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L' « Io » alla specchio (autogiustificazioni e autocontemplazioni). •—L'«Io» a piü piani: il teatro e il castello dell'anima; fiori del male; « H o m o in tenebris». — 1 personaggi dell'«Io> profondo; anche gli altruiatici? — Trasformazione degli inconfessabili istinti profondi: sublimazioni, deviazioni e altri travestimenti. — k Come l*«Io» inganna sü stesso (autoconsolazioni) : dall'evasione e dalle varie « filosofie > al sorriso, al riso e allo acherno-
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4 Dati statistici sull'alimentazione della popolazione italiana durante V ultimo einquantennio. — Un vol. di pagg. 200, con tavole numeriche e diagrammi, pubblicato dal Consiglio Nazionale delle riccrche, Napoli, 1933. Introduzione allo studio della statistica eoonomica; nuova edizione, ampliata (II e III migliaio). — Un vol. di pagg. 389 con 111 diagrammi; Principato editore, Milano, 1934. Profilo di una statistica biologica; XIV capitoli, pubblicati nelle annate 1932, 1933, 1934 della Rivista « Difesa sociale », Assicurazioni sociali, Roma. Indagine sulle abitazioni al 31 aprile 1931 (Italia). — Due voll, di 175 e 195 pagine, con numerose tavole numeriche e diagrammi; pubblicazione dell'Istituto Centrale di Statistica, 1936. Sport; gli uomini e le macchine. Studio biometrico dello sport e degli sportivi (I® parte, A. Niceforo; II a parte, D. Vampa). — Un vol. di pagg. 357, con 91 diagrammi; Soc. Ed. del « For© Italiano », Roma, 1937. Nozioni preliminari e quadri riassuntivi di statistica metodologica. — Un volume di 580 pagine, con figure e tavole numeriche; Soc. Ed. del « Fore Italiano », Roma, 1940. Nuova edizione di pagg. 414; G. Giappichelli editore, Torino, 1946. Schemi di una introduzione alla statistica economica. — Un vol. di pagg. 338, con numerosi diagrammi; Roma, Foro Italiano, 1943.
Criminali e degenerati dell'inferno dantesco. — Un vol. di pagg. 142, n. XXXIII, serie II, della « Biblioteca antropologico-criminale»; Bocca editore, Torino, 1898. La « nmla vita» a Roma (in collaborazione con Scipio Sighele). — Un vol. di pag. 217; Roux o Frassati editori, Torino, 1898 (ediz. spagnola; Serra editore, Barcellona, 1901). La trasformaeiön del delito en la sociedad moderna. — U n vol. di pagg. XVI-150, della « Biblioteca de derecho y de ciencias sociales »; Suärez editore, Madrid, 1902. Guia para el estudio de la criminologia. — Un vol. di pagg. 112; n. 1 della « Biblioteca de ciencas penales »; Serra editore, Madrid, 1903. L'enquete judiciaire scientifique. — Un vol. di pagg. VII-445, con 300 fotografie; Librairie Universelle, Parigi, 1907; edizione tedesca: Langenscheidt editore, Berlino, 1909. Essai sur les langages speciaux, les argots et le$ parlers magiques. — Un vol. di pagg. 277; « Editions du Mercure de France», Parigi, 1912. Le langage, l'homme et le milieu, essai psycho-sociologique sur le langage et les parlers speciaux; nella « Revue de l'Institut de Sociologie », Bruxelles, 1928, 1929, 1930, 1931. Criminologia; vecchie e nuove dottrine (storia e programma; il delitto; la « Jacies » esterna e la « facies » interna del delinquente). — Un vol. di pagg. 538, Bocca editore, Milano, 1941. Criminologia; ambiente e delinquenza (ambiente geografico, ambiente sociale, ambiente psichico). Delinquenza alle varie etä della vita; delinquenza femminile. — Un vol. di 739 pagg.; Bocca editore, Milano, 1947. Dizionario di criminologia (a cura di E. Florian, A. Niceforo, N. Pende) due voll, di pagg. 1065 eomplessivamente; F. Vallardi editore, Milano, 1943. Criminologia. nuova edizione notevolmente ampliata (in cinque volumi). Vol. I Vecchie e nuove dottrine, 180 pagine. Vol. II L'uomo delinquente; la « facies » estena, 209 pagine, Milano, Bocca editore, 1949 (in preparazione i tre volumi che seguiranno: La «facies» interna; Criminalitä femminile e alle »arie eta della vita; Ambiente e delinquenza).
BIBLIOTECA
DI
SCIENZE
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MODERNE
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PSICOLOGIA OSCURA DEGLI IND1VIDUI E DE! GRUPPI SOCIALI L'"Io„ allo apecchio (autogiuatificazioni e autocontemplazioni). — L' "Io„ a piü piani: il teatro e il caatello dell'anima; fiori del male; "Homo in tenebria,,. — I personaggi dell* "Io„ profondo; anche gli altruistici? — Traaformazione degli iaconfeaaabili istinti profondi: aublimazioni, deviazioni e altri travestimenti. — Come 1' "Io„ inganna ae ateaso (autocongolaziooi) : dall'erasione e dalle varie "filogofie,, al aorriao, al riso e allo acherno.
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DELLO
STESSO
AUTORE:
Italiani del nord e Italiani del sud. — Un vol. di pagg. VII-619 con tavole e diagrammi; Bocca editore, Torino, 1901. Les classes pauvres, recherches anthropologiques et sociales. — Un vol. di pagg. 344, con tavole e diagrammi; Giard et Briere editori, Parigi, 1905. Forza e ricchezza, studi sulla vita fisica ed economica delle classi sociali. — Un vol. di pagg. XVIII-267, con tavole e diagrammi; Bocca editore, Torino, 1906. Edizione spagnola, due volumi di pagg. 184 e 200, della « Biblioteca sociölogica internacional»; Henrich y C., editori, Barcellona, 1907. Ricerche sui coritadini, contributo allo studio antropologico ed economico delle clasbi povere. — Un vol. di pagg. 208, con diagrammi; Sandron editore, Palermo, 1908. Anthropologie der nichtbesitzenden Klassen. — U n vol. di pagg. VIII-512, con tavole e diagrammi; Mass und van Suchtelen editori, Lipsia ed Amsterdam, 1910. Antropologia delle classi povere. — U n vol. di pagg. 283, nel « Trattato di medicina sociale», diretto dai proff. A. Tamburini e A. Celli; Vallardi editore, Milano, 1908-1910 (il volume fa seguito al precedente). Parigi; una cittä rinnovata. — Un vol. di pagg. XI-483; n. 10 della Collezione « La Civiltä contemporanea »; Bocca editore, Torino, 1911. Les Germains; histoire d'une idee et d'une "race". — Un vol. di pagg. 181; Bossard editore, Parigi, 1919. La misura della vita; applicazioni del metodo statistioo alle scienze naturali, alle scienze sociali e all'arte, con 112 tabelle e 29 diagrammi. — Un vol. di pagg. XII-515; Bocca editore, Torino, 1919. Les indices numeriques de la civilisation et du progres. — U n vol. di pagg. 211, della « Bibliotheque de culture generale»; E. Flammarion editore, Parigi, 1921. Edizione tedesca, ampliata, col titolo: Kultur und Fortschritt im Spiegel ' der Zahlen; Strache editore, Vienna-Lipsia-Praga, 1930. Lezioni di demografia, II ediz. — Un vol. di pagg. 466, con numerose tavole numeriche; Rondinella editore, Napoli, 1924. La statistique; ses methodes et ses applications. — Un vol. di pagg. 650, con diagrammi e tavole numeriche; Giard editore, Parigi, 1925. Considerations sur les rapports presumes entre le cancer et la race en Europe (in collaborazione con E. Pittard). — Un vol. di pagg. 330, con numerosi diagrammi e cartogrammi, edito dalla Societe des Nations, Ginevra, 1926. La statistica sanitaria-demografica del cancro in Italia. — U n vol. di pagg. 123, con 40 tavole numeriche, edito dall'Istituto Sieroterapico Milanese, Milano, 1928. Le statistiche della mortalitä per tuberoolosi; formazione, progressi e conclusioni; pagg. 194-332 nell'opera: La Tubercolosi; pubblicata dalla Direzione generale della Sanitä pubblica, Roma, 1929. Le « leggi statistiche » della mortalita per tubercolosi. •— Monografia di pagg. 150, con tavole e diagrammi, nel Trattato della Tubercolosi, diretto da L. Devoto; Vallardi, editore, Milano, 1930. II metodo statistico; teoria e applicazioni alle scienze naturali, alle scienze sociali, all'arte; nuova edizione, ampliata (IV e V migliaio). — Un vol. di pagg. 815 con 123 tabelle numeriche e 127 diagrammi; Principato editore, Milano-Messina, 1931.
PROPRIETA LETTERARIA
RISERVATA
P R I N T E D I N 1TALY - S T A M P A T O IN
Monna,
Scuola
Tip.
lstituto
Artigianelli
ITAUA
- Via Magtnta,
2 - 1949
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AUT0G1USTIFICAZI0NI
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S P E C C H I O AUT0C0NTEMPLAZI0N1
CAPITOLO PRIMO
I DIVERSI VOLTI DELL« IO » P i ü volte si e ir.segnato es6erc composto lUo di ogni indivjduo, da un lato di formazioni psichiche inferiori, vale a dire istintive, anlisociali, primitive, ascose nell'ombra e quasi sepolte nel segreto, e dall'altro di formazioni psichiche medie e euperiori, queste ultime lentamente foggiate dall'Imperativo sociale e dal lungo travaglio dell'evoluzione- Per riassumere in parole pochissime soltanto qualche fondamentale idea al proposito, direnio di alcuni diversi modi di struttura interna d e l l l o che furono principalmente prospettati, diversi modi che si distinguono, e vero. tra loro, ma che in ultima analisi si presentano assai vicini l'uno all'altro. Ecco i tratti descrittivi per ciascuno di essi.
1. - Alcuni modi dt vedere la sfruti-ura interna delT« lo *. Rammenteremo in primo luogo le antiche considerazioni, credenze e tradizioni, le quali raffiguravano l'anima umana (l'Io) come composta da tre piani di diverso ordine : il regetativo, il sensitivo, il rationale o intellettivo. T r e anime, dunque, in un'anima (1). In seguito, sarä da parlarsi della dottrina — sul proposito che ci occupa — della Scuola italiana di criminologia, dottrina la quäle vede l'Io come composto di stratificazioni psichiche successive, le une sovrapposte alle altre, che vanno dalle piü antiche e arcaiche, quasi animali e selvagge, alle piü recenti e contemporanee (2). Oppure, ecco affacciarsi l'interpetrazione che, dopo avere a fondo studiato e descritto la primitiva insociabilitä egoistica della psicolo(1) A . N I C E F O R O , L'ancienne docirine des trois ämes et la Psychologie criminelle moderne, nella « Rivista di Psicologia », Bologna, 1937. E anche il vol. 13 degli Atti del 'Congresso: The religions of the world, Calcutla, 1938, pag. 82S. (2) Si leggano le note che seguono.
10
Parte
prima
gia infantile, vede ciascun Io dell'uomo adulto quäle frutto di un processo di evoluzione — piü> o meno completa e piü o meno finita — moventesi dagli istinti e dagli appetiti della prima e primissima infanzia (1). Insomma, quäle che sia la veduta — delle tre sopra indicate — che voglia tenersi presente, sempre ne consegue che su una impalcatura psichica inferiore (anima semplicemente vegetativa, anima atavica selvaggia, anima di primitivitä egoistica infantile) poggia, come puö, tutto l'insieme degli imperativi morali e sociali provenienti dal mondo esterno del presente e del passato, o da autonom« evoluzione e trasformazione degli istinti profondi stessi, il tutto accuratamente vigilato da un'interna ed tSterna Censura. Di altre vedute concernenti la struttura e l'attivitä dell'Io e p i ü o meno vicine alle sopra citate o da esse derivanti, diremo piü in l ä ; per il momento basti l'accenno or fatto- Intanto, si noti che concezione di un Io formato dal convergere di confluenti psichici di ordine diverso, dai piü sotterranei a quell i che scorrono e agiscono in superficie, e concezione su cui ognor piü oggi si insiste mettendosi al tempo stesso in chiaro come le diverse formazioni coesistenti nella medesima personalitä, continuamente agiscano l'una sull'altra, quasi come si tra!tasse di un perpetuo dialo'-i go tra le diverse sorta di personaggi, gli uni abitanti il sottosuolo dell'Io e gli altri viventi al sommo di esso. Dialogo per il quäle quei tan^ to diversi personaggi — gli uni dal basso, gli altri dall'alto — cerca110 convineersi e suggestionarsi Tun Taltro. e anche sopraffarsi e dominare quando p u r non cadano vinti.
2. - Dei vart modi dlit chiamare le diverse componenti dell'« Io» — dalla componente inferiore atla superiore — e in ispecie dell*« Io » sociale. Continuando studiosi si sono nente dell'Io (e ci permetteremo
frattanto a far cenno dei diversi modi con cui gli compiaciuti di denominare questa o quella compospesso con appellativi efficaci e eovente pittoreschi) rammentare che da parte ncstra. mostrando altra
( 1 ) A . NICEFORO, La struclure du Moi d'apres l'Ecole italienne de nella « Giustizia penale », I presupposti, fasc. I, I I , HI, 1939.
criminologie,
Un.1o » allo
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specchio
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volta per quali vie gli istinti profondi scattano alla superficie e fanno per cosi dire esplosione nel gesto criminoso faeilmente vincendo le malformate e poco resistenti stratificazioni superiori, dicevamo che ciascun Io e formato da due Io, l ' u n o dei quali giace nascosto nelle stratificazioni inferiori ed e quasi ignoto all'altro Io che vive in quelle superiori: Io inferiore, dunque, e Io superiore (,1). D'altro canto 3 ecco distinzione e nomenclatura che ancora chi scrive proponeva in pagine consacrate allo studio dei fattori individuali e dei fattori sociali nella formazione del linguaggio e soprattutto nella formazione dei linguaggi speciali o caratteristici, vale a dire in pagine consacrate all'esame di ciö che nel linguaggio e nei diversi modi di parlare proviene dal fattore biologico individuale di colui che parla e di ciö, invece, che spetta all'influsso e alla pressione dell'ambiente sociale o altro. Dicevamo allora — e ciö in nulla contradice il precedente modo di distinguere e la nomenclatura di cui sopra — che ciascun Io risulta composto di un Io biologico (ereditato e congenito) da l'un canto, e di un Io sociale dall'altro, quest'ultimo acquisito e dovuto al clima ambientale nel quäle l'individuo ha visto svölgersi la propria infanzia, si e sviluppato e vive, clima che contiene, oltre le normali regole del vivere delPepoca, le piü alte espressioni dei comandamenti morali (2). Si b a d i : l'uno e l'altro di questi due Io costituiscono prodotto derivante cosi dal presente come dal passato: invero, l'Io biologico conserva e nasconde nei suoi infiniti meandri l'ereditä organica intera del passato, oltre che ogni sorta di _ acquisto organico effettuato durante il periodo pre-natale; l'Io sociale, medesimamente, in quante sue venature Serba l'impronta dei secoli che furono, sconyparsi (e vero) nel tempo e nello spazio, ma ognor presenti! Le categorie piü varie dellTmperativo sociale di ogni tempo, infatti, sono pur sempre le piü o meno mutate derivazioni del' l'Imperativo sociale dei tempi che furono. I morti di ieri sono, in certa parte, gli stessi vivi di oggi. Qualche sociologo ha voluto mettere in alto rilievo — troppo in alto rilievo» forse — l'Io sociale, in ispecie per ciö che riguarda le (1) A. N I C E F O T Q , La transformation del deli'o en la Sociedad modeina, Madrid, 1902, al capitolo XXI intitolato: « La criminalitlad latente y el porvenir del delito B, Biblioteca de derecho y cienciae sociales (2) A. N I C E F O R O , De i\< individuel „ et du « social » dans le langage, nella « Revue de l'Institut de Sociologie », Universite de Bruxelles, 1928, § III, e
§ VIT.
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Parte
prima
correnti e normali regole del conformismo sociale, insegnando che ognuno di noi, quando pensa ed agisce, altro non fa che pensare ed agire col pcnsiero stesso del gruppo (sociale) cui appartiene (L. Gumplowicz); ncllo stesso modo, altri ha fortemente insistito, in questi tempi ultimissimi, sul formidabile contributo che la Societä, con le sue pressioni, porta alla formazione della mentalitä e dei gesti di ogni uomo, asserendo persino che se noi piangiamo, o sorridiamo, o ci rallegriamo e persino se ci ricordiamo di alcunche, ciö accade perche la Societä — con i suoi insegnamenti e le sue imposizioni — vuole che noi piangiamo, che noi sorridiamo, che noi ci ricordiamo e accuratamente ci conduce, anclic noi nolenti, a ciö fare (Ch. Blon-> d e l ; M. Halbwacs) (1). Di giä Fontenelle nel leggiadro suo scritto, e tanto seducente, su Le bonheur aveva fatto notare che « la plupart des hommes ne pensent que comme il plait ä tout ce qui les environne; ils n'ont pas un certain gouvernail qui leur puisse servir ä tourner leurs pensees d'un autre cöle qu'elles n'ont ete poussees par le courant ». Presenza e dignitä dell'Io sociale, sia pure, ma in realtä, accanto ad esso sta l'Io biologico. Anzi, la storia delle vicissitudini, dei contrasti, delle sofferenze, che tale coabitazione necessariamente porta seco, e talvolta piü angosciosa ancora di un vero dramma che non puö essere compreso se, facendosi astrazione d a l l l o biologico — quasi prigioniero nel carcere della Societä — si pone mente soltanto all'Io sociale. L'Io biologico, dicevamo, sta in perpetuo accanto all'Io sociale; ma aggiungevamo qualche cosa che ci sembra di qualche rilievo: l'Io sociale, in un determinato individuo, e condizionato (nel grado suo di completezza, di resistenza e di efficienza) dal modo con cui in quell'individuo stesso si presenta e funziona l'Io biologico, congenito, ereditato. Infatti, non si dä formazione completa e durevole di un Io sociale, capace di ben condurre l'uomo a traverso la vita, senza che l'Io biologico si presenti in certe condizioni; da un canto, vi e as60luta impossibilitä di una formazione completa dell'Io sociale lä dove l ' I o biologico si trova inquinato da tare e da evidenti segni di inferioritä, di patologia e di regressione. poiche proprio l'Io biologico (1) « L'Io non e l'Io, ma e la Societä »; sotto tale titolo e esposta la teoria in questione, a pag. 501 c segg. della nostra Criminologia, vol. I, Milano, 1941, accennandosi anche agli antecedenti di siffatto modo di vedere. E' in corso la seconda edizione.
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permette all'Io sociale di comporsi, di sopraelevarsi, di evolvere; daltro canto, proprio l'Io biologico imprime a l l l o sociale una colorazione Variante da individuo a individuo ed e capace talvolta di sopprimere l'Io sociale stesso e di sopraffarlo grazie alle energie tutte della sua violenza istintiva. II diverso modo di combinarsi dei due I o — l'Io biologico e l'Io sociale — varia da uomo ad uomo, ora dominando l ' I o biologico, ora l'Io sociale, p u r trovandosi l'uno all'altro intiniamente legato. Combinazioni in dosi disuguali, secondo la natura di ciascun individuo e che variano anche secondo le cpoche, gli avvenimenti, i grandi momenti storici dappoiche in certe epoche o durante tragedie della vita e della Sitoria, individui o folle che avrebbero avuto essenzialmente a guida l'Io sociale, si lasciano invece impetuosamente trascinare dall'Io biologico che rompe le dighe : si tratta quindi di un Io biologico e di un Io sociale a oscillazioni continue tanto nella vita di ogni uomo quanto in quella delle folle e dei popoli, oscillazioni continue con movimento or piü or meno ampio, proprio come fa l'ago della bussola intorno al polo magnetico-
3. - L'« Io » profondo e I'« Io » di superficie; I'« Io » prelogico e I'« Io » logico. D'altro canto e inoltre, nel descrivere in quante variatissime, astute e artificiose maniere, certi profondi istinti, di natura inconfessabile e obbligati a non moetrarsi quali veramente sono, riescono ciö nonpertanto a farsi innanzi, ad apparire e a cosi trovar soddisfacimento, sia pur ricorrendo ai piü ingegnosi sotterfugi, si adoperavano, una volta ancora le indicazioni: Io profondo e inferiore da una parte e Io superiore dall'altra (1). Ci si fermava, oltre di ciö, a far notare che l'Io inferiore, nel cui seno brucia la fiamma nascosta dei primitivi istinti, e un Io in cui si muovono — accanto agli istinti primitivi e barbari — quei sentimenti e quelle idee che possono andare sotto l'e( 1 ) A . N I C E F O R O . Le langage du bas peuple et le Moi inferieur des individus et des Societes, nella « R e v u e de l'Institut de Sociologie », Universite de Bruxelles, anni 1931-32, cap. VIII e IX. E nella stessa Rivista, la nostra Memoria: La personnalite et le langage, n. 2 e 3', 1929. Si veda anche la nostra Memoria: Trasjormazione degli istinti profondi ccc., nella « Rivista di psicologia », Bologna 1932.
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Parte
prima
spressione sintetica di idee magiche; si tratta di quei sentimenti e di quelle idee che formano, staremmo per dire, le prime luci o alba del pensiero primitivo e che possiamo rinvenire in ogni manifestazione della vita sentimentale e mentale delle popolazioni primitive o «selvagge», ma che si rinvengono pur anco nel p i ü intimo segreto del cuore di ogni uomo « civile ». Tali sentimenti e tali idee riappaiono, a quando a quando, presso quest'ultimo sotto forma di superstizioni, di credenze, di costumi e riti stranissimi e ciö avviene soprattutto nel seno di quegli strati sociali che formano la parte inferiore delle umane S
4. - L'« io » io e I « Io » altro. Studiando, inoltre, in qual modo la personalitä di un dato individuo si imprima e si riveli nel modo di parlare e anche nello Stile (che e un modo scritto di parlare) credemmo opportuna Cosa distinguere quegli uomini che parlano e scrivono servenidosi di null'alt r o che delle parole e delle frasi degli « altri » e cioe di tutti, da quelli che parlano e scrivono con le loro proprie parole; da cui ecco vedersi la personalitä nelle sue due forme estreme: assente o supina da un lato, e presente e fortemente attiva dall'altro. In veritä, in ( 1 ) A . N I C E F O E O , La fianima riascosta; ricerche di preistoria contemporanea, nei numeri di marzo, giugno, novenibre 1908; febbraio, marzo, maggio, giugno 1909, nella Rivista « A r s et L a b o r » , Milano. Vedere anche r u l t i m a parte della nostra opera: Le genie de l'argot; essai sur les parlers speciaux, les argots et les parlers magiques, Paris, 1912, edizioni del Mercure de France, nella qnale facciamo riassuntiva esposizione delle idee magiche primitive e preistoriche con l o scopo di farne applicazione ad alcune categorie di fatti linguistici (parole proibite, tabii linguistici, linguaggio «riverenziale » ecc.) nei linguaggi dei popoli piü moderni e civili.
L'« Io » allo
speccliio
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ogni I o coesistono i due p e r s o n a g g i : un I o che e p e r cosi dire Io-io e un a l t r o Io c h e e, invece, un Io-altro, ma l ' u n o e l ' a l t r o in dosi diverse. Ai limiti, vi sono individui quasi i n t e r a m e n t e Io-io, o individui quasi per i n t e r o I o - a l t r o . Nel linguaggio, nella conversazione, n e l l o Stile, {'individuo in cui p r e d o m i n a 1'Io-io, sceglie parole, frasi, immagini, costruzioni; l'individuo, p e r contro, in cui p r e d o m i n a 1'Ioaltro, subisce, r i p e t e e copia. L'Io-(io c r e a ; P l o - a l t r o non f a c h e mett e r e in circolazione ciö che giä f u creato. L'Io-io t r a d u c e nel p a r l a r e i suoi personali pensieri e i suoi caratteristici a t t e g g i a m e n t i ; l'ilo-alt r o parla senza pensare, ne ha bisogno di pensare, p e r p a r l a r e , b e n sodisfatto di poter non pensare. Non pochi esempi a tal p r o p o s i t o volemmo dare dei vari « luoghi c o m u n i » della conversazione e del p e n s a r e ; nel linguaggio, nella conversazione, n e l l o Stile, immediatam e n t e si svela l ' u o m o che e mosso dall'Io-io e quello, p e r contro, da definirsi sempliccmente come un Io-altro (1). Riassumendo, la nostra t e r m i n o l o g i a ( p i ü o m e n o discutibile, ma p u r s e m p r e di q u a l c h e efficacia) dice, volta a v o l t a ; I o i n f e r i o r e e I o s u p e r i o r e ; Io congeriito e Io sociale; Io p r o f o n d o e I o di s u p e r f i c i e ; I o prelogico e I o logico; Io-io e Io-altro... Non m a n c a n o — t u t t ' a l t r o ! — altri eloquenti modi di vedere e di designare. Eccone indicazione sommaria.
5. - L'« Io » fundamentale e l'«lo» superficiale o awentizio; l'«lo» paleozoico e l ' « l o » neozoico; »'«Io» ereditario e t'«lo» imitativo; il Supej-ro. Suggerisce ancora oggi q u a l c u n o : I o f o n d a m e n t a l e e I o superfic i a l e ; il p r i m o risulta da un lungo s v i l u p p o filogenetico m e n t r e il secondo e acquisito. L'Io f o n d a m e n t a l e e la personalitä i n n a t a , e cioe l'insieme delle disposizioni psichiche; l ' a l t r o si sovrappone al p r i m o , e con esso si combina (F- Delmas e M- Boll). N o n e una novitä, p e r q u a n t o alcuni studiosi n e abbiano preso visione oggi come tale e come se non avesse essa efficaci precedenti i t a l i a n i ; m a e una veritä. Giä da m o l t o t e m p o , d ' a l t r o n d e , Sergi p a d r e nella sua Memoria del 1888
( I ) A . NICEFORO, La personnalite et le langage; le parier des kommet mediocres. la conversation, le style personnel, nella « Revue de l'Institut d e Sociolog i e » , Universite de Bruxelles, 1929.
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Parte
prima
sul c a r a t t e r e parlava di una p a r t e fondamentale del carattere, corr i s p o n d e n t e a un dipresso a ciö che noi c h i a m i a m o Io biologico, e di una parte avventizia che c o r r i s p o n d e r e b b e a ciö c h e c h i a m i a m o I o sociale. Aggiungeva che il c a r a t t e r e di ogni individuo e un complesso di stratificazioni psichiche che v a n n o dalle i n f e r i o r i (le quali ricordano la preistoria e il m o n d o animale) alle s u p e r i o r i , nelle quali ultime e da ravvisare il s u p e r i o r e grado, e p i ü recente, dell'evoluzione psichica e sociale. Altri psicologi e b b e r o ad indicare l ' I o i n f e r i o r e , o ciö che corrispondc a l l ' I o e r e d i t a t o dai lontanissimi tempi e dai lontanissimi antenati, con Tespressione d i : e n e r g i a paleozoica, istintiva ed egoistica, ricavando in tal modo dalla paleontologia l ' i m m a g i n e d i stratificazioni psichiche c o r r i s p o n d e n t i all'antichissimo p e r i o d o paleozoico (F. Del Greco, P . Amaldi, T . Vignoli). L'Io s u p e r i o r e diventa l ' I o neozoico. N o n ci s e m b r a a f f a t t o inutile f a r qui p a r o l a delle indicazioni e della terminologia di J. Ingegnieros, p e r q u a n t o esse! non s i a n o prei sentate che i n c i d e n t a l m e n t e da quell'Autore («Airchivos de Psiquiat r i a , ecc1911). La personalitä e f o r m a t a dall'azione di tre forze : Vereditä, la quäle ne d e t e r m i n a una p a r t e , la variabilitä individuale che h a anch'essa, come l ' e r e d i t ä , le sue p r o p r i e basi organiche (o variabilitä organica individuale, diremmo noi), ed infine la imitazione, costituente il c o n t r i b u t o che {"ambiente sociale esercita sulla personalitä ste6sa. Si p o t r e b b e d u n q u e d i r e : Io e r e d i t a r i o , Io organico individuale (e a n z i : Io psicorganico), ed Io imitativo. Occorre forse f a r p a r o l a della d r a m m a t i c a terminologia della Scuola viennese? A tale p r o p o s i t o p o t r ä in generale dirsi che l'attenta azione delle stratificazioni psichiche superiori, indicata dalla nostra vecchia Scuola italiana come f r e n o inibitorio ed a n c h e come filtro t r a s f o r m a t o r e delle impulsioni perverse e antisociali. diventa nel d i z i o n a r i o viennese, il Super-io e o n t i n u a m e n t e assistito dalla « C e n sura », austera e vecchia vigilatrice la quäle, costantemente a l l ' e r t a sulla soglia ove dalle t e n e b r e dell'Io i n f e r i o r e si passa alla luce del Super-io, si sforza con ogni mezzo di Contrastare il passo ai demoni del m a l e e della p e r d i z i o n e c h e t e n t a n o uscire dalle t e n e b r e al sole. L ' i m magine, come ognun sa, e p r o p r i o del preclaro f o n d a t o r e della Scuola, immagine che non senza g r a n d e rilievo mette in evidenza la costante t r a m a su cui si disegna q u o t i d i a n a m e n t e la tragedia, o la commedia, o la farsa. d e l l ' e t e r n o contrasto tra i due To. Insomma. in a l t o e il
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Super-io (le nostre «stratificazioni superiori »), mentre in basso, e l'oscuro sotterraneo che la Scuola viennese indica con VEs pronome neutro tedesco della terza persona, costituente il cieco insieme degli istinti profondi, egoistici e anti-sociali. Qualcuno ha scrilto che « il Super-io costituisce una istituzione endopsichica scoperta e studiata dalla psicanalisi » e ha aggiunto che « la principale funzione del Super-»io con«iste nell'esercizio della coscienza morale » notando che tutto ciö « e un'acquisizione relativamente recente dell'anima umana » (E. Weiss). Senza voler in alcun modo togliere a Cesare quel che e di Ciesare, senibraci tuttavia che la concezione di un Superio in perpetuo contrasto con i diavoli folletti del sottosuolo psichico, lungi dall'es6ere propriamente concezione nuovissima, coincide con quella delle formazioni psichiche superiori facenti pressione sulle stratificazioni inferiori e operanti a guisa di freni o di filtri, concezione propria — e da vecchia data — alla Scuola italiana di criminologia.
6. - L'« Io » idiotipico e I'« Io » laterale; l'lmperativo biologico e l'lmperativo morale. Continuando il nostro dire circa i vari modi di vedere e designare la personalitä psichica e di far nomenclatura delle varie parti di essa, ecco indicarsi — in un curioso studio destinato a garantire la riproduzione e la suprcmazia delle razze dette superiori »— doversi cosi decomporre la personalitä (l'Io) umana: da un lato, l'individualitä ercdilata e che si trasmette ai discendenti, vale a dire l'individualitä idiotipica; e d'altro lato la individualitä che senza cessa si forma per opera della continua pressione dell'ambiente scciale e altro. vale a dire l'individualitä laterale. Dei carattcri formanti questa ultima individualitä (laterale) la maggior parte non e trasmettibile ai discendenti, ma pur ve ne sono che fanno sentire il proprio influsso sui discendenti, e ciö accade quando il carattere « l a t e r a l e » attacca profondamente 1'individuo nel suo plasma germina'ivo (per mezzo dell'alcool. di differenti virus, ecc.). L'Io crcditario, idiotipico, e un Io (altra nomenclatura dell'Autore) idiocinetico, mentre l'Io laterale e un Io paracinetico (H. Siemes). Nuove nomenclature assai espressive: l'Io biologico, istintivo. tirannico e Ylmperativo biologico, mentre l ' I o formato dalla pressione e dal clima della vita sociale (edueazione, famiglia, Stato, Societä) e 2. - L'Io.
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Parte
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Ylmperativo morale. Ogni individualitä e la risultante dei due sopradetti imperativi: nomenclatura di cui oggi si serve qualche egregio psichiatra. I due imperativi compongono ogni umana personalitä, e vero, ma (come giä dicemmo) ciascuno in dose che sensibilmente varia da individuo a individuo, ora prevalendo l'una, ora l ' a l t r a ; non si dimentichi, inoltre, che il primo dei due imperativi (biologico) e in gran parte il tessuto di sostegno dell'altro. Ripetiamo ancora che se l'lmperativo morale riesce di solito in cerli individui e in certi gruppi a dominare, a ricacciare nell'ombra, a trasformarc e talvolta a sublimare l'lmperativo biologico, accade tuttavia p i ü di una volta che in certi momenti critici della vita di quegli individui e di quei gruppi prenda improvvisamente dominio, e quasi si scateni, l'lmperativo biologico guidante per tal modo e ciecamente sospingente individuo e folle. Non sarebbe difficile, davvero, trovare — attraverso i ritmi storici che segnano il passo dei popoli — interi periodi, per quanto piü o meno fugaci, in cui par che agisca soltanto il prepotente Imperativo biologico, mentre in altri periodi pare che tutto si lasci condurre, senza gravi sacrifici e con Serena tranquillitä, dall'Imperativo sociale e morale.
7. - Esiste anche un «Io» dei gruppi sociali ? Saremmo pur tentati di prospettare qualche indicazione concernente l'esistenza di un «Io» del gruppo sociale, da prendersi in consiJerazione nell'esame che andremo facendo non solo per 1'« Io » allo specchio, ma pur per altri atteggiamenti ancora e azioni di quellTo. I gruppi sociali sono formati — e ognor si vanno formando — in forza dell'attrazione dei simili per vocazione, per attitudini, per interessi e costituiscono, ciascuno, una vera unith da paragonarsi a un individuo di per se stante. Tanti gruppi sociali, allora, e tanti individui; tra i quali gruppi, si noti, interccdono relazioni il piü delle volte analoghe a quelle che intercedono tra gli individui (1). Inoltre (e questo punto particolarmente dovrebbe qui noi inleressare) come ogni individuo ha il suo Io profondo, istintivo, egoistico, essenzialmente guidato dal voler (1) Sul concetto di «gruppo sociale » e quindi sul modo di formazione dei gruppi sociali e sulle fondamentali linec della loro attivitä, mossa da identitä o da simiglianza di attitudini, di vocazioni e perö di interessi, ci permettiamo rimandare alle nostre Memorie: Frammenti di una introduzione allo studio del-
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vivere e anche dal voler imporsi e persino dal voler sopraffare, cosi il gruppo sociale ha pur esso il suo Io profondo che lo guida, che lo sospinge e che lo mette in antitesi e in lotta, quando ne sia il caso, contro gli altri gruppi, sempre in ragione della costante pressione che le istintivitä profonde, egoistiche, di continuo esercitano sul « volere » del gruppo stesso. Ma ha anche un Io di superficie — che cerca velare, coprire, mascherare, l'Io profondo — e che e foggiato dal gruppo. Esso e, appunto, quello che il gruppo stesso pretende sia il suo vero volto, da mostrarsi agli altri gruppi e da «giustificäre» le aizioni che il grupp o medesimo coinpie allorche e trascinato dalle istintivitä profonde. Un Io inferiore, quindi. anche qui, ed un Io superiore. Vlero ed effettivo il primo, ma il piü delle volte posticcio il secondo. L T Io profondo del gruppo rappresenta, dunque, ciö che il gruppo vcramente vuole ed esige, ciö che esso sente e pensa, mentre l'Io di superfice sta a dire ciö che il gruppo pretende che gli altri gruppi credano circa i suoi voleri, le sue esigenze, i suoi sentimenti e i suoi pensieri. Tra i due mondi — profonditä e superfice — e cioe tra ciö che e e ciö che si vorrebbe far credere, vi e un abisso. Vedremo, di mano in mano che p r o c e d o remo nel corso delle presenti pagine, come si presenti, e perche, tale abisso che e — non si dimentichi — fatto costante non solo nell'attivitä dell'Io di gruppo, ma anche in quella dell'Io individuale.
la sociologia; i fatti costanti della vita sociale, nella «'Rivista di Psicologia », Bologna, 1935, n. 2; Altrazioni, repulsioni e circolazione nella vita sociale, nella medesima Rivista, 1935, n. 3-4. N e l l e quali Mertiorie. si troverä anche accenno bibliografico ai nostri preccdenti scritti in proposito. Vedasi anche la nostra recente Memoria: Progresso, felicitä, incontentabilitä e «fa'ti costanli » della vita sociale, nella Rivista « Scienza e Tecnica », Roma, gennaio-giugno 1948.
CAPITOL©
SECONDO
AUTOCIUSTIFICAZIONI • I DIALOCHI DELL'« 10 » CON SE' STESSO Premesso quanto sopra, eccoci dunque al te quel meccanismo psicologico — insino a per nulla studiato — che vogliamo indicare allo specchio, o sistema di autogiustificazioni Vediamone e descriviamone il processo-
nostro tema concernenoggi per nulla o quasi sotto il titolo d i : Z'/o o di pseudorimorso (1).
1. • I dtialoghi tra i due « l o » : I rimprcveri dell® Straniero e delrintruso. Dicevamo che l'Io congenito, trasmissibile e biologico, e da in-< dicarsi come l'Io-io, mentre l'Io imposto da f u o r i , dalla Societä, dalle esterne coercizioni, dai pregiudizi, dalle norme morali, puö p r e n dere il nome di Io-altro; anzi, si potrebbe dire semplicemente: 1'Altro. Senza dubbio, 1'Altro non puö formarsi se non in funzione dell'Io-io; tuttavia, di sovente accade che l ' A l t r o assume — sotto le piü diverse fogge — una certa indipendenza di f r o n t e all'Io-io. Si direbbe quasi che l'Io-io scorgcndosi improvvisamente in uno specchio vi veda, invece di se stesso, l'Io-altro che lo guarda e par gli p a r l i : di qui, ecco l l o - i o nccessariamente costretto al dialogo con (1) Tanto per fissare le date nei riguardi di qualche pubblicazione che porta il titolo uguale alla denominazione di cui sopra, e cioe: L'Io allo specchio, ricordiamo che quella denominazione costitui giä da tempo il titolo di una nostra Memoria pubblicata nella « R i v i s t a di Psicologia », Bologna, 1939, n. 1, Memoria di cui nelle presenti pagine riprendiamo le essenziali linee e che, appunto, si intitolava: L'Io allo specchio; contributo allo studio delle autogiustificazioni e dello pseudorimorso. Essa precedc la pubblicazione, dal medesimo titolo, cui facciamo allusione; del resto, il contenuto dell'una e dcll'altra e completamente diverso trattando il nostro antico studio delle autogiustificazioni, mentre quello che venne di poi cerca di insegnare all'uomo a conoscere se stesso.
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l'Io-altro. I due personaggi, per quanto formaroti unitä, si conducono all ora come se si trattasse di un protagonista e di un antagonista discutenti tra loro. La qual cosa non e stata ancora studiata come meriterebbe, e perö e qui il caso di insistere su tale processo psichico e dare illustrazione. Vero e che si e non poco detto e scritto circa l'infinita varieta di rimproveri che l'Io-altro rivölge all'Io-io (per adoperare la nostra terminologia) quando quest'ultimo cerca di sfuggire alle ingiunzioni che l'Io-altro vorrebbe intimargli; quando, cioe, la Coscienza, la Societä e la Censura psichica, o au!ocensura, fanno sforzi per opporsi agli insaziabili ed egoistici istinti che ad ogni costo ed in mille diversi modi cercano di farsi strada attraverso gli ostacoli che sbarrano loro il cammino- M,a — ed ecco il punto — mai si parlö o si scrisse dei non poco vari ed infiniti sistemi di giustificazione cht: l'individuo presenta a se stesso per rispondere, sotto l'apparenza tutta del giusto e del vero, a tali rimproveri- In veritä, non si dimentichi che l'Io-altro e uria specie di Straniero che ogni uomo alberga in se medesimo, Straniero che sta in agguato e che spia ogni segreto moto e pensiero. Puö ad ogni istante rivelarsi mostrandoei scontento di noi, e noi tutti assai teniamo, quasi sempre, alla stima di questo Straniero, e quindi piü di una volta tentiamo — anche senza averne chiara coscienza — di condurci in modo che quegli non si accorga del nostro agire, quasi di nascosto. II che, soprattutto, quando i nostri gesti, la nostra condotta e persino i noßtri pensieri potrebbero suscitare rimproveri da parte dell'AÜtro, che in tal caso diventa veramente l'Intruso- Quell'intruso e l'Altro dentro di te! Quando l'Innominato sente sorgere in se stesso, durante la terribile notte del rimorso, una voce che gli parlava. sente — come narra il Manzoni — la voce di un nuovo Lui che parla all'Antico ancor presente.
