Roma, 30/01/2015
COMUNICATO STAMPA
Elettroni per radioguidare gli interventi chirurgici oncologici La tecnica è stata messa a punto grazie allo studio realizzato da Sapienza e INFN in collaborazione con altri enti di ricerca, pubblicato su The Journal of Nuclear Medicine È una innovativa tecnica di chirurgia oncologica radioguidata, che utilizza al posto della radiazione gamma, cioè i fotoni oggi comunemente impiegati, la radiazione beta- (β-), cioè gli elettroni. Lo studio è presentato in un articolo pubblicato nel numero di gennaio de The Journal of Nuclear Medicine. La pubblicazione presenta i primi risultati della ricerca, che riguardano la sensibilità della tecnica su particolari tipi di tumore, quali meningiomi e gliomi di alto grado: la valutazione è statisticamente positiva per questi casi clinici. Ora i ricercatori sono in attesa delle ultime approvazioni per cominciare dei test preclinici su campioni prelevati durante operazioni chirurgiche di meningiomi. Questa tecnica, sulla quale quale è stato depositato un brevetto PCT, è frutto della collaborazione tra l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), Sapienza Università di Roma, il Centro Fermi, l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), l’Istituto Neurologico Carlo Besta e l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO). La chirurgia radioguidata è una tecnica che mira all’identificazione di residui tumorali per permettere una completa resezione in sede operatoria. Si inietta una sostanza radioattiva (un radiofarmaco) che si lega preferenzialmente alle cellule tumorali. Si attende che il farmaco sia metabolizzato e poi, durante l’operazione per l’asporto del tumore, si usa un dispositivo (sonda) in grado di rivelare la radiazione per verificare tessuti su cui si ha il dubbio se siano tumorali o meno. Alla fine della resezione, sempre durante l’operazione, si può usare la stessa sonda per verificare se siano rimasti residui. Le tecniche di chirurgia radioguidata adottate oggi fanno tutte uso di radiofarmaci che emettono raggi gamma. Questi ultimi attraversano grossi spessori di materiale e sono pertanto utilizzati comunemente in diagnostica medica (in particolare nella PET e nella scintigrafia), e sono dunque un naturale punto di partenza per questa diagnostica. Il loro potere penetrante però comporta che, se c’è un organo fortemente captante in prossimità del tumore, esso emette un segnale che oscura qualunque segnale proveniente dai residui tumorali. Inoltre, il personale medico viene investito da una
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significativa dose di radiazione a meno di tenere le attività del radiofarmaco molto basse. Queste limitazioni rendono la chirurgia radioguidata non applicabile a tumori quali quelli cerebrali (vista l’alta captazione del cervello sano), dell’addome (in prossimità di reni, vescica, fegato, per esempio) e pediatrici (dove tutte le dimensioni sono ridotte). “Per superare queste limitazioni – spiega Riccardo Faccini, professore all’Università La Sapienza associato all’INFN – il nostro gruppo di ricerca propone un cambio di paradigma, cioè utilizzare radiofarmaci che emettano radiazione ((β-)), invece che gamma: gli elettroni infatti hanno una capacità penetrante ridotta rispetto ai fotoni”. “Il vantaggio di questa innovazione – prosegue Faccini – è che la scarsa penetrazione degli elettroni nei tessuti evita il problema della contaminazione da parte di organi sani captanti, e inoltre limita significativamente la radioattività assorbita dal personale medico”. I radiofarmaci con emissione di radiazione beta non sono mai stati usati nella diagnostica medica proprio perché gli elettroni hanno un bassissimo potere penetrante, meno di un centimetro nel corpo umano, e pertanto la radiazione emessa in condizioni normali non può uscire dal paziente. L’ambiente operatorio però consente di usare anche la radiazione beta-, dal momento che il chirurgo accede direttamente al tessuto che eventualmente emette la radiazione. Dal punto di vista dell’applicazione di questo principio, la difficoltà principale è individuare i casi clinici in cui è essenziale una resezione completa del tumore e per i quali esista un radiofarmaco opportuno, cioè che emetta elettroni. Con l’ausilio dei medici nucleari, dei neurochirurghi e dei chirurghi addominali, i ricercatori hanno concluso che era opportuno cominciare a sperimentare la tecnica su tumori cerebrali, quali il meningioma e il glioma e sui tumori neuroendocrini, visto che per questi esiste un farmaco, l’Y90-DOTATOC già utilizzato per una particolare forma di radioterapia metabolica. “Lo studio di questa tecnica – spiega Faccini – si è concentrato finora sullo sviluppo della sonda, sulla simulazione della sensitività della tecnica e sulla valutazione a partire da immagini diagnostiche, della capacità dei tumori e dei tessuti sani limitrofi di captare il radiofarmaco”. “E credo sia importante sottolineare in questa impresa la piena multidisciplinarità: la collaborazione, infatti, vede veramente sullo stesso piano fisici, ingegneri, medici nucleari, oncologi e chirurghi”, conclude Faccini.
