I libri di Viella 51
Economia e società a Roma tra Medioevo e Rinascimento Studi dedicati ad Arnold Esch
a cura di Anna Esposito e Luciano Palermo
viella
Copyright © 2005 - Viella s.r.l. Tutti i diritti riservati Prima edizione: novembre 2005 ISBN 88-8334-170-8
Questo volume è stato pubblicato con il contributo del CISR (Centro interdipartimentale di studi e ricerche sulla popolazione e la società di Roma) – Università di Roma La Sapienza
viella Libreria editrice via delle Alpi, 32 I-00198 ROMA tel. 06 84 17 758 fax 06 85 35 39 60 www.viella.it
Indice
Introduzione
VII
ARNOLD ESCH Le fonti per la storia economica e sociale di Roma nel Rinascimento: un approccio personale
1
IVANA AIT Aspetti della produzione dei panni a Roma nel basso Medioevo
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GIULIA BARONE Eretici e repressione dell’eresia a Roma: dallo Statuto del senatore Annibaldo del 1231 agli Statuti cittadini del 1360
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CRISTINA CARBONETTI VENDITTELLI Il registro di entrate e uscite del convento domenicano di San Sisto degli anni 1369-1381
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ALFIO CORTONESI Il casale romano fra Trecento e Quattrocento
123
ANNA ESPOSITO La normativa suntuaria romana tra Quattrocento e Cinquecento
147
ANGELA LANCONELLI Il commercio del pesce a Roma nel tardo Medioevo
181
MARIA LUISA LOMBARDO Le gabelle della città di Roma nel quadro dell’attività amministrativo-finanziaria della Camera Urbis nel secolo XV
205
VI
Indice
ISA LORI SANFILIPPO In principio furono tredici… L’enigma del numero delle arti romane nel Duecento
229
LUCIANO PALERMO I mercanti e la moneta a Roma nel primo Rinascimento
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MANUEL VAQUERO PIÑEIRO Terra e rendita fondiaria a Roma all’inizio del XVI secolo
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Ivana Ait Aspetti della produzione dei panni a Roma nel basso Medioevo
Una società per l’esercizio dell’arte «dello purgo et della tincta», costituita agli inizi del XVI secolo, presenta importanti elementi per una migliore valutazione dell’apporto fornito sia da personale specializzato, anche straniero, sia dal capitale mercantile per l’impiego a Roma di particolari tecniche indirizzate a una produzione di tessuti di qualità. In assenza di documentazione in grado di offrire dati di tipo quantitativo, per studiare i fenomeni economici e sociali si deve ricorrere ad un’ampia tipologia di fonti che permette di seguire i mutamenti qualitativi; questo mio intervento, dunque, si basa sui primi risultati di una ricerca sulla manifattura laniera romana nel periodo compreso fra il XIV e il XVI secolo. 1. Il documento L’atto in oggetto, rogato l’8 ottobre del 1505, si compone di due distinte sezioni: nella prima, lo spagnolo Giacomo Alamanii affittava al romano Giuliano di Stefano de Iuvenalibus de Manectis una casa nella quale, si specifica, fit tincta: si trattava dunque di una casa-opificio, dove si svolgeva l’importante fase della tintura dei tessuti; ed insieme alla casa dava in locazione anche tutte le attrezzature in essa presenti. L’immobile, di proprietà di Prospero Santacroce, si trovava nel rione Trastevere, presso la piscaria di Santa Cecilia, in prossimità dunque del Tevere. Seguono le clausole relative alla durata della locazione, fissata in un anno, e al prezzo
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pattuito: sette ducati d’oro all’anno. La contenuta entità del canone è verosimilmente da attribuire sia alla tipologia dell’edificio, in questo caso costituito dalle sole mura e certamente non rifinito, sia al rione ove era situato; mentre in conformità alla consuetudine romana Giuliano de Iuvenalibus liquidava ai soci solo il corrispettivo del primo semestre, ossia tre ducati e mezzo.1 A questo punto inizia la seconda sezione dell’atto, nella quale, alle suddette parti, ossia Giacomo Alamanii e Giuliano de Iuvenalibus, si aggiunge un terzo personaggio, Belardino di Mariotto di Gubbio, al fine di avviare una società per l’esercizio dell’«arte dello purgo et tincta pannorum».2 Dai patti che seguono si evince che l’attività si sarebbe svolta nella sopraindicata casa, e che il capitale investito dai due principali soggetti, Giuliano de Iuvenalibus e Giacomo Alamanii, consisteva per il primo nelle spese di locazione, mentre Giacomo interveniva con l’apporto di attrezzature e masserizie non meglio specificate, che, peraltro, si può ipotizzare trattarsi dei contenitori e dei prodotti indispensabili al completamento del nuovo impianto indirizzato alla purgatura dei panni, operazione importante ai fini dell’espletamento del già avviato processo di tintura. Al terzo partecipante alla compagnia, Belardino, spettava lo svolgimento vero e 1. In mancanza di uno studio sistematico sul valore degli impianti produttivi a Roma, si possono addurre alcuni elementi di paragone attraverso il raffronto con locali sul tipo delle spezierie, ove accanto al vero e proprio spazio commerciale, si trovavano le officine dove venivano approntati i diversi preparati oggetto dell’attività. Va tuttavia tenuta presente l’impossibilità in molti casi di scindire il costo delle sole mura da quello di massarizie o di altri elementi che spesso erano conteggiati nella spesa globale, così come la posizione in strade centrali e frequentate. Per quanto attiene alle spezierie il canone di locazione oscillava fra i 30 fiorini romani e i 70 ducati d’oro: nel 1512 per le sole mura venivano richiesti in media 40 ducati d’oro, cfr. I. Ait, Tra scienza e mercato. Gli speziali a Roma nel tardo medioevo, Roma 1996 (Fonti e Studi per la storia economica e sociale di Roma e dello Stato pontificio, VII), in particolare a p. 139. Di ben altro rilievo risultano gli affitti dei mulini, intorno ai 100-120 ducati d’oro l’anno, ma si trattava di impianti particolarmente costosi data la loro complessa struttura, cfr. I. Ait, Uno spazio produttivo: il Tevere nel basso Medioevo, in «Rivista storica del Lazio», 17 (2002), pp. 3-15, in particolare alla p. 11. 2. Roma, Archivio di Stato (d’ora in poi ASR), Collegio dei notai capitolini (d’ora in poi CNC), 851 (Evangelista de Goriis), ff. 122v-124r, v. oltre, documento 1.
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proprio del nuovo mestiere (personam suam et industriam suam ponere). La durata prevista era molto breve: sei mesi. Come è d’uso, chiude questa seconda parte, e tutto il documento, la clausola relativa ai profitti, che prevedeva una divisione equa del ricavato fra i tre partecipanti, fatto salvo naturalmente il capitale iniziale, secondo quanto investito da Giacomo e da Giuliano. Prima di entrare nello specifico dell’atto mi sembra opportuno inquadrare i personaggi coinvolti in questa impresa. Per quanto riguarda Belardino di Mariotto, pur nell’assenza di qualifiche, appare chiaro che si trattava di un artigiano specializzato al quale, secondo le esposte finalità della compagnia, veniva affidato il compito di eseguire, o forse dirigere e controllare, l’esecuzione delle operazioni previste dall’accordo, ossia la purgatura dei panni. Egli proveniva da Gubbio, e non è da escludere che la sua recente immigrazione a Roma, come suggerisce l’assenza, accanto al suo nome, di un rione di riferimento, fosse determinata dalla particolare circostanza. L’ipotesi potrebbe essere avvalorata anche dalla durata della società, solo sei mesi. Abbastanza insolito, il breve lasso di tempo induce a ritenere in prima istanza che fosse determinato da un periodo di prova al quale era sottoposto l’operatore forestiero, necessario, dunque, a verificarne le attitudini e le competenze; ma a questo punto avanzo anche un’altra ipotesi che, pur non escludendo la prima, amplia il senso della durata della società collegandola con la finalità dell’atto: ossia che i tre personaggi volessero introdurre una diversa modalità di lavorazione nel settore, nel qual caso si trattava di accertarne il risultato finale. Arriviamo quindi a quelli che appaiono i promotori della società: il mercante romano Giuliano di Stefano de Iuvenalibus de Manectis e lo spagnolo Giacomo Alamanii. Di quest’ultimo abbiamo poche notizie: si sa che era catalano, della diocesi di Tarragona, tuttavia, in questo contesto, acquistano un particolare significato gli stretti legami intessuti con il mercante spagnolo, Miguel Campillo.3 3. Dei rapporti esistenti fra i due personaggi offre un chiaro riscontro la nomina di Miguel Campillo quale esecutore del testamento di Giacomo Alamanii, cfr. M. Vaquero Piñeiro, La presencia de los españoles en la economía romana (1500-1527). Primeros datos de archivo, in «En la España Medieval», 16 (1993), pp. 287-305, p. 296 e n. 52.