2. - Le
autogiustificazioni
dol-
r« io». Veniamo dunque, effettivamente, alle autogiustificazioni che l'attenlo e duttile spirito dell'Io mirantesi nello specchio sa far sorgere, anche dal nulla, per deviare gli attacchi dell'Altro. Quante mai sa esso crearne per rispondere ai rimproveri e per liberarsi in tal mo-
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prima
du dal sottile senso di fastidio che tali rimproveri gli potrebbero procurare! Si tratta di uno di quei sotterfugi per mezzo dei quali l l o inganna se stesso, ben contento di tale inganno, al fine di evitare fastidi, noie e sofferenze; uno di quei sotterfugi da collocarsi accanto a quelli di cui daremo a suo tempo notizia ed esempi allora che ci intratterremo sulla trasformazione degli istinti profondi e sulle autoconsolazioni che l'Io sapientemente prepara a se stesso e sulle quali larganiente torneremo in uno dei prossimi capitoli. Sotterfugi, in una parola, che indichiamo sotto il nome d i : autogiustificazioni. Si noti insino da ora che anche i diversi processi di autoconsolazione di cui chi scrive ha fatto menzione altrove e su cui piü in lä torneremo, consistono in una specie di dialogo tra le due parti di un Io sdoppiato: l'una si lamenta delle proprie miserie e dei propri dolori, l'altra le risponde presentando una moltitudine di ragioni le quali debbono servire ad asciugare tali lagrime e a mostrare che nessun vero motivo si da a (anti lamenti. E anche nel caso delle autogiustificazioni, che qui particolarmente ci interessa, si tratta di un dialogo; ma siffatto dialogo avviene tra l'Io e lo Straniero, con questa particolaritä, tuttavia, che in tale dialogo sempre soccombe lo Straniero a cui l'Io sa dimostrare l'assurditä degli acri rimbrotti. L'Io, nel guardarsi allo specchio, vede la propria immagine che gli parla biasimandolo e in quella immagine vede il proprio volto trasformato in quello di uno Straniero, e parla con questo e gli fornisce innumerevoli ragioni per scusarsi e per ottenere una assoluzione che, in ultima analisi, altro non e che un'autoassoluzioneQuali sono le varie e piü o meno insospettate categorie di tali autogiustificazioni? Ecco qualche indicazione e qualche esemipio.
3. - Rubare non e uccidere!... e vrceversa. P r i m o esempio: « Sicuro, ho fatto questo, ma non h o mai fatto quest'altro, ne mai lo farö! ». II sistema appare in modo assai evidente quando si interroghino alcune pagine di quella psicologia dei criminali in cui tante volte si trova l'ingrar.dimento patologico della psicologia normale. « Hai ucciso », gli dirä lo Straniero. « Ho ucciso », risponderä l'Io, « m a non ho mai r u b a t o » . Ii ladro di professione, per contro, guardandosi nello specchio si dirä uomo onesto afferman-
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d o : « M'ai ho ucciso, Je veux bien etre un voleur, mais pour ce qui est de faucher, je ne fauche pas » (1). Chi conosce la vecchia novellistica dove con tanto realismo si fa descrizione di usi e costumi di mendicanti, di vagabondi, di straccioni, di ladri e di simili messeri (alludiamo alle colorite novelle picaresche di Cervantes) ben ricorda il vivace scambio di idee, espresse in ricche parole di gergo, tra i tagliaborse abitanti i bassofondi di Siviglia e ben ricorda, quindi, quäle imprcssionante autogiustificazdone della propria condotla danno quegli egregi: « I n che mai il nostro operare e biasimevole? ...pues que liene de mala? Non e forse peggior Cosa darsi all'eresia, o uccidere padre e madre, o abbandonarsi a certe oscenitä? ...No es peor ser hereje d renegado ö matar a su padre y madre? (Rinconete y Cortadillo). P r o p r i o vero- AI viso che, rimproverando, mi guarda dallo specchio, io obietto: « Invece di guardar me, guarda dunque gli altri! ».
4. - Anzi... rubare non e rub,ä
che tignifica: assassinare. La fräse e messa sulle che sono raffigurati ne Venigme de la rue Casma spesso si trova in ogni raccolta e documena cominciare da I.'uomo delinquente del LOM-
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Parte
prima
maestra, nia qual rimprovero si sarebbe potuto mai fare a quell'egregio gentiluomo dal momento che il primo di quegli anelli era stato strappato a un ignobile favorito del Sovrano, il secondo a un rapacissimo agente del fisco, il terzo a un inquisitore che aveva per missione il mettere alla tortura il prossimo? Siamo in pieno tema di autogiustificazione; l'individuo assolve se stesso... e in tal modo, liberato dal senso di noia o di peso, procede gaiamente per il suo cammino- Ragionamento e autogiustificazione di medesimo genere si trovano nclle moderne pagine in cui si narra che Cosa dica a se stesso il losco personaggio balzaccliiano Philippe Bridau quando dal pagliericcio di una povera vecchia sottrae le poche monete d ' o r o che vi erano ascose: « II denaro non e fatto per rimanere in un pagliericcio, cest de Vargent perdu; quei denaro e piü u'ile a me che alla vecchia la quäle, davvero, non sa che farsi di esso, je Vemploierais si bien! » (Un menage de garqon, pag. 77 dell'edi'zione non illustrata del centenario). L'autore della Commedia umana, che tanto saggiamente faceva parlare Bridau, conosceva a fondo l'animo di quei personaggi industriosi che con tanta pessimistica crudezza egli metteva sulla scena: quando parla di Gaubertin, amministratore ladro della grande proprietä terriera del conte di Montcornet, egli ci dice che costui, pur ladroneggiando. si credeva onestissima persona... « il che di frequente avviene — continua Balzac con precisa veritä — in quasi tutte quelle professioni in cui ci si impadronisce dell'avere altrui con mezzi non previsti dal Godice » (Les paysans, ed. ill. 1902/, pag. 134). Anzi. quei Gaubertin e riuscito a convincere se medesinto che, in ultima analisi, il heneficiato da quelle sue manomissioni, piü che lui stesso, era addirittura il deruba'o e cioe il proprietario! Altissima filosofia che fa pensare al sovrano ragionamento fatto dalla serva o dalla euoea al momento di comperare — al mercato — e di far pagare alla padrona un tanto per eento in piü della spesa effettiva (e sempre Balzac che scrive e narra); « Se la padrona stessa avesse connprato e fatto la spesa. avrebbe pagato ancor di p i ü ; per conseguenza, facendo come io faccio. non solo non reco danno a lei, ma le procaccio un guadagno » (pag. 134 dello stesso romanzo). Personaggi da rctrianzo? No, personaggi della vita. Prima di Balzac, un poco raccomandabile individuo che si forniva di denaro spacciandosi per dotto insegnante e insegnando... ciö che non sapeva (il che spesso accade, anche senza intenzione di truffa^ |>roclamava: «Nessun rimorso. Un ladro puö ben svaligiarne un
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altro; i finanzieri, i grossi mercanti, gli speculatori che mi pagano, non sono forse congestionati da una pletora di denaro accumulato senza serupoli?» Mirabili parole di autogiustificazione (tanto per l'isolato individuo quanto per i gruppi sociali) che si trovano sulle labbra dello scapigliato e cinico eroe lumeggiato da Diderot nel suo Le neveu de Rameau. Si ha sempre ragione, infatti, quando... si ragiona con se stessi. P e r certo, se Tizio deruba Caio, questi dirä che Tizio e un ladro, ma se quello stesso Caio deruba Tizio, il medesimo Caio troverä modo di affermare — parlando con se stesso e con gli altri — che il suo gesto non puö essere imbrattato dal titolo di furto. E ' la solita « morale » che spesso regge ascosamente, sotto un superficiale Strato di menzogne, non solo i rapporti tra gli individui, ma ancoir piü quelli tra le classi, tra i gruppi sociali e tra i popoli- Insonvmia, sta il grande principio dell'autogiustlficazione (in siffatti casi) nell'aforismo: « R u b a r e ai ricchi non e r u b a r e » , principio da potersi facilmente applicare in ogni luogo e tempo dal momento che, dovunque e sempre, ogni individuo puö vedere piü ricchi sopra di lui e piü poveri sotto di lui stesso sicche, quäle che sia il livello economico « sociale in cui tu ti trovi a vivere, avrai sempre qualcuno p i ü ricco di te da potere « legittimamente » derubare e qualcuno piü povero di te da cui potere essere «legittimamente » derubato. A proposito di rapacitä — istinto congenito che par mai voglia trovar sonno in fondo alTumano spirito — notevolissima e l'autogiustificazione sfacciatamente fornita da quei personaggio (un monaco del trecento, distributore di indulgenze) delle Novelle di Canterbury, predicatore di mestiere. o quasi, il quäle pur commettendo quotidianamente peccati di aviditä, confessava : « E' vero che io commetto peccati di tal genere, ma pur predico quotidianamente contro di essi, e con ciö, per quanto grande peccatore mi sia, posso distogliere gli altri dalla colpa o farli pentire amaramente di averla commessa » (nella novella dal titolo: II mercante di indulgenze). In tal modo il grande poeta Chaucer faceva parlare il monaco delle sue novelle... ma si sa che Chaucer grandi simpatie putriva per l'eretico Wicleff.
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Parte
prima
5. - Tanto, le cosc sa-ebbero andate allo stesso ntodo! Altro sistema: le co6e sarebbero andate proprio come il nostro egoistico istinlo desiderava che andassero, anche se non fossimo stati lä per provocarle, suscitarle e determinarne la direzione — come abbiamo fatto — con non confessabili mezzi; per conseguenza, il nostro diretto intervento non ha avuto in realtä influenza alcuna sull'andamento delle cose. Nessuna responsabiliiä, dunque, da parte nostra. In altri termini, siete voi autore di un gesto per cui lo Straniero potrebbe farvi biasimo e che certamente danneggiö altrui? Allo Straniero risponderete — sempre nell'imimaginario dialogo di fronte allo specchio, nella penombra — « B a h ! Chi sä quanti altri avrebbero ciö fatto se non l'avessi fatto io stesso! » Raccogliete un fiore strappandolo da dove era vietata ogni raccolta? « Bah! Tanto, altri avrebbe raccolto quei fiore se io non fossi passato di l ä ! »>. Guai, tuttavia, se un qualsiasi Sempronio, o M^evio, avesse agito nei confronti di colui che come sopra ragiona, in modo da recargli danno p u r protestando che « t a n t o le cose sarebbero andate allo stesso modo! ». II ragionamento in questione non avrebbe valore per la vittima e la geometria della vcra logica e del senso morale tornerebbe a farsi sentire. Quanto e vero che il dominio della logica esercita il suo impero... quando ciö non nuoccia all'Io che agisce! Quanto e vero, ancora, che ognuno ha pesi speciali per se (di grande leggerezza, volubilissimi. piü o meno adulterati o adulterabili a piacimento) e ben altri pesi per gli altri! «Ciascuno ha nel suo giudicio (ebbe a scrivere Dante nel Convito. T, 2) le misure del falso mercante, che vende coll'una. e compra coll'alti-a».
6. - Non si tratta che di giusta condanna! Altra via, assai piü tacile a battersi. L'uomo si fa giudice degli altri uomini; la propria coscienza si trasforma in tribunale e poiche senza alcun dubbio la sentenza suonerä condanna per l'accusato, ecco sorgere automaticamer.te l'autorizzazione che l'Io dä a se stesso per procedere, sia pure a viva forza, all'esecuzione della sentenza. L'individuo ha in animo di approfittare della buona fede altrui?
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Troverä di subito ottime ragioni da esporre allorche si guarderä nello specchio: « Chi sa quante volte costui ha ingannato l'altrui buona fe-< de! Che importa, dunque, se anche egli, a sua volta, cadrä in un trabocchetto? Sara giustizia ». P r o p r i o vero che quando il sentimento, o istinto, o passione che sia, vien fuori dall'ombra e sta per trovarsi a fronte con la ragione, questa — in luogo di combattere a viso aperto — tradisce se stessa offrendo al nemico le proprie armi perche sentimento, istinto, passio-i ne, si razionalizzino e si presentino con logico aspetto di ragionamiento. Piatone — come narra Diogene Laerzio nella vita del filosofo — consigliava gli ubriaconi di guardarsi nello specchio per avere vergogna di se stessi... ma qual valore ha tale consiglio? Quanti conosciamo noi — peggio che ubriaconi — che pur guardandosi allo specchio mai si vergognano di se stessi!
7. - Diritto di rappresaglia. Ecco, invece, un sistema di autogiustificazioni che pretende sbarazzare l'azione incorretta e disonesta dal suo contenuto di scorrettezza o di malvagitä. E' basato su una sorta di delirio di perseeuzione che l'individuo si crea per proprio uso e consumo. « Chi mai, in questo mondo, si degnf» stendermi la mano o farmi elemiosina di un qualche, sia pure di un nonnulla? » si domanda o finge domandarsi colui che sta preparandosi al lavoro di autogiustificazione. « Nessuno. Dirö anzi che sempre fui gettato a terra e calpestato." Non h o dunque il diritto di rendere agli altri il male che senza alcun riguardo e con tanto sprezzo mi fu fatto? ». Cosi accade che il disonesto, creando intorno a se una turba di lantasmi che Io perseguitano, trasforma nella luce crepuscolare della propria coscienza in cui la buona e mala fede si mescolano e si confondono, l'ingiusto nel giusto. Don Gio-vanni Tenorio, gran seduttore e grande uccisore di avversari in due'lo, non trova forse modo di giustificarsi di fronte a se stesso monologando nell'allucinante dramma di Jose Zorilla quando, penetrando a notte alta nel ciiwitero ove donnivano sotterra tante sue vittime, esclama: «Non fu mia la colpa! Fu del folle delirio che s'impadroni del mio spirito giä in Hamme; la disperazione in cui mi avevar.o gettato esigeva delle vittime. Esse si erano buttate attraverso il mio cammino, illuminate dalla maligna Stella, e la mia pazzia dovette annientarle. Vivaddio! Non io le ueeisi, ma il loro proprio destino! » (Atto
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terzo della parte II). Se non ehe, non occorre davvero ricorrere a cosi tragiche immagini come quella del furioso don Giovanni per trovar e come la legittima scusa del diritto di rappresaglia coslituisca efficacissima autogiustificazione da parte dei piü spregiudicati abitanti dei bassi Ceti del mfllaffare. « La Societä mi fu matrigna e continua a essermi tale, h o il diritto di reslituirle il suo dono... con l'aggiunta di interessi». Una specie di « giusta» rappresaglia avrete notato esser anche espressa da colui che spende, una volta tanto, qualche piccola moneta falsa (proprio cosi!). ,Si tratta, senza dubhio, di onesto e oncstissimo uomo, ma egli sosterrä, verso se stesso dapprima e poi — se ne e il caso — verso gli altri. che quella piccola moneta fu a lui data con inganno e di sorpresa e che conseguentemente ha egli il diritto di rimetterla in circolazione. « Qon«; a me fu data, cosi poeso io passarla agli altri ». L'autoassoluzione — giä voluta e scontata prima del dibaltito —: e completa-
8. - Liberalst dalla riconoscenza. La riconoscenza e un grave peso, alleviato soltanto dalla speranza che colui che vi ha reso quei dato servizio per il quäle, appunto, e da doversi riconoscenza, poträ in seguito rendervi nuovi benefici ancora. Anzi, la definizione del concetto di riconoscenza o, meglio, del sentimento di riconoscenza, puö essere proprio data come sopra : la riconoscenza e la speranza di conseguire nuovi benefici da parte della persona cui e dovuta riconoscenza per un primo beneficio giä riccvuto- Ma, dicevamo, grave peso e la gratitudine... e come non essere ingrato, in ispecie quando un nuovo beneficio neppure si profila all'orizzonte! O quando — peggio ancora — il benefattore, richiesto di nuovo servizio, non soddisfa a tale richiesta? Ecco il momento, allor« — nuova sorta di rappresaglia — di sbarazzarsi del grave pondo giustificando se stesso ai propri occhi con seipplicissimo ragionamento: « E' vero che tempo fa Tizio 6i ricordö di me e f u bencvolo a mio riguardo... ma oggi rifiuta di accogliere mia nuova domanda; sono dunque sciolto da ogni debito ». Uno dei nostri piü illustri e vivaci parlamentari della fine dello seorso secolo — oratore, psicologo criminalista di giran fama *— diceva che si potevano rendere al p r o p r i o elettore centomila servizi uno dopo l'altro. sino a ricomprargli l'ombrello perduto neH'omnibus o a procurargli la balia per il neonato, ma ogni
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d e b i t o di riconoscenza si annullava se p e r una sola volta gli si fosse negativamente risposto p e r qualche sua nuova insistenza. In veritä, vi e da sospettare che ogni uomo si trovi un poco a essere comp l'elettore dell'illustre p a r l a m e n t a r e di cui sopra : aspetta la p r i m a occasione... per non votare p i ü a f a v o r e di colui c h e p u r ebbe a p r o c u r a r g l i replicati benefici.
9. - Tutti fanno cosi... F o r m a d i autogiustificazione assai diffusa, funziona come segue. La g e n t e si spoglia di ogni responsabilitä c e r c a n d o di dissolverla, per cosi dire, e di disperderla nella folla. « T u t t i f a n n o c o s i » dice l ' I o (a cui t a n t o conviene foggiare t a l e ragionamento) allo S t r a n i e r o che gli fa sentire parola di biasimo. « P e r c h e non farci io il medesim o ? » Accade in ciö quei c h e si verifica allora che un individuo p r e n d e p a r t e , in una folla, a un delitto collettivo; l'individuo, cioe, non sente responsabilitä p e r un delitto c h e da solo m a i a v r e b b e pensato a compiere effettivamente, responsabilitä c h e egli getta e spande sulla folla. II Creatore d e l l a autogiustificazione, ugualmente, con la sua immaginazione fa s f u m a r e la p r o p r i a responsabilitä. Ii monellaccio che f u colto da Jacopo Ortis nel r u b a r e f r u t t a , come si scolpa? « F a n n o tutti c o s i » , cui l'Ortis — che e, poi, il Foscolo — a g g i u n g e : « E c c o la Societä in m i n i a t u r a ; tutti c o s i ! » (Lcttera in data 24 ottobre). Q u a n d o la F i a m m e t t a del Boccaccio si trova commossa e titub a n t e per i saggi consigli d e l l a vecchia nutrice che la sospingeva a re* p r i m e r e condannabile passione. c h e Cosa si sente dire dalla Dea Venere che le parlava dal fondo dell'Io? « Se tanti I d d i i , tanti uomini, t a n t i animali d a l l ' a m o r e son vinti, e tu d'esser vinta da lui ti vergognerai?... Ricordati che n i u n a cosa fatta da tanti, m e r i i a t a m e n t e si p u ö d i r e sconcia » ( F i a m m e t t a , cap. 1).
10. - La colpa e... di Voltaire. P e r qualsiasi f a t t o p e r il q u ä l e T i z i o sia direttamente i m p u t a bile e senza alcun equivoco. Tizio stesso p o t r ä s e m p r e — r a g i o n a n d o o s r a g i o n a n d o sotto la veste di a p p a r e n t e logica — d i m o s t r a r e che la colpa e da addossare non a lui stesso ma a Scmpronio, o a un in6ieme di a w e n i m e n t i che sono f u o r i di lui e quindi a cause e a concause a lui estranee. Si tratta di quello stesso t r a v i s a m e n t o delle cose
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che e vezzo dei potenti per i quali (dai piü alti e anche nobili ai piü ridicoli e grotteschi) se assai bcne vanno le cose imerito e del potente, ma se vanno a catafascio, la colpa e... degli altri. Cade in mente quella storiella di Alphonse K a r r — Les crimes de Blak — in cui il cacciatore al quäle mai riusciva un colpo, mai mancava di dare una sufficente ragione di ogni colpo sbagliato; troppo lontano o troppo vicino l'animale mirato, la polvere umida, il piombo troppo grosso o ineguale, ecc... Anche l'asino sconfitto in corsa dal cavallo attribuisce quella disavventura non giä alla propria naturale costituzione, ma al fatto di essere stato ferilo in una zampa, tcmpo prima, da una Spin a ; cosi narra Lessing in una delle sue favole, non certo limpide come quelle che ci vennero dalla G-recia e da Roma, ma pur piene di animaestramienti. Kella quäle favola (dell'asino e del cavallo) 6i fa pur ricordo di quei predicatore che si scusava della povertä di una sua predica con il dire essere egli affetto, in quei giorno, da raucedine... Le applicazioni del procedimento sono senza numero e basta dialogare con qualsiasi persona cui e da « imputarsi » tale o tale altro fatto, per imbattersi nello pseudoragionamento ora accennato. II dialogo, si noti bene, non si fa soltanto fra Tizio incriminato e qualsiasi persona che lo interroghi, ma tra Tizio e Se medesimo. La teoria generale e questa: Je suis tombe par terre - La faute est ä Voltaire - Le nez dans le ruisseau - La faute est a Rousseau! La canzone e di Gavroche, ma ad ogni istante viene cantata da mille e mille uomini, con la differenza che sulla bocca del monello parigino la canzone sonava ironia, mentre su quella degli autogiustificatori vorrebbe presentarsi come quinta essenza di veritä e di logica. A voler richiamare alta dottrina e altissimi uomini, si potrebbe pensare ad Airistotele che nel terzo libro deH'-Etica dice ironicamcnte essere comodo trovare la causa fuori di noi stessi per gli atti turpi e in noi stessi per gli atti onesti. Quando Rousseau confessandosi a se stesso riconosce, con fiera e certamente esagerata autoaccusa generata da un penoso senso di colpa, che in lui erano sorti — durante il suo periodo di apprendimento presso l'incisore — i gusti p i ü vili, la piü bassa mariuoleria, e vizi da odiarsi come la menzogna, l'infingardaggine e il furto... a chi ne attribuisce la colpa? Ai maltraltamenti dell'incisore e non a se 6tesso, per quanto riconosca che egli « nonostante l'educazione piü onesta, avesse gran tendenza a degenerare » (Parte I, capitolo I). Potrebbe osservarsi che Rousseau, come sopra confessando e imputando, era probabilmente in buona fede... ma che Cosa e, tutta-1
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via, la « buona fede »? Colui che in tutto si crede in buona fede, e realmente sicuro di essere in tale stato di spirito? E ' proprio sceso nel fondo di se stesso per guardarvi... ciö che non si vede?
11.- Futili ma diecisivi pretesti. Senza numero, i pretesti che 1'« Io » in via di fare il processo a se stesso... per poi assolversi, riesce a trovare; alcuni ottimi, altri mediocri, altri evidentemente cattivi (come Marziale diceva, modestamente, dei propri epigrammi) ma pur sempre utili al fine. Vediamone ancora qualcuno, a) Quando il cuore ha deciso, ma la ragione sconsiglia, la raglone stessa fabbrica motivi — falsificando — per giustificare ciö che il cuor e desidera. Telemaco ha il dovere di continuare l'avventuroso viaggio, ma l'amiore lo rattiene nell'isola; crea allora a se stesso una Serie di ragionamenti che gli dimostrino l'inutilitä di proseguire quei viaggio. Ma il fedele e vigilante Mentore che gli sta accanto (sotto le cui spoglie si nasconde la stessa Minerva) vede nel cuore di lui come attraverso l'onda cristallina si vede il fondo del ruscello. E lo ammonisce: «Ecco il f r u t t o di ogni cieca passione; si cercano con sottigliezza mille e mille ragioni che la favoriscano e si chiudono gli occhi per il timore di vedere quelle che la condannano. Si diventa piü che ingegnosi quando si tratta di ingannare se stesso e di soffocare il proprio rimorso » (Libro VII de Les aventures de Telemaque di Fenelon). Non occorre, davvero, volare si in alto e portarsi accanto alla dea Minerva che tutto vede, p e r trovare ingenue — troppo ingenue — autogiustificazioni del genere di quella or accennata. La Candida giovane, di cui narra una novella dei fratelli Grimm, tanto povera e tanto laboriosa, china da rrtane a sera sul suo telaio, allora che il bei principe passando a cavallo sotto la sua finestra si allontana dopo averle gettato una dolce occhiata, non vuole — tanto e pura — seguirlo collo sguardo. Ma va alla finestra perche... nella piccola stanza l'aria e affocata ed essa sente il bisogno di respirare. Naturalmente, la favola si cbiude con un matrimonio tra il bei principe e la soave filatrice ancor vestita di umilissime vesti, ma in esse brillante e luminosa come il fior dell'eglantina sulla siepe (Storia del fuso, della spola e delVago). Un qualche di simile — senza la poesia della fiaba e in piena veritä della piü comune psicologia — accade a donna Giulia,
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dipinta da Byron, donna che « c h i a m a r solo bella sarebbe stato un disconoscere la Bellezza »; essa decide di far forza a se medesima p e r non piü vedere il giovanissimo don Giovanni (probabilniente aveva sentito in se medesima i rimproveri del l'altro Io). Ma, poco dopo aver cosi deciso, che Cosa fa, quasi per ingannare Se stessa? Si reca in casa della madre deH'amato giovane con la eegreta e non confessata speranza di vedere, una volta lä giunta, aprirsi la porta e affacciarsi colui che essa non doveva vedere. Se cosi accadesse, non lei sarebbe stata la causa dell'accaduto. Sta bene. Ma il giovane non appare, e quindi bisogna che l'eroina trovi a se stessa un altro motivo che validamente faccia cadere la prima soluzione; il motivo e presto im»-/ maginalo: « Una donna virtuosa — dice la giovane a se stessa —• deve sempre affrontare la tentazione e vincerla; la fuga e cosa abietta e codarda » (I, canto 77). II nuovo motivo di autogiustificazione e dunque facilmente trovato. Eterno fatto, questo, dell'Io che inganna se stesso pur sapendo che si tratta d'inganno e pur fingendo di non accorgersi dell'inganno mcdesimio. Impone la mente al sentimento di spegnere il suo fuoco per evitare l'incendio e il danno. ma quando par che cosi si faccia, di subito torna a brillare quei fuoco che momentaneamente scmbrava scomparso. Video meliora proboque, deteriora sequor• Ben vedo e comprendo il bene, e gli dö approvazione, ma seguo il male. Parole che Ovidio fa pronunciare a Medea quando costei lotta disperatamente contro la tentazione ( M e t a m o r f o s i , VII, 20). Non vi e, davvero, nello spirito di ciascun uomo una Medea che ad ogni istante getta il grido della maga antica? I sopra detti giuochi del cuore in lenzone con la mente, si ripetono per ogni avventura di chi ama e non vuole amare o teme di amare. 11 buon dottor Carlo (in Madame Bovary) p i ü non vuole recarsi alla fattoria ove si trova Emma, ma replicatamente inventa a se stesso i piü vari motivi e non reali ragioni per compiere quelle visite e , anzi, intensificarle (cap. I). Quante volte si ripete il caso, ben visto da coloro che, narratori o poeti, si compiacquero descrivere con minuzia i patemi e le tenerezze di chi ama! Interni dialoghi e contrasti che Henri Murger nel suo Au quartier latin chiamö tete-ä-tete di se stesso con se stesso. b) In altri termini, i fantastici — ma tanto vicini al vero — personaggi di cui sopra, nel dibatlene in se stessi i motivi e i contromotivi della propria condotta, giä sanno. prima di giungere alla decisione terminale, quäle sarä il loro atteggiamento, ma non vi giungono
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che attraverso le finzioni di un lungo dibattito e attraverso gli andirivieni, i dubbi, i contrasti, del pensicro che cerca (o si da l'illusione di cereare) la sua via nel tortuoso labirinto dell'Io profondo. Ebbene, non puö dirsi forse (estendendo e facendo generale la sopra detta osservazione) che il medesimo procedere si fa per ogni umano atto di volontä, espresso dopo che l'individuo ha accuratamente pesato — o h a creduto accuratamente pesare — il pro e il contro dei sollecilanti motivi, tutti d'ordine vario, da tener presenti per giungere alla deliberazione finale? Quando noi, cioe, dopo lungo travaglio di incertezze e di valutazione di motivi, giungiamo finalmente ad esprimere la nostra «volontä», non facciamo forse che esprimere ciö che, al principio stesso dell'interno dibattito, oscuramente avevamo giä deciso? Strani dialoghi, questi, in cui il dialogante che si difende, o altrimenti discute, finisce pur sempre per avere ragione; egli, anzi, giä sa nel suo intimo, prima di cominciare il dialogo e la difesa, che la sentenza sarä in suo favore e assolutöria. Ben si mira egli nello specchio, ma alla fine vede in quella luce ciö che in ultima analisi gli torna conto vedere: una volta di piü lo specchio mentisce o, meglio, finisce col mentire perche cosi aggrada a chi vi si guarda. Ciascuno vede nclle cose soltanto ciö che gli piace vedere. c) Talora basta un motto di spirito, una barzelletta, per cavarsi d'impaccio e render tranquilla la coscienza. Un tale rimproverava a un filosofo di essersi prostrato ai piedi di Dionigi tiranno per chiedergli non so quäle grazia: -«Che colpa ho io — rispose il filosofo — se il tiranno ha le oreccliie ai suoi piedi? ». La spiritosa trovata costituisce davvero una abilissima scappatoia. Diremo, anzi, che siffatto modo di procedere e comune a coloro che, sollecitati a risolvere difficili questioni o a rendere chiaro il proprio modo di vedere, piuttosto che confessare la propria ignoranza o dichiarare la propria opinione, se la battono per la via traversa dello scherzo e della barzelletta, il quäle scherzo e la quäle barzelletta nulla risolvono e nulla svelano pur facendo mostra di risolvere e di svelare. Anche nei casi di autogiustificazione che stiamo esaminando. siffatte astuzie servono — presentate a se medesimi o agli altri — ad assolvere dal peccato. II monaco gioviale, di cui con irriverenza parlano antiche favole, che in giorno di magro battezzava (come egli diceva) quäle pesce un'ala di pollo per poterla poi tranquillamente mettere nel proprio piatto, credeva aver trovato brillantissima scappatoia; quasi a un dipresso si comportava e ragionava quei buon curato dei tempi di Napoleone che. 3. -
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tostando il caffe ottcnuto per conlrabbando (ai tempi del blocco) assieurava che egli non contravveniva alle leggi, ma bruciava generi proibiti. Magniloquenti proclami di conduttori di uomini e di fazioni adoperano medesimi artifizi di linguaggio, artifizi che, in ultima analisi, non sono assai volle che menzogne autogius'.ificatrici, per intero accettate dalle folle di seguaci... Spesso si da che le menzogne degli incubi sono le « veritä » dei succubi, e cioe le menzogne dei condottieri e degli agitatori diventano le
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12. • Un alibi che rende netta la coscienza. Occorre aiutare i miseri e gli afflitti. Senza dubbio. « Ma io mi trovo in piena regola con tale imperativo morale, poiche dedico gran parte della mia attivitä a far propaganida per i miseri e per gli afflitti... che abitano gli antipodi. Sono socio onorario della Societä protettrice dei piccoli negri del centro dell'Africa e raccolgo fondi per aiutare i neonati cinesi della Mongolia. La qual cosa, sia detta in un orecchio, mi dispensa dall'occuparmi di coloro che, accanto a me, stendono la mano. II nobile sforzo a cui il mio spirito di caritä si dedica e a troppa lunga portata perche io possa occuparmi di coloro che mi camminano accanto ». Si tratta, come facilmente si vede, di una specie di alibi che 1'individuo si fabbrica per propria comoditä e nel quäle trova facile riposo. « Mi trovo agli antipodi; comte potrei dunque al tempo stesso essere q u i ? » . Qualche filosofo ha lasciato scritto non esservi peggiore egoista dello altruista di professione; non aveva tutti i torti. II nostro grande e iracondo Guerrazzi scriveva di una certa sottospecie di costoro: « I p o c r i t i ! Siete pieni di caritä pei cinesi, e veruna ve ne piglia per i vostri fratelli. Ipocriti! Pietosi pei morti, patreste vedere un vivo stramazzare dalla fame senza porgergli un boccone di pane » (II buco nel muro, cap. HI). Per contro, ecco la vera caritä dell'onest'uomo, sempre secondo il Guerrazzi: «La mia caritä somiglia ai cerehi cagionati dal sasso che e buttato nell'acq u a ; il primo cerchio comprende me e la mia famiglia, il secondo i parenti e gli amici, il terzo i compatrioti..-» (ild.id.). L'irrequieto scrittore lä si fermava, considerando come nemici tutti coloro che vivevano di lä dalle Alpi: modo di vedere dettatogli dai tempi... ne potremmo serbargliene rancore. Non sarebbe davvero inutile Cosa tener dinanzi agli occhi le parole e le immagini dello scrittore toscano quando i casi della vita ci fanno imbattere nella figura non infrequente del filantropo egoistaII panorama della vita e a piü piani, gli uni sempre piü lontani dagli altri e tutti presentanti infinita Serie di sofferenze e di t o r t u r e ; il « filantropo » che fa da presbite e guarda soltanto il filo lontanissimo dell'orizzonte poträ proclamare di essere uomo pietoso, ma poträ anche giustificare verso gli altri e verso se stesso di non essere uomo soccorrevole. Lorenzo Sterne, con la solita sua bonomia arsenicale,
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ne narra una assai graziosa in proposito, quando ci fa vedere il buoninglese Yorik che, sbarcato in terra di Francia, al frate che gli domanda elemosina la rieusa dicendo: « V i farei elemosina se voi foste dell'ordine del Riscatto (per redimere gli schiavi), ma p i ü di ogni altro dovrei soccorrere l'infelice della mia patria che ha certamente diritto di p r i o r i t ä ; ne ho lasciato a migliaia nella miseria su per le spiaggie ove nacqui! » (paragrafo IV del Viaggio sentimentale di Yorik).
13. - Un alibi di altro gjenere. Ainche il cittadino ha i suoi doveri; anzi, moltissimi i doveri del. cittadino. Tavole di questi doveri furono stese da secoli, e p i ü o meno meccanicamente mandate a memoria sovra la quäle, forse, passarono e passano senza lasciare tracce soverchie. Ciö nonostante, anche qui il cittadino si guarda talvolta nello specchio e sente la voce di colui che lo rimprovera. Ma allo specchio stesso il cittadino parla ripetendo un sacrosanto principio di cui giä le antichissime storie fanno parola: « N o n io, e vero, compio insino alla fine il mio dovere, ma altri al mio posto (e meglio di me) certamente adempirä agli obblighi che gli incombono; la pubblica Cosa, in tal modo, sarä salva. La nave della Repubblica arriverä in porto senza che io prodighi per intero l'opera mia ai remi e alle vele ». II cittadino di cui sopra non ha letto Tucidide, ma cosi parlando favella con parole che giä si trovano nelle pagine del grande storico greco. Parlando dei Peloponnesiaci — riferisce Tucidide — Pericle osservava che costoro badavano ciascuno al p r o p r i o tornaconto particolare e non a quello generale, e Che ciascuno si figurava che la propria negligenza non potesse portare conseguenze gravi, poiche altri si sarebbe mosso e avrebbe agito... Ma poiche tutti facevano il medesimo ragionamento, ne seguiva evidentemente che il pubblico interesse veniva a cadere in frantumi (Libro I, 141).
14. - In omaggio alla Scionxa. Sistema efficacissimo ed anche, confcssiamolo, assai comodo di autogiustificazione e quello che si colloca sotto l'ombra protettrice e sicura di una dottrina scientifica o creduta tale.
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Quante volte I'« onesto» ladro giustifica, in certe occasioni, ai p r o p r i occhi l'abile suo gesto con il dire; « R u b a r e allo Stato e forse r u b a r e ? » . Rubare, cioe, il pubblico danaro, sottrarre alle pubbliche amministrazioni, frodare il fisco e la gabella, e persino ricompensarsi del denaro impiegato nel comprare il biglietto ferroviario (ferrovie dello Stato) con l'appropriarsi un qualche, sia p u r e di un modesto asciugamano, nei corridoi o nei gabinetti del treno, e forse rubare? Qui la teoria che vede nello Stato il perpetuo carnefice dell'individuo, l'odioso strangolatore di ogni libero agire, corre in valido aiuto all'Io che si guarda nello specchio e che in tal modo si dä assoluzione: « Rubare allo Stato significa rubare a nessuno». Se lo Straniero farä sentire rimproveri, l'Io sarä perfino capace di imbellettare le p r o p r i e autogiustificazioni con rutilanti frammenti di Federico Nietzsche o di Max Stirner e anche di uomini che, come Jean Grave o Charles Mplato, mai ebbero seriamente nel pensiero idee di tal genere sul ladrocinio. Che Cosa insegna, tuttavia, l'altissima filosofia dell'Unico (Der Einsige und sein Eigentum, Leipzig, 1845) di Max Stirner? An-t miliare tutti i vincoli di convivenza tra l'individuo e la Societä, non «ssendovi altra realtä che l'individuo con la sua forza, la sua abilitä, la sua capacitä di far valere le proprie aspirazioni, i propri desideri, le proprie passioni; chi ha la forza e la capacitä ha anche il diritto. L'Io e la sola realtä; ogni pretesa della collettivitä che limita il mio Io e vuole impiegarlo al suo servizio deve scomparire ai miei occhi; voglio essere tutto ciö che posso essere e avere tutto ciö che posso avere. « Lo voglio... dunque, e giusto ». Medesimamente, ecco l'Io innalzarsi ancora, quando ne sia il •caso, ai fastigi delle piü alte teorie sociali; alla teoria, per esempio, -della lotta e dell'odio di classe. L'uomo che si trova inchiodato sui piü bassi gradini della scala sociale, avendo spezzato ogni senso di identitä con l'uomo che vive in alto, non considera p i ü quest'ultimo come proprio simile... e quindi giustificatissima Cosa l'agire contro di lui senza alcun scrupolo. Tutto e permesso. Anche qui, inoltre, rubare ai ricchi e forse rubare? No, per certo, tanto e vero che teorie « scientif i c h e » si potrebbero citare in abbondanza le quali matematicamente dimostrerebbero che la ricchezza degli uni non e in ultima analisi se non la ricchezza... di coloro che ne sono privi. Dimodoche la logica, •o, per meglio dire, una certa logica, giustifica l'istinto di rapina e di •aggressione. II defunto Carlo Marx, allora (l'uomo p i ü citato e meno
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letto da chi ne parla) e messo a sacco, insieme ad altri confratelli suoi di minor mole. Altre teorie, composte (come le precedenti) in piena dignitä di scienza si prestano mirabilmente al sotterfugio logico per ruezzo del quäle l'Io, sorpreso in flagrante delitto dallo Straniero, dä battute di rispoßta a costui che lo ammonisce. « La lotta per la vita, struggle for life (esclama l ' I o davanti allo specchio cercando di disarmare l'altro Io che severamente lo guarda) non e forse la ragione stessa del nostro vivere? Non viviamo forse nelle spesse tenebre d'una foresta ove nascosti nemici tendono agguati a ogni passo, pronti ad assaiirci con qualsiasi arma? Bisognerä che anche noi ci p r o w e d i a m o di armi e che di queste armi come che sia ci serviamo ». Ed ecco allora siffatti filosofi, a loro modo, della lotta per la vita, farsi innanzi a voi colla maschera di un sorriso dolciastro o, meglio, di una smorfia, con il collo torto e lo sguardo obliquo e tendervi la mano vischiosa p u r giä preparando nella loro mente l'arma che dovrä colpirvi; la lettera anonima, la denuncia, l'insinuazione, il falso, la calunnia... armi tutte di quelle « oneste» genti che piü volte, grazie a tali armi appunto, trionfano nella lotta per la vita. 11 sapiente e cinico personaggio del giä citato romanzo di Diderot, dice proprio cosi: « I n natura tutte le specie si divorano; nella Societä tutte le classi si saccheggiano reciprocamente; ci giustiziamo l'un l'altro!... Fra tutta questa gente non vi e che l'imbecille o l'ignaro che sia messo a contribuzione senza diritto di rivalsa, ed e giusto che sia cosi » (Le neveu de Rameaü). Giä! I forti debbono eliminare i deboli. E' legge di natura. La quäle legge — nota con compiacimento il Creatore dell'autogiustificazione — e provvidamente attenta ad ottenere la sopravvivenza dei migliori nel generale interesse della specie e della Societä. AI quäle proposito, giustamente esclamava un nostro grande poeta: « O Dartvin padre, — quante fole in tuo nome odon le genti! » (M. Rapisardi, Atlantide, IX, prima ottava). Dovremmo or dire (ma la Cosa e universal mente nota) della grande e antica dottrina, per quanto poco veneranda, del fine che giustistifica i mezzi? Leggesi nella prefazione che un erudito italiano del passato secolo scrisse in fronte a una delle numerose edizioni del Principe di Nicolö Machiavelli, a proposito di Valentino Borgia: « Vinto il suo punto, egli si lavava le mani, ne vedeva piü alcuna macchia; gettato il tabarro dell'assassino, vestiva l'abito civile e reggeva con moderazione e sapienza » (E Ciamerini, sotto lo pseudonima
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di Guido Cinelli, Milano-Torino, 1860). Oppure, 6i potrebbe richiamare i] profilo di quell'astuto e pio direttore spirituale di cui parla Voltaire nel suo Ingenu. Una giovanissima donna avrebbe ottenuto che il suo fidanzato fosse rimesso in libertä, uscendo dalla prigione i n cui egli si trovava, se essa avesse piegato ai desideri di un certo alto personaggio; ora, il pio consigliere fa osservare alla donzella che le azioni umane non sono colpevoli in se stesse quando l'intenzione e pura... E nulla di piü santo che il rendere la libertä all'infelice che di libertä e privo.