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Tumori: nuova tecnica italiana per radioguidare interventi 13:09 30 GEN 2015
(AGI) - Roma, 30 gen. - E' un'innovativa tecnica di chirurgia oncologica radioguidata, che utilizza al posto della radiazione gamma, cioè i fotoni oggi comunemente impiegati, la radiazione beta, cioè gli elettroni. A realizzarla è stato un gruppo di ricercatori dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, dell'Università Sapienza di Roma, dell’Centro Fermi, dell'Istituto Italiano di Tecnologia, dell'Istituto Neurologico Carlo Besta e dell'Istituto Europeo di Oncologia. La tecnica è stata descritta sul Journal of Nuclear Medicine. I primi risultati della ricerca riguardano la sensibilità della tecnica su particolari tipi di tumore, quali meningiomi e gliomi di alto grado: la valutazione e' statisticamente positiva per questi casi clinici. Ora i ricercatori sono in attesa delle ultime approvazioni per cominciare dei test preclinici su campioni prelevati durante operazioni chirurgiche di meningiomi. La chirurgia radioguidata è una tecnica che mira all'identificazione di residui tumorali per permettere una completa resezione in sede operatoria. Si inietta una sostanza radioattiva (un radiofarmaco) che si lega preferenzialmente alle cellule tumorali. Si attende che il farmaco sia metabolizzato e poi, durante l'operazione per l'asporto del tumore, si usa un dispositivo (sonda) in grado di rivelare la radiazione per verificare tessuti su cui si ha il dubbio se siano tumorali o meno. Alla fine della resezione, sempre durante l'operazione, si può usare la stessa sonda per verificare se siano rimasti residui. Le tecniche di chirurgia radioguidata adottate oggi fanno tutte uso di radiofarmaci che emettono raggi gamma. Questi ultimi attraversano grossi spessori di materiale e sono pertanto utilizzati comunemente in diagnostica medica, e sono dunque un naturale punto di partenza per questa diagnostica. Il loro potere
penetrante però comporta che, se c'è un organo fortemente captante in prossimità del tumore, esso emette un segnale che oscura qualunque segnale proveniente dai residui tumorali. Inoltre, il personale medico viene investito da una significativa dose di radiazione a meno di tenere le attività del radiofarmaco molto basse. Queste limitazioni rendono la chirurgia radioguidata non applicabile a tumori quali quelli cerebrali (vista l'alta captazione del cervello sano), dell'addome (in prossimità di reni, vescica, fegato, per esempio) e pediatrici (dove tutte le dimensioni sono ridotte). "Per superare queste limitazioni - ha spiegato Riccardo Faccini, professore all'Università La Sapienza associato all'Infn - il nostro gruppo di ricerca propone un cambio di paradigma, cioè utilizzare radiofarmaci che emettano radiazione ((?-)), invece che gamma: gli elettroni infatti hanno una capacità penetrante ridotta rispetto ai fotoni". Il vantaggio di questa innovazione è che la scarsa penetrazione degli elettroni nei tessuti evita il problema della contaminazione da parte di organi sani captanti, e inoltre limita significativamente la radioattività assorbita dal personale medico. (AGI).
Elettroni per guidare la mano del chirurgo Permette interventi più precisi in aree difficili 30 gennaio, 14:52
Il nuovo strumento per guidare la mano del chirurgo con elettroni (fonte: Università Sapienza)
Guidare la mano dei chirurghi con gli elettroni: lo permette la tecnica messa a punto e brevettata in Italia, che permette di asportare completamente tumori in aree 'difficili', con una notevole precisione. Lo sviluppo è stato possibile grazie alla collaborazione di Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), Università Sapienza di Roma, Centro Fermi, Istituto Italiano di Tecnologia (Iit), Istituto Neurologico Carlo Besta eIstituto Europeo di Oncologia (Ieo) e i primi risultati sono stati pubblicati sul Journal of Nuclear Medicine. Riconoscere 'a vista' le cellule tumorali da quelle sane non è facile come si potrebbe immaginare e per aiutare i chirurghi in sala operatoria si usano da anni dei marcatori, molecole che emettono radiazioni gamma, che
'evidenziano' le parti da asportare. Questi metodi presentano però delle limitazioni, non funzionano 'bene' in tutti i tipi di tessuti, possono danneggiare le cellule sane e espongono il personale medico a radiazioni, che assunte regolarmente rappresentano un grave pericolo. "Per superare queste limitazioni proponiamo un cambio di paradigma, che consiste nell'utilizzare radiofarmaci che emettano radiazione beta invece che gamma: gli elettroni (beta) infatti hanno una capacità penetrante ridotta rispetto ai fotoni (gamma)", ha spiegato Riccardo Faccini, docente della Sapienza associato all'Infn. Le radiazioni beta sono meno 'potenti' e di conseguenza meno rischiose, ma anche meno 'visibili'. Per superare questi problemi i ricercatori italiani hanno sviluppato nuovi strumenti da usare durante gli interventi capaci di rilevare i 'deboli' elettroni emessi e guidare il chirurgo nell'intervento. I primi risultati hanno dimostrato l'efficacia di questa tecnica, per la quale è stato depositato il brevetto, e il prossimo passo sarà quello di iniziare i test preclinici per le operazioni chirurgiche.
Sapienza: elettroni per radioguidare interventi di chirurgia oncologica 30 gennaio 2015
Università degli Studi di Roma “La Sapienza” – La tecnica per radioguidare interventi di chirurgia oncologica è stata messa a punto grazie allo studio realizzato da Sapienza e INFN in collaborazione con altri enti di ricerca, pubblicato su The Journal of Nuclear Medicine
Radioguida interventi di chirurgia oncologica
È una innovativa tecnica di chirurgia oncologica radioguidata, che utilizza al posto della radiazione gamma, cioè i fotoni oggi comunemente impiegati, la radiazione beta- (β-), cioè gli elettroni. Lo studio è presentato in un articolo pubblicato nel numero di gennaio de TheJournal of Nuclear Medicine. La pubblicazione presenta i primi risultati della ricerca sugli interventi di chirurgia oncologica, che riguardano la sensibilità della tecnica su particolari tipi di tumore, quali meningiomi e gliomi di alto grado: la valutazione è statisticamente positiva per questi casi clinici. Ora i ricercatori sono in attesa delle ultime approvazioni per cominciare dei test preclinici su campioni prelevati durante operazioni chirurgiche di meningiomi.
La tecnica di radioguida degli interventi di chirurgia oncologica Questa tecnica, sulla quale quale è stato depositato un brevetto PCT, è frutto della collaborazione tra l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), Sapienza Università di Roma, il Centro Fermi, l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), l’Istituto Neurologico Carlo Besta e l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO).
