Libertà e Diritti altrui Ideali, Libertà di pensiero e d’azione Gl’ideali sono le idee in sé, che la mente intuisce nel mondo intelligibile in modo puro. Ad esempio i puri ideali del bello, del buono, del giusto e del vero, coi quali confrontiamo le cose che ci circondano per valutare la loro armonia estetica, il bene che da esse deriva a noi, agli altri ed in genere a tutti od alcuni, l’adeguata misura nei rapporti reciproci, la rispondenza di conoscenze e competenze coll’ideale o la realtà materiale, o fra quello che s’esprime e quanto si pensa. Insomma le idee in sé sono gli archetipi del nostro modo di pensare e per questo sono principi inderogabili, un’espressione imprescindibile del nostro pensiero. Anche i Diritti dell’uomo sono degli ideali, in quanto costituiscono per definizione Immortali Principi di libertà di coscienza, uguaglianza sotto una legge comune, libertà di pensiero e d’espressione attraverso i mezzi di comunicazione sociale, libertà d’associazione, divieto della tortura e di qualunque sevizia corporale, diritto d’essere giudicati da giudici indipendenti, l’accesso a tutte le cariche pubbliche senz’altra condizione che il merito, la temporaneità ed eleggibilità delle rappresentanze e cariche politiche, il diritto della Nazione a darsi una Costituzione che disciplini la distinzione e bilanciamento fra potere legislativo e di governo e funzione giudiziaria. Questi Immortali Principi sono, infatti, i presupposti antropologici, cioè legati alla natura individuale e sociale dell’essere umano, della comunità politica e della società civile, e quindi il fondamento d’ogni diritto pubblico e privato delle Nazioni, in quanto la natura ha fatto gli esseri umani liberi ed eguali, e le distinzioni necessarie a l’ordine sociale sono fondate unicamente sull’utilità generale. È questo che dota ogni essere umano di diritti inalienabili al libero pensiero, al benessere nella vita, alla proprietà sulle sue cose, alla libera disponibilità della sua persona, delle proprie facoltà ed industriosità, nelle comunicazioni con gli altri, nella ricerca della propria felicità e ad opporsi ad eventuali tentativi di dominio altrui o ad indirizzi ideali che non condivida. Questi diritti si dicono naturali proprio in quanto sono fasci di facoltà, poteri della volontà che attengono alla natura dell’essere umano come soggetto senziente, animato dalle proprie emozioni e sentimenti, diretto nello spirito da un libero pensiero. La libertà di pensiero consiste nello specifico diritto dell’essere umano a non subire violenza o pena da chiunque volesse coartarlo, imporgli una qualunque dottrina religiosa, filosofica o specificatamente scientifica, politica, morale od estetica. La libertà d’azione è la facoltà di tradurre la propria volontà in atti orientati ad un fine liberamente determinato. Esiste, quindi, un rapporto strettissimo fra gl’ideali e la libertà di pensiero e d’azione. Infatti gl’ideali sono intuiti dalle coscienze come propri, hanno un valore per esse, quando il pensiero è libero da condizionamenti e gli intuisce secondo la propria libera determinazione, ed essi allora indicano alla volontà umana i fini della sua azione individuale e collettiva. Attraverso questa concatenazione gl’ideali diventano realtà, cioè vengono tradotti in atti e questi in fatti, in cose realizzate. Il detto di Giorgio Guglielmo Federico Hegel che l’Ideale è reale descrive proprio la consapevolezza che ogni cosa si vede realizzata nel mondo lo è stata dalle azioni nelle quali un libero pensatore ha tradotto i propri ideali. Il ché non ci obbliga affatto a farci piacere il mondo che ci circonda, in quanto i nostri ideali possono anche contrastare colla realtà così come ci si manifesta attorno, ma allora ognuno ha il dovere di chiarirsi le idee nel proprio libero pensiero e liberamente determinarsi ad agire di conseguenza per riformare la realtà. In sostanza l’idealismo, come consapevolezza che la realtà è l’attuazione d’un idea maturata nello
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spirito di qualcuno, si mostra sempre più positivo del realismo scettico, della convinzione che le cose abbiano un valore assoluto in sé in quanto tali e vadano, quindi, accettate senza critica ed ad esse debba adeguarsi il proprio pensiero. Così infatti non saremmo affatto liberi pensatori ma saremmo «pensati» e non pensanti, senza ideali nostri ma solo utenti d’idee altrui, e non saremmo neppure «uomini d’azione» ma semplicemente «agiti», cioè asserviti all’azione d’altri. Il ché non toglie che ogni nostra libera azione, per tradurre in realtà ideali liberamente pensati non debba confrontarsi con la realtà materiale, col libero pensiero altrui e la volontà degli altri, poiché ogni libertà di pensiero e d’azione interagisce con la libertà di pensiero e d’azione altrui, che dobbiamo rispettare anche quando non condividessimo, anzi contrastassimo nel principi e nelle azioni conseguenti. Questa è la dialettica, cioè l’antitesi d’idee, punti di vista, deduzioni logiche che se ne facciano, azioni conseguenti, che costituisce una sorta di «realtà discorsiva» della storia, che in ogni tempo ne è la sintesi momentanea, sempre poco dopo superata dagli ideali, dai liberi pensieri ed azioni degli esseri umani dialoganti in società.