15. - Ncn tutte le menzogne sono menzogne! E la menzogna? E' lecito mentire? Ed e proprio detto che ogni mcnzogna sia menzogna? Quäle sinfonia di tinte e di sfumalure sarebbe a disposizione per comporre l'infinita varietä delle mille e prodigiose maniere per mezzo deile quali l'Io mentitore convince, o finge di convincere, se stesso di non aver mentito! Innanzi tutto, si ha da distinguere bugia da bugia. Evidentcmente! E si veda come. a) Menzogna che sia necessaria non appartiene alla medesima categoria di quelle menzogne che, non necessarie, sono prodigaie con futilitä e quasi per giuoco. « Direi, dice l'Io guardandosi allo specchio, che cotali menzogne necessarie non sono affatto menzogne ». Sia pure ma, se non cadiamo in errore, ognun che si metta nella via del mentire puö sempre dire a se stesso che quella via era necessariamente da battersi... sicche, mai si dä in pratica e nei sistcmi di aulogiustificazione menzogna che non sia giustificabile come sopra. b) Vi e poi, oltre la preccdente, la menzogna per il buon fine che diventa sacrosanta veritä o che, almeno, puö vestirsi dei medesimi fulgenti panni con cui si veste il Vero, il quäle, tuttavia, dovrebbe semp r e esser presentato come nudo e senz'armi. AI proposito, l'Io che si sia anche superficialmente dilettato di letteratura varia citerä, per scagionarsi, la sublime menzogna pronunziata dalla santa religiosa che assisteva Fantina morente: « E ' passato di qui il forzato che ricerchiamo? » chiede l'ispettore di polizia. E la Santa, chinando la testa risponde: « N o » . Chi non ha letto I miserabili? Quella pia menzogna salvava un uomo che meritava di essere salvato. c) D'altra parte, non occorre forse distinguere tra menzogne che son veramente pericolose e che recano male altrui e menzogne nep-
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pure paragonabili alla puntura di uno spillo, perfettamente innocue? Anche di questa terza categoria di menzogne, innocue, l'Io dirä all'Altro che non si tratta affatto di bugie. Si noti bene che l'Io riesce con grande facilitä e assai rapidamente a collocare qualsiasi fatta di menzogne da lui pronunziate in tale categoria (menzogna che non produce male), come pure nelle precedenti (menzogna necessaria; menzogne per il buon fine) grazie a un abile giuoco di prestidigitazione mentale. d) Non ricorderemo, neppure a titolo di curiositä, quei modo di convincere se stesso e se stesso assolvere che consiste nel chiamare la proferita menzogna con altro nome, si da cambiarle, per cosi dire, l'atto di nascita e le generalitä. II mentitore si accontenta di quei travisamento ed e sicuro di non essersi servito di quei brutto procedere verbale che va sotto il nome di menzogna. H bugiardo Lelio, nella commedia di Carlo Goldoni, che si spaccia per il marchese Asdrubale di Castel d'oro, napolitano (nomi e cognomi no ghe ne manca, dice il 6ervo Arlecchino) ad Arlecchino che gli chiede come faccia a dire tante bugie, risponde: « I g n o r a n t e ! Queste non sono bugie; sono spiritose invenzioni » (II bugiardo, Atto I, scena III).
16. - Continuando. II silenzio e la reticenza. Del resto, esiste sovrana sentenza che ogni mentitore — dal mentitore nato a quello che diventa tale per doverosa necessitä, o per buon fine, o per altro che 6ia — puö ad ogni istante tenere dinanzi agli occhi della sua Candida anima, quäle sovrana guida ispiratrice e soccorritrice. Si tratta di ammonimento giä registrato in incisivo aforismo dalla eterna saggezza (o creduta tale) dei popoli. Toute verite n'est pas borme ä dire. Dawero, se proprio la secolare saggezza dell'Umanitä ha cosi dettato, perche mai l'umile e modesto mentitore, dal mentitore cronico a quello d'occasione, dovrebbe... agire contro corrente? L'antico detto aveva insegnato, con Fedro, quam noceat saepe verum dicere. Specialissima ed elegantissima forma di menzogna che non e tale (secondo colui che si guarda nello specchio e confabula con l'altro Io) e la reticenza, eternamente usata e glorificata. In prima linea sono le testimonianze piü o meno complete, ma proferite con viso soffuso dal p i ü ingenuo candore, testimonianze o spiegazioni in cui i
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fatti sono esposti, e vero, in piena veritä, ma lasciando nell'ombra e nella tomba del silenzio altri fatti... sovente i piü importanti. Non importa; chi parla in tal modo ha detto la veritä. « A l t r o non h o detto che veritä », dice l'Io a se stesso fingendo dimentfcare che qualsiasi Serie di fatti narrata in tal modo e proprio una bugia. Sottilissimo sistema e p u r quei pensare, mentre parlate, a una parola o a una fräse che non pronunciate ad alta voce, ma di cui idealmente e proditoriamente fate Ancastro tra le parole pronunziate apertamente. Lo specchio ti rimprovera di non avere detto? Tu rispondi: « T u t t o ho detto... per quanto piccola parte di ciö abbia io espresso a bassissima voce e nel mio interno. Dunque, ho detto ». Sistema odiosissimo, invero, per quanto praticato da non pochi dabbenuomini e p u r da gentili creature di sesso femminile in ispecie lä dove schermaglie avvengono — dette « scorrucci » — tra innamorati, l'uno rimproverando all'altra (e questa rispondendo) tale o tale altro pensiero o gesto. A volte, tuttavia, si danno casi in cui la restrizione si presenta sotto il piü bonario aspetto: la folla milanese dei Promessi sposi dä l'assalto al famoso forno e corre alla casa del Sovraintendente; questi, battendo i denti, se ne sta nascosto per timore dell'imminente strage, ma ecco giungere il gran Cancelliere a cui il tumultuante popolaccio •chiede la testa dell'affamatore. Che Cosa doveva f a r e quegli, t r a le mille braccia protese e le urlantj vociferazioni? «Si, si (risponde e ripete) lo farö giustiziare » e aggiungeva poi a bassissima voce e quasi in pectore: « Sf es culpable... ». Se e colpevole! II gran Cancelliere diceva il vero, e realmente proclamava ciö che pensava. Ma una metä di tale proclamazione era semplicemente per uso interno. Quanto bastava, in ogni modo, per salvare l'anima (cap. XIII).
17. - Teoria e pratica della veritä e della menzogna. Eppure sempre si insegna che menzogna e da fuggire, e veritä sempre da proclamare. Senonche, altra Cosa e insegnare o apprendere ciö che e stato insegnato, ma ben altra Cosa e il porre in atto ciö che e stato insegnato o ciö che si e udito 'insegnare e magari formalmente imparato. Fra le due categorie di fatti par esista una vera antinomia. Si legge sin dalla tenera infanzia nei piü variopinti testi ad uso dei bimbi ed in quelli — meno variopinti — ad uso dei giovani, che gran dote e il proclamare la veritä laddove e da fuggirsi non solo ogni
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menzogna (si capisce) ma p u r anco ogni sorta d'infingimento, sicche» veramente aperto e franoo appaia l'animo tuo. Grande ed ammirevole qualitä, questa, davvero, che ti fa l'animo quäle cristallo, senza ve~ nature d'impuritä, senza opacitä e senza macchie! Dallo specchio ove l'Io si guarda, l'altro Io i n tal modo consiglia, ma l'Io ben consigliato, p u r approvando in massima, troverä obiezioni senza fine, distinzioni d'ordine vario (il distinguo e l'inseparabile strumento di punta e taglio degli spiriti veramente nobili ed eletti!), interrogativi dubbiosi dalla piü ingenua apparenza, per documentare la non praticitä di quella linea di condotta... che pur devesi accettare in generale, ma non adottare in particolarc. II Saggio non ha forse proclamato che, se la parola e d'argento, il silenzio e d'oro? D'altra parte, se io tutto dico di me e di tutto ciö che intorno a me si fa e si svolge, o di ciö che so, non potrebbe darsi che l'innocente mio ascoltatore possa un giorno valersi delle mie piü ingenue parole e delle mie piü candide e apparentcmente banali avventure, per ritarcerle contro di me? La n u d a veritä e bella, ma meglio varrä vestirla di panni; si trasforma, cosi vestita, in ipocrisia... ma come farne a meno, data l'umana natura e date le sempre traditrici circostanze della vita? Nel dialogo in questione, l'Io che va sofisticando estrae dai suoi tesori le piü dotte cognizioni e a sentirsi dire che il viso aperto, il guardar negli occhi e cose simili, tutte di franchezza e tutte opposte al torcicollo materiale e intellettuale dellTpocrisia, sono doti da invidiare e ammirare, obietterä che e di antica filosofia il detto : « Nel trattar cogli amici, sempre ricordati che un giorno ciascuno di essi potrebbe esserti nemico». Cosi si esprimeva Biante... secondo che si dice.
18. • La dissimulazione cnesta. Di tale denominazione — dissimulazione onesta — si servi quei Torquato Accetto che, alla metä del '600, dette fuori il volumetto: Deila dissimulazione onesta, colorito nello Stile e ben curato nella forma. Si intenda bene: questa garbatissima apologia, o difesa, non viene da uomo che p e r cinismo o per ipocrisia difenda e persino consigli il dissimulare. Giä dalle riine di quell'Autore ben appariva l'onestä dell'animo suo, ma anche tra le riglie (o qua e lä apertamente nel testo stesso di quei trattato sulla dissimulazione) ben si legge quäle sia la onesta dell'animo dello scrivente, attristato dalla continua visione delle umane cattiverie e prepotenze; p a r piuttosto che siffatte pagine
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siano uno sfogo, per l'appunlo, e una reazione contro la pena che tale accertamento produce nel cuore di chi g costretto a vivere tra gli uomini. Si difenda allora costui nell'armatura del proprio spirito e lä entro viva solitario senza che altri — da fuori — penetri in quei soggiorno... E ' un'onesta dissimulazione. « P u ö ogni uomo, ancor che esposto alla vista di tutti, nascondere i suoi affari nella vasta e insieme segreta casa del suo cuore» e appunto per ciö si fa elenco delle ragioni che giustificano e persin consigliano, in questo basso mondo, la dissimulazione : «Dal centro del petto son tirate le linee della dissimulazione alle circonferenze di quelli che ci stanno intorno » (paragrafo III) costituendosi per tal modo una zona, staremmo per dire, di difesa e di prudcnza che protegge l'individuo. II nostro Autore, si noti, si compiace distinguere dissimulazione da simulazione; questa e di mal nome e condannabile cosa perche crea il falso, mentre l'altra e un « velo composto di tenebre oneste, da che non si forma il falso, ma si dä qualche riposo al v e r o » (IV paragrafo). Deliziosissima via traversa, questa: dissimulare altro non e, in ultima analisi, che dar riposo al vero. II vero e lä, accanto a noi... ma riposa e, soprattutto, tace. La distinzione, ai fini della morale, e forse alquanto sottile e facilmente le si moverebbero non fragili critiche; ma per l'efficacia di un dialogo tra l'Io e l'altro Io che lo rimprovera e gli detta scrupoli, il ragionamento corre limpidissimo. Oltre di ciö, nuovo motivo di giustificazione e offerto dal contemplar che noi facciamo le leggi di N a t u r a : questa non ha forse voluto che nell'ordine dell'Universo sia il giorno e la notte? Cosi conyiene che nell'umana condotta e nell'umano p a r l a r e sia il procedere manifesto e quello che rimane nascosto (par. IV). Non basta; considerate ancora la Natura per tante altre opere di quaggiü : la rosa par bella perche dissimula la sua caducitä, e « tanto si puö dire di quanto per la terra riluce »... Si pensi, anche, come « ogni bellezza umana giä non sia altro che un cadavere dissimulato» (paragrafo IX). Detto quanto sopra, p i ü non rimane che concludere a favore della onesta dissimulazione! La quäle onesta dissimulazione — si noti bene — puö brillantemente farsi anche per iscritto, per quanto di ciö il bravo Accetto non dia ricetta. Ma valga qualche esempio. L'ariano Aussenzio, nella sua dispula con Ilario, temendo conseguenze di una esplicita sua dichiarazione di fede ariana (anno 364 dell'era volgare) riconosce, nella dichiarazione che gli fanno scrivere, essere il Cristo della medesima
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sostanza di Dio Padre, ma nello scrivere, le parole furono da lui disposte in modo che potevano prestarsi tanto a un significato non ariano quanto a un significato ariano; Christum ante omnia saecula et ante omne principium natum ex Pater Deum verum jilium ex Deo Patre... in cui, secondo che si metta una virgola prima o dopo verum, quelle parole significano che il figlio o e soltanto Figlio di Dio, come credevano gli Ariani, o e veramente Dio, come volevano gli altri (U. Moricca, Storia della letteratura latina cristiana. Torino, 1928, Vol. II, parte I, p. 101), Almeno cosi si narra. Qualche Cosa di analogo si dice — leggenda o storia che sia — di quei grande filosofo e giurista del '600 che, essendo obbligato a scrivere una sua ritrattazione, firmando con il proprio nome e sottoscrivendo la firma con una Serie di volute, come allora si usava, trovo modo di immettere fra quei ghirigori le due piccolissime lettere v. c. che 6ignificavano vi coactus, e cioe: obbligato dalla forza. Reticenze per mezzo di virgole, o per mezzo di abili geroglifici, per dire e non dire al tempo stesso, per dichiarare e non dichiarare, per affermare e non affermare.
19. -
Non
lo,
ma il gruppo;
non mihi sed
alteri.
II meccanismo psicologico che fa agire le folle dissolvendo in esse la responsabilitä individuale, non ha da essere rivelato agli interessati d a speciali studi in proposito; esso e noto chiaramente nei suoi risultati effettivi al piü umile componente di una folla o di un gruppo in azione. Approfitta di ciö molte volte l'individuo anche se — si noti — materialmente esso non fa parte delle folle o non si trova propriamente nel gruppo in azione, ma vi si colloca idealmente, e in quella comodissima finzione vaneggiando e se stesso illudendo (pur sapendo che si tratta di illusione) gitta lungi da se il p r o p r i o peccato. Si veda, infatti, come procede l'atlenuazione progressiva della responsabilitä individuale in simili casi e come quindi l'agente in azione, alla fine, trovi piü che giustificato il suo modo d'agire che e individualmente da biasimare, ma socialmente da aminettere e persino da lodare. Chi commette mala azione verso un pacifico Tizio o verso un non meno pacifico Caio, e evidentemente u n malfattore, ma chi ferma sulla strada •maestra la corriera o il furgone recanle fondi dello Stato e di quei fondi si impadronisce per versarli — sia pure in parte — al gruppo organizzato (per tale o tale altra plausibile o non plausibile ragione)
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contro lo Stato, proprietario di quei fondi, non e piü un malfattore o, per meglio dire, non si sente o finge di non sentirsi tale. Anche se fosse gratificato del titolo di pirata o predone o razziatore... sempre si tratterebbe di epiteti che Hanno tono piü elevato e piü nobile di quello, modestissimo, di semplice e volgare malfattore. L'azione del1'individuo es mala azione se compiuta dall'individuo in qualitä di lo, ma perde quei colore e svaniscono malvagitä e responsabilitä se compiuta dall'Io come facente parte del gruppo. Di mano in mano, invero, che dall'individuo si passa al gruppo, e da questo a cerchi sociali semp r e piü1 vasti, la morale 6i va facendo ognor p i ü pallida e meno efficaee; dalla rigorosa e spesso dura morale individuale si passa alla morale sempre piü elastica dei gruppi ognor piü vasti, si da parlarsi, non senza ragione e in certo senso, di due morali, la privata e la pubblica, trovandosi a essere la prima piü rigorosa della seconda. Quante cose che l'isolato individuo, come tale, si guarderebbe bene dal compiere o non ardirebbe compiere, sono invece condotte a fine da quello stesso individuo, agente non piü come tale, ma in nome e nell'interesse del gruppo o cerchio sociale cui egli appartiene! Lja morale assoluta puö condannare, ma l'individuo agente come espressione del suo gruppo non ha cura di ciö che l'individuo agente come individuo potrebbe rimproverargli. Non solo si fa sentire, in tale rocambolesco ma p u r quasi normale giuoco di prestidigitazione mentale, il pretesto autogiustificativo suggerente che l'interesse del gruppo e suprema lex, ma p u r si fa sentire il fatto (dianzi accennato) per il quäle la responsabilitä dell'individuo si scarica sulla folla degli altri e cioe su tutti i componenti il gruppo. Va dunque in fumo. Ii modesto malfattore di poco sopra diventa pirata da avventure anche cavalleresche, e l'uno e l'altro poi diventano addirittura « conquislatori » quando il gruppo o la folla o il cerchio sociale si fa tanto largo da abbracciare un intero popolo il quäle, per diritto di conquista, spoglia altro popolo e sul territorio di esso pianta le proprie tende... altro popolo (si noti ancor questo) che si sarebbe condotto nel medesimo modo or indicato se ciö gli fosse stato possibile. In tulti i casi, l'autogiustificazione si fa completa e sempre piü completa. L'Io profondo, egoistico, dell'individuo viene alla superficie e si sente ognor libero dai suoi ferri di mano in mano che i confini del gruppo che e dimora dell'individuo 6i allargano e sempre piü, in tal processo di resurrezione dal basso, si fa «legittima » la giustificazione. Se l'egoismo individuale crea a se stesso ampie giustificazioni allorche dallo specchio sente la voce che rimprovera, l'e-
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goismo di gruppo trova « giustificazioni » ancor piü ampie, piü eod disfacenti, piü as6olutorie. Cosi ognor fu e, a quanto pare, sempre cosi sarä. Quid est quod est? Quod fuit. Et quid est quod fuit? Quod erit.
20. • Uccidere...
non e uccidere.
Si e detto poco sopra che... rubare non e rubare e che mentire non e mentire; po6siamo forse aggiungere ora che... uccidere non e uccidere? La domanda puö sembrare assurda, ma basta fermarsi per un istante a ben considerare le cose di quaggiü e 1'umana psicologia per convincersi che uccidere (e alludiamo all'uomo che uccide un'altro uomo) non sia... uccidere. Ciö e fatto di co6i universale cognizione che sembrerebbe inutile insistere su tale aforismo. E diciamo: universale cognizione inquantoche quante volte l'uomo si trova ad ucci4 dere l'uomo operando 6ia come individuo, sia come facente parte di un gruppo, tante volte egli trova, al tempo stesso, agli occhi propri e agli occhi degli spettatori, motivo « l e g i t t i m o » per dimostrare che quella uccisione non e uccisione e, cioe non e una di quelle tali uccisioni che egli stesso —• uccisore — sarebbe il primo a condannare... quando (bene inteso) l'uccisione fosse compiuta da altri a danno di lui. I motivi in questione sono innumerevoli, di facile trovata e di facile produzione; non occorre far ricorso — storpiandola —• alla logica aristotelica per trovarne a ogni svolta del pensiero e quasi a ogni operazione del genere di quelle di cui stiamo discorrendo. Perche mai la vecchia malaticcia di Delitto e casligo, vecchia usuraia, potrebbe cs'ere impunemente uccisa senza dar rimorso all'uccisore? Si risponde: «Perche il suo avere poträ essere dispensato dall'uccisore in favore deH'Umanitä »... « Credi tu che il delitto, se vi e delitto in ciö, non sarä largamente compen6ato da migliaia di buone azioni? » Abbiamo giä visto il ladro autentico compiere ragionamenti di tal genere Imutando ciö che si ha da mutare) per giustificare ai propri occhi il commesso ladrocinio. Per l'omicidio, anche non a fine di cupidigia. si trovano autogiustificazioni variatissime, ben note agli psicologi criminalisti e delle quali quella qui sopra, ideata da Dostojewski, non e che un semplice esempio. Non sarebbe, dunque, il caso di continuar e ; senonche, vi e un'autogiustificazione cosi brillante, intelligente e a sorpresa cosi dilettevole (sino a destare il sorriso) che non puö essere lasciata in dimenticanza, tanto piü che essa proviene da una delle pit»
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antiche e belle creazioni di cui si ingemmi l'umana poesia. Sono in guerra — nell'antica India Sacra, cantata nel Mahabharata — l'uno contro l'altro armati, di fronte sul campo di battaglia, i Kuruidi e i Panduidi. L'eroe Arjuna, ritto sul suo c a r r o di guerra, sta per trarre la prima freccia, ma improvvisamente si arresta poiche dalla coscien za una voce gli ricorda: Non uccidere! Uccidendo... in questo reo conjlitto Recando offesa agli offensor, pur noi Contaniinati andrem di un Un gran delitto (strofa 16 della Bhagavadgitä, traduzione di Michele Kerbaker). Anzi, l'eroe assicura che preferirebbe essere ucciso che uccidere (strofa 20). Ma Krislina, il divino auriga che gli sta accanto, gli porge con soavi parole una fiorita serie di motivi, vera e completa filosofia, che hanno da cacciar dall'animo ogni scrupolo. Qui, come si vede, le autogiustificazioni che di solito l ' I o sa procurarsi per rispondere all'Altro sono invece proferite dall'auriga al guerriero, ma l'uno e l'altro sono davvero confrontabili ai due personaggi (nello specchio e fuori dello specchio) di cui abbiamo infino ad ora discorso. E che cosa dice, nel canto epico indiano, il divino auriga? II ragionamento e sorprendente; « T u non uccidi, uccidendo, perche l'anima e immortale; essa trasmigra da essere a essere sicche, uccidendo, tu nulla distruggi. Puoi tranquillamente uccidere. Ricordati: con la distruzione del corpo... l'anima farsi persona novella; Nel reincarnarsi il saggio ha ferma fede (strofa 28). Tien le membra caduche e in esse ha stanza Uno spirto che mai da se diverso Ci vive indistruttibile, infinito; Che temi piü? Sorgi e combatti ardito (strofa 30). Insomma, chi uccide, crede di uccidere, ma in realtä non uccide; nel medesimo modo, chi e ucciso non e veramente ucciso, ma... crede di essere ucciso. Uccidendo tu hai soltanto spogliato l'uomo delle sue vesti, ma quello di nuove vesti si adorna, non davvero morto. E allora? Questi ultimi accenti, tolti di peso dal poema (strofa 321), potranno essere serenamente e nobilmente pronunziati, al momento della morte, da quei martiri immortali che fu piü facile bruciare che confutare; ma diventano semplicemente una delle tante autogiustificazioni mistificatrici quando si pongano sulla bocca dell'uccisore. In ogni mo do. anche le mistificazioni hanno la loro efficacia.
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21. - Ama il prossims tuo come te stesso... Et proximum cut te ipsum.
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Cosi ripete l'uomo attraverso i millenni. Ma in tal modo agisce? Non vi e dubbio che il divino principio sia sempre dinanzi agli occhi di tutti, ma non vi e neppur dubbio che a ogni istante tutti sappiano trovare motivi «logici » che giustifichino la non ottemperanza a quei principio. Amare gli altri come si ama se stessi, significa riconoscere nell 'altro un se stesso e identificare se stesso con l'altro. In tanto debbo amare l'altro, i n quanto questo altro e un me stesso. Ma che Cosa accade se siffatto legame di identitä viene a cessare e a bruscamente speazarsi? L ' a l t r o non e piü me stesso e, per conseguenza, il motivo. medesimo del mio amorc per l'altro viene a scomparire. Ora, e assai comodo dire a se stessi che i legami di identitä che ci avvincono al prossimo sono scomparsi e che cessa quindi la ragione dell'amore; e, anzi, giustificata la ragione dell'odio. P e r ben comprendere il modo di agire di tale processo psichicoche converte il dettame d'amore in odio effettivo e che permette quindi qualsiasi crudeltä all'uomo che pur proclama: ama il prossimo t u o come te stesso, occorre pensare al modo con cui sorge e agisce il senso di pietä. Di ciö parlercmo meglio piü in l ä ; p e r il momento basti f u gace aocenno. Sia che il senso di pietä costituisca congenito istinto, sia che lentamente provenga per sublimazione da un istintivo egoismo, non s.i puö ncgare che esso funzioni in ciascun uomo per questa precipua ragione: si e pietosi verso altrui che soffre, uomo o animale (e peisino cosa non sensibile come rami spezzati e fiori che appassiscono) perche incoscientemente ci colloeliiamo al posto degli esseri che vediamo soffrire e ci raffiguriamo sentire noi stessi i loro dolori e t r o varci nelle miserrimc loro condizioni. La pietä che ne risentiamo, in ultima analisi, non e pietä per gli altri, ma per noi stessi. Della qual cosa, evidentemente, non ci rendiamo conto, ma vediamo le interne immagini nostre come se fossero viventi persone che Si muovono fuori di noi. Di fatto, quegli uomini anormali la cui sensibilitä e nulla o singolarmente ottusa, non senlono pietä per gli altri perche, pur inconsciamente collocandosi al posto di chi soffre, non si sentono locchi da sofferenza alcuna, quando p u r non ne gioiscano. Orbene, anche nei « normali •» qualora si spezzi, per quäle ragione che siasi, il legame di identitä tra l'individuo e gli altri individui. viene istantaneamente a
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cessare, da parte dell'individuo in questiome, la possibilitä di collocarsi al posto degli altri, di 6entirne come proprie le sofferenze; viene per conseguenza a distruggersi ab imis il senso di pietä. Tutto e lecito, come giä facemmo notare dianzi, contro colui che non e piü proprio simile: esce costui dalla cerchia del genere umano e contro costui si p u ö inf i e r i r e come contro oggetto insensibile, proprio come fa l'iroso allora che frantuma cose e oggetti del mondo insensibile o reputato tale. Molteplici i motivi — piü o meno reali e giustificabili — che fanno istantaneamente cessare il senso di simjglianza tra esseri che pur sono simili; chi esce fuori dal nostro gruppo e dal nostro cerchio continua, e vero, a presentare e a portare in se stesso e nelle sue carni una folla di caratteri che a noi lo rendono simile, ma noi immediatamente non vogliamo vedere in lui che il dissimile. II foco dell'identitä si allarga o restringe o annulla da momento a momento facendo cosi allargare, restringere o annullare la so idarietä e quindi la pietä e la probitä. Chi a un dato momento si dichiara mio nemico, spezza al tempo stesso i legami di identitä che idealmente a me lo avvincono; per me, quindi, egli altro non e che una Cosa e non v'e piü luogo di app'icare il principio: ama il prossimo tuo come te stesso. Ragiona cosi l'isolato individuo o, per meglio dire, cosi fa comodo ragionare all'isolato individuo rispetto agli altri, ma anche cosi ragiona il gruppo sociale rispetto agli altri gruppi quando il senso di simiglianza e di identitä con gli altri gruppi venga a infrangersi. Tra il delinquente feroce, da un lato, che suscita universale senso di Vendetta presso tutti coloro che p u r credono dover amare il prossimo come se stessi, e costoro ttitti, dall'altro, cessa ogni legame di identitä e si considera quindi legittima ogni rappresaglia, anche di sangue, contro quei delinquente. Tra le varie orde di agitati e di faziosi, tra iBianchi e Neri, nessun senso di identitä e quindi nessuna pietä. T r a gli Ugonotti e i non Ugonotti, medesima dissaldatura e sempre, per conseguenza, impessibilitä da parte degli uni di sostituirsi agli altri, di vedere se stessi negli altri e di esercitare il principio dell'amore verso quei prossimo che non e veduto (a torto o a ragione) come tale. Ponete ora l'Io che ha da rimproverarsi qualche Cosa nella sua condotta verso il prossimo, di fronte allo specchio. Avrä mille mo'ivi per affermare che coloro contro cui male agi, non costituiscono suo prossimo; nessuna identitä tra l'Io e quei preteso prossimo; quindi, inapplieabilitä del principio e autogiustificazione che pienamente soddisfa l'Io non chiedente che farsi facilmente convincere. 4.
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Vlo.
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22. - Insospettata ancora di salvezza: qualche proverbio. Nella polieroma e infinita folla di proverbi e di aforismi che la «saggezza » dei popoli — ma si tratta proprio di una vera saggezza? — mette a disposizione degli uomini per suggerire loro migliore condotta da seguirsi e per assisterli in tale viaggio, alcuni se ne trovano che si offrono in mirabilissimo modo a giustificare ciö che l'Io troppo scrupoloso potrebbe condannare. Inutile dire che l'Io allo specchio si volge compiacentemente a quei soccorso, sia pur storpiando e in qualche guisa travisando il dettato e l'aforismo. Vi sono, in primo luogo, proverbi e aforismi che p u r vantandosi di proferire verbi di veritä assoluta si contradicono tuttavia l'un l'altro di modo che il viaggiatore desideroso di affidarsi al consiglio dell'uno o dell'altro, puö in tutta tranquillitä scegliere l'una o l'altra via... secondo la propria convenienza. In secondo luogo, non pochi proverbi e parecchi aforismi, invece di ispirarsi a principij altissimi e nobili, si piegano (non senza bonomia) a suggerire compromessi e mezze misure, il tutto — naturalmente — per la tranquillitä del corpo e dello spirito. Anche in questa docile famiglia di proverbi e di aforismi, dunque, l ' I o allo specchio poträ largamente attingere. Se, invero, non pochi dettami dovuti alla cosi detta sapienza dei popoli, o non poche lapidarie frasi divenute proverbiali, ccrcano riawicinare gli uomini agli Dei, molte altre volte tali classici consigli non suggeriscono che di accontentarsi d i diventare un Gil Blas e magari un Arlecchino. Qui davvero tutto i l tesoro — tesoro falso — ove l'Io puö raccogliere argomenti per controbattere le osservazioni con cui l'Altro lo disturba. Qualche esempio. Poniamo che vi sentiate profondamente ferito dal colpo mancino che potente personaggio (e potente colui che puö far male altrui) vi ha portato senza soverchi scrupoli; primo vostro impulso e pagargli il debito con medesima moneta, ma al tempo stesso si affacciano al vostro spirito i danni che per voi potrebbero sorgere. E ' vero che non e nobil cosa chinare il capo (come si legge in tanti aforismi) ma altri proverbi e altri aforismi non insegnano forse che la pentola di coccio non ha da mettersi in contrasto con quella di ferro? In veritä, si tratta di una semplice e malinconica constatazione e — caso mai — di un awertimento; non giä di un consiglio all'umiliazione e alla bassezza, ma l'Io che desidera speculare su quell'awertimento ne trae sol-
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lecitazione, consiglio, comando. L'immagine, cioe, della pentola di coccio che va in frantumi, costiluirä allora l'äncora di salvezza per giustificare l'Io-io di fronte all'Altro. Esiste, anzi, una leggiadra favola a questo proposito: Le pot de terre et le pot de fer, che l ' I o poträ recitare a se stesso in tali occasioni. Supponiamo inoltre — e la Cosa puö presentarsi, ohime, ad ogni istante — che l'uomo sia costretto a gettare a mare principii e convinzioni che sino a ieri egli stesso aveva presentato come oro e diamanli; conviene, invece, mostrare tutto ciö come se fosse vilissimo piombo e misera argilla. Un csame di coscienza, anche superficiale, potrebbe far nascere rimorsi nei riguardi di tale improvvisa conversione; ciö nonpertanto ecco l'aforismo venire in soccorso: il duca di Morny, che doveva piü tardi diventare presidente del Corpo legislativo, diceva — prima del colpo di Stato — che « s'il y avait un coup de balai, il se mettrait du cote du manche » c cioe che in caso di tempcsta e opportuno meltersi dalla parte da cui tira il vento o, se si vuole, quando arrivano coltellate e megljo porsi dalla parte del manico. Ecco davvero un aforismo che puö esser bellamente ripetuto da tutti coloro che, anche senza conoscere neppur di nome il Duca di Morny, debbono p a r l a r e a se stessi nei dialoghi suscitati dall'autogiustificazione. « I proverbi morali — scrive Puskin nella sua La tormenta di neve — risultano di un'utilitä sorprendente in quei casi in cui possiamo escogitare da noi ben poco a nostra giustificazione ». Continuando, che dire di coloro che, tornando col pensiero a qualc h e antica loro malefatta, rapidamente si sbarazzano del senso di disagio che quei ricordo sta per suscitare in loro, abbrancandosi al proverbio assolutorio e alla lieta prescrizione che suona : acqua passata non macina piü? Evidentemente, ancor qui l'aforismo da semplice constatazione quäle vorrebbe essere, diventa guida e consiglio. L'uomo d ä amnistia a se stesso con una disinvoltura che neppure i piü sapienti « giuristi » saprebbero usare quando condonano, per amnistia, reati comuni. E cosi fa la donna capricciosa, soprattutto, per la quäle il proverbio in questione — acqua passata non macina piü — cosi spesso da usarsi allora che essa fa benevolmente domanda al suo interlocutore di non parlare del passato. In particolare valga come autoassoluzione sovrana per ogni egoista dei piü induriti l'altro proverbio, confortevole e soccorritore: ognuno per se e Dio per tutti! Anche il levita dovette pensare cosi quando, sulla via maestra, scorgendo colui che per-
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cosso dai ladroni giaceva a terra, continuö il suo andare... cum esset secus locum et videret eum, pertransit (Luca, X, 32). D'altronde, avete in animo di abbandonarvi a qualche prepotenza, o sgarberia, o a violenta reazione (cose tutte che p u r dovrebbero essere evitate) o giä scntite qualche disagio per avere effettivamente coinmesso azioni di tal genere? Viene il proverbio a consolarvi: chi pecora si fa, il lupo se lo mangia... E cosi di seguito. Ancora, se qualche ripugnanza o qualche forma crepuscolare di rimorso prende Tizio o Ga'io per la mala compagnia in cui esso si e cacciato — e in cui, in fondo, assai bene si trova... ricavandone profitto — ecco sopravvenire il rassegnato detto: IBah! in chiesa coi santi e in taverna coi ghiottoni. E potrebbe continuare. Basti quanto sopra, per il momento; ma non abbandoniamo il tema senza richiamare ancora alcuni sapientissimi detti che potremmo d i r e a doppio taglio inquantoche mentre da un lato possono essi considerarsi come pura e semplice — e anche amarissima — constatazione di un dato di fatto, possono invece, d'altro canto, essere presi, da chi ha convenienza a ciö fare, conie amiche voci di autogiustificazione. II giä citato egoista, incorreggibile per natura congenita, ripeterä il motto e la rclativa Variante : A'on fare il male che e peccato, non fare il bene che e sprecato; Non far mai. bene, non avrai mai male... Persino il ladro (vi son tanti modi di rubare, per ognuno dei quali molte autogiustificazioni sono giä pronte) poträ dire a se stesso: Chi lavora fa la gobba, chi ruba fa la robba. P e r certo, si tratta di una pura e semplice constatazione — oliime! — ma, ripetiamo, chi ha interesse tra-duce l'obiettivitä di quella afferinazione proverbiale, con relativo errore ortografico, in un consiglio, in un suggerimento, in u r a giustificazione del proprio operato di fronte a se stesso. Detti di tal genere si trovano a iosa in raccolte di proverbi, tanto che il prec 1 aro raccoglitore di essi, Gino Capponi, nella sua presentazione a una raccolta di proverbi dovu'a a Giuseppe Giusti, scriveva; « Leggerai detti ora bur~ leschi, or tremendi. e anco tali da farti ribrezzo, e da porti in dubbio se sieno frutto di una severa esperienza che abbia voluto fare aecorti gli uomini della loro indole non sempre buona, o piuttosto velenose punture della malignitä, mossa da suoi fini vo'ti a deridere e a calunniare l'umana natura» (1). Sempre scegliendo fior da fiore (buon
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(1) Raccolta di proverbi totcani. noovamenie ampliata, da quella di GiuGiusti e pubblicata da Gino Capponi, Firenze, J87I, p. XVI.
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consiglio per l'ipocrisia) udite come suona questo accorato accertamento di un ben triste stato di fatto, accertamento che l'individuo trasforma — quando ciö a lui fa comodo — in autogiustificazione: Chi non inganna non guadagria. In quei tesoro di consigli si trova anche detto che... con arte e con inganno si vive mezzo Vanno; con Vinganno e con arte, si vive Valtra parte! Proprio cosi! JMotivazioni di tal genere hanno grande efficacia, e di continuo sono messe in uso, non solo dall'individuo « intelligente » ma puranco — e con sapiente artificio dottrinale e verbale — da questo o quei gruppo sociale nei suoi rapporti con gli altri gruppi. Certamente, qui i proverbi — o aforismi che siano — non intendono dare veri e propri consigli, e cioe mali consigli, ma vogliono semplicemente — con un certo senso di pessimismo — descriver la vita quäle, purtroppo, essa e. Ma il « peccatore » (individuo o grupp o sociale che sia) di quelle voci si serve per volgerle a suo profitto c a sua interna giustifieazione.
23. - ...Tanto, vi sarä amnistia! Ingegnosissima, almeno in apparenza e... molto in apparenza, ö quella singolare specie di autogiustificazione a efficacia ritardata che pare sia stata parecchio in uso nella coscienza di qualche gente or fa molti secoli e di cui narra, biasimando come egli sapeva biasimare, focosamente Tertulliano. Tra quelli che, pagani, avevano deciso portarsi al battesimo, non ne maneavano che cercavano ritardare il loro appressarsi all'acqua lustrale, contando potersi piü a lungo rimanere in un comodo e forse peccaminoso genere di vita che nel ritardato giorn o del battesimo verrä completamente dimenticato e purificato. «Poveri illusi! Essi cercano spendere moneta falsa — rimprovera l'eloquente cartaginese — ma Iddio esamdnerä insino al profondo il loro sentimento, come il mercante esamina le monete che riceve dalle m i ni del compratore » (De poenitenlia, 4-6). Puö dirsi che, analogamente a quanto sopra, non sono oggi rari gli individui che — piü o meno proelivi per natura congenita o per mala abitudine acquisita negli ambienti in cui vivono — si mettono decisamente sulla via di tale o tale altro delitto contando, appunto, sulla imminenza di qualche amnistia e assolvendo quindi se stessi prima che venga la Societä medesima a largire tale assoluzione. Contano su una amnistia tanto piü facilmente in quanto vanno le amnistie mol-
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tiplicandosi ognor p i ü e 6usseguendosi quasi a ogni breve volger del t e m p o ; del che fu fatto giusto laniento — e da pi|ü di meizzo secolo a questa parte — dai fondatori e dai seguaci della Scuola italiana di criminologia. Si lamentö, invero, il Lombroso non solo della frequenza delle amnistie, ma dell'istituto stesso dell'amnistia e della grazia richiamando pagine del Beccaria, del Filangeri e risalendo persino a quella fräse di Cicerone che, nel De officis, diccva- benefacta male locata, male facta arbitror (1). Aveva scritto il Beccaria (ma in parti-i colare con riferimento alla grazia): « ...il far vedere agli uomini che si possono perdonare i delitti, o che la pena non ne e la necessaria conseguenza, e un fomentare la lusinga dell'impunitä, e un far credere che, potendosi perdonare, le condanne non perdonate sieno piuttosto violenze della forza, che emanazioni della giustizia » (Dei delitti e delle pene, XX). P i ü recente condanna al continuo rinnovarsi delle an>4 nistie dava il Ferri quando ricordava che in Italia le amnistie e gli indulti furono sedici in venti anni (2f).
24. • Tarttifo... Troppo tempo occorrerebbe, e troppo spazio, per f a r completa rassegna dei sistemi di autogiustificazione messi in movimento dall'Io fraudolento e astuto, a ogni passo, per rispondere all'Altro. Ci siamo fermati soltanto ad e6cmpi concernenti qualcuno dei meccanismi psicologici grazie ai quali si forma il processo « logico » di cui stiamo discorrendo. Ii lettore che sappia guardare intorno a 6e troverä a ogni Lstante negli uomini, nelle cose e nelle marionette del teatro della vita, immensa e sempre rinnovellata quantitä di siffatti sistemi di autogiustificazione germinati dal piü profondo, ignoto, della pseudologica umana. Nonostante, vogliamo — per finire — toccare di un'ultima autogiustificazione: quella che T a r t u f o sa destramente presentare a proposito dei suoi laseivi desideri verso Elmira, la bella, Candida e casta sposa dell'amico suo. L'ipocrita, p u r posando di sfuggita l'obliquo suo sguardo sulle bellezze di lei, proclama a se stesso e alla sua interlocutrice essere del tutto ragionevole che le opere del Creatore formino la dclizia dei nostri occhi... La seducente bellezza della ( 1 ) C. L O M B R O S O , L'uomo delinquente, ediz. del 1897, vol. III, pag. 492; medesime osservazioni si trovano in precedenti scritti del Lombroso stesso. (2) E. FERW, Sociologra criminale, ediz. del 1930, vol. II, pag. 321.
