponente Eustachio che, coll’eterno completo scuro a fuoruscita di polsi e caviglie, la voce cavernosa e lo sguardo ottuso e corrugato, pareva un incrocio tra Frankenstein e Mefistofele. Chiese ai pensionanti le generalità ufficiali e ultranaturali: Telamone si presentò come mago-factotumprestigiatore; gli altri tre erano la fattucchiera Elettra, l’alchimista Voltimando, il trasformista Hans Frank, alias Mara, Cenci e Razza in missione. Lei aveva sciolto e arruffato la lunga e folta chioma castana; gli altri due portavano baffi posticci, saette e 93
boccoli scolpiti nel gel e tutti sfoggiavano cappelli e vestiti eccentrici. Prima di ritirarsi nelle rispettive alcove, tennero un breve conciliabolo: «La solita iattura: il vero mago potrebbe screditarci!» sbottò iroso Hans Frank. «Mai disperare: ho saccheggiato le biblioteche dei nipotini» rispose Voltimando. «Geniale! Tutta la saga di Harry Potter» esclamò Elettra. «Geniale un corno, non vorrete leggere quei mattoni. I tuoi nipoti non hanno il televisore?» brontolò Hans Frank. «Et voilà» disse Voltimando estraendo dalla valigia il portatile e i dvd. Elettra si ritirò coi volumi Il calice di fuoco e Il Prigioniero di Azkaban e i colleghi si apprestarono a sorbire su schermo L’Ordine della Fenice. Mentre i poliziotti si deliziavano nell’apprendimento, Telamone sfogliava un tascabile di magia spicciola, tergendo il sudore dalla lucida calotta cranica e dalla rada chioma grigio-bionda, che dall’emiciclo sfilava a lambire le spalle spioventi. «Miseria ladra, i veri maghi potrebbero incastrarmi!» pensava l’iperteso salumiere, rivelatosi prestigiatore nell’atto di evitare il rovescio di un vassoio di provole affumicate. Dopo le provole, si era allenato con roteazioni di sottolio e confetture e scomparse e ricomparse di panini imbottiti, funghi secchi, salsicce e soldi. Affinata l’arte, iniziò le prime esibizioni in pubblico, fino alla scelta drastica di cedere il negozio in gestione e trasferirsi a Orto. Un fallimento non ne avrebbe intaccato la prosperità economica, ma sgretolato l’autostima. Le tensioni metafisiche e intellettive che guastarono nottata e giornata agli ospiti, furono accantonate alla prima cena collettiva. Mara utilizzò il calderone per cucinare un abbondante minestrone:
94
«Doppia pena e fatica doppia: brucia, fuoco e tu, pentola, scoppia»4 recitava intravedendo cuocere l’avvicinarsi di una congiuntura che richiedeva l’intervento di Hugo, il mago consigliere. Eustachio, da tempo privo di personale, per l’occasione si rivolse a Giovanna, che diede buca a Cornelio: «Fregato, ma meglio così: sono libero e il pallone gonfiato è al convegno» pensò questi dirigendosi all’auto. Posteggiò sotto la centrale e, all’uscita del primo sospetto, mise in moto. Il guidatore spense il motore sotto l’insegna gotica e Cornelio dubitò di se stesso quando vide scendere un uomo barbuto dal lungo mantello nero e il cilindro. «Gli occhiali sono puliti, la targa corrisponde… che abbia fatto uno scambio di persona al semaforo?» pensava costernato parcheggiando tra le frasche. Attese che l’umidità notturna si rendesse impenetrabile e si avvicinò alla finestra. I maghi, terminato l’antipasto, commentavano i riflessi astrali del minestrone cercando un argomento di discussione privo di trappole, quando Hugo, alias Tresca, estrasse un coniglio bianco e due carote dal cilindro. I commenti sull’animale e sugli incantesimi, accompagnati dai trabocchetti di Telamone, dalle risate di Elettra, dalle stilettate di Hans Frank e dal vino, evitarono ai commensali spiacevoli inconvenienti fino al dolce, quando cadde un silenzio di tomba. Lo stridio di una civetta li soccorse rievocando il tema del cimitero, arricchibile d’innumerevoli digressioni. Cornelio, intirizzito, riconobbe solo il noto Telamone e Giovanna, inconsuetamente energica e perfettamente intonata all’ambiente. «Le streghe del nord me le regolo bene: ma con questi spettri stranieri qualcosa non mi gira»5 pensò e non si accorse dell’improvviso bagliore che rischiarò la notte; 4 5
William Shakespeare, Macbeth, Atto IV, Scena I. Johann Wolfgang Goethe, Faust, Atto II, v. 7680. 95
le sue lenti rifulsero sul vetro e Hans Frank guizzò dalla sedia, spalancò la porta e lo vide. Temendo di essere a sua volta riconosciuto, non l’inseguì, inserendolo al quarto posto fra gli indiziati. Gli altri ammiravano il cielo a bocca aperta: Hald era tornata, più fulgida che mai. Eustachio, che aveva trascorso la cena origliando nascosto dalla tenda amaranto, giunta la luce dissipò ogni dubbio sulla professionalità dei presenti e offrì liquori e digestivi.
96
19. OCCASIONI E MALEDIZIONI
«Maledizione, Arti, non se ne viene a capo!» disse il commissario sventolando il verbale stilato dagli infiltrati. «Non agitarti» disse l’ispettore: «posizioniamo Cornelio al numero quattro… indiziato più, indiziato meno…» «Non funziona. Fra Cornelio e gli agenti s’è insinuato il reciproco sospetto e se avesse ragione lui? Come comportarci coi sottoposti? Comunicargli le ultime svolte o impartirgli le disposizioni lasciandoli all’oscuro?» «Il minimo è più che sufficiente. Ognuno si occuperà di un ramo dell’indagine, ignorando la trama complessiva.» «Ottimo. Fai entrare Aldo.» Aldo-Shining andava nervosamente da un capo all’altro del corridoio. «Che volete ancora?» ringhiò sedendosi. 97
I funzionari lo interrogarono sui movimenti del fratello. «Ho già detto abbastanza. Cosa devo inventarmi?» «Giovanni è un solitario e ha confidato solo a lei i suoi propositi vacanzieri» disse Arti. «Voi vaneggiate.» «Abbiamo le nostre fonti; si decide a parlare o vuole trascorrere la domenica con noi?» continuò l’ispettore. Aldo, furioso della consapevolezza che Ilaria respirasse l’armonia della sua assenza, disse: «Non aveva progetti definiti, niente gli era chiaro da quando la moglie l’aveva abbandonato.» «Non mi tenti con le divagazioni; torniamo al viaggio» disse Arti. «L’ultima volta che c’incontrammo mi mostrò depliant della Giamaica e delle Cayman. Ma non abbiamo approfondito, il suo argomento era sempre Carla.» «Certo, la odiava.» «La morte non rende innocenti. Se fosse rimasta al suo posto, non avrebbe fatto quella fine.» «Suona come una minaccia.» «Giovanni l’avrebbe protetta.» «Non da Giovanni, infatti l’ha ammazzata.» «Mentite.» «Ci dica dov’è.» «Non lo so.» «Se ne vada prima che smonti le sue reticenze e ricordi che la teniamo d’occhio» concluse Arti severo. «Complimenti per il bluff» disse Rella e Tresca bussò. «Giamaica e Isole Cayman» borbottava Arti. «Cayman?» chiese Tresca «Che curiosa coincidenza: ho in tasca un biglietto aereo.» «Ti sembra il momento di volare?» «Mio fratello, viaggiando per lavoro, raccoglie i puntipremio: voli improvvisi per ogni luogo del pianeta. Mi ha ceduto un Grand Cayman con partenza oggi e ritorno martedì; potrei usare il suo passaporto e vorrei chiedere due giorni di permesso.»
98
«Permesso accordato, a patto che…» e il commissario lo aggiornò sulle dichiarazioni di Aldo: doveva sfruttare l’occasione per cercare Giovanni. Se non lo avesse trovato, una trasferta giamaicana non rientrava nel budget. L’occasione si prospettò anche per gli agenti in incognito: il ritorno di Hald, annunciato dal notiziario, aveva attirato curiosi spaziali e domenicali e le nuove identità facilitavano l’infiltrazione. Hans Frank era accasciato sul letto: «Harry e i maghetti maledetti mi hanno centrifugato il cervello, non dovrebbe iniziare il campionato?» «Che idea!» disse Voltimando cliccando sul telecomando «Una sfida calcistica astronomico-astrologica è quello che ci vuole.» Contattarono i detective, che organizzarono la partita di fronte all’osservatorio. Gli sfidanti s’incontrarono sul campo verso sera e iniziarono a litigare. La folta squadra magica, esuberante e rumorosa, non voleva saperne di deporre ciondoli, cappelli e bacchette. L’esigua parte scientifica, musona e taciturna, rifiutava i giocatori in prestito dalla formazione avversa. La diplomazia dell’arbitro Elettra assestò la situazione: mise a deposito gli ammennicoli e spostò i colleghi fra gli scienziati. Fulvio, Nicola, Michele, Ettore e Samantha stavano tra gli spettatori e quando partì il fischio, Lampo, veloce come un fulmine, s’impadronì della palla. Mostrando attitudini strabilianti, spandeva zaffate disorientanti che, unite alla feroce abilità di Hans Frank, misero in evidenza lo smacco dei metafisici, che mancarono tutti i rigori ottenuti dai falli irregolari. Telamone, sfiancato, si ritirò a metà del primo tempo e le riserve che lo rimpiazzarono confermarono l’inferiorità della squadra. La tenzone terminò con un infausto 15 a 4 e decine di foto e identikit dei giocatori. Lampo, trionfante, saettando occhiate maligne agli avversari, propose di cenare alla Sagra del fungo. I giocatori, stanchi e affamati, confidarono nella brezza e in-
99
vocarono un’unanime doccia ristoratrice. Osservandoli allontanarsi, Lampo pensò: «È trascorsa appena una settimana, ma l’occasione merita una lavata.» Alle nove della fresca e limpida serata, i due schieramenti fecero ingresso alla Sagra, lasciando sbigottiti Artemio e Arturo, addetti ai tavoli: «Ho le traveggole o quei tre hanno la faccia dei poliziotti della settimana scorsa?» chiese il primo. «Hai ragione, qui gatta ci cova: teniamoli d’occhio.» I commensali polemizzarono su tutto: dalla dislocazione dei posti alla scelta dei menu, dalle opinioni atmosferiche a quelle culinarie e, principalmente, sulla slealtà del gioco. Oltre a insultarsi tra squadre, i maghi s’autoaccusavano: Hans Frank e Voltimando, i soli abili in attacco e difesa, avevano agevolato gli avversari ed Elettra era un arbitro incompetente. In questo marasma, la figura di Lampo si ergeva ebbra di vino ed elogi e, cedendo alle lusinghe, intercesse a favore dei rei, evitandogli un ignobile smascheramento. Michele, Fulvio, Nicola, Ettore e Samantha avevano cenato all’osservatorio e ammiravano gli astri brillare stagliando costellazioni sullo sprofondo del blu, finché giunse Hald, con sfolgorii e abbagli evanescenti, ad assestarsi tra Bootes e Andromeda, accanto allo spicchio di luna. Discutendo della partita e delle indagini, i detective finirono col rivelare la ragione della strana somiglianza tra maghi e poliziotti, poi augurarono la buonanotte. Samantha ed Ettore accesero il nuovo portatile per annotare le osservazioni sugli avvenimenti. «Non per farmi i diagrammi tuoi» disse Samantha: «ma se ricordassi cos’hai inserito sul computer, troveresti la soluzione.» «La chiave del mistero sta negli infiniti meandri della miseria umana e non credo di averli trascritti in uno schema sepolto nell’oblio.» «Eppure qualcosa c’era, altrimenti perché ti avrebbero assalito?» 100
«L’opportunità di rivivere mi deconcentra e supera ogni ambizione: sinceramente sono più interessato a un corso di nuoto riabilitativo che a sondare i misteri del cielo e della terra.» «Sei il migliore imprevisto che abbia mai incontrato» disse Samantha, lo salutò e si diresse dai colleghi. I maghi alloggiavano alla Locanda dello Sgozzato che, per la prima volta, esponeva il cartello “Completo”. Rientrati dalla Sagra pensarono di festeggiare la sconfitta con una riunione tenebrosa. «Il cimitero è troppo scontato e ha il cancello chiuso» asserì il veggente. «Vi accompagnerò alla grotta dei pipistrelli» disse lugubremente Eustachio con la torcia in mano. Il gruppo si addentrò lungo il sentiero e in un quarto d’ora raggiunse la piccola caverna a lato della radura, fronteggiata da un enorme masso tondeggiante. I pipistrelli erano a caccia, alcuni sopra le loro teste, altri più lontano. Samantha, accodatasi all’ultimo momento, si accovacciò tra Voltimando ed Elettra, sussurrandole: «Tranquilla, sono con voi» ed Eustachio ebbe l’onore d’inaugurare il concilio. Estrasse una bottiglia di grappa artigianale e una dozzina di bicchieri di carta; tutti brindarono alla disfatta e la seduta iniziò. Congiunsero le mani, la civetta emise il grido e Samantha cadde in trance: «Un messaggio per la dannazione. Una lama nel cuore» diceva con gli occhi vitrei. «La voce di Carla!» urlò Voltimando. «Taci, scellerato, non si capisce niente» inveì Hans Frank. «Parla ancora» disse Telamone, abbagliato da un fascio di luce. «Parla tu, impostore» gli gridò Lampo sbucato dal sentiero puntandogli la torcia negli occhi: «restituiscimi il palmare.»