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Quest’ultimo, infatti, era un personaggio di spicco nel mercato romano a cavallo fra Quattrocento e Cinquecento soprattutto per il rilievo della sua attività nel settore commerciale all’interno di un vasto e consistente traffico di panni e tessuti. Di ben altra caratura appare Giuliano di Stefano de Iuvenalibus de Manectis, del quale, in questa sede, mi limiterò a rilevare che apparteneva ad una nobile famiglia romana le cui tappe, nella vita cittadina quattrocentesca, sono scandite dalla costante presenza all’interno del gruppo dirigente dell’Arte della Lana.4 A testimoniare l’ascesa economica e sociale della famiglia, già agli inizi del XV secolo, è la presenza, nel 1416, di Giuliano Stephani Iuvenalis del rione Arenula, qualificato come nobilis vir, fra i consoli artis lanarolorum Urbis; non solo, nel 1421, accanto a Giuliano anche un altro membro della famiglia, Antonio, risulta ricoprire questa importante funzione.5 Una carica che si tramandarono di padre in figlio: nel 1472 Stefano, il padre del Giuliano coinvolto nella società in oggetto, figura ai vertici della corporazione;6 e, ancora qualche anno dopo, nel 1478, è uno dei due consoli designati alla revisione statutaria, affiancato, in questo fondamentale momento della vita associativa, da altri membri fra i quali si trovava anche uno dei suoi figli, Francesco.7 A conferma della perdurante posizione di privilegio all’interno dell’Arte, quasi di tipo monopolistico, da parte della famiglia de Iuvenalibus è il deciso intervento di Giuliano che, nella sua funzione di console, nel 1512 convocava l’assemblea della corporazione per adottare importanti provvedimenti, ma su questo ritorneremo.8 4. Biblioteca Apostolica Vaticana, Ottob. lat. 2550/IV. 5. Statuti delle arti dei merciai e della lana di Roma, a cura di E. Stevenson, Roma 1893, pp. 209, 218. 6. Stefano Iuvenalis de Manectis e Leonardo Iannutii, «vigore potestatis eis concessae per homines et mercatores dicte artis», partecipavano, insieme ai due consoli dell’arte, alla formulazione della delibera che vietava ai membri dell’arte di costituire società di tintura o purgatura dei panni o di «tollere et capere aliquam valgam nec facere aliquam compagniam ad valgam», Statuti delle arti dei merciai e della lana, p. 251. 7. Ivi, pp. 251-252. 8. Ivi, p. 253; in tale occasione fissava a ben cinque ducati d’oro la tassa di ingresso alla corporazione a fronte della somma di due ducati fino ad allora in vigore. Venivano esentati da questo pagamento: Cola Caetaneo, che compare fra i convocati, Francesco de Agobio e Mariano di Camerino.
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Un altro personaggio viene citato nell’atto: Prospero Santacroce, proprietario della casa oggetto della locazione, nella quale, come si è detto, si svolgeva l’attività di tintura dei panni. Della fisionomia imprenditoriale di Prospero si hanno ampi riscontri, in questo contesto va ricordata la sua attiva presenza nel commercio di tessuti di vario tipo,9 oltre che la posizione di primo piano da lui rivestita all’interno della potente corporazione dei mercanti di Roma, in linea, anche in questo caso, con una ben consolidata tradizione familiare.10 Per quanto riguarda la casa-opificio, l’immagine è quella di una azienda, dotata dei capitali fissi indispensabili ai principali processi lavorativi che vi si dovevano svolgere ed anche di personale di diversa condizione e specializzazione. Essa, inoltre, era dislocata in un sito particolarmente favorevole all’installazione anche dell’attività di purgatura dei panni; infatti, la vicinanza del fiume, permetteva di dotarla dei requisiti strutturali essenziali a questa diversa funzione, come pozzi, condotti e fogne di scolo. Il procedimento di purgatura consisteva in un lavaggio in acqua caldissima e sapone 11 e in un trattamento a base di «terra da pur9. Nel 1488, subentrando al defunto zio, l’avvocato concistoriale Andrea Santacroce, Prospero si era inserito in una società per il commercio di panni e velluti la cui importanza si rileva sia dai capitali investiti, più di 2.000 ducati d’oro, sia dalla presenza di altri importanti rappresentanti del ceto mercantile romano, cfr. l’atto del 4 luglio 1488 con il quale si riformulava la compagnia per il commercio di panni et aliarum similium rerum venalium alla quale oltre a Prospero partecipava Iacobella, vedova di Bartolomeo Santacroce, altro nipote di Andrea, ASR, CNC, 1104 (not. Petrus de Merilis), cc. 126r-v e 139r-v. Pur non venendo esplicitata la provenienza della merce, appare evidente il consistente, variegato e composito bagaglio merceologico oggetto degli investimenti di operatori come i Santacroce, e i suoi soci, Angelotto de Calvis, del rione Trevi o ancora Pietro Paolo de Mantaco, del rione Pigna. 10. Valeriano e Paolo Santacroce nel 1444 facevano parte del collegio dell’arte Mercantie pannorum lane, si vedano gli Statuti dei mercanti di Roma, a cura di G. Gatti, Roma 1885 (Biblioteca dell’Accademia storico-giuridica, 2), pp. 147 e 149; nel 1470 si trovano a ricoprire le stesse cariche anche Bartolomeo, figlio di Pietro, e Prospero Santacroce, figlio di Valeriano, ivi, p. 150. Altri riferimenti in A. Esposito, Famiglia, mercanzia e libri nel testamento di Andrea Santacroce (1471), in Aspetti della vita economica e culturale a Roma nel Quattrocento, Roma 1981, pp. 197-220. 11. Una descrizione del procedimento tratta dall’Archivio Datini si trova in F. Melis, Aspetti della vita economica medievale, Siena 1962, p. 470 nota 5.
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go»,12 per eliminare ogni tipo di sporcizia e grassi dai panni; seguiva un ultimo risciacquo che si consigliava di effettuare direttamente nell’acqua del fiume, pertanto è chiaro che la posizione dell’edificio sulle rive del Tevere facilitava l’esecuzione di quest’ultima operazione.13 Questa fase di preparazione della lana era particolarmente importante ai fini della buona riuscita della successiva, delicata operazione di tintura. Va infatti tenuto presente che, al fine di ottenere la colorazione o la sfumatura richiesta, si procedeva anche per due volte di seguito alla tintura dei panni. Lo stesso colore bianco, di diverse tonalità, era frutto di una particolare e delicata operazione di tinta. Appare dunque chiara la necessità di una perfetta purgatura, per sgrassare a fondo i panni, oltre che sbiancarli, presupposto necessario ed indispensabile per un buon risultato finale. Per quanto riguarda l’operazione di tintura essa poteva essere eseguita sia sulla lana in fiocco, dunque prima di procedere alla tessitura in modo da ottenere le sfumature di colore, sia su quella tessuta. A questo riguardo precise indicazioni si ricavano nelle disposizioni degli statuti dell’Arte della Lana. La regolamentazione si sofferma, infatti, con particolare attenzione sui procedimenti da attuarsi sui panni e sulle tele,14 tale dato induce a riflettere dunque anche sul 12. «Terra da purgo» è la definizione che si trova nel Trattato dell’Arte della Lana edito da A. Doren, Studien aus der Florentiner Wirtschaftsgeschichte, I, Die Florentiner Wollentuchindustrie vom 14. bis zum 16. Jahrhundert. Ein Beitrag zur Geschichte des modernen Kapitalismus, Stuttgart 1901, p. 491. Con «terra da purgo» si intendeva un composto misto di cenere e carbone, come annotava l’autore di un’operetta ambientata nella Roma del primo Cinquecento, cfr. Francisco Delicado, Ritratto della Lozana Andalusa, a cura di T. Cirillo Sirri, Roma 1998, pp. 36-37. Sull’uso della cenere come fissante per la tintura si veda il contratto stipulato il 21 dicembre 1372 fra un lanaiolo e tre tintori, cfr. Il protocollo notarile di Lorenzo Staglia (1372), a cura di I. Lori Sanfilippo, Roma 1986 (Codice diplomatico di Roma e della Regione romana, 6), doc. 148, p. 165. 13. La normativa statutaria proibiva di lavare panni e lana filata negli abbeveratoi degli animali e nei condotti (cabulas) dell’acqua Vergine, restaurati nel XIV secolo, cfr. Statuti della città di Roma, a cura di C. Re, Roma 1880 (Biblioteca dell’Accademia storico-giuridica, 1), libro III, rubr. 126/1-2, p. 265. 14. Si vedano a questo riguardo i capitoli relativi a tintori o purgatori nei quali si fa pressocchè esclusivo riferimento a tingere pannum, purgandum pannos, cfr. Statuti delle arti dei merciai e della lana, capp. X, LXXXXVI, LXXXXVIIII, rispettivamente alle pp. 129, 202, 203.
