Gli ori del mare di Franco Maria Puddu
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senti una seria crisi energetica. Ma anche se sappiamo che l’acqua dell’oceano contiene dai 33 a 37 grammi di sali disciolti per litro, un quantitativo enorme se confrontato con la massa totale di minerali estratti dalla terra, è anche vero che la maggior parte dei primi è sotto forma di ioni (di sodio, magnesio, calcio e potassio) che fra l’altro non sono neanche fra i più importanti per l’industria, mentre altri esistono in concentrazioni tanto minori che non vale la pena di sfruttarli per scopi commerciali. Durante gli Anni 70 dello scorso secolo, la Germania tentò con il litio, ma i test furono subito abbandonati perché i costi, già alti, diventavano astronomici a fronte del poco minerale ottenibile. Anche la speranza di avere uranio a basso prezzo ha aleggiato a partire dagli Anni 60, ma è stata bloccata dai pochi grammi che il Giappone riusciva ad ottenere nei tardi Anni 90. Non bisogna infine dimenticare l’immortale cavallo da battaglia dei sogni umani rappresentato dall’oro, il prezioso minerale dilavato dalla “padella” dei ricercatori o ottenuto con metodi industriali, quando non con le guerre; ci fu perfino chi sperò (con pia illusione) di riuscirci con la pietra filosofale. Quindi, perché non tentare con il mare?
Da sempre sorgente di ricchezze spesso però inarrivabili, il Mare lo è anche di preziosi, statue ed opere d’arte
acqua, da quella salina e tempestosa delle sconfinate distese oceaniche a quella dolce dei più piccoli e quieti laghi, costituisce il 96% circa della idrosfera, ossia l’insieme dell’elemento liquido presente nel sottosuolo e sulla superficie di un corpo celeste. Nel caso della nostra Terra, ne ricopre il 71% circa, come a dire che per quasi tre quarti il nostro pianeta è composto di acqua; del resto i nostri stessi corpi ne contengono dal 55 all’80 % nel caso di un bambino di pochi anni, dal 56 al 75 % in un individuo della terza età. Nell’idrosfera l’acqua è, a diverse percentuali, salata e contiene immense quantità di minerali in sospensione sotto forma di ioni che, in teoria, potrebbero essere recuperate senza bisogno di scavare, processare o comunque seguire tutte le complesse e costose, procedure di cui abbiamo bisogno per estrarle dalla crosta terrestre. Basterebbe infatti, anche se a dirlo sembra un po’ semplicistico, ideare un adeguato sistema di “filtraggio” delle acque, e il recupero di questi minerali, quasi inesauribili in quanto il loro deposito in sospensione è alimentato senza sosta dal continuo arrivo di nuove quantità, dilavate dalla terra dai fiumi e poi generosamente riversate nei mari. Così l’idea di ricorrere a questo sistema torna periodicamente, come una cometa di Halley, ogniqualvolta si pre-
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Il chimico tedesco Fritz Haber cercò di farlo attorno al 1920, ma l’impresa era praticamente disperata, e il tentativo fu un fallimento per un insieme di motivi che andavano dalle procedure di lavorazione a quelle di sicurezza. La cosa non sorprende se si considera lo squilibrio esistente tra le masse d’acqua dell’oceano e le grandi ma diluitissime quantità di metallo prezioso che contiene. Si parlò anche, ma la cosa non è mai stata provata, dei tentativi dell’URSS, vessata dalle difficoltà economiche di bilancio e dalle spese da destinare agli armamenti e allo spazio, di perseguire questo fine negli Anni ’60 – ’80, ma il tutto è rimasto nel limbo delle vicende mai provate.
