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EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE EDITORIALE ella valutazione dei tanti articoli che giungono al nostro trimestrale, e che in qualità di direttore ho il grato compito di vagliare, trovo sempre tanti spunti di livello tecnico e scientifico, a volte anche storico e naturalistico. Ma nelle pieghe delle tante esperienze arrivate alla mia osservazione, mi capita di essere colpito da alcuni risvolti umani a cui non posso rimanere indifferente. Sicuramente tutte le storie altro non sono che vicende in cui la componente umana è l’artefice principale, nel causarne l’evolversi o nel modificarne il decorso nel bene o nel male, ma a volte proprio perché si tratta di particolari situazioni di emergenza, e non routinarie, emergono personaggi, o meglio personalità, o meglio ancora “lati” delle persone, che ci obbligano a riflettere. I “lati oscuri” delle persone normali ci sono ben noti dai tanti fatti e fattacci di cronaca quotidiana, ma chi conosce il mondo dell’emergenza, del soccorso, del Volontariato, sa bene che le “persone normali” sono capaci anche di slanci di forza e generosità inconsueti e inaspettati: ne abbiamo un esempio lampante per la mobilitazione di volontari da tutto il mondo nelle più disparate circostanze in aree di catastrofi. Questa riflessione sul coraggio che tutti gli uomini possono avere, mi è venuta leggendo appunto un articolo che troverete su questo numero, sui soccorsi all’incidente della moto-
nave Jolly Rubino, dove tra le righe ho voluto dare il giusto spazio alla vicenda di un soccorritore paramedico, Marcel Naudè, deceduto nel portare i soccorsi durante un’altra maxiemergenza, dopo aver terminato il suo turno di servizio, partecipando come volontario alle operazioni. Sento doveroso onorare il coraggio silenzioso di chi lavora in equipe di soccorso, devolvendo il proprio tempo, e la propria vita, a quanti si trovano in difficoltà. La “propria vita” la perdono per fortuna in pochi, rispetto a quello che è il quotidiano lavoro in emergenza, ma tutti loro, estrapolandosi dalle loro personalità, dai loro caratteri, e soprattutto dalle loro famiglie, la mettono sempre, in ogni operazione di soccorso, a disposizione di tutti e a repentaglio, con coraggio. Il coraggio. Non è lo sprezzo del pericolo: non sto parlando di un risvolto passivo o casuale derivante dal rischio di una situazione o dall’incoscienza e irresponsabilità delle proprie azioni. È chi si trova in difficoltà e in pericolo che ha bisogno di noi: il coraggio è il desiderio cosciente di aiutare il prossimo.
Approfitto di questo spazio sulla rivista per porgere diretto e aperto invito, a chiunque ne avesse piacere, a devolvere il 5 per mille della propria dichiarazione dei redditi alla Società Scientifica S.I.E.M. Onlus (Società Italiana per l’Emergenza in Mare) senza fini di lucro, di cui ho l’onore di essere Presidente insieme all’Ammiraglio (CP) a. Michele Dammicco. La S.I.E.M. è una Società Scientifica con diverse sedi in tutta Italia, che da oltre due anni si occupa di divulgare la cultura dell’emergenza e di studiare e testare presidi e procedure per l’intervento tecnico-sanitario in acqua, attraverso molteplici attività che vanno dalla formazione abilitante allo svolgimento di attività emergenziali specifiche in mare, ad attività di ricerca e monitoraggio di dati utili alla prevenzione degli incidenti; dalla organizzazione e promozione di conferenze riguardanti tematiche inerenti il mare, e di eventi sportivoscientifici come la gara di sopravvivenza in mare svoltasi in Sicilia la scorsa estate, fino alla collaborazione con Enti Pubblici quali Provincie, ASL, Guardia Costiera, per l’attivazione di Servizi per l’intervento di Soccorso Tecnico-Sanitario “specifico” in mare. Queste principali e tante altre iniziative a livello legislativo e normativo la S.I.E.M. porta avanti,
sempre finalizzate a diffondere in tutti gli ambiti e a tutti i livelli la conoscenza per rendere il mare più sicuro, non solo per le attività ricreative e stagionali, ma anche e soprattutto per chi ci lavora, per aumentare il livello della performance operativa specifica del soccorso in mare, e ridurre la mortalità. Tutto ciò ha un unico filo conduttore che passa anche attraverso il Trimestrale N&A di Emergenza e Soccorso in Mare, con l’opera di divulgazione e sensibilizzazione, e anche di denuncia quando ne sentiamo il dovere. Per questi comuni obiettivi rivolgo a tutti voi lettori della rivista questa richiesta, ringraziando in anticipo quanti vorranno dare il loro utile contributo economico a tanti di noi che, volontariamente e attivamente, lavorano e si adoperano per la causa davvero “senza fini di lucro”.
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N&A emergenza e soccorso in mare · Anno 3° · Vol. 9 · 2009
Maurizio De Luca Direttore N&A trimestrale di emergenza e soccorso in mare
Ammiraglio (CP) a. Michele Dammicco e Maurizio De Luca
I dati utili per destinare il 5 per mille sono i seguenti: S.I.E.M. (Società Italiana per l’Emergenza in Mare) Codice fiscale: 93 35 5260 725
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SPECIE MARINE PERICOLOSE
LESIONI DA SPECIE VELENOSE DEL MONDO MARINO SINTOMI E TRATTAMENTO ALEXANDROS CHARITOS
Celenter ati
Medico Specialista in Anestesiologia e Rianimazione. Responsabile Studio e Ricerca Ambiente Marino - SIEM.
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are, 310 milioni di chilometri quadrati. Quattro quinti della flora e della fauna del mondo intero vive nei mari costieri poco profondi che limitano i continenti. Popolato da forme di vita che, per sopravvivere, adottano vari meccanismi di difesa/offesa. Conoscere le specie potenzialmente pericolose per semplice contatto o puntura, contribuisce a limitare danni alla salute, in alcuni casi mortali. Qui sono descritti sintomi e rimedi di pronto intervento, tralasciando invece lesioni da attacchi da squali, barracuda o avvelenamenti per ingestione, che verranno trattati nel prossimo numero. Ringrazio inoltre il Direttore della rivista Maurizio De Luca, caro amico e collega, per lo spazio che cortesemente mi ha concesso, dandomi la possibilità di mettere a frutto utilmente per tutti i lettori le mie conoscenze in merito a questi argomenti, che derivano, oltre che dall’interesse da un punto di vista professionale medico, anche e soprattutto dalla mia grande passione che coltivo verso il mondo marino.
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Meduse-Anemoni Attinie-Corali Le classi tossiche sono le Schyfozoa (meduse), Anthozoa (anemoni o attinie) e Hydrozoa (coralli e fisalie). Questi animali hanno sulla loro superficie degli organuli, i cnidociti, che contengono un corpicciolo, il nematociste, che penetra nel corpo iniettando la tossina. Le biotossine, non tutte note dal punto di vista chimico, provocano sintomi locali cutanei (dovuti all’istamina e suoi liberatori, 5-idrossitriptamina, inibitori delle proteasi, tetrametilammonio idrato) e sistemici a carico dell’apparato respiratorio, cardiovascolare e nervoso (talassina, ipnotossina,congestina). Queste biotossine sono inattivate dal calore.
Le più osservate nel Mediterraneo dermotossiche, (anche se non è escluso completamente per l’uomo il rischio di compromissioni sistemiche e non solo locali urticanti) sono: la Cotylorhiza tubercolata, Aurelia aurit, Carybdea marsupialis, Chrysaora hysoscella, Rhopilema nomadica, Pelagia noctiluca (medusa luminosa) e Rhizostoma pulmo (la più urticante). Nelle acque dell’Oceano Atlantico e in genere in tutti i mari temperati caldi e di rado nel mar Mediterraneo, si trova, tra le più pericolose, la Physalia physalis (caravella portoghese) e alcune cubomeduse indo-pacifiche, come la Carukia barnesi (sindrome di Irukandji), Chiropsalmus Quadrigatus e la Chironex Fleckeri (Vespa di mare) con la quale buona parte delle persone che vengono colpite non sopravvivono. Tali specie causano abitualmente una grave sintomatologia generale e in alcuni casi anche il decesso, che può avvenire per shock
Cotylorhiza tubercolata
Rhizostoma pulmo Chironex
Pelagia noctiluca
Carukia barnesi
anafilattico, insufficienza renale o arresto cardiorespiratorio. In particolare la Physalia physalis possiede una biotossina, che è una neurotossina provocando nausea, vomito a volte convulsioni, abbassamento della pressione sanguigna, collasso e, nei casi gravi, paralisi, coma e arresto cardiocircolatorio.
Physalia physalis
La Chironex fleckeri invece provoca una intensa sensazione di calore e di dolore. La biotossina è cardiotossica e provoca forti spasmi muscolari, paralisi respiratoria ed arresto cardiaco in pochi minuti. Dunque è importante riconoscere lo stato e praticare il massaggio cardiaco e la ventilazione per tutto questo periodo. La vittima va sempre ospedalizzata. Diverse invece sono le reazioni locali cutanee, e in alcuni casi si possono verificare anche reazioni di tipo allergico. A volte si ha una completa necrotizzazione del tessuto epidermico che diviene nero come se fosse stato toccato da un ferro rovente. Le lesioni cutanee indotte dall’ustione da contatto con la medusa possono essere urticanti e pruriginose, eritematose ed ede-
mato-vescicolose, e riproducono la forma dell’ombrella e dei tentacoli, più o meno estese. A livello oculare possono verificarsi congiuntiviti, ulcerazioni della cornea, chemosi ed edema delle palpebre. Ricordiamo allora che, oltre alla sintomatologia cutanea, l’ustione da medusa può indurre sintomi generali quali mal di testa, nausea, vomito, vertigini, dispnea, dolori addominali, senso di angoscia, cardiopalmo, crampi muscolari, parestesie. Ischemie vascolari e spasmi, mononeuriti e lesioni del sistema nervoso simpatico sono stati riportati dopo contatto con meduse dell’Oceano Indo-Pacifico. Anche le attinie (anemoni di mare) provocano reazioni locali cutanee urticanti e sistemiche come l’Actinia equina, A. sulcata e Adamsia palliata diffuse nel Mar Mediterraneo, lungo le coste orientali dell’Oceano Atlantico e infine l’Alicia mirabilis che è diffusa anche nei mari tropicali nell’Atlantico Centrale e l’Actinodendron plumosum nell’Indopacifico.
Actinia equina
Anemonia sulcata
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SPECIE MARINE PERICOLOSE Le attinie si limitano generalmente solo ad irritare la pelle per 2 o 3 giorni ma gli effetti possono essere molteplici, più o meno pronunciati secondo la specie e si distinguono in: dermonecrotici, cardiotossici, emolitici, neurotossici (come per le meduse). Le lesioni possono essere eritemato-edematose emorragiche, vescicolari o bollose e talora necrotizzanti. I sintomi soggettivi e sistemici se sono molto severi possono necessitare ospedalizzazione in ambienti di rianimazione. La gravità dei sintomi è legata al tipo di contatto che ha il soggetto con le attinie, che spesso non è più del semplice sfioramento come avviene di solito per le meduse. Il contatto cutaneo provoca dolore, a causa della biotossina ad azione chinino-simile. La regione colpita, diventa gonfia, si copre prima di vescichette e poi di ulcere necrotiche. Possono seguire mal di testa, brividi, febbre. In casi gravi si manifesta una dispnea marcata con sensazione di angoscia; questa dispnea diminuisce lentamente per dar luogo a uno stato depressivo e a un senso di estrema spossatezza muscolare. Può avere una evoluzione tragica con paralisi muscolare e decesso per collasso cardiaco. In particolare l’a. sulcata ha delle nematocisti che contengono almeno 4 polipeptidi tossici con attività dermonecrotica, cardiotossica ed emolitica. L’Actinodendron plumosum o “anemone fuoco dell’inferno” vive in acque basse ed è molto comune. Ha dei tentacoli corti e sferici, color grigio-verde e un disegno bianco punteggiato attorno alla bocca ed è particolarmente urticante ,nei casi peggiori, la tossina raggiunge presto anche i linfonodi. Provoca sensazione di dolore e bruciore può persistere per ore. Si possono avere dolori lancinanti addominali, crampi, febbre e vomito Le attinie come anche per le meduse, potrebbero lasciare sequele cutanee più o meno importanti di tipo atroficocicatriziale.
Alicia mirabilis
Adamsia palliata
Actinodendron plumosum
Il Corallo appartiene alla grande famiglia dei celenterati come si è detto. Un taglio provocato dalle affilate strutture del corallo può espone la vittima a una particolare sindrome nota come “febbre da corallo”. La lacerazione dei tessuti provoca la contemporanea introduzione nella ferita di minuti frammenti di carbonato di calcio dell’esoscheletro del corallo e batteri marini, causa di infezioni fastidiose, fino a provocare granulomi ad lenta guarigione. Un particolare gruppo di coralli Millepora alcicornis (corallo di fuoco), ha proprietà fortemente urticanti e può avere effetti locali simili a quelli della caravella portoghese e a volte peggiori, e le ferite vanno facilmente in suppurazione. Vive in acque tropicali e subtropicali a profondità molto basse. In genere, ha una colorazione verdognola, con i margini delle sue ramificazioni biancastri o giallastri.
Millepora alcicornis
Trattamento per i celenterati • Controllare innanzitutto le funzioni vitali e non grattare la parte lesa; • tranquillizzare la vittima (dolore e stress possono agitare la persona con conseguente attività muscolare che facilita la diffusione della tossina); • lavare bene la ferita con acqua marina o soluzione salina tiepida. Non usare mai acqua dolce o ghiaccio perché essendo ipotonica, potrebbe favorire l’apertura delle nematocisti presenti; • nel caso sia colpito un arto, può essere impiegato un laccio emostatico; • preparare impacco con soluzione al 5% di acido acetico (aceto), diluito con acqua di mare tiepido-calda, lasciato sulla zona lesionata per 10-15 minuti (determina un’alterazione del pH della pelle, inattivando le sostanze urticanti); • se vi sono ancora nematocisti presenti sulla pelle, per toglierle si può usare delicatamente una pinza o fare un impasto di sabbia e acqua di mare oppure cospargere di borotalco; • per il dolore sarà necessario la somministrazione di un leggero antidolorifico e nei casi più gravi si può ricorrere alla codeina, meperidina, procaina; • si possono usare antistaminici; • l’uso di cortisonici è controverso (forse aumenterebbero il rischio di cicatrici pigmentate definitive). Ricordiamo però le manifestazione allergiche che possono essere soggettive; • nei casi più severi è consigliabile l’ospedalizzazione, l’osservazione dei parametri vitali perché possono essere utili stimolanti cardiaci, ossigeno-terapia o assistenza ventilatoria artificiale, controllo degli spasmi
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muscolari (somministrazioni di gluconato di calcio); • bisogna infine tenere conto dell’anafilassi e cioè del fatto che una persona già colpita, anche debolmente, un certo tempo prima, è maggiormente sensibile all’azione della biotossina e perciò la sintomatologia non esclude una reazione grave che può essere necessaria la rianimazione cardiopolmonare.
tomi: paralisi delle labbra, della lingua e delle palpebre, disorientamento difficoltà respiratorie e debolezza generale. Alcuni dei sintomi possono sparire in un’ora, ma altri permangono più a lungo. A volte sarà necessaria la ospedalizzazione, nei casi più gravi in terapia intensiva.
Arbacia lixula
Echinoder mi Gli echinodermi, o ricci di mare, contano all’incirca 6.000 specie (80 delle quali velenose). I ricci del Mediterraneo appartengono alla classe Echinoidea e sono tra i meno tossici.
Toxopneustes Pileolus
Toxopneustes Pileolus Paracentrotus lividus
Sphaerechinus granularis
Inducono reazioni sia immediate che ritardate. Nel Mediterraneo sono presenti tre specie non pericolose: Paracentrotus lividus, Arbacia lixula, Sphaerechinus granularis. I ricci presenti sulle coste dell’Atlantico e dell’Indopacifico sono dotati di un discreto grado di tossicità e possono provocare sintomi generici come: cefalea, nausea e vomito, diarrea, reazioni allergiche e rari casi mortali. In particolare Toxopneustes Pileolus detto anche “Riccio Fiore” produce una tossina che porta a severi sin-
I ricci appartenenti al genere Diadema (come il D. Setosum, Indo pacifico e Mar Rosso) sono di color nero, hanno lunghe spine primarie, che si spezzano facilmente, e spine secondarie, che contengono una sostanza tossica composta da neurotossine proteiche. I frammenti di queste spine possono rimanere dentro la pelle per mesi e causare infiammazioni croniche; a volte si spostano danneggiando i tessuti. Può essere allora necessario rimuovere i frammenti. Ricordiamo ancora l’Asthenosoma varium (riccio di fuoco) dalla colorazione
Asthenosoma varium
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SPECIE MARINE PERICOLOSE rosso violacea,che si trova nel Mar Rosso e Pacifico Occidentale. Ha una struttura flessibile per cui può cambiare forma. Le spine sono corte, con piccoli globuli bianchi vicino alla punta, velenosi. La puntura risulta molto dolorosa. Le manifestazioni cutanee come abbiamo detto, distinte in immediate e ritardate, si devono alla penetrazione degli aculei, aguzzi e fragilissimi, i cui frammenti restano nella ferita e non sono facilmente rimovibili. Il dolore è forte e urente, può persistere per alcune ore, seguito da arrossamento, edema e in alcuni casi da sanguinamento abbondante. Se c’è presenza di dermatopatia orticariosa localizzata causata dalle tossine, può persistere per alcune ore.
