Franco Maria Messina Un secolo di pubblicità del gioiello
La premessa Il Novecento è il secolo in cui la pubblicità è diventata adulta, costituendo, nel contempo, una forza sia culturale che economica della nostra società. Le abbiamo dato eccessiva importanza? Può darsi, ma a sentire Marshall McLuhan gli storici futuri "scopriranno che la pubblicità dei nostri giorni è l’immagine piú fedele che una società abbia mai prodotto delle sue attività". Si fa notare, inoltre, che proprio grazie alla pubblicità marchi quali quelli di McDonald's e Coca-Cola sono stati accolti nei paesi ex-sovietici come simboli di libertà. E che essa rifletta la nostra civiltà, o che addirittura la condizioni, è sotto gli occhi di tutti. Basterebbe pensare alla pubblicità 1981 del Ramazzotti ed a quel suo slogan “Milano da bere” che è diventato l’etichetta dei brillanti anni Ottanta nel capoluogo lombardo.
Ma ancor piú significativo quanto accaduto nel mondo dell’automobile. Nel 1908, accortosi che tale mercato, rivolto esclusivamente alle classi piú abbienti, era ormai saturo, Henry Ford introdusse il concetto di "produzione di massa” e lanciò il Modello T. Come conseguenza vent’anni dopo l’auto era ormai prerogativa della classe media. Ma la rivale General Motors replicò puntando invece sul concetto di “simbolo di successo” e di “obsolescenza”: fu una mossa vincente, grazie all’uso della pubblicità, che diventava cosí la “grancassa” dei marchi industriali. Insomma, stando allo statunitense Bob Garfield, la pubblicità “scopre la nostra umanità …riflette le nostre vite e spesso le arricchisce”.
La pubblicità su rivista E’ certo che forme di pubblicizzazione esistano da molto tempo, ma volendo assegnare ad esse una precisa data di nascita possiamo dire che sia il 1704, quando sulla Boston News-Letter fu stampata l’offerta di vendita di una proprietà. Nel 1729 Benjamin Franklin iniziò a pubblicare annunci sulla Pennsylvania Gazette di Filadelfia e nel 1742 sul General Magazine egli produsse le prime pubblicità americane su rivista.
Benjamin Franklin Tra il 1868 ed il 1877 nascevano, sempre a Filadelfia, le prime due agenzie pubblicitarie americane, W. Ayer & Son e J. Walter Thompson, che sono ancora oggi due giganti del settore.
Francis Wayland Ayer
James Walter Thompson
Alla fine dell’Ottocento la pubblicità su riviste era dedicata essenzialmente ai prodotti medicinali. Le cose cambiarono con il nuovo secolo. Migliaia di riviste in America ed in Europa furono sommerse di pubblicità per i piú svariati prodotti dell’industria, che cosí raggiungevano decine di milioni di persone. La competizione fra ditte commerciali da una parte ed agenzie di pubblicità dall’altra divenne accesissima e si cercarono nuovi elementi per superare la concorrenza. Uno di questi fu la creazione dello slogan e con esso nasceva la figura del copywriter, cioè del redattore pubblicitario. La J. Walter Thompson fu la prima a creare un apposito dipartimento per un lavoro nel quale hanno mosso i primi passi scrittori di talento come Francis Scott Fitzgerald.
Il manifesto “Il Manifesto specchio dei tempi”, dice Max Gallo, il manifesto prodotto della cultura europea, anche se il dibattito sulla sua origine è sempre aperto. Esso compare nella seconda metà del XIX secolo ed è di “alto lignaggio”. Non a caso si sostiene che il prototipo sia stato Les Chats che nel 1868 il grande Edouard Manet creò per il libraio Rothschild. Ma vi sono due correnti di pensiero: la prima fa risalire l’origine proprio alle illustrazioni per libri ed alla loro pubblicizzazione, quindi al mondo letterario. Gli inglesi Aubrey Beardsley e Fred Walker possono essere citati tra i grandi interpreti di questa corrente. C’è chi vede invece le locandine teatrali come pròdromo del manifesto pubblicitario e porta ad esempio la grande xilografia Five Celebrated Clowns (1856) dello statunitense Joseph W. Morsen e l’altro grande cartellone Sarasani Circus, prodotto ad Amburgo nel 1897. Dalla reclamizzazione di teatri, circhi e locali d’intrattenimento si passò presto ai prodotti alimentari: la caratteristica era un’alta qualità artistica dovuta a personaggi quali Jules Chéret, Henri-Marie de Toulouse-Lautrec e, soprattutto, Alfons Mucha.