La chirurgia radioguidata è una tecnica che mira all’identificazione di residui tumorali per permettere una completa resezione in sede operatoria. Si inietta una sostanza radioattiva (un radiofarmaco) che si lega preferenzialmente alle cellule tumorali. Si attende che il farmaco sia metabolizzato e poi, durante l’operazione per l’asporto del tumore, si usa un dispositivo (sonda) in grado di rivelare la radiazione per verificare tessuti su cui si ha il dubbio se siano tumorali o meno. Alla fine della resezione, sempre durante l’operazione, si può usare la stessa sonda per verificare se siano rimasti residui. Le tecniche di chirurgia oncologica radioguidata adottate oggi fanno tutte uso di radiofarmaci che emettono raggi gamma. Questi ultimi attraversano grossi spessori di materiale e sono pertanto utilizzati comunemente in diagnostica medica (in particolare nella PET e nella scintigrafia), e sono dunque un naturale punto di partenza per questa diagnostica. Il loro potere penetrante però comporta che, se c’è un organo fortemente captante in prossimità del tumore, esso emette un segnale che oscura qualunque segnale proveniente dai residui tumorali. Inoltre, il personale medico viene investito da una significativa dose di radiazione a meno di tenere le attività del radiofarmaco molto basse. Queste limitazioni rendono la chirurgia radioguidata non applicabile a tumori quali quelli cerebrali (vista l’alta captazione del cervello sano), dell’addome (in prossimità di reni, vescica, fegato, per esempio) e pediatrici (dove tutte le dimensioni sono ridotte). “Per superare queste limitazioni – spiega Riccardo Faccini, professore all’Università La Sapienza associato all’INFN – il nostro gruppo di ricerca propone un cambio di paradigma, cioè utilizzare radiofarmaci che emettano radiazione ((β-)), invece che gamma: gli elettroni infatti hanno una capacità penetrante ridotta rispetto ai fotoni”. “Il vantaggio di questa innovazione sulla chirurgia oncologica – prosegue Faccini – è che la scarsa penetrazione degli elettroni nei tessuti evita il problema della contaminazione da parte di organi sani captanti, e inoltre limita significativamente la radioattività assorbita dal personale medico”. I radiofarmaci con emissione di radiazione beta non sono mai stati usati nella diagnostica medica proprio perché gli elettroni hanno un bassissimo potere penetrante, meno di un centimetro nel corpo umano, e pertanto la radiazione emessa in condizioni normali non può uscire dal paziente. L’ambiente operatorio però consente di usare anche la radiazione beta-, dal momento che il chirurgo accede direttamente al tessuto che eventualmente emette la radiazione. Dal punto di vista dell’applicazione di questo principio, la difficoltà principale è individuare i casi clinici in cui è essenziale una resezione completa del tumore e per i quali esista un radiofarmaco opportuno, cioè che emetta elettroni. Con l’ausilio dei medici nucleari, dei neurochirurghi e dei chirurghi addominali, i ricercatori hanno concluso che era opportuno cominciare a sperimentare la tecnica su tumori cerebrali, quali il meningioma e il glioma e sui tumori neuroendocrini, visto che per questi esiste un farmaco, l’Y90DOTATOC già utilizzato per una particolare forma di radioterapia metabolica. “Lo studio di questa tecnica di chirurgia oncologica – spiega Faccini – si è concentrato finora sullo sviluppo della sonda, sulla simulazione della sensitività della tecnica e sulla valutazione a partire da immagini diagnostiche, della capacità dei tumori e dei tessuti sani limitrofi di captare il radiofarmaco”. “E credo sia importante sottolineare in questa impresa la piena multidisciplinarità: la collaborazione, infatti, vede veramente sullo stesso piano fisici, ingegneri, medici nucleari, oncologi e chirurghi”, conclude Faccini.
Elettroni contro i tumori: una nuova tecnica chirurgica La nuova tecnica utilizza al posto della radiazione gamma, cioè i fotoni oggi comunemente impiegati, la radiazione beta-, cioè gli elettroni Desk2 venerdì 30 gennaio 2015 15:42 www.media.inaf.it Commenta
Elettroni per radioguidare interventi chirurgici oncologici. È questa la tecnica innovativa per la cura dei tumori annunciata dall'INFN e l'università La Sapienza. La nuova tecnica utilizza al posto della radiazione gamma, cioè i fotoni oggi comunemente impiegati, la radiazione
beta-, cioè gli elettroni. Lo studio è presentato in un articolo pubblicato nel numero di gennaio de The Journal of Nuclear Medicine. La pubblicazione presenta i primi risultati della ricerca, che riguardano la sensibilità della tecnica su particolari tipi di tumore, quali meningiomi e gliomi di alto grado: la valutazione è statisticamente positiva per questi casi clinici. Ora i ricercatori sono in attesa delle ultime approvazioni per cominciare dei test preclinici su campioni prelevati durante operazioni chirurgiche di meningiomi. Questa tecnica, sulla quale quale è stato depositato un brevetto PCT, è frutto della collaborazione tra l'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), l'Università La Sapienza, il Centro Fermi, l'Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), l'Istituto Neurologico Carlo Besta e l'Istituto Europeo di Oncologia (IEO). La chirurgia radioguidata è una tecnica che mira all'identificazione di residui tumorali per permettere una completa resezione in sede operatoria. Si inietta una sostanza radioattiva
(un radiofarmaco) che si lega preferenzialmente alle cellule tumorali. Si attende che il farmaco sia metabolizzato e poi, durante l'operazione per l'asporto del tumore, si usa un dispositivo (sonda) in grado di rivelare la radiazione per verificare tessuti su cui si ha il dubbio se siano tumorali o meno. Alla fine della resezione, sempre durante l'operazione, si può usare la stessa sonda per verificare se siano rimasti residui. Le tecniche di chirurgia radioguidata adottate oggi fanno tutte uso di radiofarmaci che emettono raggi gamma. Questi ultimi attraversano grossi spessori di materiale e sono pertanto utilizzati comunemente in diagnostica medica (in particolare nella PET e nella scintigrafia), e sono dunque un naturale punto di partenza per questa diagnostica. Il loro potere penetrante però comporta che, se c'è un organo fortemente captante in prossimità del tumore, esso emette un segnale che oscura qualunque segnale proveniente dai residui tumorali. Inoltre, il personale medico viene investito da una significativa dose di radiazione a meno di tenere le attività del radiofarmaco molto basse. Queste limitazioni rendono la chirurgia radioguidata non applicabile a tumori quali quelli cerebrali (vista l'alta captazione del cervello sano), dell'addome (in prossimità di reni, vescica, fegato, per esempio) e pediatrici (dove tutte le dimensioni sono ridotte). «Per superare queste limitazioni - spiega Riccardo Faccini, docente de La Sapienza associato all'INFN - il nostro gruppo di ricerca propone un cambio di paradigma, cioè utilizzare radiofarmaci che emettano radiazione invece che gamma: gli elettroni infatti hanno una capacità penetrante ridotta rispetto ai fotoni». «Il vantaggio di questa innovazione - prosegue Faccini - è che la scarsa penetrazione degli elettroni nei tessuti evita il problema della contaminazione da parte di organi sani captanti, e inoltre limita significativamente la radioattività assorbita dal personale medico». I radiofarmaci con emissione di radiazione beta non sono mai stati usati nella diagnostica medica proprio perché gli elettroni hanno un bassissimo potere penetrante, meno di un centimetro nel corpo umano, e pertanto la radiazione emessa in condizioni normali non può uscire dal paziente. L'ambiente operatorio però consente di usare anche la radiazione beta-, dal momento che il chirurgo accede direttamente al tessuto che eventualmente emette la radiazione. Dal punto di vista dell'applicazione di questo principio, la difficoltà principale è individuare i casi clinici in cui è essenziale una resezione completa del tumore e per i quali esista un radiofarmaco opportuno, cioè che emetta elettroni. Con l'ausilio dei medici nucleari, dei neurochirurghi e dei chirurghi addominali, i ricercatori hanno concluso che era opportuno cominciare a sperimentare la tecnica su tumori cerebrali, quali il meningioma e il glioma e sui tumori neuroendocrini, visto che per questi esiste un farmaco, l'Y90-DOTATOC già utilizzato per una particolare forma di radioterapia metabolica. «Lo studio di questa tecnica - spiega Faccini - si è concentrato finora sullo sviluppo della sonda, sulla simulazione della sensitività della tecnica e sulla valutazione a partire da immagini diagnostiche, della capacità dei tumori e dei tessuti sani limitrofi di captare il radiofarmaco». «E credo sia importante sottolineare in questa impresa la piena multidisciplinarità: la collaborazione, infatti, vede veramente sullo stesso piano fisici, ingegneri, medici nucleari, oncologi e chirurghi», conclude Faccini.