Trattamento Impacchi caldi con acqua marina o soluzione salina alla temperatura massima tollerabile (40 -45°C) possono inattivare le tossine ed alleviano il dolore (al bisogno somministrare un antidolorifico). Disinfettare la ferita e rimuovere le spine della pelle per evitare l’infezione e la successiva ascessualizzazione. Nel caso in cui le spine siano infisse profondamente, specialmente in prossimità delle piccole articolazione delle mani o dei piedi, può essere necessaria la rimozione chirurgica per evitare che possano insorgere complicazioni articolari o tendinei (tenosinovite). Le spine non rimosse possono provocare reazioni granulomatose e sclerodermatose che persistono a lungo, trattabili con applicazioni di azoto liquido o infiltrazioni di cortisonici. Inoltre, nei casi più seri, può essere necessaria l’osservazione dei parametri vitali e nei casi gravi anche la ventilazione assistita.
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sea, vomito, tremori, ipertonicità, aumento della lacrimazione e della salivazione, debolezza, dolore al petto che aumenta con una profonda inspirazione. In alcuni casi ci può essere paralisi respiratoria e decesso.
Echinoidei Acanchaster Planci
Detta anche “stella corona di spine”, è la stella marina delle barriere coralline dell’Indopacifico. Si trova tra i coralli, di cui si nutre. Presenta numerose braccia (fino a 21) di colore violaceo, disseminate di spine acuminate, possiede spine velenose su tutto il dorso. Le spine, che sono ricoperte da muco tossico, aumentano il dolore e rallentano la guarigione. I sintomi possono essere disorientamento, paralisi delle labbra, della lingua e delle palpebre, difficoltà respiratorie e debolezza generale. Se il veleno raggiunge il circolo può provocare nausea, vomito, paralisi e perdita di coscienza.
Trattamento Lavare con acqua marina o soluzione salina tiepida o soluzione con aceto al 5% o ammoniaca. Disinfettare e applicare pomate lenitive a base di novocaina o cortisone. Alcuni dei sintomi possono scomparire in un’ora, ma altri permangono più a lungo.
Policheti Hermodice Carunculata Chiamato anche “verme di fuoco”, si trova nei mari tropicali e sub-tropicali, Mediterraneo compreso, sotto le pietre o frammenti di corallo. È di forma allungata (fino a 30 cm), segmentato e di colorazione vivace. Le setole sottili e appuntite penetrano facilmente anche attraverso i guanti.
Sono riempite con un fluido che causa forte prurito, bruciore, intorpidimento e gonfiore. Subito dopo il contatto appaiono dei brufoletti bianchi grandi come una capocchia di spillo, la zona colpita si gonfia immediatamente e diventa rossa. Se restano delle setole attaccate alla pelle, appoggiare con una leggera pressione una pellicola adesiva sull’area ferita per rimuoverle. La ferita deve poi essere lavata con soluzione di ac. acetico al 5% (aceto ed acqua marina o soluzione salina) per almeno 15 minuti. Il dolore iniziale e il prurito, che il contatto con le setole di questo animale provoca, può persistere anche una settimana. Se sono coinvolte le dita, queste diventano inutilizzabili; a volte possono essere interessati i linfonodi. Inoltre può subentrare un’infezione secondaria.
Molluschi Tra i Molluschi, i neogasteropodi del genere Conus (diciotto specie pericolose) e le specie tropicali sono le sole pericolose per l’uomo. Sono di forma conica, colonizzano le barriere coralline tropicali. Sono dotati di un rostro velenoso che proiettano “a dardo” somministrando in profondità il veleno. La puntura provoca, oltre ad un forte dolore e lieve edema in situ, anche seri sintomi neurotossici. Dopo 5 minuti si avverte una sensazione di intorpidimento delle labbra, della lingua e delle estremità. Altri sintomi che possono verificarsi entro i primi 30 minuti sono tremore, nau-
calda subito ed estirpare ogni frammento di aculeo evitando di lacerare i tessuti, con l’aggiunta di un antisettico, per circa 1-2 ore. Queste reazioni sono molto severe con sintomi soggettivi e sistemici spesso molto gravi: è necessario idratare il paziente, infine al bisogno eseguire il protocollo per la rianimazione cardiopolmonare.
Trachinidi
C.textile
Trattamento Vanno estratti eventuali aculei o loro frammenti rimasti infissi nel sito di lesione. Lavare e detergere la ferita con abbondante acqua di mare calda o soluzione salina (40-45 gradi per un’ora o più). Va effettuato un bendaggio compressivo per evitare la diffusione del veleno e, possibilmente, una profilassi antitetanica e antibiotica.
Specie ittiche v elenose Generalità L’apparato velenoso di questi pesci è rappresentato dalle spine in sede caudale o in sede dorsale. Queste sono estremamente pericolose, e il veleno iniettato possiede una attività tossica su vari organi e può provocare fino al decesso per arresto cardiaco. Localmente c’è un intenso dolore, sproporzionato rispetto alla puntura, che può irradiarsi fino a 1624 ore. Trattamento Il trattamento deve essere immediato e mirato per ridurre al massimo l’avvelenamento. Per inattivare il veleno (termolabile a 50° C) è necessario immergere la parte colpita in acqua marina o soluzione salina
Le tracine non si trovano solo nel mar Mediterraneo, dove abbiamo 4 specie presenti: Trachinus vipera, araneus, radiatus e draco ma anche nei mari tropicali e subtropicali (lungo le coste africane del O. Atlantico e nel Pacifico) come il T.cornutus o il T.armatus. Vive in acque poco profonde o lungo le spiagge, con l’abitudine di nascondersi, mimetizzandosi, sui fondali sabbiosi. Se calpestata, utilizza le pinne dorsali contenenti aculei velenosi e provoca dolore sproporzionato rispetto alla semplice lesione cutanea; progressivamente, nel giro di 30 minuti, può risalire lungo l’arto sino all’inguine, e può raggiungere un’intensità tale da indurre perdita di coscienza, gonfiore ed edema (eccesso di liquidi nei tessuti), che si estende a tutto l’arto colpito, febbre, pallore e abbassamento della pressione. In casi più seri si ha edema polmonare e insufficienza respiratoria, alterazioni del ritmo cardiaco normale (insufficienza cardiaca).
Trattamento La parte esposta va subito immersa in acqua marina o soluzione salina calda (40°C) per almeno un’ora
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SPECIE MARINE PERICOLOSE (la tossina è termolabile) e viene quindi inattivata dal calore osservando sempre i segni vitali (in seguito al contatto con un pesce velenoso è bene controllare il polso e la respirazione). Il dolore come abbiamo descritto è acuto, definito atroce, può durare 16-24 ore; fintanto che il dolore non sia regredito è utile la somministrazione di antidolorifici. Rimuovere eventuali frammenti visibili di spine, evitando manovre traumatiche che possano danneggiare i tessuti. Per ritardare la diffusione del veleno si può applicare un laccio emostatico al di sopra della zona colpita, avendo l’attenzione di allentarlo per 90120 secondi ogni 10 minuti, per non arrestare il flusso arterioso. Se possibile aspirare il veleno. Può essere necessario l’ uso di farmaci antishock in caso di perdita di coscienza, procedere se necessario con la rianimazione cardiopolmonare secondo linee guida, e il trasporto più breve in ospedale e in ambiente di terapia intensiva nei casi più gravi.
Sono possibili sintomi come nausea, vomito, cefalea, vertigini, sanguinamento abbondante della ferita ed edema, ma anche disturbi respiratori e cardiaci, abbassamento della pressione (a favore dell’ipotesi che il veleno sia una cardiotossina proteica) e nei casi più gravi perdita della conoscenza con rischio di annegamento. Talvolta nella sede di puntura si produce una necrosi dei tessuti. Il trattamento è identico a quello della puntura da Tracina.
Uranoscopus Scabre Scabre Detto anche pesce prete o pesce lanterna. È diffuso in tutto il Mar Mediterraneo ed è molto comune lungo le coste italiane. Vive inoltre nel Mar Nero e nell’Oceano Atlantico orientale tra la Spagna settentrionale ed il Marocco. Si nasconde nella sabbia, da cui lascia solo sporgere gli occhi.
Scopernidi Detti anche scorfani (S. porcus, S. scrofa, S. notata). Sono presenti in tutti i mari e in particolare in quelli temperati come il Mar Mediterraneo. Vivono in profondità, sono caratterizzati dalle capacità di mimetismo per cui si possono confondere con le rocce, sabbia, alghe, e con i coralli. Pungono quando vengono calpestati. La puntura dei raggi della pinna dorsale produce, in pochi minuti, un dolore martellante che tende a durare per molte ore.
S. scrofa
Dietro gli occhi, posti sopra la testa, vi sono placche ossee rilevate, ruvide e granulose, dove ai lati si trovano due spine inclinate verso l’alto, che sporgono solo per la punta, e che sono velenose anche per l’uomo, anche se gli effetti sono meno intensi di quelli prodotti dalla tracina. L’Uranoscopus è anche in grado di dare leggere scariche elettriche. Il trattamento è simile alla tracina.
Synanceia Verrucosa errucosa “Pesce lucerna” o “pesce pietra” detto così perché assomiglia proprio a un sasso nascosto nel fondo, è il più velenoso conosciuto al mondo. Vive lungo le coste e barriere coralline dell’Australia, India, Cina e Filippine.
È provvisto sul dorso di 13 spine velenose acuminate. Non teme l’uomo. Una volta calpestato o toccato accidentalmente provoca un dolore forte immediato (si può svenire e annegare), formicolii, vomito a cui possono seguire svenimento, vertigini, ipotermia, diminuzione della frequenza cardiaca, disturbi respiratori, shock con possibile esito fatale per arresto cardiaco.
Trattamento Il trattamento deve essere immediato per alleviare il dolore e attenuare gli effetti del veleno. Si deve lavare e disinfettare la sede colpita, cercare di rimuovere eventuali pezzi di spine e, soprattutto, immergere la parte colpita in acqua molto calda (intorno ai 45 °C) perché il veleno viene inattivato dal calore. Trattamento e osservazione dei parametri vitali per eventuale terapia antishock (identico a quello della puntura di tracina). La morte può sopraggiungere entro poche ore, a meno che non si ricorra in breve all’antidoto. Pterois Pterois Detto anche pesce scorpione o pesce cobra o pesce leone. Raramente letale. Questa specie come P. volitans, P. radiata e altri, è parente degli Scorfani e dei Pesci Pietra. Vive nelle bar-
P. antenata
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riere coralline dell’ Indopacifico. Molto meno pericoloso per via delle abitudini non “sedentarie”, della minore potenza del veleno e dell’ aspetto vistoso. Le pinne, dall’ aspetto di “ali” leggiadre, sono aculei appuntiti collegati a ghiandole velenifere. Questi pesci sono attivi di notte e possono scattare rapidamente in avanti protendendo i raggi spinosi se minacciati o spaventati. La puntura provoca forte dolore, debolezza, mal di testa, nausea, vomito, crampi addominali. Ma anche sintomi gravi come: paralisi agli arti, difficoltà respiratoria, iper o ipotensione (vasodilatazione), ischemia del miocardio, edema polmonare, sincope. Sono stati documentati rari casi di decesso. Trattamento simile a quello del pesce pietra.
Squalus Acanthias
Piccolo squalo detto anche “spinarolo” molto comune in Mediterraneo, che predilige fondali sabbiosi e fangosi e si può trovare vicino alla costa che al largo, anche in estuari e zone salmastre. Le sue dimensioni sono normalmente comprese tra i 60 e i 90 cm, ma può raggiungere anche i 150 cm. Presenta due pinne dorsali, la posteriore più piccola, entrambe con una lunga e robusta spina che possiede alla base una ghiandola velenifera. Certamente reagisce solo quando viene disturbato, inarcando il corpo per cercare di colpire e la biotossina delle spine può provocare l’insorgenza di reazioni allergiche.
Acanturidi
Varie specie si trovano nell’Indopacifico e nell’Oceano Atlantico, molto diverse tra loro per colore della livrea e mole, un pò meno per la forma. Unica attenzione: evitare la coda perchè possiedono delle “lamette” nascoste affilatissime e a volte sono dei veri e propri uncini come nel caso del Naso literatus. Questa è la ragione per cui vengono comunemente chiamati “pesci chirurgo”. L’Acanthurus Sohal inoltre presenta anche pinne caudali spesse e velenose.
Particolare delle “lamette” nel Naso Literatus
Trattamento locale Lavare e disinfettare la sede colpita, immergere la parete colpita in acqua marina o soluzione fisiologica calda. Plotosus lineatus Pesci gatto dei coralli. È diffuso nelle regioni tropicali degli Oceani Pacifico e Indiano dal Madagascar, sulle coste dell’Africa orientale, nel Giappone del sud, in Australia e in Polinesia. Recentemente è migrato nel Mar Mediterraneo orientale lungo le coste israeliane dal Mar Rosso. Sulla parte dorsale possiedono delle spine velenose Trattamento locale.
Trattamento locale Lavare con acqua salata calda o soluzione fisiologica, disinfettare. Osservazione nelle ore successive.
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SPECIE MARINE PERICOLOSE Murenidi Murenidi
Le Murene appartengono, insieme all’anguilla alla famiglia di Mureni, e attaccano se disturbate. Ci sono tante specie, possono raggiungere una lunghezza anche di un metro e mezzo, e pesano fino a quindici kg. Sono diffuse nel Mar Mediterraneo e nell’Atlantico orientale (dal sud dell’Inghilterra fino al Senegal, comprendendo le zone costiere di Azzorre, Madeira, Isole Canarie, e Capo Verde). La saliva della murena contiene una blanda tossina (termolabile, cioè resa innocua dal calore), secreta da apposite ghiandole poste sulla mucosa palatina, che scorre tra il dente e la mucosa stessa. Il morso della murena può essere estremamente doloroso a causa dei denti molto acuminati, in grado di produrre lacerazioni dei tessuti. La bocca inoltre è piena di residui di origine animale che costituiscono un terreno di coltura per microorganismi che possono sovra infettare le ferite. Attacca l’uomo solo se infastidita o qualora si senta minacciata. La pericolosità allora del suo morso sta nei denti aguzzi e ricurvi e nel tipo di ferita che può provocare. Come in tutti gli anguilliformi (grongo, anguilla etc.) anche il suo sangue è tossico: contiene una biotossina (emotossina) ter-
molabile (la produce anche se non ha un apparato velenifero). La cura immediata consiste in una accurata pulizia, praticare impacchi di acqua salata o soluzione salina, il più possibile calda per circa 45-60 minuti in quanto le emotossine sono termolabile. Disinfezione della ferita con acqua ossigenata e nel caso di una zona più estesa della ferita iniziare una terapia antibiotica e antinfiammatoria.
Raiformi Raiformi
Vivono generalmente sul fondo. Tra le varie famiglie comprese nell’ordine dei Raiformi troviamo le Raidi (razze) e i Dasiatidi. Nei Dasiatidi o trigoni c’è la presenza di aculei e stiletti con o senza biotossina. Assenti invece per le Rajdi. I trigoni e le aquile di mare, presenti sia nel Mediterraneo che ai Tropici, simili alla razza, possono raggiungere notevoli dimensioni (fino a tre metri), e nei nostri mari appartengono a tre specie (Dasyatis pastinaca, D. centroura, D. violacea). I trigoni hanno una lunga coda sottile munita di un
D. pastinaca
Aquila di mare
M. jaune
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grosso aculeo seghettato, che può arrivare fino a qualche decina di centimetri di lunghezza. Generalmente vivono nascosti nella sabbia. Il veleno è una ittioacantossina che provoca effetti simili alla cancrena e al tetano dando sintomi come debolezza, nausea, ipotensione, collasso e, in rari casi, perfino arresto cardiaco e decesso. La zona colpita si scolora, diventa cianotica, si ulcera e può andare in necrosi. Qui ricordiamo anche le Torpedine che sono diffuse in gran parte nell’Oceano Atlantico con alcune specie endemiche anche nel Mediterraneo. Normalmente si infossa sul fondo lasciando sporgere soltanto gli occhi e gli spiracoli. La sua arma più temuta è la scarica elettrica ( da 40 a 80 volt) che è in grado di provocare un leggero stordimento.
Torpedine
Trattamento In caso di puntura si deve far uscire al più presto il veleno iniettato, spremendo la zona della puntura ed è importante tenere la zona colpita in acqua di mare più calda possibile 50-60 °C (la tossina è termolabile) per almeno 30-90 minuti e usare impacchi di ammoniaca. Disinfettare con acqua ossigenata, mercurocromo ed applicare pomata antistaminica. Il dolore è ingravescente per i primi 30-90 minuti e può durare 6-48 ore. Si possono usare pomate anestetiche e antidolorifici e antistaminici locali. Segue edema e linfangite. L’infezione è probabile e temibile perciò la disinfezione e il trattamento della ferita è fondamentale come anche la terapia antibiotica locale o per via generale ed se è vasta eventualmente bisogna farla suturare.
Hapalochlaena Hapalochlaena lunulata lunulata
Comunemente detto “Polpo ad anelli blu” è piccolo (10 cm) ed estremamente timido. Questa specie non è aggressiva e utilizza il veleno solo per difesa. Si trova nella baia di Manado, Sulawesi, Indonesia e Indopacifico. Questo animale si può incontrare anche sotto riva e va tenuto a debita distanza. Quando si sente in pericolo, i suoi anelli si colorano di blu per avvertire del pericolo. Nelle sue ghiandole salivari ci sono dei batteri simbionti che producono una neurotossina potentissima: la tetrodotossina. Non esiste antidoto. Provoca sintomi come: bruciore, intorpidimento, difficoltà nel parlare e nel deglutire, perdita della vista e della conoscenza; a volte ha conseguenze letali. Questa neurotossina provoca la paralisi progressiva di tutti i muscoli volontari, bloccando quindi i muscoli respiratori, ma può essere evitata con il rapido trasporto in ospedale per l’assistenza cardiorespiratoria in ambiente di terapia intensiva.
Laticauda colubrina
drus e il Hydrophis. Il Pelamus platurus (Yellow Bellied Sea Snake) è il serpente più diffuso e quindi, presente in tutti i mari perché si lascia trasportare dalle correnti. Può essere di dimensioni notevoli, fino ad 1 metro di lunghezza. La potenza del suo veleno è circa un quarto di quella del serpente marino velenoso più conosciuto. Le ghiandole secernenti il veleno, sia i denti sono di piccole dimensioni, in questo modo, nonostante la potenza del veleno, la quantità è minima e alcuni morsi possono risultare solo graffi.