Un legame indissolubile Tuttavia è innegabile che tra l’oro e il mare esista un legame indissolubile, dovuto, forse, al fatto che l’oro, metallo nobile per eccellenza sia in chimica che nella leggenda, anticamente manipolato da pochi eletti e destinato ad eroi, regnanti e potenti, attrae da sempre l’uomo, come del resto il mare nel quale, forse, sono le nostre stesse origini. La splendida statua bronzea del V secolo a.C. nella quale molti identificano il dio In realtà un rapporto fra i tre elegreco del mare Poseidone, recuperata con una delle prime campagne archeologiche menti di questo triangolo esiste, ansubacquee nelle acque al largo di capo Artemision che se nasce da radici meno nobili ed auliche; ma conviene iniziare per gradi un discorso che, nonostante stia molto logico, non è per questo meno affascinante. no, ingordigia e avidità, hanno fatto si che questi Come sappiamo il mare è da sempre la maggiore oggetti tornassero fra mani umane, con eventi che via di comunicazione e commercio, dell’uomo e, li hanno ammantati con un’aura di leggenda che li su di esso, come tale, è da sempre stata movimenha resi ancor più appetibili e desiderabili. tata la maggior quantità di merci di qualsiasi tipo; Ma se il mare ha “preso” dall’uomo per millenni, di conseguenza, con il trascorrere dei millenni, è l’uomo ha potuto “contraccambiare” solo da un divenuto lo scrigno, il forziere, e anche la tomba, paio di secoli principalmente per la sua incapacità di quanto incidenti, tempeste, scorrerie piratetecnica di effettuare recuperi subacquei che travasche o vicende belliche abbiano fatto piombare, licassero l’aspetto del lavoro quotidiano. dall’alto della superficie, sui suoi fondali che hanSappiamo benissimo, ad esempio, che già nella no accolto così gioielli, monete, lingotti, manuMarina romana erano in servizio reparti di urinatofatti e statue il cui ricordo ha spesso acceso la nores portuali e litoranei (dal latino arcaico urinor, stra fantasia. tuffarsi, capaci di sommozzare in apnea per effetMa solo in tempi a noi relativamente vicini il caso, tuare piccole riparazioni agli scafi o lavori di edilialcune coincidenze ma anche curiosità e, perché zia subacquea), mentre altre volte, nei secoli, ven-
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tare del mare e dei tesori che custodiva, nessuno faceva niente per tentare di riappropriarsene. Fino alla fine del ‘700, infatti, gli episodi di ritrovamenti di tesori subacquei erano stati del tutto casuali, legati principalmente all’”incoccio” di reti da pesca su antichi relitti o sui loro carichi che, consuntisi gli scafi in legno, giacevano sul fondale, ma niente di più. Si raccoglieva la grazia di Dio rinvenuta ma nessuno si azzardava a pensare di effettuare campagne di ricerca sulla base di vecchi documenti che, sappiamo, esistevano negli archivi di vari Ammiragliati.
Il Cronide e i Guerrieri
In genere i comandanti di navi pirata seppellivano in luoghi segreti i loro tesori; ecco come Howard Pyle rappresentò nel suo Book of Pirates il captain William Kidd, uno dei maggiori pirati della sua epoca, prima di procedere alla sepoltura di alcuni forzieri
nero compiuti lavori anche di notevole entità; come quando dopo la perdita del grande galeone svedese Gustavo Wasa, affondato durante il varo a Stoccolma nel 1628, gruppi di palombari dotati di vere e proprie, anche se rudimentali, campane subacquee recuperarono molti dei suoi 64 cannoni. Non esisteva, tuttavia, quella mentalità oggi diremmo imprenditoriale e anche spregiudicata, che poteva spingere l’uomo ad agire propria sponte per arricchirsi tornando in possesso di quanto, in fin dei conti, un tempo era stato suo. Ossia si potevano investire sforzi e danari per recuperare alcune tonnellate di canne di cannone delle quali si aveva la prova dell’esistenza e della posizione, ma non nella ricerca di una nave carica di oro della quale si conosceva a malapena l’esistenza, la rotta,ma non la data e il punto di affondamento. Mentre poeti ed affabulatori continuavano a can-
