L’obbligo formativo a Torino e provincia. Ritardo scolastico, dispersione, orientamento di Stefano Musso
1. Premessa. Dispersione scolastica e dispersione formativa: gli strumenti conoscitivi L’introduzione del nuovo obbligo formativo per i giovani fino al compimento dei 18 anni e la realizzazione della relativa anagrafe, secondo quanto previsto dalla legge 144/99, hanno spostato i termini delle modalità di riflessione e indagine sulla dispersione. L’obbligo formativo ha infatti introdotto una significativa novità sul piano dei principi, riconoscendo il valore ai fini scolastici dell’esperienza maturata nel lavoro: come è noto, infatti, i giovani possono adempiere l’obbligo formativo in tre canali, nella scuola, nella formazione professionale, nell’apprendistato. Il nuovo obbligo, peraltro, esce dal campo della pura enunciazione e acquista senso proprio solo se induce nei sistemi formativi nuove modalità operative capaci di flessibilizzare l’offerta, ampliare le opportunità per i giovani in difficoltà, facilitare i passaggi tra i tre canali in modo da evitare l’irreversibilità delle scelte; è questa flessibilità che va in ogni caso perseguita, al di là delle polemiche su quanto le scelte dei giovani debbano o possano essere anticipate o ritardate. L’obbligo formativo rimanda pertanto a una cooperazione sempre più stretta tra istituzioni, capace di rendere comunicanti i canali. La costruzione della stretta integrazione tra sistemi appare il compito che ragionevolmente devono porsi tutti i soggetti coinvolti, l’amministrazione scolastica e gli enti locali, gli operatori pubblici e privati, le forze sociali. La dispersione scolastica in età post-obbligo scolastico (oggi ridotto di un anno dopo il suo innalzamento contemporaneo all’introduzione dell’obbligo formativo) resta un elemento essenziale di valutazione della performance del sistema educativo e del potenziale capitale umano delle nuove leve a disposizione del mondo del lavoro e della società; tuttavia, la considerazione della dispersione scolastica va integrata con l’osservazione di quanto avviene negli altri due canali: diversa è infatti la dispersione del giovane che uscito dalla scuola non attiva più alcun contatto con percorsi formalizzati di apprendimento, rispetto alla dispersione di chi entra in percorsi di formazione professionale o accede al lavoro con regolari contratti di apprendistato e frequenta le attività formative previste. Occorre pertanto prendere in considerazione il fenomeno che si può chiamare della dispersione formativa, vale a dire dei giovani che sono fuori da tutti e tre i canali. L’anagrafe dell’obbligo formativo può costituire lo strumento principe per monitorare l’effettivo assolvimento del nuovo obbligo e per fornire le indicazioni necessarie a offrire ai giovani in difficoltà efficaci servizi di orientamento e interventi di sostegno e recupero. L’anagrafe infatti, qualora perfettamente funzionante e costruita in base a criteri che rendano possibile una adeguata elaborazione statistica dei dati in essa contenuti, presenta l’enorme vantaggio di consentire l’analisi dei
percorsi compiuti dai giovani che, durante o al termine di un anno scolastico/formativo, escono da una scuola (o da un corso o da un contratto di apprendistato), tentano presso un’altra scuola, o lasciano l’istruzione per la formazione professionale, o entrano in apprendistato, o dalla formazione o dall’apprendistato tornano a scuola, o dall’apprendistato rientrano in formazione, o restano fuori da ogni canale. La costruzione dell’anagrafe è peraltro operazione complessa. In primo luogo, la dispersione formativa è un fenomeno molto difficile da afferrare nelle sue dimensioni quantitative. I giovani in difficoltà e in uscita da un percorso formativo hanno molteplici possibili alternative, dentro e fuori il lavoro, e spesso le perseguono tentando e ritentando strade diverse, cosa che implica tempi morti tra una esperienza e l’altra. Vi sono poi le strade esterne ai tre canali dell’obbligo; tra queste, alcune comportano l’uscita dall’apprendimento formalizzato: il lavoro nero, l’aiuto nelle microaziende familiari o nei servizi domestici per la famiglia; altre, quali i corsi professionali a pagamento o le scuole private di recupero anni non implicano l’abbandono della formazione, anche se essa prosegue per canali incontrollati. In questa variegata complessità, ciò che più conta è che la condizione in cui si trovano i singoli può mutare con rapidità: la dispersione potrebbe essere misurata attraverso un censimento che la fotografasse in un determinato giorno dell’anno, e tuttavia ancora con la possibilità che alla sera la condizione di qualche giovane non sia più la stessa del mattino. Insomma, è molto difficile stabilire se e quando un giovane si possa dire disperso; o, per lo meno, tale condizione non può essere considerata definitiva, indipendentemente dal successo o meno delle azioni di recupero proposte dalle istituzioni: il giovane il dispersione può avere già un proprio progetto, avviabile dopo un certo lasso di tempo. In secondo luogo, l’anagrafe richiede la collaborazione di un numero elevato di scuole, di agenzie di formazione professionale, di centri per l’impiego. La costruzione di una rete di collaborazione di tal fatta, la partecipazione di tutti i terminali, la fissazione delle modalità di imputazione dei dati, la creazione e messa a punto del software sono operazioni complesse che richiedono tempo. Per questi due ordini di motivi, cui si uniscono gli errori materiali al momento dell’immissione dei dati, l’anagrafe di cui si dispone attualmente in provincia di Torino, relativa all’anno scolastico 2002-03, presenta ancora una serie di problemi che andranno affrontati in un prossimo futuro. Tuttavia, essa già consente una prima analisi, con la quale iniziare a scavare più a fondo sulle caratteristiche dei giovani in difficoltà e sui loro percorsi. Le ipotesi allo stato attuale formulabili possono altresì far emergere indicazioni per ulteriori ricerche e per miglioramenti delle modalità di rilevazione dei dati tali da fare dell’anagrafe uno strumento più affidabile e raffinato per la conoscenza del fenomeno. L’analisi della dispersione che segue, oltre ai dati, ancora provvisori, dell’anagrafe dell’obbligo formativo, utilizza fonti diverse: da quelle quantitative sul ritardo e la dispersione scolastica a quelle qualitative prodotte nell’ambito dei servizi di orientamento offerti dalla Provincia e dal Comune di Torino.