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piü bella donna non e forse riflesso della luce divina? Inebriarsi di quella bellezza, altro non e che mettersi in ginocchio dinanzi alla so vrana potenza di Colui che tullo fcce (Atto III, scena 3). In tutto ciö — non e vero? •— una logica rigorosissima, da cui una autogiustificazione che tocca il sublime!
25. - I gruppi sociali dinanzi allo specchio. Sostengono alcuni sociologi che per comprendere il « comportamento » sociale, vale a dire il modo di agire delle umane Stocietä e dei gruppi e sottogruppi che le compongono (ogni gruppo o sottogruppo ha la sua traiettoria di cui occorre studiare, valutare e decomporre le forze componenti) non e affatto necessario conoscere il meccanismo del comportamento individuale e cioe dei singoli individui: la psicologia dell'individuo, cioe, che e tanta parte del comportamento individuale, per nulla puö illuminare il comportamento collettivo dei singoli gruppi e delle varie Societä. Eppure, tutto il procedimento che noi stiamo ora indicando a proposito dei dialoghi tra i due Io e a proposito delle autogiustificazioni, non si ripete forse per i gruppi sociali e per le umane Societä? Anche questi e queste hanno il loro specchio in cui si guardano e da cui si sentono guardate; e anche questi e queste intrecciano dialoghi del genere di quelli di cui stiamo discorrendo. L ' I o del gruppo o della Societä (anche il gruppo sociale e la Societä hanno il loro I o istintivo, egoistico, sentimentale, ragionatore o che crede ragionare). sente i rimproveri che l'Altro gli rivolge, ed anche l'Io del gruppo o della Societä risponde e cerca argomenti ingegnosissimi per giustificare ciö che esso stesso p u r riconosce ingiustificabile. Che cosa accade, infatti, quando tale o tale altro di siffatti gruppi intende rendere esterne e concreto le sue profonde forze del voler vivere, del volere acquistare e conquistare, del voler appropriarsl 1'altrui bene, del voler dominare e del voler — persino — assoggettare gli altri per farsi da costoro servire come giä altra volta e in precedenza esso stesso fu depredato, assoggettato e obbligato a servire? Proprio cosi lasciö scritto il Cancelliere fiorentino: « Gli uomini salgono da un'ambizione ad un'altra; e prima si cerca non essere offeso, di poi di offendere altrui ». Una delle piü grandi veritä, questa, tra le tante incise da Niccolö Machiavelli nei suoi Discorsi sulla prima deca di
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Tito Livio (Libro primo, cap. XLVI). E piü lungi: «,Mentre che gli uomini cercano di non temere, cominciano a far temere a l t r i ; e quella ingiuria ch'egli scacciano da loro, la pongono sopra un altro come se fusse necessario offendere, o essere offeso» (!ld. id.) (vedi anche il Libro primo, cap. V, p. 167). Si ponga mente che siffatti enunciati, non tanto valgono — per quanto pur valgono — per l'individuo nella sua condotta verso il «prossimo», quanto per i gruppi sociali nella loro condotta considerati gli uni rispetto agli altri. Gli enunciati principii, sebbene concentrati in poche parole, efficientissime e corrosive, fanno comprendere tutta l'umana Storia di ieri... e di domani. Invero, quante e quante occasioni hanno gli umani gruppi di comportarsi in modo che, guardandosi essi nello specchio, sentono la necessitä di mettersi a sillogizzare con l'altro loro Io! II quäle, si voglia o non 6i voglia, fa sentire i suoi dubbi, i suoi rimproveri o i suoi sarcasmi. II gruppo sente — guardandosi nello specchio — l'altro 6uo Io che lo ammonisce e gli ricorda, sia i geometrici principii dell'equitä, della giustizia e di ciö che comunemente va sotto l'indicazione di fratellanza, sia quei principii stessi che esso gruppo invocava quando miseramente viveva asservito tra ogni sorta di ceppi; ma quegli ammonimenti e quei ricordi, tanto fastidio gli danno da suscitare immediatamente le piü abili ritorsioni e masclierature. «Come mai si dä che tu (dice lo specchio) che pur ieri chiedevi per te tale oggetto, o tale diritto, o tale libertä, neghi poi ad altri quei medesimo oggetto, quello stesso diritto, quella stessa libertä? Come mai si dä che tu depredi oggi altrui o altrui sottometti quando p u r ieri domandavi, e ottenevi, di non essere depredato e sottomesso? ». Naturalmente, l'interrogante si sente rispondere in mille guise. Dice una risposta, ad esempio, che il caso di cui si tratta e che in quei momento si affaccia nella dialogata discussione, e un caso speciale, specialissimo, e perciö non rientrante affatto nell'orbita dei geometrici principii di cui sopra. Oppure (e questa e la prestidigitazione piü usata) con qualche impudicizia il gruppo si slancia ad impadronirsi, per l'appunto, di quei solenni e virtuosi principii generalmente ammirati ieri e oggi dall'universale, a parole, e con maggiore impudicizia ancora afferma che proprio quei principii esso vuol attuare con la condotta che si prefigge. Accade qui, un poco (se l'umiltä del termine di paragone non nuoce) ciö che accade jn quelle moderne rubriche delle gazzette in cui si fa sentire la cosi detta «voce del p u b b l i c o » , in cui l'assiduo lettore espone con assai eloquenza i principii generali per i quali dovrebbesi con generale e
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supremo interesse, prendere lalc o tale altro provvedimento dalle pubbliehe autoritä... mentre in sostanza il provvedimento in questione giova essenzialmente all'assiduo lettore. Chiede, poniamo, il lett o r e : « Non e disdoro, per un popoloso e movimentato quartiere come tale o tal altro quartiere della oittä, ove sono tanta ricchezza di movimento, di popolazione e un tanto affaccendarsi, che in quei dato angolo, su quella data piaizza, o nei pressi di quella scuola, o di quell'Ospedale, non vi sia una fermata trainviaria? ». Giustissimo. Ma l'abitazione dell'assiduo lettore... e per l'appunto lä dove si invoca l'applicazione del provvedimento... in omaggio al pubblico interesse. Ogni gruppo, come ogni individuo, ha la sua... voce del pubblico. Sicuro; l'atto poco onesto o illecito o addirittura criminoso — da parte del gruppo — si compie cercando al tempo stesso di seppellire la malefatta sotto il marmo della piü magnificente e laudatoria iscrizione, vale a dire invocando, appunto, quegli elevati schemi dottrinali, filosofici e morali che — cliecche sc ne dica — hanno sempre avuto vita ed impero, almeno teorico, in tutti i tempi e luoghi. Narra Cornelio nipote -che gli Spartani sostenevano di avere condotto la guerra per abbattere lo smodato dispotismo degli Ateniesi, ma il loro Lisandro, raggiunta la vittoria, sostitui all'antico dispotismo il suo, nuovo e personale. Quando Clodio e i suoi vollero morto Cicerone, non andarono diritto allo scopo, ma trovarono modo di far votare una legge retroattiva invocando il supremo interesse del popolo, legge che, apparentemente ispirandosi al grandioso principio della sovranitä popolare, ser.viva a meraviglia l'ascoso pensiero del tribuno e della sua setta. Come avevano cari, quei Clodio e i suoi, i diritli del popolo! La storia di ieri, di oggi... e di domani narra e narrerä ad ogni istante fatti di tal genere. Quante ingiustizie sono compiute in nome della giustizia, quante depredazioni in nome di una legittima restituzione, quante uccisioni in nome deH'Umanitä, quante persecuzioni in nome della fratellanza o, quanto meno, della difesa sociale!
26. - Mea mihi conscientia pluris est quam omnium sermo. Detto quanto sopra, e proprio da concludersi che non ci sia umana creatura sulla terra la quäle, guardandosi nello specchio, non finisca con l'accettare il suggerimento dell'Altro? Che non vi siano, tra gli uomini, coloro che si piegano al rimprovero dell'altro Io che parla?
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Non crediamo possa giungersi a tanto poiche p u r ei danno anime umane —- e ognuno di noi che abbia a lungo vissuto ne ha ricordo o cognizione — che nel contrasto tra le torbide sollecitazioni e i sofismi invocati daH'autogiustificazione riescono a seppellire questi ultimi contentandosi tutto al piü di p o r r e qualche Corona su quella tomba, mentre pur ve ne sono altre in cui il conflitto si 6morza prima ancora del nascere. Non tutti i vermi strisciano a terra, ma per alcuni di essi le ali trasformano il verme in farfalla che puö volare in un raggio di sole dimenticando e facendo dimenticare la terrestre bassa origine. Nell'uno e nell'altro caso, la soddisfazione di potere, da pari a pari, conversare con la propria coscienza, di gran lunga supera quella che 6i sarebbe ottenuta ingannando l'Altro e se stesso. Coscienza, cui alludeva Cicerone quando proclamava che, assai piü dei discorsi di tutti, vale la propria coscienza: mea mihi coscientia pluris est quam omnium sermo, per la virtü non e6Sendovi teatro piü splendido della coscienza (sed tarnen nidlum theatrum virtuti conscientia maius est) (Ad Atticum, XU, 28; Tusculanae, II, 26).
CAPITOLO
TERZO
AUTOCONTEMPLAZIONI DELL « 10 » I n f i n o a qui abbiamo d e t t o guardarsi l'Io nello specchio q u a n d o sente l ' a l t r o Io — suo f r a t e l l o e, anzi, p a r t e di se stesso — r i m p r o v e r a r l o p e r qualche malefatla da compiersi o in a t t o ; l ' I o si g u a r d a , cioe, n e l l o specchio ravvisando in esso, a p p u n t o , l ' a l t r o Io che lo r i p r e n d e e con esso allora si fa a dialogare. O r a , invece, vogliamo d i r e di altri modi di guardarsi nello specchio, reali gli uni, ancora 6imbolici gli altri, e tutti, se non c a d i a m o in inganno, di n o n scarso v a l o r e psicologico. Vogliamo d i r e di ciö che in una parola indichiamo c o m e : autocontemplazioni. L ' I o contempla se stesso. A b b i a m o giä avuto occasione altrove di scrivere (sotto il titolo : « Le a 111 ocongol azj o n j del FI o » ) ; « I n quante diverse m a n i e r e l ' I o g u a r d a se stesso! Occupazione, questa, quasi p e r p e t u a n e l l ' a t t i v i t ä del l l o medesimo e che forse non e stata ancora insino ad oggi esaminata in ogni sua p a r t e e in ogni suo significato ». E davamo su di ciö qualche illustrazione (1). T o r n a n d o sul tema, riassumendo, ritoccando e in molti p u n t i ampliando, potremo m e t t e r e in evidenza le seguenti categorie di autocontemplazioni, ben avvertendo che tale f e n o m e n o psicologico e tra i p i ü costanti dell'attivitä sentimentale e m e n t a l e : si pot r e b b e anzi dire c h e esso forma assai volte, specie in alcuni suoi aspetli, la ragione medesima, il motivo, la vis a tergo dell'agire, p e r q u a n t o tale processo, da un lato, si p r o d u c a e operi a l l ' i n s a p u ' a stessa, o quasi, del soggetto, e costituisca — d ' a l t r o l a t o e in ultima analisi — una Serie di illusioni di cui mai si svela al 6oggetto stesso la vera n a t u r a e cioe l'ingannevole falsitä. Processo psichico, quindi, costante, quasi incosciente e tessuto di illusioni. D a r e m o p r i n c i p i o con qualche considerazione su quei modo di autocontemplarsi c h e sta nel guardarsi veramente in un p r o p r i o e ve->. r o specchio e v e r r e m o poi alle au'ocontemplazioni psichiche di cui in ispecie d e s i d e r i a m o p a r l a r e . ( 1 ) A . NICEFOBO, Criminologia; vecchie e nuove dottrine, E' in corso la seconda edizione riveduta e ampliata.
Milano, 1941, p. 403.
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1. - Nella luce del vero specchio. a) Preoccupazieni estetiche. Ci guardiamo materialmente in veri e propri specchi con gceto c h e puö con qualche curiositä venir preso a esame dallo psicologo e persino dallo psichiatra come uno dei tanti segni rivelatori della personalitä. « Come meravigliosainente bene queste perle stanno alle mie orecchie! » esclamava la Margherita di Faust guardandosi nello specchio e adornandosi dei gioielli del diavolo... Lo psicologo poträ t r a r r e dalla maggiore o minore intensitä o compiacimento con cui le tante ammiratriei di se medesime si adornano e si estasiano dinanzi alla loro immagine, non tanto per ammirare se stes6e quanto p e r prepararsi ad essere ammirate dagli altri, qualche giudizio sulla psicologia e sul costume della persona. Ma gli uomini? Non si guardano forse anch'essi nello specchio, specie quelli che piü rassomigliano a Eva che a Adamo? Lo spietatissimo Diogene rispondeva ad alcuni giovani dall'aspetto e dall'abbigliamento femminili che gli chiedevano alcunche: <( Ditemi prima se siete uomini o donne ». Figure di tal genere —• pur senza cercare nel fosco della patologia — si trovano in ogni luogo e tempo. II satirico Lucilio, violento e aggressivo, in un frammento delle sue Satire beffeggia il giovane effeminato che fa la propria toilette come una donna: Pumicor, ornor, expolior, pingor (mi liscio con la pomice, mi acconcio, mi adorno, mi dipingo), il tutto, beninteso, dinanzi a lucidissimo metallo che rifletta l'immagine del vanesio. Si tratta, in ogni caso, di una autocontemplatzione che potremmo chiamare di « narcisismo crepuscolare » per distinguerla da quella che direino — come si vedrä — di narcisismo vero e proprio, patologico o quasi patologico. Ancor oggi, davvero, lo specchio costituisce strumento di lavoro estetico per qualche sorta di uomini si da potersi ripetere, coi P a r i n i : E lo speglio patente a lui dinanzi Altero sembra di raccor nel seno L'imagin diva ...mentre porge i suoi consigli un ...di bei crin volubile architetto. Del resto, gli uomini hanno ben altri specchi — non materiali — entro cui mirarsi vedendosi in essi di maggiore statura di quei che non siano e ricchi di ingegno, anche se poverissimi di intelligenza! Lo psicologo, d'altronde, nel prendere a considerare la sottile ostinazione con cui Venere o Apollo (ma quante false Veneri e quanti falsi Apolli!) si guardano nello specchio, poträ anche mettere in evi-
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denza l'illusione di chi giorno per giorno contemplando la propria riflessa immagine (voltj di donna, di solito) e aggiustandola con cura sempre piü caricando e sovraccaricando le aggiustature, non si accorge dell'orrendo travaglio che su quei volto compie l'opera del tempo. Lo specchio ha il suo ascoso veleno. Chi continuamente si guarda, rimane ingannato da quei suo continuo osservare che, appunto per tale continuitä, rende invisibili i minuscoli mutamenti che lentamente si effettuano: la favola non narra forse di quella bellissima che, rinchiusa in un solitario castello per anni moltissimi, priva di specchio, allorche le f u dato a un tratto — dopo il lungo trascorrere del tempo — di guardarsi in un politissimo argento, mori di dolore nel vedersi cosi orribilmente diversa da quella immagine di cui serbava ricordo? La bellezza e fragile Cosa, ma di una fragilitä che, quasi invisibile, agisce a poco a poco; sfugge a chi la possiede senza che questi se ne accorga, illuso di averne sempre possesso: crede arcora — nello specchio — di vedere rose, lä dove non si hanno invece che le secche spine... Nec violae Semper nee hiantia lilia florent. Et riget amissa spina relicla rosa, come ricordava il poeta dell'/lrs amandi (II, 115). Crudele punizione, poiche il volto — giä hello un di — si tramuta a poco a poco in teschio senza che l'individuo se ne accorga, pur continuando l'individuo stesso a sofisticarlo e ad adornarlo, da cui il ridicolo proveniente dal contrasto tra le vivaci tinte del fa'so e il lugubre squallore della dissoluzione. Altra comune illusione vi dä lo specchio quotidianamente consultato a fini estetici; qualche tratto del volto e qualche linea della persona che con ogni evidenza portino segni del tutto lontani dalla beTezza, visti e contemplati per le cento vo 7 te di seguito, perdono o vedono scolorirsi quelle inestetiche tracce, sieche l'abitudine di mirare e n m i r a r e puö giungere a far passare per bello il brutto... in ispecie quando il soggetto e parte interessata in tale giudizio come. accade, appunto, a chi si guarda m a ' e r i a ^ e n t e nello specchio per ammirare o per ricercarvi ad ogni costo la propria simiglianza, sia pure a^la lont a r a , con Narciso. Se persino l'occhio non intercssato si abitua, guardando e tornando a guardare, al bello e persino (nelle stesse condizioni) si abitua al brutto, con quäle rapiditä l'occhio interessato trasformerä il proprio « b r u t t o » nel non brutto e persino nel beMo!
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2. • Ancora netla hice d d vero specchio. b) Le preoccuparioni morbbse. Ma guardarsi nello specchio — dicevamo — e gesto che puö att r a r r e l'attenzione non solo deglj psicologi, i quali potranno ricavar giudizio sulla vanitä in generale e sulla forza delle illusioni di chi tanto si serve dello specchio (oltre che su altri ben singolari caratteri, come vedrcmo) ma perfino degli psichiatri: basli pensare al cosi det» to « segno dello specchio » descritto — sia pure e6agerandone il significato — da qualchc osservatorc. 11 quäle, appunto, fermö l'attenzione su quelli che si guardano altentamente e ripetutamente nello specchio, quasi trascinati da idca ossessiva, per iscoprire nella propria immagine le possibili tracce di una lenta, nascosta e insidiosa malattia (1). Brutto segno, questo, non tanto perche mostra un certo stato di preoccupazione, di affanno e quasi di angoscia nel soggetto, quanto perche c6So costituirebbe il preannuncio della dcmenza precoce e perche si trova nei casi di psicastenia e in certi stati depressivi. Si tratta — come dalle primc notazioni psicliiatriche — di casi patologici che cadono in pieno dominio della psichiatria; tali notazioni 6ono basate su pochi casi ma, come e naturale, vi e tendenza ad allargare la cerchia delle applicazioni portandole non solo ai limiti del campo psichiatrico, ma anche nel tcrritorio di quella parte della psicologia che a tale limite e piü vicina: il «segno dello specchio», in altri termini, e considerato come rivelatore, se non di una demenza precoce in fieri, di alcune esscnziali note della personalitä o di speciali stati di coscienza. Tanto piü sintomatico tale segno), quando il soggetto non si lascia sfuggire l'occasione di contemplarsi e fare analisi della propria fisonomia o di alcuni punti di essa, o di atteggiamenti che questa puö prcndcre, anche quando, invece di adoperare un vero e proprio specchio, l'ansioso soggetto passa accanto a vetri o a superfici lucide nei quali o nelle quali possa riflcttersi la scrutata immagine. Sia pur detto, a semplice titolo di richiamo, che morbose preoccupazioni sullo stato della propria salute ii rivelano in ben altri modi che coi segno dello specchio e cioe, ora con le stranczzc e con le bizzarrie di cui e tanta ricchezza nel malato immaginario di Moliere, ora e soprattutto, (1) Si vcdano le comunicazioni del 18 luglio IS27 (P. A^ELY e del 25 febbraio 1929 (F. A. DELMAS) alla Societä medico psicologica di Parigi.
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•con l'accurato, ripetuto, insistente esame che il soggetto fa direttamente su questa o quella parte del proprio corpo (e con ricerche analoghe), tentando a ogni costo scoprire tracce del ncmico. In ogni modo, ci troviamo di fronte — con specchio o senza specchio — ad autocontemplazioni che costituiscono segni rivelatori della personalitä, o in particolare di alcuni stati psichici, come inquietudine, dubbi sulle proprie azioni o sulla propria personalitä... (P. Janetj. Non si esclude, poi, che il vero e proprio segno dello specchio, espressione di dubbio, di irrequietudine e anche di una specie di angoscia nei psicastenici e nei depressi, sia al tempo stesso espressione di un semplice fenomeno di auloammirazione e di autoerotismo, anche all'inizio della demenza precoce (A. Hesnard) ( I j . In italia, sul sopra dello segno fu scritto coi riassumere le ricerche or ora indicate e con singolare riavvicinamento tra il « segno dello specchio » e il fatto di compilare la propria autobiografia o la mania (o l'abitudine? o il proposito?] di scrivere il proprio diario. Si credette, quindi, di poter parlare di un «segno deH'autobiografia », come segue (2).
3. • Guardarsi nella propria autobiografia e nel proprio diario. Par si sostenga, cioe, che « quasi sempre colui che stende la propria biografia, sia psichicamente anormale»... appartenente, dunque, a quelle categorie di « anime clie hanno oltrepassalo i confini della hormalitä e della regolaritä ». E par 6i alluda, con ciö, tanto ai grandi autori di ricordi e confeseioni di ordine autobiografico, quanto agli anonimi, umili e insistenti redattori di un quotidiano diario in cui lo scrittore versa il conforto e lo sconforto delle proprie osservazioni e della minuta cronaca della sua piü o meno inutile vita. Che Cosa dire di ciö? Facciamo subito e innanzi tutto per nostro conto notare che anche l'autobiografia e i diari — oltre che come segno, preteso o no, di patologia o di anormalitä — possono in certo qual senso considerarsi (I) P. A B E L Y , Le signe du miroir dans les psychoses et plus specialemenl dans la demence precoce, negli «. Annales medico-psycfiologiques », Paris, Gennaio 1930. (2) R . B E T T I C A . G I O V A N N I N I , II segno delV autobiograf ia, nella « Gazzetta degli Ospedali e delle Cliniche », Milano, 1940, n. 26.
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come csprcssioni di autoconteniplazione e debbono perö essere menzionati in questa rassegna o denuncia delle autocontemplazioni che qui facciamo. Chi scrive di se, infatti, guarda se medesimo: «Nell'autobiografia, come nel diario, e lo specchio con la mia immagine. Uno specchio e una immagine da presentare tanto a me medesimo quanto agli altri >. Ciö detto, ammettiamo p u r e che tali gesti e documenti costituiscano un sintomo di alcuni non trascurabili caratteri della personalitä, ma e necessario — e ciö occorre precisare — ben distinguere. a) Tanti grandi e grandissimi scris6ero, giunti all'avanzato termine della propria vita, voltandosi indietro, le proprie memorie — confcssioni, autobiografie, ricordanze, ecc. — e alcuni tra essi, anzi, quotidianamente o quasi presero nota delle ore di ogni loro giornata (giornale, diario, ecc.). Sant'Agostino scrive le sue confessioni e cosi farä piü tardi il Petrarca, e piü tardi ancora il filosofo di Ginevra; dei propri ricordi, a cominciare dalla infanzia o quasi, faranno narrazione il Guicciardini, l'Alfieri, il Goldoni, il B'Azeglio; di tutto c i ö che vede e ode alla corte di Francia fa notazione Saint-Simon. Quasi ai nostri di, Stendhal consegnerä in disordinate, ma pur tanto attraenti, note le impressioni dei suoi vagabondaggi; Baudelaire segnerä note sue intime su fogli volanti dichiarando costituire esse il cuore suo messo a nudo... mentre preziose pagine di quotidiani ricordi scriveranno i de Goncourt e l'agitatissimo Kropotkine nel suo Autour d'une vie tesserä la smagliante storia della 6ua esistenza dalla prigionia alle perpetue e commosse agitazioni politiche. Qui puö dirsi: 6i tratta al tempo stesso di menti eccezionali (di tono superiore in piü, o proprie ai «caratteristici » superiori) e di autocontemplazione. Si comprende — da un lato — come anime che si sentono davvero e che davvero sono di eeeezione, anime le quali hanno coscienza di sentire in modo diverso e piü alto o piü in profonditä delle altre c di sapere ben vedere e descrivere — meglio di ogni altro spettatore e descrittore — le avventurosc scene della vita, siano portate a segnare lungo l'andare del tempo stesso le quotidiane e sempre colorite impressioni subiettive della propria mente e del proprio cuore o, quasi giunte al porto di arrivo, a ricvocare gli awenimenti del lungo ed eccezionale viaggio. L'uno c l'altro modo di notare e di narrare costituiscono, d'altro conto, oltre che i segni della eccezionalitä superiore di chi notö e scrisse, anche un processo psicologico di autocontemplaz'one; il viaggiatore si contcmpla, compiacendosi, negli episo» di e nelle scene del p r o p r i o viaggio e si vede attore della commedia
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o de] dramma e soprattutto come tale agli altri si mostra e cioe a coloro che leggeranno e presso i quali egli piü o meno volutamente deeidera mostrarsi... e talvolta giustificarsi. Da cui un De propria vita che e al tempo stesso autocontemplazionie e (come nello scritto autobiografico di Cardano sotto quei titolo) la propria apologia. In tutti i casi, l'Io guarda se stesso, il piü delle volte compiacendosi di se medesimo e rieavandone immagini piü o meno ritoccate da presentarsi al pubblico dei contemporanei e a quello che verrä poi. Anche qui, in un certo senso, l'uomo si ammira — e cerca farsi ammirare — nello specchio dell'autobiografia. Riguardo, poi, al probleina; quanto vi e di autentico e quanto di falso e di interpolato in una autobiografia (provenga essa da grandi, da piccoli e da umili, da normali e da anormali) non e il caso di qui parlarne avendo di ciö fatto cenno altrove (Criminologia, vol I, p. 414), ma e chiaro che tanto maggiore in quegli scritti e la voluta o incosciente interpolazione e tanto piü la autobiografia si trasforma in uno specchio in cui l'autore si guarda compiacentemente e cercä farsi ammirare. b) E che dire degli oscuri diari periodicamente e con tenace pazienza redatti in fine giornata da opache e anonime figure? Due ben diversi aspetti prendono tali oscuri diari (corrispondenti — diciamo subito — a due diversi tipi di personalitä): da un lato ecco diari che registrano con ansia e quasi tragica voluttä i diurni tormenti dell'anima (una povera anima!), mentre, dall'altro canto, diari si presentano che semplicemente fanno notazione, il piü delle volte aride e quasi notarili. dei piccoli e volgari avvenimenti della vita esterna. La prima categoria di diari e quella in cui e consegnata descrizione degli interni affanni, reali o immaginari; si fa quindi crudele autopsia psichica quotidiana di se medesimo rieavandone quasi diletto o conforto. Anche qui, autocontemplazione e segno di qualche eccczionalitä. Quanti, pur piccoli o pieeolissimi. si sentono irresistibilmente attratti a contemplare — per cosi dire — se medesimi giorno per giorno e quasi ora per ora, con lo scrivere ogni di minuzioso resoconto — in un quaderno da tenersi ben chiuso in un cassetto — di tutto ciö che la « mia persona » ha visto e, soprattutto, sentito, provato e sofferto! 11 quaderno — intimo e segrelo — diventa in tal caso l'amico confidente che. nell'aecogliere la confidenza nostra, solleva e conforta. Sen> bra che colui che scrive si liberi, per cosi dire, del proprio soffrire (reale o immaginario) o di una parte di esso coi consegnarlo fuori di se medesimo. Ci tTOviamo di fronte a diari insistentemente redatti. ora 5. •
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da giovani che entrati nell'etä pubere si inollrano in essa, ora da nevrotici (specie donne) e persino da mattoidi e da paranoici (ma in questi due ultimi casi il diario assume, cosi nel contenuto come nella grafia, particolarissime caratteristiche). Sempre, tuttavia, in tali casi il «segno», non diremo deH'autobiografia, ma del diario, e un sintomo. c) E ' pur da dirsi che anche in questa sorta di meticolosi d i a r i quotidiani in cui, piü che segnare gli avvenimenti esterni si segnano e si analizzano quelli interni, sentiti e contemplati come tempeste dell'anima, molte volte si scorgc una specie di quei morboso «segno dello specchio » di cui parlammo piü indietro inquantoche ancor qui l'autore del diario puö preoceuparsi della propria salute fisica con continui accenni a tale o tale altro malessere e piü ancora della sua salute psichica (affanni, irrequietczze, infelicitä e via dicendo). Invero, la «mania » autobiografica che si esprime coi diario segreto o in-, tirno, in ispec'e quello che trascrive i quotidiani affanni ingigantiti o addirittura creati dalla propria ipersensibilitä o dal proprio errato modo di vedere e sentire le cose, dei piccoli c dei piccolissimi, e uno spccialissimo modo di guardare se stessi, di trovarsi estremamente interessanti, di credersi e sentirsi realmente ccntro del mondo in cui viviamo, personaggio intorno a cui tutto gravita: u n dramma nel teatro dell'anima, di cui e opera di gran valore conservare documentazione. d) Vi e, dicevamo, una seconda categoria di oscuri e umili diari, Quella, cioe, in cui non si fa nota, quasi automaticamente, di ciö che accade dentro di noi per sofferenza, sorta in noi stessi (dubbi, stan^ cliezze, eredute persecuzioni) o per ferite a noi portate dagli attriti coi mondo esterno, ma in cui si fa nota soltanto dei minuti anhe volgari fatti della vita esferna. L'annotatorc registra ciö che nella sua qualitä di spcttatore — c anche di modesto attore o di semplice comparsa — lo svolgcrsi della giornata gli presenta, dairasciolvere mattutino alle inutili visite e alle altre inutili ore della giornata... Mp anche qui il ritenere di qualchc importanza e dcgno di registrazionc il succedersi di fatti che di per se stessi sono grigi e monotoni, ben mo6tra come quei fatti vengano visti e sentiti quali di seria importanza, collegati come sono alla persona di colui che scrive. Si prende, cioe, minuziosa cura della propria persona seguendola passo a passo attraverso il succedersi delle sue occupazioni si da segnare ogni suo pur fugace e scolorito gesto e si da trasformare « avventure » che non so-
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no tali, in una vera e propria storiografia. Non basta, che minuziosi c obiettivi diari di questo genere, con tutta l'ariditä e la precisione delle loro inutilitä, danno anche altri segni. Tra questi, lo spirito metodico, esigente, si dica pur pedantesco, concreto, pratico, lontano dalle astrazioni e dalle introspezioni, affacciato 6ulla vita esterna per guardarla (anche senza comprenderla), ma soprattutto — se non fac•ciamo errore — un certo stato di diffidenza, di timore o di sospetto, di avversione da parte di qualcuno o di qualche cosa: segnando con precisione giorno per giorno, infatti, ciö che accade e in ispecie ciö che accade riguardo alla mia persona, non avrö io un giorno modo di documentare, di giustificare, di controbattere — andando a cercare i fatti e le date del mio diario — nel caso in cui si ergano contro di me osservazioni o critiche, o debba da parte mia ricorrersi al controllo di asserzioni che sul mio conto si siano presentate?
4. - Ancora uno specchio: lo specchio d'acqua di Narciso. Diversi significati di «narcisismo». Dice qualche favola di quello specchio magico in cui chi vi si guarda si vede e si trova come desidererebbe essere — suprema felicitä «he rende ammiratori di se mcdesimi — e giä Narciso, chinandosi sull'aequa della fönte si innamorava delle sue proprie fattezze. Ora, non potrebbe forse dirsi che gli uomini, in generale (e or piü or meno), quando valutano la propria personalitä psichica, in ispecie mentale, si contemplano in uno di quegli specchi magici, ingannatori? O che, in certo qual senso, si trovino a essere come un Narciso (o una caricatura di Narciso) alla fönte? Chiameremo tale stato d'animo, assai generale, narcisismo — senza, tuttavia, che il contenuto di tale indicazione coincida proprio con quello che e dato dalla medesima parola da moderne vedute di psicologia e di psicopatologia — definendo e specificando per nostro conto. Vogliamo dire, cioe, che esiste un narcisismo puramente fisico o materiale e un narcisismo essenzialmente psichico dei quali possiamo dare i tratti come segue. a) Narcisismo
materiale.
II primo, maleYiale, va dalla semplice e quasi passiva contemplazione vanesia, con relativa autoadulazione, della propria immagine e
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de] proprio materiale essere. allo specchio, o direttamente su se medesimo (la mia mano non scnibra davvero quella, raffaellesca, della Fornarina?) a una contemplazione, ma questa volta piü o meno attiva,. sempre di se medesimi, che suscita e accompagna tale o tale altra manifestazione di autocompiacimento di ordine erotico. Si va, cioe, da quei vanesio narcisismo che abbiamo chiamato piü indietro « crepuscolare », al narcisismo crudamente ed essenzialmente sensuale. Gli psichiatri o, meglio, quelli tra essi che ebbero a Studiare le varie. forme di anormalitä e deviazioni psichiche sessuali, in ispecie acquisite e le forme affini o crepuscolari, piü volte parlarono di siffatti atteggiamenti di autoammirazione materiale, o autocompiacimento fisico che, accompagnandosi a manifestazioni di autoerotismo, o suggerendole, fissano per cosi dire l'associazione fra la materiale e attiva autocontemplazione e lo stato psichico prodotto dal soddisfacimento o pscudosoddisfacimento. Da cui la fissazione, o quasi, di quella condotta che e da considerarsi — ed e — come deviazione dalla « normal Non sarebbe difficile Cosa trovare accenni a tale fenomeno, almeno nelle 6ue forme iniziali c ancora sempliccmente contemplative, in qualche rapido tocco descrittivo da parte di artisti psicologi e conoscitori degli 06curi segreti del cuore umano: ricordare, tanto la gioconda e ingenua Dodü, byroniana, che si guarda allo specchio, proprio come fa la non ingenua Nana zoliana. M,a della forma narcisistica fisica materiale, quali ne siano il tono e le sfumature, non vogliamo qui parlare intendendo invece alludere a quei narcisismo che chiameremo psichico in contrapposizione, appunto. a quello fisico. per quanto analogie esistano tra le due categorie.. b), Narcisismo
psichico*
Una parola, innanzi tutto, sul narcisismo psichico in generale; diremo poi subito di quello che e proprio al Superuomo —• o preteso tale — da distiguersi tuttavia in due forme secondo che piü o meno elevata sia l'intelligenza del narcisista stesso. 1) II narcisismo psichico, nel suo piü generale aspetto, 6orge (come l'altro) da una ammirazione che l'individuo nutre amorosamtnte verso se medesimo; porta al compiacimento dell'autoammirazione T reca godimento — per cosi dire — intellettuale di se stessi e costituisce, infine, sempre come l'altro, una specie di miraggio illusorio che il soggetto scambia per la realtä o del quäle si contenta non po-
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tendo conquistare la realtä stessa. Si puö talvolta veder giusto, o si crede di veder giusto, quando si giudicano gli altri; ma e certo che si vede ingiusto quando giudichiamo noi stessi. Narcisismo, dunque, grazie airautocontemplazione e autoammirazione dei propri sentimenti e soprattutto della propria intelligenza; l'individuo, nei casi piüi accentuati, passa la propria vita come dinanzi a uno specchio in cui ammira l'immagine che esso stesso volutamente (e senza accorgersi di sbagliare) vi proietta. L'attcggiamento in questione e pressoche generale agli esseri umani per quanto si presenti or con piü forti tinte or con meno sensibili; ma puö anche in certi casi annullarsi — come ve-. dremo — per essere sostiluito dal suo contrario. E' atteggiamento pressoche generale, dicevamo, perche (tra l'altro) e dovuto in gran p a r t e a fatti psicologici fondamentali, costanti, di ordine universale, quäle il congenito e irresistibile senso del voler vivere, unito a quello del voler essere ammirato e del voler sovrastare e sopraffar gli altri. 2) Si e anche voluto intendere con l'indicazione di narcisismo non tanto, come abbiamo or detto, l'autovisione esagerata e anche piü che deformata delle proprie bellezze psichiche (non sempre ci si accorge delle proprie deformitä) quanto l'atteggiamento superegoistico dell'individuo, tutto assorbito nella cura esclusivamente egocentrica del proprio Io. Ma e natural Cosa che tale atteggiamento e tale angusta autovisione, tutta chiusa nell'ambito personale — sino all'ostilitä verso il mondo esterno — siano una derivazione, ora piü ora meno accentuata, del processo psichico consistente nella sopravalutazione di se medesimo. In tali casi il Superegoista o il Superuomo 6i vede grande e grandissimo nel proprio spccchio... mentre, per contro, suggeriva l'etica more geometrico demonstrata di Spinoza: « quegli e veramente grande che e piccolo ai propri occhi » (I, 3,6). Come che sia, narcisismo psichico nelle sue forme piü accentuate porta a risultati — figure, atteggiamenti, condotta — che variano secondo il grado intellettuale dell'individuo presso cui esso agisce. Quanti sciocchi, specchiandosi nell'ormai ben noto — da lontano, perö, e per sentito dire, o frutto mal digerito di mal fatta lettura — tipo del Superuomo, innalzano la loro scioccheria sino a crcdersi Zarathustra! Riescono benissimo, costoro, a immaginarsi in che Cosa il loro Superuomo (autovisione) si d.istingua dall'uomo, ma per nulla si accorgono in che Cosa esso coincida con la bestia. E ciö — conveniamone — per fortuna loro, che lieti sono di tanta illusione... c anche (possiamo aggiungere) per fortuna di chi, guardandoli, trova uno di quei motivi
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di sorridere che mai bisogna lasciarsi sfuggire. Viene in mente la favola di Lessing in cui si dice dell'oca e del cigno; bianchissime le penne dell'oca, rivaleggianti con la neve dianzi caduta... Si insuperbisce (anche l'oca si guarda nello specchio... anzi, p i ü l'oca e tale e p i ü nello specchio si guarda e si compiace) credendo davvero essere cigno. M/a, per suo scomo, rimane oca. 3) Peggio, o quasi, se il narcisismo si sviluppa su un fondo ove e intelligcnza (dircmo meglio: abilitä, cioe a dire forma spuria, sebbene efficace, dell'intelligenza), che questa centuplica il potere... e gli errori dell'autovisione narcisistica. Inoltre, tali casi si accompagnano di solito con ottusitä di senso morale, il quäle puö essere anche del tutto assente. Sicche il narcisisla di tal genere si contrassegna con le due ben ciliare caratteristiche seguenti. Da un lato, egli crede che la propria intelligenza — il p i ü delle volte unilaterale — lo collochi sopra il restante genere umano e che tutti gli uomin? siano ottenebrati dall'ignoranza, meno uno solo: lui; egli crede, anzi t che l'Universo intero s.ia un colossale e r r o r e al cui centro, tu.tavia, esiste l'eccezion e ; lui. Amico lettore, non Ii e dato, purlroppo, aver da fare con esseri siffatti? D'altro lato, grazie a quei difetto o a quella cecitä del senso morale di cui sopra, il tipo di narcisista di cui facciamo cenno e da collocarsi nettamente, per il suo sentire e il suo agire, tra gli antisociali; capace di ricorrere a ogni arma insidiosa o no — per far valere e imporre il proprio narcisismo — e assistito in tale opera da quei senso di crudeltä, con diletto in essa, che si accompagna di solito al difetto di senso morale, la sua fisonomia va di pieno diritto a prendere posto t r a quelle dei « malfattori » che si distinguono dai volgari delinquenti perche mai cadcno nel carcere, soccorsi (come sono) dalla propria abilitä. Mentre i narcisisti della prima maniera — gli sciocchi — possono in pratica non solo essere innocui e mai ottenere successo fa meno che tale non sia reputata la comicitä o la sopportazione che essi suscitano), i secondi possono, per contro, largamente godere di quei successo che e negato ai fratelli loro minori. E ' facile comprendere di ciö la ragione. L'intelligenza di questi ultimi, anche se parziale, e l'abilitä loro possono facilmente illudere il grosso pubblico, mentre le note arti del malfattore — in essi ben chiare — incutono quei timore che rende gli uomini che a lui stanno intorno. cauti e ossequiosi (per non adoperare altre parole e cioe: servi e vili). Invero, chi conta qualcosa quaggiü? Chi incute rispetto? Siffatte interrogazioni si volgeva un celebre maneggiatore del sarcasmo, e rispondeva i
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«Soltanto colui che ha potere di far male a l t r u i » . Dal che deriva, appunto, il grande successo dei narcisisti appartenenti al tipo di cui stiamo delineando i contorni senza davvero caricarne le tinte. Narcisismo, dunque, fatto generale dell'animo umano, ma — secondo questa o quella caratteristica propria alla costituzione psichica di tale o tal altro individuo — piü accentuäto in alcuni, meno in altri. Le due categorie su cui ci siamo fermati aggruppano casi estremi: il babbeo e l'intrigante. Due personaggi di primissimo ordine nella Seena del mondo. c) Narcisismo penso ».
quäle reazione di «com.