Pelamus platurus
Ser penti mar ini Si trovano nelle acque calde tropicali e subtropicali a ridosso di foreste di mangrovie o barriere coralline dell’ Indopacifico, compreso il Mar Rosso, coste nordoccidentali dell’Australia. Esistono circa 50 specie, tutte provviste di un veleno potentissimo. Tra questi c’è il Laticauda colubrina (dieci volte più pericoloso del Mamba nero per via del suo veleno mortale) il Pelamy-
Comunque questi animali sono normalmente tranquilli e attaccano solo se disturbati. Il veleno provoca nel giro di 30-60 minuti dolori localizzati a nuca, gola, tronco e arti, debolezza, nausea ,vomito e vertigine, sonnolenza, disturbi visivi, difficoltà respiratorie e segni di paralisi motoria che può indurre in un arresto respiratorio letale. La gravità dell’avvelenamento dipende dalla quantità di veleno iniettato, e
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SPECIE MARINE PERICOLOSE anche se i serpenti marini sono più velenosi di quelli terrestri, la quantità di veleno iniettata durante il morso è minore. Inoltre il veleno dei serpenti marini non contiene gli enzimi che in quelli terrestri hanno funzione anticoagulante e coadiuvante la penetrazione del veleno stesso nel sangue. A volte i delicati denti possono rimanere infissi nella ferita.
Trattamento Applicare una larga banda elastica subito sopra il morso per bloccare la circolazione nei vasi sanguigni e linfatici più periferici, ma non deve impedire la circolazione dei vasi principali. Rimanere il più possibile fermi e tranquilli per non diffondere il veleno. Esistono comunque sieri antiveleno. Trasportare al più presto in ospedale per la somministrazione dell’ antidoto. Se necessario, praticare la rianimazione cardiopolmonare. ∆
Bib liogr af ia •
Angelini G., Bonamonte D. Dermatologia acquatica, ed. Springer, 2001
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Williamson JA, Fenner PJ, Burnett JW, Rifkin JF, ed. (1996) Venomous and poisonous marine animals: a medical and biological handbook. Sydney, University of New South Wales Press/ Fortitude Valley Queensland, Surf Life Saving Queensland Inc., 504 pp. Cunningham P. Goetz P. Guide to Venomous & Toxic Marine Life of the World Pisces Books,1996 White J (1995) Clinical toxicology of sea snakes. In: Meier J, White W, ed. Clinical toxicology of animal venoms. Boca Raton, FL, CRC Press, pp 159–170. Stein MR, Marraccini JV, Rothschild NE, Burnett JW (1989) Fatal Portuguese man-o’-war (Physalia physalis) envenomation. Annals of Emergency Medicine, 18: 312–315. Togias AG, Burnett JW, Kagey-Sobotka A, Lichtenstein LM (1985) Anaphylaxis after contact with a jellyfish. Journal of Allergy and Clinical Immunology, 75: 672– 675.
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CASE REPORT
INCIDENTE DI ELICOTTERO DURANTE I SOCCORSI ALLA MOTONAVE JOLLY RUBINO ANDRÈ TOMLINSON Direttore Regionale della Williams Fire and Hazard Control per il Medio Oriente.
l 23 Novembre 2002 un elicottero è precipitato sul ponte della motonave incagliata Jolly Rubino. L’elicottero, effettuando un volo di routine, trasportava un equipaggio di 16 uomini incaricati di rimuovere delle sostanze pericolose a bordo della nave. Segue il racconto degli avvenimenti di quel giorno, delle circostanze eccezionali e delle azioni di coraggio ed altruismo da parte dell’equipaggio, che hanno conseguito un esito davvero “miracoloso”.
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I dati La “Jolly Rubino” è una nave mercantile Italiana (linea Messina) del tipo RoRo, adibita anche a trasporto mezzi, con una stazza di 31.262 tonnellate. Il 10 Settembre 2002 la nave salpò dal porto di Durban, Sud Africa, destinata a Mombasa in Kenia. Mentre navigava l’Oceano Indiano, in un mare molto mosso
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con forti venti, si è verificato un incendio nella sala macchina. Incapaci di contenere l’incendio, anche per le condizioni atmosferiche e lo stato del mare, il comandante e l’equipaggio furono costretti ad abbandonare la nave la sera del 10, appena a sud della Baia di Richard, sulla costa di Kwa Zulu Natal. Fu inviata la Smit Salvage, la più grande società del mondo di recuperi marittimi, per effettuare l’opera di salvataggio della Jolly Rubino. Nonostante vari tentativi di rimorchiare la nave, resi impossibili dalle condizioni del mare e del tempo, la Jolly Rubino si incagliò ad un miglio nautico da Capo S. Lucia – 14 km a sud dell’Estuario di Santa Lucia. Al momento della sciagura, la Jolly Rubino trasportava 11.000 tonnellate di olio combustibile, 225 di gasolio e 47 contenitori di sostanze pericolose. In seguito ci fu un’opera di recupero che durò ben 101 giorni. Il primo tentativo fu di trasferire la nave arenata. Quando questo si dimostrò impraticabile, l’intervento diventò quello di contenimento per salvaguardare la nave eliminando la merce pericolosa e il carburante. Durante queste operazioni furono impiegati vari appaltatori e subappaltatori specialisti in recuperi marittimi, che fecero parte di un’opera di recupero senza precedenti nella storia
del Sud Africa: sommozzatori, squadre di smaltimento di sostanze pericolose, artificieri, paramedici, vigili del fuoco e squadre di soccorso della riserva In basso veduta aerea della Jolly Rubino. Da notare l’inclinazione della nave e il modo in cui viene colpita dalle onde (Foto concessa dalla Smit Salvage).
L’ev ento Sabato, 23 Novembre, ore 07.00 Una squadra composta da 16 elementi decollò dall’aeroporto di Richard’s Bay per iniziare il 74° giorno di lavoro di recupero a bordo della Jolly Rubino. Le squadre furono inviate tramite elicottero, data la
posizione della nave. In quel giorno fu utilizzato un Super Puma preso in noleggio dalla NAC Helicopters. Alle ore 07.26, immediatamente dopo aver condotto sul posto il secondo gruppo della squadra, l’elicottero subì un’avaria al rotore di coda (la causa è ancora da definire dalle autorità dell’Aviazione Civile).
Una fase delle operazioni eseguite con il verricello. In basso la torretta di ventilazione dove si sono riparati i membri dell’equipaggio. (Foto concessa dalla Smit Salvage).
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CASE REPORT L’aeromobile cominciò a girare su se stesso e si schiantò sulla coperta della nave. A quel punto l’elicottero cominciò a scivolare verso il mare in quanto la nave era inclinata con un angolo da 22 gradi. Per fortuna, si fermò sul bordo della nave poiché la torretta di ventilazione impedì che andasse oltre. Se fosse scivolato leggermente o a destra o a sinistra sarebbe andato direttamente in mare con l’equipaggio rimasto a bordo. Tra l’inclinazione della nave e il modo in cui andò a finire contro la torretta, l’elicottero si trovò ad un angolo di quasi 50 gradi rispetto all’orizzonte. I piloti comunque spensero le turbine, fermando il mezzo. A questo punto una pozza di carburante fuoriuscito dall’elicottero scivolò in un canaletto formato dalla coperta della nave e si incendiò. L’incendio si propagò fuori bordo e determinò la distruzione totale dell’elicottero. Per capire meglio le circostanze fortunate che furono dei fattori positivi nell’esito dell’evento bisogna sapere che una volta arenata, la nave si trovava a non meno di 200 metri dal punto di acqua a fondale alto. Inoltre, quel lato della Jolly Rubino verso mare, dove scivolò il Puma era costantemente
martellato dalle onde dai 5 a 9 metri, secondo le condizioni meteorologiche. La mattina dell’incidente, invece, c’era mare calmo con quasi assenza totale di onde. Otto ore più tardi ci fu una tempesta che causò dei danni ingenti alla nave. Le condizioni erano così pericolose, tra l’inclinazione del mercantile e le onda-
te che costantemente si infrangevano sulla nave, che per tutto il periodo dell’opera di recupero c’era una barca pronta con dei sommozzatori e soccorritori specialisti, messa in acqua esclusivamente per salvare il personale che operava in mare durante il lavoro, o nel caso che la nave dovesse essere abbandonata nell’eventualità che si spezzasse in due.
Una foto di alcuni componenti dell’equipaggio dell’elicottero che effettuarono il salvataggiosulla Jolly Rubino: Gunther Skoberla, Marcel Naudé, Piet Uys, Simon Papenfus. Middle: Abie Retief. Front: Henk du Plessis. (Foto concessa dalla Smit Salvage)
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Il destino dell’equipaggio Al momento dell’incidente due tecnici abilitati alla rimozione di sostanze pericolose erano già sul ponte. I primi a scendere con il verricello e a sganciarsi furono Mike Tsie e Vincent Nkambinde, in seguito si calarono e sganciarono Simon Papenfus e Henk Du Plessis. Il resto dell’equipaggio di 16 uomini rimase ancora a bordo dell’elicottero. La disintegrazione dell’elica di coda fu sentita immediatamente dai quattro sul ponte. Guardando in alto, videro l’elicottero in autorotazione cadere proprio sulle loro teste. Istintivamente si ripararono sotto la torretta di ventilazione e la piattaforma di lavoro utilizzata nell’eliminazione del greggio. Una volta che il Puma colpì il ponte, l’elica della coda si frantumò provocando delle schegge che volarono in ogni direzione.
Nell’impatto con il ponte l’ingegnere di volo Les Beetge fu gettato fuori dal velivolo. Era ancora allacciato alla braga di sicurezza in quanto non c’era il tempo per sganciarsi. L’elicottero si fermò e Les si trovava quasi sotto il Puma intrappolato nella braga, coperto di carburante fuoriuscito dal velivolo quando scoppiò l’incendio. Altri membri dell’equipaggio, l’ufficiale di bordo Dave Peterson e Wolter van der Press, un chimico olandese, si trovavano in una posizione in cui potevano gettarsi attraverso un’apertura di 400 mm x 400 mm trovandosi subito in mare. Quell’apertura era stata tagliata solo alcune settimane prima per lo spurgo. Il pilota Eddy Brown e il secondo pilota Martin Van der Riet rimasero entrambi intrappolati e feriti nella cabina. Gli altri undici uomini dell’equipaggio erano rimasti ancora a bordo del Puma durante l’incendio.
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CASE REPORT
Il Salvataggio Gli interventi decisivi furono nei primi istanti in cui si fermò il Puma. Quattro si erano già calati, si trovavano sul ponte ed iniziarono le operazioni di soccorso. Les Beetge, ancora imbragato e coperto di carburante fu tagliato via dalla imbragatura e trascinato lontano dalle fiamme. Contemporaneamente, i due finiti in mare furono recuperati quasi immediatamente dalla barca di salvataggio in appoggio. Gli altri furono portati via dell’elicottero in fiamme e allontanati. A questo punto il paramedico Marcel Naudé e i componenti dell’equipaggio non feriti assistevano i feriti cercando allo stesso tempo di proteggerli dalle fiamme. Il guardiano del faro di Capo Santa Lucia vide il fumo emanato dalla Jolly Rubino e diede immediatamente l’allarme. Intervennero quattro elicotteri e tre imbarcazioni da salvataggio con squadre sanitarie e specialisti di salvataggio e recupero persone. Nel frattempo fu allertato l’ospedale di Bay che
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mobilitò una squadra PHTC (Pre Hospital Trauma Care) in attesa di ricevere i feriti. Il problema a questo punto fu quello di evacuare tutto il personale dalla nave. Era impossibile avvicinarsi con un altro elicottero per paura che la spinta dell’aria provocata dalle eliche avrebbe peggiorato l’incendio, e fatto volare in ogni direzione i detriti sul ponte. Quindi, l’unica soluzione fu quella di utilizzare delle funi per calare i feriti nelle barelle trovate a bordo, per 18 metri e poi trasportarli a terra tramite le barche da salvataggio. Una volta a terra potevano essere trasportati con le eliambulanze in ospedale. Prima del trasporto in ospedale i feriti furono assistiti, una volta sbarcati a terra, dalle squadre sanitarie inviate con i quattro elicotteri. Fu quindi stabilita una zona triage sulla spiaggia per determinare l’ordine in cui i feriti sarebbero stati trasportati. Tutti furono trasportati all’ospedale di Bay e in seguito i casi più gravi furono portati ai centri trauma di Durban. ∆
Marcel Naudè Marcel Naudè - il paramedico che si è dimostrato altamente capace durante l’intervento di cui parla quest’articolo - è morto improvvisamente in un incidente aereo il 26 Giugno 2003. Era in missione di soccorso nella regione di Rooisand in Namibia. Marcel era sul volo di soccorso della ISOS (International SOS) intervenendo in un incidente stradale vicino alla città di Swakopmund. Il velivolo è precipitato durante il decollo dalla zona dell’incidente. Non ci sono stati superstiti. Ciò che rende ancora più dolorosa questa tragedia è il fatto che Marcel non doveva essere su quel volo. Aveva terminato il suo ultimo turno di servizio e aveva deciso di partecipare come volontario a quell’intervento che gli è stato fatale.
Note del Direttore: riporto parte della lettera inoltrataci dalla moglie di Marcel Naudè, anch’ella paramedico: “Vi ringrazio per questo ricordo di Marcel. Vuol dire tanto per me e un giorno anche per i bambini , il piccolo Marcel di 5 anni, Armad 13 e Juandre 10. È una situazione difficile da superare, ma sono momenti come questi, in cui si trova ancora una volta la forza di affrontare il futuro. Grazie tante per il vostro impegno.” Anneke Naudè
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CORSI E CONVEGNI
2° CORSO DI TECNICHE DI SICUREZZA ED EMERGENZA IN MARE
Parco Termale Giardini Poseidon.
DANTE LO PARDO Medico specialista in Anestesiologia e Rianimazione. Direttore Struttura Dipartimentale Medicina Subacquea Salerno.
ai dati della letteratura mondiale si evince che, ancora oggi, nonostante le attuali conoscenze e la divulgazione delle tecniche di BLS, risulta alto il numero degli incidenti mortali che avvengono per un maldestro contatto dell’uomo con l’ambiente acquatico sia esso marino, lacustre o di piscina. Si pensi che il tasso di mortalità,almeno in Italia, si attesta sugli 800 casi l’anno senza risparmio di fasce di età. È necessario riprendere i concetti fondamentali della fisiopatologia dell’uomo immerso in acqua dolce e salata sia come semplice neofita o come provetto subacqueo apneista o con autorespiratore ad aria.
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Anche nell’infortunio acquatico, se lascia spazio al soccorso, vale la regola della “Golden Hour” soprattutto in considerazione del fatto che esiste primariamente la necessità di riportare l’infortunato nel più breve tempo possibile sulla terraferma o in superficie lottando spesso contro gravi ed evidenti difficoltà ambientali. È questo il motivo per cui è necessario affinare le complesse tecniche del recupero e soccorso in acqua anche con l’ausilio dei presidi che oggi la tecnologia ci consente e che è necessario conoscere adeguatamente. In particolare, un pronto riconoscimento delle patologie da immersione, può concedere all’infortunato un “outcome” sicuramente migliore sia in “quoad vitam” che in “quoad valetudinem”. In nessun caso oggi, per i Sanitari impegnati nell’emergenza o per gli operatori del soccorso in generale, può essere giustificata la mancanza di un corretto approccio all’infortunio acquatico dal momento che ben documentati protocolli terapeutici da intraprendere immediatamente sul luogo dell’incidente sono ormai definiti e rappresentano l’unica possibilità di riduzione drastica della morbilità oltre che dei postumi ancora troppo spesso invalidanti che si verificano. Il Corso, è a numero chiuso (max 20 persone) ed è aperto a:
• Infermieri e Medici operanti nei SAUT 118; • Istruttori di vari Sport acquatici; • Bagnini di salvataggio operanti sia in mare che in piscine; • Operatori della Guardia Costiera; • Corpi militari; • Volontari del soccorso; • Tutti gli interessati. Il corso avrà la durata di 4 giorni (dall’11 al 14 Maggio 2009) e si svolgerà nella splendida cornice dei famosi “Giardini Poseidon” di Forio di Ischia, ove sarà possibile usufruire di aule, spogliatoi piscine olimpioniche, arenile con bacino acqueo riservato. I partecipanti, al superamento dell’esame finale, potranno ottenere oltre al brevetto BLS-D esecutore riconosciuto dalla AHA, SIC, IRC, l’attestato di “Operatore di tecniche di emergenza e soccorso in mare” riconosciuto da Enti ed Organizzazioni Nazionali, valido per poter operare nel soccorso. ∆ Per informazioni rivolgersi a: Croce Rosa ISCHIA (Sig.ra Iacono ) tel. 081 999731 tel. 335 8326699 Società Nazionale di Salvamento sez. Prov. Salerno (Sig. Lamberti) Tel. 338 5366569
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Dir ettor e del Corso Dott.ssa Maria Rosaria Rondinella Responsabile 118 Regione Campania
Docenti M. Santomauro Medico Cardiologo Istituto di Scienze Cardiovascolari Università Federico II, Napoli Presidente Gruppo Italiano Emergenze Cardiovascolari Responsabile Progetto Emergenza: Napoli Cuore D. Lo Pardo Medico Anestesista Rianimatore Responsabile Struttura Dipartimentale di Medicina Subacquea Iperbarica A.O.U. “S. Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” - Salerno Istruttore IAMAS M. De Luca Medico Anestesista Rianimatore - Medicina Subacquea ed Iperbarica Direttore Responsabile Rivista N&A emergenza e soccorso in mare Titolare insegnamento Medicina di Guerra e NBCR Università Sapienza - Roma A. Lamberti Capo Istruttore IAMAS, BLS-D Direttore Sezione Provinciale Società Nazionale Salvamento - Salerno Sig. M. Gaeta Istruttore Sub, IAMAS, BLS-D - Salerno
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ASSISTENZA TELEMEDICA
L’ATTIVITÀ DEL CENTRO INTERNAZIONALE RADIO MEDICO NELL’ANNO 2008 AGOSTINO DI DONNA Ammiraglio Medico Ispettore Capo (SAN) c.a. Presidente C.I.R.M.