2. Il ritardo scolastico Alcuni dati sul ritardo scolastico in provincia di Torino negli ultimi vent’anni sono significativi dell’evoluzione del fenomeno e della sua dimensione quantitativa. Le bocciature innanzitutto. I ripetenti le singole classi della scuola elementare1 avevano ancora una qualche consistenza all’inizio degli anni ottanta del secolo che dobbiamo ormai chiamare scorso: in quinta elementare, la classe più colpita dalle bocciature, i ripetenti sul complesso dei frequentanti oscillavano intorno all’1,15%); da allora le ripetenze nella scuola elementare si sono ridotte progressivamente a un fenomeno residuale: nei primi anni del 2000 si aggiravano intorno al tre per mille (0,26% nell’anno scolastico 2002-03, in quinta); va purtuttavia notato che i ripetenti non sono del tutto scomparsi: nel 2002-03 erano pari allo 0,25% in prima, allo 0,25% in seconda, allo 0,13% in terza, allo 0,09% in quarta)2. Il passaggio alle medie rappresenta ancora oggi un primo scoglio nei percorsi scolastici, anche se decisamente meno appuntito di vent’anni fa: i tassi di ripetenza in prima media si sono infatti ridotti da valori intorno al 10-11 per cento dei primi anni ottanta al 4-5 per cento attuali (4,2% nel 2002-03); e tuttavia ad essi si aggiungono ancora oggi le difficoltà, seppur minori, con le quali i ragazzi si scontrano in seconda e terza media (rispettivamente 3,1% e 2,6% di ripetenti l’anno sempre nel 2002-03). La percentuale dei promossi all’esame di terza media è andata crescendo, da valori intorno al 90 per cento di vent’anni fa, al 96 per cento attuale; di pari passo, anzi con maggior velocità, è cresciuto il tasso di passaggio dalle scuole medie alle superiori, anche se ancora non riguarda la totalità dei giovani: le quote attuali, ancorché non esattamente quantificabili3, sono superiori al 95 per cento. Lo scoglio del passaggio dalle medie inferiori alle superiori si presenta, come ci si può attendere, molto più grande e insidioso di quello del passaggio dalle elementari alle medie. Nelle classi prime delle secondarie superiori la presenza di ripetenti ha avuto negli ultimi vent’anni un andamento diverso da quello del miglioramento lento e costante riscontrabile negli indicatori sinora considerati: nei primi anni del Duemila, con una presenza di ripetenti intorno al 10 per cento (10,3% nel 2001-02; 8,7% nel 2002-03), si è arrivati a una situazione di pochissimo migliore in confronto agli anni ottanta del Novecento, quando la quota si aggirava intorno all’11 per cento; nella parte centrale del periodo, la quota di ripetenti si era alzata mantenendosi, tra il 1985 e il 1992, intorno al 15 per cento: per diversi anni, dunque, alla crescita del tasso di passaggio dalla scuola media alla scuola superiore, quest’ultima, non avendo adeguato gli standard richiesti, ha risposto accrescendo la selezione; solo negli ultimi tempi, da dieci anni a questa parte, i tassi di ripetenza 1
I dati si riferiscono ai ripetenti la classe frequentata, non al ritardo eventualmente accumulato negli anni precedenti, e i tassi sono calcolati come percentuale dei ripetenti sul totale dei frequentanti, non come quota di bocciature. 2 Dati forniti da Beppe Spinnato. 3 I dati di cui disponiamo, basati sul confronto tra il numero degli iscritti alla terza media e alla prima superiore (dedotti i ripetenti) non tengono conto dei trasferimenti e degli spostamenti pendolari tra province limitrofe degli studenti delle superiori.
sono poco alla volta diminuiti, assestandosi, come abbiamo visto, a livello di poco inferiori a quelli di vent’anni addietro. Tra le cause della minor selezione attuale vanno peraltro annoverati due fenomeni non, o non sempre, riconducibili alla maggior capacità delle scuole di evitare i fallimenti attraverso il coinvolgimento degli studenti con iniziative attive e stimolanti (che pur non mancano in diversi istituti). Il primo fenomeno non ha un significato positivo: deriva dall’onda della denatalità che, giunta alle superiori, ha indotto in parte degli insegnanti un opportunistico allargamento della manica dovuto al desiderio di conservare il posto di lavoro relativamente comodo conquistato dopo lunghi anni di vita professionale costellata da concorsi, abilitazioni, trasferimenti. Il secondo fenomeno deriva dall’abolizione dell’esame di riparazione: l’alternativa secca tra bocciatura e promozione ha portato, si può dire, alla scomparsa delle bocciature che un tempo si effettuavano a settembre; esso ha un segno positivo, essendo stato sancito il principio che la scuola non deve solo giudicare ma assumersi l’onere di aiutare l’allievo a raggiungere gli standard prefissatisi; ma questo vale solo laddove le attività di recupero, sostegno, tutoraggio hanno rappresentato un effettivo sforzo di innovazione e non una breve attività marginale di ossequio formale alle nuove direttive. I giovani continuano peraltro a incontrare insuccessi e ritardi nel corso degli anni di scuola, tanto che la situazione si presenta ancora oggi piuttosto preoccupante, come mostra una serie di dati aggregati sull’insieme delle scuole medie superiori del Piemonte4, che presentiamo di seguito. Tabella 1.1 – Tassi di abbandono scolastico per sesso e per classe di iscrizione nelle scuole medie secondarie superiori della regione Piemonte (ritirati non valutati più bocciati che non ripetono presso la stessa scuola nell’anno scolastico successivo, in percentuale sugli iscritti). Medie degli aa.ss. 1998-99, 1999-00, 2000-01
Femmine Maschi Totale
Classe I 10,5 15,5 13,0
ClAsse II 5,4 8,7 7,0
Classe III 5,0 8,3 7,3
Classe IV 3,7 6,4 4,6
Classe V 2,4 4,1 3,2
Totale 6,1 9,2 7,6
Come si può osservare alla tabella 1.1, l’abbandono scolastico è nettamente più elevato in prima, con il 13%, contro una media per l’insieme del quinquennio del 7,6% (si noti che si tratta qui dell’abbandono della scuola presso la quale si era iscritti, non dell’abbandono definitivo dei percorsi scolastici). Il tasso di abbandono dei maschi supera di molto quello delle femmine: una volta e mezza (9,2% contro 6,1%) nell’insieme delle classi, e la peggiore performance maschile si ripete in tutte le cinque classi.
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I dati sono frutto di nostre elaborazioni su tabelle prodotte dall’Osservatorio sul sistema formativo piemontese e disponibili sul sito www.sisform.piemonte.it.
Tabella 1.2 - Tassi di ritiro in corso d’anno per sesso e per classe di iscrizione nelle scuole medie secondarie superiori della regione Piemonte (iscritti non valutati a fine anno in percentuale sugli iscritti). Medie degli aa.ss. 1998-99, 1999-00, 200001
Femmine Maschi Totale
Classe I 2,7 4,4 3,6
ClAsse II 1,8 3,0 2,3
Classe III 1,8 3,1 2,4
Classe IV 1,8 3,2 2,4
Classe V 0,6 1,3 0,9
Totale 2,0 3,2 2,5
I ritiri nel corso dell’anno scolastico (tabella 1.2) non sono molto numerosi, per lo meno in confronto agli abbandoni a fine anno in seguito alle bocciature. La generalità degli studenti, piuttosto che ritirarsi, tende a portare a termine l’anno e ad aspettare il giudizio finale. Nel complesso delle classi gli abbandoni sono pari al 2,5%, anche qui con tassi marcatamente superiori per i maschi, quasi doppi (3,2% contro 1,7%). In prima il fenomeno dei ritiri è più accentuato, ma negli anni successivi la situazione non migliora sensibilmente: solo in quinta si riscontrano ritiri decisamente meno numerosi.
Tabella 1.3 - Tassi di bocciatura per sesso e per classe di iscrizione nelle scuole medie secondarie superiori della regione Piemonte (bocciati in percentuale su scrutinati/esaminati). Medie degli aa.ss. 1998-99, 1999-00, 2000-01
Femmine Maschi Totale
Classe I 15,4 22,4 19,0
ClAsse II 8,7 14,9 11,7
Classe III 8,5 14,7 11,4
Classe IV 5,4 11,7 8,4
Classe V 3,0 6,7 4,7
Totale 8,9 14,8 11,8
Se si guarda alla quota di bocciati (tabella 1.3), essa conferma per l’ennesima volta il maggior successo femminile, con differenze come al solito marcate. La prima si conferma l’anno di gran lunga più problematico, la seconda e la terza si collocano al livello della media generale, solo in quarta e soprattutto in quinta le bocciature diminuiscono sensibilmente. In prima poco meno di un maschio su quattro viene respinto, mentre le ragazze bocciate sono una su sei.