Manifesto di Alfons Mucha (1897)
Con loro il manifesto diventò adulto ed all’importanza dell’immagine grafica si affiancò quella della scritta, non piú avulsa, ma ora essa stessa immagine. Agli inizi del Novecento prevalse l’eredità di Mucha con il suo “stile floreale” tipico dell’Art Nouveau. Quando cominciò ad imporsi il “modernismo”, rappresentato dall’Art Déco, i modelli a cui ispirarsi furono il francese George Barbier ed il francorusso Erté. Con l’avvento della nuova temperie culturale gli artisti lasciarono i caratteri con le grazie per passare ai ‘bastoncini’, ridussero drasticamente i fiori, predilessero stilemi geometrici e dipinsero fanciulle giovani e sbarazzine. Ulteriore innovazione fu la fotografia al posto del disegno, grazie ancora una volta alla J. Walter Thompson. Con la foto nasceva anche il testimonial, vale a dire il personaggio famoso che lega la sua immagine al prodotto.
Le altre forme Pur con qualche difficoltà, anche il cinema veniva usato come mezzo per reclamizzare, ma fu l’avvento della radio che diede ulteriore impulso alla pubblicità, al punto che la RCA e la General Electrics crearono nel 1926 la NBC proprio per perseguire tale obiettivo. Il veicolo sonoro richiedeva nuove trovate e nacque cosí il jingle, la musichetta che annunciava inconfondibilmente un determinato prodotto. Fu un grandissimo successo. Dopo lo stallo determinato dalla Seconda Guerra Mondiale la pubblicità riprese con lena, cercando nuove vie nel contrasto fra chi privilegiava la “personalità del marchio” , chi la “persuasione come arte", chi la “creatività”. Nel contempo nasceva la televisione e nel 1946 la RCA iniziava una serie di spot di successo in bianco e nero. Anche in Europa la pubblicità s’impadroniva della TV e tutti ricordano l’italiano “Carosello” ed il grande consenso che raccolse. Si disse perfino che la pubblicità era lo spettacolo migliore. Negli anni Sessanta, sviluppata dalla CBS, partiva in America la TV a colori, che in Europa arrivò in ritardo a causa del conflitto fra i sistemi PAL e SECAM. Oggi la televisione domina nel settore pubblicitario, anche se si è affacciato un nuovo pericoloso concorrente: la “Rete Internazionale” (Internet), che già raccoglie pubblicità per miliardi di dollari.
La pubblicità del gioiello Nel 1999 la rivista Advertising Age ha lanciato un referendum per stabilire quali siano state le 100 piú significative pubblicità del Novecento. Ha prevalso il “Maggiolino” della Volkswagen (anno 1959), seguito da Coca-Cola (1929), Marlboro (1955), Nike (1988) e McDonald's (1971). Al sesto posto troviamo la ‘storica’ pubblicità della De Beers, concepita nel 1948 dalla N.W. Ayer & Son col famosissimo "A diamond is forever" (“Un diamante è per sempre”), considerato il piú bello e creativo slogan del Ventesimo secolo. Essa precede ‘giganti’ quali Avis, Apple Computer, Pepsi-Cola, Calvin Klein (che grazie ad una quindicenne Brooke Shields inaugurò la pubblicità sexy), Cadillac, Texaco, IBM.