101
«Che sbadato, l’avevo smaterializzato nell’esibizione tecnologica» disse avvilito Telamone porgendoglielo: «come hai fatto a trovarci?» «Ha il segnalatore satellitare.» Lo scompiglio aveva risvegliato Samantha, che giaceva stremata e immemore ed Eustachio versò un secondo giro di grappa. I presenti possedevano doti singolari, delle quali si giovavano per diletto, lucro o passione, ma di magia ne capivano quanto gli agenti e il salumiere, temendosi l’un l’altro. L’arrivo di Lampo scongiurò un vicendevole tracollo e fu salutato come una liberazione; Voltimando accordò la chitarra e insieme cantarono cori a squarciagola. Più tardi, gli agenti scortarono Samantha a casa, sperando in una delucidazione. «Ragazzi, non decido come e quando cadere in trance o avere una visione: va da sé.» «Ricongiungiamo le mani» propose Hans Frank. «È debole, potrebbe essere pericoloso» disse Elettra. «Infatti, devo dormire. Una chance però l’abbiamo» disse Samantha. «Quale?» chiese Voltimando. «Ettore: ha il potere di potenziare le mie doti. Domani andremo da lui e lavoreremo sulle reciproche amnesie.» «Stai attenta, quel ragazzo potrebbe essere pericoloso» disse Hans Frank. «Perché?» chiese lei. «La sua paralisi è una finzione.» «Ma no, è un malinteso. Ascoltatemi» disse Samantha e narrò la sorprendente avventura di Ettore, prosciogliendolo dalle accuse.
102
20. STRANI INCONTRI Il pomeriggio successivo, all’osservatorio, Ettore e Samantha discutevano delle recenti esperienze. «Chiudiamoci nella stanza del dimenticatoio e proviamo a ricordare» disse lui. A computer spento si guardavano negli occhi, a computer acceso fissavano lo schermo, ma la concentrazione non arrivava. Razza, prima di varcare l’ingresso, disse: «Stiamo attenti: quei due sembrano quel che non sono. Se anziché prosciogliere lui dovessimo incriminare anche lei?» «Hai ragione: compaiono sempre sulla scena del crimine o nei dintorni; osservano, ascoltano e, soprattutto, mentono» disse Cenci ed entrarono. I due scesero e ascoltarono le ricostruzioni dell’aggressione e della trance. Ettore riconfermò la versione precedente e Samantha non ricordava. «Signorina, lei ha parlato con la voce di Carla: l’ho riconosciuta perché era cognata di mia sorella Ilaria» disse Cenci: «eravate amiche?» «No.» «Cosa significavano le sue parole?» chiese Razza. «Mi dispiace, la trance è stata interrotta bruscamente, ho un vuoto di memoria.» Gli agenti si allontanarono indispettiti e giunsero Fulvio e Nicola. Saputo dell’evento notturno, Fulvio disse: «Messaggio: andiamo ai Pensieri paralleli.» Il laboratorio era semideserto e i discorsi dei presenti non fornirono loro alcuna idea. Tornando, passarono dall’edicola e invitarono Michele al pub; Nicola disse: «Michele, quando c’incontrammo al laboratorio artistico, dicesti di aver scritto un messaggio a una donna senza consegnarglielo.» «Sì, l’ho ritrovato anni dopo in un quaderno.» «Lei lo sa?» chiese Fulvio. «Non voglio parlare di questa storia.»
103
«Non intendiamo curiosare nella tua vita privata, ma ci sono troppe coincidenze» disse Nicola. «La donna era Carla?» chiese Fulvio. «No» rispose Michele. «D’accordo, scusaci per l’intromissione» disse Nicola e cambiarono argomento. Michele, angosciato, lanciò sul blog il tema della trance. Fra le opinioni raccolte, quella che coglieva il significato era di Samantha, ignara di aver innescato il dubbio nell’ignoto interlocutore: i morti, sovente, si rivolgevano ai vivi. Le parole di Carla potevano interpretarsi come un avvertimento e Michele sapeva per chi. Inviò una mail: «Passerò da visionario, ma meglio prevenire il pericolo» pensò. Tresca, intanto, si scaldava al sole caraibico. Durante il volo si era addormentato e ed era atterrato a George Town all’alba relativamente riposato, nonostante gli scali e la differenza di fuso orario. Alloggiava in un piccolo hotel sulla costa, con piscina e spiaggia a disposizione; la sabbia chiara e il mare turchese lo distoglievano dalle preoccupazioni e si decise a esplorare il capoluogo solo a pomeriggio inoltrato, accompagnato da un giovane isolano disposto a fargli da guida. Percorse le vie principali, acquistò souvenir, camicie, short e occhiali da sole, entrò in diversi locali, gustò i piatti tradizionali e s’introdusse ad alcuni party. Bevve abbastanza da sentirsi a suo agio fra gli estranei e conobbe uomini e donne, turisti o autoctoni, ai quali mostrò la foto di Giovanni, ma nessuno pareva conoscerlo. Rientrato in camera, telefonò in centrale. Al risveglio si tonificò con una nuotata, tornò a perlustrare la cittadina e nel pomeriggio fece un giro panoramico su un’auto a nolo; per visitare anche le isole minori avrebbe dovuto disporre di un altro giorno almeno e, in vista dell’imminente partenza, fu assalito dallo sconforto. Dirigendosi all’aeroporto, osservando il paesaggio e le insegne delle banche, scorse un particolare. Fermò il taxi e scese; un giovane tra i venticinque e i 104
trent’anni, capelli castani di media lunghezza, vestiti sportivi, cappello di paglia e occhiali scuri, riponeva i soldi prelevati dal bancomat. Gli scattò diverse foto col cellulare: «Lo conosco o assomiglia a qualcuno?» pensava nervoso. Si presentò ai superiori mercoledì mattina e mostrò le foto sullo schermo. «Sembra una figura nota, ma tra il cappello e gli occhiali è difficile individuarne i tratti: ci sono decine di ragazzi come lui» disse Arti. «Facciamo degli ingrandimenti e controlliamoli con calma; comunque vada, non è Giovanni» disse Rella. «Avrei dovuto spingermi anche a Little Cayman e Cayman Brac, ma non ne avevo il tempo e i mezzi» disse Tresca abbattuto: «ho stabilito un contatto con la guida, è un ragazzo intelligente e se avvisterà il ricercato mi avvertirà.» Quella sera, a casa, Giordano e Michele trovarono due lettere del comune, che annunciavano l’indemaniamento della palazzina. Bussarono a Matilde, che aveva ricevuto la medesima comunicazione e li invitò a cena. Decisero di chiedere chiarimenti all’ente preposto. Il mattino successivo, mentre Giordano vendeva giornali, Michele e Matilde si recarono all’ufficio tecnico, presieduto dal geometra Olivetta. Il gracile cinquantenne dalla calvizie avanzata, gli occhiali rotondi e il completo scuro, sembrava un chierico mancato e dall’atteggiamento dimesso trapelava il fastidio per la visita inattesa. In prolisso gergo tecnico, spiegò agli inquilini che la palazzina di Elsa era diventata proprietà del comune e avrebbe acquisito valore grazie al porticciolo e all’imminente edificazione di un centro sportivo. «Cosa c’entra il porticciolo?» chiese irritato Michele. «Per il panorama» rispose Olivetta. «Sarà…» «Potrete rimanere nei vostri appartamenti, pagando una quota da stabilirsi, fino a nuove disposizioni» disse il geometra e li congedò. 105
«Non mi torna» disse Matilde: «queste norme indefinite non hanno alcuna parvenza di legalità.» «Giordano lo saprà meglio di noi, ma una causa sarebbe inutile: i nostri contratti sono irregolari» disse Michele. Giordano confermò le loro supposizioni e si rassegnarono a dover cambiare casa, come avevano prospettato dal momento dell’omicidio. Matilde ricevette una telefonata: preferiva andare in centrale o ricevere un agente a domicilio? Andò in commissariato. «Signora, i tecnici hanno controllato il suo computer: è vuoto» disse Arti. «Com’è possibile?» «Ce lo spieghi lei: perché ha cancellato la documentazione di suo marito?» «Ignazio il computer non lo accendeva neppure. Lo usavo io.» «Può dimostrarlo?» «Spero di sì: è tutto registrato sulla periferica: però non capisco cosa sia accaduto; forse un virus ha cancellato i file.» «Non solo i file, anche i programmi» disse Arti. «Non so cosa rispondervi. L’ultimo mese non è stato dei migliori e il piccolo Rodrigo mi sfinisce. Se volete incriminarmi, fate pure; altrimenti datemi il tempo di riflettere.» «Abbiamo fiducia in lei; domani le invieremo un agente» disse Rella e Matilde se ne andò.
106
21. ALTERNANZE
La mattina successiva, Tresca entrò in casa di Matilde. La donna, laureata in architettura, spiegò che utilizzava il computer per scrivere e lavorare su testi, grafici e disegni. «Negli ultimi tempi, però, non ho avuto tempo di occuparmene e non saprei dire quando si è guastato» disse. «Non è guasto, ma vuoto. Ha trovato la chiave USB?» «No. È scomparsa.» «Quindi lei l’ha manomesso e ha fatto sparire la periferica.» «Per quale motivo?» «È quello che vorremmo sapere.» «Vi state sbagliando. Se riuscissi almeno a risalire all’ultima volta che l’ho utilizzato, a quando ho scaricato la posta…» «Chi poteva accedere in casa?» «Io e mio marito e chiudevamo sempre a chiave.» «Qualcuno ne possedeva un’altra copia?» «Elsa, la padrona di casa.» «Che aveva l’abitudine di lasciare la finestra della cucina socchiusa» aggiunse l’agente. «Nella buona stagione sì, ma prima di ritirarsi la chiudeva.» Tresca se ne andò perplesso: non credeva all’implicazione di Matilde, ma se non era lei ad aver eliminato i dati, chi era stato e perché? In centrale chiese ai superiori di visionare il dossier del caso e Arti gliene consegnò una copia parziale. L’agente si accorse delle lacune dalle date, ma non chiese spiegazioni. Gli ospiti della locanda, che avevano pattuito un soggiorno di una settimana a mezza pensione, non sapevano più cosa inventare per schivare i temi scottanti: chi era al corrente delle rispettive stratificazioni d’identità si spostava in gruppo, coprendosi dalle incursioni degli altri, che attuavano la medesima strategia. Il movimenti separati non eludevano i momenti d’incontro, nei quali 107
si porgevano domande indiscrete per evitare di sentirsele porre o estraevano argomenti di circostanza: l’instabilità climatica, l’inflazione, i titoli azionari, le amenità locali o giocavano a carte. Eustachio, se non riusciva a origliare, pretendeva resoconti precisi da Giovanna e credeva che gli ospiti usassero un linguaggio cifrato per celarsi ai profani. Dopo varie tergiversazioni, durante il poker serale, rivelò loro di essere un occulto seguace del satanismo, provocando l’intimo sdegno generale. Quando andarono a coricarsi, i nuovi amici s’infilarono nelle stanze dell’uno o dell’altro a commentare l’inquietante sorpresa. Nell’andirivieni finirono con l’incrociarsi in corridoio, scoprendo di condividere la medesima opinione, cosicché le riunioni si spostarono nella camera di Telamone e degenerarono in un gioco della verità in cui ognuno rivelò le identità ufficiali. Ai noti prestigiatore-salumiere, cartomante-lattaia, telepatico-rappresentante, si aggiunsero lo studenteveggente, il benzinaio e il meccanico-astrologi, lo scarpaio-stregone, la merciaia e la fruttivendolafattucchiere, il pollivendolo-aruspice, il pensionatooracolo e gli infiltrati, che si spacciarono per agenti assicuratori e inserirono Eustachio nella lista criminale. Sabato, in centrale, Razza e Cenci chiesero di consultare i verbali; Arti sfilò alcune pagine e glieli consegnò. Mara, frattanto, controllava il computer di Matilde, senza cavarne alcuna informazione. Eustachio fu posizionato al numero cinque fra gli indagati e gli agenti ripartirono a caccia di prove. Nel parcheggio incontrarono Tresca. «La mia assenza ti danneggia: è la prima volta che ti vedo d’umor nero» gli disse Razza. «Sono indignato: mi hanno consegnato un dossier epurato, cosa posso concludere se non conosco i fatti?» «Siamo stati trattati allo stesso modo» disse Cenci: «me ne sono accorto dalle date e ho segnato i giorni e le testimonianze mancanti.» «L’ho fatto anch’io; fammi vedere» disse Tresca. 108
I tre credevano di trovare le stesse omissioni, invece si accorsero che quanto mancava su una copia, era sull’altra e andarono al bar a scambiare le informazioni. «Quale macchinazione può sottendere a questa operazione raffazzonata?» chiese Cenci. «Forse vogliono tenerci all’oscuro degli sviluppi del caso» disse Razza. «I funzionari non hanno fiducia in noi» concluse Tresca. La sera, al Bar degli aperitivi, Hans Frank e Voltimando abbordarono Amilcare e gli offrirono un drink. «A chi assomigliate?» chiedeva il giovane squadrandoli un attimo, prima di accantonarli nel suo immenso contenitore di smemorataggini. «Come te la passi?» gli chiese Voltimando. «Benissimo, sono in ferie fino a lunedì. È un eufemismo, chiaramente.» «Cioè?» chiese Hans Frank. «La mia vita è una vacanza, ma riprenderò a presenziare saltuariamente in ufficio.» «Hai rimpiazzato il segretario?» «Così pare: mio padre ha assunto un laureato… si chiama… si chiama… È quel ragazzo, sai il figlio di… non mi ricordo, ma cosa importa? Brindiamo alla nostra salute e leggetemi la mano.» Gli agenti gli prospettarono un roseo e rilassante futuro e tornarono alla locanda, dove le tre medium avevano cucinato la cena di commiato. Eustachio si chiedeva perché le donne avessero riempito la sala e la cucina di festoni d’aglio e crocifissi. «Sarà un tranello per attirare Satana o mi raggireranno? Eppure sono così gentili…» pensava stupito dei sorrisi e della cortesia dei pensionanti, che si sforzavano di prolungare l’incresciosa pantomima fino a domenica. Cornelio, preoccupato per i troppi impegni della cagionevole Giovanna, l’accompagnò al servizio alla locanda. Il continuo lavoro contribuiva a distrarla dai malanni e a fornirla della liquidità necessaria ad acquistare farmaci immunizzanti e corroboranti. 109
«Quando siamo insieme hai sempre la goccia al naso, il foulard, l’otite, la pancera e l’emicrania… poi vai a lavorare fresca come una rosa» le disse indispettito. «Dovresti rallegrarti del mio miglioramento, ma si sa…» rispose lei. «Si sa cosa? T’infili nella tana del lupo senza un orzaiolo o un herpes a difenderti e dovrei essere contento?» «Non vorrai portarmi sfiga, sono reduce dalla congiuntivite.» «Ti sto proteggendo: stai attenta e non sottovalutare il nemico.» «Quale nemico? Sai che non afferro i discorsi complicati.» «L’assassino. È lì dentro ed è molto scaltro. Rimarrò nascosto, in caso di bisogno.» «Così mi metti in ansia, cosa vuoi da me?» «Niente. Se mi cercherai, mi troverai. Buon lavoro» e la depositò a un centinaio di metri dall’ingresso. La cena trascorse in forzata allegria, con l’insistente verso della civetta che atterriva gli astanti, i trucchi nervosi di Telamone che provocavano magagne a ripetizione e le frecciate sardoniche di Hans Frank che ferivano a caso. Per scongiurare uno scontro impari con le forze oscure, erano stati invitati il mago consigliere Hugo e Samantha, la sola con consistenti poteri sovrannaturali. Lei stessa era stupita delle sue recenti esibizioni, che attribuiva al carisma di Ettore; ma adesso era lontano e non sapeva se l’energia immagazzinata da lui nel pomeriggio sarebbe bastata ad arginare il male. Dopo la grappa, il whisky e gli amari, Eustachio propose un sabba nella grotta. «-Ho mal di schiena… -Ho mangiato troppo… -Mi gira la testa… -Mi sono slogato una caviglia… -La congiuntura astrologica sconsiglia iniziative sconsiderate… -Preferirei giocare a ramino» risposero alcuni, con l’approvazione degli altri e quando Hugo distribuì le carte si sentirono sollevati. Alla terza mano, Voltimando 110
propose di comprare un gelato e Hans Frank l’accompagnò. Superando i limiti di velocità, tornarono alla locanda. «Dobbiamo far presto, altrimenti si scioglie» disse Voltimando. «Lo rimetteremo in frigo» rispose Hans Frank forzando la serratura dello scantinato. Il locale, umido e tetro, percorreva il perimetro del primo piano e vi si accedeva attraverso una scala. Nel primo vano c’erano alcuni scaffali contenenti bottiglie di vino e acqua minerale, barattoli di salsa, conserve, detersivi e scorte varie, insidiati dalla muffa. Nel secondo, accessibile da un arco aperto, l’oste conservava attrezzi, combustibili e suppellettili. Il terzo era celato da una porta chiusa, che gli agenti faticarono a forzare. «Stiamo rischiando grosso: non abbiamo un mandato; lasciamo perdere» disse Voltimando. «Se anche riuscissimo a ottenerlo, Eustachio avrebbe il tempo di far sparire tutto. Dobbiamo tentare» rispose Hans Frank socchiudendo l’anta cigolante. L’angusta stanza era arredata con un divano, un tavolo ovale, sei sgabelli, una libreria sfornita e un ripiano con i liquori. Al centro del tavolo c’era un candelabro a sette braccia; sul divano sedevano una bambola di porcellana col capo rivoltato e un bambolotto decapitato, la cui testa stava tra le zampe di un gatto di peluche. Al soffitto erano appesi festoni di pipistrelli e scheletri e alle pareti, capovolti, ferri di cavallo, cornetti, croci cristiane e celtiche, simboli animisti, ankh egizi e tao, inframmezzati da iscrizioni runiche e passi dell’Apocalisse ribaltati. Un poster de Il Grande Capro di Goya era affisso verticalmente. «Halloween a rovescio» disse Voltimando scorrendo la luce della torcia sulle pareti. «Scattiamo qualche foto, ma credo sia troppo buio anche con le candele accese» disse Hans Frank; indi si allontanarono richiudendosi alle spalle le porte dalle serrature intatte.
