Fantasma a sorpresa Di Alfonso Dama
SURPRISE GHOST La vacanza era quasi terminata. Più o meno. Una bolgia: la bellezza di ben dodici incidenti tutti andati a buon fine. O a farsi fottere. Questo dipendeva in assoluto dai due punti di vista. Dal punto di vista di Helena, ciò che era accaduto aveva avuto il sapore del miracolo. I suoi nonni. Padre Pio. Dio in persona. Tutti insieme o uno alla volta l’avevano salvata da una doppia sestina di morti sicure. Dal punto di vista di Marco, invece, era stata solo una sequela dannatissima e incolonnata di sfighe; la sua gentile consorte, cicciona e racchia, nonché ricca da far venire i crampi a una sogliola, sembrava avere più vite dello stramaledetto gattaccio nero di mago Merlino. Porca di una puttana con la sifilide! Aveva buttato via qualcosa come tredicimila euro profumati, estratti dai suoi risparmi odorosi di sudore condito al sangue, e organizzato per mesi e mesi quel mezzo giro del mondo al solo scopo di... uccidere quella porcata di moglie! Le aveva davvero tentate tutte, con piani a prova di bomba, alibi inattaccabili e scenari da incidenti sfortunati e inevitabili: il gas, una perdita d’olio sull’autostrada, il capovolgimento di una canoa tribale sul lago Vittoria, una rapina col morto a Roma, e vari altri tentativi del cazzo. Niente. Ogni volta qualcosa aveva salvato quella boriosa dall’ultimo viaggio terreno. Al massimo, era riuscito a rimediarle due dita gonfie e una stortura a una caviglia e s’era pure dovuto sorbire i conseguenti lamenti e piagnistei logorroici come quelli di una sfinge parlante al vecchio Mirabilandia. Roba da pazzi! Per il
resto la sua pussy pussy ‒ bacino bacino, mu mu mu ‒ era rimasta in forma perfetta, illesa e immacolata come una statua di cera al museo di Pechino. Perfino quella sua odiata voce gracchiante, che pareva assumere le tonalità acute di un piffero stonato fuso al rumore ronzante della sega elettrica di un falegname, era ancora più squillante di prima. E adesso ‒ rulli di trombe e squilli di nacchere! ‒ c’era rimasta l’ultima tappa, l’estrema speranza. Si sentiva come l’attaccante di una squadra di calcio alla finale dei mondiali, quando inizia l’ultimo minuto di gioco. Era in piena zona Cesarini: o la buttava dentro o prendeva l’ennesimo palo, e alla prossima. La tappa era un castello nel nord della Scozia. Uno di quelli che si ergono da un dirupo a strapiombo, con tanto di fantasma buontempone all’interno. A pensarci bene erano due i minuti di recupero della partita che si apprestava a giocare: un bel volo o un genuino infarto. Non era stato facile convincerla ad aggiungere quella postilla al viaggio. Lei aveva urlato e gracchiato che i Santi del Paradiso l’avevano più e più volte avvisata, (bacino, bacino, cigabum) che forse la volevano a casa. Lui le aveva risposto, nel modo più dolce possibile, che desiderava chiudere in bellezza, in un luogo romantico, un bel posto gotico, dove sarebbero stati come due piccioncini al sicuro. Naturalmente la cosa gli sarebbe costata altri tremila bianconi e passa, ma ne sarebbe valsa la pena. Certo. Altroché. «Pensa. Una nuova, dolcissima luna di miele, amore mio! Un castello del trecento. Tutto per noi!» e bacetti, bacetti, bacetti. In realtà, ne sarebbe valsa la pena perché, anche se il suo stipendio era ridicolo, una bestemmia al suo genio, in caso di
successo avrebbe ereditato una sommetta che si avvicinava ai diciotto milioni di fettoni, più varie proprietà sparse per l’altoatesino. Quindi, vedeva quelle spese come un semplice, proficuo, investimento. L’unico problema consisteva nel fatto di non avere un piano preciso. Ma quel luogo si prestava a ogni tipo d’ispirazione. Bastava un piede in fallo, un’ombra ingigantita su un muro e... la candela si sarebbe spenta per sempre. «Fa freddo qui!» «Cara, vieni a dormire. Ti è piaciuto il panorama?» Nella enorme stanza con il letto a baldacchino, le loro voci sembravano i mormorii in una chiesa. «Questo posto mi annoia. E’... perfido!» «Come può annoiarti se è perfido?» «Non lo so.» Lei aveva indossato quella sua dannata vestaglia color viola pallido che la faceva sembrare una vecchia bomboniera. Ed era in piedi, davanti alla soglia della camera a fissare il lampadario d’ottone del corridoio. «Allora ti decidi?» fece Marco, facendo trapelare una certa acidità nel tono. «Ho sentito un rumore.» «Cosa?» Helena si spostò verso il letto. «Un suono strano, viene dal fondo della galleria.» Lui sorrise: «Sarà il fantasma.» Fu dopo venti minuti di battibecchi che le luci si spensero e videro il primo lampo, seguito da un lamento spaventoso. Marco si scaraventò dal letto. «Ma che diavolo...»