Tabella 1.4 – Bocciati che ripetono la classe nella stessa scuola nell’anno successivo, su totale bocciati (percentuale). Medie degli aa.ss. 1998-99, 1999-00, 2000-01
Femmine Maschi Totale
Classe I 48,7 48,1 48,4
ClAsse II 58,7 61,8 60,6
Classe III 62,5 64,9 62,6
Classe IV 64,1 72,3 69,5
Classe V 55,0 63,3 59,5
Totale 53,5 58,7 56,4
La quota di bocciati che ritentano l’anno successivo nella stessa scuola (tabella 1.4) è particolarmente bassa in prima, dove risulta inferiore alla metà, senza differenze per sesso. Le difficoltà sperimentate inducono a cambiare, presumibilmente non solo scuola ma anche indirizzo di studio, o a cercare alternative nella formazione professionale, o a uscire verso il lavoro. Una volta superato lo scoglio del primo anno, la tendenza a ripetere aumenta, nella speranza di riuscire a completare il percorso. Le differenze per sesso cominciano a notarsi, e diventano rilevanti, dalla terza classe in poi: i maschi appaiono più tenaci delle femmine nel riprovare. La performance scolastica femminile è migliore di quella maschile già a livello di medie inferiori, come mostra il confronto per sesso dei risultati di esami e scrutini, (tabella 2)5, dalla quale risulta che nell’ordine medio inferiore i tassi di bocciatura dei maschi sono mediamente doppi di quelle delle femmine. Tabella 2 – Respinti a scrutini ed esami nella regione Piemonte, in percentuale sul totale degli esaminati, per classi di scuola media inferiore e sesso. Media a.s. 2000-01 e 2001-02
Femmine Maschi Totale
Classe I 3,1 6,7 5,1
Classe II 2,8 5,3 4,1
Classe III 0,7 0,9 0,8
Totale 2,2 4,5 3,4
Se si considera invece la presenza di ripetenti, nelle classi di scuola media inferiore della provincia di Torino nell’a.s. 2002-03, essa è pari al 5,9% per i maschi e al 2,2% per le femmine in prima, al 4,2% per i maschi e all’ 1,9% per le femmine in seconda, al 3,3% per i maschi e all’ 1,9% per le femmine in terza6. Nel complesso delle tre classi, i ripetenti maschi sono 1362 su 30142 frequentanti (4,5%), le ripetenti femmine sono solo 546 su 27283 (2,0%).
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Elaborazione su dati Osservatorio sul sistema formativo piemontese. Queste percentuali sono calcolate su dati forniti da Beppe Spinnato.
Con le bocciature, si ha il fenomeno del ritardo accumulato. Nel 2002-03, nell’insieme delle classi prime delle secondarie superiori della provincia, gli allievi maschi che presentano un ritardo sono uno su quattro: coloro che frequentano all’età giusta sono il 75%; una minuscola minoranza, pari all’1,2%, è in anticipo, il 17,4% è in ritardo di un anno, il 4,6% di due anni, l’1,2% di tre anni, lo 0,5% di ben quattro anni; tra le femmine, il ritardo è più contenuto, interessando, sempre nelle classi prime, una allieva su cinque: l’80,2% delle ragazze frequenta all’età giusta, l’1,6% è in anticipo, il 13,7% è in ritardo di un anno, il 3,2% di due anni, l’1% di tre anni, lo 0,4% di quattro anni. Questo diverso andamento per sesso fornisce un ulteriore indicatore del miglior successo scolastico femminile, caratteristico, come abbiamo visto, sia della media inferiore che della media superiore. La situazione più difficile si riscontra negli istituti professionali, specialmente negli indirizzi commerciali e industriali: gli allievi maschi “in regola” con gli anni sono solo il 47,7% nei primi e il 53,5% nei secondi, le femmine rispettivamente il 63,7% e il 66,4%; la realtà migliore è, al polo opposto della “gerarchia” tra le scuole ancora plasmata sul modello gentiliano, quella dei licei scientifici e classici, nei quali, rispettivamente, i maschi in età giusta sono l’89,7% e l’87,6%, le femmine il 90,6% e l’89,9%. La distanza tra i due estremi è ancora più ampia se si tiene conto che nei licei classici e scientifici sono numerosi i giovani che sono andati a scuola con un anno di anticipo: 5% dei maschi e 4,6% delle femmine nei classici, 3,1% dei maschi e 3,2% delle femmine negli scientifici, contro una presenza assolutamente eccezionale nei professionali. Una differenza di questa portata è ovviamente dovuta al fatto che ai licei si iscrivono prevalentemente giovani che non sono incorsi in bocciature nella scuola dell’obbligo e che hanno mostrato le migliori attitudini scolastiche, il che li mette in grado di incontrare minori difficoltà anche nel passaggio alle superiori. Non sarà invece superfluo osservare che la tutt’altro che irrilevante presenza nei licei di giovani in anticipo rimanda al fatto che qui finiscono per concentrarsi coloro i quali, solitamente nati nella parte finale dell’anno, provengono da famiglie di ceto relativamente elevato, culturalmente sensibili all’importanza dell’istruzione nei percorsi di vita e di carriera professionale, le quali si ingegnano ad anticipare l’ingresso dei figli nel percorso scolastico, il che avviene di solito attraverso l’accesso diretto alla seconda elementare dopo un periodo di frequenza in scuole private o in qualità di “uditori” nella scuola pubblica. Il fenomeno del ritardo, pur differenziato per indirizzi di studio superiori, è dunque ancora saldamente radicato e si connette, alimentandola, alla dispersione scolastica. Quest’ultima, non va dimenticato, contribuisce peraltro a diminuire la dimensione statistica del ritardo facendo scomparire dalle aule una parte di coloro che, più di altri, hanno accumulato bocciature. Allo stesso tempo, la presenza tutt’altro che sporadica tra i banchi di scuola, sempre nella prima classe superiore, di giovani che hanno accumulato due o più anni di ritardo (nei professionali commerciali e industriali arriva a trovarsi in tale condizione, rispettivamente, il 21,4% e il 16,0% dei maschi e il 10,5% e 9,0% delle femmine), testimonia il rilievo dei tentativi di riprovarci, di evitare l’abbandono; così come, una volta usciti dalla normale frequenza scolastica ed entrati in condizione di dispersione, nel giro di
qualche anno si rivelano numerosi i tentativi di rientro formativo, spesso segnati da tortuosi e accidentati quanto pervicaci percorsi tra istruzione, formazione professionale e lavoro, che già i giovani già percorrevano prima dell’introduzione dell’obbligo formativo, come è stato mostrato alcuni anni or sono da una delle poche ricerche sul campo, incentrata sull’area torinese7. Se si osservano, in provincia di Torino, gli iscritti al primo anno della secondaria superiore (tabella 3)8, si nota che il numero delle donne è inferiore a quello degli uomini, con una differenza marcata, pari al 7,9%9. Nel secondo anno, fatto uguale a 100 il numero delle iscritte femmine al primo anno, si ha una diminuzione a 84,8, a fronte di una diminuzione molto più marcata dei maschi, che scendono di quasi dieci punti percentuali in più, a 77,3; il risultato è che nel secondo anno le femmine ribaltano l’inferiorità numerica, superando leggermente i maschi, dell’1,1%. Il semplice confronto tra gli iscritti ai vari anni non è che un indicatore indiretto e incerto della selezione, in quanto possono giocare variazioni da un anno all’altro nelle scelte dell’indirizzo di studio dei giovani e delle famiglie all’ingresso nelle superiori, come pure i cambiamenti successivi, per lo più conseguenti a bocciature; tuttavia, si può notare anche qui che le ragazze sembrano andare incontro a una selezione meno dura nel corso del primo anno. Nel passaggio tra i due anni, la differenza più forte a sfavore dei maschi si ha negli istituti professionali; a parte il caso numericamente limitato dell’indirizzo artistico, la diminuzione maggiore del totale degli iscritti si registra nei professionali e nei licei classici: la selezione sembra colpire maggiormente al vertice e alla base della gerarchia tra indirizzi.