Libertà e Volontà La libertà è la facoltà naturale dell’uomo di fare quel che voglia, nel rispetto della libertà altrui e dell’ambiente naturale che garantisce la sussistenza e l’equilibrio d’ogni forma e consapevolezza di vita. Quindi il sentimento di libertà viene alla luce, nel sé, quando s’abbia volontà di fare qualcosa. Quando vogliamo essere liberi di fare quanto c’aggrada. È, perciò, innanzitutto, una manifestazione di libero pensiero. Nessuno può voler fare qualcosa che non abbia pensato affatto di fare. Occorre che ci passi per l’anticamera del cervello la volontà di fare qualcosa, e quindi di rivendicare la sacrosanta libertà di volerlo fare. D’altra parte, se pensiamo di fare qualcosa, e poi non abbiamo la volontà d’agire, non facciamo proprio un bel nulla. Giuseppe Mazzini mise sempre l’accento sul pensiero e l’azione. Il suo motto fu «pensiero ed azione». Alfredo Oriani mise l’accento sulla volontà: «pensiero→volontà→azione». Occorre pensare l’idea, volerla realizzare, ed agire, darsi da fare, rimboccarsi le maniche per farlo. Senza volontà la libertà resta un desiderio dell’anima. È per questo che si dice che la libertà non la si riceve mai in dono, occorre sempre conquistarla. Se il fato, che poi non è un caso cieco ma la risultante delle volontà in azione in un momento storico ed in una regione dello spazio, ci ha fatto nascere in uno Stato libero, che garantisce ad ognuno i diritti di libertà, ma non abbiamo idee da realizzare o voglia di darci da fare, abbiamo sì garantita la libertà, ma non ne godiamo per mancanza di volontà. Quando, poi, in uno Stato libero la grande massa degli esseri umani si mostrasse indifferente alla libertà garantita, e solo una minoranza avesse coscienza e volontà d’agire, e ciò si consolidasse nella storia di quella Nazione, allora di fatto si verrebbe ad istituire un’oligarchia, che in greco significa principio del governo di pochi i quali, nel perdurare della situazione, finirebbero prima o poi per consolidarlo con forme di privilegio per loro, e lo Stato si trasformerebbe, prima o poi, in Stato semilibero, in cui i diritti di libertà verrebbero garantiti non a tutti, ma solo ad alcuni, al ceto di coloro che vollero darsi da fare per tradurre in fatto sociale la loro libertà esclusiva, nella presunzione di costituire una
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aristocrazia, cioè la forza dei migliori che vollero e seppero, nell’indifferenza, menefreghismo, pigrizia, comunque inazione dei più, guadagnarsi la propria libertà come privilegio esclusivo di ceto. Se, poi, l’indifferentismo politico, l’amore per il gioco del calcio allo stadio e l’uggia per la noia provocata dai discorsi parlamentari, le serate con gli amici all’osteria preferite a qualunque comizio di piazza, l’attenzione al pettegolezzo nelle vicende amorose di quella che, di tempo in tempo, si chiama l’«alta società», diventassero inclinazioni condivise dalla generalità d’una Nazione, fidente nel Capo dello Stato o del Governo, nella sua capacità di «uomo della Provvidenza», che fa tutto lui e persino pensa a tutto lui, come quel Re della Casa dei Borbone Due Sicilie che si chiese perché il popolo dovesse godere di libertà di pensiero dato che pensava lui per tutti ed a tutto, allora lo Stato, prima o poi, degenererebbe in Stato dispotico, cioè governato da un despota, in greco padrone, padrone assoluto dello Stato e dei suoi sudditi. Occorre ricordare che la storia civile degli esseri umani se anche è ricca d’esempi di persone che, per ambizione o sete di potere ovvero guadagno, hanno ambìto al potere assoluto, è altresì piena d’esempi di tiranni che si sono ritrovati ad essere tali, qualche volta anche contro la propria volontà, per indolenza, pigrizia, inattività, mancanza in poche parole di volontà libera e consapevole da parte delle popolazioni stanziate nel territorio dello Stato da essi retto. S’è detto popolazioni in quanto un popolo è tale quando è in grado d’esprimere, consapevolmente, una volontà generale, mentre una popolazione è solo una accolita d’individui a prescindere dalla espressione o meno di questa volontà e di simile consapevolezza, a livello individuale e collettivo. È questo indiffernentismo, altresì, che fa degenerare la posizione del singolo da quella di cittadino, di consapevole membro d’un popolo con una propria volontà, a suddito, soggetto passivo ed ubbidiente dell’esercizio del potere d’un suo Signore.
Volontà e Necessità Ripetiamocelo: la libertà è la facoltà naturale dell’uomo di fare quel che voglia, nel rispetto della libertà altrui e dell’ambiente naturale che garantisce la sussistenza e l’equilibrio d’ogni forma e consapevolezza di vita. Quindi, è necessario rispettare la libertà altrui e l’ambiente naturale che garantisce la sussistenza e l’equilibrio d’ogni forma e consapevolezza di vita, in quanto altrimenti la nostra libertà negherebbe la libertà altrui e diverrebbe tirannia sugli altri, oppure i nostri comportamenti e le nostre azioni comprometterebbero i delicatissimi equilibri coi quali la natura dà vita alle varie forme dell’essere, determinando la catastrofe naturale. Intendiamoci, la Terra è un piccolissimo globo d’un piccolo sistema solare nell’universo delle galassie, per cui qualunque disastro ambientale il genere umano fosse in grado di produrre sulla Terra, l’evoluzione degli infiniti mondi del cosmo proseguirebbe assolutamente imperterrita per la sua strada. Quindi la salvaguardia dell’ambiente di vita sulla terra è principale interesse dell’essere umano, che vi vive e senza esso non potrebbe vivere altrove, almeno secondo i parametri della nostra catena evolutiva in questo momento storico. Condizione forse limitata e modesta, che per altro è l’unica che c’è dato vivere, qui ed ora. La necessità è l’espressione di sintesi, colla quale s’indica questa condizione individuale dell’essere umano, e collettiva dell’Umanità. La libertà trova, così, i suoi limiti in questa necessità:
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sia sociale, la convivenza in società colla libertà altrui, che cosmica, la convivenza con gli altri esseri senzienti e le forze della natura. Questa delimitazione dei confini fra libertà e necessità dà vita al diritto, come manifestazione oggettiva, che per tanta parte non è altro d’una regolamentazione dei confini fra la libertà dei singoli esseri umani, fra la libertà degli individui e le esigenze della collettività, fra la volontà degli esseri umani e le necessità di vita degli altri esseri senzienti e d’equilibrio fra le energie. Così, per tracciare questi confini, la libertà s’articola nei distinti diritti di libertà, la facoltà naturale dell’uomo di fare quel che voglia diviene: la facoltà di pensare liberamente, la facoltà d’esprimersi liberamente e d’usare dei mezzi di comunicazione sociale, la facoltà d’eleggere i propri deputati a presentare e votare le leggi che disciplinano la sua vita, la facoltà d’associarsi con altri per perseguire scopi leciti, la facoltà d’acquistare in proprietà dei beni o di vendere quanto si possegga, in generale la facoltà di convenire con altri su qualcosa nei reciproci rapporti, la facoltà d’espatriare e di stabilirsi dove si voglia, la facoltà d’intraprendere un’impresa agraria commerciale artigianale od industriale, la facoltà di prestare il proprio lavoro dietro corrispettivo ad un impresa altrui e di contrattare le condizioni di lavoro anche in lega con altri compagni, la facoltà di convivere secondo le norme prescritte con altro essere umano, la facoltà di formarsi secondo l’indirizzo di studi che si gradisca, la facoltà d’esercitare in via autonoma l’arte o mestiere che si preferisca, e via enumerando. Naturalmente, la necessità di delimitare i confini della propria libertà fa si che ad ogni specifico diritto di libertà disegnato come un ben determinato potere della volontà corrispondano dei precisi doveri verso altri nello specifico e verso la comunità o la società in genere. Ad esempio, la libertà di coniugarsi con altro essere umano comporta il correlativo dovere d’allevare, educare, istruire e mettere in grado di camminare da sé per le vie del mondo la prole che ne nasca; la libertà di porsi al servizio d’un impresa altrui comporta il dovere di collaborarvi con lealtà; la libertà di avere in proprietà dei beni comporta il dovere di bene amministrarli nell’interesse dell’economia generale; la libertà di manifestare il proprio pensiero anche con mezzi di comunicazione sociale comporta il dovere di portare rispetto alla dignità degli altri esseri umani ed animati; il diritto di possedere animali o vegetali implica il dovere di custodirli e rispettarne la sensibilità e la suscettibilità, d’evitarne qualunque sofferenza ed al rispetto per ogni manifestazione della natura, e compagnia cantando. Questo sistema complessivo di diritti e doveri soggettivi, cioè dei diversi soggetti dell’ordinamento, costituisce il diritto in senso oggettivo, cioè l’ordinamento giuridico nel suo complesso, che non è altro che l’insieme delle norme poste a delimitare i confini fra volontà degli esseri umani e necessità.
Volontà degli esseri umani e Leggi della natura Per leggi della natura s’intendono le regolarità che la ricerca scientifica, nei vari campi delle scienze esatte, naturali, umane e sociali, ha riscontrato ricorrere nei fenomeni studiati, attraverso calcoli od esperimenti ripetibili e quindi verificabili. È chiaro che l’essere umano, se vuole raggiungere lo scopo prefisso con la propria volontà, deve seguirle secondo le proprie necessità. Se gli è necessario far di conto, non può, per sua volontà, disporre che due più due non faccia quattro; se vuole misurare l’area d’un terreno non può prescindere dalle regole della geometria;
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se gli è utile fare bollire dell’acqua dovrà portarne la temperatura a cento gradi centigradi, e via enumerando per le varie leggi della fisica, della chimica, della biologia, della psicologia, dell’economia domestica o di quella aziendale e politica, della sociologia. Le leggi della natura non sono d’ostacolo alla volontà umana ma d’ausilio, in quanto se l’essere umano le segue ed utilizza al proprio scopo esse disegnano la mappa delle vie ch’egli deve seguire per raggiungere gli scopi che si prefigge per mezzo della sua volontà. L’applicazione delle leggi della natura, delle regolarità manifestatesi nei fenomeni ripetibili, secondo un certo metodo che ne consenta l’utilizzo per gli scopi voluti, è quanto in genere si designa come tecnica, cioè scienza applicata a raggiungere i risultati che la volontà umana si prefigga. Ciò vale anche per le scienze sociali. Un legislatore od un governo possono decidere, in base al mandato ricevuto dagli elettori che hanno votato un partito che si propone come portatore d’un certo indirizzo, se seguire nel commercio internazionale una politica liberista o protezionistica, nella politica sociale propendere per una legislazione favorevole all’iniziativa privata o socialista, ma qualunque politica economica che comportasse una marchiana violazione delle leggi dell’economia politica sarebbe destinata al fallimento, mentre raggiungerebbe lo scopo prefisso quando ne facesse un’applicazione tecnicamente corretta. Così una riforma scolastica dell’ordine delle classi elementari e medie non raggiungerebbe gli scopi pedagogici che si fosse prefissa se comportasse delle metodologie formative che contrastassero con le leggi della psicologia dell’età evolutiva dell’essere umano. Od una politica sociale sarebbe destinata al fallimento qualora la sua posta in opera venisse fatta in contrasto con i metodi scientificamente testati della pianificazione sociale. Detto così il tutto sembra sufficientemente chiaro. Tuttavia, nella realtà della vita politica l’essere umano è ancora, per tanti versi, così primitivo da ritenere che la «volontà politica» possa non tenere in alcun conto delle leggi della natura fisica, chimica, biologica e psicologica e sociale dell’uomo. Non è così assurdo assistere al varo d’una politica economica che si prefigga di soddisfare certi strati sociali che appoggiano nelle elezioni un certo partito politico anche se essa configge con leggi basilari e conosciutissime dell’economia politica, o ad una riforma del sistema penale che non consideri le leggi psicologiche che si manifestano in fenomeni di devianza criminale, perché ad essa sono favorevoli avvocati o magistrati, od una riforma scolastica non motivata da esigenze pedagogiche ma per rendere stabili nel lavoro insegnanti precari. Gli antichi greci consideravano tiranno chi violava le leggi della natura, nelle democrazie moderne spesso se ne prescinde in nome della «volontà politica», questo però non è un modo per attuare veramente quella volontà, ma solo per promulgare norme o prendere misure di governo che non raggiungeranno gli scopi prefissi. Quando le leggi di natura coinvolte nelle decisioni riguardino, poi, le regolarità che si manifestano nella struttura fisica, chimica, biologica allora la situazione richiede ancora maggiori riguardi, in quanto comportamenti in contrasto con la fisica, con la chimica o la biologia finiscono sempre col compromettere i delicati equilibri coll’ambiente naturale che ci circonda. Ciò corre il rischio di compromettere i rapporti tra l’essere umano e la natura circostante, e cioè la sopravvivenza della stessa specie umana. Qui un contrasto fra la volontà umana e le leggi della natura si manifesta sempre in un modo tragico. Spesso l’essere umano non se ne rende conto per insufficiente preparazione scientifica. È questo uno dei motivi per cui, nella società contemporanea, l’istruzione si manifesta essere un elemento basilare per la vita e la libertà dell’uomo in società.