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l Centro Internazionale Radio Medico C.I.R.M. è una Fondazione di diritto privato, O.N.L.U.S., fondata a Roma nel 1935 ed eretta ad Ente Morale dal Presidente della Repubblica, con decreto 29 Aprile 1950 n. 553. La Fondazione fornisce assistenza medica gratuita a distanza alle Navi senza medico a bordo in navigazione in tutti i mari del
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mondo, ai passeggeri di Aerei in volo, alle popolazioni delle piccole isole italiane, ai Pescatori, ai Diportisti del mare ed a tutti coloro che abbiano bisogno di soccorso medico e si trovino in situazioni di isolamento e di lontananza da strutture sanitarie. L’assistenza medica a distanza è garantita 24 ore al giorno per tutti i giorni dell’anno da una equipe di 10 Medici, coordinati da un Direttore Medico, e da 50 Consulenti, Specialisti di tutte le branche della Medicina e Chirurgia che intervengono per le diverse necessità. Con Decreto del Ministro della Salute e del Ministro dei Trasporti, in data 15 Aprile 2002, il C.I.R.M. è stato formalmente designato quale Centro Responsabile dell’Assistenza Telemedica Marittima (T.M.A.S.), ai sensi della Circolare n. 960 del 20 giugno 2000 dell’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO). Svolge questa funzione in stretta collaborazione con il Comando Generale delle Capitanerie di Porto-Guardia Costiera in special modo quando è necessario
organizzare missioni di soccorso in mare con mezzi navali od aerei. Il C.I.R.M. deve essere considerato come l’Ente Sanitario antesignano della Telemedicina in Italia perché sin dal 1935 ha effettuato Teleconsulti medici via radio. Nei suoi 74 anni di vita il C.I.R.M. ha assistito circa 65.000 pazienti e ricevuto/trasmesso circa 600 mila messaggi medici.
Attività sanitar ia 2008 I casi trattati sono aumentati rispetto all’anno precedente, confermando l’importanza sempre maggiore dell’attività del servizio. I casi trattati infatti sono aumentati passando da 1812 a 1963, in modo particolare nel mese di Luglio in corrispondenza
dell’azione fatta dal CIRM sugli organi di stampa per evidenziare la carenza del contributo pubblico. In quel mese l’aumento è stato del 40% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Questi dati confermano come l’effetto della protesta sia stato, come deciso dal CDA, esclusivamente una sensibilizzazione, senza penalizzare l’assi-
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ASSISTENZA TELEMEDICA Figura 1 Pazienti assistiti dal CIRM negli anni 2006-2008. Si osservi il costante aumento del numero degli assistiti.
stenza a pazienti “fragili”. È stata completata la riorganizzazione del sistema di controllo di qualità e di gestione, con l’istituzione del nuovo registro sanitario e l’ottimizzazione delle procedure di reportistica. È stata inoltre completata l’analisi e la progettazione del nuovo software di gestione delle cartelle cli-
niche ed avviato lo sviluppo del progetto. Entrando nel dettaglio: il numero degli aerei in volo che hanno richiesto assistenza medica è aumentato, la modalità di contatto per la maggioranza dei casi è stata la posta elettronica, spesso con allegati dati ed immagini, a testimoniare il passaggio verso la medicina telematica con
riduzione, costante negli anni, delle missioni di soccorso. Le malattie cardiovascolari sono in costante aumento e gli infortuni sono la principale causa di contatto con il CIRM. L’attività assistenziale del Centro nel 2008 si è concretizzata in oltre 15.000 teleconsultazioni (che corrispondono a visite medi-
Figura 2 Sistemi di telecomunicazione utilizzati dagli utenti del CIRM per entrare in contatto con il Centro.
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Decreto 29 luglio 2008, n. 146 Regolamento di attuazione dell’articolo 65 del decreto legislativo 18 luglio 2005, n. 171, recante il codice della nautica da diporto. (GU n. 222 del 22-9-2008 - Suppl. Ordinario n.223) Capo III Norme di sicurezza per unità da diporto impiegate come unità appoggio per immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo Art. 90 Mezzi di salvataggio e dotazioni di sicurezza 1. Le unità da diporto impiegate come unità appoggio per le immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo, oltre ai mezzi di salvataggio individuali e collettivi e alle dotazioni di sicurezza indicati nell’allegato V, devono avere a bordo le seguenti dotazioni supplementari: a) una bombola di riserva da almeno 10 litri ogni cinque subacquei imbarcati, contenente gas respirabile e dotata di due erogatori e, in caso di immersione notturna, di una luce subacquea stroboscopica; b) in caso di immersioni che prevedono soste di decompressione obbligate, in sostituzione della bombola di riserva di cui alla lettera a), è richiesta una stazione di decompressione. La stazione è dotata di un sistema di erogazione di gas respirabile in grado di garantire l’esecuzione delle ultime due tappe di decompressione ad ogni subacqueo impegnato in tale tipo di immersione; c) un’unita per la somministrazione di ossigeno con caratteristiche conformi alla norma EN 14467; d) una cassetta di pronto soccorso conforme alla tabella A allegata al decreto del Ministero della sanità 25 maggio 1988, n. 279, e una maschera di insufflazione, indipendentemente dalla navigazione effettivamente svolta; e) un apparato ricetrasmittente ad onde metriche (VHF), anche portatile, indipendentemente dalla navigazione effettivamente svolta. 2. Le immersioni subacquee a scopo sportivo o ricreativo richiedono la presenza di una persona abilitata al primo soccorso subacqueo. Art. 91. Segnalazione 1. Il subacqueo in immersione ha l’obbligo di segnalarsi con il galleggiante di cui all’articolo 130 del decreto del Presidente della Repubblica 2 ottobre 1968, n. 1639. 2. In caso di immersione notturna, il segnale di cui al comma 1 del presente articolo è costituito da una luce lampeggiante gialla visibile, a giro di orizzonte, ad una distanza non inferiore a trecento metri. 3. In caso di più subacquei in immersione, è sufficiente un solo segnale. Ogni subacqueo è dotato di un pedagno o pallone di superficie gonfiabile, di colore ben visibile e munito di sagola di almeno cinque metri, da utilizzare, prima di risalire in superficie, in caso di separazione dal gruppo. 4. Il subacqueo deve operare entro il raggio di cinquanta metri dalla verticale del segnale di cui ai commi 1 e 2 del presente articolo. 5. Le unità da diporto, da traffico o da pesca in transito devono mantenersi ad una distanza non inferiore ai cento metri dai segnali di posizionamento del subacqueo. Nota all’art. 91: - L’art. 130 del decreto del Presidente della Repubblica 2 ottobre 1968, n. 1639 (Regolamento per l’esecuzione della legge 14 luglio 1965, n. 963, concernente la disciplina della pesca marittima), è il seguente: “Art. 130 (Segnalazione). - Il subacqueo in immersione ha l’obbligo di segnalarsi con un galleggiante recante una bandiera rossa con striscia diagonale bianca, visibile ad una distanza non inferiore a 300 metri; se il subacqueo è accompagnato da mezzo nautico di appoggio, la bandiera deve essere issata sul mezzo nautico. Il subacqueo deve operare entro un raggio di 50 metri dalla verticale del mezzo nautico di appoggio o del galleggiante portante la bandiera di segnalazione.”
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ASSISTENZA TELEMEDICA duttivo (malattie a trasmissione sessuale), dermatologiche, cardiovascolari, infettive e parassitarie. Il C.I.R.M. è guidato da un Consiglio di Amministrazione composto da 5 medici e dai rappresentanti dei Ministeri del Lavoro e della Salute, della Difesa, dello Sviluppo Economico e delle Infrastrutture e Trasporti. Presidente del C.I.R.M. è l’Ammiraglio Ispettore Capo (SAN) c.a. Agostino Di Donna. Il Prof. Sergio Pillon, Responsabile della Telemedicina dell’Ospedale S.Camillo-Forlanini di Roma, è il Direttore Medico. Il Prof. Francesco Amenta, Direttore di Cattedra in Medicina Sperimentale dell’Università di Camerino, è il Direttore Scientifi-
Figura 3 Patologie di pià frequente riscontro tra quelle assistite dal CIRM nel 2008.
che a distanza) e nel coordinamento di 27 missioni navali e 17 missioni aeree di soccorso per l’evacuazione e l’ospedalizzazione di ammalati e traumatizzati gravi. I dati più significativi riguardano i casi di decesso a bordo (con tutte le difficoltà per confermarlo senza strumenti di Telemedicina) che sono stati 30 su 1963 pazienti assistiti; i casi di evacuazione che sono stati 94 ed i casi di sbarco per visita medica che sono stati 884. La Figura 2 riportata a pagina 13, indica, comparativamente, i sistemi di telecomunicazione utilizzati dagli utenti dei servizi del C.I.R.M. per entrare in contatto con il Centro. Come è possibile rilevare, la e-mail si conferma sempre più come il mezzo di contatto preferito per ottenere assistenza e consigli medici. La Figura 3 evidenzia, tra le patologie assistite nel 2008, quelle di più frequente riscontro, con al primo posto gli infortuni, seguiti dalle malattie dell’apparato digerente, degli apparati urinario e ripro-
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co e cura le attività scientifiche, culturali ed editoriali del C.I.R.M. Il C.I.R.M. ha pubblicato la 2° edizione di un Manuale di Pronto Soccorso “Chiamo il C.I.R.M.” che è risultato molto utile per i Comandanti che chiedono soccorso medico. Nonostante la grave crisi finanziaria che si è verificata nel 2008 per la riduzione del contributo statale, il C.I.R.M. è sempre impegnato a realizzare un reale ed efficace sistema di Telemedicina Marittima. Per conseguire questo importante traguardo ha bisogno dell’aiuto di tutti, dal semplice contributo del 5 per mille a quello dell’elargizione di contributi liberali che, come è noto, godono di agevolazioni fiscali. ∆
Casi assistiti Su navi - Via Telematico Satellitare Su aerei - Telefono Satellitare Totale casi
1949 14 1963
Casi assistiti su isole e consulenze per il trasporto aereo di ammalati in territorio metropolitanoin fonia Totale Msg. Medici Ricevuti e Trasmessi Missioni Navali Missioni Aeree
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N° 21.150
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Assistenze Ai Naviganti
Richiesta Di Assistenza
Le Richieste Sono Giunte Da:
Le Richieste Sono Pervenute Al Cirm:
N. 1932
Navi Mercantili
N.
Navi Da Pesca
Via E – Mail In Fonia Via Telex Satellitare Via Fax Via Uscg Via Irm
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Patologie:
N.
Infortuni App. Cardio-Respiratorio App. Digerente App. Genito Urinario S.N.C. Altre Patologie
397 217 328 204 52 765
1484 445 // 34 // //
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PERICOLI IN MARE Ordigno rinvenuto sul fondale marino.
SILVIA VENANZONI Collaboratore libro DAMAC Regione Marche.
residuati di origine militare affondati nei mari di interesse nazionale sono certamente in numero tale da costituire un pericolo per chi striscia, movimenta e perlustra tali fondali. Solo per il basso Adriatico, sono più di 200 i casi documentati di pescatori interessati e ustionati dalle esalazioni sprigionatesi da ordigni a carica chimica salpati con le reti. Le numerose interrogazioni parlamentari rivolte ai Ministeri competenti sull’argomento hanno sollecitato quello dell’Ambiente, che ha quindi chiesto all’ICRAM (Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare) di pianificare e condurre il progetto denominato ACAB (Armi Chimiche Affondate e Benthos). Gli inquinanti e i contaminanti provenienti dalla corrosione di bombe e di contenitori contenenti materiali aggressivi sono potenzialmente nocivi per gli ecosistemi marini e giustificano quindi, in ogni sua forma, l’interesse delle Istituzioni e della ricerca applicata al mare. Nel 1999 è stata fatta un’attività di bonifica degli ordigni bellici dagli specialisti della guerra delle varie marine ed in particolare della Marina Militare Italiana, in circa tre mesi di attività, che ha migliorato le condizioni di sicurezza nell’Adriatico. A fronte di queste informazioni, per quan-
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RESIDUATI BELLICI NEL MARE ADRIATICO to attiene il rischio ambientale, i ricercatori dell’ ICRAM (Istituto Centrale per la Ricerca Scientifica e Tecnologica Applicata al Mare) ritengono debba considerarsi l’eventualità che, oltre agli ordigni dichiaratamente non rinvenuti, siano rimasti sui fondali adriatici, in numero rilevante probabilmente nell’ordine di migliaia, ordigni dispersi. Le difficoltà implicite nel ricercare e rendere inoffensivi gli ordigni dispersi sui fondali prevalentemente fangosi sono evidenti, ma la disponibilità di dati più precisi circa la quantità e la dispersione di questi ordigni e in merito agli esplosivi in essi contenuti, alla resistenza e alla corrosione dell’involucro contenente la carica, potrebbero consentire valutazioni costi/ benefici più rigorosi anche sotto il profilo ambientale. Si ritiene che in generale le armi chimiche che sono state abbandonate in Adriatico sono di due tipologie differenti elencate di seguito. Armi chimiche obsolete (Old Chemical Weapons OCW), che comprendono: • le armi chimiche prodotte anteriormente al 1925 • le armi chimiche prodotte nel periodo tra il 1925 ed il 1946 che si sono deteriorate in maniera tale da non poter più essere utilizzate come armi chimiche. Armi chimiche abbandonate (Abandoned Chemical Weapons - ACW), che comprendono tutti i tipi di armi chimiche incluse le armi chimiche obsolete. L’individuazione ed esplorazione delle aree d’affondamen-
to, l’identificazione delle sorgenti di rischio ambientale e del loro potenziale nocivo e l’esperimento di attività di bonifica, richiede la collaborazione di enti civili e militari, di società specializzate, di ecologi marini, ecotossicologi, oceanografi, sedimentologi, chimici, biochimici, modellisti, storici ed esperti di armamenti. Secondo le indagini di archivio svolte durante il progetto ACAB, la nave statunitense, tipo Liberty denominata USS John Harvey, quando fu affondata nel porto di Bari il 2 Dicembre 1943 il suo carico era costituito, almeno in parte, da migliaia di bombe da aereo caricate con iprite. L’iprite è uno dei gas impiegati per la guerra chimica, possiede una spiccata tendenza a legarsi alle molecole organiche è un vescicante d’estrema potenza. È un composto liposolubile e penetra in profondità nello spessore della cute; dopo che gli strati superiori, ancora sani, sono andati incontro al fisiologico ricambio, si presentano sulla superficie cutanea le cellule colpite e non proliferanti, cosicché si aprono devastanti piaghe. Nel corso dell’ incursione della Luftwaffe furono distrutte altre sedici navi e la presenza di bombe a Iprite nelle stive di almeno una delle navi colpite è documentata dalle cronache, centinaia di vittime furono ricoverate nei diversi ospedali militari con estese vescicole, danni all’apparato respiratorio e agli occhi. Nel corso degli anni, sono stati pubblicati numerosi studi inerenti i marittimi pugliesi colpiti
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Immagine fornita dallo stato Maggiore della Marina Militare in cui (macchie nere) vengono evidenziati i siti in cui durante la seconda guerra mondiale sono stati sganciati una serie di ordigni.
dalle esalazioni di residuati bellici raccolti accidentalmente con le reti dai fondali del basso Adriatico. Durante la seconda guerra mondiale le bombe sganciate dagli aerei avevano degli inneschi chimici; a distanza di 60 anni gli involucri si sono deteriorati dando origine al rilascio di sostanze pericolose con conseguenze evidentemente dannose per l’ ecosistema marino. Le indagini bibliografiche compiute nel corso del progetto denominato ACAB (Armi Chimiche Affondate e Benthos) a carico dell’ ICRAM hanno evidenziato la potenziale nocività per gli ecosistemi bentonici anche dei prodotti derivanti dalla corrosione di ordigni convenzionali la cui carica è costituita prevalentemente da tritolo ( TNT; 2,4,6, trinitrotoluene). Il tritolo è il principale componente dell’esplosivo utilizzato in ordigni convenzionali, ha una bassa solubilità e la sua affinità con il carbonio legarsi e quindi a concentrarsi nei sedimenti. Vista l’attuale situazione
sarebbe necessaria indagine eco-tossicologica nei riguardi delle specie ittiche presenti nelle aree dei ritrovamenti, per verificarne eventuali stati di stress dovuti a tutte quelle sostanze che sono state rilasciate nel tempo, a causa della corrosione, dagli ordigni stessi. Questo tipo di indagine potrabbe avere il duplice scopo di individuare anche eventuali siti di discariche intenzionali ( luoghi non autorizzati a smaltimento ma a questi fini utilizzati) o accidentali (il flusso delle correnti e delle burrasche concentra i rifiuti in determinate aree). Ad oggi sono presenti ordigni che vegliano silenziosi nelle profondità della guerra o degli abissi e che aspettano di tornare alla luce dopo anni di oblio. Le bombe inesplose, residuati dei due conflitti mondiali, rappresentano una minaccia che continua a imperversare anche oggi su tutto il territorio nazionale.Tragici e improvvisi incontri ravvicinati che rischiano di provocare mutilazione e morte. ∆
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ISPEZIONE E CONTROLLO
GUARDIA COSTIERA: OPERAZIONE “CAPITONE SICURO” MASSIMO MACCHERONI Luogotenente (NP) Comando Generale Corpo delle Capitanerie di Porto - Roma.
