GILDA PIERSANTI ESTATE ASSASSINA
ROMANZO BOMPIANI
Piersanti Gilda, Blue Catacombes Copyright @ Le Passage Paris – New York Editions, 2007 © 2014 Bompiani / RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli, 8 – 20132 Milano ISBN 978-88-452-7806-8 Prima edizione Bompiani novembre 2014
A colui che mi ha lasciato il suo posto senza mai smettere di occuparlo.
1.
So leben wir und nehmen immer Abschied.1 Rainer Maria Rilke
– La porta! – urlò la monaca benedettina. Lo ripeteva almeno cinquanta volte al giorno, da quando le catacombe erano diventate il rifugio di turisti alla spasmodica ricerca di un po’ d’aria fresca. Sulla soglia apparve Pamela. Tutti gli sguardi si girarono dalla sua parte, attirati dalla splendida massa di capelli biondi che le incorniciavano il viso. Con quelle spalle e quelle braccia dorate, con quegli occhi che si agitavano come lucciole al buio, l’apparizione della guida più richiesta delle catacombe provocava sempre lo stesso effetto sui visitatori, che d’improvviso s’interessavano più all’archeologa che all’archeologia. Le catacombe di Priscilla erano meno frequentate di quelle di San Callisto o di quelle di San Sebastiano sull’Appia Antica, che s’accaparravano il grosso dell’affluenza turistica. Quest’anno, però, il caldo era tale che i visitatori si appassionavano anche per i cunicoli sotterranei meno noti e meno accessibili. Nella volontà di accogliere il maggior numero possibile di turisti, la Pontificia Commissione d’Archeologia Sacra aveva raccomandato alle guide di diversificare gli itinerari e di non esitare a penetrare sempre più in là nella rete sotterranea. Pamela Casadei, che doveva guidare la prima visita del matti1
“Così viviamo per dire sempre addio”, R. M. Rilke, Duineser Elegien, 1912-1922 (Die achte Elegien, v. 75). 7
no, non aveva chiuso occhio durante la notte. Per lei non era una novità passare la notte in bianco, soprattutto con quell’afa che non risparmiava nessuno, ma questa volta la sua insonnia non era dovuta né al caldo né all’ansia. Era in ritardo, il gruppo riunito all’ingresso delle catacombe di Priscilla la stava aspettando.
Notte di ferragosto calda la spiaggia e caldo il mare freddo questo mio cuor.
Quando Gianni Morandi cantava Notte di ferragosto, Pamela non era ancora nata, ma già scalciava nella pancia di sua madre. E adesso le piaceva pensare che, all’epoca, sua madre ascoltava proprio questa canzone e che quella voce si era impressa sulla sua pelle. Pamela aveva conosciuto una felicità perfetta fino al giorno del suo primo compleanno: anzi, per essere esatti, fino all’una e ventotto minuti del 14 gennaio 1968. Quel giorno infatti a Gibellina, nella Sicilia orientale, il pranzo della domenica fu interrotto da uno strano rumore, accompagnato da una scossa che fece ballare il tavolo e rovesciò i bicchieri di vino sulla tovaglia. Tutta la famiglia si precipitò alla finestra e vide vacillare il campanile della chiesa sulla piazza. Era l’inizio del famoso terremoto della valle del Belice e la fine della vita che Pamela avrebbe potuto vivere e che non aveva vissuto. Perché durante la notte di quel fatidico 14 gennaio, a quaranta chilometri sottoterra, una faglia addormentata da secoli si risvegliò all’improvviso e scatenò delle onde sismiche di una tale violenza da portare la distruzione nelle province di Palermo, Trapani e Agrigento. In dodici secondi, numerosi centri storici furono ridotti in polvere. Gibellina crollò e l’indomani, all’alba, nugoli di uccelli neri 8
sorvolavano le sue strade, ingombre di macerie. Tra la gente che scavava disperata in mezzo ai calcinacci qualcuno ritrovò una bambina avvolta in una coperta, dentro l’armadio in cui l’aveva nascosta sua madre. Il giorno dopo, la foto della piccola Pamela compariva sulla prima pagina di tutti i giornali della penisola.