111
Il loro ritorno non destò l’interesse degli amici, impegnati a conteggiare i punti e solo Eustachio chiese spiegazione della lunga assenza. «Abbiamo incontrato Amilcare, un compare di mantra» gli risposero. Mentre mangiavano il gelato, Cornelio sudava sette camicie per forzare la serratura: seguendo i poliziotti, era rimasto chiuso dentro e dopo un quarto d’ora di armeggi fu sopraffatto dal panico e telefonò: «Giovanna, sono intrappolato in cantina; cerca l’ingresso interno.» La porta era dietro la cucina; lei l’aveva già utilizzata per prendere il vino e in un attimo lo recuperò. «Meno male che dovevi proteggermi; cosa facevi lì dentro?» «È una storia lunga. Dove potrei nascondermi?» «Da nessuna parte: esci dalla finestra e aspettami: tra poco avrò finito» disse lei scaraventandolo all’esterno un istante prima dell’arrivo di Eustachio, alterato per il mancato sabba.
112
22. BARATRI
«Parodia o demonolatria, il vostro rapporto è sconcertante» disse Arti agli agenti la mattina successiva. «A proposito di rapporti: abbiamo notato delle lacune nei dossier» disse Razza. «Sulla copia che ho consultato mancavano alcune parti, su quella visionata dai colleghi altre» disse Tresca. «Che sbadato!» pensava Arti imbarazzato cercando una giustificazione plausibile. Intervenne Rella: «Ragazzi, parliamoci chiaro: il caso si complica a dismisura e abbiamo deciso di presentarvelo a puntate. Date le circostanze, consultate tutto e tracciate degli schemi esemplificativi. Ci rivedremo più tardi.» «Sei un impiastro. Se ti concentrassi sul lavoro come fai con “La Settimana Enigmistica”, eviteresti tali inconvenienti» continuò rivolto all’ispettore. «Le parole crociate questa volta non c’entrano: ero impegnato con le pratiche burocratiche e ho sfilato le pagine sbagliate» rispose questi avvilito. Bussarono alla porta. «Avanti» disse Arti. «Cucù» disse Cornelio sorridente: «scusate l’improvvisata, ma passavo di qui e ho pensato di aggiornarvi sulle recenti elaborazioni.» «Ci dica» disse l’ispettore. «Tenendo conto dei fondamenti di Pitagora ed Euclide…» «Lasci perdere la matematica e venga al dunque» lo interruppe spazientito il commissario. «Ecco i quattro parametri dell’equazione omicida: recidività; contraddizione; inganno; reiterazione. Che andrebbero rielaborati applicando…» «Per favore, ci risparmi» ripeté il commissario. «Tralasciando l’elaborazione scientifica, sussiste, sotteso alla metodologia, un quinto elemento, apparentemente avulso e finora sottovalutato.» 113
«E quale sarebbe?» chiese Arti. «La diabolica perfidia. Sono esperto anche in demonologia e pronto a fornirvi le delucidazioni necessarie.» «La ringraziamo e, se riterremo di avvalerci del suo contributo, la contatteremo» disse Arti. «Fate attenzione alla vostra squadra» disse maliziosamente Cornelio chiudendo la porta. «Atteggiamento sempre più ambiguo: insinua la sfiducia fra noi, circola nei pressi della locanda e ora se ne esce con le diavolerie. Come può essere al corrente dei fatti?» disse Arti. «Se fosse membro di quella farsa satanica, perché scoprirsi? Spesso i criminali sfidano la polizia, ma la sua è sfrontatezza» rispose Rella. «Cosicché dovremmo porlo sotto stretta sorveglianza e di chi, se gli agenti non fanno che correre da un capo all’altro a raccogliere dati su una sfilza d’incriminati lunga quanto un elenco telefonico?» «Faremo a turno.» La sera gli agenti relazionarono i movimenti domenicali di Ettore e Samantha, Giordano ed Elisa, Matilde e Rodrigo, Ernesto, Eustachio, Cornelio e Giovanna e, già che c’erano, avevano scambiato due chiacchiere anche con Amilcare, Fulvio e Nicola. I maghi se l’erano data a gambe al sorgere del sole e Telamone tentennava fra cedere alla paura o alla parsimonia. Quando si accorse che Elettra, Hans Frank e Voltimando non avevano consegnato le chiavi, si rinfrancò e scelse di rimanere, almeno fin quando c’era compagnia. La mattina successiva il laboratorio consegnò le analisi comparative sui campioni di terreno e i funzionari dedussero in breve quel che i detective privati, all’oscuro delle correlazioni sulle scene dei delitti, presentivano da giorni: l’assassino si aggirava nell’area dell’osservatorio e probabilmente indossava scarpe dalla suola gommata. Fino al laboratorio artistico non si erano spinti.
114
«Se vogliamo impedire un carnaio dobbiamo muoverci» disse il commissario tracciando segni e cerchiature rosse. I tre agenti infiltrati dovevano cambiare look secondo i ruoli e usavano come camerino l’appartamento dei detective, non lontano dalla locanda. Telamone si era recato a Ninfere per acquisti e, passando nei pressi del commissariato, scorse tre poliziotti in divisa. «Che rara coincidenza!» pensava stupito: «sembrano le copie dei miei amici: stessi tratti, stesse movenze… Glielo racconterò» e riprese a camminare nelle vie. Michele e Giordano avevano affrontato con successo l’invasione della prima clientela mattutina e stavano riordinando le riviste. «”Hacker & Hackers”» disse Michele: «che roba è? Informazioni sulla pirateria informatica, per scaricare film e musica, apprendere l’arte del mestiere e resoconti sulle migliori incursioni… Interessante, hai fatto bene a ordinarla, ma non dovrebbe essere illegale?» «Non l’ho ordinata di mia iniziativa, la richiedeva Ignazio per un cliente, infatti sono solo due copie» rispose Giordano. «Una la compro io.» Quando tornarono a casa per il pranzo, trovarono Matilde seduta sulla panca di pietra in giardino, con Rodrigo addormentato nel passeggino. «Sei abbattuta, è successo qualcosa?» le chiese Giordano. «Non bastava la morte di Ignazio? Invece ancora la casa, il computer… non so più come fare.» «Intendi la manomissione del PC?» chiese Michele. «È talmente vuoto che me l’hanno restituito; sono sospettata e non so come venirne fuori.» «Stasera lo controllerò.» «Ti ringrazio, ceneremo insieme.» In edicola Michele, nei momenti di tregua, consultò manuali d’informatica, scorse la rivista piratesca e provò diverse combinazioni sul portatile.
115
Dopo cena si posizionò davanti al PC di Matilde e in un’ora rinvenne le prime tracce di utilizzo: «Matilde, questa è ultima mail che hai ricevuto, il 13 agosto alle 16; probabilmente il computer è saltato o è stato manipolato allora.» «È di Carla, che è stata uccisa proprio quella sera. Si può leggere?» «Credo proprio di no.» «Carla m’inviava qualche lavoro, solitamente grafici e planimetrie, che retribuiva di tasca sua.» «Come mai? Non credo che il catasto la subissasse d’incarichi.» «Me lo propose all’inizio dell’estate, sapendo che collaboro con diversi studi di architettura e non mi spiegò il perché. Probabilmente la mail riguardava un argomento tecnico; incontrandoci quasi quotidianamente non avevamo motivo di scriverci.» «Davvero strano. Che si fa? Ci rivolgiamo alla polizia?» «Michele, se la polizia scoprisse che abbiamo scoperto quel che le è sfuggito, cosa concluderebbe?» «Che conosciamo bene l’informatica e avremmo avuto la capacità di sottrarre i dati.» «Potrebbero incriminarci per inquinamento e occultamento di prove. E guarda qui cos’ho trovato. Nella baraonda me n’ero scordata» disse porgendogli una busta. Michele l’aprì: ne conteneva una’altra, intestata e sigillata: il testamento olografo di Elsa. «Non dobbiamo aprirlo né parlarne con alcuno: meglio nasconderlo e vedere che succede» disse lei. «Siamo in un bel guaio… ma non tutto è perduto!» esclamò lui digitando il numero di Nicola e Matilde ripose il documento dentro uno stivale. Un quarto d’ora dopo i detective ascoltarono le vicissitudini informatiche degli amici. «La documentazione sul caso è in agenzia; facciamoci consegnare da Ettore le ultime elaborazioni e tra stanotte e domani cercheremo venirne a capo» disse Fulvio.
116
Ettore li accolse sorpreso e gli spiegò di aver fatto ben pochi progressi: «Quella notte avevo intuito qualcosa: che l’abbia scritto o che fossi in procinto di farlo, non lo ricordo. È una certezza sospesa su un baratro e più mi ci arrovello meno ne ricavo. Mi dispiace; tutto quello che ho sono questi pochi schemi» disse e li registrò sulla chiave USB.
117
23. DELIMITAZIONI «Stiamo perdendo tempo: l’assassino potrebbe colpire ancora e non abbiamo una traccia, un movente, una caratteristica definita che affiori da questa catasta informe di dati» disse Fulvio a Nicola una volta rientrati in agenzia. Il mattino dopo il commissario radunò i collaboratori: «Le analisi sui reperti rafforzano l’ipotesi che il colpevole sia uno. Un individuo di età compresa tra i trenta e i cinquant’anni, che segue uno schema volto a un fine ignoto e usa calzature dalla suola a carro armato.» «Non escluderei la presenza di un complice che svolga mansioni di copertura e partecipi al disegno criminale come figura di secondo piano» aggiunse Arti. «Se riuscissimo a intravedere un legame logico nel modo di operare, capiremmo dove vuole arrivare. Luigi ed Elsa non avevano niente da spartire fra loro; Ignazio e Carla erano fratelli ma, scavando nel loro passato, non abbiamo trovato alcunché di oscuro o illegale e non perseguivano interessi tali da farsi dei nemici» disse il commissario. «L’unica spiegazione plausibile è la vendetta di Giovanni che, oltre a essersi volatilizzato, per quale motivo avrebbe dovuto compiere i primi due omicidi?» chiese Razza. «Abbiamo cercato di capire se Luigi ed Elsa avessero dei legami con Carla tali da fomentare l’ira dell’ex coniuge ed è emerso che il primo le aveva attivato l’impianto elettrico ed Elsa l’aveva conosciuta a casa d’Ignazio. Pare che tra le due corresse simpatia: Elsa s’interessava dei maltrattamenti alle donne, fornendo loro consigli o assistenza. Infine Ignazio proteggeva la sorella e disprezzava il cognato» disse Tresca. «Elementi deboli per giustificare una strage: Carla era giovane, socievole e attraente… i contatti con gli altri due saranno stati superficiali» commentò l’ispettore.