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Si veda L. Albert, E. Allasino, P. Cerutti, Dispersi e ritrovati. Indagine sui percorsi di uscita dalla scuola e di rientro in formazione dei giovani torinesi, Torino, Bollati Borighieri, 1996. 8 Elaborazione su dati forniti da Beppe Spinnato. 9 Va notato che il fatto che il numero degli iscritti maschi sia superiore a quello delle femmine, tanto alle medie inferiori che alle superiori, non dipende da un minor tasso di scolarità femminile: deriva invece da una certa preponderanza maschile nella popolazione delle classi d’età giovanili: stando ai dati del censimento del 2001 per la provincia di Torino, nella popolazione tra i 14 e i 18 anni i maschi residenti erano 47.104 contro 44.779 femmine (elaborazione su dati, non ancora definitivi, del censimento 2001 sulla popolazione per età e sesso nei singoli comuni della provincia di Torino, disponibili in tabella excel al sito www.regione.piemonte.it/stat/bdde/index.htm).
Tabella 3 - Provincia di Torino. Iscritti al primo e secondo anno delle scuole secondarie superiori per sesso, a.s. 2002-03 Ist.Profess .
Tecnici
Lic/Ist. Art. Ist.Magistr
Lic.ScLing.
Lic.Class.
Altri
TOTALE
1 anno F 1M 1 TOT
2248 2742 4990
2542 4681 7223
510 198 708
1176 190 1366
2384 2462 4846
1024 460 1484
17 13 30
9901 10746 20647
2 anno F 2M 2 TOT
1939 1977 3916
2108 3639 5747
381 143
1047 147 1194
2088 2045 4133
809 337 1146
22 18 40
8394 8306 16700
1+2 F 1+2 M 1+2 TOT
4187 4719 8906
4650 8276 12970
891 341 1232
2223 337 2560
4472 4507 8979
1833 797 2630
39 31 70
18295 19052 37347
79 77,3 77,2
129,4 138,5 133,3
84,8 77,3 80,9
130,8
92,1
Indici iscritti per sesso al 2 anno, 1 anno = 100 1=100 2 anno F 2M 2 TOT
86,3 72,1 78,5
82,9 77,7 79,6
74,7 72,2 74
89 77,4 87,4
87,6 83,1 85,3
Femmine iscritte al primo anno in percentuale sui maschi 1 F%M
82
54,3
257,6
618,9
96,8
222,6
Quanto ai cambiamenti di indirizzo, alcune indicazioni qualitative originate dall’osservazione del fenomeno condotta all’interno dei servizi di orientamento suggeriscono che, a fronte di difficoltà scolastiche, i giovani iscritti ai tecnici raramente passano ai professionali, percepiti per lo più come un doppione dei tecnici, in seguito alla quinquennalizzazione dei professionali stessi e alla produzione di Piani dell’offerta formativa di alto profilo; i passaggi da entrambi i tipi di istituti vanno più frequentemente in direzione della formazione professionale. Più consistenti sono invece i passaggi dai licei ai tecnici e ai professionali. Ancora molto poco praticato è il raccordo tra scuole per costruire passerelle tra un indirizzo e l’altro per i giovani in difficoltà nel corso dell’anno scolastico, che potrebbero evitare bocciature limitando il fenomeno del ritardo e, di conseguenza, la dispersione.
3. La dispersione secondo l’anagrafe dell’obbligo formativo Come abbiamo osservato, l’anagrafe dell’obbligo formativo per le province del Piemonte è uno strumento in costruzione che non ha ancora raggiunto l’assetto definitivo10. Tuttavia, gli ordini di grandezza dei dati in essa contenuti mostrano che è ormai passibile di analisi per trarne una prima serie di considerazioni, ancorché provvisorie, e di indicazioni di massima. L’anagrafe per l’anno scolastico 2002-03 contiene 63218 nominativi di giovani tra i 14 e i 17 anni, contro un numero di iscritti alle prime quattro classi delle scuole secondarie superiori della provincia pari a 66451. Anche se a formare i 63.218 concorrono 2841 giovani tra i 14 e i 16 anni iscritti e segnalati dalle scuole medie inferiori, il grado di copertura appare elevato11. Abbiamo chiesto all’anagrafe due estrazioni di dati: la prima ha preso in considerazione tutti i ragazzi presenti nell’anagrafe che nel 2003 avevano 15, 16, 17 anni (le classi d’età dell’obbligo formativo prima della riduzione di un anno dell’obbligo scolastico), nati cioè nel 1986, 1987, 1988, per i quali non era presente, nell’anno scolastico/formativo 2002-03, un’iscrizione preso una scuola, un’agenzia formativa, né era attivo un contratto di apprendistato; la seconda estrazione ha considerato gli allievi iscritti alla scuola nel 2002-03 che nel corso dell’anno risultavano trasferiti, ritirati o che avevano abbandonato, con l’indicazione dell’eventuale canale di destinazione: si è cioè verificato se i ragazzi risultavano iscritti preso un’altra scuola, un’agenzia di formazione professionale, o assunti in apprendistato12. Con la prima estrazione si intendeva indagare sulla dispersione, con la seconda sui percorsi compiuti dai ragazzi in difficoltà scolastica. Stando ai dati emersi dall’anagrafe, che contiene anche nominativi non segnalati dalle scuole ma risultanti dalla banca dati regionale della popolazione13, sono 9955 i giovani tra i 15 e i 17 anni per i quali, tra il settembre 2002 e l’agosto 2003, non risulta un’iscrizione presso una scuola, né presso un’agenzia di formazione professionale, né un rapporto di lavoro di apprendistato. Essi rappresentano il 15 per cento circa della popolazione provinciale in quella classe d’età secondo il censimento del 2001. Tenuto conto che il tasso di conseguimento del diploma secondario superiore si aggira intorno al 70 per cento14 e che una parte di coloro che frequentano si disperderanno nel corso degli anni successivi, si può ritenere che l’anagrafe 10
Anche nell’esperienza che al momento appare la più avanzata in Italia, quella della Provincia di Bologna, l’anagrafe ha comportato un non breve processo di ottimizzazione della raccolta dati. Cfr. Assessorato alle politiche scolastiche, formative e dell’orientamento; edilizia scolastica della Provincia di Bologna, Verso un Osservatorio sulla scolarità. Scelte e percorsi dei giovani in obbligo formativo nella provincia di Bologna. Primo Rapporto sperimentale (19992002), a cura di B. Giullari, Roma, Carocci, 2003. 11 Specie se si tiene conto che l’anagrafe non considera gli iscritti residenti fuori provincia anche se frequentanti scuole situate nel territorio provinciale. 12 Le estrazioni sono state effettuate da Maria Grazia Bongiovanni. I dati sono stati successivamente elaborati con l’aiuto determinante di Giovanni Garbarini. 13 Uno dei problemi dell’anagrafe obbligo formativo sta nel fatto che la banca dati sulla popolazione non è neppure essa completa, mancando ancora i dati di diversi comuni. 14 Stimato con il sistema “per coorti” dal Censis.