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Si pensi che alcune delle più importanti opere d’arte ritrovate nel tempo (appena l’altro ieri) furono veramente frutto del caso, come avvenne per la splendida statua in bronzo del Cronide (Zeus, figlio di Crono) rinvenuta solo nel 1926 e recuperata nel 1928 al largo di Capo Artemision, in Grecia, che rappresenta un uomo in atto di scagliare un oggetto oggi mancante che, per chi lo identifica in una folgore ne conferma la qualifica in quella di Zeus mentre chi vi vuole vedervi un tridente lo trasforma in Poseidone. Purtroppo, e questo testimonia dell’approssimazione delle tecniche dell’epoca, durante il recupero un operatore subacqueo morì e le ricerche vennero così sospese senza assicurarsi della posizione della nave (che ancora oggi non si sa se fosse greca o romana) che andò così persa con tutto il probabile carico di meraviglie che conteneva . Parimenti, in Italia nel 1972 il ritrovamento dei due Bronzi di Riace avvenne solo perché un subacqueo dilettante romano si immerse nelle acque dell’omonima località calabrese e, su un pulitissimo fondale di sabbia di 8 metri di profondità, scorse il braccio di una delle due sculture bronzee che sporgeva libero dalla sabbia del gomito in su. La fama dell’esistenza, e della caccia ai tesori scomparsi in mare era nata comunque attorno agli inizi del 1800 sulla scia delle avventurose gesta di quanti avevano iniziato a scorrerlo non più per pirateggiare per proprio conto ma con regolari patenti di corsa sin dal 1600 circa. La pirateria, era nata ancor prima di quando i fenici erano diventati la disperazione delle marinerie e i greci chiamavano gli etruschi “oi tirrenoi”, ossia “i pirati”; questa “nobile” arte aveva allignato ovunque l’uomo navigasse: su mari, fiumi e laghi, e, in seguito, nel medioevo e nei secoli successivi, in Norvegia, Danimarca, Mediterraneo, nell’Oceano
Non sempre, però, le precauzioni prese servivano a permettere ai pirati di godere del maltolto, come mostra questa illustrazione di Chris Rawlins che mostra la cattura di captain Kidd da parte dei Royal Marines, che precedette la sua impiccagione
Indiano, nel Mar Cinese, sul Mississippi e nei grandi laghi canadesi. La figura del pirata si era diversificata notevolmente di volta in volta, da “er turco” del Mediterraneo ai bucanieri dei Caraibi, così chiamati dagli inglesi per il loro sistema di affumicare la carne detto boucan, ai filibustieri delle Antille (filibustier o filibuster, chi razzia per se) francesi, inglesi e olandesi che attaccavano il naviglio spagnolo, o genericamente ai corsari che combattevano al servizio di un governante autorizzati da una “lettera di corsa”. Anche se poi, davanti ad una preda solitaria che passava davanti a loro, i corsari si comportavano come filibustieri, i filibustieri come bucanieri e così via, tornando tutti ad essere solo dei pirati.
Dobloni, ghinee, sovrane e pezzi da otto Naturalmente ogni bravo pirata, banca di se stesso, spesso e volentieri, vuoi perché in fuga, vuoi per mettere in sicuro il peculio raggranellato frazionandolo in più nascondigli, vuoi perché doveva alleggerirsi del carico quando sentiva che il fiato dei suoi cacciatori gli alitava troppo spiacevolmente sul collo, nascondeva parti del suo bottino in qualche isoletta deserta, mentre poteva anche accadere che per una manovra sbagliata una nave
carica di ”dobloni, ghinee, sovrane e pezzi da otto” affondasse su un basso fondale, o che venisse colata a picco dal fuoco dei suoi cacciatori mentre la battaglia navale, continuando, spostava il suo teatro e ne andasse così persa la posizione, già difficile a calcolare in mare. Così nacque anche un nuovo mercato, nel quale iniziarono a circolare carte, mappe, piani e schizzi, spesso autentici come gli atti di proprietà del Colosseo con il quale il grande Totò vendeva il celebre monumento a malaccorti turisti americani. I migliori méntori e press agent di questa paccottiglia furono involontariamente famosi scrittori, come, per citarne uno, Robert Louis Stevenson che nel 1883 con il suo Treasure Island (L’isola del tesoro) fece passare alla storia come forse pochi sapranno fare, l’epopea dei pirati e dei loro tesori. Nel nostro secolo inizieranno a tornare alla ribalta nomi meno noti ma non meno redditizi come quello del galeone spagnolo Santa Margherita, naufragato nel 1622 stracolmo di oro del Cattolicissimo Re di Spagna, o come quello del Nuestra Signora de Atoche, del cui carico è stato recentemente recuperato un lingotto di argento al largo di Key West, in Florida. Per non parlare della nave negriera inglese (pecunia non olet) Henrietta Marie , naufragata nella stessa area e nello stesso anno.