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procedimento messo in atto in questo laboratorio, dove verosimilmente le operazioni di lavatura e tintura venivano eseguite sulle pezze di lana tessuta. E, sulla base di quanto riscontrato in altre realtà urbane, non è da escludere che in questo stesso ambiente si procedesse anche al successivo intervento di cardatura o conciatura.15 Si trattava del trattamento con particolari spazzole che, fornite di cardi, sollevavano il pelo del panno, a questo punto il cimatore con lunghe cesoie provvedeva alla rasatura in modo da rendere uniforme la superficie del tessuto.16 Per tornare all’operazione di purgatura va rilevato come diversi fossero i metodi adottati sia nella tecnica di esecuzione sia nei materiali impiegati. In questo settore la manodopera femminile aveva un ruolo preminente, non a caso dunque uno dei temi trattati dalla protagonista di un testo letterario degli inizi del Cinquecento verte proprio intorno al confronto fra i differenti sistemi impiegati a Roma. Si apprende così che si poteva lavare «all’italiana», ossia senza usare il sapone, ma adoperando la lisciva, composta dalla cenere della legna; non solo, in questo caso le lavandaie «fanno ribollire la cenere già sfruttata che non ha più forza», in tal modo ottenevano ulteriori, notevoli risparmi sulle spese. Al contrario «noi (spagnole)», precisa l’interlocutrice della Lozana andalusa, la cortigiana protagonista del romanzo, «mettiamo i panni a mollo, diamo una mano di sapone, poi li mettiamo in un canestro e facciamo la colata e lì i panni restano tutta la notte a scolare la liscia, altrimenti rimarrebbero grigiastri».17 La lettura della fonte letteraria permette, dunque, di avanzare un’ipotesi circa l’intento che può aver indotto esponenti dell’imprenditoria romana e del mondo artigianale spagnolo a inserirsi nell’am15. L’operazione del «concio di panni», o cardo, veniva svolta spesso dai purgatori. È stata rilevata la comunanza di non pochi impianti e strumenti tra purgatura e conciatura, cfr. Melis, Aspetti della vita economica, p. 470 nota 9. 16. A Roma era proibito l’uso dei cardi di ferro, ossia di spazzole munite di sottili denti di ferro, si veda la disposizione del 1416 in Statuti delle arti dei merciai e della lana, p. 209. 17. Delicado, Ritratto della Lozana, p. 36. L’autore definisce “all’italiana” l’uso romano di purgare i panni senza sapone, sistema già utilizzato in diverse città italiane, tra cui Firenze.
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bito di una particolare branca della manifattura tessile, ossia la volontà di introdurre una pratica «innovativa» nel processo della produzione locale: l’uso del sapone, una innovazione indirizzata al miglioramento qualitativo della produzione dei panni a Roma. Come si è detto, per l’avvio della nuova attività, Giacomo Alamanii aveva investito nel capitale fisso, rappresentato da «omnibus et singulis massaritiis et instrumentis». Il corredo del laboratorio non richiedeva una particolare ed onerosa attrezzatura, la parte principale, infatti, era costituita dalle caldaie, spesso di rame, l’impianto tipico, fondamentale, dove veniva messa a bollire l’acqua, il resto della dotazione consisteva in orci, pentolini da olio, secchi e barili. Diversamente la voce di spesa più consistente per l’azienda era rappresentata dal capitale circolante, in particolare il combustibile, ossia la legna, e il sapone,18 oltre che, per la fase successiva, i materiali tintori, la robbia, il guado ed eventuali altre sostanze coloranti e fissatrici, come l’allume ritenuto, fra l’altro, il mordente di maggiore efficacia.19 Ma a questo riguardo il documento non fornisce indicazioni utili a capire le modalità di approvvigionamento di questi prodotti. Spicca invece la modesta quota di capitale che uno dei soci, il romano Giuliano de Iuvenalibus, immetteva nell’impresa, attraverso il ricorso alla locazione dell’opificio. 2. L’Arte della Lana: i segnali del cambiamento Per spiegare le molte singolarità del documento, in particolare il ruolo di Giuliano de Iuvenalibus, e per comprendere il momento 18. Ben 100 fiorini venivano concessi nel 1438 dall’Arte della Lana di Firenze ad un saponaio «pro se fulciendo maseritiis et rebus opportunis pro exercitio dicti saponis comodius et habilius faciendo», si veda F. Franceschi, Oltre il «Tumulto». I lavoratori fiorentini dell’Arte della Lana fra Tre e Quattrocento, Firenze 1993, p. 55. Dal Quaderno delle compere dell’Archivio Datini sono stati desunti i costi relativi alla spesa del sapone che variava anche in base alla qualità e al colore del tessuto, cfr. Melis, Aspetti della vita economica, p. 583. 19. L’operazione di mordenzatura, procedimento fondamentale per il fissaggio dei colori, eseguita con l’allume offriva anche il vantaggio di togliere le impurità e sgrassare i tessuti, cfr. L. Liagre, Le commerce de l’alun en Flandre au Moyen Age, in «Le Moyen Age», 61 (1955), pp. 177-206.
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di svolta di cui è uno dei principali artefici, occorre inserire questo atto nel processo di evoluzione che l’Arte della lana conosce fra il XIV e il XV secolo. In questa sede mi limiterò a ricordare quello che appare il nodo centrale: la politica fortemente centralizzata e gerarchizzata portata avanti dai maestri lanaioli romani. Nella fase trecentesca, infatti, il centro direzionale era la bottega del lanaiolo, dove si concentravano tutte le funzioni direttive ed organizzative del processo manifatturiero. Al laboratorio artigiano, sede di svolgimento della maggior parte della trasformazione produttiva, si abbinava anche la funzione commerciale. In particolare emerge la marcata divisione delle competenze tra i lanaioli, talora anche molto ricchi – essi sono i gestori degli strumenti, della materia prima e del prodotto finito –, e i tessitori, relegati nella fase intermedia della produzione.20 Le stesse filatrici dovevano svolgere la loro attività nella bottega del lanaiolo, che si configura come una piccola azienda, con garzoni e apprendisti, lavoratori salariati o con contratti.21 In linea con questa politica l’Arte della Lana nel 1321 vietava ad alcune categorie, quali tintori, purgatori e gualcatori, di partecipare ad accordi di tipo societario.22 I ricorrenti richiami della legislazione corporativa al rispetto di questa norma evidenziano il tentativo di evitare la scissione di opifici che, per le loro caratteristiche, potevano divenire dei poli produttivi autonomi. Sintomatica a questo riguardo una disposizione, aggiunta nel 1403, che recita Item statuimus et ordinamus quod nullus de dicta arte lanae possit in futurum facere tinctam et compagniam ad dictam artem tinctae videlicet ad tingendum pannos, nec tingere aliquem pannum alicui personae, nec facere purgum nec compagniam ad purgandum pannos, nec tollere aut capere aliquam valgam, nec facere aliquam compagniam ad valgam…23 20. I. Lori Sanfilippo, La Roma dei Romani. Arti, mestieri e professioni nella Roma del Trecento, Roma 2001 (Nuovi Studi Storici, 57), pp. 160-161. 21. «quod nullus artifex, magister, nec aliquis exercens aliquid de dicta arte lanae... portet nec portari faciat lanam alicui filatrici a roccha ad domum ipsius filatricis... immo lanam suam dabit ad filandum et dari faciat et debeat ad domum seu apothecam ipsius artificis et magistri», Statuti delle arti dei merciai e della lana, cap. XIII, p. 130. 22. Ivi, cap. LXXXIII: «Contra facientem confederationes sive ligas», p. 160. 23. Ivi, cap. LXXXXVI, p. 202.