30 gennaio 2015
INFN - Università La Sapienza: Elettroni per radioguidare gli interventi chirurgici oncologici Comunicato stampa - La tecnica è stata messa a punto grazie allo studio realizzato da Sapienza e INFN in collaborazione con altri enti di ricerca, pubblicato su The Journal of Nuclear Medicine Roma, 30 gennaio 2015 - È una innovativa tecnica di chirurgia oncologica radioguidata, che utilizza al posto della radiazione gamma, cioè i fotoni oggi comunemente impiegati, la radiazione ?beta- (?-), cioè gli elettroni. Lo studio è presentato in un articolo pubblicato nel numero di gennaio de The Journal of Nuclear Medicine. La pubblicazione presenta i primi risultati della ricerca, che riguardano la sensibilità della tecnica su particolari tipi di tumore, quali meningiomi e gliomi di alto grado: la valutazione è statisticamente positiva per questi casi clinici. Ora i ricercatori sono in attesa delle ultime approvazioni per cominciare dei test preclinici su campioni prelevati durante operazioni chirurgiche di meningiomi. Questa tecnica, sulla quale qual è stato depositato un brevetto PCT, è frutto della collaborazione tra l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), l’Università La Sapienza, il Centro Fermi, l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), l’Istituto Neurologico Carlo Besta e l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO). La chirurgia radioguidata è una tecnica che mira all’identificazione di residui tumorali per permettere una completa resezione in sede operatoria. Si inietta una sostanza radioattiva (un radiofarmaco) che si lega preferenzialmente alle cellule tumorali. Si attende che il farmaco sia metabolizzato e poi, durante l’operazione per l’asporto del tumore, si usa un dispositivo (sonda) in grado di rivelare la radiazione per verificare tessuti su cui si ha il dubbio se siano tumorali o meno. Alla fine della resezione, sempre durante l’operazione, si può usare la stessa sonda per verificare se siano rimasti residui. Le tecniche di chirurgia radioguidata adottate oggi fanno tutte uso di radiofarmaci che emettono raggi gamma. Questi ultimi attraversano grossi spessori di materiale e sono pertanto utilizzati comunemente in diagnostica medica (in particolare nella PET e nella scintigrafia), e sono dunque un naturale punto di partenza per questa diagnostica. Il loro potere penetrante però comporta che, se c’è un organo fortemente captante in prossimità del tumore, esso emette un segnale che oscura qualunque segnale proveniente dai residui tumorali. Inoltre, il personale medico viene investito da una significativa dose di radiazione a meno di tenere le attività del radiofarmaco molto basse. Queste limitazioni rendono la chirurgia radioguidata non applicabile a tumori quali quelli cerebrali (vista l’alta captazione del cervello sano), dell’addome (in prossimità di reni, vescica, fegato, per esempio) e pediatrici (dove tutte le dimensioni sono ridotte). “Per superare queste limitazioni – spiega Riccardo Faccini, professore all’Università La Sapienza associato all’INFN – il nostro gruppo di ricerca propone un cambio di paradigma, cioè utilizzare radiofarmaci che emettano radiazione ?- invece che gamma: gli elettroni infatti hanno una capacità penetrante ridotta rispetto ai fotoni”.
“Il vantaggio di questa innovazione – prosegue Faccini – è che la scarsa penetrazione degli elettroni nei tessuti evita il problema della contaminazione da parte di organi sani captanti, e inoltre limita significativamente la radioattività assorbita dal personale medico”. I radiofarmaci con emissione di radiazione beta non sono mai stati usati nella diagnostica medica proprio perché gli elettroni hanno un bassissimo potere penetrante, meno di un centimetro nel corpo umano, e pertanto la radiazione emessa in condizioni normali non può uscire dal paziente. L’ambiente operatorio però consente di usare anche la radiazione beta-, dal momento che il chirurgo accede direttamente al tessuto che eventualmente emette la radiazione. Dal punto di vista dell’applicazione di questo principio, la difficoltà principale è individuare i casi clinici in cui è essenziale una resezione completa del tumore e per i quali esista un radiofarmaco opportuno, cioè che emetta elettroni. Con l’ausilio dei medici nucleari, dei neurochirurghi e dei chirurghi addominali, i ricercatori hanno concluso che era opportuno cominciare a sperimentare la tecnica su tumori cerebrali, quali il meningioma e il glioma e sui tumori neuroendocrini, visto che per questi esiste un farmaco, l’Y90-DOTATOC già utilizzato per una particolare forma di radioterapia metabolica. “Lo studio di questa tecnica – spiega Faccini – si è concentrato finora sullo sviluppo della sonda, sulla simulazione della sensitività della tecnica e sulla valutazione a partire da immagini diagnostiche, della capacità dei tumori e dei tessuti sani limitrofi di captare il radiofarmaco”. “E credo sia importante sottolineare in questa impresa la piena multidisciplinarità: la collaborazione, infatti, vede veramente sullo stesso piano fisici, ingegneri, medici nucleari, oncologi e chirurghi”, conclude Faccini.