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Mia volontà e volontà dell’Altro Il diritto nasce per delimitare i confini fra la mia volontà e la volontà dell’altro. Ciascun essere umano non è, per fortuna, solo sul pianeta e, quindi, se ha libertà assoluta di pensiero, quando però il pensiero si manifesta in una volontà che si traduce in atti, nel fare qualcosa, questi atti troveranno un limite, oltre che nelle leggi della natura, anche nelle azioni che manifestano la volontà altrui. Per questo il pensiero non è mai giuridicamente censurabile, mentre possono esserlo le azioni nelle quali si traduce questa volontà, in quanto sono quelle azioni che possono invadere la sfera della libertà altrui. Sono liberissimo di sentire la musica che preferisco ma non posso, mettendo il giradischi a troppo alto volume, invadere la libertà del mio vicino che vuole, invece, dormire. Per cui la mia volontà trova il limite nel necessario rispetto della volontà altrui. Si chiama, pertanto, diritto soggettivo la sfera d’esercizio dei poteri della volontà dei singoli soggetti, e diritto oggettivo le regole che delimitano le sfere di libero esercizio delle volontà dei soggetti, per evitare che esse si urtino tra loro. È l’armonia delle sfere nell’universo sociale. Tuttavia, ciascuno di noi può anche avere con gli altri un’utile scambio di volontà, che si possono accordare per uno scopo comune. Ad esempio, quando voglio comprare un giornale, la mia volontà s’incontra con quella del giornalaio che vuole vendere i giornali per guadagnarsi da vivere. Questo incontro di volontà, che si manifesta delle scambio fra il giornalaio che mi dà il giornale e quello di noi che gli paga il prezzo, si chiama contratto. Solo per alcuni contratti sono previste forme particolari, ad esempio per comprare o vendere un’immobile, cioè un terreno ad una casa costruita sopra, occorre non solo la forma scritta, cioè mettere i termini dell’accordo per iscritto, ma anche il cosiddetto atto pubblico, cioè quello scritto deve essere ricevuto da un pubblico ufficiale, è a dire un’ufficiale che rappresenta la collettività, come un notaio, e pubblicato, cioè reso conoscibile dal pubblico, secondo determinate forme. Per molti altri contratti, invece, l’incontro di volontà può essere del tutto libero, senza forme particolari, come quando vado in libreria e compro un libro. Poi questo incontro di volontà può avvenire anche sulla volontà di più persone d’associarsi tra loro per fare qualcosa assieme, per esempio delle attività sportive o culturali. In questo caso la volontà sarà espressa in quello che si chiama l’atto costitutivo dell’associazione, che deve comprendere anche lo statuto, cioè le norme che i soci dell’associazione si danno per regolarne l’attività, ad esempio l’atto costitutivo e lo statuto d’una associazione ginnica, cioè per fare ginnastica assieme. Gli esseri umani usano anche accordarsi nelle volontà per mettere in comune i capitali per produrre e commerciare qualcosa, ad esempio per fare e vendere barche. In questo caso l’organizzazione che si danno si chiama società commerciale. Quando qualcuno cerca lavoro, tenta d’accordare la propria volontà con qualche altro che dia lavoro, e per questo si chiama datore di lavoro ed il contratto tra le parti contratto di lavoro. Poi, siccome coloro i quali prestano lavoro e coloro i quali lo danno si trovano ad avere la medesima parte ed interessi nei rapporti di lavoro, sorgono delle associazioni tra i prestatori di lavoro, che si chiamano sindacati, ed altre associazioni fra imprenditori, che si chiamano unioni imprenditoriali. Dato questa comunanza d’interessi dei lavoratori fra loro e degli imprenditori fra loro, ma anche fra lavoratori ed imprenditori per condurre un dato ramo della produzione, si cerca un accordo fra la volontà dei sindacati dei lavoratori e quella delle unioni d’imprenditori d’un dato settore. Questi accordi di volontà collet-
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tive fra produttori si chiamano contratti collettivi. Chiaramente, poi, perché i cittadini d’uno Stato vivano pacificamente sotto leggi ed autorità di governo comunemente accettate, vi deve essere un minimo di volontà generale comune per accoglierle, che si chiama consenso. Senza un minimo di consenso di volontà gli Stati non vivono, ed è come quindi che i cittadini consentissero ad un contratto. Così alcuni autori, dal milleseicento ad oggi, ad esempio Thomas Hobbes, John Locke, Jean Jacques Rousseau, John Rawls, descrivono questo tacito accordo di volontà tra cittadini come un contratto sociale, col quale essi dando alle pubbliche autorità mandato per tutelare i propri diritti e mantenere la pace sociale. Per questo gli Stati sono rappresentativi della società civile, cioè dei loro cittadini associatisi per dar loro il consenso a legiferare, governare e rendere giustizia. Gli Stati esprimono, in questo modo, la volontà generale dei propri cittadini, ed anche la volontà di queste collettività possono entrare in contatto con altre volontà collettive. Questo è il problema del diritto internazionale, cioè della regolamentazione fra le volontà degli Stati per impedire che entrino in contrasto fra loro. La regola universale è che gli Stati siano sovrani nella loro volontà entro i confini dei propri territori. Poi, come i singoli esseri umani, anche fra le collettività statali vi possono essere accordi di volontà, ed allora si avrà una sorta di contratto fra Stati, che si suole in genere chiamare trattato o convenzione. Spesso s’associano tra loro per accordarsi sulla gestione di singole materie e più in genere delle loro relazioni politiche, e queste associazioni fra Stati si chiamano organizzazioni internazionali. Quando l’associazione fra Stati si risolve in un’alleanza con scopi stabiliti nell’atto di fondazione ed istituzioni comuni stabili con esso istituite, allora prendono il nome di confederazione. Quando, poi, gli Stati trasferiscano competenze alla gestione diretta delle istituzioni comuni queste si dicono non più organizzazioni internazionali, cioè fra Stati rappresentativi delle rispettive Nazioni, ma istituzioni supernazionali, cioè in grado d’esercitare competenze integrate ad un livello superiore rispetto a quello nazionale. Se, poi, a queste istituzioni comuni vengano attribuite competenze di sovranità politica generale, come in politica estera, di difesa, economico monetaria, allora si chiamano federazioni. Per concludere, la pace tra gli individui e fra gli Stati richiede il rispetto delle rispettive sfere di volontà e l’accordo delle volontà per scopi comuni. Invece la violazione di ciò provoca tra i cittadini d’uno Stato gli illeciti civili ed i delitti, fra gli Stati gl’illeciti internazionali e le guerre.