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Tale situazione, che, di fatto, relegava tutti al ruolo di lavoratori dipendenti, appare subire dei cambiamenti significativi nel corso del XV secolo. Dall’opificio laniero si staccavano infatti, acquisendo parziale autonomia, tutte quelle figure che fino ad allora erano state vincolate al maestro lanaiolo e alla sua bottega, come appunto tessitori, cardatori, cimatori, gualcatori, tintori. Di questo nuovo sistema, fondato sul ricorso ad interventi remunerati in base alla quantità di lavoro svolto, rimane un’interessante testimonianza negli unici due libretti di conti, finora ritrovati, relativi al periodo 1443-1446.24 Rinviando ad altro contesto l’analisi particolareggiata di questa documentazione, l’aspetto che emerge in maniera evidente e che qui preme mettere in luce riguarda la significativa presenza del lavoro a cottimo nel settore della produzione laniera. Anche a Roma si affermavano modalità già messe in atto nei maggiori centri manifatturieri. E il lavoro a cottimo, che veniva a sostituire il salariato, la forma di lavoro più comune e diffusa, non solo dava impulso alla produttività, in quanto premiava, all’interno di ogni categoria, le persone dotate di maggiore abilità, ma potenziava la crescita di forme autonome di attività.25 Tali trasformazioni del processo produttivo erano stimolate da una serie di fattori, non da ultimo dall’urgenza di far fronte alla concorrenza di un aumentato numero di centri di produzione laniera. Concorrenziale in tal senso era diventata anche la manifattura fiorentina che, per contrastare la crisi che l’aveva investita, iniziava proprio intorno agli anni Trenta del XV secolo ad utilizzare qualsiasi specie di lana, «compresi i sempre rifiutati prodotti abruzzesi e laziali».26 L’impressione è che in questi anni i romani cerchino di allinearsi ai maggiori centri lanieri. Le disposizioni legislative dell’Arte della Lana di Roma, emanate a partire dai primi anni del Quattrocento, confermano questo quadro. Così, al fine di ottenere una mi24. ASR, Camerale I, Appendice, regg. 26 (a. 1443) e 29 (aa. 1444-46). 25. È quanto riscontrato per Firenze da F. Franceschi, Industria e trasformazioni sociali a Firenze (1350-1450), in Disuguaglianza: stratificazione e mobilità sociale nella popolazione italiana (dal secolo XIV agli inizi del secolo XX), Atti del secondo Congresso italo-iberico di demografia storica, Savona, 18-21 novembre 1992, 2 voll., Bologna 1997, II, pp. 687-696. 26. Franceschi, Oltre il «Tumulto», p. 28.
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gliore qualità dei tessuti, veniva imposto che nella lavorazione fosse utilizzato esclusivamente l’ordito di stame – la parte più fine, resistente e lunga della lana –, mentre era vietata la realizzazione di stoffe cum ordimento de trama;27 al contempo si proibiva di lavorare, purgare e tingere le pezze miste di lana e lino (retia et mesalanas).28 La sanzione prevista per i contravventori era la confisca dei panni.29 Fra l’altro, come si è detto, era fatto divieto di usare i cardi di ferro per l’operazione di conciatura; la preferenza accordata ai cardi naturali, di certo meno costosi ma migliori per il trattamento di tessuti più delicati e costosi, appare, dunque, in linea con la nuova politica. Tale indirizzo della corporazione rispondeva prontamente alle esigenze di un mercato cittadino vivacizzato dal rientro della corte papale. In questo senso erano diretti gli interventi tesi a favorire l’ingresso di maestranze specializzate, attraverso l’abolizione della tassa di immatricolazione all’arte, la quale veniva reintrodotta non appena il mercato risultava saturo.30 Questa politica di alterne aperture e chiusure della corporazione veniva appoggiata dai papi che, con decisivi interventi, stimolarono la crescita del settore, dando nuovo slancio all’attività produttiva. E fondamentale appare, nei primi decenni del XV secolo, la protezione accordata da Martino V all’ingresso delle maestranze forestiere all’interno del principale comparto produttivo, quello della tessitura, dall’abolizione della tassa di immatricolazione, alla limitazione dell’importazione dei panni a Roma.31 La documentazione pervenutaci per questi anni fornisce una chiara testimonianza dell’autonomia raggiunta da diversi operatori del settore, provenienti soprattutto dall’area lombarda. La formazione di poli produttivi non più dipendenti dal lanaiolo era un ulteriore incentivo per il capitale mercantile il cui intervento, pur provocando la marcata frattura tra i dententori del capitale e i lavoratori, segnava il punto di svolta nell’organizzazione manifatturiera romana. 27. Statuti delle arti dei merciai e della lana, cap. LXXXXVII, p. 203. 28. Ivi, capp. LXXXXII, LXXXXIIII e LXXXXV, pp. 201-202. 29. Si veda la delibera del 1472, ivi, p. 250. 30. La tassa di ingresso all’Arte era di 10 libre di provisini. Sarà abolita nel 1418 e reintrodotta tre anni più tardi dagli stessi mercanti. 31. Roma, Archivio Storico Capitolino (d’ora in avanti ASC), Camera Capitolina, Credenza XV, t. 45, c. 95r-v.
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Al lanaiolo di origine artigiana che, per l’esiguità dei capitali accumulati e il limitato raggio di azione commerciale in cui si poteva spingere, non era in grado di assicurare alla sua azienda dimensioni ragguardevoli e una mole di affari consistenti, si veniva a sostituire il grande mercante. Naturalmente l’ingresso del capitale mercantile che avveniva secondo la nota modalità della vendita a credito della materia prima, la lana, ma anche dei prodotti tintori, significava estendere il controllo alla fase finale della produzione, fino alla vendita del manufatto.32 In tale processo spiccano personaggi di rilievo dell’imprenditoria romana come nel caso dei Santacroce, una famiglia che, nel corso del XV secolo, fu più volte ai vertici della potente corporazione dei Mercanti di Roma. E nel 1470 Prospero Santacroce, il proprietario del nostro opificio, era uno dei consoli dell’arte della mercantia pannorum Urbis.33 Mi pare questo il segno di una profonda evoluzione con l’emergere in sede locale di un forte gruppo di mercanti-imprenditori che, dotati di notevoli ricchezze e interessati all’allevamento del bestiame specie ovino,34 diventavano gli unici proprietari della materia prima, la lana, e del prodotto finito, panni e tessuti che erano in grado di immettere sul mercato per rispondere alla dilatata domanda del mercato cittadino del pieno Quattrocento. Non va trascurato, fra l’altro, un altro importante elemento: il coinvolgimento dei Santacroce, fra cui lo stesso Prospero, nella gestione di un fondaco situato in Campo dei Fiori, sotto il palazzo degli Orsini, che godeva del duplice vantaggio proveniente dalla posizione centrale particolarmente favorevole all’espletamento delle attività commerciali e dalla configurazione del locale inserito nel contesto di un edificio di proprietà di una delle più importanti famiglie della nobiltà romana. Si può ritenere che si tratti del locale oggetto della società «fundici pannorum et vellutorum et aliarum similium rerum vena32. A.M. Corbo, I frati lombardi e l’arte della lana in Roma alla metà del XV secolo, in «Rassegna degli Archivi di Stato», 31 (1971), pp. 657-676, doc. 5, pp. 667-668. 33. Statuti dei mercanti di Roma, p. 150. 34. All’incremento dell’allevamento ovino si indirizzano gli interventi di Martino V e nel Cinquecento di Sisto V, chiari segnali della volontà di dare nuovo slancio all’attività produttiva, A. De Sanctis Mangelli, La pastorizia e l’alimentazione a Roma nel medio evo e nell’età moderna, Roma 1918, pp. 156-158.
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lium», nella quale esponenti dell’aristocrazia municipale, come i Calvi e i Mantaco, oltre ai Santacroce, avevano investito ben 5.300 ducati d’oro, una cifra di considerevole entità che attesta il rilievo dell’attività commerciale certamente diretta a soddisfare una clientela raffinata e di riguardo. Non è, allora, da escludersi un coinvolgimento di Prospero anche nella produzione dei panni a Roma o almeno in una parte del processo produttivo, tanto più che era in un immobile di sua proprietà che già si effettuava l’importante attività di tintura dei panni. Come non si può escludere che in questo opificio, dove i panni venivano sottoposti al ciclo finale della lavorazione, si procedesse alla rifinitura di prodotti semilavorati, importati dal Santacroce o da Miguel Campillo, entrambi parte della rete di relazioni intessute da Giacomo Alamanii. Va infatti considerato che quest’ultima modalità di intervento permetteva ai mercanti-imprenditori di trarre dei consistenti vantaggi economici: un abbassamento dei costi sulla commercializzazione di tessuti non rifiniti, maggiori ricavi dal processo finale (provenienti dal rapporto con il tintore basato sulla vendita a credito delle materie prime), dunque un insieme di fattori che venivano ad incidere in modo consistente sulla spesa complessiva.35 Infatti, secondo gli studi condotti per altri centri urbani, l’attività della tintura dei panni, che doveva essere svolta da artigiani specializzati, richiedeva capitali non trascurabili sia fissi che circolanti, al punto che questa operazione da sola faceva aumentare il costo globale della pezza del 10%.36 35. Negli Statuti delle gabelle si regolamenta anche l’esportazione dei panni romani: era tenuto al pagamento della gabella di 11 soldi e 9 denari chiunque aliquem pannum romanum avesse voluto extrahere de Urbe, cfr. Statuti delle gabelle di Roma, a cura di S. Malatesta, Roma 1885 (Biblioteca dell’Accademia storico-giuridica, 5), cap. 29, p. 103, e C. Gennaro, Mercanti e bovattieri nella Roma della seconda metà del Trecento (Da una ricerca su registri notarili), in «Bullettino dell’Istituto per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», 78 (1967), pp. 155203, p. 178. Oltre che nel territorio romano, il mercato dei panni romani trovava il suo sbocco anche in località più distanti, come ad esempio nelle Marche. Non a caso a proposito del trattamento da adottarsi nei confronti dei mercanti forestieri, lo Statuto della corporazione dei mercanti di Roma, nel sottolineare la reciprocità delle condizioni, ricorda i mercatores Urbis qui utuntur apud Anconam, cfr. Statuti dei mercanti di Roma, pp. 26-27 36. Melis, Aspetti della vita economica, p. 471.