A proposito di questo «narcisismo » di cui andiamo parlando, non sarebbe da dimenticare la singolare — e in qualche parte accettabile — veduta di Alfredo Adler che presenta alcune speciali interpetrazioni del « complesso di superioritä » in cui possono cadere singoli individui. Come si sa, il «senso di inferioritä » era stato indicato e descritto — con largo sviluppo romunzcsco — da Stendhal nel suo Le rouge et le noir in cui il giovar.e Julien Sorel si dä alla conquista di Madame de Renal, non giä perche effettivamente sia egli invaghito di quella donna, ma per liberarsi, grazie al successo ottenuto con quella conquista, da un pauroso senso di incapacitä e di inferioritä che lo opprimeva. Senso di inferioritä che diventa, si noti bene, dinamico in quanto sospinge chi ne e vittima a trovare come che sia un modo di liberazione. Ora. il nostro Adler, indipendentemente — senza dubbio — da quei precedtnie, parlendo dal concetto (da discutersi, tutlavia) che ogni umano essere porta seco in sin dall'infanzia il senso di qualche propria inferioritä dovuta a cause fisiche o sociali o, anche, cosmiche, tende con sorprendente minuzia a mostrare che ogni essere umano, per l'appunto, tentando di liberarsi da tale serso di inferioritä, cerca con vari mezzi un « compenso » a tale stato di 6offerenza, compenso che — come dice la parola — ha da servire a controbilanciare non solo, ma sopprimere e superare, quePa pena. Tra i quali compensi sarebbe proprio un complesso rarcisistico di superioritä. E ' noto che i mezzi in questione. descritti dal Nostro, sono molteplicj e deriverebbero in gran parte dal'e difficoltä o dagli incoraggiamenti che nel suo mondo l'individuo ircontra per rea'izzare il desiderato « c o m p e n s o » ; ne segue che alcuni di tali «compensi» esaltano l'individuo. ne innalzano la vitalilä e attivitä rendendo persino l'indivi-
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duo stesso utile al gruppo cui appartiene, laddove altri di tali compensi agiscono, in senso contrario ai precedenti, rinchiudendo (per cosi dire) l'individuo in se stesso: costui allora cerca compenso, sia nello stato di indifferenza, sia in quello di isolamento, sia infine nella creazione di una incontrastata credenza nella propria superioritä... Superioritä fittizia, fa notare l'autore della dottrina. Non si puö escludere, davvero, che in questo o quei caso di narcisismo si tratti proprio di una reazione al proprio senso di inferioritä, ma e immediatamente da aggiungersi — se non facciamo errore — che il narcisismo psichico, come poco sopra dicemmo, £ generale fenomeno automatico, di per se stante, istintivo, per quanto non sia esso necessariamrnte collegato a un precedente senso di inferioritä e per quanto, talvolta, si diano individui che — ai liiniti della psicopatologia — siano affatto privi di tale senso cadendo invcce, e permanentemente, in uno stato di autodenigrazione e di depressione. Come che sia, proveniente o no da un senso di inferioritä iniziale, sempre resta inteso costituire il narcisismo uno stato di autocontemplazione che serve di autocompiacimento e anche di autodifesa al tempo stesso. d) II narcisismo
dei gruppi
sociali.
Chi ama — come colui che scrive — ravvicinare la psicologia e i motivi dell'individuo a quella e a quelli che muovono (checche ne dicano certi sociologi) i gruppi sociali, poträ una volta piü notare una singolare coincidenza. II gruppo sociale, o etnico che sia, non si mira anch'esso, il piü delle volte, alla fönte — come Narciso — o in uno specchio piü o meno fedele e piü o meno artefatto, nel quäle esso am-i mira le proprie sembianze? Volgendosi indietro a contemplare la propria Storia e le proprie cronache, in quelle si compiace poiche e l'una e le altre — abilmente preparate e restaurate di mano in mano che occorre tramandarle ai posteri —• magnificano virtü e gesta del gruppo stesso, e quelle festose immagini, ognor ritoccate perche ne rimangano vivi i colori, sempre gli stanno dinanzi agli occhi. D'altra parte, il gruppo — come l'individuo — animato da volontä di vivere e di egoistico amore verso se stesso, come l'individuo, si crede sempre dotato di qualitä e di capacitä superiori a quelle ch'esso ha effettivamente: il gruppo e vanitoso e ambizioso, oltre che sicuro di tutto saper compiere meglio degli altri, proprio come il narcisista; esso crea a 6e medesimo, per conseguenza, una propria immagine la quäle in ul-
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tirna analisi, altro non e se non la falsificaizione risultante dallo specchio magico in cui il gruppo si mira e si dipinge. Nascono per tal modo, da siffatto narcisismo di gruppo e da siffatte autocontemplazioni, quelle strabilianti vanterie che ogni gruppo fa di se medesimo e per le quali — nell'Umanitä intera — ogni gruppo o ogni popolo... cammina alla testa degli altri. Significatissima, a tale proposito, e la leggenda della creazione dell'uomo narrata, da qualche tribjj di uomini dalla pelle color di rame: il Creatore, avendo impastato figura umana e avendola posta in forno, la ritrasse nera e bruciata... Getto il mal riuscito manufatto. II secondo impasto, messo al forno a sua volta, ne f u troppo presto tirato fuori e si moströ mal cotto e ancor bianco. Fu mandato, con disprezzo, a raggiungere il nero. Non si commise errore la terza volta, poiche l'infornata dette, al momento opportuno, un e•semplare umano cotto a punto e cioe di un bei colore rame. Ogni gruppo, ogni popolo, si vede — nel proprio specchio — di perfette fatlezze, piü « bello » degli altri e narcisisticamente se ne compiace. Tutti viviamo — uomini e gruppi — di illusioni. Speciale aspetto del narcisismo di gruppo risulta allorche il .gruppo stesso, essendo stato realmente una volta piü « bello » degli altri, ma avendo poi perduto quella bellezza, crede ancora — guardandosi in quello specchio che esso stesso compone con le sue mani e si pone dinanzi agli occhi — possedere le antiche fattezze. Quei che accade, come vedemmo, per la giovane beltä che si ammira nello specchio e che, tutti i giorni ammirandosi, non si accorge — con l'andar del tempo — che i suoi tratti sfioriscono e quasi appar lo scheletro, p u r accade per il gruppo sociale, o etnico che sia, di cui e vanto l'originaria bellezza. P u ö esso invecchiare e possono a una a una apparire le rughe nel volto, e puö a poco a poco scomparire ogni primitivo splendore; anzi, puö da tempo moltissimo essersi ottenebrata quella luce del viso, ma il gruppo — quotidianamente guardandosi nello specc h i o — sempre vede come nei primi di quella ormai cancellata bei-' lezza. Crede esser tuttora vivo e possente, o capace di fare, ma e morto o? per lo meno, riposa nel sonno... sino a che — e anche ciö puö acc a d e r e — non si 6veglierä per risorgere.
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5. - « Bovarismo » o confemplazione « bovarista » di se medesimo e della vita. Si e anche talora parlato, cosi da parte di psicologi come di sociologi, di un modo di considerare e di contemplare se medesimi — con tutte le conseguenze che ne derivano — che fu chiamato « bovarismo » e che, cosi come fu presentato, potrebbe rientrare nel quadro che andiamo disegnando di autocontemplazioni. Si indicö, cioe, coi nome di bovarismo quello stato d'animo per il quäle l'individuo si crede appartenente, per dignitä ed eccezionalita della propria natura, a un mondo romanzesco ed eroico; chi cosi vede se stesso, si crede quindi destinato ad assai piü alta sorte di quella cui purtroppo e stretto. Le finzioni nelle quali l'anima « bovarista » si immerge sono di immaginosa fattura romanzesca, sentimentale, avventurosa e in quelle fineioni il soggetto vede se medesimo principale personaggio ed eroe ; di solito, siffatti modi di vedere se medesimo sono offerti da giovani donne piü spesso sognanti che attendenti alle eure della vita. Proprio come accadde a Madame Bovary nei primi anni della sua gioventü e a qualche giovane tipo femminile, precedente la figura flauhertiana, creato dal romanzo realista e cioe come accade alla giovane Modeste Mignon di Balzac. a) Concetto e denominazione; bovarismo benefico e bovarismo malejico. Invero, il concetto e la denominazione di « bovarysme » si devono a quei J. de Gaultier che molti anni or sono dava alle stampe un suo volume sotto il titolo, appunto: Le bovarysme (Paris, 1908), volume che sembrava dimenticato — almeno tra noi — e che oggi viene riesumato in edizione italiana come una novitä; ai tempi della sua apparizione, l'autore delle presenti pagine ebbe occasione di scrivere — a proposito di quei libro — di quei concetto e di quella denominazione, con osservazioni e glosse di cui qui ricordiamo il senso (1). Dopo aver ricordato il singolare carattere di Madame Bovary la quäle aveva ( 1 ) A . N I C E F O R O , Parigi, una cittä rinnovata, Torino, 1 9 1 1 , pag. 4 5 2 e segg. nelle quali abbiamo riprodotto alcune nostre osservazioni, preeedentemente pubblicate, sul « bovarismo ».
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la passione di sentirsi diversa c piü romanzesca di quei che era, e aver fatto notare che « concepirsi diversi e piü alti che si e, costituisce u n a forza comune agli individui e alle collettivitä », indicavamo come fosse a tale proposito da parlarsi della potenza suggestionatrice che hanno, tanto la menzogna (il « bovarismo » e una menzogna che l'individuo crea a se stesso), quanto i grandi miti (menzogne che i gruppi creano a se stessi per ammirare la propria superioritä e i progressivi loro destini) e insistevamo infine su una dislinzione tra «bovarismo benefico e bovarismo malefico». lsolati individui e gruppi sociali, infatti, possono ben suggestionare se medesimi coi credersi Eroi cui e riserbato avvenire di gloria e di potenza e ciö puö in taluni casi sorreggere, sospingere, incitare il viandanle — individuo o gruppo che sia — lungo la strada penosa della vita o della Storia... ma — osservavamo — l'agnello avrä un bei crearsi il « bovarismo » di essere un l e o n e : cadrä sotto l'unghia della fiera (ci preoccupavamo, allora, essenzialmente del « bovarismo » dei gruppi). Perciö, « quando l'ideale da copiare e che il gruppo prefisse a se stesso come meta, e troppo dissimile dalla mentalitä, dalla qualilä, dalla composizione fisica e psichica del gruppo stesso, lo sforzo verso la realizzazione della menzogna non poträ essere che dannoso e condurre al suicidio». In altri termir.i, si pensi all'antica favola: in prato quodam rana ccnspexit bovem, antica favola che narra, come ognun sa, della raiiocchia che volle imitare il bue e che tanto male fini per la ranocchia. «II bovarismo che crea un ideale troppo dissimile e troppo cccentrico dal tipo medio del gruppo e velenoso e mortale; benefico, invece, poträ essere quei bovarismo sociale e anche individuale che agita davanti alla commossa mente del gruppo un ideale e un voler essere che, anche essendo il frutto di una fantaslica concczione dello spirito (diciamo p u r e : una menzogna), rispondono al tipo, alla psiche, alla costituzione biopsichica, al passato, del gruppo stesso... sempre che non vi sia troppo profondo abisso e contrasto tra ciö che si crede essere e ciö che realmente si e » . A proposito di quanto diciamo sopra, tuttavia, vi sarebbe da fare speciale notazione alla osservazione or indicata, riguardante il «bovarismo benefico » (in ispecie dei gruppi). Benefico, senza dubbio, ma per chi? II gruppo, sospinto dalla forza incitatrice di una bella menzogna. riesce a trovare forze e fiducia in se stesso. lä dove altri gruppi, meno « bovaristici » di lui o creatori di un « bovarismo » che mal loro si attaglia, cadono feriti; ma la vittoria dovuta al bovarismo benefico non e, in ultima ar.alisi, che di profitto al gruppo stesso e non all'in-
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tera Societä di cui il gruppo fa parte o di cui dovrebbe — umanamcnte parlando — far parte. Si tratta sempre di un beneficio che va a scapito di altri; beneficio sc guardo da questa parte della barricata, maleficio se guardo dalla parte opposta. b) I personaggi bert.
bovaristici
di
Flau-
Che Gustave Flaubert abbia servito di ispirazione al concetto e alla denominazione di «bovarismo » non e fatto di cui ci si possa meravjgliare quando si pensi che la caratteristica di far figurare e creare personaggi i quali si sentono ben diversi da ciö che sono e di gran lunga superiori alle povere facoltä mentali e sentimentali che essi posseggono e di farli poi muovere romanticamente attraverso gli scenari del mondo ricavando, infine, delusioni e tragedie dal contrasto tra l'essere e il volere essere, e caratteristica propria dei personaggi flauberliani. Si ricordino di Madame Bovary i sostanziali tratti psicologici: creatura in cui una malata immaginazione lavora (giudicherebbe uno psicologo dei nostri di) sul fondo di una povera e quasi nulla intelligenza e forse di debilitä mentale, associata a scarsa sensibilitä morale: si era essa veduta — nell'epoca delle infantili fantast.icherie, normali alla prima etä — in una capanna di bambü accanto al mare, come giä quella di Paolo e Virginia, ma piü tardi — persistendo in quello stato d'animo — si smarriva in ascoltare i lamenti delle malinconie romantiche che si ripetono in tutti gli echi della terra e del cielo leggendo Chateaubriand e immedesimandosi nei personaggi di quelle letture (cap. VI). P i ü in lä, ancora continna e6sa a vivere nel mondo di romanzi d'avventure sognando di essere una delle eroine di quelle favole e creandosi pietoso culto per le grandi donne infelici del romanzo e della storia, cui sono rivolti i suoi sogni (cap. IX). Si vedeva e si autocontemplava deliziosamente tra gli ambasciatori e le duchesse, allontanandosi per tal modo dalla vita prosaica che l'attediava: « P i ü le cose le erano vicino, p i ü il suo pensiero s'allontanava da loro; tutto ciö che la circondava piü da presso (compagnia noiosa, piccoli borghesi sciocchi, mediocritä dell'esistenza) le sembrava un'eccezione del mondo, qualche Cosa di particolare in cui ella si trovava presa, mentre al di lä si distendeva, aH'infinito, il paese immenso delle felicitä e delle passioni; cercava sempre in lontananza qualche bianca vela fra le nebbie dell'orizzonle » (cap. IX). A poco a poco, co6i, si
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m e t t e essa in urto con la r e a l t ä e con chi — espressione di quella volg a r e realtä — le sta daccanto. I n f a t t i , venuto il giorno in cui alla vita di fanciulla era subentrata quella m a t r i m o n i a l e , vicino al semplice, modesto e povero medico condotto, non pote a m m e t t e r e che quella calma costiluisse la felicitä sognata. Aveva accanto a se un u o m o come gli a l t r i e vestito come gli a l t r i , invece di un cavaliere dal m a n tello di velluto e la p i u m a al cappello. d o n d e una malinconia per il contrasto tra il sogno e la realtä (cap. VII). C o n t i n u a m e n t e u r t a t a dalla prosa, che essa non comprendeva, della vita quotidiana, sente tutto il l a m e n t o « della sua vita f r e d d a come una soffitta la cui finestra e al n o r d , m e n t r e la noia, ragno silenzioso, f i l a nell'ombra la t e l a , in tutti i posti del suo cuore » (cap. VlII). Nel bei mezzo della volgar i t ä quotidiana (quäle a lei a p p a r e ) va sempre coi p e n s i e r o al m o n d o romantico e c h i u d e n d o le p a l p e b r e vede paesi e personaggi incantati. P e r vero, p o t r e b b e anche di questa d o n n a dirsi, vivente in un m o n d o fantastico creato dalla sua fantasia, che essa vede se stessa in quei mondo, p r e n d e p a r t e alle piü avventurose vicende e si contempla in q u e l l a vita; continua e fantasniagorica autocontemplazione! Se la disgraziata dama di cui sopra p r e s e n t a in altorilievo i caratt e r i di un « bovarismo » p i ü o m e n o patologico, non e detto che altri personaggi — in altre narrazioni — creati da F l a u b e r t siano privi di tale carattere. Davvero, che Cosa e R e g i m b a r d ne L'education sentimentale, uomo da nulla, ma che p u r si crede segnato dalla genialitä politica e militare, se non un vero e p r o p r i o « bovarista »? E che Cosa e, ancora, P e l l e r i n , altro uomo da n u l l a , ma che p u r si crede artista di eeeezione se non — anche lui — un bovarista di p r i m o ordine? P r o p r i o come quei Delmar, sempre uscito dalla fantasia o, meglio, dallo s p i r i t o o6Servatore di F l a u b e r t , che nella vita fa il commediante, il politicante e l ' u m a n i t a r i o d c c l a m a t o r e al t e m p o 6tesso, p u r essendo volgarissimo attore da palcoscenico di i n f i m o grado.,. Altrettanti f r u t t i secchi (come pensava lo stc6so F l a u b e r t ) su un a l b e r o — p o t r e m o noi aggiungere — di cartapesta. E ' vero — notiamo ancor questo — che p e r F l a u b e r t i personaggi d i cui sopra, in ispecie M a d a m e Bovary, a p p a r t e n g o n o piü al mondo della patologia mentale che alla normalitä c o r r e n t e ; ma e p u r vero .— come p i ü volte avremo occasione di vedere e come giä a l t r o v e avemmo occasione di far osservare — che la psicopatologia grandement e aiuta lo studioso a meglio conoscere i vari aspetti della psicologia n o r m a l e i quali — attraverso la lente di i n g r a n d i m e n t o della patolo-
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gia — si mostrano piü facilmente visibili; ogni categoria psicopatologica ha la sua corrispondente tinta, attenuata, in una categoria psicologica. Nc segue che il « bovarismo » patologico dei personaggi flaubeitiani ci aiula a comprendero l'innegabile suo riscontro in quei «bovarismo» attenuato che e comune alla psicologia umile e corrente di tanti e tanti ignoti. Djiremo di piü, ripetendo concetto piü volte esposto da chi scrive e che ancor qui piü volte avremo occasione di presentare: se la psicopatologia a noi serve per mettere in rilievo la psicologia di tale o tale altro individuo e i fatti psicologici in generale, occorre ben sapere che la psicologia e la psicopatologia individuale servono a ben farci comprendere i motivi di azione dei gruppi sociali e quindi l'attivitä dei gruppi stessi. Non abbiamo forse visto, come possa pur parlarsi di un « bovarismo » (benefico o malefico) dei gruppi sociali? c) Bovarismo
e
narcisismo.
Definito come sopra, il «bovarismo» si avvicina al narcisismo giä descritto, e per alcuni tratti coincide con esso poiche anche qui l'individuo (sognando di essere ben altro di ciö che esso e, e superiore e degno di vivere in mondo ben diverso da quello volgare che lo circonda...) si specchia alla fönte vedendosi vivere e muovere in un ronvanzesco mondo di eroi alla cui nobiltä la sua persona e degna di partecipare. Ma pur vi sono, nel quadro diun « bovarismo » profilato come si e detto, tratti e punti di non coincidenza coi vero e proprio narcisismo e coi vero e proprio fenomeno dell'autocontemplazione. Mentre il «bovarista» nello specchio delle sue illusioni vede se stesso alla pari con i filtizi eroi dei suoi romanzi e delle sue infantili aspirazioni, il vero narcisista si vede non alla pari, ma di gran lunga sopra gli altri; il primo aspira ad essere ciö che non e, mentre il secondo crede essere ciö che e. Ma, soprattutto, mentre il narcisista, sempre illuso nel suo errore non sente, in ultima analisi, il disgusto o il dolore suscitati necessariamente dal contrasto tra ciö che egli crede essere, o desidera, e ciö che e o che avviene, il bovarista — come Madame Bovary — per contro, dopo e durante la sue fantasticherie (siano pur esse a fondo narcisistico complicato con qualche debilitä mentale), cade e permane nel disgusto e nel dolore. Mentre, cioe, Narciso contemplando se stesso sempre e supremamente si trova in istato di
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soddisfazione per il piaeere ehe gli dä la visione del proprio volto, fisico o psichico, chi e toccato dal « bovarismo » puö< sentire a un certo momento, invece di un sia pure illusorio compiacimento, un senso continuo di disagio, di pena, di dolore, per il contrasto con la vita! Ingannato dal mondo di miraggi nel quäle egli si sente attratto, si trova persino a sottovalutare la realtä della vita in ciö che essa puö pure avere d i alto e nobile e sempre piü, per ciö, si sente lontano da essa e sempre piü avverte il dolore portato da tale dissenso.
6. - Identificarsi con un modello reale: mimetismo psichico. Le v&rse sorta di «modefK»
(indi-
vidui e gruppi sociali). Si potrebbe pur far rientrare, almeno parzialmente, nei modi di autocontemplazione, quei particolaie modo di contemplare — sempre coi piü vivo compiacimento — se stesso che consiste nel tener continuamente fisso l'occhio sul proprio Io... ma trasformato in quello di un determinato modello che l'individuo ammira e desidera, come puö, copiare. L'Io si vede ingigantito e trasformato come l'altro, un Altro che. bene inteso, ha le grandi linee della superioritä, della potenza e persino dell'Eroe, almeno agli occhi — talvolta ciechi — di chi contempla tali modelli. « Io voglio essere l'Altro... » e continuamente egli si vede agire come altro. Nel caso del «bovarismo» l'individuo non si immedesima o identifica con tale o tale altro modello ben specificato; qui, invece, il modello copiato e preciso e ben definito: si tratta di un determinato personaggio realmente esistente o esistito, o di celebre e ben precisa figura di romanzo. Si passano, dapprima, lunghi momenti di oblio e di contemplazione nell'ammirare quei tipo ideale o che tale sembra essere, e poi nel fingere di essere quegli stesso che tanto seduce, perdendosi e smarrendosi a immaginare le sue gesta che, al tempo stesso, diventano quelle del soggetto sognantc e imitante. Poi, di fatto, nei gesti della vita pratica si cerca di ripetere quelli del sogno, il piü delle volte senza accorgersi che si tratta non tanto di una ripetizione quanto di una caricatura del gesto stesso. II processo in questione suoi presentarsi piü frequentemente nei bimbi e nelle giovani etä; permane oltre quelle etä con una « lunghezza d ' o n d a » (come mostrarono gli psicologi che particolarmente ebbero a studiare l'identificazione; C. G. Jung) o periodo di tempo, che varia
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da individuo a individuo secondo il grado di passivitä dell'individuo stesso. Chi guarda da vicino, in ispecie da fuori, tale processo di immpdesimazione o di identificazione in un tipo ideale, ben si accorge quanto siano diversi e di diverso valore i « modelli » prescelti in tale opera di ricopiatura e quanto sia frequente l'errore di coloro i quali, credendo aver sott'occhio quäle modello un Apollo o un Gigante, copiano, per contro, un Quasimodo o un nano... senza accorgersi dell'equivoco in cui sono caduti. Puö, d'altra parte, vedersi il modello da imitare e in cui trasformare se stessi, per piacere a se stessi e agli altri, persino in certe persone che sono colpite da « interessanti » malattie e ciö vale non solo per la giovane che si crea come ideale il pallore, la malinconia e la tisi lenta e romanzesca, ma anche per coloro che si lasciano attrarre dalla suggestione di altra sorta di mali, tanto che qualche psichiatra ritiene essere certi malesseri infantili il risultato della identificazione del fanciullo con un parente o con una persona amata presentante tali caratteri. II processo psichico della identificazione, infatti, puö formarsi su un quadro ehe e fatto non (anto di ammirazione quanto di affetto: di lui per lei e anche di lei per lui; e anche di lei per lei; e della sorella per il fratello; e dpi figli per la madre... Puö, inoltre, nel bimbo o nel giovane (quelle sono le etä in cui piü forte si affaccia e puö imporsi il fatto della immedesimazione in un personaggio ammirato. da cui la compiacente auto« contemplazione di se medesimi) puö, inoltre — dicevamo — nel bimbo o nel giovane destare suggerimento di copia. con carica effettiva, cosi la modesta ma imperante figura del pedagogo, o del povero guitto apparso sul palcoscenico della piazza. accanto al saltimbanco, come la figura dell'attore piü noto e fortunato moventesi sullo schermo einematografico o come, ancora e meglio, quello dell'eroe di avventure e di battaglie, fossero pur fattc di favole e di imposture (anzi!) simili a quelle narrate da Simbad il marinaio o dal paladino Orlando. Da che Cosa proviene la scelta del modello? Se in parte puö essa semplicemente provenire dalla congiuntura e dalle esterne e casuali vicende della vita, e data in parte non piccola dalle congenite qualitä psichiche del bimbo o del giovane e da quelle — inoltre — che particolarmente si affermano per necessitä di evoluzione biologica individuale nelle prime etä della vita: quasi ogni bimbo o giovane. ad esempio, passa attraverso il periodo che potrebbesi chiamare del Robinson immaginandosi di correre, come il modello. di avven-
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tura in avventura, ma tale immedesirnazione psjchica non si scolora forse e scompare con la trasformazione biologica del giovane in uomo? D'altra parte, inutile rammentare che anche il processo psichico di cui facciamo cenno per l'individuo, puö dirsi presentarsi anche presso questo o quei gruppo sociale ed etnico. Anche per i gruppi puö accadere, come per gli isolati individui, e p r o p r i o in certi momenti della loro vita, che si formi una tendenza imitativa verso un modello e che il gruppo stesso per conseguenza si veda e si contempli con compiacimento agire e recitare sotto una maschera che rappresenti un viso altrui. L'imitazione puö essere, staremmo p e r dire, orizzontale (nello spazio o nel tempo) e verticale (in ascesa o in discesa). Copiare, da p a r t e di un popolo, usi e costumanze di un altro popolo che gli sta vicino e che esso prende per modello credendo acquistarne le caratteristiche e potergli rassomigliare in ispirito come cerca rassomigliargli nelle pitture del viso, e procedere per imlitazione orizzontale attraverso lo spazio. Camuffarsi, invece, con paramenti e tratti propri a qualche passato e grande popolo oramai scomparso, sperando poter rivivere vita gloriosa come quella del popolo che fu, e procedere ancora per imitazione orizzontale, ma attraverso il tempo. Invece, allora che gruppi sociali abitanti gli strati Lnferiori della Societä tentano travestirsi con i colori, i gesti, le costumanze degli invidiati esseri che la fortuna — come essi dicono — pose ai fastigi dell'edificio sociale, (tuttavia, e proprio il caso di ripetere... che l'abito non fa il monaco) l'imitazione e verticale, dal basso in alto: e fatto costante che certe mode, materiali e non materiali, create e lanciate da chi si muove nei piü alti gradini della scala sociale, passano a poco a poco sui gradini inferiorj, attratte da un processo di imitazione; quando il passaggio si e fatto in modo completo, o quasi, e quando l'imitatore ha copiato in tante parti il modello, questo si mette alla ricerca e alla creazione di nuove mode, materiali e non materiali, per differenziare ancora una volta Se stesso, anche in ciö, dagli imitatori sottostanti. Ma p u r si da. per contro e per quanto piü raramente e sporadicamente, una imitazione verticale la quäle va dall'alto in basso, in questo senso che gruppi di soggetti appartenenti a strati sociali detti privilegiati amano assumere qualche tratto — tale o tale altro particolare dell'abbigliamento, del gesto e, soprattutto, del modo di parlare — che e proprio ai tratti, alle costumanze, al linguaggio, delle classi inferiori e persino di quelle che vivono, o dovrebbero vivere, ai margini della Societä o fuori di eS6a. E ' una specie di «in-
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eanagliamento » po9ticcio, di falsa lega, la cui ostentazione e ritenuta costituire un carattere di originalitä geniale... o di debilitä mentale, secondo l'angolo visuale da cui ci si ponga per emettere uno dei due indicati giudizi.
7. - Lo specchio deformante. Masochismo morale depressiv©. Scrivevamo altrove — veniamo ora ad un altro modo di autocontemplazione — che se magici specchi procurano la piü viva, per quanto illusoria, gioia di f a r e vedere bello chi vi si guarda e chi non puö vantarsi di tale qualitä, altri specchi, per contro, deturpano e deforrriano. Vien fatto di pensare a quei breve poema byroniano in cui Amaldo — un Narciso alla rovescia — guardandosi nello specchio di acqua di una fontana si ritraeva con orrore : « Le acque m,i Schern iscono per la mia orrida forma che sembra quella di un Satana posto a fondo per impedire agli armenti di venire a dissetarsi » (II deforme trasformato, parte I, 6Cena I). Nel caso di cui ora parliamo (specchio deformante e deturpante), il fratello spurio di Narciso par si diletti — chi mai ciö direbbe, ma la Cosa sta proprio in tal modo — dei propri difetti, anche se non esistenti. Gioia dell'umiliazione, primo albore di una sorta di autodenigrazione che dä diletto: « P i ü guardo me stesso in ogni parte storpio e malconcio, e p i ü mi compiaccio di tanta infer. mitä ». Atteggiamento psichico di tal genere, sebbene non di tanta frequenza come sono gli atteggiamenti infino a ora passati in rassegna, di carattere piuttosto anormale, deve p u r trovar posto nell'illustrato elenco che andiamo facendo. L'individuo qui si autodenigra, proclama a se stesso la sua piccoleziza, il suo mancare di forze, la sua nullitä, il buio di ogni suo avvenire; si vede e si contempla di continuo umiliato, privo di ogni fiducia in se stesso, e in quell'autocon-* templazione sembra provare specialiss.imo godimento. Semplice. per quanto oscura, forma di masochismo! Amore, cioe — come si definisce tale algofilia — per l'umiliazione e per il dolore passivo, umiliazione e dolore che, in determinate condizioni, alcuni individui si fanno infliggere da altri e che in tal guisa preparano determinate soddisfazioni psichiche e materiali, le esaltano e le accompagnano; al che si giunge attraverso i piü vari inetodi c le piü varic pratiche che vanno dalla semplice umiliazione prodotta dall'ingiuria, ai maltrattamenti piü strani, compresa la flagellazione. Nei casi, tuttavia. di autocontemplazione « masochista » di cui discorriamo, a tutto ciö non si giunge; la « fla-
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gellazione masochista » (che questa volta non e inflitta da altri, ma dalla stessa persona che e soggetto e oggetto al tempo medesimo) e puramente psichica. Diciamo pur dunque: masochismo psichico. Come il piacere... — sulle tracce di Leopold von Sacher-\fasoch — germina da una umiliazione esprimentesi nelle piü strane forme (coi senso di inferioritä e di soggezione sino a sentirsi calpestatij e si connatura con esse, cosi un certo tal quäle compiacimento si fa sentire nel contemplare l'umiliante deformazione in cui si trova la propria immagine calpestata... dal destino. In tal modo operando, il nostro « autoflagellante » mai si lascia sfuggire occasione per mettere a se stesso in mostra la propria infermitä, l'incapacitä sua. e nel tempo stesso per attribuire a tali sue disgraziate caratteristiche (ma il destino ha voluto cosi!) i perpetui insuccessi della sua vita. Anche se, nel fondo piü fondo del suo pensiero, egli in realtä non crede ciö che in tal modo dice e proclama, p u r non di meno in tali espressioni e geremiadi persiste e in esse prova un certo diletto accompagnandole il piü delle volte con sarcastico sorriso. L'osservatore degli umani caratteri che passa tra gli uomini non 6olo guardandoli nei loro esterni atteggiamenti (che p u r hanno grandissima importanza quando siano considerati nel loro significato sintomatico) ma anche e soprattutto cercando intravedere gli atteggiamenti interni, avrä giä notato che, mentre il narcisismo si trova — sia pure in forme or piü or meno attenuate — come fenomeno generale, e quasi immedesimato con la natura umana, e mentre i processi di bovarismo e di identificazione, anche abbastanza generali, sono spesso piü'localizzati in tale o tale altro individuo o gruppo di individui, il masochismo morale depressivo, invece, piuttosto che presentarsi quäle universale e comune processo, appare — come giä dicemmo — soltanto in non frequenti casi tanto da potersi talvolta, quando esso si presenti in forma accentuata, pensare alla psicopatologia. E cosi avviene per un altro modo di autocontemplarsi, per trovare compiacimento e sollievo, di cui ora dobbiamo dire.
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8. - Niobismo...
Piangere
sulla
propria carne. Una parola su un altro modo di rimanere continuamente in contemplazione di se stessi, da cui un certo compiacimento, perche tale contemplazione produce una sorta di sfogo che dä sollievo. « Egli (il Signore) ha dall'alto mandato un fuoco nelle mie ossa, il quäle si e appreso in esse; Egli h a tesa una rete a miei piedi; Egli mi ha fatta cadere a rovescio; Egli mi ha renduta desolata, e dolorosa tuttodi... Misit ignem in ossibus meis » (Lamentazioni di Geremia, I, 13). Co6i piange, su se medesima, la Cittä dolente e cosi contempla le sue prop r i e piaghe trovando nel pianto e in quella autocontemplazione qualche conforto; e cosi fanno talvolta gli uomini quando — nella loro malinconia insanabile, connessa a organica costituzione — contemplano le ferite, reali o immaginarie, che vengono quotidianamente a incidersi sul loro corpo. II malinconico che in tal modo si autocontempla piangendo su se stesso e affettivamente depresso (non ha altro affetto che verso se medesimo), e triste, inoperoso, chiuso in un silenzio fantasticante o contemplativo, con i tocchi del pianto sul viso, e esitante e timido nell'atteggiamento generale, lenti e svogliati sono i suoi movimenti, vi e assenza, o quasi, in lui dal mondo esterno... almeno nei casi piü in evidenza e gravi; ma tonalitä psichiche di tal genere, senza essere proprio quelle che si descrivono dai tempi di Esquirol in poi, si trovano effettivamente, in forma attenuata, in piü di un soggetto, e lä allora puö sorgere un'autocontemplazione delle proprie tort u r e che dä, coi pianto, un acre senso di compiacimento. Tale modo di autocontemplazione puö confrontarsi all'atteggiamento di colui che in continuazione sta su una tomba a spargere lacrime, una tomba — ben si noti — che e il sepolcro di lui stesso. L'Io piange sulla propria tomba entro la quäle si vede disteso e da quei pianto rieava conforto. Perpetuamente stando su quella fossa, par ripeta il compianto del fratello sulla tomba del fratello: «piangendo il fior dei tuoi gentili anni caduto ». Una perenne crisi di depressione stanca e riposa al tempo stesso quello spirito che altro diletto non trova se non nell'acre gioia di quella triste autocontemplazione. Vede la propria carne trafitta da mille spine e sparge lacrime come giä Niobe al cospetto dei figli suoi trucidati... N'iobe, felicissima matrum — la piü felice delle madri. un di — ma infelicissima allora che corpo-
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ribus gelidis ineumbit dej figli suoi — et ordine nullo oscula dispensat natos suprema per omnes (Metamorfosi, VI, 155, 277). Se nei precedenti casi di autocontemplazione poteva parlarsi di narcisismo, di bovarismo o di masochismo, qui chi trovasse diletto nel servirsi di neologismi di tal fatta, potrebbe parlare di niobismo: l'essere che piange sul martirio della propria carne e che sempre quei martirio ha dinanzi agli occhi. Mentre nel caso che abbiamo chiamato di masochismo, il soggetto si compiace del suo stato di umiliazione rispetto agli uomini e alle cose, il presente caso, invece, per quanto possa esso sembrare in alcuni punti affine al precedente, si contraddistingue per il fatto che il paziente si compiace non giä della propria umiliazione — Vera o immaginaria che sia — ma del p r o p r i o dolore o, meglio, dei dolori e delle sventure che giä lo colpirono e che quotidianamente tuttora cadono su di lui. La pietä di Se stesso o autopietä (seif pity) trovava Bain tra i sentimenti che l'uomo prova verso se stesso (self-complacency, self-estim, self-confidence, self-respect), autopietä che fa piangere il Sofferente su se medesimo, ma che con quei pianto dä conforto. Nicola Lenau ? dopo tanto avere sognato, combattuto e cantato — or negli aspri versi degli Albigesi, or nel dolore del Canzoniere —< sente a poco a poco estinguersi il proprio spirito e con esso la ragione; 6e ne accorge, guarda disperatamente se stesso e, quasi compiacendosi, piar.ge su se medesimo; scorgendosi cosi disfatto, come se ne ricevesse sollievo esclama chiamandosi coi suo proprio e antico n o m e : «II povero Niembsch e molto, molto infelice!». Era quei Lenau che tanti crisantemi aveva sparso, lungo la sua vita, sul suo dolore, e che aveva cantato: Qui dentzo il core io porto / Profonda una ferita / Che voglio infin ch'io viva / Rassegnato portar.