118
«Probabilmente sì, ma non dimentichiamo che abbiamo a che fare con una personalità distorta» precisò l’agente. «Io continuerei a lavorare sul buco nero» disse Mara: «sovente le risposte si trovano proprio dove mancano e di vuoti ne abbiamo due: Giovanni e il PC di Matilde.» «Non trascurerei la pista satanica: quel locandiere non mi convince affatto e vorrei stanare gli altri membri della setta. Col vostro permesso, lancerò un’esca» disse Cenci. «Fai pure e non dimenticare Cornelio: è sempre a mezzo come la gramigna» disse Arti. «Non vorrete trascurare Ettore e Samantha che tutto sono fuorché normali ed Ernesto che amava Elsa, le mezze arpie che la odiavano e il commesso che intrallazzava con Luigi; inoltre non tralascerei Michele che potrebbe tramare con Giordano» disse Razza. «Gira e rivolta la classifica dei sospetti non s’accorcia, il disordine imperversa e non siamo in grado di decifrare il disegno criminale. Mara propende per il vuoto, Cenci tende al demoniaco, Tresca predilige la gelosia e Razza fagocita il resto. Insomma non dimentichiamo nessuno, ma diamo la precedenza a Giovanni. Vivo o morto dobbiamo trovarlo e l’Interpool, finora, non è servita» concluse il commissario. Mentre gli agenti si dedicavano alle varie piste, Nicola scrutava gli utenti dell’ufficio postale con l’intento di ricavarne ispirazioni o informazioni e Fulvio tornava ai Pensieri paralleli. Linda aprì il laboratorio deserto e lo lasciò libero di curiosare. Fotocopiò la lista d’ingresso con nomi e dediche scarabocchiati, accese i computer e stampò alcuni file, lesse gli appunti sparsi in giro, ispezionò la biblioteca e l’area pittorica, senza ottenere apparenti risultati. Infilò la documentazione sottratta nella borsa, salutò la proprietaria e tornò in agenzia. Quando lo raggiunse Nicola era immerso nella carta con le mani nei capelli.
119
«Troppi fogli, troppe piste. La verità è qui in mezzo e non riesco a scovarla, mi sembra d’impazzire» disse sconsolato. «Prenditi una pausa di riflessione. Stasera ci riuniremo con Ettore e Michele.» Più tardi, all’osservatorio, Michele ripercorse i misteri dei computer. «Abbiamo due casi di sottrazione di materiale informatico, entrambi indecifrabili. L’amnesia di Ettore ci blocca e la mail inviata da Carla a Matilde altro non è che un indirizzo: il contenuto s’è perso nell’etere» disse. «Questa storia della dispersione ritorna: parole non dette, messaggi scomparsi, risposte sbagliate… Ci vorrebbe Samantha» disse Ettore. «Qualcuno ha fatto il mio nome?» disse lei varcando la soglia della sala di lettura. «Michele, tu nascondi qualcosa» continuò guardandolo negli occhi. «Chi te lo dice?» «Capacità tecniche e sensoriali. Parla.» «Alludi al tema della trance sul blog?» «Infatti. La cosa mi ha incuriosito e ho scoperto di aver comunicato con te.» «E la trance si collega al messaggio scomparso alla donna sconosciuta» disse Fulvio. «L’episodio di Samantha-Carla che pronuncia “dannazione” e “lama nel cuore”, mi spaventò: lei aveva usato le stesse parole. Forse lo spirito voleva avvertirla di un pericolo imminente e scrissi sul blog per saperne di più» spiegò Michele. «Quindi la misteriosa lei è legata a Carla: chi è?» chiese Fulvio. «Niente da fare. L’ho informata e chiuso. Cambiamo discorso.» «Torniamo ai computer. Carla invia progetti a Matilde e lei, travolta dagli eventi, non si accorge della manomissione. Ed Ettore, finora, non ricorda niente» disse Fulvio.
120
«Infatti» rispose Ettore «e ora passiamo ad altro: perché Ignazio è stato ucciso? La sua morte è collegata all’assassinio della sorella e se sì, da cosa? Chi poteva odiarlo?» «Giovanni. Sospettava che Luigi, con la scusa dell’impianto elettrico, avesse avuto una relazione con Carla; odiava Elsa perché la istigava e Ignazio perché la proteggeva» disse Nicola. «Piuttosto inverosimile: Luigi era anziano e Giovanni riteneva che Giordano amasse la moglie. Inoltre l’influenza di Elsa era minore di quella esercitata da fratello, cognata e amici, me compreso» commentò Michele. «Ciò non spiega la morte di Luigi né quella di Elsa. Si profilano tre piste: un ignoto uccide Luigi e Giovanni ne approfitta per eliminare la moglie depistando le indagini sulla traccia del Serial Killer. Quindi accoltella Elsa per ultimare la vendetta con Ignazio. Secondo questa ipotesi, il primo omicidio sarebbe scollegato dagli altri ed Elsa sarebbe una vittima casuale. Ma la cosa non convince perché lascia irresoluta la questione di Luigi e non spiega perché la scelta sia caduta su Elsa. La seconda pista contemplerebbe due assassini che lavorano in concomitanza per eliminare i propri nemici: uno opera contro Luigi ed Elsa e l’altro contro Ignazio e Carla. Ma la tesi non sta in piedi per svariati motivi: cosa lega Luigi ed Elsa e come possono due ipotetici estranei lavorare in simbiosi? Per non parlare delle tracce del terreno, dell’aggressione a Ettore e dei dati scomparsi. La terza pista collegherebbe tutte le morti a un unico disegno omicida, ma non si riesce a cogliere quale sia, tranne l’instabile teoria della vendetta. Se la prendessimo per buona, anziché Luigi avrebbe dovuto morire Giordano e, anziché Elsa, Matilde» disse Fulvio. «Anche se non funziona, accantonerei quest’ultima come elemento opzionale» disse Ettore. «Cosa lega le vittime fra loro? La chiave è qui» concluse Fulvio. 121
24. INCASTRI
La mattina Voltimando, prevedendo il futuro dai corn flakes nel caffelatte, osservava i movimenti di Eustachio. «Caro signore, approfitto dell’assenza dei miei colleghi per comunicarle che sono interessato ai misteri del satanismo.» A queste parole l’oste allentò la presa, i vasetti di yogurt caracollarono rovinando sulla teiera, che si riversò sulle brioche provocando una sequela d’ingiurie interrotta dall’ingresso di Elettra, Hans Frank e Telamone. Eustachio gli chiese se progettassero di prolungare il soggiorno; gli ospiti risposero che intendevano rimanere, ma non sapevano per quanto e lui risolse proponendo a Giovanna un indefinito servizio temporaneo. La ragazza, contenta di lasciare per qualche tempo scale, uffici e cessi, si presentò nel primo pomeriggio. Cornelio, dopo averla attesa invano sulla soglia dello studio, la ritenne malata e uscì. «Il tronfio Tobini tritura cervelli al ciclo di conferenze e io qui a ciondolare? In marcia!» pensava pressando frizione e acceleratore; con una sgommata e una sputata di smog partì per l’osservatorio. Ettore raccapezzava la trascurata ricerca e l’inopportuno arrivo di Cornelio lo indispose, ma si rassegnò ad ascoltarlo. «Caro collega, affrontiamo materie diverse, ma andiamo alla deriva sulla stessa barca; potremmo intraprendere uno scambio d’opinioni sui recenti tragici accadimenti» disse lo psichiatra. «Non scorgo affinità tra i nostri ruoli, tranne l’appartenenza al medesimo modello d’instabilità contrattuale» rispose l’astronomo. «Come me, partecipi indirettamente alle indagini. Non sei curioso di scoprire la verità?» chiese Cornelio. «Mi occupo di astronomia e se ritieni che conoscere due detective equivalga a indagare, farnetichi.» 122
«So che collabori con loro: perché non scambiamo le informazioni?» insistette l’altro, finché Ettore, smanioso di liberarsene, gli raccontò dell’aggressione e dell’amnesia. Cornelio, travisando l’inconsistenza delle notizie apprese, gli confidò quanto scoperto durante gli appostamenti e finalmente se ne andò. Nel primo pomeriggio, Michele passò dall’osservatorio e, bevendo i caffè automatici, Ettore gli descrisse il colloquio mattutino. «Preparerò un agguato» disse Michele allontanandosi. Dopo la chiusura dell’edicola si recò in birreria, dove raccontò la novità ai detective. «Ho saputo che l’amica di Cornelio lavora alla Locanda dello Sgozzato: potremmo provare un appostamento» disse Nicola. Cenarono insieme, poi Fulvio andò all’osservatorio e gli altri due, muniti di torce, partirono in missione. «Strano che Tresca non abbia accennato a questi risvolti» disse Michele. «Si è creato un intrico di reciproci sospetti tale da frenare qualsiasi iniziativa avventata» rispose Nicola. Si addentrarono nel bosco e dopo mezz’ora di attesa videro avvicinarsi alla locanda una sagoma nera e furtiva. Cornelio s’acquattò sotto la finestra della cucina, sbirciò all’interno e bussò. Giovanna aprì: «Che fai qui? Vuoi accelerarmi le extrasistole?» «Ti proteggo.» «Mi stai scocciando oltre misura» e fu interrotta da Eustachio: «Signorina, cosa combina? Gli ospiti attendono il dessert.» «Ho visto un’ombra, sarà la civetta. Arrivo.» Cornelio si spostò sul lato sala e Nicola e Michele, capita l’antifona, cercarono l’ingresso della cantina. Aprirono la serratura col grimaldello ed entrarono. Giunti all’ultima stanza, Michele inciampò nel tavolo, travolgendo bambole e peluche; osservarono attentamente gli arredi, scattarono diverse foto e si allontanarono. 123
Poco dopo, Eustachio e Voltimando passarono dall’accesso interno. «Non racconti ad alcuno quanto vedrà o potrebbe pentirsene» disse il primo varcando la soglia. «Questa è un’intimidazione.» «No, un avvertimento: le forze delle tenebre osservano.» Voltimando, reprimendo un sorriso, finse un sincero mesto stupore e ascoltò le mistificazioni dell’oste. «Qualcosa è fuori posto e non capisco cosa… nessuno è venuto qui… domani sera, all’incontro, ne parlerò ai seguaci e, se vorrà, la presenterò alla setta» disse Eustachio. «È la mia aspirazione. Ci sarò» rispose Voltimando e tornò fra i colleghi. Dopo alcuni giri di poker i maghi si ritirarono ed Elettra entrò nella camera dei soci. «Allora, cos’hai scoperto?» chiese a Voltimando. «Eustachio è un dilettante e qualcuno s’è introdotto nella stanza. Niente mi sfugge: la testa della bambola e il gatto sono stati spostati. Eustachio ha percepito il cambiamento senza coglierlo e dubito che fingesse.» «Chi potrebbe essere entrato?» chiese Elettra. «Eustachio esclude che possa essere stato un adepto; forse Cornelio.» «Possibile: è tanto imbranato quanto infido» disse Hans Frank. «Domani notte presenzierò alla riunione della setta; forse lo scoprirò» disse Voltimando. «Non lasciarti coinvolgere: il marcio dilaga senza invocare Satana e vi ricordo che con Harry Potter non abbiamo finito» disse Hans Frank. «Mi rifiuto di guardarlo» disse Voltimando. «E io di leggerlo» rispose Elettra. «Allora si dorme» concluse Hans Frank. Intanto, all’osservatorio, Michele, Nicola, Fulvio ed Ettore, si auguravano un’euforica buonanotte. «Siamo sulla buona strada» disse Ettore.
124
«È tardi, domani all’alba mi dedicherò all’enigma» rispose Fulvio. «Ragazzi, è incredibile, ma i detective siete voi» aggiunse Michele. «Incredibile o balzana, è la sola parvenza di pista che abbiamo» concluse Nicola e si separarono. Michele, rientrando, incontrò Giordano ed Elisa in giardino. «Ti stavamo aspettando, vieni» disse Giordano, che condusse gli ospiti in cucina e versò tre whisky. «Elisa, ti senti bene?» chiese Michele, notandone il pallore terreo risaltare alla luce fioca. «Per niente. Giordano, parla tu» rispose lei. «Elisa leggeva a letto quando ha udito bussare. Si è alzata, ha chiesto “Chi è”, nessuno ha risposto ed ha aperto la porta: sul gradino c’era un gatto decapitato. Mi ha telefonato e l’ho raggiunta. Il capo della bestiola era accanto al corpo, sopra un foglio con scritto “Vai via”.» «Una diffida di pessimo gusto» disse Michele. «Quel povero gatto… veniva spesso in giardino» disse lei con le lacrime agli occhi. «Stanotte Elisa dormirà qui e domani sporgerà denuncia, ma tu conosci i crimini meglio di noi: non credi ci sia un collegamento?» chiese Giordano. «Ne sono certo. Domattina aprirai tu: la serata, per me, non è ancora finita» disse Michele. Si collegò al blog e controllò la posta, indi si diresse da Fulvio e Nicola: «Scusate l’orario, ma devo parlarvi» e gli raccontò l’abominevole episodio. «Questo conferma le nostre ipotesi» disse Fulvio. «Infatti» disse Michele: «come dovremmo muoverci?» «Aspettiamo: non abbiamo uno straccio di prova ed Elisa sporgerà denuncia domani. Se l’assassino volesse colpire stanotte, non possiamo prevedere dove, chi e perché» disse Nicola.
125
«Non lo farà: se avesse voluto uccidere non avrebbe scatenato un allarme. Dormiamo» disse Fulvio e si separarono. Al risveglio Michele lesse l’attesa mail: «La mia vita non era questa. Me la sono lasciata rubare e nessuno potrà restituirmela. Proverò a iniziarne un’altra, without. Perdonami, troppo tardi.» «Touché. Inizia bene la giornata: fallimento totale senza l’onore delle armi. Maledizione, per affondare ci vuole ancora un caffè» pensò e andò all’osservatorio. «Una notte da incubo?» gli chiese Ettore estraendo il bicchiere dalla macchinetta. «Una notte che dura da una vita» rispose imbronciato Michele. «Non dirlo a me.» «Beh, mancando di correzione al cianuro, cambiamo argomento. Senti cos’è accaduto stanotte» disse Michele e gli raccontò il fatti. «Repellente e curioso… è stato Cornelio e innescare la miccia: “deriva sulla stessa barca”… carriere instabili o mancate e l’intuizione riappare… Muovetevi, voi che potete. Io agirò da qui» disse Ettore e si salutarono.