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Possiamo dire che dietro il sistema della vendita a credito si cela quello che rappresenta il nodo centrale delle relazioni tra artigiani e mercanti, o meglio del rapporto esistente fra il maestro tessile e il capitale mercantile. Nel caso specifico l’intervento, attraverso lo strumento dell’indebitamento – strumento importante nella subordinazione dell’artigiano al capitale mercantile –, dominando sia la fase dell’approvvigionamento della materia prima sia lo smercio del prodotto, configura quella che si può definire una forma di organizzazione imprenditoriale del lavoro. 3. Mercanti e artigiani: un rapporto problematico Anche a Roma, secondo modalità già evidenziate per altre realtà urbane, l’ingresso del capitale mercantile nella sfera della produzione provocava importanti trasformazioni sia per quanto riguarda la destinazione delle risorse locali, immesse anche nel circuito interregionale, sia per quanto riguarda la tecnica manifatturiera e i rapporti sociali che si venivano ad instaurare fra i mercanti da un lato e i maestri e lavoratori dall’altro. E a proposito delle conflittualità innescate dall’inevitabile dipendenza che in molti casi si determinava fra gli artigiani, stimolati ad operare in proprio, e i mercanti, detentori del capitale troppo spesso indispensabile per l’avvio e lo sviluppo di un’impresa,37 fornisce un chiaro esempio un documento del 15 settembre 1522.38 In tale data sei tessitori denunciavano l’uso, o forse sarebbe meglio dire l’abuso, da parte dei mercanti di retribuire il lavoro svolto dagli artigiani del settore (eorum mercedes) anche attraverso la fornitura di strumenti (rebus mobilibus), essenziali all’esercizio dell’attività, naturalmente mag37. Ad esempio, il mercante andaluso Pedro Diego di Baena nel 1512 dava in usufrutto la sua bottega, sita nel rione Pigna, al tessitore panni lane Giovanni Bartolomeo di Chiavari, il quale si impegnava a produrre per lui una determinata quantità di panni, ASR, CNC, 930, c. 185v; lo stesso Pedro affittava a due maestri napoletani un telaio nuovo cum omnibus suis fornimentis necessariis cum petine licciato noviter 44 impostarum apto ad tessendum pannos lane, ASR, CNC, 850, c. 277r, la citazione è tratta da M. Vaquero Piñeiro, Artigiani e botteghe spagnole a Roma nel primo ’500, in «Rivista storica del Lazio», 3 (1995), pp. 99-115, p. 107. 38. Vedi oltre, documento 3.
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giorandone i costi (sub chariori pretio).39 Il grave e dannoso stato di subordinazione nel quale potevano venirsi a trovare gli artigiani determinava, quindi, la presa di posizione da parte di questi sei tessitori, tutti provenienti da località dell’Italia centro-settentrionale, e il cui rilievo sociale è attestato dalla qualifica di discreti viri, mentre non viene esplicitato il ruolo da loro ricoperto all’interno dell’Arte della Lana. Non sappiamo dunque a quale titolo queste maestranze intervenissero, certo è che esse imponevano di accettare dai mercanti solo pagamenti in numerata pecunia; tale provvedimento sembra dunque indirizzato ad evitare il perpetuarsi di situazioni pregiudizievoli dell’autonomia di esercizio. Non posso in questa sede soffermarmi ulteriormente su questi aspetti, mi sembra tuttavia che il documento in questione aiuti a chiarire meglio la partecipazione alla società per l’arte «dello purgo e della tincta» da parte di Giuliano de Iuvenalibus de Manectis con un capitale che, data la scarsa entità, ho definito «simbolico». Il suo intervento si può, dunque, inquadrare all’interno di una copertura e di un appoggio offerti da un alto esponente della corporazione ad un artigiano straniero per favorire la sperimentazione di forme di lavoro indipendenti più consone alla nuova dimensione del mercato cittadino, ma è altresì indicativo delle capacità del nobile romano di accogliere e favorire le trasformazioni in atto in grado di rispondere alle diverse e senza dubbio più ricercate esigenze della nuova domanda. Quest’ultima ipotesi viene confermata da un atto del 18 aprile del 1507. A due anni di distanza dalla costituzione della società per la tintura dei panni, Giuliano de Iuvenalibus, insieme al lombardo Domenico di Francesco de Isi,40 dava l’avvio ad un’attività di purgatura dei panni. L’esercizio si sarebbe svolto in una gualchiera localizzata fuori porta Latina, lungo il corso d’acqua della Marrana. L’opificio, destinato alla follatura dei 39. Già agli inizi del Quattrocento venivano effettuate delle aggiunte alla normativa statutaria per disciplinare questo delicato settore: cfr. capp. LXXXVI e LXXXVII, dove, fra l’altro, si apporta una differenziazione fra i prestiti erogati ai forestieri abitanti in città o non residenti; ed inoltre si vedano i capp. LXXXVIII, LXXXIX e LXXXX, con i quali viene introdotto anche il caso di comodato di gualchiere o degli strumenti di lavoro, cfr. Statuti delle arti dei merciai e della lana, pp. 199-201. 40. Risulta difficile risalire ad una località con tale nome, si può ipotizzare che si tratti di Isso in provincia di Bergamo.
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panni, gravava su un terreno di proprietà di Giuliano, al quale Domenico si impegnava a corrispondere otto ducati l’anno per la locazione del suolo, clausola che sarebbe entrata in vigore dal momento in cui gli veniva consegnato l’impianto,41 inoltre all’operatore lombardo spettava non solo partecipare all’impresa con il proprio lavoro, ma anche provvedere ad alcune forniture, consistenti in un cavallo, nella terra occorrente per la purgatura dei panni e nella legna indispensabile a riscaldare l’impianto. Da parte sua Giuliano si assumeva l’incarico di sostenere sia i costi relativi all’affitto dell’opificio sia quelli per l’acquisto dell’acconcime, ossia del corredo di arnesi, utensili e masserizie, necessario all’espletamento dell’esercizio, ma soprattutto del sapone, che, come si è detto, rappresentava la voce di spesa più ragguardevole. In tal modo mercanti di elevata caratura sociale ed economica, quale si profila Giuliano de Iuvenalibus, rilevando impianti già esistenti, apportavano dei cambiamenti, delle trasformazioni nel processo di produzione. Giuliano de Iuvenalibus proseguiva, dunque, nel suo programma di penetrazione nel settore al fine di una produzione di panni di qualità e su questa linea interveniva per sostenere le nuove modalità di lavorazione. A tale fine il 4 luglio del 1512, in qualità di console dell’Arte della Lana, convocava l’assemblea degli iscritti per deliberare l’obbligo dell’uso del sapone nell’attività di purgatura almeno, si specifica, per la metà dei panni prodotti a Roma.42 Due anni dopo, Leone X, in aperto sostegno a questa iniziativa, e certamente per rispondere all’ampliamento del settore, concedeva ad un orefice il monopolio per l’impianto a Roma dell’industria del sapone.43 Tale provvedimento provocava la vivace protesta del Consiglio comunale. Il primo conservatore, Mariano Altieri, prese la parola precisando come in unaquaque civitate dum fiunt rerum necessariarum monopolia, in ea vivere abbundanter non potest. Quare eis relatum fuit, tamquam habentibus re41. Interessante risulta anche la presenza di due conciatori di panni fra i testimoni, ASR, CNC, 851, cc. 251r-252v, vedi oltre, Documento 2. 42. Cfr. Vaquero Piñeiro, La presencia de los espanoles en la economia, p. 292. 43. A Venezia l’allume era monopolizzato da parte dei vetrai, tuttavia veniva estratto clandestinamente e portato fuori della città per essere utilizzato dall’Arte dei saponai, cfr. B. Cecchetti, Monografia della vetraria veneziana e muranese, Venezia 1874, p. 228 e p. 263.