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Un altro famoso pirata dalla carriera breve ma sanguinosa fu Edward Teach, detto Blackbeard (barbanera), che venne ucciso in combattimento dal tenente di vascello della Royal Navy Maynard dopo aver riportato oltre 20 ferite: in due anni aveva catturato oltre 140 navi
La “caccia al tesoro” era infatti transitata dalle mani di pochi avventurieri o di chi era fortunosamente entrato in possesso di una mappa (vera, però) in quelle di nuove realtà nate a partire dagli inizi del XX Secolo: quelle delle imprese navali di recupero. Considerato che tra il 1600 e la seconda metà dell’800 il numero dei preziosi o comunque dei carichi pregiati svaniti sott’acqua era andato crescendo a dismisura con l’aumento dei traffici mercantili ai quali si erano aggiunti altri scafi di grande interesse quali quelli di molti clipper, di transatlantici, di navi appartenenti a grandi società di navigazione che spesso trasportavano carichi di preziosi e di valute di rilevanza sino al livello governativo, quindi, il passo che doveva portare a scegliere di abbracciare questi esclusivi
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mercati doveva essere breve e fare la fortuna di Società come l’italiana SORIMA, che recuperò nel 1931 il piroscafo inglese Egypt che trasportava un carico di 5 tonnellate e mezzo d’oro e 43 d’argento. O ancora l’americana Odyssey Marine Exploration che nel 2007 ha riportato a galla, con un’operazione denominata “Black Swan” il carico di un veliero affondato attorno al 1640 a 40 miglia dalle coste della Cornovaglia: oltre 500.000 monete per un totale di 17 tonnellate in oro e argento, molte ancora fior di conio, per oltre 500 milioni di dollari. Fino ad oggi il più prezioso tesoro sottomarino rinvenuto era stato recuperato dal già citato Santa Margherita che, riportato in superficie nel 1985 aveva fruttato 400 milioni di dollari. Senza per questo dimenticare, sempre da parte
Un’immagine del Polluce tratta da una vecchia tavoletta di legno. A destra, una piccola parte del tesoro recuperato dal relitto del vapore: notare la delicatezza della lavorazione delle paia di orecchini, ma soprattutto quella della bellissima croce di smeraldi
della Odyssey, il recupero del Gairsoppa un mercantile inglese battezzato con il nome delle cascate del fiume indiano Sharawathi e silurato da un Uboot nel febbraio 1941 durante la Seconda Guerra Mondiale mentre trasportava da Calcutta a Londra un carico di 240 tonnellate di lingotti d’argento ritrovato nel 2011 su commissione del Governo britannico.
Se per caso qualcuno… Anche il Mediterraneo, però, ha le sue non piccole né disprezzabili vicende se ricordiamo quella del battello a ruote Polluce, recuperato dalla Marine Consulting di Ravenna, una Società che da decenni fornisce supporto offshore, nonché strutture sottomarine di costruzione e manutenzione, smantellamento e rimozione di opere. Nell’ottobre 2005, dunque, la Marine Consulting ha recuperato il carico di questo battello che affondò nel 1841 con a bordo gioielli di squisita fattura, 100.000 monete d’oro di vari Paesi europei, 70.000 “colonnati” spagnoli in argento, e fu al centro di una interessante vicenda (vedi recensione “L’oro dell’Elba”, numero di gennaio 2005) che
giungerà ad avere strascichi sino ai giorni nostri. Sulla scia di queste moderna Società di recuperi se ne sono sviluppate anche altre, anche se spesso a sfondo, diremmo, di studio o “riccamente” amatoriale,) volte però più all’archeologia subacquea che ad altro. Come le attività intraprese dal professor Robert Ballard direttore di oceanografia dell’Istituto di Archeologia Oceanografica dell’Università di Rhode Island, che ha portato al ritrovamento dei relitti del Titanic nel 1985, della corazzata tedesca Bismarck nel 1989,del Lusitania nel 1993 e della portaerei Yorktown nel 1998. Ma questa è tutta un’altra storia. Naturalmente, facendo un breve passo indietro nel nostro discorso, al di là dei lauti guadagni che, quando si “indovina il buco”, è possibile arrivare ad ottenere con questa comunque sempre troppo aleatoria attività, se per combinazione qualche nostro lettore avesse trovato in un vecchio libro o in una busta di ricordi di qualche dimenticato parente una polverosa cartina, certamente inventata e inutile, potrebbe scrivere alla Redazione prendenn do contatti direttamente con…
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