Volontà individuale e Volontà collettiva Il nostro pensiero, deve essere espresso dalla nostra volontà per farsi azione e determinare, quindi, fatti e realtà. È la volontà che traduce il pensiero in azione, l’ideale in reale. Questo è quanto si produce nella vita individuale, ma la realtà sociale è determinata dalla traduzione di ideali condivisi da più individui in volontà collettività. Il pensiero d’ognuno di noi può essere condiviso da altri, e così una forma di pensiero prodotta da un individuo, quando manifesta ideali condivisi, può essere sostenuta da più soggetti, aggregati da quella forma pensiero, che può tradursi in volontà e realtà sociale. Carlo Cattaneo, ch’ebbe parte nelle cinque giornate di Milano ed in molti successivi episodi del Risorgimento d’Italia, ritenne per questo che le scienze sociali fossero, per tanta parte, «psicologia della menti associate», interpretazione sociale dello sviluppo dell’individuo, che appunto
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mette in società, per così dire, le forme del suo pensiero per determinare i fatti sociali, come prodotto d’una ideale individualità collettiva. All’attività spirituale del pensiero, però, spesso, nel determinarsi della volontà, prendono parte i sentimenti ed anche i risentimenti, le passioni e le emozioni, le tendenze e le inclinazioni dell’anima umana. Quante volte nel determinarci in una volontà possono avere una parte l’affetto per i genitori ed i parenti, le gelosie che si provano verso altri, l’amicizia per gli amici, l’avversione per qualcuno che non ci sta proprio simpatico, la passione per la squadra del cuore, un amore. Oltre agli ideali intuiti dallo spirito ed agli affetti e passioni della nostra anima, si può essere condizionati, nel determinarci nella volontà, dalle esigenze ed appetiti del nostro corpo. Ad esempio, l’attivismo o la pigrizia determinata da condizioni fisiche non padroneggiate dalla nostra anima e dal nostro spirito con la forza sufficiente che dovremmo saper darci. Ricordiamo sempre che virtù è espressione latineggiante per significare forza, forza d’animo e forza di spirito, quindi forza morale e forza etica. Quando questa forza viene meno, si riduce anche l’ampiezza della libertà individuale e collettiva. Se non abbiamo la forza di dominare le nostre passioni, finiamo coll’esserne dominati, se non comandiamo al nostro corpo ne diventiamo alla fine servi. Si soggiace, in questi casi, molto spesso ad un inganno: si scambiano le passioni alle quali si soggiace, gli appetiti dei quali s’è servi, per la nostra volontà, ma in questo caso non si tratta di vera volontà, ma solo d’acquiescenza passiva. Ad esempio, si vorrebbe andare con amici ad una bella e salutare escursione in montagna, ma il corpo e pigro e così si dice loro che non si vuole fare una levataccia alle sei di mattina d’una giornata di festa. In realtà lo si vorrebbe, ma s’è servi di quella pigrizia. Così si scambia per volontà la mancanza di forza di volontà. Questo si manifesta spesso nelle volontà collettive per un chiaro motivo: le inclinazioni spirituali sono un fatto individuale, mente le passioni e le emozioni, i bisogni del corpo sono comuni alla parte animale e materiale di ogni essere umano, e quindi si ritrovano in tutti gli individui d’una collettività. È questo il motivo per il quale, spesso, anche un alto ideale si trasforma in volontà collettiva frammischiandosi con passioni ed appetiti vari. Ad esempio, una tendenza spirituale a trascendere la nostra vita materiale ed emozionale in un’ascesi verso un trascendente, se occasionalmente si mischia con l’emotività collettiva scatenata dal carisma d’un predicatore può manifestarsi nel gruppo in forme di fanatismo religioso; oppure l’alto ideale civile d’una Nazione che voglia conquistare sempre più alte vette nell’incivilimento, può frammischiarsi con bassi interessi d’accaparramento di risorse d’altri popoli e giustificarle con un’ideologia di diffusione delle forme più progredite di civiltà a popolazioni arretrate. In questo caso, quella moltitudine riterrà di seguire una propria volontà collettiva, mentre invece sarà preda di fanatismo fondamentalista o d’aggressività politica che non riesce a dominare. Invece, col dominio su sé, si può far emergere la vera volontà generale d’un popolo che, nel caso degli esempi che si sono fatti, è quella d’una elevazione a più alti ideali dello spirito o di operosa azione volta al bene ed al progresso della Nazione e dell’umanità. La vera volontà generale è la forza del popolo, in espressione greca democrazia, mente quando un popolo si fa condurre da chi, così, lo sottomette, allora con espressione greca si dice demagogia. La prima è libertà politica, la seconda asservimento collettivo ad una tirannide, costruita con adunate oceaniche di gente per costruire una condizione di scatenamento collettivo d’appetiti, emozioni, bassi sentimenti e sottometterla. Talora queste situazioni si scatenano quasi spontaneamente, si veda l’atteggiamento di molte tifoserie fanatizzatesi tra loro negli stadi.