9. - L'«lo» (dell'individuo e dei gruppi) sul palcoscenico. Elencando altrove i vari modi di autocontemplazione degni di particolare interesse da parte dello psicologo, avemmo anche a parlare di quei modo di guardare senza cessa se stesso che abbiamo chiamato teatrale o spettacolare. Ecco su tale forma di autocontemplazione — che e assai diffusa e, in diversi gradi di intensitä, quasi generale — qualche considerazione. o) Qui l'Io — cioe l'individuo — grazie al suo potere magico di
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sdoppiamento, assiste senza interruzione a uno stranissimo spettacolo in cui vede 6e medesimo sulla scena di un teatro (che e il teatro della vita) agire e recitare, mentre la folla di spettatori — il mondo di uomini grandi e piccoli, di padroni e di servi, di saggi e mentecatti, entro cui viviamo o siamo costretti a vivere — guarda e attentamente segue quellTo per giudicare, condannare, applaudire. Di quella folla, quindi, egli cerca continuamente il consenso o, quanto meno, la vivace attenzione. «Che cosa diranno nel vedermi co6i agire in piena scena? Che cosa penseranno di me? Come mi giudicheranno? » Si puö affermare che in tali casi — frequentissimi e generali — ogni uomo si considera come un attore muoventesi dinanzi al gruppo degli spettatori formato dal suo mondo speciale che e il mondo a cui egli tiene. Per conseguenza, ogni gesto dell'individuo e dettato non solo dall'jntimo e spontaneo senso interno, ma anche dal giudizio che l'attore si immagina poträ essere dato dallo spettatore: plaudite cives! b) I grandissimi non sfuggono a siffatto processo di autocontemplazione spettacolare. Quando il focosissimo Mirabeau scriveva, parlava od agiva, pensava in qual modo sarebbe stato giudicato dal sempre corrucciato amico Chamfort... Ne fa confessione egli stesso poiche, scrivendo all'amico cosi si esprime: « Trattando con voi ho ricavato molto vantaggio; ancor piü ne guadagnerö. Pochi sono i giorni, e soprattutto non vi e alcuna circostanza un poco seria, in cui io non mi sorprenda a d i r e : Chamfort aggrotterebbe le ciglia, non facciamo, non scriviamo questo e Chamfort ne sarä contento ». Qui il « p u b b l i c o » dinanzi a cui l'attore porge la propria recitazione e un solo uomo — Chamfort, l'autore dei pensieri e delle massime incise con arsenico — un solo uomo, dunque, ma che uomo! Valeva e contava assai piü, da solo, di cento volte un pubblico bene o mal vestito! Medesimo atteggiamento di curiosa e quasi ansiosa aspettazione dell'applauso da parte di un « p u b b l i c o » composto di un solo uomo, si ritrova assai spesso in quei grandi che sempre conservarono venerazione (per quanto grandi e forse proprio in ragione di ciö!) per il Maestro loro. Narra Carlo Romussi in una sua prefazione a scritti scelti di Carlo Cattaneo, dopo aver ricordato che del Romagnosi furono discepoli affezionatissimi Cesare Cantü, Giuseppe Ferrari e Carlo Cattaneo (ricevendo costoro da lui l'abitudine dello scrutare i fatti oltre l'apparenza, del professare la veritä anche contro il proprio utile...) che costoro, quando scrivevano qualche cosa, si facevano come prima domanda: « C h e ne dirä il vecchio?». Non si esclude. ben si intenda. che gli uomini di ec-
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cezione si domandino anche; « Che cosa dirä il grosso pubblico? » ma e anche ben da notare che per taluni di essi il primo e piü importante pubblico, di cui si cerca non tanto l'applauso quanto la stima, e l'altro uomo di eccezione... c) Sul punto di cui qui discorriamo e da osservare che ogni uomo .sente, piü o meno coscientemente e nettamente, di vivere in un proprio Universo materiale popolato dai personaggi piü vari e di distesa piü o meno larga secondo, appunto, il « mondo » in cui l'individuo vive ed opera. Sono assai dissimili, tali Universi^ secondo gli individui; ognuno di essi Universi, poi, ha personaggi — piü o meno numerosi —• che gli sono particolari, personaggi dei quali l'individuo cerca l'approvazione. Ben miseri si trovano a essere alcuni di tali Universi, limitati al numero di umili, poveri e anche grossolani personaggi, mentre altri si estendono attraverso lo spazio sorpassando le frontiere e sono abitati da personaggi che parlano le piü dissimili favelle... ma in tutti i casi l'individuo considera il suo Universo come se questo fosse l'Universo intero e quasi di continuo pensa che quell'Universo lo giudica in tale o tale altra maniera. E l'individuo, proprio come si sbaglia nello scambiare il proprio materiale Universo — piü o meno piccolo e ristretto — con l'Universo intero, cosi pur quante volte si sbaglia nel supporre e nel ricostruire il modo in cui da quell'Universo esso e giudicato! Tipico esempio della prima categoria di errori (scambiare il proprio piccolo Universo con l'Universo intero) e dato da quei tecnici o specialisti che si occupano — pochissimi in ogni paese — di qualche piü o meno curiosa specialitä, anche scientifica : sono essi in esigua e sparuta brigata, sparsi in ogni parte di mondo (poche dozzine in tutto) e tra loro mantengono scambio di epistole e relazioni, e tra loro si conoscono... Ognuno di essi crede seriamente essere in relazione con l'Universo intero e dall'Universo intero essere conosciuto e apprezzato: « C h e cosa dirä e che cosa dice in questo momento di me e del mio specializzato lavoro, e della mia acuta intelligenza, l'Universo intero? » In realtä, quell'intero Universo si riduce a poche dozzine di esseri pensanti, ma l'errore non appare d a w e r o agli occhi di chi sta sulla scena e che di fronte al suo Universo si mette a recitare. D'altra parte, errore del secondo genere (credere di essere giudicato in un dato modo mentre la veritä sta proprio nel contrario) si presenta in forme varie^ la piü frequente delle quali e quella che consiste nel credere che l'Universo in questione, e cioe l'Universo proprio all'individuo agente e recitante, sia tutto inteso a occuparsi di lui e che,
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anzi, lo stia di continuo considerando con ammirazione. Come fu angustiato il g r a n d e Cicerone allorche, reduce dalla Cilicia ove aveva tenuto altissima carica, incontratosi a Roma con un amico si senti dire da questi come mai da tanto tempo non si fossero piü incontrati nel F o r o ! Cicerone credeva che Roma tutta e la Repubblica tutta 6apessero della sua alta missione in Cilicia e addosso a lui di continuo avessero tenuto gli occhi. Errori di tal genere sono di continuo commessi da persone che ben lungi si trovano ad avere l'altissima statura del grande latino, e sono quindi commessi dai p i ü . Ma si danno pure errori — di frequenza minore — per i quali l'individuo crede essere giudicato dal suo Universo in modo meno elevato, e persino dispregiativo, di quello che realmente si f a : se, nel p r i m o caso l'errore e commesso da presuntuosi, da megalomani e da ciechi di spirito, nel secondo caso esso e prodotto dalla depressa e malinconica n a t u r a dell'individuo stesso. Come che sia, illusioni di tal genere contribuisco110 — quasi tutte — a dar forza e volontä d'azione all'illuso individuo. d) Anche i gruppi sociali h a n n o il loro pubblico e lo sentono da presso, e ne cercano avidamente — senza ciö f a r apparire — il giudizio. Tanto e vero che spesse volte, grazie al sempre piü ingegnoso funzionamento moderno dei sistemi di pubblicitä^ il gruppo compone su se medesimo un proprio narcisistico giudizio, rifä la propria storia, crea o ritocca le sue patenti di nobiltä e dopo aver ciö fatto trova maniera di far comparire il tutto come veritä autentica da presentarsi sia ai componenti i gruppi avversari o concorrenti accanto a cui esso vive, sia agli abitanti le piü lontane terre. In tali artificiose composizioni non mancano davvero assai volte i caratteri dell'esibizionismo e dell'istrionismo, senza dire che il pubblico a cui si mira, da p a r t e del gruppo, per presentare i p r o p r i connotati, tante volte falsi, non £ soltanto il pubblico di contemporanei, ma anche quello d e l l ' a w e n i r e . I i gruppo, cioe, e proprio comc l'individuo : vuol vivere facendosi ammir a r e oltre la m o r t e o quanto meno nel tempo che verrä, e a tal fine sapientemente prepara quei documenti che serviranno a tramandare, abbellite^ le proprie attiyitä, ora estraendo del tutto dalla menzogna ciö che si vuol far passare per veritä, ora esagerando e fortemente ingigantendo qualche piccola veritä, oppure ancora sopprimendo incresciose testimonianze scritte e in avverso modo parlanti. Si prepara cosi la storia d e l l ' a w e n i r e come il commediografo p r e p a r a le gesta dei suoi personaggi, le battute e i colpi di scena si da farsi ognor meglio plaudire, un giorno, dagli spettatori.
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e) La ricerca dell'approvazione e la corrispondente paura della disapprovazione — non dimentichiamo — sono fra gli istinti che potremo chiamare fondamenlali, imperiosi e costanti nell'uomo, ricerca dell'approvazione e impulsivo ritrarsi di fronte alla disapprovazione che agiscono nei riguardi del pubblico entro il quäle vive l'individuo che puö essere vastissimo o ristretto, vicino o lontano, aggruppato o sparso, noto od ignoto (ignoto, ma pur presente agli occhi di chi si vede recitare sulla scena). Recentemente qualche psicologo sociologo, studiando le aspirazioni psicologiche dell'uomo fuori da ogni imperativo categorico, pose per l'appunto la ricerca della approvazione e la correlativa paura della disapprovazione come vero e proprio istinto {W. Hopmann). Assai prima, Hobbes nella sua cruda e spietata concezione dei moti — di carattere puramente meccanico — che governano, oltre che l'Universo esterno quello interno dell'uomo, spiegava ogni motus animi con la tendenza a fuggire il dolore e a procurarsi il piacere, nel quäle ultimo moto, appunto, la ricerca dell'approvazione... (espansione dell'Io) e il fuggire la disapprovazione (repressione dellllo) almeno per i piü. Che sonvi pure — per quanto in piccolo nuinero —- coloro che, grazie al proprio congenito istinto di opposizione e di critica, giustificata o non giustificata che sia, destando disapprova7ione per i propri gesti non conformisti trovano proprio piacere in quelle disapprovazioni: casi speciali nei quali tuttavia il pungolo dell'approvazione pur sempre si fa sentire inquantoche, nel caso di cui parliamo, l'individuo... approva se stesso e infinitamente gioisee di tale autoapprovazione. Del reslo, il suscitar clamore per un dato atteggiamento, e persino asperrima condanna, e un modo come un altro di f a r parlare di se, di attirare la pubblica attenzione, di e9sere moStrato a dito... la qual cosa, appunto, l'attore — sul palcoscenico della vita — va cercando. /) In questo cercare a ogni costo la favorevole impressione che il pubblico ricevera dal mio Io, parlante e agente sulla scena^ e in questo stesso diletto che si trova nel contemplare applaudito il proprio Io, vi e anche quell'intimo piacere che si gusta nel sentirsi invidiato dagli altri e cioe da quei pubblico dinanzi al quäle recitiamo e agli occhi del quäle spieghiamo o — lentiamo spiegare — le nostre magnificenze. L'Io « teatrale » vuole essere non soltanto approvato e applaudito. almeno per i suoi gesti esterni (senza sospettare che tra il pubblico possono pur esservi coloro — pochi in veritä — che posseggono capacitä per vedere anche i gesti interni), ma anche invidiato.
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Come muterebbe l'esterna condotta dell'uomo se, invece di vivere nel « t e a t r o » della vita, esso dovesse condur vita in un'isola deserta! Ne applausi, ne invidie, gli uni e le altre perpetuamente sollecitanti quella vanitä che f u da taluno definita come il sesto senso dell'uomo. Colui che vive i n deserto a chi mai mostrerä le proprie doti, o reputate tali, di intell.igenza e di cuore? A chi cercherä presentare se stesso, non quäle veramente questo suo se stesso e, ma quäle, falsificato e imbellettato, esso deve apparire? A chi mai esibire, in ogni aspetto, il suo Io posticcio? Dinanzi a chi recitare? A che cosa mai gli servirebbero — nell'isola deserta e soltanto sotto lo sguardo del sole e delle stelle, che pur valgono assai piü di qualsiasi pubblico — mucchi d'oro, pietre preziose, palazzi e feudi di cui vantarsi se non vi e alcuno che in forza di tante ricchezze abbia per lui invidia? Diceva qualche caustico umorista che nessuno mai compirebbe viaggi di terra o di mare se nessuno poi ? al suo ritorno, vi fosse a cui raccontare il proprio viaggio, si da suscitare — ben si comprende — ammirazione e invidia. Si potrebbe dire il medesimo per tante c tante materiali cose di cui l'Io teatrale si circonda per mostrarsi sulla scena e soprattutto per destare l'altrui invidia. g) II processo psichico di cui stiamo parlando fa pensare in qualche modo — sempre quando si voglia riavvicinare il processo psichico normale e paranormale a quello patologico e quindi passare dalle piü pallide sfumature della psicologia a quelle piü accese della psicopatologia, pur facenti parte, le une e le altre, dello stesso colore — al processo psicopatologico dell'esibizionismo, ben noto agli psichiatri e medici legali. L'atteggiamento psicopatico in questione, come si sa, si esplica in toto e nel piü crudo modo nella sfera della vita sessuale subate (si reputa da taluno) epilettoide o altra, e ha quindi carattere anormale. Gli specialisti studiarono con efficacia le varie forme di esibizionismo indicando, a fianco di un esibizionismo « essenziale » o tipico. da collocarsi nettamente nel quadro della patologia, alcune forme di esibizionismo, diremo cosi, normale, transitorio, attenuato, ma quasi tutte a base edonistica erotica (Havelock Ellis, Lombroso, Krafft-Ebing, Näcke e altri non pochi). Orbene, sarebbe forse in errore colui che ravvisasse nell'esibizionismo teatrale, oratorio, declamatorio — tanto lontano dal motivo erotico dello offrirsi parzialmente o completamente spoglio — un profondo ed incosciente dinamismo ideoaffettivo che e quello stesso apertamente agente nei veri e propri casi di esibizionismo patologico o anormale? Chi si offre sull'immagi-
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nario o non immaginario teatro a un pubblico di cui desidera approvazione e plauso, e forse tanto lontano dall'esibizionista di cui p a r l a n o psicologi e psicopatologi, quanto a prima vista parrebbe? Ed e forse da escludere che il profondo movente esibizionistico trovato dagli psichiatri e anche dagli psicologi nel mondo dell'attivitä sessuale, sia del tutto assente in quei fatti di esibizionismo teatrale di cui andiamo parlando?
10. • Istrionismo. Suo « ricettario » e la scuola del successo. In questo presentarsi al pubblico, reale o immaginario che 6ia, con l'atteggiamento, la condotta, la parola, lo scritto, i piü attori tra gli attori non disdegnano qualsiasi mezzo per cercare l'applauso. Anche se cadono, in tale caso, in ciö che qualche psicologo — a proposito di una psicologia della suggestione e in specie dell'incu&o (1) e del succube — chiamö istrionismo, trasportando per tal modo la parola dalla baracca del saltimbanco al campo della psicologia scientifica. Del quäle « istrionismo » si potrebbe ben dare, anche senza essere psicologo di professione e senza direttamente e sperimentalmente studiare la psicologia dell'istrione (connessa, a quanto pare, allo sviluppo di qualche glandola endocrina), un vero ricettario. Esso e ben noto a chi sa osservare, ma par sia assolutamente ignoto alla maggioranza di coloro che compongono il pubblico plaudente. L'esame psicologico in questione, dovrebbe pur essere affiancato da quello portante l'esame di ciö che e l'opinione pubblica e su ciö che potremmo chiamare: «psicologia del successo » (Che cosa e il successo? Quali metodi per conquistarlo? Quali le varie catcgorie di successi?). Avendo trattato altrove i temi in questione, a proposito di psicologia collettiva e di quella dell'incufco e del succube, con richiamo alle antiche vedute italiane del Sergi, del Mosca. del Sighele — con osservazioni e postille presentate per nostro conto — non torneremo a dire il gia detto (2). Basterä rammentare, tra le condizioni cui deve (1) E' noto che la vera parola italiana e incubo, ma correntemente e i n u s o la parola incube (e cosi scriveva il S I C H E L E nei snoi fondamentali studi sulla coppia e sulla folla delinquenti). Noi adopereremo indifferentemente l'uno o Taltro termin/e. ( 2 ) A . N I C E F O R O . Criminologia, volume I . pag. 4 7 3 e seguenti dell'edizione del 1 9 4 1 .
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sottostare, per riuscire, clii fa mostra di se alla ribalta, qualcuna di esse come le seguenti. 1. Sacrifizio alla veritä (toute verile riest pas bonne ä dire; il fin e giustifica i mezzi; utilitä sociale della menzogna, ecc. ecc.). 2. Sacrifizio (da parte dell'attore) alla logica, ammesso che l'attore sia in grado di eseguire e presentare ragionamento logico. In fatto di mancanza di logica (posizione in cui si trova anche il pubblico) e di uso della menzogna, l'Io 6ulla scena puö servirsi di illogicitä e di menzogne fino all'assurdo con la sicurezza di ottenere successo che probabilmente (poiche tutto quaggiü e retto da leggi matematiclie) cresce in ragione del quadrato del crescerc dell'assurditä. 3. Rivolgersi ai sentimenti e non al pensiero. Infatti^ il pensiero annoia e affatica il grosso pubblico che ha da seguirne lo svolgimento, mentre il sentimento eccita e commuove; il pensiero, inoltre, nella sua logicitä non e compreso da tutti, mentre tutti possono sentire e comprendere l'eccitazione passionale. 4. Servirsi dell'odio contro qualcuno — a proposito dell'appello al sentimento, di cui sopra — piuttosto che dell'amore verso qualcuno. Infatti, e piü facile sollevare, rivolgendosi agli istinti profondi, un pubblico o una folla contro qualcuno, che a favore di qualcuno, proprio come in una conversazione ha maggior successo chi fa maldicenza che colui che parla degli assenti con benevolenza. 5. Usare, sino alla improntitudine, della adulazione, tanto ver6o l'individuo che isolatamente considerato ha da formare il « p u b b l i c o » , quanto e soprattutto verso la folla e verso il vero e proprio pubblico. Mai vi sarä pericolo di andare oltre il segno e di svelare la falsitä delle proprie carte. Nelle sue Memorie, il duca di Saint Simon assicura che qualsiasi adulazione era ben ricevuta dal Sovrano: « Les louanges, disons mieux, la flatterie, lui plaisaient ä tel point, que les plus grossieres etaient bien reQues, les plus basses encore mieux savourees; ce n'etait que par lä qu'on s'approchait de lui ». L'autore delle Memorie parlava del Sovrano, ma medesime parole (ancora piü forti) potrebbero usarsi per contrassegnare le adulazioni che possono farsi ai potenti di ogni genere, anche i piü demagoghi e i piü lontani dall ' a p p a r a t o regale, e anche per contrassegnare quelle che il capo gruppo, o condottiere, o meneur, indirizza ai componenti il proprio gruppo: del resto, e facile (come sentenziava un oratore greco), farsi applaudire dagli Ateniesi... parlando bene degli Ateniesi. 6. Sacrificare e smantellare le proprie teorie in piü di un punto
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(Io sono il vostro condottiero, quindi... vi seguo). Giä gli ammaestramenti leopardiani richiamavano quei che Bione, filosofo antico, diceva: « E ' impossibile piacere alla moltitudine se non diventando un pasticcio o allettante vino dolce! ». Dalle regole e norme di cui sopra non si potrebbero forse, davvero, ricavare validi suggerimcnti per istituire una vera e propria Scuola del successo? Se si dovesse, infatti, creare (in un mondo delle favole o giü di Ii) una Scuola di tal genere per insegnarvi per quali arti si giunga al successo, quante cose si potrebbero insegnare! Da molto tempo i pensieri leopardiani, dianzi ricordati, avevano suggerito di me, ditare sulle arti del successo; tra quei pensieri, quello che dopo aver proclamato essere « t a n t o l'egoismo, tanta l'invidia, tanto l'odio che gli uomini portano gli uni agli altri », afferma che « volendo acqui-. star nome non basta far cose lodevoli, ma bisogna lodarle (da se medesimi) o trovare, il che torna lo stesso, alcuno che in tua vece le predichi nelle orecchie del pubblico... Spontaneamente non isperare che gli altri facciano motto, per grandezza di valore che tu dimostri, per bellezza d'opere che tu faccia. Mirano e tacciono eternamente e, potendo, impediscono che altri vegga ». Psicologia umana, profondamente umana che — come si vede — e tuttavia ai margini di una psicologia della malvagitä, la quäle ultima — del resto —• e ai margini di quella criminale. U sopra detto pensiero leopardiano, piü che pessimista, e da accettarsi con le dovute cautele; mai tanto pessimista, tuttavia, quanto quello di un ironico scrittore di paradossi, il quäle insegnava che una Scuola del successo^ per ottenere i propri scopi e portare alla vittoria i suoi allievi, dovrebbe insegnare... il contrario, per l'appunto, di tutto ciö che la morale e l'educazione insegnano nelle normali scuole con tanta fatica create dagli uomini (1). II successo? La Scuola del successo — dice il pessimista che occorre ricordare — non puö ricopiare dal vero o ricalcare la Scuola ordinaria; in questa si insegna e si educa alla luce delle p i ü alte dottrine e delle piü nobili virtü, laddove una scuola del successo che voglia veramente raggiungere i suoi scopi non puö tener conto di quella luce. AI contrario. Del resto, la fiabesca Scuola in questione dovrebbe tener conto per quäle genere di successo il candidato desidera ottenere il diploma; mentre taluno suddivide i successi (e gli insuccessi) in categorie diverse per qualitä (successo economico, scientifico, ecc.), qui il nostro Creatore
(1) MAX
NORDAU,
Succes,
nel volume: Paradoxes
sociologiques,
Paris,
1901.
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della nuova Scuola di successo Ii suddivide in base alla quantitä e cioe in successi di ultima classe, modesti, e successi di prima classe, strepitosi. La suddivisione e resa necessaria dal fatto che qualitä personali assai diverse soccorrono 6econdo che ci si accontenti del successo di ultima classe o si pretenda quello di grado superiore. II piccolo, ma sicuro e placido successo del buon bottegaio sarä dato — secondo il nuovo pedagogo — dalla messa in opera, da parte del buon bottegaio stesso, dei piü elementari principii di probitä nei rispetti dei clienti, contrariamente a ciö che poco intelligentemente da non pochi mercanti si c r e d e ; ma il grande successo dovrä ricorrere ad altre armi e cioe ad a l t r e qualitä personali. Si suggerisce al proposito la piü invereconda immodestia, l'oblio di ogni sorta di benevoleriza, i l ricorso al venticello della calunnia, l'uso delle piü varie maschere e dei piü arlecchineschi travestimenti... Una serie ? dunque, di « stratagemmi » da far pensare alle astuzie e alle insidie che Giulio Frontino, nel suo l i b r o : « Stratagemmi », nel primo secolo, suggeriva e raccoglieva d a l l ' a r t e militare per vincere una guerra. Mutare, soprattutto, la p a r t e che si recita (alla ricerca dell'approvazione del successo) infarinandosi il viso e travestendosi con l'aiuto dei piü vari abbigliamenti piü o meno arlecchineschi. Senza dubbio. Ma una grande attenuante e da tenersi presente: gli e che per ineluttabile necessitä di cose, il pubblico stesso fa nascere e determina la teat r a l i t ä ; il pubblico esige avere di fronte taluno che, anche se uscito dalle quinte dell'oscuritä e dell'impersonalitä. si prospetti grandiosamente di fronte a lui, taluno che gridi altissimo e che si muova con ampi gesti, taluno che reciti o canti — accompagnato dai suoni del-/ l'orchestra — e non che ragioni poiche... la veritä e di ghiaccio mentre la menzogna riscalda ed arde. II pubblico, in u r a parola, vuole essere ingannato. E allora?
11. - La vita oltre la morte. L'Io che guarda 6e stesso recitare sulla scena e che si preoccupa dell'accoglienza che alla sua recitazione faranno gli spettatori, non cede neanche alla Morte; esso vuol continuare ancora^ nel mondo delle O m b r e . a veder recitare se stesso e a sentire il mormorio di consenso, di ammirazione. di plauso. Sul letto stesso di morte il P o e ' a continua a vedere se stesso dopo la morte medesima. guardato e compianto dal mondo: « Che co6a dirä i l mio signor Antonio q u a r d o udirä la
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morte del suo Tasso? » (da Roma, in Sant'Onofrio; lettera ad Antonio Costantini, a Manlova). Ii morente si vede in spettacolo al pubblico e intimamente si compiace e si consola nel pensare che quei pubblico si commuoverä e piangerä di fronte alla scena di morte. L'eroe sa — o crede — di non morire nel ricordo dei posteri dopo la morte, come invece muoiono i piü, e tal pensiero lo as9iste, sorreggendolo e confortandolo; la popolazione dei veri morti giace, il piü delle volte dimenticata nelle tombe, ma gli altri no. Dice, nella tragedia Horace di Corneille, uno dei Guriazi apprestandosi al duello: ...nos noms ne sauraient plus perir L'occasion en est belle, il nous la faut cherir. Nous serons les miroirs d'une vertu bien rare. II grande Corneille par ei diletti in questi accenni alla visione che i suoi Eroi hanno dell'ammirazione che il pubblico poträ avere di essi dopo la loro morte, tanto che, anche a Pompeo morente (nella tragedia dello stesso nome) sotto il colpo degli uccisori, il nostro tragico fa pensare ciö che i posteri narreranno, ammirando, di Pompeo stesso: Immobile d leurs coups, en lui-meme il rappeile Ce qu'eut de beau sa ine et ce quon dira d'elle. Versi celebri, non tanto per la celebritä che a tutta la poesia di Corneille conviene, ma per quella strana immagine di un uomo che cade sotto i colpi dei nemici e pur se ne sta immobile e corre a rievocare le'glorie del proprio passato... quasi non accorgendosi di morire. Come che sia, vale l'immagine per far testimonianza, una volta di piü, dell'estrema preoccupazione, da parte di colui che muore, di ciöi che dopo di lui diranno — a suo riguardo — i sopravviventi. Anche il furioso masnadiere, nella tragedia di Schiller (rimaniamo ancora sul palcoscenico dei teatri... tanto vicino al palco6cenico della vita) perche mai, straziato dal rimorso, va a gettarsi in mano alla giustizia che lo colpirä a morte? La risposta e data da uno dei compagni di Carlo il masnadiere, il quäle dice : « Lasciamo che egli se ne vada a farsi giustiziare. Ha il morbo della grandezza e sacrifica la propria vita per acquistarsi una vuota ammirazione oltre la tomba! ». (Atto V, scena II) E il tormentato e tormentatissimo Friedrich Hebbel, autore di quei diario — Tagebuch — in cui giorno per giorno si iscrivevano le disordinate e affannose passioni della vita e i piü audaci pensieri, in-
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candescenti per paradossi, conünciato quando l'Autore contava soltanto ventidue anni, non aveva forse lasciato detto che quei diario, in6ieme alle sue lettere e ai suoi scritti autobiografici. dovesse essere pubblicato dopo la sua morte? (Lettera a Campe del 28 maggio 1863). Egli voleva, in tal modo, vivere ancora tra coloro che sarebbero venuti dopo d j lui, n a r r a r e ad essi le sue sventure e ad essi far mostra dei brillanti fuochi d'artificio del suo pensiero... si da gustare — dopo la morte — la gioia di essere ammirato e applaudito. P e r certo, sono singola-* rissime eccezioni i casi in cui chi abbandona la vita vuole intensamente che nessun ricordo abbia da aversi di lui e che le sue ceneri vengano disperse ai venti come — a un dipresso — voleva nel suo testamento, scritto nel manicomio di Charenton, il marchese de Sade (ben noto agli psichiatri); che il mio corpo — si leggeva in quello scritto — venga sepolto nella foresta e vi si lascino sopra crescere le querce affinche gli stessi segni della sepoltura scompaiano dalla faccia della terra. Piü sono invece, anche tra i grandi, coloro che pensano in qual modo l'avello loro debba esser composto... p e r c h e il viandante possa pensare allo scomparso che giace lä sotto, cosi come cantava A'lfredo de Musset quando invitava gli amici a plantare il pallido salice piangente sulla sua tomba o che immaginava Properzio allorche, i n una delle sue tante elegie d'amore, si dilettava pensando che sulla sua tomba verranno gli amanti p e r piangere « il grande poeta della fiammia d ' a m o r e » (I, 7). Senza tuttavia portarci ai grandi e agli eroi i quali nobilmente pensano alla loro eterna soprawivenza e si vedono vivi oltre la tomba fra mezzo a un pubblico che tuttora Ii ammira, e senza rifarci ancora una volta a quelle autobiografie e a quelle confessioni che si scrivono con la preoccupazione del giudizio che i posteri daranno sull'autore, basterä che ci portiamo ad esempio piü umile e p i ü generale indicante assai bene come l'individuo si ostini a guardare se stesso dinanzi al pubblico, anche dopo la m o r t e ; alludiamo al contenuto, piü volte studiato dagli psicologi e in ispecie dai criminalisti, delle lettere lasciate dai suicidi come supremo addio e suprema confessione. Queste lettere, qualche volta, non sono forse l'estrema e romantica «posa » dinanzi all'obiettivo fotografico... dell? pubblica opinione, sia p u r e ristretta ai parenti ed agli amici? L ' I o si vede ancora. i n tal guisa, dopo avere abbandonato il mondo de; vivj„ sul palcoscenico dei vivi stessi, e vuole che il pubblico ancora una volta consenta, ammiri... e, se non altro, commiseri e compianga. Lasciö seritto, qualcuno, ehe le ultime
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parole dell'uomo presso a togliersi la vita sono scevre di ogni dissimulazione, oramai inutile, e di purissima franchezza, ma ben si fa osservare non essere sempre cosi inquantoche « i morenti mentono come i viventi... e come il suicida si prcoccupa del proprio cadavere, cosi si preoccupa del giudizio dei superstili; frequentemente nasconde la causa vera del suo gesto disperato e piü di un medico legale riporta esempi in cui e evidente l'estrema menzogna. Con ciö non veniamo a togliere ogni valore a queste lettere; occorre soltanto non considerarle come un documento sacro, innanzi al quäle debba inchinarsi rispettosa la critica giudiziaria » (1). Singolare documentazione di questo volersi vedere dopo la morte ed ascoltare, compiacendosene, cio che dirä il pubblico, sta anche nel fatto — da parte di uomini grandi o piccoli che siano — di prepararsi un epitaffio da collocare sulla propria tomba. II passcggero ha da fermarsi, leggere, vedere la mia persona ancora viva^ ed io vivrö dopo la morte. II celebre epitaffio per Plauto in cui si mostra quanto lutto dopo la morte del grande comico — se fu opera come si crede dello stesso Plauto — non sta forse a significare come Plauto vedesse se stesso, e il pubblico inteio, dopo la propria morte? Fotsquam est mortem aptus (1) Plautus, comoedia luget, Scaena est deserta (ac) dein risus, locus ludusque, Et numeri innumeri simul omnes collacrimarunt. (I) pei'
adeptus.
Ben piü tardi Beniamino Franklin comporrä per se l'epitaffio da incidersi sul proprio marmo funerario annunciante ehe lä sotto giaceva, e vero, un nudo corpo quäle vecchio libro slegato e riducentesi in polvere, ma il contenuto del libro non sarebbe andato distrutto. Quasi ai nostri di un tormentalo scrittore, piü lirjco che filosofo, dimenticato per assai tempo e poi venuto oggi in moda, grazie a una certa filosofia recente — Sören Kierkegaard — non pensö forse, in vita, ad una iscrizione tale, da scolpirsi sulla sua pietra funerea, che tenesse viva dinanzi ai sopravvenienti il pensiero fondamentale di lui? Aveva egli sostenuto doversi considerare come esistente, soltanto l'uomo, soltanto l'individuo e dovere ogni filosofia della vita essere costituita dall'angosciosa tragedia dell'individuo medesimo che si impegna a vivere la propria vita. « La categoria del singolo — scriveva nel suo (I)
7
-
E.
Vlo.
ALTAVILLA,
II suicidio
ecc.,
Napoli,
1932,
pag.
160.
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Diario — e cosi iegata al mio nome, che io vorrei sulla mia tomba si scrivesse; quei singolo ». Ii passeggero, certamente, ben poco avrebbe compreso... ma l'ombra del morto, soddisfatta, si sarebbe aggirata piü. tranquilla tra gli asfodeli dei Gampi Elisi.
12. - Considerazioni varie. Tra le numerose considerazioni che potrebbero farsi nei riguardi dei vari sistemi di autocontemplazione che per ora abbiamo rapidamente passato in rassegna, ve ne sono alcune come le seguenti, che jin particolar modo potrebbero interessare lo psicologo e il sociologo. a) Innanzi tutto, come il lettore avrä giä da se nolato, alcuni modi di autocontemplazione sono, si puö dire, generali e comuni — quali il narcisismo, il « bovarismo », l'Io spettacolare — alla quasi totalitä degli uomini manifestandosi tuttavia, con maggiore o minore intensitä presso tale o tal altro soggetto; altre forme di autocontemplazione^ invece, sono meno frequenti — identificazione, masochismo, niobismo, ecc. — e si localizzano, per cosi dire, in individui che presentino determinati caratteri psichici. b) In secondo luogo, si poträ chiedere se i vari modi di autocontemplazione, ora semplicemente accennati per stendere breve sommario, sono esclusivi l'uno dall'altro. Non sempre. L'attivitä psichica puö manifestarsi nello stesso individuo che e in continua autocontemplazione, passando dall'uno all'altro di tali modi di guardare o assumendone alcuni contemporaneamente secondo le necessitä della propria difesa, ma e innegabile che diversitä di temperarnento e di costituzione porta seco preferenza per l'uno o per l'altro genere di autocontemplazione. Sancio Panza, poniamo, non piangerä mai sulla propria tomba mentre il cavaliere dorn Chisciotte sarä piü incline a trovar sfogo alle proprie intime pene nel piangere su se medesimo. c) In terzo luogo, si noti come alcune di queste autocontemplazioni si riducano in ultima unalisi a null'altro — per quanto sempre efficaci nei riguardi dell'Io che si autocontempla — che a pure e semplici illusioni. L'Io, cioe, ancora una volta inganna se stesso sapendo o non sapendo di ingannarsi e non confessando a se stesso che si tratta d'inganno; esso agisce con quelle illusioni e si serve di esse come un bimbo che giuocbi con i suoi balocclii credendo che ciascuno di essi sia in realtä ciö che esso rappresenta in miniatura o simbolicamente E ' inganno quella immagine che di noi stessi vediamo nello specchio quando, sia innalzandoci sino a Narciso, sia abbassandoci sino al «de-
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forme trasformato », ci vediair.o cosi diversi da ciö che siamo. E cioe con assai maggiore bellezza (santa ingenuitä!), e con assai maggiore intelligenza (altra ingenuitä piü grande ancora) di quelle che realmente siano in noi e che noi automaticamente esageriamo per innata e mguaribile vanitä. 0 quando gustiamo l'intimo e segreto compiaci' mento p i ü o meno patologico dalla autodenigrazione... E' anche in ganno quei credere che la propria persona si sia veramente ident." ficata con il modello ideale in cui essa si mira o, peggio, e inganno il credere che il prescelto modello con cui identificarsi costituisca davvero un qualche da invidiarsi e da ammirarsi. E come non e, nella quasi totalitä dei casi, deplorevole se non risibile inganno che l'artef'ice crea con le sue proprie mani verso Se stesso, il lasciarsij illudere dalla credenza « bovaristica » di costituire il « tipo » da romanzo, di ineffabile superioritä ed cccezione, incompreso dalla vilissima moltitudine? Le probabilitä con le quali si potrebbe misurare il verificarsi delle sopradette coincidenze (essere veramente un Narciso o un modello o un eroe da romanzo) nella sterminata folla degli uomini tutta presa da siffatti miraggi interni, debbono essere minori di quelle che si possono prevedere per estrarre due o tre gettoni bianchi da una enorme massa di gettoni neri, almeno a giudicare dal numero di veri e propri « N a r c i s i » — fisici o intellettuali — o di altri personaggi veramente di eccezione. in realtä esistenti tra la massa umana. d) Inoltre, vogliamo ancora ricordare che il fin qui detto, nei riguardi dell'Io individuale che contempla se stesso nelle p i ü varie fogge —, sempre con un profondo, oscuro e spesso incosciente senso egoistico e di autocompiacimento — vale anche, almeno per alcune forme di autocontemplazione, per l'Io, diremo cosi, di gruppo. Gli istinti profondi. sia primari che derivati (o pseudoistinti) del voler vivere, del voler contrastare e sovrastare e simili, tanto minuziosamente studiati dalla psicologia individuale, possono formare altrettanti capitoli di una psicologia sociale quando siano trasportati — come giä vedemmo —• dall'individuo al gruppo; delle azioni del gruppo contribuiscono essi a spiegare e comprendere i motivi. Gome abbiamo giä visto. il processo psichico, non solo della autogiustificazione, ma pur del narcisismo, del bovarismo, dell'identificazione con un modello, dell'Io spettacolare, si verifica p u r anco per i gruppi. Anche essi, invero, come gli individui, hanno la loro maschera, i loro autoinganni e i loro segreti mezzi di difesa psichica per affermare il proprio voler vivere e il proprio voler sovrastare.
•
PARTE SECONDA
U «IO„ A PIÜ
PIANI
CAPITOLO
PRIMO
LE ANTICIPAZIONI DOVUTE ALL'ANTROPOLOGIA CRIMINALE E LORO SVILUPPI Io superiore e Io inferiore? II concetto e antico, ma una trattazione, diremo cosi, scientifica e quasi rinnovata del tema e di recente data. Di quäle? Si tratta forse di teoria oggi nata sotto l'influsso d i tale o di tal altra Scuola contemporanea di psicologia (psicanalisi), clie h a fatto poi trionfalmente la sua strada nel mondo? Non crediam o ; pensiamo invece che tale dottrina, nel suo iniziale tentativo di veduta scientifica, sia nata or fa p i ü di mezzo secolo, coi nascere stesso della Scuola italiana di criminologia. P e r certo, una visione dell'Io superiore e dell'Io inferiore, e del perpetuo modo con cui queste due singolari « persone » in una reggono e conducono l ' u m a n o viandante per i cammini della vita, ha tutta una storia antica e antichissima, ma tutta fantasiosa, siffatta storia, senza il soccorso di documentazione obiettiva e scientifica, tutta intuitiva, mentre soltanto in tempi recenti tentö essa presentarsi con linee e fisonomia di carattere scientifico. E appunto, non tanto con le attuali concezioni e dimostrazioni dovute a moderne Scuole, quanto con le prime anticipazioni — ripetiamo — disegnate dalla Scuola italiana di criminologia. Valga infatti — 6e non facciamo errore — quanto 6egue.
1. • Nette anticipazioni. Non dimentichiamo che giä nella seconda metä dello scorso secolo, e precisamente intorno al 1874 e anni immediatamente 6eguenti^ la Scuola italiana presentava una teoria della criminalitä (6pecialmente di una certa forma di criminalitä) basata sulla ricomparsa, nel cri-* minale, di istinti e di affetti che la Scuola affermava essere p r o p r i de-i gli animali e degli uomini preistorici e selvaggi: teoria dell'atavismo o teoria atavica della criminalitä. Si trattava di un atavismo, non dimentichiamo, parimenti riferibile ai caratteri psichici ed agli orga-
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Parte seconda f nici del criminale, di sorta che la « rjcomparsa » o la « sopravvivenza» animale, primitiva e selvaggia, sarebbe egualmente evidente nello spirito come nella « f a c i e s » del criminale stesso (1). La dottrina italiana dell'atavismo fisico e psichico, e cioe della ricomparsa — presso questo o quell'individuo — di caratteri fisici (arresti di sviluppo) e psichici, puö essere o non essere nel vero, ma non vi e dubbio che la vivace e pittoresca teoria della ricomparsa fisica e psichica di caratteri ancestrali (il mondo animale non escluso) sia sorta proprio in quei tempi e grazie a osservazioni e a intuizioni in cui — ammettiamo pure — veritä e verosimiglianza si mescolavano a ciö che poteva ritenersi semplicemente probabile. Teoria che puöi serbare ancora una gran parte della sua forza e della sua suggestione, quali che siano le inesattezze che possano trovarsi alla sorgente di essa. P e r ben comprendere il ineccanismo per il quäle doveva sorgere la dottrina dell'atavismo psichico, bisogna ricostruire e rivedere l'ambiente intellettuale e scientifico in cui i nostri ricercatori vivevano a quell'epoca (1874-1880 circa). Si vedrebbe, dapprima, quanta importanza avesse assunto la cosidetta « l e g g e » di ricapitolazione per la quäle l'evoluzione di ciascun individuo ripete in miniatura, rapidamente, l'evoluzione della specie e si vedrebbe poi — secondo punto — come fermamente si avesse fiducia in un progressivo miglioramento ed elevarsi di siffatte trasformazioni evolutive, tanto nell'ordine della struttura e delle attivitä fisiche e fisiologiche, quanto in quelle della vita psichica. Dai quali concetti, la formazione di quella struttura dell'Io che fu posta a base, t r a l'altro, di una interpetrazione di alcune forme di delinquenza. Gi si consenta passare rapidamente in rassegna i due sovraddetti p u n t i : legge ricapitolativa, evoluzione ottimista, da cui una ben definita teoria sulla struttura dell'Io.
2. - Come1 nacque la teoria italiana. a) La legge di ricapitolazione. Suggestione continua e profonda esercitava su tutti gli spiriti la grande legge «ricapitolativa » di Fritz Müller e di Ernesto Haeckel ( 1 ) A . N I C E F O R O , Criminologia, vol. I , Milano, 1 9 4 1 e in specie — oltre al capitolo primo, consacrato alla storia dell'antropologia criminale — il capitolo terzo e il capitolo quarto che trattano della facies esterna e della facies interna del criminale. L'opera, riveduta e molto ampliata, si va stampando in seconda edizione.
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per la quäle, come essa diceva (e ciö non e stato ancora del tutto contradetto) l'evoluzione biologica di ogni individuo (dalla sua concezione al suo sviluppo completo) ripete in forme abbreviate e rapide l'evoluzione della specie. I n altri termini, l'ontogenesi ripete la filogenesi. Non era quindi logica cosa il dedurre da ciö che anche l'evoluzione psichica di ciascun individuo, dalla prima £nfanzia all'etä adulta, passasse attraverso le successive fasi psichiche per le quali ebbe a passare la psicologia della specie? Cioe a d i r e che si passa dalla psicologia ancestrale, preistorica, selvaggia, a quella dei barbari, a quella infine dei popoli piü evoluti e moderni. Altrettanti giacimenti psichici, dunque, gli uni sovrapposti agli altri, che ogni uomo porta naturalmente in se stesso. Concetto, questo, d a cui prese — in parte — le mosse la nostra Scuola italiana per la teoria del delinquente atavico. Si ha un bei dire, oggidi, che modernissime teorie — presentate sotto iridescente forma e attraentissima — metton o in luce gli elementi atavici e collettivi che si trovano negli strati piü profondi dell'inconscio, offrendo anzi siffatla coslruzione quäle ardimentosa novjtä (C. G. Jung); ma senza nulla togliere alle brillanti tinte che illustrano oggi siffalta veduta, e pur da dire che nel suo intimo la veduta stessa giä si profilava con le sue fondamentali linee architettoniche nelle pagine e nelle anticipazioni della Scuole italiana di cui sopra. Ed e da deplorare che autori e stampe d'Italia, nel condurre a lingua italiana i moderni testi stranieri indicanti, per l'appunto, l'esistenza di elementi atavici e collettivi sempre presenti nel fondo dell'atiima contemporanea, trascurino di ricordare quanto giä tra noi fu detto al proposito or fa... mezzo secolo e piü, quasi che i giovani lettori italiani di oggi dovessero per sempre ignorare a chi spetti l'aver intravisto — sia pure tra le incerte nebbie dell'alba — il nuovo orizzonte.