ulle tavole degli italiani il capitone rappresenta il pesce simbolo delle festività natalizie. Giusto quindi chiamare con lo stesso nome la maxi operazione di controllo condotta sull’intera filiera della pesca dal personale delle Capitanerie di Porto dal 12 al 30 dicembre 2008, periodo dell’anno in cui è massimo il consumo del pescato. Gli eclatanti risultati dell’operazione “Capitone sicuro” sono stati resi noti il 30 dicembre a Venezia nel corso di una conferenza stampa tenuta dai suoi promotori, il Ministro delle politiche agricole, forestali e alimentari On. Luca Zaia e l’Ammiraglio Raimondo Pollastrini, Comandante Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto, a bordo della nave della Guardia costiera “Oreste Corsi”. Totani del Pacifico surgelati venduti come calamari freschi, vongole asiatiche spacciate per veraci con etichette falsificate,
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brosme e molva commercializzati per baccalà – pesce simile ma di valore commerciale e nutrizionale decisamente diverso – pollack d’Alaska trasformato in merluzzo – pesce ghiaccio pescato nelle acque inquinate delle foci dei fiumi asiatici – presentato come “bianchetto” ma soprattutto prodotti congelati in cattivo stato di conservazione, scaduti o avariati. “Capitone Sicuro è l’operazione più importante mai effettuata in Italia nel settore del commercio dei prodotti del pescato” - ha detto l’Ammiraglio Pollastrini. “La più importante a protezione del consumatore sul mercato ittico – ha aggiunto il Ministro Zaia – uno straordinario risultato ottenuto in appena 17 giorni grazie alla completa e importante sintonia tra il Governo e le Capitanerie di Porto – Guardia Costiera”. I dati sono eloquenti: i 2.000 militari impegnati nelle attività ispettive hanno effettuato in tutta la Penisola 6.700 controlli che hanno portato al sequestro di 160 tonnellate di pescato di cui quasi il 90% risultato non commestibile. 600 le contestazioni, tra reati e illeciti amministrativi – tra i quali 61 frodi in commercio, 25 casi di
pescato venduto sottomisura e 70 riguardanti prodotti scaduti o in cattivo stato di conservazione – che hanno comportato sanzioni per 700 mila Euro. 7 le persone arrestate. “C’è sempre chi si crede più furbo degli altri nel villaggio globale: noi vogliamo continuare a garantire la sicurezza e instaurare questa politica della tolleranza zero – ha sottolineato il Ministro Zaia commentando l’operazione – i controlli hanno permesso di smascherare chi inquina un settore importante come quello della pesca che da lavoro a 50 mila persone”. Dal canto suo, l’Ammiraglio Pollastrini, ricordando il quotidiano impegno che le Capitanerie pongono nell’opera di controllo e vigilanza sull’ intera filiera, ha spiegato come “per l’operazione Capitone Sicuro sia stata posta particolare attenzione ai magazzini di stoccaggio del pescato, alle grandi catene di distribuzione e ai mercati ittici, punti nevralgici per la diffusione capillare dei prodotti”. Non a caso proprio in questi siti si sono compiuti i sequestri più
importanti e non senza rischi. A Napoli, per esempio, in un mercato ittico controllato da un noto clan camorristico, il sequestro di 400 chili di pesce sprovvisto di etichettatura (garanzia di tracciabilità) pronto per essere venduto al dettaglio, ha scatenato la reazione dei gestori delle attività commerciali che hanno aggredito gli ispettori della Capitaneria: sette gli arrestati. Ancora nel napoletano 30 tonnellate di mitili allevati in zone proibite sono state distrutte e un quintale di datteri di mare – molluschi per i quali è reato la pesca, il commercio e il consumo – sono stati confiscati a Castellammare di Stabia. Anche in Puglia e nelle Marche, oltre che in Campania, si sono svolte importanti operazioni. A Molfetta, nel corso di un controllo in un centro commerciale di una nota catena di distribuzione, il nucleo ispettivo della locale Capitaneria coadiuvato dal personale di Bari, ha posto sotto sequestro 5 tonnellate di pescato scaduto. Da qui le indagini si sono estese a
Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto
magazzini di stoccaggio del pescato congelato dove sono state confiscate ulteriori 50 tonnellate di prodotto ittico avariato. 42 le tonnellate di pesce congelato scaduto e mal conservato, ancora stivato nelle celle frigorifere, sequestrate dagli uomini della Capitaneria di San Benedetto del Tronto nel corso di diverse ispezioni ai depositi di zona. Non meno importante, anche se con risultati quantitativamente inferiori, l’attività ispettiva che ha impegnato tutte le altre Capitanerie di Porto. “La missione primaria del Corpo delle Capitanerie di porto-Guardia costiera, al di la dei compiti specifici, è garantire – ha dichiarato l’Ammiraglio Pollastrini – la sicurezza a tutti coloro che hanno un rapporto con il mare. Tra questi rientrano gli acquirenti del pescato non sempre esperti e per questo soggetti a frodi alimentari compiute nei loro confronti da persone disoneste”. Il Ministro Zaia ha quindi concluso rivolgendosi ai consumatori. “Grazie al lavoro fatto dagli uomini della Guardia Costiera i consumatori possono ora fare la
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ISPEZIONE E CONTROLLO Operazione “Capitone “Capitone Sicuro” Sicuro” Tonnellate di pescato sequestrate: 160 Militari impegnati: 2004 Controlli effettuati: 6677 Reati e illeciti amministrativi: 588 Sanzioni: euro 696.880 Persone arrestate: 7
spesa in sicurezza e tranquillità, sapendo che non c’è impunità per chi agisce in modo fraudolento”. Dopo aver annunciato che il pesce sano, dissequestrato dalla magistratura, sarà regalato a chi purtroppo è meno abbiente, l’On. Luca Zaia, nel lasciare la Nave “Corsi” ha ringraziato i militari dei nuclei ispettivi pesca delle Capitanerie di Napoli, Bari e San Benedetto del Tronto, presenti a bordo in rappresentanza di tutto il personale del Corpo impegnato nell’operazione “Capitone sicuro”.
Pesce fresco fresco e pesce non fresco fresco Acquistando i prodotti ittici è necessario porre particolare attenzione alle indicazioni presenti sulle etichette (prodotti preconfezionati) e sui cartellini di vendita (pesce fresco). Le informazioni, obbligatorie in ottemperanza alle recenti normative nazionali e comunitarie, debbono fornire al consumatore tutte quelle indicazioni necessarie per l’identificazione del prodotto. Nel caso di pesce allo stato sfuso fresco o congelato il cartellino deve contenere le seguenti indicazioni: • la denominazione commerciale della specie, il metodo di produzione (pescato o allevato) la zona di cattura per il pescato e il Paese di provenienza per l’allevato; • il prezzo di vendita per unità di misura (kg) riferito al peso netto; • per il pesce congelato la glassatura è da considerarsi tara. Per il pescato surgelato, venduto esclusivamente in confezioni, l’etichetta deve riportare le seguenti indica-
zioni: • la denominazione di vendita o quella commerciale della specie, completata dal termine “surgelato”, il metodo di produzione (pescato o allevato), la zona di cattura per il pescato o il Paese di provenienza per l’allevato; • l’elenco degli ingredienti se l’acquisto riguarda un preparato (per es. zuppa di pesce o risotto alla pescatora); • la quantità netta o quella nominale; • il termine minimo di conservazione (TMC) ossia la dicitura “da consumarsi preferibilmente entro”completata dall’indicazione del periodo in cui il prodotto può essere conservato; • il nome o la ragione sociale o il marchio depositato e la sede del fabbricante o del confezionatore o di un venditore stabilito nella Comunità Economica Europea; • la sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento; • una dicitura che consenta di identificare il lotto di appartenenza del prodotto;
Pagina editrice
• le modalità di conservazione del prodotto dopo l’acquisto, completata dall’indicazione della temperatura di conservazione; • l’ avvertenza che il prodotto una volta scongelato non deve essere ricongelato e le istruzioni per l’uso; • la quantità di alcuni ingredienti, quando questi figurino nella denominazione di vendita o siano messi in evidenza, con parole o immagini, nell’etichettatura (es. zuppa di pesce all’aragosta: in questo caso è obbligatorio indicare la percentuale di aragosta presente); • il prezzo di vendita della confezione. Per i molluschi bivalvi è obbligatorio – in qualsiasi fase del trasporto o della distribuzione, compresa la vendita al dettaglio – il bollo sanitario recante informazioni sul Paese d’origine del pescato, la denominazione scientifica in lingua italiana del mollusco, l’identificazione del centro di depurazione o di spedizione a mezzo del numero di riconoscimento rilasciato dalla competente autorità sanitaria, la data di confezionamento (giorno e mese) e quella di scadenza o, in alternativa, la menzione “i molluschi bivalvi devono essere vivi al momento dell’ acquisto”. Il bollo sanitario non deve essere trasferibile e può essere utilizzato una sola volta. ∆
Attenti alle frodi Il pesce, così come ogni altro prodotto alimentare, può essere soggetto a tentativi di frode messi in essere da persone disoneste. Con un po’ di pratica e d’attenzione, magari tenendo presente anche questo breve elenco, scongiurerete il pericolo! • vendita di prodotti scongelati per freschi (la frode più comune); • pescato di allevamento venduto per catturato in mare; • specie dichiarate diverse da quelle realmente vendute (alcuni esempi: totani per calamari, molva o brosme per baccalà, pollack d’Alaska come merluzzo, zanchette per sogliole, pesce ghiaccio per bianchetto); • prodotti congelati coperti da glassatura senza l’indicazione del peso netto o della percentuale di glassatura; • pescato avariato trattato con additivi chimici per mascherarne lo stato.
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ISPEZIONE E CONTROLLO Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto
GUARDIA COSTIERA: OPERAZIONE “FLY FISH” COSIMO NICASTRO Capitano di Corvetta (CP). Responsabile Comunicazione Comando Generale del Corpo delle Capitanerie di Porto - Roma.
e-mail
[email protected]
al pesce topo al bianchetto dell’indopacifico, questi alcuni dei prodotti ittici esteri oggetto della maxi operazione di polizia giudiziaria denominata “Fly Fish”, conclusa dal personale delle Capitanerie di porto Guardia Costiera su tutti i punti di importazione nazionale del pescato e nei grossi centri di distribuzione. Controllati aeroporti, magazzini di stoccaggio e scali portuali. Un impegno, questa prima operazione del 2009, cha
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ha visto in cinque giorni coinvolti 2.222 uomini e donne dei 291 Comandi territoriali costieri. Nei 7.789 controlli effettuati, sono stati sequestrati oltre 63 mila chilogrammi di prodotto ittico, tra cui circa 7.000 chilogrammi di novellame (prodotto ittico sottomisura e di cui ne è, pertanto, vietata la commercializzazione), proveniente dall’area indopacifica, destinato al mercato italiano, ove può essere facilmente spacciato per il più pregiato novellame di sardina, nonchè 1.200 chilogrammi di pesce topo, rara specie dell’atlantico settentrionale, proveniente dai mari del nord, venduto come “cuoricini di merluzzo”. Tenendo ben presente il principio “tolleranza zero”, i militari del Corpo hanno operato nell’ambito dell’attività di controllo dell’intera filiera della pesca marittima, in difesa dei consumatori e degli onesti lavoratori del settore.
I n umer i
Pesce topo
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• 2.222 gli uomini impiegati; • 7.789 i controlli svolti; • 63.000 kg di prodotto ittico sequestrato; • 595 reati e illeciti amministrativi scoperti di cui: • 356 illeciti amministrativi per etichettatura e tracciabilità; • 77 reati per frodi in commercio scoperte; • 46 reati per prodotti ittici sottomisura;
• 116 casi di cattivo stato e cattiva conservazione; • 700.000 euro di sanzioni amministrative comminate; • 1 milione di euro circa il valore commerciale del prodotto sequestrato. Bianchetto congelato
Napoli • Primo sequestro in Italia di 1.203 kg di “pesce topo” (rara specie del nord atlantico, addirittura ancora priva di “denominazione commerciale” che ne consente la distribuzione sul mercato), rivenduti (con alterazione delle etichette) come pesce lavorato in filetti; • sequestro di un impianto di “itticultura e stabulazione” di frutti di mare (circa 35.000 mq.) in località Ischitella (provincia di Napoli) per scarico diretto delle acque, provenienti dal processo produttivo, direttamente nelle acque del vicino Lago Patria; • 13 tonnellate di pesce congelato (di cui 798 kg di crostacei) in parte scaduto e in parte con etichettature fraudolente; • 1.400 kg di “pesce pollack” commercializzato come “bastoncini di merluzzo”.
Bar i • Sequestrati 7.108,7 kg di filetti di trota per mancanza di documentazione per la rintracciabilità
del prodotto in seguito a controlli su camion che sbarcavano dai traghetti provenienti dalla Grecia; • sequestrate circa 9 tonnellate di prodotto ittico di varia specie per mancanza di etichettatura e indicazione delle date di scadenza; • sequestrati 4.000 ricci di mare in violazione della normativa sulla pesca sportiva. Inoltre, la Capitaneria di Porto di Bari, ricostruendo il percorso del prodotto attraverso l’esame della documentazione amministrativa di accompagnamento, è giunta, con l’intervento delle Capitanerie di porto di La Spezia e Savona, al sequestro a Parma ed Alessandria di circa: • 6.500 kg di novellame (sottomisura cioè prodoto ittico di dimensione inferiore a cm 7 e pertanto non in grado di riprodursi. L’unico sottomisura di cui è autorizzata la cattura e la commercializzazione è il “novellame di sardina” (c.d. bianchetto); • di alici (provenienza indopacifica), congelate e destinate al mercato italiano ove può fa-
Novellame di sardina
cilmente essere spacciato per il più pregiato novellame di sardina (cd. Bianchetto).
Liv or no e Reggio Calabr ia • Sequestro di circa mezza tonnellata di pregiato novellame di sardina del mediterraneo (cd. Bianchetto) pescato senza la prevista autorizzazione.
Rav enna e Bologna Scoperto (in collaborazione con il Dipartimento di sanità pubblica di Cesena) un deposito in conto terzi che deteneva prodotti ittici con termine minimo di conservazione superato per una quantità di quasi 4 tonnellate di cui: • tonno obeso, proveniente all’est, spacciato per tonno rosso; • sogliola dell’atlantico spacciata per sogliola del mediterraneo. A Bologna, ritrovato all’interno di una catena di grande distribuzione, prodotto ittico con erronea indicazione sia della provenienza che della specie. ∆
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MEDICINA SUBACQUEA E IPERBARICA
INTOSSICAZIONE ACUTA DA MONOSSIDO DI CARBONIO STUDIO EPIDEMIOLOGICO EUROPEO PASQUALE LONGOBARDI Direttore Centro Iperbarico Ravenna. Docente Master Medicina Subacquea e Iperbarica Scuola Superiore S. Anna - Pisa.
e-mail:
[email protected] www.iperbaricoravenna.it
no dei rischi che può correre un subacqueo in immersione è l’intossicazione da monossido di carbonio (CO). Per intossicazione da monossido di carbonio si intende un vero e proprio avvelenamento determinato dall’assunzione di questo gas contenuto nell’aria della bombola. È un gas incolore, inodore, non irritante per le mucose respiratorie, estremamente tossico e velocemente letale.
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La mancanza di caratteristiche fisiche, lo rende non individuabile e quindi particolarmente insidioso. Non è presente nell’aria in quantità significative, ma la miscela respiratoria può essere contaminata dal monossido di carbonio dei gas di scarico di un motore. È un prodotto di combustione e può essere accidentalmente introdotto nelle bombole ad uso subacqueo: una distrazione durante le operazioni di ricarica produce conseguenze molto gravi. Viene eliminato dai motori a scoppio in grandi quantità, per cui il monossido può facilmente entrare nelle prese d’aria dei compressori utilizzati per la ricarica degli autorespiratori ad aria (A.R.A.), soprattutto se allocati in prossimità di parcheggi di auto e qualora non si rispettino le elementari norme di sicurezza. Il monossido dai polmoni passa nel sangue, legandosi circa 300 volte più stabilmente all’emoglobina rispetto all’ossigeno. Si determina così in breve tempo una carenza di ossigenazione a livello tissutale, tanto più grave proprio nella condizione di immersione subacquea. I sintomi di questo avvelenamento sono molto difficili da interpretare. Sonnolenza, cefalea, nausea quando ancora sarebbe possibile intervenire, poi
subentrano rapidamente perdita di coscienza e morte. I sintomi dell’intossicazione da monossido di carbonio sono assimilabili a quelli dell’ipossia in generale, e la perdita di coscienza può sopraggiungere improvvisamente anche in assenza di segni premonitori, soprattutto se si ha una concentrazione di CO elevata, per cui il subacqueo spesso non avverte la subentrante astenia e lo stato confusionale prima dell’esito irreversibile. Se invece l’intossicazione è più graduale, può essere preceduta dai sintomi tipici da carenza di ossigeno, quali cefalea, nausea, vomito e stanchezza; a volte questi sintomi possono presentarsi al termine dell’immersione proprio durante la risalita: la diagnosi in fase precoce è dif-
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ficile, ci si arriva spesso per esclusione, in quanto il monossido di carbonio non dovrebbe essere mai presente nell’aria delle bombole. L’unica terapia consiste nell’O.T.I. (ossigenoterapia iperbarica). La somministrazione di ossigeno normobarico rappresenta solo un presidio di primo soccorso in attesa del trattamento di elezione. Questo studio ha l’obiettivo di esaminare la epide-
miologia della intossicazione acuta da monossido di carbonio in Europa. Come metodo è stato utilizzato un questionario inviato ai Centri Iperbarici europei, selezionati dai rispettivi Governi come rappresentanti nazionali nell’ambito della Action B14 in ambito COST – Unione Europea. Inoltre è stata eseguita una ricerca dati tramite Internet. I risultati evidenziano che l’incidenza dei pazien-
Compressore per autorespiratore ad aria.