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l’ordine liberale, cioè il sistema di garanzie dei diritti fondamentali dell’essere umano, che non possono essere tolte neppure dalla maggioranza. Questi sono gli Immortali Principi, i Diritti dell’uomo e del cittadino con le sue libertà fondamentali. Nelle Costituzioni democratiche e liberali, quindi, questi diritti di libertà non possono essere abrogati neppure dalla maggioranza democratica, e vanno garantiti soprattutto a chi si trova in minoranza. La tutela delle minoranze, in una società, è la migliore garanzia della libertà di tutti e del progresso intellettuale, scientifico e civile d’una società. Infatti ogni essere umano, nato ed acculturatosi in una Nazione, subisce l’inevitabile influenza delle opinioni più consuete, che si cristallizzano spesso in pre-giudizi, cioè giudizi dati prima d’un ragionevole esame della situazione. Questo è del tutto naturale. Ciascuno di noi, per vivere, ha bisogno di punti di riferimento senza dovere ogni volta, per forza, rimettere tutto in discussione. Quindi, è del pari del tutto naturale che chi, magari perché compì studi innovativi, o per un’intuizione particolare, revoca in dubbio idee o sistemi di pensiero generalmente condivisi in una certa cultura, si trovi almeno da principio in minoranza. Come osservò già John Stuart Mill nel milleottocento, se la maggioranza potesse esprimersi, vieterebbe il più delle volte quei pensieri stravaganti, scomodi, che mettono in discussione quello che in genere tutti pensano. Ma quelle idee o quei sistemi di pensiero eccentrici si potrebbero poi rilevare, come è accaduto molto spesso nella storia, ad un più approfondito esame critico od alla luce della loro sperimentazione nella realtà, migliori di quello che la maggioranza ritenga. Quindi la protezione delle minoranze dalla volontà generale espressa dalla maggioranza, con metodo democratico, è indispensabile non solo a tutelare la libertà dei singoli esseri umani, ma anche a garantire un effettivo progresso sulla via dell’incivilimento dell’umanità.
Libertà degli antichi e Libertà dei moderni Benjamin Constant de Rebecque, nato a Losanna da famiglia rifugiatasi in Svizzera durante la fase del terrore della rivoluzione francese, fu un acuto scrittore e pensatore politico. Militante per il partito liberale nella Francia di Napoleone e poi della restaurazione, occupò importanti posizioni politiche e fu legato da profonda amicizia con Madame de Staël, la grande divulgatrice del movimento romantico del milleottocento, della cui relazione rese conto in un delicato romanzo psicologico: Adolphe. A Benjamin Constant de Rebecque tutti noi dobbiamo, nella descrizione storica della libertà dell’uomo in società, la chiara distinzione fra la libertà degli antichi e la libertà dei moderni. Come sappiamo, gli antichi vissero soprattutto in Stati di città, dove i cittadini furono totalmente immersi nella comunità, partecipando direttamente alla vita pubblica, col votare direttamente le leggi e spesso i provvedimenti di governo e ricoprendo incarichi. Coloro che godettero pienamente del diritto di cittadinanza furono pochi, sollevati nei lavori materiali dagli schiavi, e quindi con tutto il tempo per radunarsi in piazza per deliberare. Fu così ad Atene ma anche a Roma, compreso allorché cessò d’essere uno Stato di città in quanto, con l’estensione della cittadinanza agli italici e poi a tutti gli uomini liberi nell’Impero, divenne la Capitale d’un immenso territorio. Infatti, fra il sistema coloniale e municipale a cui tutti parteciparono, il ruolo nelle vita pubblica delle genti, vasti raggruppamenti di famiglie tra loro imparentate, e una carriera politica
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onorifica ben prestabilita, con un gioco di ruolo bene articolato, rese possibile una vita comunitaria strettissima pur in quella parte così larga della superficie terrestre. Invece nell’epoca moderna, in cui non esistono per fortuna più schiavi e tutti sono liberi, ognuno deve vivere per lavorare ed ha poco tempo per la vita comunitaria. Per questo può partecipare alla vita pubblica solo per delega, rilasciata a deputati, cioè delegati, che elegge alle camere rappresentative dei Parlamenti. Di contro, però, mentre il cittadino antico fu così immerso nella comunità civica da non poter avere una sua vera e propria vita privata, in quanto ogni suo atto, atteggiamento o scelta ebbe una dimensione pubblica, l’essere umano moderno e contemporaneo ha una estesissima vita privata: la vita familiare, quella con gli amici, il lavoro, che un tempo ebbero un ruolo comunitario, oggi sono fatti privati. L’uomo è meno partecipe alla comunità, ma assai più libero in società, non è strettamente controllato in ogni sua mossa dai consorti, può mantenere una certa riservatezza sulla vita privata, che con termine inglese diciamo spesso privacy, in quanto è in Gran Bretagna ch’essa è stata vista per la prima volta come un diritto fondamentale d’ogni essere umano, dimensione essenziale ed assolutamente irrinunciabile della propria libertà personale. Questo iniziò a manifestarsi con grande chiarezza proprio all’epoca in cui Benjamin Constant de Rebecque scrisse. Infatti, in allora, la rivoluzione industriale, cioè l’applicazione alla produzione di beni e servizi delle macchine inventate come applicazione tecnica delle scoperte teoriche della rivoluzione scientifica, ha portato ad un’enorme sviluppo della divisione del lavoro, e quindi approfondito il distacco fra vita privata, nella quale nella dimensione moderna rientra la scelta del lavoro, e vita pubblica. Oggi, tuttavia, la diffusione dei mezzi di comunicazione sociale, dell’informatica e della telematica, ha portato di nuovo l’essere umano ad essere immerso in un’inestricabile sviluppo ed avviluppo di relazioni comunicative, con una continua ingerenza altrui nella sfera della propria vita privata, ma spesso senza la più pallida ombra di quella compartecipazione comunitaria che nella grande antica «famiglia civica» costituì la contropartita affettiva a quella pressante ingerenza. Pressante ingerenza che, nel caso d’un Socrate, arrivò anche a togliere la vita ad un membro della comunità che risultò estravagante, ma che si legò ad un sentimento comunitario così «caldo» che proprio un Socrate preferì sottostare alla sentenza di morte che fuggire, auto espellersi dalla comunità e vivere di vita tra anonimi, come un pesce fuor d’acqua. Oggi che questa contropartita non v’è, il diritto alla riservatezza nella vita privata è realmente fondamentale ed imprescindibile, in quanto è uno dei cardini della libertà dell’uomo moderno in società, che controbilancia con la propria libertà privata l’allentarsi della libertà pubblica in una dimensione estremamente mediata, non più vissuta come giornaliera partecipazione al collettivo, ma come periodica elezione di rappresentanti in propria vece.