Tumore: operazioni radiocomandate DI JESSICA RIVADOSSI, 30 GENNAIO 2015
JESSICA RIVADOSSI
Una nuova tecnica Made in Italy andrà ad aiutare i chirurghi durante gli interventi di asportazione dei tumori. La nuova ed innovativa tecnica di chirurgia oncologica è nata grazie alla collaborazione tra l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), l’Università Sapienza di Roma, il Centro Fermi, l’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit), l’Istituto Neurologico Carlo Besta e l’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo), e promette di andare ad aiutare appunto i medici “radiocomandando” le loro mani perasportare con la massima precisione i tumori situati in aree considerate difficili. La tecnica, messa a punto e brevettata (con brevetto PCT) in Italia è stata descritta sul Journal of Nuclear Medicine: questa, al posto di utilizzare le radiazioni gamma – ovvero quelle utilizzate più spesso ad oggi – utilizzerebbe invece quelle beta, che altro non sono se non degli elettroni, e saranno proprio questi che andranno a guidare i medici.
Lo studio Riuscire a distinguere delle cellule tumorali da quelle sane non è mai stato facile per ogni dottore e per questo, per aiutare il lavoro dei chirurghi, vengono utilizzati ormai da anni dei marcatori che – attraverso delle radiazioni gamma – vanno ad illuminare le parti che andranno asportate. Tuttavia questi presentano una serie di fattori che fanno diventare questo metodo una sorta di limitazione: oltre a non funzionare bene per operare i tumori in tutti i tessuti (per quelli cerebrali vista l’alta captazione del cervello sano, ma anche l’addome – vicino a reni, vescica e fegato – e per gli
individui pediatrici dato che le dosi devono essere ridotte) questo metodo andrebbe ad investire letteralmente tutto il personale medico con una dose di radiazione non indifferente. Una vera e propria limitazione, quindi, che secondo il docente della Sapienza associato all’Infn, Riccardo Faccini, troverebbe soluzione proponendo un cambio di paradigma utilizzando quindi radiofarmaci con radiazioni beta (quindi elettroni) al posto di quelli gamma (fotoni). Questo perché questi ultimi avrebbero una capacità di penetrazione minore rispetto i fotoni, meno di un centimetro nel corpo umano, ma tuttavia risulterebbero meno potenti e anche meno visibili. “Il vantaggio di questa innovazione” ha spiegato Faccini “è che la scarsa penetrazione degli elettroni nei tessuti evita il problema della contaminazione da parte di organi sani captanti, e inoltre limita significativamente la radioattività assorbita dal personale medico”. Grazie all’aiuto di medici nucleari, neurochirurghi e chirurghi addominali, i ricercatori hanno deciso di iniziare a sperimentare la sensibilità della tecnica per tipi di tumore particolari come meningiomi, gliomi e tumori neuroendocrini – dato che per questi casi esisterebbe già un farmaco apposito – con una valutazione reputata statisticamente positiva. “Lo studio di questa tecnica si è concentrato finora sullo sviluppo della sonda, sulla simulazione della sensitività della tecnica e sulla valutazione a partire da immagini diagnostiche, della capacità dei tumori e dei tessuti sani limitrofi di captare il radiofarmaco” conclude Faccini “credo sia importante sottolineare in questa impresa la piena multidisciplinarità: la collaborazione, infatti, vede veramente sullo stesso piano fisici, ingegneri, medici nucleari, oncologi e chirurghi”. photo credit: SandiaLabs via photopin cc
Elettroni per i tumori Elettroni per radioguidare interventi chirurgici oncologici. È questa la tecnica innovativa per la cura dei tumori annunciata dall'INFN e l'università La Sapienza. La nuova tecnica utilizza al posto della radiazione gamma, cioè i fotoni oggi comunemente impiegati, la radiazione beta-, cioè gli elettroni di Redazione Media Inaf venerdì 30 gennaio 2015 @ 15:19
Elettroni per radioguidare interventi chirurgici oncologici. È questa la tecnica innovativa per la cura dei tumori annunciata dall’INFN e l’università La Sapienza. La nuova tecnica utilizza al posto della radiazione gamma, cioè i fotoni oggi comunemente impiegati, la radiazione beta-, cioè gli elettroni. Lo studio è presentato in un articolo pubblicato nel numero di gennaio de The Journal of Nuclear Medicine. La pubblicazione presenta i primi risultati della ricerca, che riguardano la sensibilità della tecnica su particolari tipi di tumore, quali meningiomi e gliomi di alto grado: la valutazione è statisticamente positiva per questi casi clinici. Ora i ricercatori sono in attesa delle ultime approvazioni per cominciare dei test preclinici su campioni prelevati durante operazioni chirurgiche di meningiomi. Questa tecnica, sulla quale è stato depositato un brevetto PCT, è frutto della collaborazione tra l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), l’Università La Sapienza, il Centro Fermi, l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), l’Istituto Neurologico Carlo Besta e l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO). La chirurgia radioguidata è una tecnica che mira all’identificazione di residui tumorali per permettere una completa resezione in sede operatoria. Si inietta una sostanza radioattiva (un radiofarmaco) che si lega preferenzialmente alle cellule tumorali. Si attende che il farmaco sia metabolizzato e poi, durante l’operazione per l’asporto del tumore, si usa un dispositivo (sonda) in grado di rivelare la radiazione per verificare tessuti su cui si ha il dubbio se siano tumorali o meno. Alla fine della resezione, sempre durante l’operazione, si può usare la stessa sonda per verificare se siano rimasti residui. Le tecniche di chirurgia radioguidata adottate oggi fanno tutte uso di radiofarmaci che emettono raggi gamma. Questi ultimi attraversano grossi spessori di materiale e sono pertanto utilizzati comunemente in diagnostica medica (in particolare nella PET e nella scintigrafia), e sono dunque un naturale punto di