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gimen Urbis, per Antonium Ferrerium aurificem saponum monupolium inceptum, qui cum Camera Apostolica, et presidentibus eiusdem appaltum fecit, sibique videri de oportuno remedio fore providendum. Qua expositione audita et diligenter, quantum in dies nocere possit, inter ipsos examinata, decretum fuit quod Conservatores et Prior una cum duobus vel tribus capitibus regionum… super ea re removenda cum s.mo domino nostro alloquantur, eo citius, quanto fieri potest.44
La ragione addotta era l’aumento del consumo di olio di oliva impiegato nella fabbricazione del sapone – aumento provocato dall’impulso dato a questa attività – che sarebbe stato la causa principale di un eventuale preoccupante rialzo dei prezzi del prodotto.45 In tutti i casi con il XV secolo la produzione tessile romana era entrata in una nuova fase, provocata dalla forte crescita demografica, sostenuta da un mercato dilatato in grado di assorbire non solo la manifattura fiorentina, importata in grande quantità soprattutto dalle compagnie commerciali toscane, ma anche la produzione locale di panni che appare impegnata a colmare la domanda interna di tessuti, non solo di quelli più modesti e di basso costo, ma soprattutto di media qualità. D’altra parte il mercato si era animato a seguito dei consumi sempre più importanti di una città che, come rimarca il Bembo all’indomani della morte di Alessandro VI, secondo pontefice di casa Borgia, poi che la Spagna a servire il loro pontefice a Roma, i loro popoli mandati havea, et Valencia il colle Vaticano occupato havea, a nostri huomini et alle nostre donne hoggimai altre voci, altri accenti havere in bocca non piaceva che spagnuoli,
considerazioni che fanno riflettere circa l’impatto provocato sui costumi romani dal modello spagnolo.46
44. ASC, Camera Capitolina, Cred. I, t. 36, c. 101 45. Sulla fabbricazione di sapone con olio di oliva si veda ASR, Tribunale Criminale del Senatore, Investigationes, n. 9, c. 103r. 46. Cfr. I. Ait, Spagnoli e mercato del lavoro nella Roma del Quattrocento, in La Corona d’Aragona in Italia (secc. XIII-XVIII), XIV Congresso di storia della Corona d’Aragona, Sassari-Alghero, 19-24 maggio 1990, III, Comunicazioni, 2. Presenza ed espansione della Corona d’Aragona in Italia (secc. XIII-XV), Sassari 1996, pp. 43-63, p. 58.
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Il modello spagnolo naturalmente si imponeva sia nel taglio e nelle fogge degli abiti che nei tessuti di arredo e nella biancheria, diffondendo di conseguenza l’uso di stoffe dai disegni e colori rispondenti alla nuova moda, come le copertas de lecto de lana albas mazanas, ad similitudinem illarum de Valentia, che si trovavano insieme ad altri panni nel variegato paniere merceologico di Miguel Campillo.47
47. È quanto riportato nel contratto, concluso fra Michele Campiglio e suo figlio Raffaele da un parte e Paolo de Stephanutiis dall’altra. L’atto fu rogato il 7 maggio 1504 apud apothecam sutorie magistri Silvestri sutoris, la sartoria di Silvestro si trovava in platea Iudeorum, e fra i testi presenti si trova, oltre allo stesso Silvestro e a suo figlio Sigismondo, anche il mercante romano Giovanni Battista Capogalli, ASR, CNC, 1673, c. 470r; ancora il 30 luglio dello stesso anno, davanti agli stessi testimoni, Michele e Raffaele vendevano a Paolo de Stephanutiis 40 «pannos mezanos albos videlicet celones albos a lecto mezanos videlicet ad similitudinem illorum de Valentia», ivi, c. 490r.
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Documenti
Documento 1. Società per la tintura panni 1505, ottobre 8 ASR, CNC, 851 (not. Evangelista de Goriis), cc. 122v-124r.
Die octavo octobris 1505, indictione nona. In presentia etc. Iacobus Alamanii hispanus de regione Arenula sponte etc. locavit et appensionavit quandam domum ubi fit tincta cum omnibus et singulis suis massaritiis et instrumentis in ea existentibus sitam in regione Transtiberim apud piscariam sancte Cecilie, que domus est Prosperi de Sancta Cruce, civis romani, Iuliano Stephani de Iuvenalibus de Manectis videlicet pro uno anno proxime futuro incipiendo ab hodie et finiendo ut sequitur, ad rationem septem ducatorum de carlenis decem antiquis pro quolibet ducatoa pro dicto anno videlicetb pro exercitio purgec et tincte una cum dicto Iacobod. De quibus septem ducatis dictus Iacobus nunc manualiter etc. habuit etc. a dicto Iuliano presente etc. ducatos tres cum dimidio ad dictam rationem pro primo semestree post quam etc. vocavit etc. et generaliter etc. Insuper devenerunt infrascripte partes ad infrascriptam societatem et conventionem videlicet: dictus Iulianus ex una et dictus Iacobus ex alia et Belardinus Mariotii de Agubio ex aliaf fecerunt ad invicem societatem dell’arte dello purgo et tincta pannorum et exercitii predicti in prefata domog videlicet pro medio anno incipiendo ab hodie et finiendo ut sequitur cum pactis et tenoribus infrascriptis videlicet quod dicti Iulianus eth Iacobus teneantur et debeant ponere et immictere capitale pro equali portione pro prefato exercitio dicto Belardinoi et ita dicti Iulianus et Agabitusj promiserunt et solemniter convenerunt dicto Belardino presenti exponere prefatum capitale ut supra prefato Belardino et etiam dicti Iulianus etk Iacobus inter se se promiserunt et solemniter convenerunt prefatum capitale dicto Belardino ut supra ponere. Et dictus Belardinusl teneatur et debeat ponere personam suam et industriam suamm pro dicto et in dicto exercitio et ita dictus Belardinus promisit et solemniter convenit prefatis Iuliano et Iacobo presentibus etc. personam suam pro
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dicto et in dicto exercition seu industria ponere. Item convenerunto quod lucrum fiendum ex dicto exercitio et artep sit et dividi debeat inter eos hoc modo videlicet quod una tertia pars dicti lucri fiendi sit dicti Iuliani et alia tertia pars sit dicti Iacobi et alia tertia pars sit dicti Belardini et quod quilibet eorum teneatur reddere bonum computum et rationem de omnibus gestis, receptis et administratis per ipsos et quemlibet ipsorum et finita dicta sotietate capitale sit salvum et remaneatq prefatis Iuliano et Iacobo pro equali portione ut supra et predicta promiserunt adimplere etc. Actum Rome in apotheca sive fundico dicti Iuliani sito in regione Arenule, presentibus his testibus videlicet Bernardo Antonii de Bergamo e Thedoldo Iacobi etiam de Bergamo. a
quolibet aggiunto sul margine sinistro b segue ad faciendum purgam cancellato c pro exercitio purge scritto sul margine sinistro d scritto nell’interlinea, sopra a Iuliano cancellato e da pro fino a semestre scritto sul margine sinistro f ex alia aggiunto sul margine sinistro g in prefata domo aggiunta sul margine sinistro h segue dictus cancellato i segue teneatur ponere personam suam pro dicto exercitio cancellato j così k segue aga cancellato l nell’interlinea pro sua parte cancellato m et industriam suam aggiunto sul margine sinistro n et in dicto aggiunto sul margine sinistro o Item convenerunt scritto nell’interlinea p et arte scritto sul margine sinistro q et remaneat aggiunto nell’interlinea.
Documento 2. Società per una gualchiera 1507, aprile 18 ASR, CNC, 851 (not. Evangelista de Goriis), cc. 251r-252v.
Die XVIII aprilis 1507, indictione decima, pontificatu Iulii II. In presentia etc. Iulianus quondam Stephani de Iuvenalibus ex una et Dominicus quondam Francisci de Isi lumbardus ex aliaa fecerunt ad invicem societatem ad faciendum et exercendum valcham pannorum in valcha sita extra portam Latinam in loco qui dicitur Marmoreab cum his pactis et conventionibus quod dictus Dominicusc pro sua parte et portione teneatur et debeat ponere personam suam et unum garzonum et unum equum et terram et lignia pro purgatione pannorum exercitii dicte valche ac etiam valchare. Et dictus Iulianus pro sua parte et portione promisit solvere pensionem dicte valched et ponere saponeme, ponere acconcime quod esset
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necessarium dictef valche pro exercitio dicte valche etg dictush Dominicus tempore consignationis dicte valche promisit solvere dicto Iulianoi pensionem duorum petiorum terrarum supra et subtus dictam valcham videlicet octo ducatorum quolibet anno. Hanc autem societatem fecerunt dicte partes videlicet per totum tempus per quod dicto Iuliano placeat dictam valcham tenere et dictum exercitium facere. Et convenerunt quod dictus Iulianus non possit expellere dictum Dominicum serviendo dicto Iuliano, non serviendo quod possit expellere et quod dictus Dominicus etiam non possit recedere. Et si antequam dicta valcha consignetur dicto Dominico peniteret aliquem ex prefatis partibus, quod tunc quilibet penitens solvat et solvere teneatur ducatos decem auri de carlenis ratione pene applicande per medietatem Camere Apostolice pro alia parti observantil etc. me notario etc. presente etc. [...] Actum Rome in terriom solite habitationis dicti Iuliani, presentibus his testibus videlicet Antonio Beati de Fermo pannorum acconciatore et Philippo Iacobi de Bergamo etiam acconciatore pannorum. a
ex alia scritto nell’interlinea b la frase da in fino a marmorea scritta sul margine sinistro e la parte inferiore della carta c Dominicus scritto nell’interlinea, sotto cancellato Iulianus d segue unius cancellato. Segue sul margine sinistro sita extra portam Latinam in loco qui dicitur Marmorea, cancellato e segue et aptare cancellato f scritto nell’interlinea g segue etiam cancellato h segue promisit cancellato i dicto Iuliano aggiunto nell’interlinea l observanti soprascritto su contrafacienti depennato m così nel doc., da intendersi terrineo.