Diritto alla partecipazione e Dovere civico di partecipare S’è detto che la democrazia, sia antica che moderna, si concreta nel diritto del cittadino a partecipare, nell’antica direttamente alle deliberazioni legislative, alla scelta dei governanti ed ai pubblici uffici, nella moderna alle elezioni di propri deputati a fare le leggi e controllare i governi, e qualche volta, nelle repubbliche presidenziali, ad eleggere il Capo dello Stato. Questa parteci-
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pazione concreta la libertà politica, ed è quanto qualifica l’essere umano come cittadino, di tal ché egli gode dei diritti dell’uomo, quelli che ad egli spettano in quanto essere umano, ma anche dei diritti del cittadino, quelli di cui egli gode in quanto partecipe della cittadinanza, la quale verrà concretamente esercitata a partire dal compimento della maggiore età, ma che comporta il godimento d’altri diritti del cittadino sin dalla nascita. Alcuni autori, soprattutto anglosassoni, chiamano la partecipazione alla cittadinanza libertà civile, e quelli goduti dall’essere umano in quanto tale libertà individuale. Le due dimensioni, coniugate assieme, formano i due aspetti della libertà in quanto tale. A Roma, sull’Altare della Patria degli Italiani, altrimenti detto vittoriano, cioè monumento a Vittorio Emanuele ii di Savoia che primo, dopo tredici secoli, unificò tutta la penisola italiana e le isole in un solo Stato, vi sono, a chiudere il colonnato che incorona la costruzione, due timpani, nei cui architravi sono incise due scritte latine che significano, rispettivamente, Libertà dei Cittadino (Civivm Libertati), ed Unità della Patria (Patriæ Vnitati), in quanto è il godere delle medesime libertà civili da parte di tutti gli italiani, su tutto il territorio nazionale ed anche residenti all’estero, che fa unita la Patria in un solo Stato, del quale gli stessi sono tutti cittadini. Adesso possiamo dire, col sociologo tedesco Ulrich Beck, che gli Italiani sono tutti figli della libertà, in quanto ne godono da diverse generazioni, ma prima del 1861, anno della compiuta riunificazione di gran parte della penisola e delle isole, del 1870 anno della liberazione di Roma Capitale, del 1866 allorché ebbe di nuovo la sua libertà Venezia, e del 1918 quando vennero liberate Trento e Trieste, gli Italiani non solo furono divisi per tredici secoli, dalla cessazione dell’Impero romano sull’Occidente fino ad allora, ma furono per lo più sudditi di Stati dispotici, cioè che non riconobbero a nessuno la libertà civile di partecipazione allo Stato. La partecipazione democratica, quindi, è stata una grande conquista, per la quale molte generazioni impegnarono la loro vita, fino a perderla, nei casi di molti patrioti. Anche per questo, e per fare memoria di tale sacrificio, usare, poi, di questa partecipazione, combattere per la Patria se fossimo chiamati a difenderla, andare a votare quando siamo convocati alle urne, militare per il partito che sentiamo più prossimo al nostro sistema d’idee, partecipare alla difesa e promozione degli interessi della categoria di produttori alla quale diamo il tempo e le energie del nostro lavoro, è un fondamentale ed assolutamente inderogabile dovere d’un cittadino che voglia essere degno di questo titolo, massimo segno di nobiltà civile, che ci fa essere eguali nella Nazione, e tra i popoli affratellati nell’Unione europea, nel Consiglio d’Europa e nelle Nazioni Unite, anche se tra queste ultime non tutte le Nazioni sono libere nella stessa misura e, quindi, dobbiamo batterci anche per loro, ad iniziare col partecipare delle libertà democratiche di cui godiamo. Dobbiamo farlo assolutamente, anche perché il proverbio popolare: «l’assente ha sempre torto», ha un ben comprovato fondamento. Infatti è la partecipazione che fa la demo-crazia, cioè, con antica espressione greca, la forza del popolo, senza la quale la libertà civile non può essere realmente difesa. Infatti la libertà civile può sempre decadere innanzitutto, di fatto, per desuetudine, se per pigrizia, per ignavia, per menefreghismo, i cittadini non la usano. Allora, lo si ripete, quei pochi che ne hanno consapevolezza e la usano possono, prima o poi, con una sanzione giuridica o per via di fatto, fare una serrata, rinserrarsi tra loro per godere in esclusiva della partecipazione alle cariche dello Stato ed a fare le leggi, come infatti accadde nella Serenissima Repubblica di Venezia. Ciò succede quando i cittadini non partecipano alla democrazia come avrebbero diritto, si chiamano
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fuori. Insomma, col nostro sistema d’idee individuali abbiamo diritto ad essere diversi, e quindi a riconoscerci in partiti differenti; per le nostre inclinazioni fisiche ed intellettuali concorriamo a produrre la ricchezza nazionale in categorie di lavoro diverse, ma come cittadini dobbiamo essere militanti per la Patria comune. Questo significa essere patrioti, il titolo più bello del quale si possa fregiare un cittadino.