Suoni e lampi cominciarono a far tremare la moquette. Lui si spostò verso sua moglie. Questa aveva le spalle all’ingiù e sembrava tremare. Un filo di speranza lo invase: qualsiasi cosa stava succedendo lì fuori nel corridoio, forse sarebbe stata un’ottima alleata per i suoi scopi. Girò la donna verso di sé per tastarne lo spavento e fingere di tranquillizzarla. Un suono gutturale ed esplosivo si sparse per l’ambiente. Lui la trascinò in corridoio. «Non aver paura,» disse «ci sono io con te!» Dal fondo della galleria, l’amorfa, enorme ombra evanescente d’un grafema sconosciuto si mostrava con lampi a intermittenza. Con lentezza divenne una figura deforme, con macchie al posto del viso e il corpo avvolto in qualcosa di simile a catene di elettricità. Marco guardò sua moglie negli occhi, mentre un lampo la illuminava: era eccitata. E sorrideva! «Grazie, amore mio,» la sentì sussurrare «un castello medievale, tutto per noi. E con un vero fantasma a infestarlo! Perché si lamenta così? Si sarà ucciso per amore?» Lui rispose con una smorfia di delusione immensa. «Vieni, andiamo a chiederglielo.» La finestra del terrazzino al centro della lunga e tenebrosa galleria, da dove avevano ammirato il panorama sulla rupe, era ancora socchiusa e sbatteva ogni tanto ai tuoni spaventosi che rimbombavano sulle pareti antiche. La raggiunse con la donna che lo seguiva come un cagnolino, affascinata. Pensò tutto in un lampo: il terrore aveva fatto impazzire la sua metà che si era lanciata di sotto nonostante lui avesse tentato con tutte le forze di fermarla.
Era perfetto! Quanto al fantasma, aveva i cavoli suoi da pensare. E non gli risultava che in un’inchiesta fosse mai stato convocato un ectoplasma. Eh, no. Aprì il battente, sollevò sua moglie come un masso e la spinse giù. Le urla di lei furono in parte coperte dagli schiamazzi di quello stronzo di spettro. Ciao ciao bacini bacini bum bum vaffanculo... Si sedette sulla sponda del letto, riempì un bicchiere di spumante e accese una sigaretta, esausto e soddisfatto. Da qualche minuto tutto era tornato silenzio e tranquillità. La luce elettrica era ancora assente e, mentre si chiedeva il perché, senti dei passi nel corridoio. Lenti, cadenzati. Avvertì una presenza alle sue spalle e si voltò lentamente. Il raggio di una torcia elettrica gli fece socchiudere gli occhi. Un giovane grassottello con un vago aspetto da matricola universitaria lo fissava in modo strano, quasi commiserevole. «E tu chi cazzo saresti?» gli chiese. «Un ladro?» «No, signore,» disse l’altro in un italiano alla Stanlio ed Ollio. «Sono... ehm... il fantasma.» «Eh?» «Veda, passo tutto il tempo giù nelle segrete di questo posto davanti a un computer e a dei monitor, a scatenar lampi e a fare accadere ogni sorta di... apparizioni. Intanto riprendo tutto e scatto pure delle foto. Materiale che l’azienda turistica poi consegna ai signori che affittano il castello e senza alcun sovrapprezzo. La gente si diverte un sacco a vedere le loro
facce stravolte dalla paura e dall’eccitazione. I nostri effetti sono davvero realistici non trova, signore?» Marco non rispose. «Lo stipendio che mi danno basta appena a pagarmi gli studi, mi creda. È una miseria.» Il giovane sorrise. «Però ora presumo sia arrivato il mio colpo di fortuna. Non è così? Spero si sia divertito, signore, perché presumo che questa seconda luna di miele le costerà molto più di quanto avesse preventivato. Molto, ma proprio molto di più...»