3. - Contlnuazione. b) L'evoluzione dal peggj© al meglio. D'altra parte, nel mondo dei naturalisti e dei filosofi naturalisti dove la Scuola italiana di criminologia accendeva i suoi primi fuochi, quali erano —< oltre alla dottrina fondamentale or ora accennata — le idee dominanti concernenti la formazione della vita mentale e morale dell'uomo? Non crediamo ingannarci affermando che si viveva allora nell'atmosfera delle idee che Carlo Darwin, Herbet Spencer e Auguste Comte avevano lanciato e propagato attraverso il mondo degli
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psicologi e dei sociologi; tra le quali idee, quelle che senza dubbio avevano fermato l'attenzione dei nostri ricercatori riguardavano il modo di formazione, nell'uomo, dei sentimenti e delle idee di ordine superiore ed elevato, mostrandosi come tali superiori formazioni, sospinte sino all'altruismo piü chiaro e deciso, derivassero lentamente e progressivamente dagli istinti e dai sentimenti p i ü primitivi e piü egoistici forrniando per tal modo la piü recente fase dell'evoluzione psichica dell'individuo e delle collettivilä, sovrapposta alle precedenti, inferiori. L'Io superiore, di formazione recente, e l'Io inferiore primitivo e ancestrale — che tanto occupatio gli psicologi moderni e piü moderni — non facevano, quindi, giä apparizione? Si rileggano pagine di quell'epoca consacrate alla evoluzione della vjta morale e mentale, dall'animale all'uomo, e non si mancherä di trovarvi vera e propria descrizione di un ilo superiore, formato dall'evoluzione lenta (attraverso la specie umana) dellTo inferiore. Di un Io inferiore, si ricordi bene, i cui residui sopravvivono ancora. Gli istinti sociali — proclamavano quelle teorie — e cioe la simpatia, lo spirito di sociabilitä, la devozione, non si escludeva si trovassero sotto forme schematicamente embrionali anche presso alcuni animali; si sviluppano nell'uomo primitivo grazie alla selezione, all'abitudine, all'ereditä, all'intelligenza stessa; la selezione agisce nel senso che le Societä e i gruppi sociali hanno tanto maggiore probabilitä di mantenersi e di vincere, quanto piü gli uomini che le compongono si sentono uniti e son condotti dalla vibrante forza di coesione coslituita dagli jity stinti sociali; l'abitudine e l'ereditä poi fissano cotali istinti, mentre l'intelligenza, con il largo sviluppo di tutte le sue forze, permette di comprenderne l'utilitä individuale e sociale. II senso morale, infine, che si definiva come una delle piü nobili e recenti conquiste della evoluzione psichica individuale, completa e Corona la formazione e il dominio sempre crescente degli istinti sociali. Cosi dicevano quelle quasi vetuste e non disprezzabili dottrine. Gontinuando, ricorderemo che si faceva allora assai bene notare come la sopra detta evoluzione o ascesa non si effettuasse che per cerch i concentrici. E cioe, t r a i primitivi (ci riferiamo sempre alle Vedute dei naturalisti, filosofi e sociologi dell'epoca) gli istinti sociali e il senso morale non agiscono, per cosi dire, che nel ristretto cerchio del gruppo di cui fa parte il primitivo; a poco a poco il cerchio si allarga e la simpatia (il fatto di riconoscere se stessi in altri) e la sensibilitä morale si estendono in cerchi sempre p i ü larghi. Ecco per-
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clie l ' I o sociale e gli istinti dei primitivi si troverebbero a un grado meno elevato di quello degli uomini che vennero dopo e che meritarono, a torto o a ragione, il titolo di « civili ». Vero e che la descrizione delle sovra dette fasi evolutive di una psicologia che va dal basso mondo animale all'uomo preistorico, barbaro e poi sempre meno barbaro e civile, e cioe dai fuochi dell'egoismo e della crudeltä all'amore altruista e alla piena socievolezza, e descrizione intimamente ottimista nella quäle par che le formazioni psichiche superiori e altruiste siano definitivamente oggi riuscite — attraverso lotta che durö secoli — a debellare le inferiori, ormai ridotte a semplici ornbre o a lontani ricordi; ma non e men vero che, riveduta e corretta o completata, quella dottrina po6sa naturalmente far giungere alla descrizione di una umana psicologia ben piü accosto al vero e nella quäle l'Io superiore e l'Io inferiore detengano il1 posto e le funzioni che loro effettivamente spetlano. Rjavvicinate, in veritä, il sopra detto modo di concepire l'evoluzione psichica dei sentimenti attraverso il tempo, alla ferma credenza di una onlogenesi (evoluzione dell'individuo) che ripete la filogenesi (evoluzione della specie) e che di siffatta evoluzione filogenetica conserva tracce piü o meno nascoste, e vedrete immediatamente sorgere l'idea di una psiche individuale che conserva nel suo fondo i giaeimenti psichici preistorici e anche preumani, mentre i giaeimenti sempre piü in alto situati si vanno awicinando alle piü squisite forme (almeno in apparenza) della socievolezza e dell'altruisnio. Da cui, se arresto di sviluppo individuale si manifesta. ecco prodursi al tempo stesso l'uomo « atavico» nel quäle gli esterni segni di arresto o di regressione stanno a segnalare l'interno arresto e l'interna regressione psichica. L ' Io inferiore, in altri termini, prevale o puö prevalere — quando se ne dia l'occasione — sull'Io superiore. E' la dottrina che illuminö il p r i m o sorgere della Scuola italiana. lnsomma, da quanto sopra deriva che, ricostruendo il cammino, dall'animale all'uomo primitivo e da questo all'uomo « civile » e alle Societä p i ü elevate, si farebbe al tempo stesso la storia della evoluzione che avrebbe portato l'anima umana dall'alba crepuscolare e dall'infanzia di essa sino all'uomo delle nostre Societä contemporanee piü evolute. Evoluzione e storia che non sarebbero perdute per ogni anima umana, poiche ciascuna di queste anime le riassume, per cosi dire, in se stessa. I n ogni modo, specifichiamo ora in quäle maniera i nostri primi criminalisti della Scuola italiana vollero tratteggiare le essenziali ca-
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ratteristiche di quei giaeimenti psichici primitivi inferiori che, pur avendo formato la lontanissima vita psichica preumana e ancestrale, rimangono nascosti perennemente in fondo alla personalitä psichica di ogni umano essere, anche piü evoluto. Quali, cioe, le diverse componenti di cui si diceva essere formato l'Io inferiore?
4. - Le diverse componenti d e l l d o » inferiore secondo le antieipazioni dell'antropologia criminale. II modo di vedere — da parte della Scuola italiana — di cui abbiam parlato, doveva ben sottintendere che la psicologia animale, ancestrale e selvaggia, fosse una psicologia fatta tutta di istinti tra i piü crudeli, sanguinari e malvagi. Alcune indieazioni fornite dai naturalisti e dagli psicologi di quei tempo potevano far concludere in tal senso? a) Psicologia
preumana.
Osservazioni abbastanza numerose cominciavano ad essere fatte con criterio sistematico sulla vita sentimentale e mentale degli animali (Romanes, Houzeau, Lubbock, Canestrini, Espinas) mettendo in evidenza, in generale, lo stato primordiale dei sentimenti in quei tanto vario mondo di esseri viventi, p u r lasciando nello stesso tempo comprendere che l'alba e l'aurora dei sentimenti sociali ed altruistici giä spuntavano in quei mondo che ci si compiaceva di chiamare ancestrale e preancestrale. Infatti, al tempo cui ci riferiamo, Houzeau parlava dell'amore materno, dello spirito di sociabilitä e dell'affettivitä degli animali; ma il piü delle volte i nostri criminalisti, sebbene si ispirassero a quelle prime e giä efficaci pagine di psicologia animale, si limitavano a veder i tratti che — per ciö che riguarda i sentimenti — denotavano piuttosto una psicologia di ordine molto inferiore. II criminale atavico, insomma, ha anche nella sua psicologia arretrata e atavica, quella dell'animale. Potremo noi dire, tuttavia, che la psicologia animale come sopra r a w i s a t a dagli psicologi dell'epoca e soprattutto dai primi criminalisti, sia ancor oggi da accettarsi a occhi chiusi? Che la psicologia animale, dunque, alla radice della psicologia umana, sia una psicologia le cui principali forze siano date dall'egoismo e dalla crudeltä?
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Non vi e dubbio: la psicologia animale degli istinti e dei sentimenti — davvero un po' troppo semplice e schematica — quäle fu vista dai nostri primi psicologi, dovrebbe subire oggi un processo di revisione. E giä tale processo si e iniziato. Come si sa, infatti, il sopra detto quadro di una psicologia animale viene oggi ad essere in piü p a r t i ritoccato (in ispecie per ciö che concerne le spettacolose e mirabili facoltä intellettuali di alcune specie animali) per quanto non sia proprio detto che tali ritocchi o addirittura le nuove vedute debbano essere in toto da accettarsi (Guillaume, Rabaud, Miotto). Come che sia, cosi come si presentava al tempo di cui parliamo, quella psicologia era piü che sufficiente per contribuire — vera o meno vera che fosse — alla formazione di una dottrina d e l l ' I o umano di cui il piano inferiore si trovi composto di sentimenti e di affetti di ordine preumano. Prima componente quindi, dell'Io inferiore, nel pensiero dei nostri giä lontani criminalisti, era veduta appunto in questo primo e lontano giacimento psichico preumano. E la seconda? b) Psicologia
primitivo
(dei
popoli
di natura o « selvaggi »). Doveva imporsi all'attenzione incuriosita dei nostri primi antropologi criminalisti il quadro, tracciato dagli etnografi e dai sociologi dell'epoca, di una psicologia degli uomini primitivi, o di natura, o « s e l v a g g i » . Singolare storia si potrebbe scrivere sul modo con cui -furono giudicate le anime dei « primitivi », Si foggiarono dapprima, da parte dei « cdvili », le piü strane immagini e fantasie riguardanti la facies cosi esterna come interna dei popoli « barbari » o lontani, o abitanti le piü fantastiche province dell'irreale (si leggano le pagine di Luciano: Vera storia in cui siffatte fantasie vengono 6arcasticamente esposte); non mancarono, tuttavia, anche nell'antico, osservazioni piü o meno « naturalistiche » su usi, costumi e caratteri di lontani e quasi ignorati popoli con tendenza a vederne or la ferocia or una idealizzata bontä (Erodoto, qualche accenno omerico, Ecateo di Mjleto, lo pseudo Ippocrate, Aristotele, Nearco, Megastene. a proposito, questi due ultimi, delle popolazioni indiane); venne di poi la teoria del « b u o n selvaggio» (si ascolti la voce di J . J. Rousseau e del buon Saint-Pierre); per reazione, in seguito, si presentö una teoria pessimista per la quäle anima e vita dei primitivi, lungi dal costituire innata bontä e secolo d'oro, rappresentano ogni sorta di miserie (le molteplici descrizio-
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ni dovute a Malthus potrebbero citarsi in proposito); d'altra parte, p i ü tardi le larghe vedute riassuntive di Herbert Spencer disegnavano infine, una psicologia del primitivo che piü da vicino di ogni precedente veduta ei accostavano al vero. Dicevano esse che nel primitivo dominano la mancanza di sensibilitä al dolore fisico, la piena energia di sensazioni grossolane e meno rappresentative, l'impulsivitä e l'azione riflessa o improwisa, l'imprevidenza, il misoneismo, l'umore incostante e variabile, la mancanza di un vero senso di sociabilitä e di simpatia e quindi verificarsi una mancanza del senso di giustizia e di altruismo. D'altronde, una psicologia del « selvaggio » presentata con le stesse tinte di cui sopra, era con assai particolari descritta — occorre dirlo? — da Tylor e da Lubbock in pagine che divennero classiche e che, del resto, han tuttora conservato, ai nostri giorni, la loro ammirevole dignitä. E ' vero che da quei di innanzi, nuovi scritti e nuove vedute prez.i osissime vennero ad aggiungersi per opera di nuovi etnografi e di nuovi sociologi (Frazer, Levy-Bruhl, van Gennep, Reinach, Petlazzoni, ecc.) p e r non dire della curiosa dottrina del P. Schmidt che vede nell'origine niente di meno che il monoteismo piü puro e filosofico dal quäle poi sarebbero derivate, per degenerazione, le attuali credenze dei popoli di natura, e per non dire della discutibile teoria di R. Otto che in un alquanto metafisico senso di « numinositä » (da numen) originario e primigenio, vede le radici delle attuali credenze dei primitivi. Ma inutile e far menzione di tutto ciö poiche qui c i riportiamo ai giorni in cui sorgevano le dottrine psicologiche della Scuola italiana di criminologia, quelle dottrine che tanto attingevano — per costruire la figura del delinquente atavico — alla psicologia del primitivo, quäle allora veniva vista e sentita (1). Ebbene, tutte le (1) Breve disegno delle varie fasi, sopra indicate, attraverso cui e b b e a passare una visione —. da parte dei popoli « civili » — della vita e della psicologia delle popolazioni di natura o « selvagge i>, e abbozzato nelle nostre Memorie: Attime e terre sconosciute e selvagge (nella «IRassegna sociale dell'Africa italiana» giugno, 1942); Nuovissime o quasi nuovissime vedute sull'anima primitiva (id. id., aprile, 1943). Nella prima, tratteggiando la storia in questione, si ricorda — tra l'altro — che la teoria del « buon selvaggio » e dello stato felice dei popoli di natura, creata dai filosofi del secolo dei lumi, veniva da quei f i losofi esposta non tanto perche in quella teoria essi effettivamente credessero, ma perche la dipintura di pace, di giustizia e di tranquillitä della vita primitiva, loro serviva per biasimare indirettamente la tirannia e l e miserie in cui allora il secolo viveva; nella seconda si rammentano — tra l'altro — quelle curiosissime (per non dire altro) credenze moderne, da parte di psicologi contemporanei,
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categorie psicologiche piü sopra elencate nel quadro spenceriano (mancanza di sensibilitä, sensazioni grossolane e meno rappresentative, ecc.) non si trovano forse nella concezione che la Scuola italiana, circa il 1880, si faceva del criminale « atavico », cioe a dire dell'uomo giunto al delitto appunto per la ricomparsa o la sopravvivenza nel suo Io degli istinti e dei sentimenti primitivi e persino animali? I titoli stessi dei paragrafi che trattavano questa psicologia nelle prime opere dei nostri criminalisti sono la prova di tal ravvicinamento; essi suonano cosi: mancanza di sensibilitä fisica, assenza di senso morale nelle sue forme elevate ed ampie, impulsivitä, incostanza, incapacitä di applicazione a un lavoro continuo, misoneismo, ecc... Ailtrettanti caratleri che mettono il criminale « atavico » (o delinquente nato) nello stesso piano del «selvaggio », per non dire nello stesso piano, in certo senso, della psicologia animale. c) Psicologia ancestrale
preistorica.
La dottrina italiana si basava, dunque, sulla esistenza di giaeimenti psichici inferiori, p r o p r i alla psicologia « selvaggia » e anche preumana, che tornavano a riapparire e dominare nella psicologia e nella condotta di alcune categorie di criminali. Credeva poter mostrare, inoltre, come quelle prime profonde stratificazioni psichiche, proprie all'uomo primitivo o di natura, fossero i n certo qual modo analoghe a quelle che formarono un di il complesso psichico degli istinti, dei-sentimenti e pur della mentalitä dei nostri umani antenati preistor i c i ; anche quelle primitive stratificazioni psichiche preistoriche for-f merebhero il nascosto, perpetuo e sopito peculio ereditario trasmesso in aeternum ai discendenti. Ne consegue, trovarsi la psicologia dell'uomo preistorico anche negli uomini moderni, viventi nel seno delle p i ü alte civiltä; essa, con le sue stratificazioni oscure e profonde, dal suo giacimento inferiore puö venire, per tale o tal altra ragione, a portarsi e ad imporsi alla superfice. Orbene, come appariva a quei nostri primi studiosi la psicologia degli antichi uomini preistorici? La ricostruzione della psicologia dei preistorici ancestrali non poteva farsi, in parte, che p e r via di indule quali vedono il riflesso di facoltä ipersensibili in molti gesti, usi e costumi dei primitivi, oltre che una vera e propria medicina scientifica il cui esame potrebbe formare obietto di una « etnoiatria »•
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zioni ragionando sui resti umani e sugli oggetti che gli antropologi traevano dagli scavi (crani trapanati, oggetti funerari, utensili diversi), ma anche da ciö non si potevano ricavare che indicazioni piuttosto generiche e vaghe quantunque talvolta di vivo interesse. Di, giä La prehistoire di G. de Miortillet forniva su tale punto essenziale ben coordinati e ancor freschi elementi; d'altronde, opinione sempre piü sicura veniva diffondendosi; quella, cioe, che il primitivo contemporaneo (il selvaggio delle foreste africane, o altro analogo) cosi differente dal « buon selvaggio » sognato da Rousseau e da tanti altri, doveva rappresentare nella sua psicologia la psicologia del preistorico antenato umano, lontano e seomparso. Ponetevi, dunque, a studiare la psicologia del «selvaggio» — sovrattutto di que] selvaggio che vive ancora allo stato piü rudemente primitivo, stato che potrebbe chiamarsi etä contemporanea della pietra — ed avrete sotto gli occhi quei giaeimenti psichici che da un lato ebbero a formare l'organismo psich.ico dell'uomo preistorico e che dall'altro — si aggiunga — trasmettendosi per via di ascosa ereditä da generazione a generazione, possono riapparire (in forza di ragioni varie) nella psicologia di tale o tale altro individuo. Le grandi opere di Tylor e di Lubbock, o di altri illustri, validamente deponevano in favore della tesi: i seivaggi contemporanei sono gli equivalenti dell'antenato preistorico. Ha forse da dirsi, con quanto sopra, che la psicologia del primitivo (sia il primitivo contemporaneo, sia il primitivo ancestrale preistorico) nei termini in cui fu presentata e presa per farne il secondo piano (per quanto sepolto) d e l l ' I o dell'uomo moderno, costituisca veramente un testo, per cosi dire, definitivo? Sarebbe certamente un cadere i n qualche errore il rispondere con piena e assoluta affermazione, ma e pur da dirsi che piü recente studio della psicologia del « selvaggio » contemporaneo, venuto singolarmente ad arricchirsi ai nostri dä grazie a una serie di vedute assai nuove e del p i ü alto interesse (importanza, ad esempio, delle idee « magiche » di analogia e di simpatia, tanto presso i primitivi contemporanei, quanto — a ciö che pare — presso i preistorici) non contradice affatto il riavvicinamento in questione. Ancora ai nostri di, nonostante obiezioni di ordine vario, la tesi di cui discorriamo sembra trovare conferma, sicche usi e costumi dei primitivi contemporanei servono a spiegare ed a far comprendere quelli dei preistorici mentre, p e r converso, usi e costumi sicuramente accertati in base ai resti preistorici, servono a spiegare e comprendere alcuni aspetti della psiche dei primitivi contemporanei.
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11 cannibalismo « magico», poniamo, per il quäle chi mangia tale o tale altra parte del corpo di un individuo — estraendo, ad esempio, il cervello o parte di esso dal foro occipitale del morto o da apertura praticata nel cranio — trovato oggidi presso i primitivi contemporanei, non corrisponderebbe forse ad un qualche di simile verificatosi presso i preistorici? Anche t r a costoro, infatti, si trovano resti di crani umani in cui appare traccia di siffatto uso. Disegni e impronte, inoltre, trovate da nostri moderni ricercatori sulle pareti di antiche grotte ove ebbe a vivere l'uomo preistorico, non presentano forse i medesimi caratteri dei disegni e delle impronte di natura « magica » di cui e uso fra i primitivi contemporanei? Senza dire che ogni giorno piü, nel riaccostare armi e utensili (foggiati in pietra) dei primitivi contemporanei, con armi ed utensili analoghi in uso presso gli antenati lontanissimi, si conferma la rassomiglianza, o l'identitä, fra le due categorie di manufatti; come negare. d a w e r o che — sia cio detto in forma paradossale ma espressiva — dietro il manufatto e la mente? Dei quali moderni studi non e il caso qui di parlare per il momento, dovendoci soltanto riferire all'epoca in cui sorsero e si svilupparono le teorie italiane della Scuola di criminologia. Gomunque sia, basti p e r ora (e sempre riportandoci all'epoca di cui parliamo) far ben chiaro che la psicologia del primitivo, contem- : poraneo, carica di tutti i suoi « misfatti » o, meglio, quella de] primitivo preistorico (id. id.) serviva a comporre il secondo piano (nascosto sotto il piano superiore) dell'Io di ogni individuo « incivilito», potendo in certe determinate condizioni improwisamente riapparire. Funzionava, dunque, come una di quelle component.i di cui i nostri criminalisti pensavano fosse composto l'Io, componenti che andiamo elencando e passando in rassegna. d) Psicologia
del
bimbo.
Certe categorie di criminali, per conseguenza di quanto sopra, venivano considerate come formate da individui selvaggi o primitivi e persino vicini, per tali o tali altre stigmate, al tipo preumano (ancor oggi la dottrina incontra assertori non facilmente confutabili, i quali parlano di tipi — tra i criminali — ipoevoluti e sottoevoluti riferendosi appunto all'antico criminale atavico della Scuola italiana) ...ma ben presto — torniamo ai tempi di ieri cui ci riferiamo — la Scuola italiana pensava a un altro riawicinamento e introduceva nella suc8 -
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cessione dei giaeimenti psiehiei che formano ogni personalitä o Io, uno Strato nuovo; quello, cioe, formato dalla psicologia infantile e che resta pur esso sotto forme p i ü o meno vivaci nel fondo dell'Io, anche quando questo e arrivato al suo completo sviluppo. L'antenato, preistorico e persino preumano, forniva — grazie alla permanente e ascosa trasmissione ereditaria — le stratificazioni psichiche profonde; ma puranco ogni att^vitä istintiva, sentimentale e mentale del fanciullo veniva, per i nostri criminalisti, necessariamente a sovrapporsi a quelle prime stratificazioni ereditarie o a mettersi al loro fianco. Infalti, attraverso la psichica attivitä infantile non deve forse passare ogni Io, eonservandone le tracce, prima di raggiungere il suo definitivo rigoglio? Non restano forse (riell'etä adulta) tracce invisibili, ma pronte a riapparire alla prima occasione, di tale passaggio attraverso l'epoca infantile? La quäle viene cosi ad aggiungersi all'epoca primitiva ed arcaica. Ne consegue — come spiegavano i nostri criminalisti or fa giä tanti anni — che una riapparizione o una permanenza di alcuni caratteri della psicologia infantile nell'etä adulta, dovuta ad airresti di sviluppo o ad altre cause, poteva volgere e determinare la condotta degli adulti verso forme antisociali e di criminalitä. Quäle, infatti, il quadro che i nostri criminalisti dell'epoca si facevano della psicologia infantile? Prima dei giorni cui ci riferiamo, studiosi e non studiosi avevano tracciato una psicologia falsa e sovraccarica di retorica dell'anima infantile: si dipingeva la vita istintiva e affettiva del fanciullo ricorrendo alle stesse tinte di cui si serviva il Beato Angelico per illuminare di colori i suoi angeli e le sue Madonne. Studi approfonditi e severi, al contrario, risultanti da una lunga serie di osservazioni dirette e non da costruzioni mentali estranee ai fatti, sorgevano e si moltiplicavano facendo preeipitare la psicologia del fanciullo dalle nuvole della poesia e della idealitä in cui era stata collocata; il bimbo, cioe, piuttosto che un « angelo » diventava un piccolo essere pressoche perverso uscendo cosi dal Paradiso dove tanto infino allora ci si era compiaciuti vederlo vivere e muoversi. Piccolo essere la cui « p e r v e r s i t ä » o primiitivitä istintivamente egoistica, ha bisogno di evolversi e trasformarsi nelle formazioni psichiche superiori, sotto l'influenza della normale evoluzione biopsichica individuale e delle favorevoli condizdoni ambientali, materiali e psichiche. La Scuola italiana fortemente contribui a diffondere s.iffatta veduta scoprendo e descrivendo le piü varie forme di istinti egoistici e'* »ntisociali, esprimentisi (come allora si insegna-
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va; abitualmente nel bimbo con la collera, la Vendetta, la gelosia, la menzogna, la crudeltä, la mancanza di affettivitä, lo spirito di appropriazione, la vanitä, l'erotismo in alcuni speciali aspetti, lo spirito di distruzione e di appropriazionc. Viene alla memoria la commovente storia poetica con cui Victor Hugo narra la pietosa avventura dei bimbi, dell'asino e del rospo: stremato di forze e piagato dai colp.i di bastone, si trascina a stento, sopportando il suo carieo, il miserrimo asino. ma improvvisamente trovato sul sentiero, sotto la sua zampa, altro essere ancor piü misero di lui — un rospo a cui i bimbi pei crudele diletto avevano un istante prima spezzato il corpo con cento torture e cavato gli occhi — si tende in un supremo sforzo per evitare di schiacciare l'infelice e di imporgli per tal modo altra tortura. Basta, del resto, esaminare (sia pure superficialmente) il contegno e le azioni delle bände di piccoli ragazzi, spesso formantisi nelle vie e nelle piazze delle nostre cittä, per avere chiara idea di quali elementi sia ancora plasmata la psicologia — non ancora completamente evoluta — del bimbo e del giovanetto. D'altra parte, si diceva anche, tra l'altro, che caratteristiche infantili sono pur (come per il primitivo) il sincre-i tisino e l'animismo, intendendo per sincretismo il fatto che le situazioni esterne non vengono analizzate, ma afferrate globalmente in maniera approssimativa, e per animismo — occorre ricordarlo? — la tendenza a considerare come animate le cose che non sono tali. Vere o false che fossero queste ultime vedute, sta di fatto che esse, riavvicinando una volta di piü la psiche infantile a quella del primitivo, facevano del bimbo una specie di « selvaggio » -— piccolo selvaggio — nel"seno della famiglia e della civiltä, da allevare e da perfezionare, da parte dell'edueatore e dell'ambiente, per curarne e sorvegliarne la normale evoluzione verso aspetti psichici superiori. Ben si sa che l'analjsi piü recente della psicologia infantile ha piü che ritoccato quelle primitive tinte e che, anzi, nuovissime tinte — taluna delle quali veramente sorprendente — sono venute ad aggiungersi a quelle di un di: la vita psichica presessuale del bimbo, le reazioni infantili alla repressione imposta dai sistemi educalivi familiari e extra-familiari, ad esempio, sono State singolarmente messe in luce (sia pure attraverso il prisma di esagerazioni e di discutibili interpetrazioni) additando con qualche efficacia i risultati che le vicende di quelle prime atlivitä psichiche infantili possono avere sulla condotta del bimbo diventato adulto, ed in particolare sulla criminalitä. Ma, se quadro di tal genere puö considerarsi veramente nuovo ri-
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spetto a quello che lo precedette e di cui abbiamo infino ad ora parlato, dobbiamo pur dire che l'interpetrazione della condotta crimino6a o antisociale dell'adulto, da spiegarsi in parte con i dati di una psicologia infantile ben diversa da quella ottimista ed ingenua generalmente ammessa, risale a quei criminalisti nostri di cui andiamo richiamando il pensiero. Orbene, che cosa si trova scritto in recenti e recentissime pagine che vorrebbero essere affermazione di una fresca e ardita novitä? Ecco: « L'uomo nasce criminale, cioe a dire che esso viene al mondo come essere socialmente inadatto; nei p r i m i anni della vita conserva il suo stato di criminalitä pressoche intatto... Soltanto p i ü tardi, l'evoluzione psichica nell'uomo sano si lascia indietro lo stadio della criminalitä iniziale e infantile; mentre l'uomo normale riesce (soprattutto nel periodo di latenza di cotali istinti primitivi criminali infantili) a respingere, almeno in parte, gli slanci di tali genuine pulsioni criminali si da escluderle dalla traduzione in atto, o a metamorfosarle nel senso richiesto dalla Societä, il criminale non trova modo di giungere a tale processo di repressione o di adattamento... Esso trasforma in azione le sue naturali pulsioni che non hanno trovato adattamento...» (1). Come si vede — e la cosa non potrebbe essere piü chiara — le recenti affermazioni or citate, e che tanto rumore sollevano nei p i ü vari campi, ritenute come novitä di questa o quella modernissima Scuola, non sono forse, in un certo senso, che una traduzione... ritardata (per quanto ampliata e corretta) di cio che giä tra noi da mezzo secolo era stato detto. Non facciamo qui discussione sulla veritä o meno, o sul maggiore o minor grado di approssimazione al vero, che la dottrina di ieri (Scuola italiana) o quella di oggi (altre Scuole) possono in se contenere. Diciamo soltanto che la Scuola italiana, dopo aver descritto la primitiva ed egoistica psicologia della fase infantile, ben insistette sul seguente modo di vedere: essendo l'etä infantile, etä di una psicologia primitiva, selvaggia e quasi preumana, ogni arresto di sviluppo psichico che si produca durante l'evoluzione individuale della personalitä, dal nascere al completo sviluppo, conduce alla formazione di un individuo adulto nel quäle i primitivi istinti infantili si trovano a essere ancor vivi e potenti.
(1)
F K . ALEXANDER
et H.
STAUBE,
Le criminel
(L'edizione tedesca, originale, e del 1928).
et ses juges, Paris, 1934, pag. 41
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5. • Prima conciusione. Goncludendo, per il momento: dopo aver presentato la psicologia del criminale o, meglio, di una certa categoria di criminali, come una psicologia in cui dominavano le stratificazioni primitive e selvagge — quelle della preistoria — la Scuola italiana introduceva la stratificazione infantile; anzi, si aggiungeva da taluno dei Nostri che la millenaria ereditä psicologica trasmessa nei giaeimenti psichici inferiori e meno inferiori non consisteva soltanto nella provenienza di origine preistorica ma anche in quella — via via meno lontana — delle epoche storiche, ancor tinte di preistoria e barbare, dei tempi che vennero di poi... Di guisa che la sovrapposizione si poneva in questi term i n i : l'antenato lontanissimo dapprima (che trova la sua rispondenza psicologica nel selvaggio contemporaneo), la successiva barbarie... e al tempo stesso tutta la psicologia infantile con ogni manifestazione malvagia e selvaggia. II senso morale e sociale, completamente e arrooniosamente sviluppato, viene a porsi, infine, al sommo dell'edificio. Ora (per dirla sinteticamente, troppo sinteticamemte ma meglio spiegheremo piü innanzi), appunto quando l e formazioni psichiche antisociali — primitive, selvaggie, infantili — riappaiono alla superficie, esplode il delitto.
6. - Altra conciusione. Le ormai antiche vedute della Scuola cui ci riferiamo, nel mettere in evidenza la struttura della personalitä come formata da piü giaeimenti psichici sovrapposti gli uni agli altri — dai primitivi inferiori ed egoistici ai superiori, di piü recente formazione — faceva p u r largo cenno dei continui contrasti che tra quei diversi piani psichici venivano a verificarsi. Si parlava cioe, in specie da Giuseppe Sergi, della resistenza che la parte awentizia quotidianamente oppone alla insurrezione dell'Io fondamentale e si diceva nello stesso tempo dei de» stini piü o meno fortunati o delle sconfitte con cui siffatte resistenze possono concludersi (1). Senza dubbio, non si trattava che di un ab(1) Un primo accenno alla dottrina d e l l e stratificazioni del carattere fu fatto da G I U S E P P E S E R G I con l'articolo: La stratifieazione del carattere e la delinquenza, nella «Rivista di Filosofia scientifica», Milano, 1883; e in seguito con la breve Memoria: le degenerazioni umane, nella «Rivista di Discipline carterarie », Roma, 1887 e ancora nella medesima Rivista, sotto il t i t o l o : La degenerazione del carattere, 1 8 8 8 . Si veda infine, il volume dello stesso S E B G I : Le degenerazioni umane, Milano, 1889.
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bozzo rapido e sintetico, ma esso e di una importanza e di una evidenza che possono dirsi davvero in altorilievo. Non si sente di giä, infatti, l'anticipazione di cio che ai nostri tempi soltanto si dirä — riccamente illustrando — della vigile azione esercitata in ogni individuo dalla propria Censura psichica nei riguardi delle istanze sorgenti o irrompenti dal profondo? Senza dubbio, il concetto e antico: la bassa anima vegetativa e quella sensitiva — giä si dicova da Aristotele — vengono poste a f r e n o dall'anima razionale e quasi si potrebbe tornare a dire della presenza, nello stesso uomo, di un vecchio Adamo e di un nuovo Adamo (di due Adami; il vecchio e il nuovo); o con terminologia ricavato da un passo di Agastino si potrebbe ancor dire coabitare nello stesso individuo un vetus volere accanto a un novus. 0 ancora, come si legge negli scritti di un qualche filosofo, trovarsi nello stesso uomo il vero uomo con le sue forze di natura e un falso (uomo) quäle la Societä tenta formare e piegare. Humanitas duplex, dunque, si potrebbe ripetere con le parole di una volta. Verissimo, ma una vera e propria penetrazione nel territorio dei fatti e delle moJteplici indagini eliologiehe e delle conclusioni — non ristretta quindi a sole immagini, a metafore, o a disquisizioni piü o meno metafisiche — si ebbe soltanto, se non facciamo errore. con le prime indagini della Scuola italiana, sebbene coi gravame delle incertezze e delle lacune proprie a ogni nuovo tentativo del genere. Ai nostri di — ci sia permesso questo rapido passaggio — Edinger dopo aver osservato, parlando di anatomia e fisiologia dei centri nervosi, come oltre il cervello, che ha funzioni fondarrtentali, anche alcune parti del tronco cerebrale esercitino funzioni psichiche e aver ricordato che nel frronco cerebrale si svolgono le funzioni psichiche p i ü semplici e primitive (cosi detto punto di Edinger), distingue percio un neoence-» falo, che e rappresentato essenzialmente dal cervello, ed un paleoencefalo che comprende quasi tutto il tronco cerebrale ed il cervelletto. Ancora una volta, due « I o »?
7. - L'«lo» inferiore delle Societä. Quanto sopra, alla fine del secolo scorso, tra noi. E pur anco si presentö fh quell'epoca — sia detto ancor questo —• una specifica veduta che prendeva le mosse dalla sovra detta teoria dei giaeimenti psichici sovrapposti, dagli inferiori ai superiori, nello stesso individuo. Specifica veduta che riguardava i caratteri psichici degli uomini ap-
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partenenti alle classi economieamente, intellettualmente e socialmente inferiori della .Societä. Stratificazioni psichiche individuali — da un lato — dalle preistoriche e dalle infantili a quelle di formazione recente superiore; ma anche — da altro canto — stratificazioni sociali, da quelle che stanno in Lasso per grado di agiatezza, di cultura, di occupazione, a quelle via via sempre piü elevate... Quäle riavvicinamento — dicevamo — potrebbe farsi tra le une (stratificazioni psichiche individuali) e le altre (stratificazioni sociali) quasi che la r a p p r e sentazione geometrica delle pvime corrispondesse alla rappresentazione geometrica delle seconde! In altri termini, le stratificazioni psichiche inferiori trovansi particolarmente agenti nelle classi sociali inferiori, laddove maggiore forza assumono nell'atmosfera sociale p i ü elevata le stratificazioni psichiche di piü moderna e piü completa fattura. Si ragionava come segue. a) L'evoluzione psichica individuale non ripete forse, per successiva sovrapposizione di fasi ricapitolative, l'evoluzione psichica della specie e, da altra parte, le formazioni piü recenti non sono forse dovute, non solo all'ult.ima e naturale fase di sviluppo individuale, ma anche e soprattutto all'azione esercitata dall'ambiente materiale, sentimentale, intellettuale, in cui l'individuo si sviluppa? Ora, lä dove mancano le condizioni di tale ambiente, favorevoli ad un completo sviluppo e a una completa formazione delle stratificazioni superiori, lä al tempo stesso non possono tali formazioni o superfarmazioni trovare il loro completo modo di struttura e di funzionamento. Chi mai ebbe a dire, giä da tempo moltissimo, che il basso popolo e un « selvaggio » perduto nel seno della « civiltä »? Chi mai ebbe a spiegare ehr nella psiche di individui nati e vissuti sui gradini inferiori della scala sociale, privi di sufficiente tenore materiale di vita, di cultura individuale e anche di educazione sentimentale, la fattura e la composizione ultima del carattere ehe l'uomo acquista grazie a favorevole ambiente e completa educazione, sono imperfette e deficenti? Chi mai ebbe a dire giä da tempo, e basandosi appunto sulla accennata dottrina di una stratificazione del carattere. che gli uomini delle classi inferiori sociali sono da considerarsi, in un certo senso, come bimbi lasciati a Se stessi e dotati di quella tale psicologia infantile di cui piü sopra abbiamo fatto quadro? (1). b) D'altronde, ricerche di psicologia sperimentale, confrontando (I) Ci riferiamo alla nostra antica opera: Les classes pauvres, ispecie alle pagine 283 e 'egg.
Paris, 1905, in
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gruppi di individui appartenenti alle classi meno elevate della Siocietä con quelli abitanti i piani medi e superiori della Societä stessa, credettero poter trovare nei primi anomal ie psichiche e fisiche in percentuali alquanto piü alte in confronto alle medesime anomalie riscontrate nel secondo gruppo (se ne veda precisato elenco espositivo e critico in alcuni studi su tale proposito pubblicati per l'appunto, all'epoca cui ci riferiamo), e giä si sa come la s_alda e completa formazione delle stratificazioni psichiche superiori sia condizionata da normale sviluppo e stato fisico e fisiologico dell'organismo e delle sue funzioni. c) In particolare, nelle masse ove la sovra detta completa evoluzione psichica non puö essere compiuta o ben salda o perfezionata, troverete maggiore irritabilitä e impulsivitä, minore azione dei freni inibitori, minore o nulla possibilitä di trasformare le impulsivitä e le istanze quotidianamente censurate dalle convenienze sociali in manifestazioni piü o meno legittimamente ammesse, e troverete di solito impiego della violenza anziehe dell'astuzia dal che, per l'appunto, la predominanza del delitto a base di violenza nelle classi inferiori lä dove quello a base di frode si disegna con preferenza nei gruppi socialmente piü elevati (1). d) Si rammentavano, oltre di ciö, speciali ricerche di laboratorio e non di laboratorio eseguite per mezzo di reattivi mentali o di semr plici osservazioni, o di inchieste, indicanti — nel confronto tra il la'voro mentale, o rendimento, dei bimbi agiati con quello dei bimbi meno agiati e poveri della medesima classe scolastica — la superioritä nello sviluppo dei caratteri mentali, assai piü frequente tra i soggetti appartenenti agli strati sociali superiori, p u r notandosi un certo qual numero di « migliori » nella massa dei socialmente inferiori e di « peggiori » nella massa dei socialmente superiori. e) Si mostrava pur anco (sempre nei citati e ormai antichi scritti) con larga copia di osservazioni come il fatto della mancanza di una completa fattura e composizione delle stratificazioni psichiche piü recenti e superiori e della presenza di una mentalitä primitiva, si riflettesse in quei sentimenti e in quelle idee che danno vita e mantengono credenze, usi e costumi che fanno singolarmente rassomigliare ciö che abbiamo chiamato: etnografia del basso popolo, a quella dei pri(1) Sviluppo alquanto piü largo, con ritocchi e revisioni di siffatto modo di vedere e di comprendere, si trova nella nostra Memoria di data piü recente: Le langage du bat peuple et le Moi inferieur des individus et des Societes, nella « R e v u e de l'Institut de Sociologie », Bruxelles, 1931 e 1932.
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mitivi e dei preistorici. Dicevamo, cioe, c h e non esiste soltanto una «etnografia» dei popoli p r i m i t v i o di n a t u r a , diretta a studiare usi, cos t u m i , credenze e simili di detli p o p o l i , m a doversi anche p r e n d e r e in considerazione una « etnografia » delle hasse classi sociali viventi nel t e r r i t o r i o delle piü elevate c i v i l t ä : quali singolari coincidenze tra le due e t n o g r a f i e ! G r a d o e t e n o r e d i civiltä, usi, costumi, credenze, pre* giudizi, espressioni della l e t t e r a t u r a e d e l P a r t e , si presentano ben diversamente da Strato a Strato sociale, t a n t o che passando l'osservatore da Strato a Strato p e r guardare e notare, h a egli la sensazione di viaggiare da paese a paese ognor nuovo e diverso. e p a r t i c o l a r m e n t e da paesi p r i m i t i v i e lontani a quelli ognor piü vicini a d attivitä di mod e r n o aspetto. /) Q u a n t o sopra, perche gran p a r t e degli u o m i n i viventi su un t r o p p o basso piamo sociale non h a avuto possibilitä — nata e vissuta in t a l e avverso a m b i e n t e — di veder plasmarsi e modellarsi in m o d o stabile e completo le formazioni s u p e r i o r i d e l l ' I o . O p p u r e , p e r c h e t r a questi uomini, molti ve ne 6ono che vengono sensibilmente tocchi e deformati d a l l ' i n c l e m e n z a d e l l ' a m b i e n t e i n cui vivono talche su materiale u m a n o di tal genere d i f f i c i l m e n t e possono ordinarsi i p i a n i sup r i o r i (di controllo, di inibizione, di socievolezza) della p e r s o n a l i t ä . O p p u r e , ancora, p e r c h e in tal basso stato sociale c a d o n o presto o t a r di coloro (o p a r t e di essi) che a b i t a n d o l e zone s u p e r i o r i della Societä sono colpiti e Segnati da t a r e b i o p s i c h i c h e che Ii p r e c i p i t a n o in basso. O infine, p e r c h e coloro che sono nati e vivono, p o r t a t o r i di t a r e psichiche di n a t u r a congenita, su bassi g r a d i n i d e l l e g e r a r c h i e sociali, di lä mai riescono a uscire (1). g) Vedute, come sopra, c o n c e r n e n t i le caratteristiche psichiche delle hasse classi sociali, e r a n o State anche prcsentate in antecedenti studi in proposito (tema c h e sembra di interesse s t r e t t a m e n t e p a r t i c o l a r e , ma c h e p u r e investe t e r r i t o r i assai diversi, l a r g h i e larghissimi), sul cosi d e t t o « g e r g o » del basso p o p o l o o basso linguaggio (1897) (2). (1) A . N I C E F O R O , Antropologia delle classi povere, Milano, 1908. Piü tardi edizione tedesca (1910) e poi ancora altri scritti sul medesimo tema. (2) II tema fu accennato nel nostro v o l u m e : II gergo ecc. (Biblioteca antropologico-giuridica, Torino, 1897) ed e stato, in seguito, sviluppato nel volume giä citato: Les classes pauvres, Paris, 1905 (traduzione in lingua tedesca molto rimaneggiata, Leipzig, 1910); in seguito, e piü tardi, i l tema fu in particolar modo trattato nella nostra lunga Memoria giä citata: Le langage du bas peuple ecc... oltre che in una intera parte del volume: Le genie de Vargot, ecc., Paris, 1912.