126
25. OSCURI PRESAGI
Nicola, stanco per la nottata di sonno e veglia, raccogliendo svogliatamente buste e pacchi, stimando pesi e prezzi allo sportello, spedì un plico di corrispondenze consegnatogli da Anacleto, il nuovo segretario dello studio notarile. In centrale, Arti ascoltava sgomento il racconto di Elisa. «Le lettere che formano la frase “Vai via” sono state ritagliate dai giornali e incollate; analizzeremo la carta. Due agenti faranno un rilevamento» le disse indicandole Razza e Cenci. Giunse Rella e, appresa la notizia, lo rimproverò: «Dovevi mandarne uno solo, non possiamo perderci fra beghe di vicinato con quattro omicidi sul groppone.» «Ritengo che l’episodio sia connesso al caso: Elisa è figlia del primo cadavere.» «E il gatto razzolava nell’orto dei vicini.» 127
«Il gatto era randagio, i vicini sono assai lontani e la cosa si risolverà in breve» concluse Arti. Telamone, abbandonato dagli amici sul preludio della colazione, si sentiva opprimere dalla tetraggine; scostò le tende, guardò il cielo terso e decise di fare un tuffo in mare prima di montare il banchetto fra quelli del mercato. Entrando in acqua protetto dalla tunica verde smeraldo, vide un luccichio fra le alghe fluttuanti nella risacca. S’immerse ripetutamente alla ricerca del tesoro ed emerse infine con un groviglio verdastro sul capo e un portachiavi rosa in mano. Un bimbetto, intento scavare nella sabbia, scoppiò in lacrime: «Aiuto, mamma, il mostro di Loch Ness.» «Tranquillo Alfio, lui abita in un lago della Scozia e questo è il mare» rispose la mamma. «Allora cos’è?» chiese Alfio atterrito. «Un ciccione travestito da drago marino» rispose lei, prima di rimproverare il malcapitato: «Non si vergogna a spaventare i bambini, alla sua età?» «Signora, è un malinteso, sono il mago Telamone, prestigiatore giocherellone… Le regalo un biglietto per lo spettacolo pomeridiano» rispose lui e la donna si placò. Al rientro degli inviati, il commissario radunò la squadra: «Fate un resoconto conciso degli ultimi sviluppi.» Cenci e Razza descrissero la scena e mostrarono le foto del cadavere felino; il primo relazionò anche dell’ignoto entrato nella stanza segreta e della ventura riunione satanica. Mara era sconfortata perché nel buco nero c’era solo vuoto e Tresca aveva ricevuto nuove dal suo contatto alle Cayman: di Giovanni neanche l’ombra, ma in compenso aveva rintracciato il giovane scorto il giorno della partenza. Era Cleanto Tavilles, brasiliano in vacanza, già rientrato in patria. Allegava due foto, nelle quali portava cappello e occhiali da sole. 128
«La nazionalità lo esclude dalle indagini e meglio per noi: evitiamo ulteriori proliferazioni incriminanti e risparmiamo una trasferta» commentò Arti. «Ciò non toglie che rimaniamo fermi a un punto morto» disse il commissario. «Non morto, agonizzante» interloquì Arti. «Te lo concedo» disse il commissario; «ragazzi, notizie degli altri indiziati?» «Ci stiamo lavorando» risposero in coro i collaboratori. «Allora andate, ci rivedremo in serata.» Cenci e Razza passarono dal mercato e andarono al Bar degli aperitivi, dove trovarono Amilcare a colloquio con un Martini. Non fecero grandi progressi e dirottarono nuovamente sulle frazioni, ad angariare i residenti. Anche qui ottennero ben poco e tornarono in commissariato a spulciare fra referti medici, analisi e verbali. Arti si era diretto da Ilaria. Transitando in giardino, carpì il litigio che si librava dalla finestra aperta. «Ti renderò la vita impossibile: intenterò una causa infinita e niente soldi né alimenti, ti farò togliere il bambino» gridava Aldo. «Non so cosa ci fai qui, ma se non la pianti di urlare chiamerò la polizia» rispose lei. «Già, hai un amico poliziotto, ma devi solo provarci!» ribatté lui staccando l’interruttore telefonico e squillò il campanello. «Buongiorno, scusi il disturbo; sono qui per le indagini» disse Arti estraendo le manette: «mi segue con calma o vuole uscire con le mani penzoloni?» Aldo, in atteggiamento di fida, si ricompose scorgendo il figlio. Lo rassicurò e seguì l’ispettore. Dopo aver depositato il teste, Arti entrò in ufficio. «Preferisci trasferirti ai servizi sociali o alla protezione animali?» gli chiese il commissario: «Dobbiamo stroncare la belva prima che colpisca ancora e vai a impelagarti coi gatti e i dissidi coniugali?» «La questione felina mi pare chiarita; per quanto riguarda l’ambito familiare, potrei darti ragione, ma che 129
posso farci se vado a chiedere un chiarimento e mi trovo coinvolto in una rissa? Mr. Shining non mi piace e un pomeriggio con noi gli snebbierà forse i meccanismi cerebrali e colmerà la vuotaggine della sala interrogatori.» «Allora interrogalo» concluse Rella scocciato. Arti lasciò il teste sulle spine per due ore, poi entrò nella stanza. Il suo atteggiamento remissivo scatenò la collera di Aldo, ma gl’improperi si smorzarono in un balbettio quando scorse il guizzo di ferocia negli occhi dell’interlocutore. Arti, sfoderando la sua identità di scorta, l’aveva messo in trappola, ottenendo un risultato insperato: Giovanni era a Goa. Rivelato questo, Aldo non profferì più verbo: da quando lo sapeva, se si tenessero in contatto, il giorno della partenza, rimasero domande senza risposta. Il teste fu trattenuto in stato di fermo e chiese l’assistenza di un avvocato. «Arti, mi complimento con te» disse il commissario. «È Ilaria che ha azionato la combinazione vincente tra intuito e casualità. Contattiamo i colleghi: non sarà facile scovarlo.» «E tantomeno ottenerne l’estradizione.» Razza, frattanto, abbindolava la segretaria della Palestra ristretta coprendo i movimenti di Cenci, che rivoltava le scarpe riposte nello spogliatoio. Frustrati dall’ennesimo fallimento, si predisposero a esplorare piscine e palestre camminando con gli sguardi raso terra alla ricerca di piedi sospetti. «È un’impresa bizzarra» commentò Cenci dopo un’ora di vane peregrinazioni. «Non lamentarti: imperversano sandali e ciabatte; se fosse inverno non mi ci sarei cimentato» rispose il collega. Trovarono così diversi individui che calzavano le scarpe adatte: un gruppo di pensionati sudati, sbarcati dal treno muniti di scarponi e racchette e i noti naziskin alcolisti.
130
I primi li scagionarono per età ed estraneità, i secondi per scarsità d’ingegno: non riuscendo a intimorire i villeggianti, spintonavano Telamone, rovesciando il banco e dilettando i bambini, che li avevano scambiati per clown. Gli agenti si videro costretti a portarli in commissariato, anche se avrebbero preferito bere un aperitivo. «Volevi animare l’ambiente? Eccoti servito: un maniaco e una congrega di mentecatti» disse il commissario seccato al collega e adibì Tresca agli interrogatori. Gli astrologi, attirati dai manicaretti di Giovanna, si rividero alla locanda e Telamone brindò allo scampato pericolo. «Che giornata» disse: «in mattinata sono stato aggredito da una mamma, il pomeriggio da una masnada di primitivi. E a trarmi d’impiccio sono stati due poliziotti che paiono i vostri gemelli; pochi giorni fa li avevo visti in compagnia di una collega che pareva Elettra!» «Anche noi, con le assicurazioni, ce la siamo vista brutta. Avanti così e dovremo cambiare mestiere» disse Voltimando. «Come possiamo vendere polizze e pacchetti di risparmio quando metà delle persone vive appesa a un filo e l’altra metà li ha già stipulati?» rispose Hans Frank. «Non so se dedicarmi a tempo pieno alle sfere di cristallo o a un part-time in un call center. Tu che sei del mestiere che ne dici?» gli chiese Elettra. «I periodi involutivi favoriscono la proliferazione parapsicologica, ma scarseggia la grana: senza i proventi della salumeria sarei andato in rovina. Del resto un call center significa passare dalla padella alla brace» rispose Telamone e posò sul tavolo il portachiavi estratto dai flutti: «Chi conosce una formula che ne annienti il magnetismo iettatore?» «A me!» disse Voltimando agganciandolo di scatto col coltello. Durante la partita a carte quest’ultimo, con la scusa del rito propiziatorio, si allontanò per seguire Eustachio. 131
La stanza segreta era aperta e intorno al tavolo erano seduti quattro adepti, coperti da manti e cappucci di raso nero. Eustachio indossò la veste e aprì la seduta con un’esegesi sulla classifica del campionato, seguita dai commenti dei compari. Voltimando, indifferente al calcio, riuscì a stento a sedare l’assalto tra l’uomo seduto alla sua destra e quello di fronte. Il secondo tema riguardava lo spostamento del gatto, del bambolotto e la rotazione del capo della bambola. Tutti negarono di essere entrati clandestinamente nella stanza e decisero all’unanimità che fosse un intervento di Satana. A quel punto Eustachio infilò il copricapo e abbigliò l’iniziando, poco propenso a lasciarsi infinocchiare: «Signori, assisto per apprendere i misteri. Per rispetto all’Entità malvagia che ci sovrasta, non mi ritengo pronto all’iniziazione.» Eustachio prese grappa e bicchieri e li posò al centro del tavolo: «Chi vuole raccontare la storia della setta?» Iniziò l’incappucciato a sinistra, continuamente interrotto dalle osservazioni di quello dirimpetto: «Mi fai perdere il filo: se sai tutto tu, parla» e questi colse la palla al balzo. Ma l’individuo a destra, contrariato per tifoseria, proruppe con intermittenti contraddizioni. Il più tranquillo ritenne quindi d’assumere l’incarico, ma indispose il primo che, ritenendosi surclassato, commentava: «-L’avevo detto io… se qualcuno non mi avesse contraddetto… - Come volevasi dimostrare, guarda caso avevo ragione… - Tanto va la gatta al lardo…» «Bastaaa!» urlò Eustachio sbattendo i pugni e rovesciando bottiglia e bicchieri colmi. «Sono stufo marcio! Astrologi pusillanimi, satanici inetti… e si continua a cincischiare. Lo scantinato è mio: fuori tutti. Me la vedrò da solo col Signore delle Tenebre: se nota l’andazzo c’incenerisce e non ho intenzione di ridurmi a uno spiedino per colpa vostra.» 132
I seguaci si alzarono mogi dalle sedie. Voltimando sperava che si smascherassero ma, essendo più scaltri dell’oste, custodirono il segreto: fuori era cupo e deserto. In camera riassunse ai colleghi il fallimento dell’infiltrazione, controbilanciato dal rinvenimento del portachiavi: «Credo che appartenesse a Carla: lo proverò nella serratura del suo appartamento. Ho rilevato le impronte col kit portatile e le ho confrontate col database: sono di Telamone.» «Ho la targa dell’auto dei convenuti, domani la motorizzazione individuerà il proprietario» disse Hans Frank. Tresca, nel corso della giornata, aveva comunicato con l’informatore isolano e riparlato con Osvald, Ernesto, Gina, Mirella ed Ettore. La sera, dopo aver decifrato e verbalizzato i grugniti dei naziskin, si diresse all’agenzia investigativa. Fulvio e Nicola non erano riusciti a produrre indizi inconfutabili e avevano deciso di prolungare la ricerca. Quando l’agente gli comunicò le ultime notizie, si mostrarono scettici su alcuni punti e gli spiegarono il perché.
133
26. DIAVOLERIE
«Venerdì 17: data intonata al simbolismo arcano che ci attanaglia» disse il commissario rivolto al calendario. «In sintonia con la risposta della polizia di Goa: si metterà in moto solo previa autorizzazione del ministero, da trasmettere all’ambasciata, al consolato, agli uffici…» rispose Arti mostrando la schermata. «Hai stabilito i contatti?» chiese Rella. «Certo, ma andremo per le lunghe. Mandiamo Tresca in missione?» rispose Arti e bussarono. Entrò Tresca, che gli espose quanto appreso il giorno precedente. «Interessante» disse Arti. «Avevamo considerato un risvolto del genere, ma sarebbe un’antinomia. Ci torneremo sopra» disse il commissario. Giunse Cenci col mazzo di chiavi e descrisse l’accaduto. «Le ho provate: una è della casa Carla, le altre due non so.» «Dallo a me» disse Tresca e si allontanò. Suonò al citofono di Matilde, che era uscita. Forzò il portone col grimaldello e introdusse la chiave nella serratura. «Tombola! Carla possedeva una copia di chiavi… il computer è stato manomesso… rischio» pensò addentrandosi nello studio. Accese il computer. «Una diavoleria: 13 agosto… e a noi è sfuggito. Bisogna bloccarla»; spense il monitor, uscì e chiamò i superiori. Cenci e Razza partirono alla ricerca di Matilde e, passando di fronte a un garage, il secondo urlò: «Frena! Retromarcia!»; ma in quel breve lasso di tempo il portellone era stato richiuso dall’interno. «C’era qualcosa… ma cosa? Segniamo l’indirizzo e ripartiamo.» Entrò in edicola e chiese a Giordano se conoscesse i movimenti della vicina. 134
«Non so niente, sono uscito all’alba.» «Michele dov’è?» «Al bar» e questi entrò. Negò di sapere dove fosse Matilde e come l’agente uscì telefonò: «Ti stanno cercando, nasconditi.» «Dove?» «Ai Pensieri paralleli.» Rimase ancora un’ora, indi si diresse al laboratorio. Matilde era in casa con Linda, che coccolava Rodrigo. «Linda si è offerta di ospitarmi, ma dovrei prendere i ricambi, il biberon …» «Non preoccuparti, ci penso io» disse Michele e si allontanò. «Che guaio: se avessero controllato il computer, un’incriminazione non ce la toglierebbe nessuno» pensava appoggiato alla portiera dell’auto e si trovò accanto Ilaria. «Ciao, qualcosa non va?» gli chiese. «Hai voglia di scherzare?» «Per niente e scusami per la mail. Sono venuta qui a riflettere.» «A casa non puoi?» «No. Aldo potrebbe sbucare da un momento all’altro: l’avvocato mi tempesta di telefonate e per evitare di auspicare l’ergastolo alla Cayenna, sono uscita.» «La tua risposta è perentoria, non mi resta che ritirarmi.» «Ho delle responsabilità. Come potrei tornare indietro dopo anni di silenzio in compagnia di un aguzzino? Riappari dal nulla, come se il passato si potesse azzerare, accusandomi di non aver risposto a un biglietto che t’eri messo in tasca. Ti avevo ucciso senza riuscirci mai e non posso portare questo peso… Tu e lui avete reso la mia esistenza un tormento.» «La mia non è migliore.» «Cambiala. Io mi arrangerò» disse Ilaria con le lacrime agli occhi e si allontanò.