Lo slogan della De Beers determinò la canzone di Marilyn Monroe Diamonds Are a Girl’s Best Friends (nel film del 1953 “Gli uomini preferiscono le Bionde”), ma ancor di piú impose su scala mondiale il ‘solitario’ come “eterno simbolo d’amore”. Tale pubblicità è anche l’unica relativa al mondo della gioielleria e dei preziosi a comparire fra le prime 100 del secolo che si è da poco concluso. Non stupisca l’assenza di nomi prestigiosi quali Cartier, Bulgari, Tiffany, Harry Winston o Van Cleef & Arpels. Ciò dipende anzitutto dai criteri di selezione usati: Advertising Age si è basata essenzialmente sulla capacità di cambiare la cultura
popolare, per cui ha rivolto la propria attenzione ai prodotti di largo consumo, trascurando fondamentalmente gli oggetti di lusso. Inoltre ha dedicato maggiore interesse alla seconda metà del secolo, a cui appartiene il 69,38% delle pubblicità scelte, dando stranamente poca importanza al periodo tra le due guerre, caratterizzato dall’Art Déco e proprio dal mito della pubblicità. Non a caso è nel 1940 che Harry Winston lancia la sua prima campagna, che rivoluzionerà il mondo pubblicitario.
Il gioiello nel Novecento Il Novecento ha segnato il ritorno alla gioielleria come forma d’arte, com’era stato nel XV e XVI secolo. Dopo un inizio ancora legato al gusto delle Belle Epoque e all’influenza dell’Art Nouveau, con le sue linee curve ed una certa ridondanza di elementi floreali, si ebbe una vera rivoluzione con l’avvento di quegli stilemi che noi oggi chiamiamo Art Déco: tale nuovo movimento di gusto ebbe la sua consacrazione nel 1925 in occasione de L’Exposition des Arts Décoratifs et Industriels Modernes di Parigi. Fu tra il 1925 ed il ’35 che la nuova espressione artistica raggiunse il suo punto piú alto in una somma di stili moderni che si focalizzavano sul ‘decorativo’ e sulla ricerca del bello e del prezioso: linee geometriche, colori intensi e audacemente combinati, materiali insoliti. Furono gli “ Anni Ruggenti” dei nuovi miti: la velocità e l’onda impetuosa della pubblicità, che finí con l’assumere valore di modello di comportamento Ma furono anche gli anni del cinema, del music–hall, delle serate mondane, del jazz. Vi fu un grande desiderio di ‘lusso’ e del logico simbolo del lusso che è il gioiello. Prevalsero due tendenze opposte: da una parte gioielli artificiali e prodotti in serie, dall’altra pezzi artistici, firmati da Cartier, Gérard Sandoz e Georges Fouquet. Essi crearono forme ‘moderniste’ e gioielli classici, introducendo elementi esotici, quali giada e corallo, o inusuali come il vetro, di cui fu maestro René Jules Lalique.
René Jules Lalique: Spilla in oro, smalto, vetro, acquamarina e diamanti (ca 1920)
I drastici cambiamenti furono dovuti ad artisti quali Erté, George Barbier e Georges Lepape con i loro pochoirs pubblicati su una serie di riviste di moda che fiorirono specialmente a Parigi e New York: La Gazette du Bon Ton, Cosmopolitan, Harper’s Bazaar, Vogue. Fanciulle longilinee sulle quali i gioielli svolgevano un ruolo fondamentale di seduzione.
Pochoir di George Barbier (La Gazette du Bon Ton, 1922) Essi interpretavano la nuova moda che voleva gonne corte, capelli alla garçonne, con camicette senza maniche. Una moda che influenzò anche la gioielleria, che si adattò alle nuove esigenze: orecchini pendenti fino alle spalle, lunghe collane che scendevano sotto la vita, braccialetti ed orologi da polso sulle braccia nude, spille non piú solo sugli abiti da sera, ma adesso sui berretti, sulle cinture e sui baveri dei cappotti. Si fece grande ricorso al platino, ma le pietre furono spesso associate ad ebano, cromo, corallo, bakelite, ambra e smalto. Forte l’influsso di elementi ‘orientali’.