– Sono le nove e dieci, – disse Pamela al gruppo che la stava aspettando. – La nostra visita durerà mezz’ora. Tutti i visitatori si mossero simultaneamente per seguirla, con precauzione scesero dietro di lei delle scalette impervie e cominciarono ad avanzare in silenzio negli stretti corridoi sotterranei, scarsamente illuminati. Al primo incrocio, Pamela girò a destra, quindi a sinistra, per poi fermarsi in una galleria con le pareti scavate da nicchie rettangolari. – A partire dal II secolo e fino al V secolo, – cominciò a recitare in modo quasi meccanico, – le catacombe cristiane erano dei cimiteri sotterranei. Siccome la legge romana vietava di seppellire i morti dentro le mura della città, le catacombe s’impiantarono lungo le vie consolari. A Roma si contano attualmente più di sessanta catacombe: si tratta di veri e propri labirinti sotterranei, che misurano varie centinaia di chilometri e che, in altri tempi, hanno accolto decine di migliaia di sepolture. Pamela riprese fiato, cercò un fazzoletto in borsa e si asciugò la fronte. – Queste esigue cavità rettangolari, – continuò indicando le nicchie che trasudavano un’umidità vischiosa, – contenevano i corpi avvolti in semplici lenzuola ed erano chiuse da lastre di marmo o di terracotta sulle quali era stato inciso il nome del defunto. Questi buchi che vedete tra una sepoltura e l’altra servivano per appendere le lampade a olio destinate a far luce. La luce, appunto, si spense sulle sue ultime parole. Tutti i 9
visitatori fecero un passo indietro, si udirono mormorii che si trasformarono presto in un’ondata di sussurri. – Niente paura! – fece Pamela. – Vado a riaccendere subito l’interruttore. Si sentì il rumore dei suoi passi nel buio, poi la luce tornò. – Purtroppo sono cose che accadono, – disse Pamela con tono pacato. – Il sistema elettrico delle catacombe è veramente troppo vecchio... Il gruppo fece di nuovo cerchio intorno alla sua guida, ad eccezione di un uomo che cominciò ad allontanarsi verso il fondo della galleria. – Dunque, – riprese Pamela senza richiamare all’ordine l’avventuroso visitatore, – a che punto eravamo rimasti? Ah, sì... Le catacombe erano scavate da una corporazione di artigiani chiamati “becchini”. Con zappe, pale e mazze, i becchini aprivano una galleria dietro l’altra alla luce delle lampade a olio, poi raccoglievano la terra dentro sacchi che andavano a scaricare di fuori, utilizzando i condotti aperti sulla volta. Questi condotti servivano non solo per risalire in superficie ma anche per assicurare la ventilazione e l’illuminazione delle catacombe. Dal fondo della galleria, il furbastro che si era allontanato dal gruppo scoppiò in una grande risata ed esclamò: – Uno dei suoi becchini si dev’essere scordato un sacco proprio qua sotto, dottoressa... Ma la risata gli morì in gola, e fu seguita da un urlo che risuonò nei lunghi corridoi sotterranei. Il gruppo s’immobilizzò. Poi piano piano, uno dopo l’altro, tutti si mossero con prudenza verso il luogo da dove era pervenuto l’urlo. E tutti videro il visitatore che si era allontanato dal gruppo fissare con orrore un sacco di iuta aperto. Dentro il sacco, c’era un cuscino impregnato di sangue, e sopra il cuscino, c’era una testa. Una testa d’uomo tagliata. 10
2.
La sera prima, in viale dell’Arte, all’EUR, rannicchiata dentro una macchina presa a noleggio e parcheggiata davanti allo spettro maestoso del Palazzo delle Esposizioni, lontano dalla pallida luce dei lampioni, Pamela si mangiava le unghie scrutando il viale della Letteratura. Era in preda a un’insostenibile ansia. “Quello che compiremo resterà inciso nelle memorie” le aveva detto Cathy. Ma lei non era Cathy! E non riusciva sempre a mantenere il controllo. Alla fine la Micra rossa che aspettava arrivò e parcheggiò sul lato opposto. La portiera si aprì e un tacco a spillo argentato toccò l’asfalto. Pamela si diede un contegno e chiamò Noemi, che attraversò subito la strada. – Ho un regalo per te! – le disse Noemi entrando in macchina. Pamela le diede un bacio sulla bocca per nascondere la sua agitazione, poi le prese di mano il pacchetto regalo ed esclamò strappando la carta: – Grazie! Sei un tesoro! Il regalo era una borsa da spiaggia con delle grosse margherite di plastica gialle incollate da una parte e dall’altra. – Perché mi hai dato appuntamento proprio qua? – chiese Noemi. – Perché ho anch’io una sorpresa per te. 11
– Mi hai fatto anche tu un regalo? Pamela incrociò le gambe e rispose, maliziosa: – In un certo senso, sì... Noemi non riusciva a star ferma. – Di chi è questa macchina? – chiese ancora, come se si rendesse conto solo in quel momento che Pamela non aveva preso la sua PT Cruiser. – Poi ti spiego, – rispose Pamela aprendo la portiera per scendere. – Vieni, è ora di andare! Noemi ubbidì: tanto l’avrebbe seguita pure all’inferno! In quella calda notte di ferragosto, la strada era così buia che non permetteva certo di apprezzare l’eleganza della palazzina verso la quale si stava dirigendo Pamela. Il silenzio era assoluto, i residenti dell’EUR avevano abbandonato in massa il loro monumentale quartiere. Noemi fissò sperduta il mosaico che decorava il portone davanti al quale si era fermata Pamela. – Dove mi porti? – chiese. Pamela tirò fuori una chiave dalla sua borsetta e l’infilò nella serratura senza rispondere. – Se non mi dici dove stiamo andando, non vengo! – fece allora Noemi. – Non ti fidi? – rispose Pamela, infastidita. Ma subito dopo le accarezzò la nuca. L’emozione vinse le ultime reticenze di Noemi. – Terzo piano, – disse Pamela entrando nell’ascensore. Poi d’improvviso la schiacciò contro la parete e le diede un altro bacio sulla bocca. Noemi si sentì morire, e mentre l’ascensore saliva i tre piani dell’elegante palazzina dell’EUR, si abbandonò fiduciosa a una sensualità che le toglieva il respiro. Poi l’ascensore si fermò e uscirono tutte e due sul pianerottolo, abbracciate. Pamela suonò al campanello di una porta che si aprì 12