contenga una mole di dati che, pur non coincidendo con l’universo né costituendo un campione, si può considerare rappresentativa della massa di giovani che sperimentano difficoltà scolastiche e situazioni di dispersione rispetto all’obbligo formativo. Tra i 9955 giovani 15-17enni “dispersi”, come è ragionevole attendersi, prevalgono i 17enni, nati nel 1986, che costituiscono la metà del totale (50,7%), seguiti dai nati nel 1987 (30,8%) mentre meno numerosi sono i 15enni, nati nel 1988 (18,5%). Piuttosto sorprendentemente, il numero dei maschi non supera se non di pochissimo quello delle femmine. Di una metà abbondante del totale non si hanno notizie sui percorsi formativi precedenti: si tratta di nominativi contenuti nella banca della popolazione sui quali le scuole non hanno mandato segnalazioni negli ultimi due anni. Dell’altra metà scarsa (4821) si conosce l’ultima classe frequentata: il grosso ha lasciato nel corso del biennio delle superiori: il 45 per cento in prima, il 30 per cento in seconda; del restante quarto, il 10 per cento ha lasciato in terza, il 5 per cento in quarta; il 9 per cento ha lasciato già in terza media. Per 462 giovani l’ultimo percorso frequentato risulta la formazione professionale, mentre per 41 l’ultima esperienza segnalata è stata l’apprendistato. Tra i dispersi, sia nel caso della scuola che della formazione professionale, il 30 per cento ha lasciato nel corso dell’anno precedente, nel 2001-02, il 70 per cento nel 2002-03. Quanto alla tipologia dell’ultima scuola secondaria superiore frequentata, il 5 per cento proviene dagli indirizzi artistici, il 7 per cento dagli istituti magistrali, il 10 per cento dal liceo classico, il 24 per cento dallo scientifico, il 53 per cento dagli istituti professionali e tecnici15. Se si confrontano questi ultimi dati con la distribuzione degli iscritti ai vari indirizzi nell’insieme di classi prime e seconde (le due maggiori fonti di dispersione) nello stesso anno scolastico 2002-03 (tabella 4), si può notare una pressoché perfetta coincidenza: gli scarti più significativi (ma pur sempre contenuti) si hanno per i professionali/tecnici (58,5% degli iscritti, 53% dei dispersi) e i licei classici (7% degli iscritti, 10% dei dispersi); tuttavia essi rimandano non certo a una dispersione proporzionalmente minore prodotta dai professionali/tecnici né a una dispersione maggiore prodotta dal liceo classico, quanto al fatto che i primi tipi di istituti risultano più sensibili al problema e maggiormente in grado di seguire i propri allievi nelle vicende successive alla bocciatura, mentre i licei sono meno attenti; è inoltre presumibile che i dispersi dal liceo classico alimentino più di altri le scuole private e di recupero anni.
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La presenza all’interno di alcuni istituti scolastici di indirizzi sia professionali che tecnici non consente al momento attuale la distinzione tra i due tipi di scuola.
Tabella 4 - Distribuzione percentuale iscritti al primo e secondo anno per indirizzi. Provincia di Torino, a.s. 2002-03 Ist.Profess . 1+2F% 22,9 1+2M% 24,8 TOT% 23,8
Tecnici 25,4 43,4 34,7
Lic/Ist. Art.
Ist. Lic.Scient- Lic.Class. Magistr Ling. 4,9 12,2 24,4 10 1,8 1,8 23,7 4,2 3,3 6,9 24 7
Altri
TOTALE 0,2 0,2 0,2
100 100 100
Anche se occorre considerare questi dati con molta cautela, perché nell’anagrafe le informazioni mancanti sono numerose, emergono con chiarezza alcune evidenze. La prima annotazione è la rilevanza delle prime due classi secondarie superiori non solo per il ritardo scolastico ma anche come fonte principale di alimentazione della dispersione; quest’ultima, peraltro, non è irrilevante neppure nel terzo anno; coloro che lasciano durante la quarta, avendo completato tre anni, rappresentano invece una componente residuale (in parte potrebbe trattarsi di qualificati triennali della istruzione professionale, che hanno comunque raggiunto un titolo superiore alla terza media); inoltre, è ipotizzabile che alcuni di essi non rinuncino a tentare il completamento del percorso quinquennale alimentando il fenomeno delle scuole di recupero anni. Non irrilevante appare invece la dispersione precoce: gli usciti dalla terza media incidono per quasi il 10 per cento del totale dei dispersi. La seconda annotazione è che le difficoltà nei percorsi scolastici e la dispersione sono alimentate, in proporzione agli iscritti, non solo dai professionali e dai tecnici ma da tutti gli indirizzi superiori, pur con intensità ed esiti probabilmente differenziati. Su questo punto, tuttavia, gli strumenti di conoscenza dei percorsi compiuti dai giovani devono percorrere ancora molta strada sulla via dell’ottimizzazione. Qualche considerazione a proposito dei percorsi si può tentare analizzando i dati relativi ai giovani che nell’a.s. 2002-03 risultavano iscritti a una scuola e hanno interrotto la frequenza, a qualsiasi titolo (trasferimento, ritiro, abbandono), verificando l’eventuale canale di destinazione (altra scuola, formazione professionale, contratto di apprendistato). I nominativi estratti dall’anagrafe risultano 4001. I giovani in questa condizione sono, come ci si poteva aspettare, in buona parte nati nel 1988, vale a dire i 14-15enni nel 2002-03, quelli in età da prima superiore; essi sono pari al 41%, a fronte del 21,2% di nati nel 1987, all’11,4% di nati nel 1986, al 13,1% di nati nel 1985; piuttosto alta risulta la presenza di nati nel 1989, dunque frequentanti ancora la media inferiore. E in effetti, la classe di iscrizione della scuola abbandonata è la terza media per il 17 per cento, la prima superiore per il 55 per cento, la seconda per il 12 per cento, la terza e la quarta entrambe per l’8 per cento. I nati nel 1989, anno che corrisponde alla frequenza regolare della terza media, escono al 98% per l’appunto da questa classe, ma il due per cento esce dalla prima e dalle seconda media. I nati nel 1988, la classe d’età più numerosa, escono in gran parte dalla prima superiore, ma per il 13,3% hanno già accumulato un anno di ritardo