135
«Orto sembra chiuso in una boule di vetro: s’incontrano sempre le stesse facce» disse Razza scendendo dall’auto. «Ma se lo giri non scende la neve e chi cerchi non lo trovi» rispose Cenci e rientrarono in centrale. «Finalmente hanno inviato i dati relativi alla targa; controllali» disse Razza. «L’auto appartiene a Giovanni.» Michele, frattanto, entrava in agenzia. «Matilde è ricercata. A che punto sei?» chiese a Fulvio. «Caos: appena arriva Nicola andremo da Ettore. Faremo il possibile per scagionarla.» All’osservatorio, Ettore fremeva d’impazienza. «Ragazzi, rasentiamo l’inconcepibile, eppure sento di aver ragione.» «Purtroppo non possediamo uno straccio di prova, la polizia non è d’aiuto e non sappiamo come muoverci» rispose Nicola. Udirono il segnale dell’ingresso principale. «Eccola. Seguitemi» disse Ettore. Gina sostava impacciata nell’atrio; si rivolse a Ettore: «Cosa succede?» «Ieri mattina mi disse che se Elsa sapesse cosa sta accadendo si rivolterebbe nella tomba. Potrebbe spiegarsi meglio?» «Non è bene parlare dei morti, specie di quelli senza pace.» «Rivelando la verità, potrebbe aiutarla» disse Michele. «Non saprei, non è cristiano… per favore, lasciatemi chiamare Mirella.» L’amica giunse venti minuti dopo; il congegno elettronico generò i the e il gruppo si trasferì in biblioteca. Le due amiche impiegarono un’ora buona tra confabulare e descrivere l’intreccio, impappinandosi su date, personaggi e intrighi, di cui si chiedevano vicendevoli conferme. Fulvio prendeva appunti e al termine dell’esposizione disse che l’unica mossa che potessero azzardare fosse 136
chiamare Tresca, che li raggiunse poco dopo, seguito da Samantha. Per prima cosa si rivolse a Michele: «Ragazzo, tu non la conti giusta. Stamattina sei stato visto transitare su e giù per la montagna; intrallazzi con l’informatica e Matilde è scomparsa.» «Ascolta i detective, poi ti spiegherò» rispose lui candidamente. Samantha, frattanto, l’osservava e meditava: «Cosa e chi nasconde?» Michele, che camuffava l’imbarazzo rimuginando, interruppe la discussione esclamando: «Elisa è in pericolo, corro ad avvertirla!» «Eh no, caro, tu rimani qui» gli disse Tresca. «Lascialo andare, tornerà» disse Nicola. Ascoltato il racconto degli amici, l’agente disse: «Fantascientifico ma, se colleghi e superiori concordano, possiamo tentare un colpo di scena. Riordinate il materiale, ci risentiremo presto» e tornò in centrale. La squadra l’attendeva per fare il punto delle indagini. Ognuno espose le nuove diramazioni. «Giovanni è a Goa e ricompare come proprietario di una delle auto guidate dai satanisti. Il fratello è scagionato: la sera dell’adunanza soggiornava da noi» disse Arti. «Giovanni potrebbe fungere da esca» disse Tresca. «Abbiamo discusso l’ipotesi, senza individuare elementi che la suffragassero» disse il commissario. «Certo, ma riconsiderate quanto avevo affermato ieri e la teoria che ora vi esporrò» disse Tresca e parlò per un quarto d’ora. «Sarebbe sventato muoverci in tal senso senza elementi concreti» disse Arti. «Ecco cos’era!» disse Razza battendosi il palmo sul capo. «Cos’era cosa?» chiese il commissario. «La percezione: gli anfibi. Cenci, dove hai messo l’appunto?»; il collega si diresse in ufficio e tornò con un notes.
137
«Guardate l’indirizzo: capite ora? Dobbiamo fare un tentativo» disse Razza ed elucubrarono un piano d’attacco. Terminata la riunione, il commissario inviò due ausiliari in appostamento e il gruppo si diresse a Orto, alla “Vecchia Trattoria”, ora “Osteria Memento Mori”. Artemio e Arturo, che si erano guadagnati una cena ritinteggiando i muri, li osservavano allibiti. «Avremmo sbagliato a esporci?» chiedeva il primo all’amico, ricordando il colloquio con Tresca all’allestimento della Fiera Mare Monti & Morti. «Se son così melliflui da cercare scarpette e scarponi, un motivo ci sarà… e noi potremo esibirci in pace» rispose Arturo.
138
27. SPIRALI DEMENZIALI
Michele era stravolto: Elisa non era in casa, Giordano ignorava dove fosse, in paese non s’era vista e non sapeva più dove cercarla. «Passerò da Matilde e chiamerò la polizia» pensò dirigendosi al laboratorio. Quando entrò si tranquillizzò: Elisa era lì, col bimbo in braccio; Linda cuciva e Matilde leggeva. «Sono ore che ti cerco e Giordano non riesce a rintracciarti» le disse. «Perché tanto allarme? Il cellulare è scarico; nel pomeriggio sono venuta qui e ho fatto amicizia con Rodrigo.» «Vieni con me: ti spiegherò dopo.» Giordano, tranquillizzatosi, li attendeva a casa preparando la cena. Michele illustrò a grandi linee quanto si stava prefigurando ed Elisa fu scossa da un brivido di terrore: «Spero di essere al sicuro, qui.» «Non preoccuparti, ci sarò io con te» disse Giordano. «E la polizia, che ha predisposto i turni di vigilanza» disse Michele che era stato aggiornato dai detective, in quel momento in agenzia a riordinare le carte. «Mi dispiace eliminare tante tracce: congetture e giornate di lavoro sprecate» disse Nicola. «Non si eliminano: separiamole dal resto, ce ne avvarremo come arma di riserva» rispose Fulvio. Quando stavano uscendo diretti all’osservatorio, giunsero i tre agenti. «Presto, dobbiamo convertirci in Elettra, Hans Frank e Voltimando» disse Cenci. «Telamone è solo da troppo tempo» aggiunse Mara e andarono a cambiarsi; i superiori e il collega, frattanto, rientravano in centrale per stabilire un programma dettagliato. Come si accomodarono in ufficio, bussarono alla porta. 139
«Avanti». «Eccomi!» disse Cornelio con gli occhi sgranati. «Qual buon vento?» chiese Arti. «Tempestoso. Delinquenti nati, hit parade assassina, equazione omicida, criminali di serie A e di serie B…» «Non erano gli scemi?» chiese il commissario. «Anche. Ascoltate: non c’è più tempo; Giovanna…» «Si calmi, non ci capiamo niente» l’interruppe Arti. «Perché io sì? Però qualcosa non quadra e siete fuori strada» rispose. «Dopo averci avvoltolato l’acume in un vortice spiraliforme, pretende di fornirci indicazioni?» disse furioso il commissario. «È tutto sotto controllo: si tranquillizzi e beva un bicchier d’acqua» gli disse Arti e Cornelio si rassegnò a tacere. Samantha ed Ettore sedevano al buio ammirando le stelle. Lui disegnava sul cielo immaginari congiungimenti di costellazioni e lei recitava: «Stella fila su stella, brilla una falce di luna. In quest’ottimo posto mi ci trovo bene e al tuo vello di leone mi riscaldo. Levarsi più in alto, sarebbe guastare le cose. Proponi enigmi, magari sciarade…»6 Fulvio, Nicola e Michele, appiedati, li aggirarono alle spalle per sorprenderli ma, spiccando il salto… «Driiin» «Che è?» esclamò Ettore e spuntò Nicola col cellulare: «Samantha, è Elettra, non riesce a rintracciarti: dovresti raggiungerla alla locanda.» I quattro entrarono e accesero il portatile. «Hai controllato il blog?» chiese Ettore a Michele. «Sì. Tu hai chiamato Lampo?» chiese l’altro di rimando. «Certo, gli ho detto che sarà un evento degno di una lavata.» «Bene, gli inviti sono pronti?» chiese Nicola. «Eccoli qui» rispose Ettore mostrando una pila di cartoncini. 6
Johann Wolfgang Goethe, Faust, Atto II, v. 7130. 140
«Perfetto: ora riepiloghiamo e schematizziamo» disse Fulvio e si misero al lavoro. Samantha entrò nella locanda. «Finalmente!» disse Elettra «Devi aiutarci: Eustachio e Telamone sono scomparsi.» «Siete andati alla caverna dei pipistrelli?» «No, ti aspettavamo: solo tu sai contrastare gl’influssi maligni» rispose Voltimando e distribuì le torce. «Vengo con voi» disse Giovanna. «È meglio se rimani, potrebbero ritornare.» «Neanche morta» rispose e s’infilò la giacca; chiuse il portone e si chinò a terra ad armeggiare. «Cosa fai? Andiamo!» le disse nervoso Hans Frank. «Posiziono il dispositivo d’allarme a infrarossi.» «È un aggeggio che vale milioni, come te lo sei procurato?» le chiese Voltimando «Me l’ha dato Telamone, in caso d’emergenza» rispose tranquilla e si avviarono. «Che buio» disse Voltimando. «Miseria boia!» disse Hans Frank rivolto al cielo: «Hald si è dileguata.» «Spicciamoci, è quasi mezzanotte» disse Samantha e, sottovoce, intonò: «Lungi, serpi variegate, dalle lingue biforcate; Spinosi porcospini, via, subito, sparite; Orbetti e salamandre, v’azzittite…»7 «Che bella formula sibillina» disse Elettra. «Shakespeare, consono a ogni evenienza.» «Silenzio, spegnete le torce, siamo vicini!» sussurrò Hans Frank. All’imbocco della radura, udirono le parole: «O voi Potenze e spiriti di questo infimo abisso, Caos e antica Notte…»8 Si acquattarono nel bosco e, aguzzando la vista, intravidero due sagome accanto al masso. Il primo energu7
William Shakespeare, Sogno di una notte di mezza estate, Atto II, Scena II. 8 John Milton, Il Paradiso perduto, Libro II, v. 1280. 141
meno ergeva le braccia al cielo stringendo un pugnale e l’altro aumentava il tono dell’invocazione. Il metallo rifulse ai raggi stellari e si abbatté… «Fermi!» gridò Hans Frank irrompendo entro il cerchio infernale col revolver spianato, mentre dal lato opposto balzava Voltimando. Li immobilizzarono sfilandogli i cappucci; Giovanna e Samantha spezzarono il solco che circondava la scena ed Elettra avvicinò la misera vittima sacrificale. «Cos’è ’sto baccanale?» urlò Hans Frank ai mortificati carnefici. «Povero piccolo, sei salvo per un pelo» diceva Giovanna accarezzando un tremolante coniglietto maculato. «Lanzichenecchi! Se lo sapesse la protezione animale» disse Samantha. «Non esageriamo, sarebbe comunque morto per cena, ma voi avete disdetto…» disse altero Eustachio. «Telamone, da te non ce lo saremmo aspettato» disse Voltimando. «Che volete, ho cenato a caffelatte, triste, abbandonato… ed Eustachio mi propone un barbecue di coniglio a mezzanotte… anch’io sono un essere umano.» «Ma che barbecue di mezzanotte, questo era un rito satanico» disse Elettra. «Sì, però poi lo cucinavamo: lì ci sono graticola, vino bianco, olive e patatine» disse Eustachio in sua discolpa. «Del resto, conoscendo le sue strambe inclinazioni, mi ero premunito» disse Telamone. «Sì, lo sappiamo: dove hai preso l’attrezzatura da 007?» chiese Voltimando. «Sono o non sono un prestigiatore?» e rientrarono lesti alla base. Hans Frank collegò il portatile: «Sorpresa sorpresa: Aldo è in buona compagnia» disse. «I naziskin sono dei simpaticoni» disse Voltimando. «E Giovanni ancor di più: finalmente è arrivato» e lessero le novità. 142
I quattro amici all’osservatorio erano a buon punto e Michele, stanco per le emozioni, si affacciò alla finestra a prendere una boccata d’aria. «Miseria schifa!» esclamò «Hald si è dileguata. Questo manderà a monte i nostri piani.» «Sbagli: volta la carta e il buio giocherà a nostro favore» disse Fulvio. «E come?» chiese Ettore. «Lo useremo per giustificare la repentina anticipazione della conferenza “Ereditarietà paesaggistica e influssi planetari”.» «Fulvio, sei un genio» disse Nicola e ripresero a lavorare. «Ho qualche dubbio sulla riuscita dell’impresa: chi rinuncerà all’inaugurazione della Fiera MareMonti&Morti?» chiese Michele. «Tresca ha assoldato Artemio e Arturo per un concerto a volume potenziato, permettendogli d’ingaggiare una band di musica celtica. Il delirio è assicurato» disse Nicola. «Grandioso! Scapperanno tutti» esclamò Ettore. «E chi gestirà la situazione?» chiese Michele. «Il servizio di vigilanza del Comitato» rispose Fulvio. «Dì un po’, Michele, perché devi complicare tutto?» chiese Ettore. «Voglio essere sicuro che funzioni per il meglio.» «Bravo. Così fa un vero investigatore» concluse Fulvio e arrivò Samantha. Raccontò agli amici dell’irriverente rito e, dopo l’ennesimo riepilogo, il gruppo si disciolse.