Inderogabilità dei Diritti dell’Uomo Derogàre è parola latina, composta dalla particella de, per indicare rimozione, cessazione, e da rogare, che vuol dire decretare una norma, un principio. Quindi derogare vuol dire togliere vigore od effetto, in certi casi e o per certe ragioni speciali, ad una norma e o ad un principio, facoltà d’operare contrariamente a quei precetti. Inderogabile vuol dire, quindi, al contrario, che a quelle norme o principi non si può, in nessun modo e mai, venir meno. Perciò i Diritti dell’Uomo sono assolutamente inderogabili, in quanto essi non possono mai perdere di vigore o d’effetto, in nessun caso e per nessuna speciale ragione; che proprio nessuno, privato o pubblica autorità, può legittimamente, senza commettere un’imperdonabile abuso, operare in contrasto col rispetto dei precetti sanciti come Diritti dell’Uomo. Ciò poiché si tratta d’Immortali Principi sempre e comunque validi ed efficaci, in quanto legati alla natura stessa dell’essere umano, il quale, tutte le volte che vi viene meno degrada in dignità, cioè non si rivela avere la forza d’esser degno del posto che riveste fra gli esseri e le energie che si manifestano nella natura del mondo. E quando qualcuno cercasse di sottrarci i nostri diritti fondamentali di libertà allora noi saremo degni del posto che occupiamo nel cosmo solo se sapremo impedirglielo con: la consapevolezza dei nostri diritti, della nostra dignità, della nostra natura d’esseri umani; l’intelligenza di contrastare l’azione usurpatrice coi lumi della nostra ragione e la chiarezza del nostro intuito; la forza d’animo indispensabile a resistere alle minacce, alle lusinghe, alle pressioni per farci abdicare alla nostra libertà; la forza e la capacità fisiche per sopportare gli atti di violenza coi quali si cercasse di farci cedere. Solo allora avremmo la certezza di essere ben riusciti come esseri umani. Altrimenti, non potremo lamentarci di nulla, in quanto avremmo perso solo ciò che non c’apparteneva, che non avevamo titolo per godere, che, in definitiva, fu cosa per altri e non per noi. Questo, purtroppo, nella storia delle umane vicende si verifica non di rado, tutte le volte in cui gli esseri umani cadono sotto il dispotismo d’uno od alcuni loro simili i quali, sempre, approfittano delle carenze di spirito, dell’anima e d’energia fisica e morale degli altri. L’essere umano, ben inteso, non è un dio «perfetto», ma non solo può ma deve darsi da fare per essere ciò che vuole, seguendo la sua volontà. Deve amarsi un po’, avere per legge un poco d’amore di sé, sotto il dominio della volontà. Altra questione, però, è qui da porsi: cosa vuole dire quanto s’è scritto sulla storicità del modo di porsi dei Diritti dell’Uomo, ad esempio sulla distinzione fra la Libertà degli antichi e la Libertà dei moderni. Come è possibile, dal momento che quei Diritti sono Immortali Principi di natura dell’essere umano, ch’essi siano anche legati al progresso nell’incivilimento? Come le altre leggi di natura, anche quelle che presiedono ai sentimenti dell’anima ed alle facoltà dello spirito vengono scoperte, rinvenute man mano che l’uomo progredisce nella conoscenza, e per interi periodi storici possono essere state ignorate o non ben conosciute. Questa ignoranza è
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sempre foriera d’errori. Si può fare un esempio coi principi d’una sana alimentazione. Per secoli gli esseri umani sono vissuti o senza conoscerli o con falsi principi, ad esempio convinti che il grasso della carne arricchisse il nutrimento ed il vino facesse «buon sangue», fosse datore d’energia. Così, per secoli gli esseri umani sono invecchiati male per una sovrapproduzione d’acidi urici e, quindi, tra atroci dolori della gotta, e bambini e ragazzi hanno avuto il fegato rovinato per una troppo precoce assunzione d’alcole. Allo stesso modo, per secoli esseri umani ben intenzionati si sono dati un gran daffare, in santa buona fede, per salvare l’anima ad intere popolazioni, convinti che per farlo convenisse imporre loro la Verità colla forza, e quindi buttare al rogo tutti quei perfidi esseri umani che attentassero alla salvezza dell’anima altrui dicendo eresie. Non vennero minimamente sfiorati dal dubbio che una scelta spirituale acquistasse un minimo senso etico, cioè fosse un merito, solo se liberamente determinatasi, e quindi avesse più valore per lo Spirito il Libero Pensiero che la Verità in sé. L’essere umano, inoltre, s’affeziona alle abitudini anche se sono insane: quanti non seguono affatto l’indicazione d’un nutrizionista ma preferiscono il grasso del cotechino bollito e finiscono quella cena con una grappa di elevata gradazione, e poi fanno diventar matti i familiari per una precoce arteriosclerosi, e corrono ad operarsi di cirrosi epatica? Allo stesso modo, molti preferiscono le certezze date dal fanatismo fondamentalista, alla difficile ricerca personale della verità. Dio si presenta ad un uomo, in un dialogo di Lessing, con nelle due mani nell’una la Verità, nell’altra la sua ricerca. Chi scrive è con quello che nel dialogo scelse la ricerca, ma v’è chi sceglie ogni giorno la Verità preconfezionata, tra questi anche coloro i quali pensano che i Diritti dell’Uomo siano derogabili per combattere il terrorismo di gruppi di fondamentalisti religiosi. Che senso logico ha derogare ai Diritti dell’Uomo per difenderli?