Negli anni Quaranta comparve un nuovo stile chiamato Retro Modern, con gioielli grandi, caratterizzati da ampie curve, in oro giallo, rosa o verde, con incastonate pietre semi-preziose di vari colori. La Seconda Guerra Mondiale segnò l’abbandono del platino ed il ritorno ad oro, argento e zirconio. Finito il conflitto, gli anni Cinquanta hanno visto una certa continuità con il Retro Modern, mentre gli anni Sessanta sono stati influenzati dalla “contro-cultura” degli hippies e dalla Pop-Art. Negli anni Settanta si è privilegiato l’argento e si è tornati ad elementi “egizi”, ispirati dai tesori di Tutankhamen. Oggi il design del gioiello si muove in varie direzioni: la linearità degli Scandinavi, l’eleganza ed il lusso degli Italiani, i nuovi contributi forniti dai Giapponesi, ed un certo ritorno ad Art Nouveau e ad Art Déco. Verso la fine del secolo il platino è tornato ad essere popolare ed è comparso il “solitario”, che ha assunto un ruolo rilevante.
La pubblicizzazione Non ci sono elementi che riguardino tutto il Novecento nemmeno a livello internazionale, e ad ogni modo non attraverso la pubblicizzazione. Scarse anche le monografie, e in genere settoriali. Si è infatti guardato allo svilupparsi della gioielleria nell’ottica del fabbricante o del grande distributore, ma non con uno sguardo a come sia stato presentato l’oggetto al fruitore. Eppure anche il gioiello con pretese d’arte ha come ultima destinazione l’acquirente. Occorre pubblicità del gioiello che fornisca un panorama completo e rovesci l’angolo prospettico tramite una visione inusuale.
E’ indubbio che il gioiello presenta caratteristiche diverse da ogni altro prodotto. “D’artigianato o d’arte, di seduzione o di prestigio, contemporaneo oppure antico, il gioiello l’inutile indispensabile”, dice Dorane Vignando. Per cui anche la pubblicizzazione ha avuto ed ha caratteristiche sue proprie. Essa è stata affidata per lo piú alle riviste di moda e di settore ed a settimanali a grande tiratura. Essendo il gioiello un oggetto che va ‘visto’ la radio risulta inefficace; ma scarsa è anche l’utilizzazione del mezzo televisivo, che si rivolge ad un pubblico “troppo” vasto: ha fatto eccezione, ma con parsimonia, la De Beers col suo “Un diamante è per sempre”.
Gioielli di Cartier (La Gazette du Bon Ton, 1914-1915)
Il contenuto artistico Art Nouveau (1901-1913) Echi della Belle Epoque, tracce dei Pre-Raffaelliti inglesi, stile decorativo in cui primeggia l’arte grafica di Alfons Mucha, nonché l’uso del vetro di René Jules Lalique. Gioielli con ornamenti organici di fauna e flora.
Spilla inglese “Art Nouveau” (circa 1910)
Art Déco (1914-1930) La donna ora è giovane, moderna, emancipata: capelli e gonne corte, lunghi orecchini e lunghe collane di perle. Si affermano i gioielli di Raymond Templier, Georges Fouquet, Gérard Sandoz e Jean Després, attratto dal modernismo e dalle macchine. Ma è anche il tempo delle grandi case di Place Vendôme: Cartier e Boucheron. Gioielli in bianco e nero o multicolori, in onice, cristallo, giada, corallo. Si impone il platino. Il periodo Déco ha prodotto alcuni dei piú bei gioielli del Novecento ed il suo stile è vivo ancora oggi.
Raymond Templier Jean Dunand Bracciale e spilla (anni Venti) Bracciale in smalto ed argento (1925) Gli anni Trenta La ‘lucida follia’ è ormai passata: il crac di Wall Street negli Stati Uniti e i cambiamenti socio-politici in Europa fanno tornare a gioielli piú tradizionali, ad un atteggiamento conservativo e finanziariamente rassicurante. Le linee sono piú morbide, anche se d’altro canto compare la streamline lunga e ‘veloce’ dei treni e dei transatlantici. Notevole uso di diamanti, ma al contempo grande importanza dei materiali.