143
28. DECIFRAZIONI All’alba del sabato, Lampo entrò all’osservatorio. «Buongiorno professore, mi spiace averti convocato all’improvviso» gli disse Ettore. «Ciao, non preoccuparti: vivo tra appunti inutilizzati e pagine sparse; preparare una conferenza è uno scherzo» rispose Lampo lisciandosi la chioma inchiodata di brillantina. Ettore annusò, scrutò e pensò: «Canfora e gel, niente rammendi, toppe o unto: siamo salvi.» Giordano e Michele erano in edicola ed Elisa accompagnò Matilde e Rodrigo a casa. «Staremo insieme fino alla convocazione: porta sprangata, persiane chiuse e non si risponde al citofono» disse all’amica, che assentì. Nicola e Fulvio si diressero in centrale, dove il commissario ascoltava gli ultimi resoconti. «Ragazzi, siamo in equilibrio su un filo: la responsabilità è mia, ma il primo che sgarra si becca un trasferimento. Arti ai servizi sociali, Tresca all’agenzia matrimoniale, Cenci all’asilo nido, Razza al recupero crediti e Mara all’istituto speleologico» disse severo. «Perché speleologico?» chiese Mara. «Ti piace scavare nelle tenebre? Sarai accontentata.» «Orsù, non disperiamo, incontreremo il commissario ogni mattina alle strisce pedonali» disse Arti. La porta si spalancò violentemente: «Scusate l’irruenza, ma non c’è...» disse Cornelio irrompendo scarmigliato nella sala riunioni. «Non c’è cosa?» chiese Arti. «Giovanna mia: non è né a casa, né alla locanda: l’hanno rapita.» «È dal parrucchiere, me l’ha detto ieri sera» disse Mara. «Ieri sera? Ma se non vi conoscete neppure» disse Cornelio insospettito. 144
«Le consiglio di sparire prima che l’interroghi» disse Arti e Cornelio si allontanò. Telamone, frattanto, posizionava il banco in un angolo della fiera, dove gli allestimenti erano ravvivati dalle strazianti accordature dei musicisti. Artemio e Arturo lo trascinarono alla consolle, convinti che avrebbe sintetizzato un’acustica perforante nel raggio di un chilometro. Il pomeriggio poliziotti, detective, testi, invitati e convocati, giunsero all’osservatorio. Lampo, raggiante, li accolse nel planetario, più adatto della sala conferenze al tema di discussione. «Finalmente un bel gruppo di profani. Potrò esibirmi a ruota libera: niente confronti, domande e contraddittori…» pensava osservando i convenuti prendere posto. Accanto a lui, al lungo tavolo, sedettero Rella e Arti. In prima fila i detective e gli addetti alle indagini e, sparsi fra le seguenti, testimoni e ospiti: alcuni studenti, qualche paesano esule dalla fiera, agenti in borghese e in uniforme, diversi incantatori e Giovanna, Cornelio, Aldo, Ilaria, Gina, Mirella, Ernesto, il geometra Olivetta, l’architetto Quisling, Matilde e Rodrigo, Giordano, Elisa, Samantha, Ettore, Michele, Osvald, Eustachio, Amilcare, Anacleto, il dott. Tobini e il redivivo Giovanni. Lampo salutò, ringraziò il pubblico e partì con la prolusione, che si protrasse per un quarto d’ora. Quando giustificò l’anticipazione della conferenza con la repentina tenebrosità di Hald, il commissario guardò l’orologio, concedendogli altri quindici minuti di vaniloquio. I primi sbadigli presero a diffondersi fra la platea e Rella, cogliendo il compimento di una frase, interruppe il relatore. Lampo si lasciò sfuggire un sospiro, gli cedette il posto e impugnò i comandi del proiettore. «Il filmato che seguirà sarà commentato da due ospiti insigni» disse Rella e chiamò Quisling e Olivetta. I due si accomodarono imbarazzati. Olivetta afferrò il microfono e precisò di non aver preparato l’intervento e Quisling, alto e mogio, si associò alla dichiarazione. «Non è un problema: presenterete il progetto per l’area collinare approvato dalla giunta, illustrato dalle 145
immagini della zona e del plastico» disse il commissario. Olivetta si rianimò, si drizzò spargendo sedimenti di forfora, assestò gli occhiali e disse: «Il piano, attentamente studiato, geograficamente e geologicamente compatibile con la struttura paesaggistica, è stato ideato dal sottoscritto e progettato dall’architetto Quisling. Esso comprende un residence e una passeggiata panoramica, dai quali si ammireranno la valle, i profili costieri sull’orizzonte marino e l’avveniristico porticciolo turistico, inframmezzato da mini-fiordi d’attracco, frutto della nostra collaborazione. Il versante settentrionale della collina sarà valorizzato da una struttura sportiva polivalente, comprensiva di campi da calcio e tennis, piscina coperta e sauna. Grazie a tali innovazioni, Orto acquisterà una rilevanza economico-turistico-sportiva di livello internazionale.» Quisling, ergendosi nella scheletrica statura, scostò le bande grigie che gli calavano sul volto smunto e disse: «Mio collega ragione: dopo lunghi studi, avere raggiunto progetto vera avanguardia architettonica, inquadrato und paessaggen auch futuren.» «Grazie, signori, potete ritornare ai vostri posti» disse Rella e continuò: «Ora proietteremo una serie di foto che commenterò.» Si spensero le luci e sul pannello apparvero occhi sbarrati, membra contratte, visi stravolti e insanguinati. «- Aaahhh - Aiuto - Vogliamo la ricca pesca di beneficenza!» urlò il pubblico. «Zitti e fermi!» esclamò Arti e, dopo i mormorii, cadde il silenzio. «Queste sono le foto delle vittime dei recenti omicidi che hanno flagellato il tranquillo paese di Orto, trasformandolo in una galleria degli orrori. Chi è il colpevole degli obbrobriosi misfatti?» disse Rella e avvicinò il microfono. «Il primo omicidio, quello di Luigi, del quale potete osservare i particolari sullo schermo, avvenne la sera del 10 agosto e ci condusse alla doppia vita del teste. Una 146
duplicazione fittizia: egli aveva intrattenuto contatti con la malavita al fine di trarre dai pasticci un giovane amico. Non avemmo il tempo di approfondire il tema, che l’assassino colpì nuovamente, la sera del 13 agosto. La seconda vittima, che potete contemplare alle mie spalle, è Carla, una giovane donna impiegata al catasto. A trovarla, nel corso dei festeggiamenti, fu il qui presente Osvald, già implicato trasversalmente nel caso. Le prove in nostro possesso indicavano la probabile reità dell’ex marito: geloso, violento e irreperibile. È qui fra noi, dopo una rocambolesca fuga tra Goa e la Versilia, dove i nostri colleghi riuscirono infine a stanarlo spedendolo ai destinatari. Mentre ci dibattevamo alla ricerca di Giovanni, il criminale mieté la terza vittima, la sera di ferragosto: Elsa, che tutti conoscete e potete assaporare ricoperta di sangue. Cosa legava le prime due morti? Niente e, con la terza, il mistero s’infittì ulteriormente. I nostri agenti lavoravano febbrilmente su più fronti, senza scorgere un legame logico che sottendesse alla violenza. Le prime tracce parevano delinearsi quando la belva umana, la sera del 28 agosto, colpì nuovamente eliminando Ignazio, fratello della defunta Carla e marito di Matilde, qui fra noi. L’assassino si sarebbe fermato o avrebbe continuato? Da cosa era mosso? Come fermarlo? Cadaveri non ve ne furono più, escluso quello di un gatto decapitato e a tutte le vittime, eccetto questa, erano stati rubati documenti e soldi. Tra il terzo e il quarto omicidio, la sera del 22 agosto, si era inoltre verificata una violenta aggressione con furto di computer. Moventi psicologici, monetari, sentimentali, residui organici, vegetali, minerali, furti, manomissioni, affioravano annaspanti da una melma informe: la latitanza di un collegamento. Abbiamo così sezionato le indagini in vari rami. Nel primo ci siamo avvalsi dell’ambiguo e prezioso contributo del prof. Tobini e del dott. Cornelio, seduti
147
fra voi, che hanno delineato i profili psicologici di Soggetti Ignoti e Serial Killer. All’area sentimentale si è dedicato l’agente Tresca, che ha raccolto proficue testimonianze; all’ambito informatico si sono interessati gli esperti, l’agente Mara e altri strampalati collaboratori, fra cui Michele: intellettuale, pizzaiolo, giornalaio e abile blogger. Gl’interessi valutari sono emersi dalle incessanti ricerche dei delegati Razza e Cenci che, oltre a torchiare i testi, si sono infiltrati con Mara in vari ambienti: circoli, bar, palestre, uffici, conciliaboli. In ultimo la pista biologica: tracce congruenti di sedimenti organici e inorganici compaiono sulle scene di tutti gli omicidi e sono stati raccolti e analizzati dalla squadra scientifica. L’enigmatica matassa pare dipanarsi e la connessione emerge lentamente dalla mota: la gelosia. Scopriamo che Luigi conosce, per questioni di lavoro, Carla e le offre protezione indirizzandola da Elsa che, fra l’altro, s’interessa di maltrattamenti alle donne. Il fratello Ignazio la conforta e le trova un alloggio vicino al suo. Moventi e prove si scaraventano a catena sul colpevole: Giovanni. Mosso dalla gelosia, uccide la moglie e quanti l’hanno sostenuta nella scelta d’intraprendere una nuova vita. Tracce organiche e minerali si trovano all’interno della sua auto, ricomparsa dal nulla pochi giorni fa. Non ci resta che arrestarlo. L’unico particolare è che è scomparso, insieme a ogni residuo di vitalità: inghiottito da un buco nero. E qui passo la parola all’ispettore Arti» concluse Rella. Arti si schiarì la voce: «Buchi neri, fasci di luce, logica e mistero: un guazzabuglio di scienze esatte e metafisiche condizionato da Hald, l’indecifrabile cometa che richiama a Orto astronomi, astrologi, maghi e derivati; inconsueti personaggi che intersecano la trama e intervengono su di essa. Metafisicamente, il caso non esiste. Gli elementi convergono su un uomo che di sé lascia colpevolezza e vuoto. 148
Arrestiamo il fratello, un duplicato in scala maggiore; due giorni in sua compagnia aprono nuove prospettive. Infine acciuffiamo l’indiziato. Giovanni, venga a sedersi» concluse Arti e questi raggiunse il tavolo. I capelli e gli occhi corvini, la carnagione olivastra, l’atteggiamento rabbioso del giovane, incussero timore fra gli astanti, che incassarono le teste prospettando un improvviso colpo di scena. «Vuole spiegarci cos’è accaduto?» chiese Arti. «La sera del 9 agosto ricevetti un sms da Carla, che mi convocava nel bosco vicino all’osservatorio. In sua vece trovai un giovane con cappello e occhiali scuri, che mi fece una proposta: se fossi sparito per qualche tempo, mi avrebbe consegnato una ragguardevole cifra, documenti falsi, bancomat, carta di credito, cellulare e biglietto aereo per Goa. Avrei dovuto lasciare l’auto con le chiavi all’aeroporto e allontanarmi senza comunicare con alcuno, fino a che non avessi ricevuto altre direttive. Accettai: volevo cambiare aria e i soldi tornavano utili. Venerdì 13 uscii dalla fabbrica e partii, con baffi posticci, occhiali e berretto. Pochi giorni fa, stufo di Goa e privo di notizie, decisi di tornare in Italia e mi fermai in Versilia. Il paesaggio mi piace e volevo dimenticare: avrei cercato un impiego lì. Purtroppo fui arrestato con l’accusa di omicidio plurimo» disse Giovanni corrucciato. «Quindi non sapeva della morte di Carla» disse Arti. «Per me era già morta e a Goa vegetavo in totale disinformazione.»