partenza per questa diagnostica. Il loro potere penetrante però comporta che, se c’è un organo fortemente captante in prossimità del tumore, esso emette un segnale che oscura qualunque segnale proveniente dai residui tumorali. Inoltre, il personale medico viene investito da una significativa dose di radiazione a meno di tenere le attività del radiofarmaco molto basse. Queste limitazioni rendono la chirurgia radioguidata non applicabile a tumori quali quelli cerebrali (vista l’alta captazione del cervello sano), dell’addome (in prossimità di reni, vescica, fegato, per esempio) e pediatrici (dove tutte le dimensioni sono ridotte). «Per superare queste limitazioni – spiega Riccardo Faccini, docente de La Sapienza associato all’INFN – il nostro gruppo di ricerca propone un cambio di paradigma, cioè utilizzare radiofarmaci che emettano radiazione invece che gamma: gli elettroni infatti hanno una capacità penetrante ridotta rispetto ai fotoni». «Il vantaggio di questa innovazione – prosegue Faccini – è che la scarsa penetrazione degli elettroni nei tessuti evita il problema della contaminazione da parte di organi sani captanti, e inoltre limita significativamente la radioattività assorbita dal personale medico». I radiofarmaci con emissione di radiazione beta non sono mai stati usati nella diagnostica medica proprio perché gli elettroni hanno un bassissimo potere penetrante, meno di un centimetro nel corpo umano, e pertanto la radiazione emessa in condizioni normali non può uscire dal paziente. L’ambiente operatorio però consente di usare anche la radiazione beta-, dal momento che il chirurgo accede direttamente al tessuto che eventualmente emette la radiazione. Dal punto di vista dell’applicazione di questo principio, la difficoltà principale è individuare i casi clinici in cui è essenziale una resezione completa del tumore e per i quali esista un radiofarmaco opportuno, cioè che emetta elettroni. Con l’ausilio dei medici nucleari, dei neurochirurghi e dei chirurghi addominali, i ricercatori hanno concluso che era opportuno cominciare a sperimentare la tecnica su tumori cerebrali, quali il meningioma e il glioma e sui tumori neuroendocrini, visto che per questi esiste un farmaco, l’Y90-DOTATOC già utilizzato per una particolare forma di radioterapia metabolica. «Lo studio di questa tecnica – spiega Faccini – si è concentrato finora sullo sviluppo della sonda, sulla simulazione della sensitività della tecnica e sulla valutazione a partire da immagini diagnostiche, della capacità dei tumori e dei tessuti sani limitrofi di captare il radiofarmaco». «E credo sia importante sottolineare in questa impresa la piena multidisciplinarità: la collaborazione, infatti, vede veramente sullo stesso piano fisici, ingegneri, medici nucleari, oncologi e chirurghi», conclude Faccini.
Elettroni contro il tumore al cervello: la nuova frontiera della chirurgia radioguidata Scritto da: si.sol. - sabato 31 gennaio 2015 Un gruppo di ricercatori italiani ne ha sperimentato l'uso su meningiomi e gliomi. Ecco di cosa si tratta Presto gli elettroni potrebbero diventare la nuova guida dei bisturi durante interventi chirurgici delicati come quelli che prevedono l'asportazione di un tumore al cervello. A renderlo possibile sarebbero nuovi strumenti in grado di rilevare il segnale che emettono anche se è molto meno intenso rispetto a quello delle radiazioni normalmente utilizzate a questo scopo, i raggi gamma. La loro efficacia è stata dimostrata da studi preliminari condotti dai ricercatori dell'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Infn), dell'Università "La Sapienza" di Roma, del Centro Fermi, dell'Istituto Italiano di Tecnologia (Iit), dell'Istituto Neurologico "Carlo Besta" di Milano e dell'Istituto Europeo di Oncologia (Ieo), i cui risultati, pubblicati sul Journal of Nuclear Medicine, aprono la strada ai test preclinici su campioni di meningiomi provenienti da interventi chirurgici. La tecnica prende il nome di chirurgia radioguidata e permette di identificare in precisione le cellule tumorali da asportare durante un intervento. Per farlo sfrutta una sostanza radioattiva in grado di legarsi alle cellule tumorali. Al momento le sostanze utilizzate emettono raggi gamma, che però non permettono sempre di ottenere segnali specifici. Alcuni organi circostanti il tumore possono infatti captare la radioattività, oscurando così il segnale proveniente dai tumori. Le radiazioni beta, cioè gli elettroni, permettono di evitare questo problema.
Gli elettroni infatti hanno una capacità penetrante ridotta rispetto ai fotoni spiega Riccardo Faccini, docente alla Sapienza associato all'Infn. Il loro impiego, sperimentato con successo in studi preliminari condotti su tumori al cervello come meningiomi e gliomi, potrebbe essere utile proprio nel caso dei tumori cerebrali. Il cervello, infatti, interferisce molto con il segnale a base di raggi gamma emesso dalle masse tumorali. Non solo, per lo stesso motivo la chirurgia radioguidata basata sulla rilevazione degli elettroni potrebbe essere utilizzata nel caso di tumori addominali localizzati vicino a reni, vescica o fegato. Inoltre potrebbe essere adatta anche alle dimensioni ridotte degli organi in età pediatrica. Accanto ai vantaggi prettamente chirurgici ce n'è anche un altro da non sottovalutare: la riduzione dell'esposizione del personale medico alla radioattività. A trarne beneficio, insomma, non sarebbe solo il paziente, ma tutte le persone coinvolte nell'intervento.