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MEDICINA SUBACQUEA E IPERBARICA ti intossicati da monossido di carbonio ricoverati in Ospedale, prevalentemente nei Dipartimenti Emergenza, è solo una piccola parte dei pazienti realmente intossicati sul territorio. Inoltre, solo una minima parte dei pazienti ricoverati è inviata ai Centri iperbarici. Si auspica una maggiore interazione tra centri iperbarici e Dipartimenti emergenza o Centri antiveleni. In futuro si prevede una riduzione dell’incidenza di tale patologia, non immediatamente correlata con un calo dei trattamenti iperbarici. In letteratura sono stati rilevati solo cinque lavori epidemiologici sull’intossicazione acuta da monossido di carbonio in Nazioni europee. Quattro lavori sono stati prodotti nel Regno Unito, uno in Belgio. Nessuno dei lavori confronta le casistiche delle altre Nazioni. L’obiettivo di questo studio è un confronto dei dati disponibili per i principali Paesi europei (esclusa l’Italia, l’analisi della quale è riportata in altra sede).
Mater iali e metodi Come metodo è stato utilizzato un questionario inviato ai Centri Iperbarici europei selezionati dai rispettivi Governi come rappresentanti nazionali nell’ambito della Action B14 in ambito COST – Unione Europea. I quesiti posti erano: numero di pazienti trattati, rapporto tra intossicazioni accidentali e non, percentuale della carbossiemoglobina (HbCO) all’accettazione in ospedale o al Centro Iperbarico, stato di coscienza (coma o non), numero di sedute OTI effettuate, risultato. Inoltre è stata eseguita una ricerca dati tramite Internet sulla epidemiologia delle intossicazioni acute da monossido di carbonio nel-
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le principali Nazioni europee (chiave di ricerca: le singole parole chiave, in inglese, di questo lavoro e la Nazione in analisi).
Risultati Danimarca Danimarca I pazienti sono trattati con terapia iperbarica secondo le raccomandazioni del Ministero della Salute (1995): HbCO>25%, presenza di qualsiasi patologia neurologica diversa da una cefalea abituale, qualsiasi caso di perdita di coscienza, disfunzione cardio-circolatoria, donne gravide esposte in ambiente contaminato da monossido di carbonio (CO). Nel 2007 sono in fase di elaborazione delle nuove raccomandazioni ministeriali. La Danimarca ha una popolazione di 5.450.661 abitanti14. Applicando l’incidenza di casi di intossicazione acuta da CO per 100.000 abitanti rilevata in tre Stati del Nord Est degli Stati Uniti di America (18,1 casi/100.000 abitanti/anno come parametro di riferimento o benchmark) 1 si prevede una incidenza potenziale di 987 casi per anno. L’incidenza realmente rilevata è stata di 350 casi (6,42 casi/100.000 abitanti/anno), più 650 casi di intossicazione da fumo (dati del Danish National Register of Diagnoses). In Danimarca sono operativi due Centri iperbarici2. Presso la Hyperbaric Oxygen Treatment Unit, Department of Anaesthesia, Cen-
tre for Head and Orthopaedics, Rigshospitalet, Copenhagen University Hospital (DS: Erik Jansen) vengono trattati 30 pazienti per anno.
Finlandia La popolazione è di 5.450.661abitanti14. Applicando il parametro di riferimento, l’incidenza potenziale è 947 casi per anno. Non è stato possibile rilevare l’incidenza reale. In Finlandia sono operativi cinque Centri iperbarici2. Presso il National HBOCenter, Turku University Hospital (DS:Juha Perttilä) sono stati trattati i pazienti riportati nella tabella 1 in basso. Francia È divisa in 26 regioni (21 continentali, Corsica e 4 oltreoceano). La popolazione è di 63.392.100 abitanti3. Applicando il parametro di riferimento, l’incidenza potenziale è 11,474 casi per anno. L’incidenza reale è stata nell’intervallo tra 4000-8000 casi negli anni 90 e tra 4000-6000 casi negli anni 2000 4. Nelle regioni di Rhòne-Alpes e Auvergne (totale 7.339,000 abitanti) ci sono stati 1458 casi dal 1997 al 2001 (rilevazione prospettica in 489 siti5), equivalenti a una incidenza di 4 casi/100.000 abitanti per anno e una mortalità di 0,05 casi/ 100.000 abitanti/anno. Almeno nello studio prospettico eseguito, le stufe mobili sono state responsabili dei danni maggiori
Tabella I. Casistica 2003-2006 del Centro iperbarico dell’Ospedale Universitario di Turku (Finlandia).
anno
pazienti
n. OTI (n. medio terapie/paz.)
2003 2004 2005 2006
16 18 6 9
49 (3) 54 (3) 17 (3) 26 (3)
Tabella II. Dati statistici pazienti con intossicazione da CO trattati presso il Centro iperbarico di Lille (Francia). Pazienti trattati: 274 • 94 pz con danni a distanza; • 33 pz (12%) tentato suicidio >1 seduta: 33 (12%). Indicazioni all’OTI: • 46 coma (17%); • 113 perdita di coscienza (41%); • 104 esame obiettivo anomalo (38%); • 11 donne gravide (4%). Numero di OTI: • 1 seduta: 241 (88%); • >1 seduta: 33 (12%).
(coma, morte). Nella Regione di Nord-Pas de Calais (4,043,000 abitanti), dove è sito il Centre Regional d’Oxygénothérapie Hyperbare, Hôpital Calmette - Centre Hospitalier Régional et Universitaire (DS: Daniel Mathieu), si sono verificati 1825 casi di intossicazione da CO nel 2005, equivalenti a una incidenza reale di 45 casi/ 100.000 abitanti/anno e con una mortalità di 0,5 casi/ 100.000 abitanti/anno. Al Centro iperbarico di Lille sono stati inviati 324 pazienti dei quali 274 (85%) è stato trattato con OTI (livello medio di HbCO 35,3% ± 14,2), 50 (15%) con ossigeno normobarico (livello medio di HbCO 21,2% ± 7,9). Nella tabella II sono riportati i dati statistici relativi ai pazienti trattati presso questo Centro. In Francia sono operativi diciannove Centri
iperbarici, dei quali uno in Corsica e un altro a Papeete (Tahiti)2.
Germania La popolazione è di 82.422.299 abitanti14. Applicando il parametro di riferimento, l’incidenza potenziale è 14,918 casi per anno. Non è stato possibile rilevare l’incidenza reale. In Germania sono operativi 23 Centri iperbarici2, non sono stati inviati dati sui pazienti trattati. Grecia Grecia La popolazione è di 10.688.058 abitanti14. Applicando il parametro di riferimento, l’incidenza potenziale è 1934 casi per anno. Non è stato possibile rilevare l’incidenza reale. In Grecia sono operativi tre Centri iperbarici 2. Nella tabella III sono riportati i dati statistici dei pazienti trattati dal 2000 al settem-
Tabella III. Dati statistici pazienti con intossicazione da CO dal 2000 al Settembre 2007 presso il Centro iperbarico di Salonicco (Grecia). Pazienti trattati: 14 • causa: intossicazione accidentale (100%); • sintomatologia: coma (4 pz-29%); • %HbCO all’accettazione: 2,8-9%; • numero sedute OTI: 6-14; • esito: 1 decesso (7%), 1 grave danno neurologico (7%), 11 migliorati breve termine (65%); • sindrome secondaria: 11 migliorati, 1 esiti.
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MEDICINA SUBACQUEA E IPERBARICA Intossicazione da monossido di carbonio 1999
Regione
Popolaz.
PIEMONTE 4341733 V. D’AOSTA 123978 LOMBARDIA 9475202 TRENT. A. A. 985128 VENETO 4738313 FRIULI V.G. 1208278 LIGURIA 1610134 EMILIA ROM. 4187557 TOSCANA 3619872 UMBRIA 867878 MARCHE 1528809 LAZIO 5304778 ABRUZZO 1305307 MOLISE 320907 CAMPANIA 5790929 PUGLIA 4071518 BASILICATA 594086 CALABRIA 2004415 SICILIA 5017212 SARDEGNA 1655677 ITALIA 58751711
bre 2007 presso il “S. Paul’s” General Hospital Hyperbaric Department di Salonicco (DS:Theodoris Mesimeris)
Italia (dati modificati par tendo da elaborazione di Galli M.E. di Fidenza) La Tabella in alto evidenzia i dati italiani dei pazienti intossicati da monossido di carbonio trattati in camera iperbarica, modificata da tabella originale a pagina 13 “La Medicina Subacquea e Iperbarica” anno XXIX, N.2 gennaio 2007.
Pazienti tratt. con OTI 32 0 314 18 198 0 49 293 55 1 4 39 0 8 37 20 0 47 13 36 1164
2004
Casi/100.000 abitanti 0,7 0 3,3 1,8 4,2 0 3,0 7,0 1,5 0,1 0,3 0,7 0 2,5 0,6 0,5 0 2,3 0,3 2,2 2,0
Polonia La popolazione è di 38.536.869 abitanti14. Nel 1967 il Governo ha istituito nove Centri antiveleni, dove i protocolli per il trattamento delle intossicazioni da CO sono gestiti da specialisti in tossicologia dipendenti dello Stato. I dati sono centralizzati presso il Centro di Lodz. In Polonia vi sono tra 700010.000 casi/ anno di intossicazioni e avvelenamenti in generale6. La maggior parte sono dovuti a autolesionismo (>50% con farmaci, 10-
Tabella IV. Dati relativi ai pazienti con intossicazione da CO ricoverati solamente nei Centri regionali di riferimento per intossicazioni acute anno 1980 1985 1990 1998
intossicati CO 632 435 817 523
decessi
% mortalità
19 21 19 2
3 4.8 2.3 0.4
Pazienti trattati con OTI 154 0 251 45 173 10 20 292 35 0 9 35 0 0 22 0 0 3 12 7 1068
2005
2006
Casi/100.000 Pazienti Casi/100.000 abitanti trattati con OTI abitanti 3,5 0,0 2,6 4,6 3,7 0,8 1,2 7,0 1,0 0,0 0,6 0,7 0,0 0,0 0,4 0,0 0,0 0,1 0,2 0,4 1,8
25% con alcool, 10% con intossicazione da CO). Per l’intossicazione da CO, applicando il parametro di riferimento, l’incidenza potenziale è 6975 casi per anno. L’incidenza reale è riportata in tabella IV. In Polonia è operativo un Centro iperbarico 2, il National Center for Hyperbaric Medicine di Gdynia (D.S. Zdzislaw Sicko). Nella tabella V sono riportati i dati statistici dei pazienti trattati dal 2000 al settembre 2007.
Regno Unito La popolazione è di 60.609.153 abitanti14.
174 0 130 38 165 17 61 313 64 0 10 48 0 0 0 0 0 28 23 10 1081
4,0 0,0 1,4 3,9 3,5 1,4 3,8 7,5 1,8 0,0 0,7 0,9 0,0 0,0 0,0 0,0 0,0 1,4 0,5 0,6 1,8
Applicando il parametro di riferimento scelto per questo studio, l’incidenza potenziale sarebbe di 10,970 casi per anno. Sono stimati potenzialmente 25,000 casi di intossicazioni da CO nelle case7-8. Non è stato possibile rintracciare dati sull’incidenza reale per tutto il Regno Unito. In tabella VI è riportata l’incidenza reale degli intossicati da monossido di carbonio, solo per causa accidentale, in Scozia dal 1991 al 20079. Nella tabella VII sono riportati i dati statistici sugli accessi ospedalieri per
Tabella V. Dati statistici pazienti con intossicazione da CO dal 2000 al Settembre 2007 presso il Centro iperbarico di Gdynia (Polonia). pazienti trattati: 89 (579 pz; 22,7% totale pazienti) • causa: intossicazione accidentale (100%); • %HbCO all’accettazione: 3,2-65,7 (media 28,7%); • numero sedute OTI: 0-19 (media 3,6; mediana 4); • esito: 2 casi (0,3%); • sindrome secondaria: 3 (0,5%) – dei quali uno per annegamento.
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Pazienti Casi/100.000 tratt. con OTI abitanti 135 0 248 38 201 29 56 255 48 0 14 29 0 16 7 0 0 12 7 8 1103
3,1 0,0 2,6 3,9 4,2 2,4 3,5 6,1 1,3 0,0 0,9 0,5 0,0 5,0 0,1 0,0 0,0 0,6 0,1 0,5 1,9
intossicazione da CO in Inghilterra negli anni 20022003. Nell’area del West Midlands, dove è stato effettuato uno studio prospettico sulla intossicazione da CO, risiedono 5,2 milioni di abitanti. Applicando il parametro di riferimento scelto per questo studio, l’incidenza potenziale sarebbe di 941 casi per anno. L’incidenza reale rilevata nel West Midlands10, tra il 1988 e il 1994, è riportata in tabella VIII. Si sono registrati in media 100 ricoveri ospedalieri per anno (701 ricoveri nei sette anni di osservazione) e 134 decessi per anno (totale nei sette anni: 939 decessi, incidenza mortalità: 2,6 decessi/ 100.000 abitanti/ anno). Nel Regno Unito sono operativi venti Centri iperbarici2 con diverso livello di eccellenza. Nella tabella IX è riportata una analisi dei dati forniti dalla British Hyperbaric Association (BHA)11 relativi a pazienti con intossicazione da CO trattati nel Regno
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MEDICINA SUBACQUEA E IPERBARICA Tabella VI. Incidenza dei pazienti intossicati da monossido di carbonio (solo per causa accidentale) in Scozia negli anni 1991-2007.
Anno 1991/92 1992/93 1993/94 1994/95 1995/96 1996/97 1997/98 1998/99 1999/00 2000/01 2001/02 2002/03 2003/04 2004/05 2005/06 2006/07
N. pazienti
Incidenza per Abitanti 100.000 ab./anno
38 29 53 44 46 61 47 67 53 40 42 36 26 17 30 18
5.083.330 5.085.620 5.092.460 5.102.210 5.103.690 5.092.190 5.083.340 5.077.070 5.071.950 5.062.940 5.064.200 5.054.800 5.057.400 5.078.400 5.094.800 5.116.900
0.75 0.57 1.04 0.86 0.9 1.2 0.92 1.32 1.04 0.79 0.83 0.71 0.51 0.33 0.59 0.35
Unito tra il 1993 e il 1996. Nella tabella X sono riportati i dati relativi ai pazienti con intossicazione da CO trattati nel Regno Unito dal 2004 al 2006 e fino a settembre 2007 presso il Centro iperbarico del London Whipps Cross.
Spagna La popolazione è di 40.397.842 abitanti14. La Catalogna, dove è operativo il CRIS-UTH (Unitad de Terapeutica Hiperbarica) in Barcellona (D.S. Jordi Desola), ha 19,923 abitanti. Applicando il parametro di riferimento, l’incidenza potenziale è 7312 casi per anno in Spagna, 4 casi per la Catalogna. L’incidenza reale non è riportata ma il Centro iper-
barico di Barcellona, tra il 1980 e settembre 2007, ha trattato in media 107 casi per anno (totale 2830 casi nei 28 anni rilevati). In Spagna sono operativi undici Centri iperbarici2. I risultati sono stati soddisfacenti (99,6%), con esiti neurologici in sette pazienti (0,26%) e 4 decessi dopo ricovero (0,14%). L’indicazione alla terapia iperbarica è per i pazienti con quadro clinico compatibile con intossicazione da CO (indipendentemente dalla percentuale di HbCO), aumento della HbCO (indipendentemente dal quadro clinico), le donne gravide esposte in ambiente con elevata CO. Il trattamento è eseguito se l’intossicazione è avvenuta il giorno stesso o al massimo quello precedente.
Tabella VII. Dati statistici su accessi ospedalieri per intossicazione da CO in Inghilterra negli anni 2002-2003. (fonte dati: Hospital Episode Statistics, Dpt of Health, England).
Tabella IX. Analisi dati pazienti con intossicazione da CO trattati nel Regno Unito tra il 1993 e il 1996 (British Hyperbaric Association)
• 0,004% delle consulenze mediche (totale: 534); • 88% casi sono stati ricoverati (totale: 470); • 94% dei ricoveri in Dipartimento Emergenza (totale: 442); • età media: 39 anni (66% range 15-59 anni); • 2,6 giorni degenza media (mediana: 1 giorno); • 1182 giornate di degenza totali (0,002% del totale delle giornate di degenza).
• 575 pazienti (dati forniti dai centri iperbarici UK, principalmente coinvolti i Centri di Londra e Peterborough); • rapporto accidentale/non accidentale 1:1,05: – 71,5% caldaie (206); – 13,5% intossicazione da fumo (39); – ritardo medio tra recupero infortunato e arrivo al Centro iperbarico: 9h15min (> 6 ore).
Tabella VIII Incidenza in West Midlands (UK) di pazienti con intossicazione da CO per 100,000 abitanti per anno, suddivisi per sesso e fascia di età (rilevazione dati prospettica tra il 1988 e il 1994).
Tabella X. Dati relativi ai pazienti con intossicazione da CO trattati nel Regno Unito dal 2004 al 2006 e fino a settembre 2007 presso il Centro iperbarico del London Whipps Cross. Fonte dati: Mihaela C. Ignatescu (London Whipps Cross) e Phil Bryson (Diving Diseases Research Centre, Plymouth).