149
29. DISCESA «L’impianto accusatorio barcolla: può una persona dalla mente ottenebrata, un borderline narcisista, irruento e vendicativo, tramare un piano razionale e perfetto? Secondo gli interpreti psichiatrici, sì. Secondo noi, no» riprese l’ispettore. «Ricontrolliamo la massa d’informazioni comportamentali sconquassatrici l’intelletto e, fra i deliqui, scorgiamo una verità parallela. Che ci riconduce ai nostri inconsueti collaboratori: psichiatri sobillatori, sedicenti illusionisti, detective veri e improvvisati, ritardati, massaie, satanisti. Computer sottratti o svuotati, laboratori artistici, riti macabri, sentimenti inespressi, blog e planimetrie, avranno un significato? Razionalmente no, astrologicamente sì. Signori, la scia di sangue non ha niente da spartire con l’insalubre gelosia. La cruda verità atterrisce: il colpevole è uno spregevole uomo qualunque, integrato nel sistema. Per capire cosa lo muove, chiameremo nuovamente in causa geometra e architetto» concluse. I due si sedettero. Olivetta si rivolse ai funzionari: «Ditemi.» «No, dica lei» disse Rella. «Cosa?» chiese Olivetta. «Perché un geometra integerrimo e laureato ha messo in piedi un piano diabolico ed esiziale.» Olivetta si agitò sulla sedia: «Ma che va dicendo? Primo: sono diplomato alla Scuola Radio Elettra e secondo: i miei piani sono regolatori.» «Cosa ci faceva nello scantinato della Locanda dello Sgozzato?» chiese Arti «Eustachio, sei un imbecille!» urlò il geometra. «Piano con gli epiteti, io non ho parlato» urlò di rimando l’oste. Olivetta s’alzò di scatto, ma Arti lo afferrò per la manica della giacca: 150
«Stia fermo che non ha via di scampo» gli sussurrò e si rivolse a Quisling: «Parli lei.» «Io innocente, non so niente» disse Quilsling emozionato. «Lei è connivente: la carriera e l’ambizione sono le leggi che la guidano. Il progetto tiene conto dei suoi interessi, non della morfologia geologica: avrebbe causato frane e smottamenti. Ha fomentato i crimini, profilando al geometra inconcepibili deliri di potenza. Purtroppo per il suo comportamento non esistono pene, escluso un improbabile rovescio carrieristico» disse il commissario. «Geometra, si decide a illuminarci?» chiese Arti. «Non avete uno straccio di prova» sibilò. «Abbiamo il DNA tratto dai suoi capelli e le impronte degli anfibi di suo figlio Anacleto.» «Io non c’entro» urlò questi dalla platea. «Ci sei dentro fino al collo: chi ha adescato Giovanni? Chi ha aperto un conto di 600 € a Grand Cayman, da rimpinguare con i proventi di appalti e tangenti? Chi è il nuovo segretario dello studio notarile? Chi è abbonato alla rivista “Hacker&Hackers”? Tu» disse Arti. «I miei capelli? Dove li avete presi?» chiese Olivetta. «Sulla sua giacca non c’è solo forfora: Michele ha provveduto.» «Maledetto infame» ringhiò Olivetta a Michele, che lo guardava stupito. «Non ho ucciso nessuno. Sono innocente!» gridava intanto Anacleto. «Silenzio. Parlo io» disse il commissario. «Carla lavora al catasto e conosce Elsa, che le chiede di fare dei rilevamenti sui progetti. Anacleto, istruito dal padre, durante le incursioni informatiche s’infiltra nella rete catastale e scopre l’inghippo. Il geometra decide di agire: in paese tutto si sa e pensa d’incastrare Giovanni, che viene irretito dal figlio. Il piano funzionerebbe se non fosse che Luigi, recatosi all’osservatorio per progettare l’impianto elettrico del presepe, assiste all’incontro tra i due. Anacleto informa il padre e questi, la sera do151
po, invita Luigi a discutere nell’area picnic dei nuovi piani architettonici, che comporterebbero il passaggio delle tubature idrauliche dalla sua proprietà. Luigi non acconsente, rifiuta l’offerta d’acquisto e minaccia di parlare, firmandosi la condanna a morte. La terza mossa riguarda Elsa. La donna, come testimoniato da Gina e Mirella, non solo escogita l’iniziativa del presepe a ferragosto per fare propaganda ambientale contro gli avversari, ma decide di stilare un testamento. Si reca dal notaio, ma il segretario Giordano è assente per una pratica in città e ad accoglierla trova Amilcare; non si fida di lui e se ne va. Amilcare frequenta i bar e si lascia sfuggire qualcosa. Nel contempo Anacleto, visionando le mail di Carla, scopre che Matilde collabora con lei. Si apposta nella zona, entra in casa di Elsa dalla finestra socchiusa, cerca le chiavi degli affittuari, entra, manomette il computer, ruba la periferica, rimette a posto e sparisce. Olivetta, la sera del 13 agosto, dà appuntamento a Carla sulla spiaggia. Tenta di convincerla a chiudere un occhio sulle incongruenze del progetto e le offre una somma. Lei rifiuta e, come preventivato, la uccide. Giordano ha dato il preavviso di dimissioni dallo studio notarile e Anacleto si presenta al colloquio; grazie alle pressioni paterne, verrà assunto alla riapertura. Beve diversi aperitivi con Amilcare e capisce che, probabilmente, il testamento non è stato registrato. Il padre contatta Elsa chiedendole un incontro chiarificatore. La donna contrasta le proposte del geometra: non vuole che la palazzina sia sovrastata dal residence e non è intenzionata a venderla. Promette di ostacolarlo con ogni mezzo e aggiunge che registrerà un testamento per vanificare edificazioni future. Il geometra la uccide, cerca il documento, non lo trova ed è costretto ad allontanarsi. La carneficina potrebbe dirsi conclusa, ma si diffonde la voce della partecipazione dei detective all’inchiesta. Olivetta veglia sugli eventi e ricorda di aver conversato con Ettore, durante un sopralluogo con Quisling presso l’osservatorio. Nei giorni successivi, 152
padre e figlio controllano le mosse dei detective e, una domenica pomeriggio, Anacleto s’introduce nella struttura e attende la sera. S’intromette nella stanza di Ettore, lo colpisce e sottrae computer, periferica e prove materiali. Controlla i dati e scopre che il giovane stava lavorando sui reperti consegnatogli il pomeriggio dai detective, ora in suo possesso. Il pericolo pare scongiurato: Ettore sopravvive, ma è affetto da amnesia. Il progetto non dovrebbe trovare altri ostacoli: prove e moventi convergono sul capro espiatorio, ma rimane un particolare irrisolto. Ignazio frequenta i detective, vorrebbe vendicare la sorella, sospetta del cognato ma sa che è un impulsivo. Se scovasse la pista dei dati informatici, potrebbe collegarli ad Anacleto, unico abbonato alla rivista piratesca. Ignazio viene trucidato per un sospetto. E sorge un nuovo problema: Elisa. Se tornasse in Spagna, sarebbe semplice aggirare le pratiche burocratiche inerenti la sua proprietà risolvendo la questione idrica, ma lei pare intenzionata a rimanere. Per evitare che il suo omicidio insospettisca la polizia, l’assassino tenta d’intimidirla col macabro espediente del gatto decapitato. In realtà, così agendo, fornisce l’ultima tessera del puzzle. Tutto è partito dalle definizioni di Cornelio: “isoipse del delitto” ed “equazione assassina”. I crimini sono collegati da linee immaginarie determinate dai domicili e dai ruoli delle vittime rispetto al progetto. La matematica è una scienza esatta ma, se invertiamo i fattori, il risultato dell’equazione risulta errato. A questo aggiungasi la ripresa di coscienza di Ettore, che ricorda il particolare della carta millimetrata raccolta da Fulvio nel bosco…» e Olivetta sbraitò: «Non uso la carta millimetrata da secoli!» «Non importa: il millimetro catalizza l’intuizione della geometria e dell’architettura, che Ettore rielabora al PC. Questo dato, unito agli scarponi anfibi di Anacleto, che entrambi usate per uccidere, infiltrarvi o aggredire, al DNA e al capro espiatorio supplementare, Eustachio, fornisce la soluzione» disse Arti. 153
«Cosa c’entro io?» urlò Eustachio dalla platea. «Lei, con i riti satanici e le velleità rivendicative di antiche e nobili ascendenze, avrebbe costituito un facile bersaglio per le indagini. E si è prestato al gioco» disse Rella. «Io e il geometra avremmo tutto il diritto di risiedere alle alte cariche del governo di Orto: i nostri progenitori, fondatori delle stirpi future, impiantarono pascoli e recinzioni sul perimetro del paese. Ma, con l’andar del tempo, i rovesci economici e il progresso culturale ne causarono la decadenza, favorendo l’ascesa degli arrivisti, capostipiti del sindaco gaglioffo, del banchiere manigoldo, degli assessori lazzaroni, per non parlare dello scemo di Amilcare al seggio di notaio» disse Eustachio. «Scemo sarai tu» gli urlò Amilcare: «non ho lavorato un solo giorno in vita mia…» «Signori, silenzio e basta contumelie: dobbiamo concludere» disse Arti e Rella riprese la parola: «Adesso che è tutto chiaro, geometra, vorrebbe spiegarci perché ha tramato un’impresa così subdola?» «Se è possibile richiamarsi al giuramento di Pontida, non vedo perché io, Eustachio, il fido Ernesto e altri degni compari, fra i quali ho l’onore di citare i rappresentanti del Comitato festeggiamenti, dobbiamo essere sudditi di una manica di scimuniti. È un’usurpazione intollerabile. Col nuovo piano avrei riacquistato prestigio e ricchezza e mio figlio sarebbe asceso agli onori della cronaca» rispose flemmatico. «Sì, però mi avresti tradito» gli urlò Eustachio. «Questo lo dicono loro: abbiamo stipulato un patto di sangue con chi veglia sopra o, meglio, sotto di noi» rispose. «Non ti credo: se sei così avido da rubare gli spiccioli ai morti, figurati cosa faresti ai vivi» ribatté Eustachio. «Detrattore: i soldi li ho depositati nella cassa del Comitato festeggiamenti, i cui membri sono seguaci della setta» rispose maligno il geometra.
154
«Ignobile reietto: prima mi uccidi Elsa poi tenti d’infangarmi coi tuoi maneggi oscuri, dei quali nulla so» gridò Ernesto scandalizzato. «E i documenti delle vittime?» chiese Arti al geometra. «Con quelli si possono fare affari d’oro… sono nella mia scrivania». Due agenti lo raggiunsero per scortarlo alla volante, insieme ad Anacleto, Quisling ed Eustachio.
155
30. EPILOGO Al termine dell’impervia riunione, il sole era tramontato e Lampo, gratificato per l’esito del forzato silenzio, sbottò con la proposta di trasmigrare alla Fiera MareMonti&Morti. Metà della platea approvò, l’altra parte inforcò l’uscita finalmente libera dal presidio poliziesco. Fra quanti si defilarono si trovava Ilaria che, prima di allontanarsi, si avvicinò ad Arti. «Ispettore, la ringrazio per avermi compresa e protetta.» «Dovere e, se i problemi si ripresentassero, non esiti a contattarmi» rispose lui stringendole la mano. Ilaria fece un cenno col capo verso marito e cognato e aggiunse: «Qualche anno di Katorga non guasterebbe, ma è impossibile anche rifilarli ai servizi sociali… sarà dura ma, potendo contare su di lei, forse potrei farcela.» Aldo, a pochi metri di distanza, lanciava sguardi infuocati alle stringhe e Giovanni gli sussurrò: «Ammettiamo i nostri errori: se Carla fosse qui cercherei di rimediare. Tu puoi ancora farlo.» Alla fiera c’era poco movimento: Artemio, Arturo e la band avevano sortito l’effetto e stavano trangugiando birra e bistecche in attesa dell’esibizione serale. I convenuti riunirono diversi tavoli e si sedettero. Le ordinazioni scatenarono un mezzo putiferio, risoltosi dopo un laborioso compromesso. L’aria, fresca e tersa, invitava a scaldarsi col vino e all’antipasto il gruppo era sommerso da un vocio disordinato. Nicola rivolse il bicchiere a Fulvio: «Per questa volta è andata.» «L’intentata carriera architettonica ha portato La Rabbia e la Quiete sulla cresta dell’onda» rispose questi. Il bicchiere del commissario cozzò quello dell’ispettore: «Anche stavolta è andata e complimenti: sei un attore nato e un campione di enigmistica. Senza il bluff del 156
DNA e l’anagramma di Cleanto Tavilles, alias Anacleto Olivetta, non saremmo riusciti a incastrarli.» Michele, che tutto captava, si rivolse loro: «Perché mi avete affibbiato il prelievo del capello?» «Ragazzo, sei astuto e, a differenza nostra, ha colloquiato con Olivetta: l’azzardo ha funzionato e presto ne avremo conferma. Piuttosto dicci dov’è il testamento di Elsa» rispose il commissario. Matilde, seduta accanto, frugò nella borsa ed estrasse una cartellina: «Il giorno in cui Elsa tornò dallo studio notarile, c’incontrammo in giardino e discutemmo. Forse presaga del pericolo incombente, mi consegnò una busta pregandomi di custodirla. Fatene buon uso» disse passandola ad Arti. «E l’ha tenuto nascosto? Questo è occultamento di prove!» disse lui. «Non sapevo cosa fosse; l’ho infilata tra i documenti e quando me ne sono ricordata ero già sospettata, quindi ho taciuto.» «Abbiamo agito di comune accordo e, come vedete, la busta è sigillata» aggiunse Michele. «C’è sempre il tuo zampino» commentò il commissario. Tresca chiamò Artemio a Arturo, che raggiunsero il tavolo salutati da un brindisi in loro onore. «Vi ringraziamo per la dritta degli anfibi e l’infiltrazione alcolica: siete stati grandi. Se poi aveste la cortesia di lasciarci cenare in pace…» disse il commissario rivolto ai due che, giocondi, risposero di avere in programma una jam session a volume modulato, spaziante dal reggae al metal. All’arrivo del primo piatto, Arti si alzò e dedicò un brindisi a Tobini, Cornelio e Giovanna. Tobini, indispettito, si rivolse all’assistente: «Se la son cavata con poco e tu, ingrato, avresti potuto sprecare due parole per dire che le definizioni di isoipse ed equazione sono mie.» Cornelio lo fissò negli occhi: 157
«Igino, sono stufo di essere la tua ombra. A me il lavoro e a te gli allori. Rivendico le mie definizioni ma non preoccuparti, hai campo libero: io e Giovanna apriremo un centro di cura per le malattie psicosomatiche» gli disse abbracciando l’amica avvolta da due strati di scialli. Il terzo brindisi fu riservato a Lampo, il quale annunciò che lui ed Ettore avrebbero pubblicato un saggio sulle qualità di Hald. Immediatamente, sul blu intenso, si stagliò il baluginio della cometa. Ettore si rivolse al professore: «Albino, scusami, ma batto in ritirata: il mio corpo ha bisogno di me. Io e Samantha partiremo per l’India; ci sono moltitudini di guaritori e infinite opportunità per le menti fantasiose.» «Non preoccuparti, ho miriadi di fogli sparsi da sviluppare: aspetterò» gli rispose il professore. Al dolce, Lampo invocò un generale reciproco riconoscimento: insieme alzarono i bicchieri e, dal palco, Artemio e Arturo intonarono un duetto. «Però ci manca Eustachio; i miei amici saranno chiusi fuori e non riesco ad avvertirli» disse mogio Telamone a Mara. «Come puoi incantare il prossimo incantando te stesso?» rispose lei calzando un paio di occhiali a farfalla e un cappello viola. «Elettra!» esclamò il prestigiatore «Voltimando, Hans Frank e Hugo» continuò lei indicando i colleghi e brindarono. La conversazione si prolungò finché Artemio, Arturo e la band, esausti, annunciarono la chiusura di fiera e concerto col quarto e ultimo Aqualung. Terminato il pezzo, tutti si salutarono con strette di mano, abbracci e pacche sulle spalle. Fulvio, Nicola, Michele, Giordano, Elisa, Matilde e Rodrigo, Ettore e Samantha, risalirono la collina. Raggiunsero lo spiazzo dell’osservatorio. Il bosco, nero, verde e argenteo di riflessi notturni, pareva attenderli. 158
Sedettero a terra e decine di fuochi fatui si accesero tra l’erba. Si guardarono in silenzio e alzarono gli occhi al cielo. Hald, splendente, lampeggiò un istante, si avvolse in un alone iridescente e, ondeggiando tra i flutti del mare siderale, raggiunse la Stella polare, ove svanì per non tornare più.
159
INDICE
9
HALD
14
UN PAESE
17
PRIMI SEGNALI
21
OMICIDIO
26
VIGILIA
30
DELITTO
35
COMPLICAZIONI
40
FERRAGOSTO
44
INDAGINI
48
PROGRESSI
53
INTRECCI
58
SOMMOVIMENTI
63
PENSIERINI
70
RIEVOCAZIONI
75
HIT PARADE
81
LA SVOLTA DELL’ACCIUGA
86
INQUIETANTI PERSISTENZE
91
LUCI E OMBRE
97
OCCASIONI E MALEDIZIONI
103
STRANI INCONTRI
107
ALTERNANZE
113
BARATRI
118
DELIMITAZIONI
122
INCASTRI
127
OSCURI PRESAGI
134
DIAVOLERIE
139
SPIRALI DEMENZIALI
144
DECIFRAZIONI
150
DISCESA
156
EPILOGO
Stampato in Italia nel marzo 2009 per conto di LibertàEdizioni