INNOVAZIONE
Chirurgia oncologica, elettroni per radioguidare gli interventi Una tecnica di chirurgia radioguidata che utilizza gli elettroni al posto delle radiazioni gamma. L'ha sviluppata un team multidisciplinare di ricercatori di diversi centri italiani e i primi risultati, apparsi su The journal of nuclear medicine, sono promettenti Redazione⎪Domenica 1 Febbraio 2015, 10:00
È tutta made in Italy l'innovativa tecnica di chirurgia oncologica radioguidata che utilizza la radiazione beta (β-), cioè gli elettroni, al posto della radiazione gamma, cioè i fotoni oggi comunemente impiegati. L'hanno messa a punto i ricercatori dell'Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn) con i colleghi della Sapienza Università di Roma, del Centro Fermi, dell'Istituto italiano di tecnologia (Iit), dell'Istituto neurologico Carlo Besta e dell'Istituto europeo di oncologia (Ieo). L'approccio, sul quale è stato depositato un brevetto Pct, permetterebbe di superare gli attuali limiti posti dalle radiazioni gamma, come la contaminazione degli organi sani captanti e l'elevata radioattività per il personale medico. I primi risultati della ricerca, pubblicata su The journal of nuclear medicine, riguardano la sensibilità della tecnica su particolari tipi di tumore, quali meningiomi e gliomi di alto grado: la valutazione è statisticamente positiva per questi casi clinici. Ora i ricercatori sono in attesa delle ultime approvazioni per cominciare dei test preclinici su campioni prelevati durante operazioni chirurgiche di meningiomi. La chirurgia radioguidata è una tecnica che mira all'identificazione di residui tumorali per permettere una completa resezione in sede operatoria. Si inietta una sostanza radioattiva (un radiofarmaco) che si lega preferenzialmente alle cellule tumorali. Si attende che il farmaco sia metabolizzato e poi, durante l'operazione per l'asporto del tumore, si usa un dispositivo (sonda) in grado di rivelare la radiazione per verificare tessuti su cui si ha il dubbio se siano tumorali o meno. Alla fine della resezione, sempre durante l'operazione, si può usare la stessa sonda per verificare se siano rimasti residui. Le tecniche di chirurgia radioguidata adottate oggi fanno tutte uso di radiofarmaci che emettono raggi gamma. Questi ultimi attraversano grossi spessori di materiale e sono pertanto utilizzati comunemente in diagnostica medica (in particolare nella Pet e nella scintigrafia), e sono dunque un naturale punto di partenza per questa diagnostica. Il loro potere penetrante però comporta che, se c'è un organo fortemente captante in prossimità del tumore, esso emette un segnale che oscura qualunque segnale proveniente dai residui tumorali. Inoltre, il personale medico viene investito da una significativa dose di radiazione a meno di tenere le attività del radiofarmaco molto basse. Queste limitazioni rendono la chirurgia radioguidata non applicabile a tumori quali quelli cerebrali (vista l'alta captazione del cervello sano), dell'addome (in prossimità di
reni, vescica, fegato, per esempio) e pediatrici (dove tutte le dimensioni sono ridotte). «Per superare queste limitazioni il nostro gruppo di ricerca propone un cambio di paradigma, cioè utilizzare radiofarmaci che emettano radiazione ((β-)), invece che gamma: gli elettroni infatti hanno una capacità penetrante ridotta rispetto ai fotoni», spiega Riccardo Faccini, professore all'Università La Sapienza associato all'Infn. «Il vantaggio di questa innovazione è che la scarsa penetrazione degli elettroni nei tessuti evita il problema della contaminazione da parte di organi sani captanti, e inoltre limita significativamente la radioattività assorbita dal personale medico». I radiofarmaci con emissione di radiazione beta non sono mai stati usati nella diagnostica medica proprio perché gli elettroni hanno un bassissimo potere penetrante, meno di un centimetro nel corpo umano, e pertanto la radiazione emessa in condizioni normali non può uscire dal paziente. L'ambiente operatorio però consente di usare anche la radiazione beta-, dal momento che il chirurgo accede direttamente al tessuto che eventualmente emette la radiazione. Dal punto di vista dell'applicazione di questo principio, la difficoltà principale è individuare i casi clinici in cui è essenziale una resezione completa del tumore e per i quali esista un radiofarmaco opportuno, cioè che emetta elettroni. Con l'ausilio dei medici nucleari, dei neurochirurghi e dei chirurghi addominali, i ricercatori hanno concluso che era opportuno cominciare a sperimentare la tecnica su tumori cerebrali, quali il meningioma e il glioma e sui tumori neuroendocrini, visto che per questi esiste un farmaco, l'Y90-DOTATOC già utilizzato per una particolare forma di radioterapia metabolica. «Lo studio di questa tecnica si è concentrato finora sullo sviluppo della sonda, sulla simulazione della sensitività della tecnica e sulla valutazione a partire da immagini diagnostiche, della capacità dei tumori e dei tessuti sani limitrofi di captare il radiofarmaco», conclude Faccini.
Oncologia. Nuova tecnica chirurgica radioguidata con i raggi “beta”. Più sensibili e sicuri dei “gamma” usati oggi Messa a punto da un'équipe tutta italiana la nuova tecnica sembrerebbe più efficace nei tumori del cervello, dell'addome e in generale in quelli pediatrici. Tutto sta nelle diverse capacità tra raggi beta- (elettroni) e gamma (fotoni). Questi ultimi penetrano "troppo" nei tessuti da sezionare e sono quindi meno gestibili dal medico e anche più radioattivi
- Un gruppo di ricercatori italiani ha sviluppato una nuova tecnica di chirurgia oncologica radioguidata, che utilizza la radiazione beta- (β-), cioè gli elettroni, al posto della radiazione gamma, ovvero i fotoni, oggi comunemente impiegati. I primi i risultati dello studio riguardano la sensibilità della tecnica su particolari tipi di tumore e mostrano una valutazione statisticamente positiva per alcuni casi clinici, quali il meningioma (un tipo di neoplasia intracranica) e il glioma (tipo di tumore del sistema nervoso) di alto grado. A mettere a punto questa tecnica, sulla quale quale è stato depositato un brevetto PCT, è un gruppo dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), la Sapienza Università di Roma, il Centro Fermi, l’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), l’Istituto Neurologico Carlo Besta e l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO). Lo studio è presentato in un articolo pubblicato* nel numero di gennaio de The Journal of Nuclear Medicine. Ora i ricercatori sono in attesa delle ultime approvazioni per cominciare dei test preclinici su campioni prelevati durante operazioni chirurgiche di meningiomi. 01 FEB
La chirurgia radioguidata mira ad identificare residui tumorali per l'asportazione completa del tumore. In pratica, viene iniettato un radiofarmaco (una sostanza radioattiva), poi metabolizzato; durante l’asportazione del tumore, una sonda 'mette in luce' questa radiazione, che si lega preferenzialmente alle cellule tumorali, guidando l’operatore nella resezione del tumore, in quei tessuti su cui si ha il dubbio se siano tumorali o meno. Alla fine della resezione, sempre durante l’operazione, la stessa sonda può essere utilizzata per verificare se siano rimasti residui.