Documento 3. Disposizioni sui rapporti fra mercanti e artigiani 1522, settembre 15 ASR, CNC, 1189 (not. Pacifico de Pacificis), cc. 57v-58r (ad annum).
Indictione undecima, mensis septembris die quindecima 1522. In presentia mei Pacifici de Pacificis notarii etc. Cum hoc fuerit et sit quod hactenus discreti viri Bernardinus de Pedemontium, Dominicus perusinus, Federicus florentinus alias Damborino, Franciscus Mathei de Padua alias Paduanello et Iohannes Baptista de Rugeriis de Ferraria, Baptista Rade ianuensis alias «gracta pansia» textores pannorum, texerunt pannos merchatoribus et merchatores cum eorum dampnu soliti fuerunt
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aliquando eorum mercedes aliquibus eorum propter eorum penuriam et necessitates in pannis, vino et aliis rebus mobilibus sub chariori pretio. Idcirco predicti magistri, considerantes predicta fieri in eorum dampnum, volentes providere eorum indempnitati sponte etc. omnes unanimiter et concorditer convenerunt, ordinaverunt et decreverunt ac promiserunt quod de cetero nullus eorum possit neque debeat recipere eorum mercedes testure a merchatoribus nisi in numerata pecunia sub pena sex ducatorum de carlenis applicanda pro tertia parte palatio dominorum conservatorum et pro alia eorum comunitati videlicet consuli dicte Artis et pro alia tertia mihi notario vice qualibet qua contrafacta fuerit. Item sub dicta pena convenerunt et ordinaverunt quod nullus eorum possit facere credentiam eius mercedis texture ultra duos pannos. Item convenerunt et ordinaverunt quod si aliquando eveniret quod aliquis eorum altercaretur cum mercatore cui pannos texeret et merchator propterea dictam altercationem vellet eius pannos tradere alteri eorum, quod nullus debeat illos pannos recipere ad texendum sub dicta pena nisi mercator adminus post altercationem dederit unum pannum ad texendum eius textori cum quo altercatus fuit. Quia sit actum etc. pro quibus observandis etc. predicti magistri obligaverunt sese ipsos ac omnia eorum bona etc. in ampliori forma apostolice camere clausolis consuetis etc. iuraverunt etc. rogaverunt etc. Actum Rome in domo mei notarii presentibus hiis testibus videlicet magistro Ludovico quondam magistri Petri del Monfallo muratore et Iohanne notario regionis Campitelli ad predicta vocatis.
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Nota bibliografica
Nel panorama storiografico relativo alla manifattura laniera numerosi sono gli studi, tenendo fuori le analisi relative alle corporazioni e alle botteghe artigiane (per questo si rinvia ai recenti lavori di R. Greci, Corporazioni e mondo del lavoro nell’Italia padana medievale, Bologna 1988, e D. Degrassi, L’economia artigiana nell’Italia medievale, Roma 1998). In questa sede mi limito a ricordare alcuni saggi riguardanti le principali aree di produzione: E. Coornaert, Draperies rurales, draperies urbaines. L’evolution de l’industrie flamande au Moyen Age et au XVIe siècle, in «Revue Belge de philologie et d’histoire», 28 (1950), pp. 9-96; M. Malowist, Les changements dans la structure de la production et du commerce du drap au cours du XIVe et du XVe siècle, in Id., Croissance et régression en Europe XIVe-XVIIe siècle, Paris 1972, pp. 53-62; P. Iradiel Murugarren, Evolucion de la industria textil castellana en lo siglos XIIIXVI. Factores de desarollo, organizaciòn y costes de la producciòn manufacturera en Cuenca, Salamanca 1974; B. Dini, L’industria tessile italiana nel tardo Medioevo, in Le Italie del tardo Medioevo, Atti del II Convegno di studi sulla civiltà del tardo Medioevo, San Miniato, 3-7 ottobre 1988, a cura di S. Gensini, Pisa 1990 (Centro di Studi sulla civiltà del tardo Medioevo. San Miniato. Collana di studi e ricerche, 3), pp. 321359; M.E. Carus-Wilson, The Wollen Industry, in The Cambridge Economic History of Europe, II, Trade and Industry in the Middle Ages, a cura di M. M. Postan e E. Miller, Cambridge 1987, pp. 613-690; S.R. Epstein, The Textile Industry and the Foreign Cloth Trade in late Medieval Sicily (1300-1500): a «Colonial Relationship?», in «Journal of Medieval History», 15 (1989), pp. 141-183. Si rinvia infine ai contributi in Produzione commercio e consumo dei panni di lana (nei secoli XII-XVIII), Atti della seconda Settimana di studio, Prato, Istituto internazionale di storia economica «F. Datini», 10-16 aprile 1970, a cura di M. Spallanzani, Firenze 1976; L. Frangioni, Sui modi di produzione e sul commercio dei fustagni milanesi alla fine del Trecento. Problemi economici e giuridici, in «Nuova rivista storica», 61 (1977), pp. 493-554; oltre al recente saggio di F. Franceschi, La grande manifattura tessile, in La trasmissione dei saperi nel medioevo (secoli XII-XV), Atti del diciannovesimo Convegno Internazionale di Studi, Pistoia, 16-19 maggio 2003, Pistoia 2005 (Centro italiano di Studi di Storia e d’Arte), pp. 355-389.
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Nel contesto degli studi spicca naturalmente la Toscana, ed in particolare Firenze, per l’importanza rilevante assunta da questo settore nell’economia cittadina: A. Doren, Studien aus der Florentiner Wirtschaftsgeschichte, I, Die Florentiner Wollentuchindustrie vom 14. bis zum 16. Jahrhundert. Ein Beitrag zur Geschichte des modernen Kapitalismus, Stuttgart 1901; F. Melis, Industria commercio credito, ora in Id., L’economia fiorentina del Rinascimento, Firenze 1984, pp. 31-185; Id., Gli opifici lanieri toscani dei secoli XIII-XVI, in Id., Industria e commercio nella Toscana medievale, a cura di B. Dini, Firenze 1987, pp. 201-211; M. Cassandro, Commercio, manifatture e industria, in Prato, storia di una città, sotto la direzione di F. Braudel, I, Ascesa e declino del centro medievale (dal Mille al 1494), a cura di G. Cherubini, Firenze 1991, pp. 395-477. Un rilevante contributo è venuto dalle ricerche di Hidetoshi Hoshino, L’Arte della lana in Firenze nel basso Medioevo. Il commercio della lana e il mercato dei panni fiorentini nei secoli XIII-XV, Firenze 1980; Id., Interessi economici dei lanaioli fiorentini nello Stato Pontificio e negli Abruzzi del Quattrocento, in «Annuario dell’Istituto giapponese di cultura», XI (1973-74), pp. 7-51; Id., La produzione laniera nel Trecento a Firenze, in Il Tumulto dei Ciompi. Un momento di storia fiorentina ed europea, Firenze 1981, pp. 4158; studi questi ultimi che, insieme ad altri saggi, sono stati raccolti nel volume postumo, H. Hoshino, Industria tessile e commercio internazionale nella Firenze del tardo Medioevo, a cura di F. Franceschi e S. Tognetti, Firenze 2001. Per un approfondimento delle ricerche condotte da questo storico si rinvia a B. Dini, F. Franceschi, Ricordo di Hidetoshi Hoshino, in «Archivio storico italiano», CLII (1994), pp. 414-432. Sui lavoratori impegnati nell’arte della lana si vedano i saggi di B. Dini, I lavoratori dell’Arte della lana a Firenze nel XIV e XV secolo, in Artigiani e salariati. Il mondo del lavoro nell’Italia dei secoli XII-XV, Atti del decimo Convegno internazionale, Pistoia, 9-13 ottobre 1981, Pistoia 1984 (Centro italiano di Studi di Storia e d’Arte), pp. 27-68. Di recente gli studi sul settore si sono soffermati in modo particolare su alcuni importanti aspetti, come l’apporto della manodopera straniera e i rapporti di lavoro: F. Franceschi, I tedeschi e l’Arte della Lana a Firenze fra Tre e Quattrocento, in Dentro la città. Stranieri e realtà urbane nell’Europa dei secoli XII-XVI, Napoli 1989, pp. 257-278; Id., Industria e trasformazioni sociali a Firenze (1350-1450), in Disuguaglianza: stratificazione e mobilità sociale nella popolazione italiana (dal secolo XIV agli inizi del secolo XX), Atti del secondo Congresso italo-iberico di demografia storica, Savona, 18-21 novembre 1992, 2 voll., Bologna 1997, II, pp. 687-696; ed ancora la monografia di F. Franceschi, Oltre il «Tumulto». I lavoratori fiorentini dell’Arte della Lana fra Tre e Quattrocento, Firenze 1993.