scolastico ed escono dalla terza media. I nati nel 1987, che dovrebbero frequentare la seconda superiore, escono da questa classe solo per il 29,6%, mentre due terzi di essi (il 65,9%) hanno già accumulato un anno di ritardo ed escono dalla prima superiore, e il 3,9%, con due anni di ritardo, esce dalla terza media. I nati nel 1986 escono con una equilibrata distribuzione tra le prime tre classi delle superiori (35,9% dalla prima, dunque con due anni di ritardo accumulato, 31,9% dalla seconda, 30,4% dalla terza). I nati nel 1985 escono invece in buona misura dalla quarta (61,5%), l’anno “giusto” di frequenza, avendo accumulato meno ritardo (il 16,8% esce dalla terza, il 12,8% dalla seconda, l’8,6% -tre anni di ritardo- dalla prima): evidentemente, chi entra tardi in difficoltà, e si tratta di una minoranza dei frequentanti le classi che si possono ormai dire terminali, impatta sullo scoglio molto spesso per la prima volta, mentre il maggior ritardo accumulato si registra in chi abbandona durante la seconda e la terza superiore. Quanto al genere, i maschi superano leggermente le femmine, con il 53,6%, quando ci si poteva aspettare una maggior quota maschile tra i giovani in difficoltà; anche se la distribuzione per genere delle varie classi di età non mostra scostamenti ampi, si può notare che mentre tra i 13-14-15enni vi è parità tra maschi e femmine, tra i 15-16-17enni prevalgono i maschi. La tendenza femminile a un abbandono precoce è confermata dai dati sulla classe di iscrizione, che vede le ragazze uscire in proporzione maggiore che non i ragazzi dalla prima superiore (rispettivamente 59% contro 51%), mentre tra gli uomini è maggiore la proporzione di coloro che escono in seconda, terza, quarta. Gli insuccessi si concentrano, in questa estrazione, ancor più nettamente sugli istituti professionali e tecnici, con una quota vicina al 90 per cento. Più che descrittivo della realtà della dispersione, il dato indica che questi istituti sono i più attivi nel costruire rapporti che consentono il passaggio in corso d’anno, in particolare verso la formazione professionale; in effetti, il grosso dei ragazzi di cui si conosce il percorso dopo l’abbandono della scuola di iscrizione entra nella formazione professionale: si tratta di oltre 3.315 casi, contro 321 ingressi in apprendistato e solo 267 passaggi ad altra scuola (la somma delle tre destinazioni supera il totale di 4001 perché vi sono casi in cui si verifica più di un passaggio). Questi dati vanno considerati con particolare cautela, in quanto l’anagrafe si rivela qui ancora decisamente lacunosa quanto alla capacità di raccogliere tempestivamente da tutte le scuole le informazioni sui flussi dei ragazzi; tuttavia l’entità dello scarto tra scuole e formazione professionale non stupisce se si tiene conto che è stato presumibilmente registrato meglio che non gli altri casi il passaggio dalla scuola alla formazione professionale, grazie all’attenzione e alla collaborazione cementata nelle sperimentazioni che da tempo si conducono in Piemonte sull’orientamento e sull’obbligo scolastico/formativo integrato tra scuola e formazione professionale; le registrazioni riguardano prevalentemente i passaggi alla formazione professionale da istituti professionali e tecnici, passaggi che avvengono, non a caso, in gran parte dalle prime classi superiori, per il 55 per cento, e per il 17 per cento direttamente dalla terza media. Negli altri casi, l’anagrafe soffre di una minor attenzione e tempestività nella segnalazione, ma il limitato numero di passaggi ad altre scuole conferma la tendenza dei giovani, se non stimolati e aiutati direttamente, ad attendere l’esito del
giudizio finale e a trasferirsi così ad altra scuola dopo la bocciatura. Il numero esiguo di trasferimenti registrati da scuola a scuola in corso d’anno non consente un’analisi dei flussi tra gli indirizzi scolastici, che sarà tuttavia possibile in futuro quando si disporrà di dati attendibili per più anni. 4. I servizi di orientamento della Provincia e del Comune di Torino Il Servizio orientamento obbligo formativo della Provincia di Torino, che opera in stretto collegamento con i Centri per l’impiego (Cpi), ha operato, tra il novembre 2002 e il giugno 2003, in base a un elenco nominativo di 2785 giovani in obbligo formativo, di cui 824 nel comune di Torino. Le modalità del contatto sono riconducibili a quattro casi. Il primo è quello dei giovani che si presentano spontaneamente al centro per l’impiego e da questo, essendo in età di obbligo formativo, sono inviati al servizio di orientamento o da giovani che si presentano direttamente al servizio di orientamento; il secondo è la segnalazione al servizio di nominativi di giovani dispersi o a forte rischio di dispersione da parte di enti e organizzazioni del territorio: scuole, agenzie di formazione professionale, enti socioassistenziali, altri centri per l’impiego, altri uffici pubblici (ad esempio l’ufficio stranieri del Comune di Torino); il terzo è l’estrazione dagli elenchi nominativi contenuti nella banca dati Netlabor, che riguarda i giovani con esperienza di apprendistato16; il quarto è l’estrazione dei nominativi di giovani che risultano dispersi dall’anagrafe regionale dell’obbligo formativo. L’utenza spontanea copre più di un quarto del totale, il 28,2% dei casi; le segnalazioni dal territorio il 30,5%; l’estrazione da Netlabor l’8,8%; l’anagrafe regionale poco meno di un terzo, il 32,5%. Tra le segnalazioni dal territorio sono le scuole a giocare il ruolo più significativo, con il 15,8% del totale complessivo, seguite dalle agenzie di formazione professionale, con il 6,4%, mentre agli enti socioassistenziali tocca il 4,1% e agli altri uffici pubblici e a voci varie va il restante 3,1%. Si è pertanto verificato, nell’insieme della provincia, un sostanziale equilibrio tra i canali di contatto: sommando l’utenza spontanea e le estrazioni da Netlabor (vale a dire coloro che passano in un modo o nell’altro attraverso i centri per l’impiego) si raggiunge un terzo dei contatti; un secondo terzo va alle estrazioni dall’anagrafe regionale e l’ultimo terzo alle segnalazioni dal territorio. Una composizione non dissimile si ha per il Comune di Torino. Le modalità di contatto, tuttavia, pur presentandosi equilibrate sotto il profilo quantitativo, non sono neutre riguardo alla probabilità che il contatto dia origine a un’effettiva azione orientativa. Le estrazioni dall’anagrafe regionale dell’obbligo formativo, in particolare, soffrono dei limiti di
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Rientrano in questa voce anche i giovani che, entrati in contatto con i centri per l’impiego prima del novembre 2002, avevano dichiarato la propria disponibilità al lavoro in apprendistato; essi sono stati ricontattati dal servizio per l’orientamento, sia che fossero nel frattempo stati avviati al lavoro sia che fossero ancora in attesa. Queste e le informazioni che seguono sono state tratte da relazioni interne al Servizio orientamento (a duplicato) e da colloqui con gli operatori. Devo un ringraziamento a Sheila Bombardi, Fiorenza Coatto, Cristina Rago, Vittorio Serra.