West Midlands (UK) 1988-1994 incidenza per 100,000 abitanti per anno (numero totale casi rilevati) Età
Maschi
Donne
9,2 (476) 3,4 (178)
2,2 (114) 2,8 (147)
anno
22
sedute OTI London Whipps (media sed./pz) Cross
1993-96 (dati BHA)
35-39 45-49 > 85
pazienti anno
2004 2005 2006 sett. 2007
144 101 81 55 -
246 (2,4) 169 (2) 100 (2) -
28 23 19
Discussione e conclusioni L’elaborazione dei dati epidemiologici relativi alla intossicazione da monossido di carbonio è resa difficile dal riscontro in letteratura di dati non omogenei. L’incidenza dei casi per 100.000 abitanti per anno è molto variabile. Dall’analisi dei dati USA e Canada12 viene proposta una incidenza di 42 casi/100.000 abitanti/anno (0,04%). Come parametro di riferimento (benchmark) per questo studio si è preferito adottare il valore più riduttivo che è quello dell’incidenza rilevata nel Nord-Est USA di 18,1 casi ogni 100.000 abitanti per anno (0,014%), equivalente a 43000 accessi nei Dipartimenti emergenza per anno rilevato in quella area. In generale l’incidenza delle intossicazioni da CO è ampiamente sottostimata. Le statistiche non considerano la reale incidenza delle intossicazioni accidentali da CO che avvengono sul territorio (casa, lavoro). Di solito si basano sul numero di accessi presso i Dipartimenti Emergenza e quindi non considerano i pazienti intossicati da CO che non si recano in ospedale, che ricevono una diagnosi errata o che sono ricoverati in reparti diversi dai Dipartimenti Emergenza. L’incidenza dipende anche dalle variazioni climatiche (i casi sono prevalentemente concentrati tra ottobre e marzo), da aspetti culturali e socio-economici (per esempio, il fenomeno dell’immigrazione), da variabili geografiche (sia le intossicazioni accidentali che quelle da autolesionismo prevalgono nelle aree rurali – dati del Regno Unito10). I dati francesi e spagnoli evidenziano che un Centro iperbarico attivamente integrato nella rete di primo intervento (Dipartimento Emergenza 118 e Centro antiveleni) tratta un numero di pazienti superiore alla incidenza stimata per il ter-
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MEDICINA SUBACQUEA ritorio. Quindi accentra pazienti provenienti da Regioni limitrofe (mobilità attiva). Negli anni 2000 vi è stata una progressiva e generale riduzione dell’incidenza di intossicazioni da monossido di carbonio e dei casi trattati presso i Centri Iperbarici. In Italia i pazienti intossicati da monossido di carbonio trattati con ossigenoterapia iperbarica sono estremamente pochi rispetto alla stima della casistica potenziale in base alla popolazione. È probabilmente necessario incrementare l’informazione nei Dipartimenti delle Emergenze (118) e nei Pronto Soccorso. Per il futuro è attesa una ulteriore significativa riduzione dell’incidenza sul territorio dell’intossicazione da CO per due ragioni. La prima è correlata alle campagne informative sulla sicurezza nelle case e nei luoghi di lavoro messe in atto dai Governi (per esempio nel Regno Unito negli ultimi quattro anni) che stanno riducendo il numero di intossicazioni da CO accidentali. La seconda ragione è la riduzione in generale del numero dei suicidi che, almeno nei giovani, pare statisticamente correlata con l’aumento delle prescrizioni di antidepressivi. Specificamente, il numero dei casi di autolesionismo tramite intossicazioni da CO (in media il 10% dei tentativi in generale di suicidio) dovrebbe ridursi come effetto della diffusione delle marmitte catalitiche. Queste abbattono significativamente l’emissione di CO (solo se il dispositivo è “caldo” mentre appena iniziano a funzionare l’emissione di CO può essere superiore a quella delle marmitte tradizionali). Considerato che attualmente il numero di pazienti con intossicazione da CO trattato con OTI è solo una piccola percentuale dei pazienti che accedono in ospedale, l’Autore ritiene che il numero dei trattamenti OTI per
tale indicazione possa rimanere stabile o, addirittura, aumentare nel medio periodo, qualora venisse implementata presso i medici l’informazione sull’appropriatezza dell’OTI nel trattamento di tale patologia e rafforzata la collaborazione tra Centri iperbarici, Dipartimenti Emergenza e Centri antiveleni. ∆
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N&A emergenza e soccorso in mare · Anno 3° · Vol. 9 · 2009
L’obiettivo degli Autori è di raccogliere in un unico volume le procedure operative utili nel normale svolgimento dell’attività di soccorso in ambito extra-ospedaliero. Il target su cui è stato pensato questo “VADEMECUM” è quello degli operatori del soccorso, soprattutto infermieri, volontari o autisti dei mezzi di soccorso. In quanto “Vademecum”, questo testo vuole essere un promemoria di facile consultazione da portare con se. Edizione: Digilabs
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GESTIONE DEL SOCCORSO
IL RUOLO DEL “FATTORE UMANO” NELLA CONDOTTA DELLE OPERAZIONI DI SOCCORSO SALVATORE SASSADORO Pilota Comandante Trasporto Aereo Civile e di Unità Navali d’Altura. Responsabile Formazione Tecnica e Addestramento, Guardia Costiera Ausiliaria - Regione Sicilia. Foto fornite dall’autore
• aumento dell’interesse per gli aspetti che riguardano la componente psicologica di chi dovrà operare e gestire in questi particolari scenari; • maggiore sensibilità verso i problemi di varia natura che sono sfuggiti in precedenza, problemi questi che hanno innescato il pericolo o che ne abbiano ampliato la gravità. Oggi, più che nel passato, è opinione diffusa che tutti i
mezzi di soccorso meccanico siano sicuri al 100%, grazie anche all’evoluzione, alle nuove tecnologie ed al miglioramento dei sistemi di bordo presenti su aerei, navi e mezzi di soccorso terrestri. Purtroppo, non è esatto asserire che essendo gli stessi più affidabili, non occorra fare altro che salire a bordo e partire. La sicurezza per gli operatori di bordo e la buona riuscita delle operazioni di soccorso nelle emergenze,
non si ottengono per magia e non sono mai affidate al caso, bensì esse sono il frutto di uno sforzo collettivo ed il risultato di una accurata e continua preparazione professionale, nonché di una continua e costante ricerca della perfezione fino all’assoluto, sottratta cioè alla fortuna. Le statistiche internazionali presentano un certo numero di incidenti o fallimenti nelle operazioni di salvataggio, causati in grande rilevanza da inade-
guatezza dell’intervento umano. L’analisi delle dinamiche hanno rilevato un fondato sospetto che la decisionalità umana non abbia intravisto o abbia sottovalutato i pericoli che si andavano accumulando, non escogitando soluzioni ed azioni di salvataggio. Qualsiasi operazione di soccorso è frutto di una serie di azioni proposte dall’uomo, l’analisi che seguirà li accomuna singolarmente agli anelli di una
e indagini sugli incidenti costituiscono una fonte molto importante di informazioni per incrementare la sicurezza nelle operazioni di soccorso. Pertanto, rimane alta la speranza che dall’analisi di queste fonti vengano conseguiti almeno due obiettivi di primaria importanza:
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GESTIONE DEL SOCCORSO
catena, ogni anello sopporta la propria responsabilità nella riuscita finale dell’operazione. È ampiamente dimostrato che ogni incidente viene causato dalla rottura o dal cedimento di un anello di questa catena, così come è comprovato che il cedimento di un anello comporta molto spesso l’indebolimento o peggio la rottura di quelli successivi (catena degli eventi). Lo scopo principale, che si prefiggono i Protocolli Internazionali sulla Sicurezza ed il Soccorso, è quello di adottare un metodo specifico di autodisciplina individuale e di standardizzazione nell’espletamento delle procedure di intervento di salvataggio, specialmente in scenari che vedono l’unione delle forze e delle competenze con l’ausilio di mezzi di varia natura (Crew Concept), tenendo ben presenti che l’errore umano è involontario per definizione. Un ottimo metodo è quello proposto ed elaborato dall’Università di Southen in California, utilizzato anche per stabilire gli standard internazionali del settore aerospaziale. Il metodo nasce dalla considerazione che in ogni
operazione si possano individuare quattro grandi aree di analisi, le cui iniziali in lingua Inglese vengono contrassegnate con la lettera “M”: “Mission” – “Man” – “Machine” – “Medium” “Mission” Questa voce compete alle finalità di ogni operazione di soccorso, cioè tende alla buona riuscita come qualunque altra attività umana ed alla concreta realizzazione di ogni obbiettivo. Scopo principale della “Mission” è quello di allontanare gli operatori dai gravi pericoli che ogni intervento in aree a rischio comporta. Le misure di sicurezza senza dubbio abbassano il pericolo ma non lo eliminano del tutto, senz’altro la massima sicurezza impedisce che da semplice possibilità si tramuti in danno concreto. La difesa dai rischi si realizza in due modi: • diminuendo l’esposizione al rischio; • aumentando le difese applicabili alla situazione. Pertanto è chiaro che pre-
servando questo equilibrio si diminuiscono sensibilmente le esposizioni alle incognite, soprattutto a quelle “sottili” cioè quelle che normalmente passano inosservate. “Man” Lo svolgimento di qualunque operazione di soccorso richiede sempre la presenza dell’intervento umano. Il comportamento del singolo soccorritore è l’oggetto di studio del presente trattato, mentre nel caso che più soccorritori si trovino ad operare simultaneamente sullo stesso scenario, allora verrà trattato come un gruppo omogeneo con una o più specifiche dinamiche collettive e con i problemi relativi alla distribuzione dei compiti al coordinamento e all’integrazione globale.
Le problematiche che risiedono nel successo delle operazioni dipendono sul buono stato di salute degli operatori, sull’età, sull’addestramento e le competenze tecniche, sull’esperienze in campo e non per ultimo sulle capacità analitiche e le proprietà di assumere decisioni concrete basate su un grande ventaglio di informazioni presenti sull’area di intervento. “Machine” Oggi più di che mai, nelle operazioni di pronto intervento è quasi indispensabile avvalersi della presenza di mezzi idonei al soccorso. Per utilizzare con efficienza ed efficacia tali mezzi, di cui alcuni molto sofisticati, si ricorre come nel settore aeronautico all’utilizzo di una “Check-List”.
Purtroppo, per svariati motivi tecnici e pratici l’utilizzo di questo “indispensabile” sussidio tecnico non può comprendere alcuni elementi valutabili sul momento dal soccorritore, come: • tipologia del mezzo impiegato; • idoneità per l’uso che se ne intende fare; • stato generale della manutenzione; • prestazioni operative; • dotazioni di bordo. In poche parole, tutti i mezzi dovranno offrire un ampio margine di sicurezza, dovendo affrontare al meglio delle loro performance tutti i compiti a cui essi saranno sottoposti, detto al contrario, il loro utilizzo non dovrà essere intrapreso ma soprattutto interrotto quando non saremo certi che i mezzi utiliz-
Tabella 1 “MISSION” Soccorso Lavoro
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“MAN” Stato di Salute Età Condizioni Generali Addestramento Esperienza
“MACHINE” Tipo e Modello Idoneità all’uso Manutenzione Performance Equipaggiamenti
“MEDIUM” Condizioni Scenario Assistenza Orario Quota Latitudine
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GESTIONE DEL SOCCORSO mento caratteriale assunto dai soccorritori. I ricercatori ne hanno individuato cinque piuttosto ricorrenti: Anti-autoritario Ricorrente nelle persone che non gradiscano sia detto loro cosa fare, essi tendono a far coincidere le regole, le procedure, le autorità o anche i più semplici consigli come cose poco produttivi o addirittura del tutto inutili.
zati non saranno più in grado di garantire ed affrontare con successo le dure condizioni operative nei luoghi in cui si svolgono le operazioni di salvataggio. “Medium” La voce “Medium” designa tutto ciò che è esterno all’uomo ed alla macchina. Semplificando, possiamo fare rientrare in questa casistica le condizioni meteorologiche, l’orografia del territorio, i servizi di assistenza generali, l’ora in cui si svolgono le operazioni, le quote e le latitudini (Tabella 1 riportata nella pagina precedente). Vale la pena di riflettere su un aspetto in particolare dell’interazione delle quattro “M”. Infatti, le singole voci delle quattro aree interagiscono continuamente e qualsiasi loro mutamento si riflette più o meno marcatamente su ogni altra, cambiano anche radicalmente in quadro generale della situazione.
La Catena delle Oper azioni Il comportamento del Comandante (aereo o nave), del Conducente (camion o mezzi terrestri) e
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più semplicemente del Coordinatore dei Soccorsi, si basa su processi mentali complessi. La conoscenza di questi processi può essere proficuamente utilizzata durante le seguenti sessioni di addestramento.
Riconoscimento Una volta ricevute e decifrate le informazioni provenienti dall’ambiente esterno, il nostro cervello le elabora, adottando la soluzione o intraprendendo le azioni che essa richiede. Purtroppo, per far ciò è necessario che l’esperienza sia stata vissuta almeno una volta in precedenza ed ecco perché è importante la simulazione in fase di addestramento, che sarà tanto più valida come esperienza, tanto sarà più simile alla realtà e tanto più varia nei suoi contenuti. Valutazione La seconda fase di valutazione, appunto, ha la caratteristica di fornire al soccorritore una capacità di determinazione se la sequenza in atto si stia svolgendo in maniera esatta oppure no. Se tutto si svolge regolarmente, il soccorritore mantiene inalterati le proprie
mansioni, altrimenti interviene con azioni o atti correttivi. Appare evidente comunque che per far ciò il soccorritore debba avere un’idea ben definita sui risultati che vogliono ottenere. Le statistiche internazionali rilevano che alla base degli errori di riconoscimento e di valutazione ci sono state spesso due cause ricorrenti: • scarsa preparazione teorica; • scarso addestramento pratico. Infatti, l’unico modo per garantire al cervello di poter consolidare i criteri di riconoscimento e valutazione, rimane il costante training di aggiornamento.
Rappr esentazione Rappresentazione e Decisione Con la prima ci occupiamo di una delle più alte qualità del nostro cervello, cioè la capacità di anticipare, immaginare ed ipotizzare quello che potrà avvenire dopo. In questo modo, la mente escogiterà un programma di intervento e di decisione per conseguire l’obiettivo desiderato predisponendolo anche ad una serie di alternative possibili.
Abilità Manuale Manuale Tutte le operazioni manuali seguono e danno pratica attuazione alle decisioni intraprese mentalmente. Capacità questa molto importante e richiesta negli operatori del soccorso del campo medico e soprattutto nei soccorritori che utilizzano i mezzi aerei, navali o terrestri per lo svolgimento dei loro compiti. L’abilità manuale si può ottenere solo ed esclusivamente attraverso l’esercizio costante e continuo nel tempo, in quanto i muscoli debbono sperimentare e registrare meccanicamente i loro campi operativi a bordo delle cabine di comando (cockpit aeronautici – plance di comando delle imbarcazioni – cabine di guida dei mezzi di soccorso terrestri). Una volta acquisita l’automazione dell’apparato scheletro-muscolare che andrà ad interagire con la componente psicomotoria, qualunque movimento diventerà man mano più facile e naturale, fino a diventare istintivo. Nello svolgimento di qualunque forma di soccorso vi è inoltre una particolare caratteristica legata alla psiche dell’operatore, essa appartiene all’atteggia-
Impulsivo La tendenza negativa di questo comportamento risiede nel fatto che queste persone non assumono mai un atteggiamento riflessivo, ma piuttosto fanno la prima cosa che gli viene in mente, senza badare a priori se la loro scelta potrà comportare ulteriori danni ad una situazione già di per se critica. Invulnerabile Il pensiero ricorrente di queste persone è quello che a loro non può succedere niente di spiacevole. Il pericolo per loro sta nel fatto che pur cosciente che gli incidenti possano capitare a tutti, essi si sentono in qualche modo esclusi da questa statistica, assumendo e mettendo in pratica azioni più rischiose del necessario. Macho comportamento molto simile al precedente, è presente in prevalenza nelle persone di sesso maschile. Queste persone vogliono continuamente dimostrare di essere migliori degli altri, accettando rischi spesso inutili e superiori alla norma ed alle loro capacità. Questo atteggiamento affonda le sue radici nella vanità. Rassegnato “Tanto è uguale ed Io non posso farci niente!” Queste persone messe sotto stress emotivo sono convinti che se va tutto bene sia solo questione di fortuna,
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GESTIONE DEL SOCCORSO mentre se le cose vanno male è colpa della mala sorte. Questo atteggiamento è all’opposto dell’Anti-autoritario, infatti il primo è incline a non accettare anche il più semplice consiglio, mentre il secondo tende ad accettare qualunque forma di comando, anche se consapevole della sua inutilità o peggio della sua pericolosità. Si analizzano di seguito gli “antipodi” comportamentali rendendo evidenti gli estremi degli atteggiamenti assunti. Decisività Macho Incerto Disciplina Anti-autoritario Rassegnato Perseveranza Invulnerabile Rassegnato Tempestività Impulsivo Incerto
• carico di lavoro squilibrato fra le varie unità o fra i vari operatori; • isolamento dei singoli operatori o dei coordinatori; • cattivo uso delle risorse disponibili; • malintesi sull’esercizio dei vari ruoli e compiti; • pianificazione inadeguata; • conflitti fra le parti o fra gli operatori.
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• Elenco delle possibili soluzioni dei problemi sopra riportati • Condividere le esperienze operative personali; • comunicare i piani e le intenzioni; • accettare commenti anche se critici; • incoraggiare i suggerimenti; • attivare la circolazione delle comunicazioni e dei dati; • essere disponibili a cambiare le opinioni, i piani ed azioni, se basati da informazioni provenienti dai vari soccorritori,
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purché fondati nella loro validità; stabilire chiaramente gli obbiettivi da raggiungere; pianificare tempestivamente; assicurarsi che tutti stiano effettivamente seguendo lo stesso piano (Leader); mantenere un livello di vigilanza adeguato alla situazione; indagare con decisione ma con discrezione su sospetti deviazioni dei piani stabiliti come dai precedenti accordi fra le parti (Leader); raccogliere con continuità più informazioni possibili; diffondere ogni nuova informazione acquisita; usare un linguaggio adeguato nelle comunicazioni; evitare di erigere barriere gerarchiche (Leader).