Aspetti della produzione dei panni a Roma nel basso Medioevo
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Sulla tecnica: G. de Poerck, La draperie médiévale en Flandre et en Artois: technique et terminologie, Bruges 1951; W. Endrei, L’evolution des techniques du filage et du tissage du Moyen Age à la revolution industrielle, Paris 1968; C. Ghiara, Filatoi e filatori a Genova tra XV e XVIII secolo, in «Quaderni storici», 52 (1983), pp. 135-165; M. Fennel Mazzaoui, Artisan Migration and Technology in the Italian Textile Industry in the Late Middle Ages (1100-1500), in Strutture familiari, epidemie, migrazioni nell’Italia medievale, a cura di R. Comba, G. Piccinni e G. Pinto, Napoli 1984, pp. 519-534. Per alcune specifiche attività, in particolare per quanto attiene al processo di tintura, e per le gualchiere: L. Liagre, Le commerce de l’alun en Flandre en Moyen Age, in «Le Moyen Age», 61 (1955), pp. 177-206; J. Delumeau, L’alun de Rome, XVe-XIXe siècle, Paris 1962; G. Zippel, L’allume di Tolfa e il suo commercio, in «Archivio della Società romana di storia patria», 30 (1907), pp. 1-51 e 389-462, ora in Id., Storia e cultura del Rinascimento italiano, Padova 1989, pp. 288-391; F. Borlandi, Il commercio del guado nel Medioevo, in Storia dell’economia italiana, a cura di C. M. Cipolla, Torino 1959, pp. 263-284; H. Hoshino, La tintura di grana a Firenze nel basso Medioevo, in «Annuario dell’Istituto giapponese di cultura», XIX (1983-1984), pp. 59-77; Id., Note sulle gualchiere degli Albizzi a Firenze nel basso Medioevo, in «Ricerche storiche», XIV (1984), pp. 267-289; R. Comba, Produzione tessile nel Piemonte tardomedievale, Torino 1984; I. Ait, Tra scienza e mercato Gli speziali a Roma nel tardo medioevo, Roma 1996 (Fonti e studi per la storia economica e sociale di Roma e dello Stato pontificio, VII); P. Malanima, I piedi di legno. Una macchina alle origini dell’industria medievale, Milano 1988; sulla presenza di gualchiere a Roma nel XVI secolo: P. Buonora, M. Vaquero Piñeiro, Il sistema idraulico di Roma in età moderna: assetti di potere e dinamiche produttive, in La città e il fiume, II Seminario di Storia della città, Atti del Convegno, Roma, Castel Sant’Angelo, 24-26 maggio 2001, in corso di stampa; per il periodo precedente cfr. I. Ait, Uno spazio produttivo: il Tevere nel basso Medioevo, in «Rivista storica del Lazio», 17 (2002), pp. 3-15. Rari gli studi su una delle attività di più elevato livello economicosociale, quella, per l’appunto, dei fabbricanti di sapone, cfr. B. Cecchetti, Monografia della vetraria veneziana e muranese, Venezia 1874, e il già citato Melis, Aspetti della vita economica medievale. Pochi i contributi relativi all’industria laniera romana: V. Colizzi Misalli, Memorie sulle lane greggie e manifatturate dello Stato pontificio, Roma 1802; A. De Sanctis Mangelli, La pastorizia e l’alimentazione a Roma nel medio evo e nell’età moderna, Roma 1918; C. De Cupis, La lana e la sua industria in Roma, Roma 1925; C. Gennaro, Mercanti e bovattieri
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nella Roma della seconda metà del Trecento (Da una ricerca su registri notarili), in «Bullettino dell’Istituto Storico Italiano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», 78 (1967), pp. 155-203; A.M. Corbo, I frati lombardi e l’arte della lana in Roma alla metà del XV secolo, in «Rassegna degli Archivi di Stato», 31 (1971), pp. 657-676; A. Modigliani, Artigiani e botteghe nella città, in Alle origini della nuova Roma. Martino V (14171431), Atti del Convegno, Roma, 2-5 marzo 1992, a cura di M. Chiabò, G. D’Alessandro, P. Piacentini e C. Ranieri, Roma 1992 (Nuovi Studi Storici, 20), pp. 762-764; I. Lori Sanfilippo, La Roma dei Romani. Arti, mestieri e professioni nella Roma del Trecento, Roma 2001 (Nuovi Studi Storici, 57), in particolare il capitolo, Lana e lanaioli, pp. 149-164. Sulla presenza e l’attività della componente spagnola a Roma: I. Ait, Spagnoli e mercato del lavoro nella Roma del Quattrocento, in La Corona d’Aragona in Italia (secc. XIII-XVIII), XIV Congresso di storia della Corona d’Aragona, Sassari-Alghero, 19-24 maggio 1990, III, Comunicazioni, 2. Presenza ed espansione della Corona d’Aragona in Italia (secc. XIII-XV), Sassari 1996, pp. 43-63; M. Vaquero Piñeiro, La presencia de los españoles en la economía romana (1500-1527). Primeros datos de archivo, in En la España Medieval, 16, Madrid 1993, pp. 287-305, e Id., Artigiani e botteghe spagnole a Roma nel primo ’500, in «Rivista storica del Lazio», 3 (1995), pp. 99-115; I. Ait, Mercato del lavoro e «forenses» a Roma nel XV secolo, in Popolazione e società a Roma dal medioevo all’età contemporanea, a cura di E. Sonnino, Roma 1998, pp. 335-358. Si deve alle puntuali analisi di A. Esch la messa a punto del rilievo del flusso delle importazioni a Roma nel corso del XV secolo e l’individuazione del ruolo ricoperto da alcuni operatori economici romani: Le importazioni nella Roma del primo Rinascimento (il loro volume secondo i registri doganali degli anni 1452-1462), in Aspetti della vita economica e culturale a Roma nel Quattrocento, Roma 1981 (Fonti e studi per la storia economica e sociale di Roma e dello Stato pontificio nel tardo medioevo, III), pp. 7-79; Importe in das Rom der Renaissance. Die Zollregister der Jahre 1470-1480, in «Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», 74 (1994), pp. 360-453; Roma come centro di importazioni nella seconda metà del Quattrocento ed il peso economico del papato, in Roma Capitale. 1447-1527, Atti del IV Convegno internazionale di studi del Centro studi sulla civiltà del tardo Medioevo, San Miniato, 27-31 ottobre 1992, a cura di S. Gensini, Roma 1994 (Pubblicazioni degli Archivi di Stato, Saggi 29), pp. 107-143. Sulla dogana centrale di terra: M.L. Lombardo, La dogana minuta a Roma nel primo Quattrocento, Roma 1983, e I. Ait, La dogana di S. Eustachio nel XV secolo, nel volume Aspetti della vita economica e culturale a Roma, citato sopra, pp. 81-147.
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La dimensione della posizione raggiunta da alcuni personaggi, come i Santacroce e Miguel Campillo, nella società e nell’economia romana tardomedievale emerge da alcuni studi, in particolare per la nobile famiglia romana si rinvia ai saggi di A. Esposito, Famiglia, mercanzia e libri nel testamento di Andrea Santacroce (1471), in Aspetti della vita economica e culturale a Roma, citato sopra, pp. 197-220, e di I. Ait, A. Esch, Aspettando l’anno santo. Fornitura di vino e gestione di taverne nella Roma del 1475, in «Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken», 73 (1993), pp. 387-417; per il mercante spagnolo cfr. M. Vaquero Piñeiro, Miguel Campillo mercante catalán en Roma a través de los protocolos notariales de comienzos del siglo XVI, in La Corona d’Aragona in Italia (secc. XIII-XVIII), XIV Congresso di storia della Corona d’Aragona, Sassari-Alghero, 19-24 maggio 1990, V, Comunicazioni, 4. Incontro delle culture nel dominio catalano-aragonese in Italia, a cura di M.G. Meloni e O. Schena, Pisa 1998, pp. 617-625, e dello stesso autore i saggi La presencia de los españoles en la economía romana (1500-1527) e Artigiani e botteghe spagnole a Roma nel primo ’500 citati sopra.
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