Oggi, le tecniche di chirurgia radioguidata sono basate su radiofarmaci che emettono raggi gamma (fotoni). Queste radiazioni possiedono un elevato potere penetrante e dunque attraversano grossi spessori di materiale: pertanto, vengono utilizzati comunemente in diagnostica medica (in particolare nella PET e nella scintigrafia). Il loro impiego presenta però delle limitazioni di natura diagnostica e non solo. Infatti, l’alto potere penetrante di questa radiazione comporta che, se c’è un organo fortemente captante in prossimità del tumore, esso emette un segnale che oscura qualunque altro segnale proveniente dai residui tumorali, spiegano i ricercatori. Inoltre, il personale medico viene investito da una significativa dose di radiazione a meno di tenere le attività del radiofarmaco molto basse. Queste limitazioni rendono la chirurgia radioguidata non applicabile a tumori quali quelli cerebrali (vista l’alta captazione del cervello sano), dell’addome (in prossimità di reni, vescica, fegato, per esempio) e pediatrici (dove tutte le dimensioni sono ridotte). “Per superare queste limitazioni – spiega Riccardo Faccini, professore all’Università La Sapienza associato all’INFN – il nostro gruppo di ricerca propone un cambio di paradigma, cioè utilizzare radiofarmaci che emettano radiazione beta-(β-), invece che gamma: gli elettroni infatti hanno una capacità penetrante ridotta rispetto ai fotoni”. La radiazione beta, infatti, percorre all'interno della materia una distanza inferiore rispetto a quella attraversata dalla radiazione gamma.“Il vantaggio di questa innovazione – prosegue Faccini – è che la scarsa penetrazione degli elettroni nei tessuti evita il problema della contaminazione da parte di organi sani captanti, e inoltre limita significativamente la radioattività assorbita dal personale medico”. La ridotta penetrazione della radiazione beta (meno di un centimetro nel corpo umano) fa sì che ridotto rispetto alla radiazione gamma fa anche sì che la radiazione radiazione emessa in condizioni normali non può uscire dal paziente, a differenza della radiazione gamma: proprio per questo i radiofarmaci con emissione di radiazione beta non sono mai stati usati nella diagnostica medica. Tuttavia, spiegano i ricercatori, l’ambiente operatorio consente di usare anche la radiazione beta, dal momento che il chirurgo accede direttamente al tessuto che eventualmente emette la radiazione. Viola Rita *Francesco Collamati et al., Toward Radioguided Surgery with β− Decays: Uptake of a Somatostatin Analogue, DOTATOC, in Meningioma and High-Grade Glioma, J Nucl Med January 1, 2015 vol. 56 no. 1 3-8, doi: 10.2967/jnumed.114.145995
Cancro, elettroni per radioguidare gli interventi di chirurgia oncologica
Scienza
di Davide Patitucci | 3 febbraio 2015
I primi risultati, relativi alla sensibilità della nuova tecnica su alcuni tumori cerebrali, sono positivi. “Lo studio - spiega Riccardo Faccini - si è concentrato finora sulla valutazione, a partire da immagini diagnostiche, della capacità dei tumori e dei tessuti sani limitrofi di captare il radiofarmaco” Il mondo dei quanti può essere un prezioso alleato per i medici. Anche in sala operatoria, dove può guidare la mano dei chirurghi. Un team di scienziati italiani, coordinati da Riccardo Faccini, dell’Università La Sapienza di Roma e dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), ha messo a punto un’innovativa tecnica dichirurgia oncologica radioguidata, che sfrutta le proprietà dell’elusivo mondo delle particelle elementari. “È una metodica per il trattamento di tumori cerebrali, come meningiomi e gliomi di alto grado”, si legge nello studio, appena pubblicato sulla rivista “The Journal of Nuclear Medicine”. “Una ricerca multidisciplinare – sottolinea Faccini -, che vede la collaborazione di fisici, ingegneri,medici nucleari, oncologi e chirurghi, tutti sullo stesso piano”.
Ma in cosa consiste questa nuova metodica? “La chirurgia radioguidata – si legge in una nota congiunta della Sapienza e dell’Infn – è una tecnica che mira all’identificazione di residui tumorali per permettere una loro completa asportazione in sede operatoria”. In pratica, al paziente viene iniettata una sostanza radioattiva, un radiofarmaco, che si lega alle cellule tumorali. In questo modo il chirurgo, attraverso dispositivi che captano laradiazione emessa dai tessuti, può individuare quelli colpiti e asportarli selettivamente. La tecnica ha, però, una grossa limitazione rappresentata dall’uso, finora esclusivo, di sostanze che emettono raggi gamma. Queste radiazioni, molto penetranti, rappresentano, infatti, un rischio per il personale medico, che può essere esposto a dosi elevate. Inoltre, in alcuni tipi di tumori, come quelli addominali, cerebrali e pediatrici, possono essere captate anche dai tessuti sani circostanti, ingannando cosi il chirurgo. La novità dello studio appena pubblicato è l’utilizzo di elettroni(in particolare, radiazioni beta negative) al posto dei raggi gamma. “Il vantaggio – spiega Faccini – è che gli elettroni hanno unacapacità penetranteridotta rispetto ai fotoni gamma. In questo modo, possiamo evitare il problema della contaminazione da parte di organi sani e, inoltre, limitare significativamente la radioattività assorbita dal personale”. I primi risultati, relativi alla sensibilità della nuova tecnica su alcuni tumori cerebrali, sono positivi.“Lo studio – aggiunge Faccini – si è concentrato finora sulla valutazione, a partire da immagini diagnostiche, della capacità dei tumori e dei tessuti sani limitrofi di captare il radiofarmaco”. I ricercatori, che hanno già depositato un brevetto, sono adesso in attesa delle ultime approvazioni, per poter cominciare i primi test preclinici su campioni prelevati durante operazioni chirurgiche di meningiomi. Le applicazioni potrebbero essere numerose. Come diceva uno dei padri della meccanica quantistica, Max Planck, “il ruolo dell’infinitamente piccolo, è infinitamente grande”. L’abstract dello studio su The Journal of Nuclear Medicine