Suzanne Belperron: anello con diamanti e zaffiri (circa 1935) Gli anni Quaranta e il Dopoguerra La guerra porta carenza di oro ed argento. Scarseggiano anche i gioielli artificiali. Si dà maggiore importanza al design. Si usano leghe di metallo e plastica. Finita la guerra le grandi case (Boucheron, Van Cleef & Arpels, Cartier) riprendono a proporre gioielli di pregio. L’aspetto del gioiello è talvolta piú ‘massiccio’, ma al contempo si affermano le spille di Cartier che rappresentano fauna esotica e che diventano il simbolo della Duchessa di
Windsor. Molti famosi artisti si cimentano nell’ideazione di gioielli: tra loro Braque, Tanguy, Man Ray, Dubuffet, Picasso, Fontana, Giacometti. Nel 1947 Christian Dior crea il suo ‘New look’: in Francia si affermano le “gemme false” e negli Stati Uniti la spilla in plastica lavabile.
Patrick Kapty: Bracciale in bakelite (anni Quaranta) Il boom e la Pop Art (1950-1969) Sono gli anni del boom economico, della rivoluzione sessuale e della Pop Art. L’attenzione si sposta dalle pietre preziose al contenuto ‘artistico’ del disegno orafo. Si nota una certa irriverenza nel trattamento dei metalli. Ha notevole importanza il gioiello artificiale, con uso di vinile e Plexiglas. Si afferma il concetto del ‘gioiello usa e getta’. Le grandi case internazionali, però, continuano a produrre gioielli eleganti fatti con materiali di pregio.
Cartier: anello con diamanti e zaffiri (anni Sessanta) Dagli anni Settanta alla fine del secolo Il carattere principale del trentennio è l’enorme progresso tecnologico, che ha prodotto notevoli cambiamenti sociali. Se dapprima taluni orafi si sono concentrati sugli aspetti artistici, con grande attenzione per il dettaglio, in seguito si è affermato il cosiddetto ‘Post-Moderno’, venato di una certa giocosità, di uno sguardo al ‘decorativo’ e di scarsa attenzione al ‘contenuto’. Torna l’interesse per ciò che è esotico e per materiali come osso ed avorio. Peraltro i grandi nomi, quali Bulgari, Asprey, Cartier, Boucheron e Tiffany, rimangono fedeli alla loro clientela tradizionale, che ricerca pietre e metalli preziosi.
Le conclusioni La gioielleria è una delle grandi industrie sia a livello nazionale che internazionale; ad essa è legata una fetta notevole dell’economia ed è un enorme bacino di opportunità di lavoro, dall’estrazione delle materie prime sino alla vendita del prodotto finito. Inoltre ad essa è associato un non trascurabile aspetto artistico; in piú il gioiello ha un potere di seduzione ed un fascino che attira anche chi non può o non è interessato ad acquistarlo. Nel Novecento il gioiello ha svolto ad altissimo livello sia il ruolo economico che quello estetico-culturale. Nel presente articolo si è voluta ripercorre la vicenda del gioiello nel Novecento attraverso l’inusitata lente della pubblicità, vale a dire l’ottica che viene proposta all’acquirente. Nel fornire un panorama di 100 anni di pubblicità si è cercato di suggerire modelli di comunicazione in un settore che da alcuni anni non sembra trasmettere con efficacia i propri messaggi per la pubblicizzazione del prodotto piú prezioso ed affascinante del mondo.
La Gazette du Bon Ton: pubblicità per la ditta Técla (anni Venti) N.B.: L’immagine del frontespizio è La perla, serigrafia in rilievo di Erté. . “La pubblicità del gioiello” è © Copyright 2005-2013 di Franco Maria Messina. All Rights Reserved.