varia natura già ricordati17, che fanno sì che gli elenchi in esse contenuti abbiano rappresentato, almeno per ora, lo strumento meno fruttuoso dal punto di vista della presa di contatto con la reale dispersione; più affidabili si sono rivelate le segnalazioni dirette da scuole, agenzie di formazione professionale ed enti, mentre l’utenza che si presenta spontaneamente è quella che, come è del resto ovvio, più facilmente accetta di avviare un percorso con il servizio di orientamento. Nel bacino per l’impiego del Comune di Torino, sono stati 647 i casi presi in considerazione in fase preliminare dal servizio della Provincia; essi hanno dato vita a 443 azioni di prima accoglienza. I soggetti che hanno accettato di avviare un percorso con il servizio sono stati 287: di essi 200 già in stato di dispersione, 87 a rischio. L’esito delle azioni è stato per 141 individui l’uscita dalla dispersione, per lo più con il rientro in formazione (44 nell’istruzione statale, 72 nella formazione professionale), o nella formazione legata al lavoro (11 avviati tra apprendistato e lavoro a tempo determinato o stagionale). Per 69 giovani, il cui percorso non era ancora concluso, i progetti erano ancora aperti al giugno 2003, mentre 77 avevano interrotto il percorso. Informazioni sistematiche sono disponibili per un elenco di 396 individui18 contattati dal servizio. La classe d’età più numerosa risulta quella dei nati nel 1985 (42%), vale a dire coloro che, essendo destinati a compiere 18 anni nel 2003, erano sulla soglia dell’uscita dall’obbligo formativo; seguono i 16-17enni, nati nel 1986, con il 30%; i nati nel 1987, 15-16enni, con il 20%; i nati nel 1988, 14-15enni, con l’8%; una presenza marginale tocca a giovani nati nel 1984, ormai fuori dall’obbligo formativo. In larga maggioranza si tratta di maschi: 75% contro il 25% di femmine. Le donne, oltre a essere poco numerose, sono anche più “anziane”: per oltre la metà (55%) sono nate nel 1985, e si trovano ai limiti dell’obbligo formativo; i maschi, al contrario, pur anch’essi in consistente parte nati nel 1985 (38%), si distribuiscono in misura sostanzialmente equilibrata tra le tre principali età: i maschi nati nel 1986 sono il 31%, contro il 28% delle femmine; i maschi nati nel 1987 sono il 23%, contro il solo 10% delle femmine (tabella 6). La differenza di età tra maschi e femmine nei giovani torinesi contattati dal servizio della Provincia rimanda a un interessate confronto con gli utenti del Centro orientamento scolastico professionale (Cosp) del Comune di Torino. Quest’ultimo ha contattato, in prima accoglienza, sempre nel corso dell’anno scolastico 2002-2003, 536 giovani, di età decisamente inferiore a quelli del servizio della Provincia (tabella 7). La classe più numerosa è infatti quella dei nati nel 1988, vale a dire i 14-15enni, con il 40%, seguita dai nati nel 1987 con il 30%, dai nati nel 1986 con il 20%, dai 17
Tra questi limiti oltre a quelli già ricordati, vanno in particolare sottolineati la difficoltà nel seguire e registrare le scelte e i percorsi complessi e a volte ondivaghi dei giovani, gli errori materiali nell’immissione dei dati e gli scarti temporali tra il momento in cui i dati sono comunicati da scuole e agenzie di formazione professionale e il momento in cui sono utilizzati da parte dei servizi di orientamento: in tale lasso di tempo i giovani e le loro famiglie possono compiere scelte che modificano la situazione. Inoltre, va tenuto conto che i dati su cui ha lavorato il Servizio orientamento della Provincia nel corso del 2003 si riferivano a una estrazione dell’autunno 2002, quando la messa a punto della banca dati sull’obbligo formativo presentava problemi in seguito in buona misura superati; in generale, gli elenchi forniti dalla banca dati includevano numerosi nominativi di giovani che in realtà non si trovavano in condizione di dispersione. 18 Si tratta di un elenco di lavoro del servizio, nel quale sono sottorappresentati coloro che si presentano spontaneamente.
nati nel 1985 con il 10%: il peso delle classi d’età risulta invertito rispetto agli utenti del servizio della Provincia. Ciò corrisponde a una sorta di divisione dei compiti tra i due servizi, che collaborano sulla base di una convenzione che assegna al Cosp un’azione per lo più preventiva (l’intervento su giovani a rischio di dispersione), svolta in stretta collaborazione con le scuole, mentre al servizio provinciale, che opera in rapporto con i servizi per l’impiego, tocca un’azione prevalentemente curativa (l’intervento su giovani in dispersione). Più interessante e di difficile interpretazione è la differenza per sesso: tra gli utenti del Cosp prevalgono infatti le donne, che rappresentano il 55% dei casi, mentre ai maschi resta il 45% (tabella 5). Inoltre, per ben metà le ragazze sono nate nel 1988 (49%), mentre i maschi nati nel 1988 risultano solo il 29% (tabella 7). Le ragazze sono pertanto decisamente più giovani dei ragazzi e ancora una volta la situazione degli utenti dei due servizi risulta invertita. Mentre la prevalenza di maschi tra gli utenti del servizio provinciale sembra corrispondere al miglior successo scolastico delle ragazze, la maggior presenza delle ragazze nelle classi di età più giovani contattate dal Cosp sembra rimandare a una precoce uscita delle giovani dal sistema formativo, laddove alle prime difficoltà, seppur meno numerose dei maschi, le ragazze sembrerebbero lasciare più facilmente, a fronte di tentativi di rientro condotti con maggior decisione dai ragazzi. Una volta abbandonata la scuola, le ragazze diventano più difficilmente contattabili, perché finiscono il più delle volte in attività “nascoste”, di aiuto nello svolgimento di servizi alle famiglie di appartenenza19: utili nella custodia di bambini e/o anziani oltre che nelle attività domestiche, accettano la chiusura in questo ruolo tanto più che trovano, nell’area torinese, una offerta di formazione professionale meno ampia di quella relativa a mestieri più tipicamente maschili, data la struttura produttiva dell’area torinese fortemente segnata dall’industria meccanica ed elettromeccanica. Le femmine risulterebbero così più numerose tra gli allievi più giovani segnalati a rischio di dispersione dalle scuole, mentre più numerosi sarebbero i maschi tra coloro che sono ormai fuori dal sistema formativo, arrivano ai servizi di orientamento attraverso i centri per l’impiego e hanno interessi prevalentemente incentrati sul lavoro. Se l’ipotesi di spiegazione non è troppo azzardata, poiché il grosso della dispersione scolastica e formativa è imputabile a giovani provenienti da ambienti sociali meno dotati sotto il profilo culturale, non stupisce il permanere di comportamenti derivanti da una visione tradizionale dei ruoli di genere.
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Tale comportamento è suffragato da casi osservati dagli operatori dei servizi di orientamento. Devo un ringraziamento a Corrado Borsetti e Danilo Debrevi.