Conclusioni L’augurio che faccio a tutti coloro che leggeranno que-
sto breve testo non è soltanto che lo trovino utile e di proprio gradimento ma che esso possa essere di spunto per una più attenta riflessione personale. È senz’altro difficile giudicare o valutare la personalità altrui e sarebbe inopportuno farlo senza avere le giuste conoscenze specialistiche. Ci sono persone che tendono sotto stress operativo a manifestare apertamente il loro carattere, mentre altre lo celano in maniera insospettabile. Deve peraltro essere chiaro a tutti i lettori di questo articolo, che non è lecito ai non addetti ai lavori esprimere a priori giudizi o valutazioni, che possono ledere, oltretutto se sbagliati, le persone che operano insieme a noi. L’insegnamento, comunque che possiamo trarre da questo piccolo saggio, è comunque quello che ognuno di noi potrebbe fare per se stesso, e cioè uno sforzo di autovalutazione personale, seppur sommario e superficiale
sul proprio comportamento, cercando di individuare i propri punti di forza, ma soprattutto le proprie debolezze, tentando di colmare le lacune caratteriali che ognuno di noi ha. Il metodo delle quattro “M” comporta l’analisi separata del nostro “Modus Operandi”, cioè il modo in cui ognuno di noi si confronta con la realtà di una vera azione di soccorso, ed il modo in cui teniamo salda la catena degli eventi, o peggio, potremmo essere la fonte e la causa della sua rottura. Soltanto la piena conoscenza e la consapevolezza dei nostri limiti e dei nostri punti deboli o se trattasi dell’azione combinata di un gruppo dell’intero sistema, potrà abbassare sensibilmente le residue frazioni di rischio, rendendoci non soltanto utili a noi stessi, ma soprattutto rendendoci indispensabili a tutti coloro che ci affidano le proprie vite durante le Operazioni di Soccorso ed Emergenza. ∆
Elenco semplificativo delle carenze nella coordinazione in operazioni di soccorso di gruppo (Crew Concept) secondo la “griglia” CRM (Copyright Scientific Methods) • Inadeguati controlli sui parametri ambientali nell’area di svolgimento dei soccorsi; • preoccupazione per problemi secondari o distrazione generale; • mancato utilizzo dei dati importanti disponibili, con conseguente restringimento di soluzioni adottabili; • carenza nello stabilire l’ordine delle priorità; • sovrapposizione di compiti individuabili; • mancata comunicazione dei piani di attuazione di soccorso; • mancata delega ed assegnazione dei compiti; N&A emergenza e soccorso in mare · Anno 3° · Vol. 9 · 2009
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SICUREZZA IN IMMERSIONE
COME E PERCHÈ PERCHE ALCUNE SPECIE DI SQUALO ATTACCANO L’UOMO
RICCARDO STURLA AVOGADRI Fondatore Shark Academy.
Foto fornite dall’autore.
In foto, squali Zambesi.
allo squalo bianco allo squalo ramato, gli squali hanno contribuito a creare il mito del killer. Il 12% degli attacchi a persone in mare nei quali si è potuto identificare l’aggressore, sono imputabili allo squalo bianco, il che ne fa la specie più famigerata per quello che riguarda la sua pericolosità nei confronti dell’uomo. Eppure lo squalo bianco non è da solo sul banco degli imputati. Delle circa 487 specie di squali scoperte a oggi (25-12-2009), sono
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circa 40 quelle che di certo hanno attaccato in modo accidentale (involontario) o voluto (da provocazione), persone o barche; 27 di queste sono giudicate potenzialmente pericolose; le rimanenti sono innocue. Gli attacchi si dividono in due tipi: provocati e non provocati. I provocati nascono da un errore umano: capitano per esempio quando un subacqueo volontariamente va a disturbare uno squalo; quando c‚è l’intenzione di mettersi in condizioni di essere scambiato per una potenziale preda nuotando in territori di caccia, o quando si butta sangue o pesce in mare per attirarli o nutrendoli direttamente dalle mani.
I non provocati al contrario nascono da un errore dello squalo: capita quando ci mettiamo involontariamente a nuotare su una tavola da surf, sembrando in controluce visti dal basso come una potenziale preda, quale una foca o una tartaruga; nuotiamo in zone di riproduzione di squali senza saperlo e subiamo attacchi di disturbo o di avvertimento; ci mettiamo a pescare tenendo attaccato al nostro corpo i pesci sanguinolenti appena pescati col fucile. Nessuna persona è stata mangiata da uno squalo, dei 30 attacchi accidentali all’anno, solo 6 sono fatali. Tutti si concludono nello stesso identico modo: le persone muoiono dissan-
guate o in mare, o in spiaggia o in ospedale. I più sfortunati sono quindi i bambini e gli anziani essendo più deboli risentono maggiormente della perdita delle “forze”. Ogni specie di squalo ha un diverso tipo di alimentazione e di conseguenza una diversa tecnica di attacco. Il tipo di attacco è in funzione del tipo di dentatura e di forma idrodinamica. Ecco un elenco dei 6 “personaggi” che più hanno contribuito a creare il mito dello squalo assassino.
Fascia rossa Carcharodon carcharias (Linnaeus, 1758) ITA:
Squalo bianco USA: Great white shark FRA: Grand requin blanc SPA: Jaquetòn blanco AUS: White pointer - Ordine Lamniforme Famiglia Lamnidae. Presente in Australia, Sud Africa, Messico e California, detiene il primato con il 34% di attacchi a persone. Il suo attacco è micidiale e a volte mortale. La sua tecnica è chiamata “mordi e scappa”. Lo squalo bianco attacca la preda colpendola violentemente a tutta velocità sfruttando la sua massa e di sorpresa, tanto da riuscire a fare salti completamente fuori dall‚acqua, ma poi scappa, evitando lo scontro diretto per evitare morsi in parti vitali.
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SICUREZZA IN IMMERSIONE Dopo che la preda inizia a perdere sangue e a indebolirsi a questo punto lo squalo bianco fa un secondo attacco, sicuro di non rischiare più di poter essere ferito, questo metodo gli permette di vivere più a lungo (immaginate se ogni volta che dobbiamo pranzare o cenare, dovessimo prima andare a caccia con le armi in mano come si faceva all’età della pietra! Quanto potremmo vivere?). Perché sfrutta il suo peso per attaccare? La risposta sta nella struttura della mascella. Gli squali hanno una mascella (superiore) e mandibola (inferiore) composta da 7 file di denti già cresciuti a vari stadi di formazione. I denti sono solo appoggiati alla mascella/mandibola e tenuti insieme da un tessuto connettivo che sfrutta un particolare legame chimico. Questo fa sì però che in realtà il dente di uno squalo non avendo una radice, non è resistente tanto da cadere in modo molto frequente. Ogni volta che uno squalo si nutre, può perdere anche 1 o 2 denti, fino a perderne nel corso della sua vita, anche diverse migliaia! Detto questo possiamo affermare che nel caso dello squalo bianco, il rapporto: carico di rottura e massa muscolare non crescono in modo proporzionale! Il carico di rottura di un dente di uno squalo bianco di 3 metri è di 70 kg, e il carico di rottura di uno da 5 metri è solo 90 kg. Di conseguenza non conviene più usare i denti al massimo della loro pressione disponibile per mordere prede più grandi. Quello che invece aumenta di molto è la massa muscolare, quindi è più conveniente sfruttare la velocità e il peso unito ad una leggera pressione del dente per far risultare un che viene usata per colpire e stordire la preda.
Squalo tigre USA: Tiger shark FRA: Requin tigre commun SPA: Tintorera Ordine Carcharhiniforme Famiglia Carcharhinidae. Secondo solo allo squalo bianco nella fama di aggressore, è il responsabile del 18% degli attacchi. Tropicale e costiero, non è mai stato osservato nel Mediterraneo fino a tre anni fa. Raggiunge anche 7,40 metri di lunghezza massima. Molto aggressivo, non esita ad avventurarsi in acque bassissime oppure nelle sporche acque dei porti in cerca di cibo. La mascella dello squalo tigre è la più pericolosa di ogni altra specie, questo per il fatto che solo lo squalo tigre ha denti seghettati sopra (mascella) e sotto (mandibola), denti molto larghi e spessi che aumentando la superficie di contatto e quindi molto resistenti, inoltre sono molto corti, e l’effetto “leva” diventa inesistente, lasciando il carico di rottura molto elevato. Questa conformazione legata alla
tecnica di attacco gli permette di avere una dieta molto varia, riuscendo a spaccare in due il carapace di una tartaruga o le ossa di un uccello. La tecnica di attacco dello squalo tigre, è chiamata “mordi e ingoia”. Abbiamo detto che lo squalo bianco che con i suoi denti non è in grado di contrastare un combattimento a contatto con una preda, senza essere a sua volta morsicato. Lo squalo tigre invece ha un attacco molto silenzioso, arriva di sorpresa e lentamente. Non ha bisogno di sfruttare la sua massa muscolare in quanto ha dei denti potentissimi. Quando attacca inizia a mordere senza fermarsi mai, in questo modo non dà la possibilità alla sua preda di reagire, nemmeno se c’è stato un attacco accidentale a una tavola da surf! Lo squalo tigre non si ferma, oramai il suo attacco tipo lo ha iniziato e lo continua fino a sbrindellare e ingoiare pezzi di tavola, anche se si rende conto di
essersi sbagliato. Anche questo è un modo per cercare di vivere più a lungo, ne risulta che solo lo squalo tigre di conseguenza è considerato “lo spazzino dei mari” ingoiando di tutto. Dopo qualche settimana però nessun problema, lo stomaco si rivolta in acqua e le cose inutili vengono riversate in acqua. Carcharhinus leucas (Valenciennes, 1839) ITA: Squalo dello Zambesi o estuarino USA: Bull shark FRA: Requin bouledogue SPA: Tiburòn sarda - Ordine Carcharhiniforme Famiglia Carcharhinidae. Cosmopolita ma assente nel Mediterraneo. Dopo lo squalo bianco e il tigre, è considerato il più pericoloso, nonostante non raggiunga la lunghezza di quattro metri. Gli si attribuisce l’15% degli attacchi. Si nutre soprattutto di altre specie di squali. Grazie e dei reni potentissimi in grado di evitare la diluizione dei sali, l’acqua dolce non costituisce per lui
un problema, e pertanto lo si può trovare anche nei grandi fiumi tropicali a migliaia di chilometri di distanza dalla foce, come nel Rio delle Amazzoni, lo Zambesi, il Nicaragua, il Mississipi e il Tigri. Nel fiume Gange non è presente il Carcharhinus leucas, ma bensì il Glyphis glyphis e il Glyphis gangeticus. È‚ uno squalo che attacca in acqua bassissima, mangia ogni tipo di animale per riuscire a sopravvivere. È‚ sicuramente lo squalo più imprevedibile. Si avvicina alla preda più volte prima di attaccarla e morderla, è come se sia in cerca del punto debole. Si avvicina sempre da sottocorrente, ti punta fino ad una distanza di circa 3 metri e poi curva prima a destra, poi torna, ti ripunta e gira a sinistra. Sto facendo molti studi su questo squalo nel centro ricerca Shark Expo by Shark Academy all’interno del palazzo del turismo a Jesolo Lido (Venezia), dove facSqualo bianco in volo con una foca finta in bocca durante i test di prova di salto degli squali bianchi.
Galeocerdo cuvier (Peron & Le Sueur, 1822) ITA: N&A emergenza e soccorso in mare · Anno 3° · Vol. 9 · 2009
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Squalo Mako.
cio immergere le persone in acqua con gli squali assieme a me. Per informazioni: www.sharkacademy.it
Fascia Ar ancione Carcharhinus longimanus (Poey, 1861) ITA: Longimano USA: Oceanic whitetip shark FRA: Requin ocèanique SPA: Tiburòn oceànico - Ordine Carcharhiniforme Famiglia Carcharhinidae. Specie tropicale d’alto mare, la cui presenza nel Mediterraneo in estate è dubbia, mentre è considerata comunissima su acque oceaniche. Le pinne pettorali tipicamente allungate gli hanno valso il nome specifico. La sua lunghezza massima è di poco inferiore ai quattro metri. Viene da molti considerato uno degli squali più pericolosi, è forse il principale responsabile di molti attacchi in occasione di
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naufragi avvenuti in mare aperto (al 4° posto con il 10% degli attacchi). Anche il longimano ha la sua particolare tecnica di attacco, nuota in mezzo a piccoli pesci pilota (a volte anche un trentina) i quali non vengono mangiati dallo
squalo perché coprono la forma di quest‚ultimo alla vista di altre prede ben piu grandi e interessanti. Il longimano in questo modo essendo parzialmente coperto da questi pesciolini che gli stanno intorno riesce ad avvicinarsi molto
alla preda e quando arrivato alla distanza giusta, fa uno scatto e la morde. A loro volta i pesci pilota si accontentano di mangiare gli scarti della preda dello squalo. È‚ una sorta di accordo di collaborazione tra squalo e pesce pilota.
Può capitare d’incontrare un longimano in immersione o facendo una nuotata, normalmente si avvicina e si allontana, ma se è nervoso o infastidito, inizia a girare intorno studiando con i sensi della sua linea acustico-laterale
Squalo Tigre.
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SICUREZZA IN IMMERSIONE il corpo del sub per capire e identificare il punto debole per sferrare un attacco! Se fa più di due giri, è un brutto segno ed è meglio uscire subito fuori dall’acqua. Isurus oxyrinchus Rafinesque, 1810 ITA: Mako pinne pettorali corte USA: Shortfin mako FRA: Taupe bleu SPA: Marrajo dientuso - Ordine Lamniforme Famiglia Lamnidae. Della stessa famiglia dello squalo bianco, è uno squalo pelagico, vive in
acque tropicali e temperate, è presente ma non molto comune in Mediterraneo. Supera la lunghezza di quattro metri. È uno squalo veloce, scattante e aggressivo, molto elegante, che si ciba prevalentemente di tonni e pesci spada ma che ha attaccato l’uomo più volte (8% dei casi), spesso con esito fatale. Ha un attacco fulmineo, prima si lancia sulla presa fino ad arrivare a pochi cm, la fissa, l’analizza e scappa. Poi se decide di attaccarla, cambia la
direzione di attacco e la morde all’improvviso. Questo tipo di attacco sfrutta la incredibile velocità dello squalo mako. Carcharhinus brachyurus (Gunther, 1870) ITA: Squalo ramato USA: Copper shark FRA: Requin cuivre SPA: Tiburòn cobrizo AUS: Bronze whaler Ordine Carcharhiniforme Famiglia Carcharhinidae. Squalo dal color rame acceso, comune in Australia e Sud Africa, può raggiungere i tre metri di lun-
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ghezza. Spesso visibile in compagnia di squali bianchi, è uno squalo aggressivo e ha attaccato l’uomo alcune volte (5% dei casi). A differenza delle altre specie potenzialmente pericolose per l’uomo che sono generalmente solitarie, o divise tra maschi e femmine, il ramato si sposta in gruppo. L’attacco dello squalo ramato segue la tecnica chiamata ad “otto” che è caratteristica anche degli squali grigi. Sfrutta il senso della linea-acustico
laterale sensibile a onde di pressione per toccare a distanza la preda facendo degli “otto” considerando la preda al centro dei due cerchi. In questo modo riesce a sfruttare la sensibilità sia del lato destro sia del lato sinistro del corpo nel minor tempo possibile (Se ci pensate infatti se uno squalo gira attorno a una preda solo in un senso, usa solo la linea laterale o destra o sinistra del corpo facendo degli “otto” le usa entrambe). ∆
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Sullo sfondo dei grandi rivolgimenti che hanno condizionato il secolo scorso, dalla crisi del ‘29 ai due conflitti mondiali, alla guerra fredda, alla nascita dell’Unione Europea fino a giungere alla tuttora irrisolta contrapposizione tra mondo occidentale e paesi emergenti esplosa proprio sul finire del secolo, l’autore ripercorre le pagine più intense della storia della marineria mercantile italiana attraverso la ricostruzione della vita di una società di navigazione, l’Adriatica di Venezia che, in oltre settant’anni di seria e tenace attività sul mare dal quale ha preso il nome, ha saputo scrivere una delle pagine più gloriose della storia marinara nazionale. La società di navigazione Adriatica,
infatti, in una lenta quanto continua opera di concentramento delle iniziative marittime sorte lungo le coste italiane e dalmate tra il primo ed il secondo conflitto mondiale, ha finito con il rappresentare uno degli elementi più condizionanti delle diverse attività economiche delle genti mediterranee, contribuendo a favorire, altresì, l’unione e la civile convivenza in particolare tra le popolazioni adriatiche. Sullo sfondo della tradizionale immagine rappresentata dalla società veneziana si stagliano, così, l’Oriente mediterraneo e l’Occidente, due luoghi perennemente a confronto tra di loro. In questo storico confronto commerciale tra due mondi distinti ma sempre bisognosi di dialogo, nel quale i mezzi di trasporto a vela o a motore hanno svolto nei secoli un ruolo di indiscutibile importanza, l’Adriatica ha rappresentato, nel ‘900 appena concluso, la memoria della tradizione che si salda con le sfide di un futuro che proprio l’Europa unita, all’inizio del Duemila, ha ormai ridisegnato. Al centro, le sue indimenticabili bianche navi che hanno finito con il condizionare per decenni il paesaggio adriatico e mediorientale ed il cui ricordo rimane indelebilmente fissato nell’animo delle genti adriatiche. Pasquale B. Trizio
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ono lieto di presentare il libro “Shark Awareness” frutto d’anni di
ricerche, di studi di biologia marina e d’immersioni svolte in ogni parte del mondo e a stretto contatto con quelli stupendi pesci che sono gli squali. Questo libro, è il primo di due volumi che nasce principalmente per il conseguimento del diploma e della specialità di Shark Awareness; ma anche per chi non è interessato ai corsi, e vuole comunque approfondire ulteriormente temi come: la biologia degli squali, la loro classificazione, la distribuzione e il comportamento, i dispositivi antisqualo, la pesca, la conservazione, i loro derivati e altro ancora.
La Società Pagina organizza Corsi di Guida in Emergenza per il personale del 118, delle Misericordie, delle Pubbliche Assistenze, della Croce Rossa e di ogni altra Associazione di Soccorso. Data di svolgimento del corso: 16-17 maggio 20-21 giugno. Il programma è inserito a pag 32. Per ulteriori informazioni si prega di rivolgersi alla Segreteria Organizzativa ai seguenti numeri: tel 0573 975975 fax 0573 978350 oppure mandare una e-mail al seguente indirizzo:
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Riccardo Sturla Avogadri
www.mareblunet.it Uno specialista in medicina del nuoto ed attività subacquee, per tutti coloro che amano il mare ed i suoi misteri.
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N&A emergenza e soccorso in mare · Anno 3° · Vol. 9 · 2009