Tabella 5 – Utenti dei servizi di orientamento della Provincia e del Comune di Torino per sesso. Distribuzione percentuale. a.s. 2002-03
Servizi orientam. Provincia Cosp
Femmine Maschi 25 75 55 45
Totale 100 100
Tabella 6 - Utenti servizi di orientamento della Provincia di Torino per sesso e anno di nascita. Distribuzione percentuale. a.s. 2002-03 Anno di nascita 1984 1985 1986 1987 1988 1989 Totale
Età nel 2003 (anni) 18/19 17/18 16/17 15/16 14/15 13/14
Femmine 0,0 55,2 28,1 10,4 6,3 100
Maschi 0,7 37,8 30,8 23,1 7,7 100
Totale 0,5 42,0 30,0 19,8 7,6 100
Tabella 7 - Utenti servizi di orientamento del Comune di Torino (Cosp) per sesso e anno di nascita. Distribuzione percentuale. a.s. 2002-03 Anno di nascita 1984 1985 1986 1987 1988 1989 Totale
Età nel 2003 (anni) 18/19 17/18 16/17 15/16 14/15 13/14
Femmine 0,3 8,9 16,2 24,7 49,1 0,7 100
Maschi 0,9 10,2 23,0 35,4 29,2 1,3 100
Totale 0,6 9,5 19,1 29,4 40,4 1,0 100
Tra i giovani contattati dai servizi di orientamento si trovano situazioni molto diversificate. Vi sono coloro che al momento del contatto stanno già frequentando un’altra scuola superiore, o un corso di formazione professionale, o lavorano in apprendistato (la loro nuova situazione non è stata tempestivamente segnalata e registrata dalle banche dati); coloro che frequentano scuole private (a volte di recupero anni) o corsi privati vari di formazione a pagamento; coloro che lavorano in nero, che aiutano in casa o nella microazienda familiare; coloro che sono appena usciti da un nuovo fallimento (abbandono della scuola, del corso di formazione
professionale, interruzione dell’apprendistato); coloro che stanno a casa e rinviano le scelte o cercano da sé la propria strada dichiarandosi non interessati al servizio di orientamento; coloro che accettano di avviare un percorso con il servizio e si dichiarano interessati, chi a ritentare gli studi, chi alla formazione professionale, chi al lavoro, chi a una qualunque delle possibilità: i contattati dal servizio provinciale nel 2002-03 hanno distribuito equamente il loro interesse tra i tre canali dell’obbligo formativo. Questa realtà variegata e mutevole dà conto delle difficoltà di attrezzare un’anagrafe in grado di registrare i cambiamenti. 5. Osservazioni conclusive I dati sin qui analizzati hanno valore largamente indicativo. Quelli che originano dalle statistiche dell’istruzione sono tratti da aggregazioni che offrono indicatori sui livelli della selezione, della difficoltà o del ritardo scolastico ma che non consentono di seguire i percorsi dei giovani tra i sistemi dell’istruzione e della formazione. Tali percorsi potranno essere analizzati o con indagini campionarie o nel momento in cui l’anagrafe dell’obbligo formativo sarà messa a punto, cosa che, a quanto emerge dal confronto tra statistiche dell’istruzione e risultanze dell’anagrafe, richiederà ancora molto lavoro, in termini soprattutto di affinamento dei campi di rilevazione e di collaborazione tra tutti i soggetti coinvolti. In generale, tuttavia, benché rimangano ancora piuttosto nebulose le scelte dei giovani e i loro percorsi, alcuni punti fermi possono essere evidenziati, e qui riassunti schematicamente. Il ritardo e la dispersione scolastica sono fenomeni ancora ingenti che limitano pesantemente il tasso di conseguimento del diploma secondario superiore. La migliore performance scolastica femminile a tutti i livelli non significa che anche tra le ragazze non si registrino notevoli problemi, che sembrano più acuti in età precoce. La dispersione scolastica è alimentata dal ritardo che, accumulandosi, crea le premesse per l’abbandono definitivo. Il sistema della formazione professionale, con i suoi 6441 iscritti in provincia di Torino nel 2002 per i giovani tra i 14 e i 17 anni, di cui 1995 non hanno ultimato i corsi (18,6%), appare solo parzialmente in grado di offrire una vera alternativa sul piano formativo: ben 4281 iscritti (66,5%) infatti, hanno partecipato a corsi brevi, per i quali era non era previsto il conseguimento di una qualifica di primo livello ma il semplice attestato di frequenza. L’apprendistato, dal canto suo, offre troppo poco sul piano della formazione, sia per intrinseca debolezza, sia per le difficoltà organizzative che investono gli stessi corsi previsti contrattualmente. Il problema della dispersione va affrontato soprattutto in ambito preventivo, non solo perché, in generale, è meglio prevenire che curare, ma perché l’offerta formativa è in larga parte inadeguata: il sistema scolastico è rigido e tuttora organizzato a canne d’organo scarsamente comunicanti, i canali alternativi sono strutturalmente deboli, non sufficientemente ampi per accogliere la massa dei dispersi dalla scuola qualora essi fossero tutti disponibili a percorrerli. La prevenzione va fatta nella scuola, quando ancora i giovani non si sono dispersi, e deve essere incentrata senz’altro sull’orientamento, ma
anche e più ancora sul sostegno al successo scolastico: una volta sopravvenuta la bocciatura, accumulatosi il ritardo, la dispersione incombe. Le scuole dovrebbero attrezzarsi (come avviene in un limitato numero di esperienze d’avanguardia) per rendere possibili le passerelle tra indirizzi scolastici e tra istruzione e formazione professionale in corso d’anno scolastico/formativo. A fronte della dispersione scolastica, le strade alternative non sono veramente tali se non in un numero di casi limitato. La formazione professionale e le esperienze a contatto con il mondo del lavoro, quali stages e tirocini, vanno giocate in stretto rapporto con le scuole, soprattutto come supporto all’orientamento e alla prevenzione dell’insuccesso scolastico, in quanto possono offrire nuovi stimoli e motivazioni: il sistema più efficace per la lotta alla dispersione è l’integrazione tra i sistemi, non il semplice inserimento in canali alternativi ancora una volta separati e non comunicanti. Questi principi sono affermati da tempo sul piano progettuale; stentano tuttavia a uscire dall’ambito delle pur pregevoli sperimentazioni, le più interessanti delle quali vedono il tentativo di connettere in una fitta rete collaborativa i servizi di orientamento degli enti locali, i centri per l’impiego, le scuole, gli enti di formazione professionale, il modo del lavoro, gli enti di assistenza sociale, il volontariato. La stretta collaborazione interistituzionale appare la strada obbligata per perseguire questi obiettivi, e in particolare gli enti locali debbono intervenire con un’azione di stimolo e supporto nei confronti delle scuole che, per la persistenza di atteggiamenti culturali tradizionali o la mancanza di incentivi per il personale docente, non riescono, o riescono solo in poche isole felici a predisporre in proprio azioni efficaci di orientamento e di supporto alla performance degli allievi20. Le azioni di maggior successo, ad esempio il “Provaci ancora Sam”21, sono quelle incentrate sul sostegno alla performance scolastica piuttosto che sull’orientamento in senso stretto. Ciò che andrebbe potenziato sono le iniziative di supporto al successo durante i percorsi scolastici, non quando i ragazzi sono già usciti. I contatti cercati dai servizi di orientamento comunali e provinciali con chi è segnalato in dispersione mostrano la difficoltà, in molti casi, di stabilire un rapporto: quando il fallimento è stato sperimentato e ci si trova fuori dal sistema formativo, i giovani per lo più o si sono già costruiti un proprio progetto, non si sa quanto fondato su valutazioni realistiche, o si chiudono in un atteggiamento di rifiuto. Il sostegno al successo scolastico, viceversa, può frenare la dispersione prosciugando il suo principale canale di alimentazione, il ritardo accumulato.
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In tema di azione delle scuole di Torino nel campo dell’orientamento è ancora ampiamente valido, anche se qualche passo avanti è innegabile, quanto rilevato quattro anni or sono: cfr. S. Musso, L’orientamento scolastico e professionale nelle scuole torinesi, in Città di Torino, Osservatorio su formazione e lavoro 2000, (s.d., ma 2000), pp. 93-114. 21 Cfr. Fondazione per la scuola. Educatorio Duchessa Isabella della Compagnia di San Paolo, Lotta alla dispersione e orientamento. Cosa c’è di nuovo nelle grandi città europee, “I Quaderni”, 3 (s.d., ma 2003).