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Per comprendere il senso e il meecanismo del quäle era necessario mettere in mostra, oltre che le caratteristiche della sua struttura, quelle di una psicologia propria ai componenti quegli strati inferiori di popolazione che, appunto, de] basso linguaggio con tanta compiacenza si servono. Crediamo ancor oggi non aver commesso errore affermando — come in quei vecchio scritto si faceva — che le caratteristiche del basso linguaggio, quali la deformazione e la triturazione delle parole, la trivialitä e il frequente uso di erotica o sordida verba, ecc. sono in;4 timamente legate alle caratteristiche psicologiche degli individui componenti gran parte degli strati sociali inferiori; anzi, di quelle caratteristiche psicologiche, esse — le caratteristiche del basso linguaggio — sono la chiara espressione. Ancora una volta appariva la prepotente e sempre vigilante pressione che gli istinti profondi esercitano, con le loro istanze dal basso in alto, sulle formazioni superiori e piü recenti dell'Io, in ispecie quando queste siano in modo deficiente o instabile organizzate. h) E neppure crediamo cadere in grave errore nel suggerire che, soltanto coi tener presente il quadro or or tratteggiato, si possano meglio comprendere alcuni fatti delle cronache (e anche della Storia) in cui improvviso, violento e talvolta barbaro protagonista e il gruppo o Strato sociale che si trovi a dimorare sui piü bassi gradini di una data Societä. Senza dubbio, ogni gruppo sociale ha il suo « egoismo » di gruppo e i suoi istinti profondi che lo spingono a invadere e sovrastare, ma il modo con cui siffatti istinti profondi si traducono all'esterno — or con irruzione e piena crudeltä, or sotto l'attenuata forma di deviazioni e trasformazioni molteplici e varie — varia da gruppo a gruppo (come da epoca a epoca) in stretto rapporto con le qualitä psichiche degli uomini formanti ogni gruppo. Non e il caso, ne il luogo, di parlare qui di tutto cio, tanto piü che del tema fu giä detto altrove con qualche cenno e meglio si dirä in avvenire in occasione di una Introduzione a uno studio della sociologia.
8. - Ancora vecchie pagine sull'«lo» inferiore. I criminali danteschi. Torniamo alla fine dello scorso secolo (1896-1897) quando fu pubblicata una Serie di studi di psicologia criminale consacrata a paragonare la psicologia dei criminali e dei degenerati dell'Inferno di Dante
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con la psicologia dei degenerali e dei criminali quäle veniva mostrata dalla Scuola Italiana di criminologia. Si cercava cosi, anzitutto, di chiarire il modo di formarsi e di agire della sovrapposizione, in piü piani, della personalitä umana, scrivendo: « P o i c h e e oggi comune dottrina che l'ontogenesi, cioe lo sviluppo dell'individuo, ripete in breve la filogenesi, e cioe lo sviluppo della specie (tanto per quei che tocca lo sviluppo organico quanto per ciöl che riguarda lo sviluppo psichico). ne deriverebbe che ogni individuo custodisce nella sua personalitä la ereditä psichica preumana), alla quäle si sovrappone l'ereditä primitiva ancestrale e su queste due insieme si pongono e si stabiliscono le formazioni piü recenti dell'Io attuale. Ora — si continuava — il modo di condursi degli uomini e sotto l'influenza di cotali differenti formazioni psichiche e muta secondo che domini l'una o l'altra di esse: subisce, tale o tale altro individuo, impulsi che sorgono dalle stratificazioni inferiori? Ed ecco allora l'uomo anormale, inferiore. Obbedisce, invece, ai movimenti che gli provengono dalle stratificazioni superiori che sono di formazione del tutto recente, ed ecco allora l'uomo sociale... » (1). Poche righe, queste, che avrebbero bisogno oggi di parecchi ritocchi. Ma cosi come erano, facevano esse comprendere perche Dante, dovendo tratteggiare i suoi criminali, necessariamente si servisse degli stessi colori di cui si sarebbe servita assai piü tardi la psicologia criminale della Scuola italiana. Invero, l'uomo nel quäle le stratificazioni superiori dell'Io sono incomplete ed instabili, per non dire mancanti, e uomo jehe agirä sotto la spinta delle stratificazioni inferiori (preumane, selvagge, infantili) od intermedie, sieche la sua condotta in Societä non sarä simile alla condotta dell'uomo in cui le stratificazioni superiori possono funzionare normalmenle. La funzione delle stratificazioni superiori, dei sentimenti che formano la parte piü recente ed instabile dell'Io, la superficie, la facciata dell'Io stesso, non e forse (cosi si diceva in quell'antjco scritto sui criminali danteschi) funzione di inibizione verso le forze e le tendenze inferiori che minacciano di apparire in superficie? Ora, per tornare al nostro Dante, Dante non vedeva forse l'anima umana come una complessa struttura a tre piani: l'anima vegetativa, in basso; l'anima animale sopra di quella e, infine, in cima, l'anima razionale? Seguiva in ciö la dottrina di Äristo-
A . NICEFORO, Criminali 19-20 ed anche pag. 85.
(1)
pag
e degenerati
nell'Inferno
dantesco,
Torino,
1898,
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tele e non aggiungeva Egli che queste tre anime si trovano l'una al di sopra dell'altra, avendo l'una qualcosa di p i ü dell'altra, come se al triangolo si sovrapponesse il quadrato e a questi due il pentagono? Non faceva Egli, oltre di ciö, osservare che gli uomini privi di anima razionale (noi diremmo oggi; privi delle stratificazioni psicologiche superiori) non possono fare altro che vivere di una vita animale, egoista e crudele? Ecco perche, descrivendo i dannati, il Poeta non possa far a meno di riavvicinarli ai b r u t i e di caricarli degli istinti p i ü primitivi (1).
9. - L'antica teoria della «criminalitä latente » (1902). Dopo aver mostrato che ogni personalitä umana si compone di una Serie di formazioni psichiche che vanno dalle piü basse (preumane, preistoriehe, selvagge, infantili) a quelle — superiori — di struttura p i ü recente, le quali costituiscono come dei f r e n i inibitori e trasformatori degli istinti profondi, non restava che un passo per giungere a una teoria che abbiamo chiamato della «criminalitä l a t e n t e E * nunciata nel capitolo intitolato-. « La criminalidad latente y el porvenir del delito» del nostro volume: La transformaciön del delito en la Sociedad moderna (pubblicato nella « Biblioteca de derecho y ciencias sociales » di Madrid nel 1902) quella nostra teoria si presentava come segue. 1) Ogni Io e un insieme di giaeimenti psichici nel cui Strato piü profondo si nasconde l l o primitivo e antisociale; e perö in ogni Io, cioe in ogni uomo, esiste sin dalla nascita, e p e r lungo tempo ancora, una latente antisocialitä e quindi una « criminalitä latente ». 2) Quando e come questa « criminalitä latente » appare e si offre alla luce del giorno? Nelle seguenti condizioni. a) In primo luogo ciö accade —• diceva quell'antico scritto — allorquando le stratificazioni superiori dell'Io non h a n n o avuto possibilitä di ben organizzarsi in ragione di alcune forme di degenerazione fisica congenita in cui si trova l'organismo, e ciö perche le f o r m a (1) Rimandiamo al nostro studio: L'ancienne doctrine des trois ames et la Psychologie criminelle moderne, nella «Rivista di Psicologia» Bologna, 1937, dove i l lettore troverä anche l'esposizione che un celebre scrittore fiorentino d e l XVI secolo (G. B. Gelli) faceva della dottrina deUe tre anime. Memoria riprodotta negli «Arquivos de Medicina legal e Identifica;ao», Rio de Janeiro, 1928, N. 16, v o l . II, pag. 825 e eeguenti, e altrove.
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zioni superiori psichiche necessitano di alcune condizioni di terreno sano, ricettivo e normale per prendere radice e condursi a completo sviluppo. Ecco allora formarsi individuo portatore di caratteri primitivi ed arcaici rimanendo «malvagio » ed antisociale (cause biologico-individuali della condotta antisociale). b) Le profonde istintivitä egoistiche, antisociali, e le latent i formazioni primitive vengono alla superficie, in secondo luogo (si continuava in quello scritto) allorquando le stratificazioni superiori dell'Io non hanno potulo costituirsi in modo completo e fermo, non tanto a motivo di degenerazione individuale (congenita o no) quanto in ragione dell'avverso ambiente in cui l'individuo crebbe, f u allevato e si sviluppo (ambiente familiare, economico, sociale, psichico, e altro). Fatti — come si vede — di ordine esterno e mesologico, che agiscono con tanta maggior forza quanto p i ü Tindividuo presenta giä evidenti segni (stigmate) di inferioritä biologica. c) D'altra parte, e in terzo luogo, crisi psicologiche e altre possono presentarsi p i ü o meno improvvise e di piü o meno prolungato spazio di tempo in uomini che p u r si trovano ad avere formazioni superiori dell'Io giä complete e ben stabili anche nelle loro forme piü deÜcate, crisi psichiche e altre che sconvolgono, alterano e fanno persino scomparire momentaneamente la personalitä superiore, riconducendo alla superficie — sia pure per un istante — la fiamma nascoeta. Semplice abbozzo, quanto sopra, ma occorre — per giudicarlo convenientemente — riferirsi all'epoca in cui f u presentato; fu poi -ripreso, come si vedrä, e in qualche guisa completato e meglio rischiarato... ma giä — ci sembra — presentava esso linee generali da tener si ancora presenti e, come che sia, suggeriva spontaneamente e naturalmente la classificazione dei criminali e degli antisociali in coloro, da un lato, che sono tali p i ü in> forza della loro costituzione organica che in ragione delle pressioni ambientali (criminali endogeni) e in coloro, d'altro lato, che sono antisociali e criminali, p i ü in forza della pressione ambientale che a motivo della loro costituzione organica (criminali esogeni), senza con cio dimenticare che la categoria di forze o cause o concause biologiche ed individuali, sempre in dose p i ü o meno sensibile, si trova collegata a quella delle forze o cause o concause di ordine ambientale (1). (I) II modo di vedere siffatta compenetrazione o eimultaneitä del
fattore
individuale e del fattore ambientale nella dinamica dell'azione criminale (e an-
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Parecchi anni dopo la presentazione di quelle ormai antiche pagine sulla «delinquenza latente» un illustre psicologo e fisiologo italiano — Marian» Patrizi — brillantemente metteva in circolazione una sua teoria, analoga in gran parte alla sopra ricordata nostra teoria sulla « criminalitä latente » : il delitto, cioe, costituisce un fatto di atavismio psichico in quanto risulta dalla risurrezione, nell'attivitä individuale, degli istinti atavici, residuali in fondo ad ogni umana psiche; si aggiungeva generalizzando (il che tuttavia non ci sembra potersi ammettere) essere il delitto di origine esclusivamente psicologica inquantoche prende esso radice nel bassofondo egoistico e antisociale di ogni anima umana. F.a con ciö si dimentica che l'inibizione, o altro fenomeno equivalenle, da prodursi da p a r t e delle stratificazioni superiori allo insorgiere delle inferiori, e condizionata (vedi sopra) dallo stato biologico e biopatologico, congenito o acquisito, dell'indiduo. Le belle pagine del Patrizi sono spesso menzionate dai nostri criminalisti e da quei penalisti che vedono con diffidenza la immissione delle scienze puramente biologiche nello studio della criminalitä, sotto il nome di « teoria della monogenesi della criminalitä » ; posslamo ingannarci, ma ci sembra che il punto essenziale della teoria stessa si trovi per intero nella esposizione da noi precedentemiente giä falta di una « criminalitä latente » presente e nascosta nel segreto di ogni cuore umano. In piü, quell'antica dottrina della «criminalitä latente» teneva conto deH'insieme di tutti i fattori che e necessario prendere in considerazione in fatti cosi complessi come quelli di cui discorriamo e soprattutto il concetto che il delitto puö parag*narsi a ciö che in un parallelogrammo di forze e la risultante; le quali forze sono date: da un lato dalla costituzione biopsichica dell'uomo, e dall'altro dalla pressione esercitata dall'ambiente l'geografico, economico-sociale, psichico).
che della condotta in genere) abbiamo piü tardi voluto illustrare con una iinma. gine (l'immagine della calami'a e dei corpuscoli di natura varia e piü o meno distanti da essa che la calamita attrae di mano in mano che si fa di maggior mole e potenza) a pag. 343 della nostra Criminologia: Ambiente e delinquenza, Milano, 1943. Vetlasi anche la nostra Memoria: Vlo sociale e l'Io biologico, nella « Rivista di Psicologia » Bologna, 1943, n. 1-2.
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10. • Scomparirä un giorno il delitto? Le fontii perenni del male.
Restiamo accanto ai nostri vecclii stüdioei di criminologia che scrissero e discussero ancor prima che si affermassero le modernissime vedute psicologiche tanto di moda ai no6tri di. ;Si tolga dalla sepoltura dell'impolverata biblioteca, un logoro cimelio: uno scritto che apparve al principio del secolo (1902) e, traducendo da quei cimelio, ci si fermi alle pagine in cui si chiedeva se un giorno scomparirä davvero il delitto. La questione, mezzo secolo fa, era ardente poiche si ostinava taluno a sostenere che origine unica del mal fare stava nelle malvage condizioni economiche e sociali in cui tanti uomini son costretti a vivere, e che — conseguentemente — fugate, per magico potere, tali orrende condizioni, tanto l'ergastolo della miseria quanto quello del delitto sarabbero caduti al suolo. Ora, in quelle lontane pagine si leggevano le precise parole che seguono e che qui, senza nulla miutare, riproduciamo... per quanto dovrebbero oggi subire qualche ritocco. Dopo aver mostrato come il delitto sempre si trasformi passando da epoca a epoca, da territorio a territorio e anche da Strato a Strato sociale, dicevano quelle pagine esservi nel delitto e nel male una quantitä irriducib i l e ; crearsi l'illusione della disparizione del delitto o del male sarebbe come credere che il progresso della medicina e dell'igiene possa per sempre fugare la morte. No; le infermitä si faranno meno frequenti e meno gravi, meno pericolose e meno fatali, ma sempre — come fatto irrimediabile — rimarrä, incancellabile, la necessitä dell'estremo viaggio. Nel medesimo modo, il delitto e il male, infermitä dello spirito, per quanto possano trasformarsi e attenuarsi, mai potranno perire. Infatti — si continuava in quello scritto — delitto e male non sono soltanto, come i piü credono, frutto esclusivo dell'ambiente, ma affondano invisibili e tenaci radici nella natura stessa dell'uomo, radici che mai potranno venir divelte. Radici profonde e invisibili — continuavano sempre le pagine che andi am» esumando — nelle quali radici il classificatore potrebbe ravvisare due eterne varietä: la criminalitä latente da un lato, la degenerazione organicopsichica, dall'altro. In quanto alla prima (delinquenza latente) si esponeva ciö che piü indietro qui abbiamo giä riassunto: tutti noi portianio nel giardino segreto del cuore le spine delle formazioni psichi-
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Parte,
seconda
che primitive, selvagge e barbare, e perö la indistrutlibile forza degli istinti egoistici giace perenne — con tutti i derivali di violenza, di sopraffazione, di attivitä predatoria —< nelle catacombe oscure del nostro essere. p i ü o meno pronta a riapparire, sia p u r e sotto le piü fantastiche forme, alla vita. In quanto, poi, all'altra fönte perenne, costituita dalla degenerazione organica e psico-organica, ben si faceva notare come, data l'impossibilitä di sopprimere dalla struttura e dalla vita fisica e psichica dell'uomo, patologia e psicopatologia, deve pur di necessitä rendersi impossibile la soppressione di ogni anormale reazione dell'individuo alla vita sociale. Goncludendo, si diceva che « l ' u o m o sarä sempre un delinquente latente », quäle che sia l'avvenire psichico e sociale dell'Umanitä, e che, d'altra parte, perenne e indistruttibile e il processo di degenerazione organica il quäle, per variabilitä naturale, sempre si p u ö presentare in questo o in quell'individuo. Di qui l'eternitä della trasformazione di una delinquenza latente in una delinquenza manifesta ed agente (1).
1 1 . - Ancora delle ombre nascoste nell « lo» inferiore e profondo: le idee e i sentimenti «magici». Un esame — sia p u r rapido e a larghi tratti — del mondo psichico inferiore non sarebbe certamente stato efficace se si fosse lasciata da p a r t e certa specie di oscuri fantasmi che abitano quei mondo e che si possono chiamare idee e sentimenti di carattere « magico ». E perciö una diffusa rassegna descrittiva di siffatte idee e sentimenti e del loro modo di esprimersi, si volle giä da tempo compiere mostrando come si tratti di un meccanismo psichico che, fortissimamente agente presso ( I ) A . N I C E F O R O , La transformacidn del delito ecc., giä citata, paragr. XXI; rimandiamo anche — tanto per la cronaca e per le date — alla nostra prolusione (tenuta all'Universitä di Losanna nel 1901) al corso di criminologia e pubblicata nella «Scuola positiva », 1S01, coi titolo: Les transformations du crime, alcuni punti della quäle trattano del tema su indicato. Su di esso torniamo oggi largamente parlando — a proposito delle attuali discussioni sulla cosi detta « terapia (psichica, ormonica, chirurgica) del delitto » — di una possibile diminuizione, da parte degli uomini, della attivitä criminosa, come si vedrä nella seconda edizione della nostra Criminologia (volume II, consacrato allo studio biologico del delinquente) in corso di stampa.
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i primitivi contemporanei (e probabilmente presso i preistorici) pur si trova ancor vivo (sebbene con fisonomia piü o meno attenuata, 6COlorita o trasformata) nel mondo delle nostre basse o incolte classi sociali e perfino (ma in fugacissima forma soltanto) nel profondo dello spirito di ogni uomo anche colto e civile. Sarebbe fuor di luogo fermarci qui a trattare, sia p u r rapidamente, dei sentimenti e delle idee di carattere « magico ». Di quelle idee e di quei sentimenti consistenti, soprattutto, nei fondamentali concetti della analogia e della trasmissione per contatto, si dette a suo tempo illustrazione, toccando della loro presenza e del loro modo di agire nelle citate categorie e cioe nei primitivi (preistorici e popoli di natura), nella mentalitä degli strati sociali meno evoluti e nel fondo psichico di ogni uomo anche civile e civilissimo; e ciö in qualche ricerca che si data nell'epoca, oramai lontana, di cui stiamo discorrendo. Ricerca che, ripetiamo, portava il suo speciale tributo, precisamente, allo 6tudio e alla concezione di quella struttura dell'Io quali furono vedute e disegnate dai nostri studiosi della Scuola Italiana di criminologia (1). Non e dunque il caso di tornare sul tema ; ciö nonostante, sarä utile rammentare qualche fondamentale punto della questione. E cioe: che cosa sono idee e sentimenti magici; come si manifestino presso i primitivi, i preistorici e anche nelle piü basse classi delle societä civili; come sorgano e si presentino nell'etä infantile o in alcune categorie di malati; come riposino, latenti, ne] profondo della psicologia di ogni individuo pur colto e civile. a) I (lue fondamentali della magia.
«teoremi»
Le idee e i sentimenti di carattere «magico» formano costellazioni da raggrupparsi in due diversi modi di vedere e di sentire. Dall'un canto, esiste un sentimento istintivo, o un'idea istintiva, la cui struttura e, per cosi dire, connaturata coi modo di sentire e pensare p i ü elementare e generale, per il quäle tutto ciö che e stato in contatto con un dato oggetto, assorbe e custodisce le qualitä di quell'oggetto (magia di contatto, o di continuitä, o magia simpatica, o contagione). Mjettersi in contatto con un oggetto e assorbirne le qualitä. D'altro canto (altro sentimento che sembra istintivo, o idea istintiva) si e inclini a ( 1 ) A . NICEFORO. La jiamma nascosta; ricerche di preistoria nella Rivista « A r s et L a b o r » , Milano, 1908 e 1909.
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-
Vlo.
contemporaneo•
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credere che ogni gesto del l'uomo e oapace di attirarc o di provocare tutto ciö che gli rassomiglia (magia omeopatica, o imitativa, o analogica); il simile, cioe, atlira e provoca il simile. Grazie al primo principio, o « teorema », il primitivo crede, per esempio, che tutto ciö che e stato in contatto con um oggetto «impuro» diventa parimenti imp u r o ; ne segue tutta una Serie di interdizioni e di riti di purificazione. Oppure, si crede che mangiando una data parte del corpo di un animalc «sacro» o di un uomo, si assorbano le qualitä di quella parte del corpo (principio da ricollegarsi al cosi detto « cannibalismo magico »). Grazie al secondo principio o « t e o r e m a » , il primitivo che desidera attirare o provocare la manifestazione di un desiderato avvenimento, compie gesti che rappresentino, sia pure con le p i ü simboliche forme, quell'avvenimento. La documentazione raccolta nei riguardi del modo di esprimersi, presso i primitivi o popoli di n a t u r a , dei sopra detti due principii, e cosi ricca e significativa che non e il caso di insistere, tanto piü che di tutto il tema — con annesse ripercussioni nel campo della psicologia del basso popolo — avemmo e avremo occasione di dire altrove; si rammenti, tuttavia, come ragioni moltissime vi siano che fanno comprendere come quei « t e o r e m i » abbiano pur formato, per cosi dire, lo Schema del pensiero e del sentire dell'uomo preistorico. Sicche idee e sentimenti inagici costituentl l'alba della umana mentalitä ancestrale, si mantengono e si riproducono nella psiche dei primitivi contemporanei e si riaffacciano ancora — p e r ereditä e soprawivenze o per naturale e istintivo irifiorire — nella etnografia del basso popolo. La preistoria di ieri, dunque, e ancora una preistoria... contemporanea. b) Qualche
esempio.
Sebbene, come dicemmo, documentazione di quanto sopra largamente sia stata offerta d'ogni parte (e anche da chi scrive) e sebbene sul tema si debba tornare altrove, valgano subito brevissimi esempi. Grazie all'istintivo principio dell'annZogia, il primitivo che invoca la pioggia si dä — con speciali riti — a imitare il fragore del tuono o a versare fiotti d'acqua a t e r r a ; oppure, innanzi di mettersi a caccia, imita gesti e movenze dell'animale che e oggetto di quella caccia. II simile attira o provoca il simile. L'uomo preistorico, dal canto suo, par seguisse medesima via quando tracciava sulle pareti delle sue grotte rozzi disegni di animali colpiti dall'arma di pietra. o in altri at-
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teggiamenti. Anche oggi il credere, da parte del basso popolo, che lo avvenire di una data persona si trovi in analogia coi modo di disporsi di un fondo di caffe o di un bianco di uovo gettati — con speciale rito e in determinati giorni — nell'acqua, o di una sequenza di carte da gioco, oppure il credere (medicina popolare) che pietruzze o erbe di color rosso guariscano malattie del sangue. mentre pietruzze Manche favoriscono l'afflusso di latte alle madri che allattano, non e forse un sentire e un « ragionare » in base alla magia analogica? Grazie, d'altra parte, aH'istintivo principio del contatto, il primitivo per esercitare malefico influsso (o altro influsso che sia) su una data persona, compie o fa compiere riti « m a g i c i » su unghie o capelli della persona stessa, poiche cio che f u in contatto con la persona o fece parte di essa rimane i n contatto con quella, e quindi operando su quelle distaccate parti e come operare sul tutto; chi tocca cose impure o pronunzia parole proibite, rende impuro se 9tesso, sia in ragione del diretto contatto materiale, sia perche pronunciare parola impura e come « toccare » (con le labbra) la cosa impura. A quanto pare, secondo interpetrazioni oggi date ad alcuni disegni o ad alcuni resti preistorici, anche i nostri antenati dell'etä della pietra operavano e pensavano nello stesso modo. E le nostre fatlucchiere — cui si dirigono tanto spesso donne e donnine del basso e non basso popolo — non seguono forse medesimo metodo e non compiono forse quei medesimi gesti? Trafiggere, poniamo. di spilli l'immagine di colui o di cölei cui si porta odio o un oggetto giä appartenente alle persone in questione, e rito stregonistico ben noto a coloro che ebbero a descrivere usanze e sortilegi di siffatte commereianti di stregonerie. Le popolari leggende abbondano di favole e credenze in cui questo o quei principio magico (come sopra) detta, per cosi dire, tutto il senso o la trama della favola e della credenza; ben ricorda Ibsen — nel suo dramma: Spedizione nordica — la vecchia leggenda che dice aver J ö k u l dato da m a n ' giare ai suoi figli il cuore di un lupo perche divenissero cattivi, veri lupi verso gli altri lupi e verso gli uomini (1). (1) Larga esposizione dei « teoremi.» psicologici riferentisi alle idee e ai sentimenti di carattere magico e contenuta in tutta l'ultima parte della nostra citata opera: Le genie de Vargot ecc., in cui particolarmente si tratta, anche, delle interdizioni linguistiche o parole tubü; rimandiamo anche alla nostra recente Memoria: la «magia» delle! parole; istintivitä magica e sue reviviscenxe, nella «Rivista di Etnografia », Napoli, 1948, in cui — oltre a succinta esposizione dei « t e o r e m i » magici — si cerca mostrare come le istintivitä « magiche » costituiscano un fondo perenne della personalitä e tendano sempre a riapparire.
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Parte,
seconda c) (Bimbi e
nevrotici.
E ' pur da dirsi che si comincia oggi a trovare che p u r nella psicologia della prima e primissima infanzia e presenza di idee magiche, in ispecie di quelle che abbiamo visto chiamarsi analogiche. E ciö, sia per semplici ragioni di ereditä psichica ancestrale (l'ontogenia ripete la filogenia), sia per il fatto che essendo ogni imperioso gesto (da parte del bimbo non ancora divezzato), ricliiedente alcunche alla madre o alla nutrice, di subito soddisfatto, ciö fa nascere niel bimbo, e affermarsi, la credenza che.., ogni gesto rappresentante un dato desiderio, conduce di necessitä seco la realizzazione del desiderio stesso. II simile suscita e provoca il simile. Cosi, almeno, pensano alcuni moderni psichiatri che si sono voluti addentrare nel terreno della magia sia preistoriea che contemporanea; essi anzi — con trapasso che potrebbe a prima veduta sembrare piü che fantastico — vedono un pieno risorgere delle idee magiche analogiche negli special issimi gesti compiuti da certi nevrotici : in tali patologiche avventure dello spirito, questo regredisce verso le sue primitive forme, infantili o preistoriche che siano. d) L'« Io» l'« Io »
illogico, logico.
nascosto
sotto
Diciamo ancor piü e meglio. A nostro modo di vedere, le idee e i sentimenti di carattere magico non costituiscono soltanto la trama, o unia delle piü importanti trame. su cui viene a tessersi la vita mentale (e sociale) dei primitivi contemporanei, e neppur costituiscono soltanto l'alba preistoriea del pensiero e dei sentimenti all'orizzonte dei lontanissimi tempi ancestrali, ne soltanto una specie di falsariga su cui vengono a tracciarsi in gran parte usi, costumi, credenze e riti del basso popolo. Tale istintivitä magica e anche presente —i se non ci sbagliamo — allo stato ignoto ed embrionale nel fondo abissale dell ' I o di ciascuno di noi, anche adulto, quäle che sia la latitudine e longitudine sociale in cui ognuno di noi g nato ed e vissuto: quella istintivitä, cioe, sentimentale e mentale al tempo stesso, particolarmente soggetta a farsi viva nell'Io non battuto o compresso o controllato dalle formazioni psichiche superiori, dorme anche nell'oscuritä d e l l l o di ogni uomo colto. Invero, e cieco istinto della logica umana — ogni
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qualvolta essa si faccia a r a g i o n a r e o c r e d a r a g i o n a r e e e n t r i in cont a t t o con fatti del mondo esterno da cui si aspetta u n qualche o su cui si i n t e n d a agire — e p r o p r i o cieco istinto della «logica» u m a n a sospett a r e o t e m e r e che il simile susciti e provochi il simile (per analogia) o che oggetti e persone possono trasmettere p e r contatto le l o r o c a r a t t e ristiche (magia di « c o n t a g i o n e »). In ogni uomo, una logica in qualche modo imipulsiva e, se cosi si p u ö d i r e , non ragionante, spinge costui a c r e d e r e e f f e t t i v a m e n t e alla efficacia della analogia e del contatt o ; si t r a t t a di una logica che riposa, da un canto, sul f o n d a m e n t o (ver a m e n t e logico?) della idea di associazione e di quella di contatto, idee che t a n t e volte h a n n o messo sulla via d e l l a scoperta scientifica o c h e d a l l a indagine scientifica sono State trovate esatte; d ' a l t r o canto, e p r o p r i o cieco istinto della logica u m a n a — logica... irragionevole, ma p u r 6empre presente e costante — il sentire dal p r o f o n d o del p r o p r i o essere — q u a n d o ci si trovi d i f r o n t e alla t e m u t a possibilitä di un qualche avvenimento che possa improvvisamente sorgere p e r analogia o p e r c o n t a t t o — il suggestivo a v v e r t i m e n t o : « Non si sa m a i ! » L'avvertim e n t o vi suggerisce di non c o m p i e r e i l gesto o di non r i t e n e r e l'oggetto che p o t r e b b e r o p e r analogia o simpatia suseitare cose a vo>i 6piacevoli... II piü delle volte. giustamente, voi passate oltre, m a la preistoria, o la cieca impulsione i n f a n t i l e , si e f a t t a sentire. E cioe: « E ' certo che il simile non h a sempre il p o t e r e di suseitare e p r o v o care ciö che e simile, ma... non si sa mai- E ' c e r t o che il c o n t a t t o non p u ö s e m p r e avere effetto, ma... non si sa m a i ! Q u a l c h e avvenim e n t o (spiacevole o no) non p o t r e b b e forse verifiearsi, avente caratteri di simiglianza con il gesto che stiamo p e r c o m p i e r e o con la p a r o la c h e stiamo p e r p r o n u n c i a r e o c h e ci sfuggi? » M e d e s i m a m e n t e , di f r o n t e a d e t e r m i n a t o oggetto che venga in nostro possesso, proveniente da altra persona o da determinato ambiente, n o n p u ö forse a noi b a l e n a r e il sospetto —< o la speranza — che le caratteristiche della persona o d e l l ' a m h i e n t e cui a p p a r t e n n e l ' o g g e t t o stesso entrino, per cosi dire, nel c i r c u i t o della nostra personalitä i n f l u e n d o perniciosam e n t e o n o su di essa o sulle nostre q u o t i d i a n e vicende? E cosi possiamo talvolta istintivamente pensare, p e r q u a n t o assurda possa sembrare tale ipotesi e assolutamente c o n t r a r i a a l l e nostre cognizioni sul n a t u r a le modo di succedersi degli avvenimenti. Insomma, sotto l ' I o esterno, sociale e logico, di ogni individuo — un Io, cioe, che p r e n d e giuste misure, che prevede, c h e calcola, che a d o p e r a gli s t r u m e n t i tutti forniti d a l l e cognizioni che sono a sua di-
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spo6izione — vi e ascoso un altro Io ben diverso che teme, che sta perennemente in guardia e che anche, soprattutto, di fronte alle certezze asserite dall'Io esterno, sapicnle, ragionante, insinua il dubbio e il timore per un qualche che venga a contrastare con cio che la normale logica ragionatrice aveva preveduto... « N o n si sa mai! Nello spirito degli individui la cui mente si muove nel mondo della cultura, quelle voci non vengono a farsi sentire che all'improvviso, a tratti e spesso senza effetto; presso altri — e in grandi masse, la dove la cultura e il sapere, sia pure il sapere del secolo (che non sarä piü il sapere del secolo di domani) fanno difetto — le idee magiche ognor si tengono alla radice si delle credenze che dei costumi. In tutti i casi, l'essenziale sta nel fatto che, nel credere e nell'agire in un determinato modo, individui e intere masse pensano seguire le leggi delle piü assolute e incontrastabili veritä obiettive — sogno e illusione perenne — mentre obbediscono invece all'impulso di idee e di sentimenti magici dominanti nella preistoria — o nella primitivitä contemporanea — e, se si vuole, nella prima e primissima infanzia e persino nella vita psichica di alcuni malati di mente.
12. • Autorevoli conferme. Vi e da rallegrarsi nel vedere che cosa oggi si vada scrivendo quando si vuol studiare, sotto luce che si pretende nuova e originalissima la struttura dellTo o il meccanismo, biologico e psicologico al tempo stesso, di alcune forme dell'umana condotta e in particolare della condotta criminale. Vi e da rallegrarsi, infatti, inquantoche si ha ancora una volta conferma c h e le nuove vedute sono, in un certo senso, ripetizione o prolungamento delle antiche vedute di cui infino a qui — richiamandoci al passato — abbiamo fatto rassegna. a) Anima
preistoriea
ecc. e sue re-
viviscenze. Si dia una occhiata, per esempio, alla recentissima opera su « l ' a nima primitiva » (Milano, 1941) di R. S. Schmidt, nella quäle si considerano, tra l'altro, i seguenti punti come se — ben 9i noti — si trattasse di vedute mai per l'innanzi presentate. Primo p u n t o : le caratteristiche dell'anima primitiva preistoriea 6i trovano non solo nell'anima primitiva delle popolazioni contemporanee di natura, ma anche nel
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sottosuolo psichico — p e r cosi d i r e — di ogni uomo civile. Secondo p u n t o : le stratificazioni psichiche p r i m i t i v e a p p a i o n o poi abbastanza evidenti, sebbene con sbiadite tinte, nella psicologia delle classi p i ü basse e m e n o colte, o addirittura incolte, d e l l e nostre popolazioni. Nell ' a n i m a popolare, dice il nostro studioso, p i ü vicina alla N a t u r a , vive ancora l'epigono dello spirito dei t e m p i preistorici. Q u i n d i « nel quad r o attuale del m o n d o (sempre ammonisce quello scritto) a p p a i o n o d u e f o r m e di eventi vissuti: q u e l l i del t e m p o a n t i c o e quelli del tempo p r e s e n t e ; si t r a t t a di due m a n i e r e s i m u l t a n e e di p e n s a r e e di sent i r e . II secondo m o d o deriva dal pensiero logico e razionale, m e n t r e il p r i m o p r o v i e n e dal pensiero p r e i s t o r i c o » . Si va anche p i ü oltre, p o i c h e •—• terzo p u n t o — si a f f e r m a c h e questa sovrapposizione di strati psichici che vanno dagli inferiori, preistorici, magici, a quelli sup e r i o r i e sempre p i ü moderni, non si f a soltanto attraverso i millenni, d a l l ' a n i m a preistoriea alla m o d e r n a (filogenesi), ma anche attraverso la r a p i d a , sintetica e ricapitolativa evoluzione psichica d e l l ' i n d i v i d u o , d a i p r i m i giorni della vita alla p r i m a etä e alla fanciullezza... (ontogenesi). Sia p u r e ; ma i n t a n t o e da r i m a n e r e c o l p i t i e quasi stupefatti quando, a proposito d e l l e sopra dette a f f e r m a z i o n i , si legge (sempre n e l l e p a g i n e che s t i a m o e s a m i n a n d o ) : « Con questo ci t r o v i a m o di f r o n t e a u n a delle maggiori scoperte che siano State fatte nel c a m p o psicologico... il c h e e a w e n u t o soltanto da dieci a n n i a questa p a r t e » (l'edizione originale e del 1934). Come mai p u ö seriamente affacciarsi asserz.ione di tal genere? b) Delitti
e
delinquenti.
Passando ora a u n ' a l t r a benvenuta e autorevole c o n f e r m a , si veda che cosa oggi si va scrivendo dai c u l t o r i di una celebre e b r i l l a n t e Scuola di psicologia, nei r i g u a r d i del d e l i n q u e n t e e del delitto. Blen s a p p i a m o c h e il d i n a m i s m o del delitto, q u ä l e la mioderna scuola psicologica cui alludiamo t e n t ö d i p i n g e r e , e ben d i f f e r e n t e da q u e l l o p r e s e n t a t o dalla Scuola italiana n e l l ' u l t i m o mezzo secolo, ma in p i ü di un p u n t o si t r o v a p u r coincidenza, e cioe antieipazione della Scuola italiana su quella che v e n n e p o i ; lä dove, ad esempio, si parla — come giä a w e r t i m m o — di delinquenza atavica, di giaeimenti psichici i n f e r i o r i , di f r e n i inibitori e via dicendo. I n f a t t i , p e r c o r r e n d o le singolari pagine c h e qualche adepto della psicanalisi h a r e c e n t e m e n t e
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scritto a proposito del delitto e del delinquente, quante volte si e colli dalla sorpresa notando come giä le antiche idee della Scuola italiana di antropologia criminale vengano presentate come uscenti — fortunato tocco di bacchetta magica — dalla inquisitoriale acutezza di una ricerca psicologica propria agli psicologi della Scuola di Vienna. In primo luogo, quei moderni psicologi non avrebbero forse scoperto che la « perversitä » della prima infanzia puö riapparire alla superficie nell'etä adulta? E ancora, in secondo luogo: M o inferiore non e a ogni istante compresso dalla v.igilantc azione della Gensura (il nostro Io neozoico e superiore)? Tali idee sono pertanto alla base della antica psicologia criminale italiana. Ma ecco altre idee e altri fatti che e bene citare a questo proposito. La criminalitä — ed % ancora affermazione presentata da cultori della psicologia piü moderna — deve essere ben considerata come un fenomeno umano generale, in questo senso, che in fondo ad ogni cuore umano si nascondcmo, sin dalla nascita, gli istinti anti-sociali; di qui l'affermazione, da parte di quei moderni psicologi, che ogni uomo e un « criminale immaginario » e perö non e stato detto, con qualche poco di umorismo, che dietro ad ogni cittadino occorrerebbe tener sempre un gendarme? (ma chi poi farä da gendarme al gendarme?) P r o p r i o come la nostra antica teoria della criminalitä latente aveva giä fatto comprendere. I moderni studiosi di cui sopra avrebbero, d'altra parte, scoperto che il Codice penale altro non e se non una raccolta di formule astratte... Non si tratterä da parte del giudice, che di classificare semplicemente l'atto criminale in una delle categorie previste da schemi prestabiliti; sieche la giustizia attuale non fa che diventare una tecnica segreta. propria al giudice di professione; essa si allontana per tal modo dall'intendimento dell'uomo ordinario e dalla sana ragione umana... II giudice si rifugia nel mondo, cosi detto esatto, degli articoli del Codice... Esiste un vero horror, sconcertante, da parte del giurista, per ogni tentativo di comprensione dei motivi umani. Riesca il giudice, appoggiandosi sul diritto positivo, a collocare nel miglior modo possibile un dato delitto nella casella offerta da un dato articolo del Codice, e sentirä 9oddisfarsi e acquetarsi il suo senso di equitä (1). Si certamente, ma — a parte alcune evidenti esagerazioni — le pagine del Ferri e del Garofalo, assai prima ancor che finisse lo scorso secolo, non avevano giä proclamato, nel domandare il rinnovamento del(1)
FR.
ALEXANDER
et H.
STAUBE,
Opera
giä citata,
pag. 29.
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la scienza penale, che per essere vero criminalista non basta dettare articoli di Codice o conoscerli a memoria a uno a uno? E che, per creare la scienza penale e per condurre la lotta contro il delitto, e necessario conoscere, innanzi tutto. l'uomo delinquente? E che nel comminare la pena si ha da tener presente la personalitä del delinquente? Quei delinquente che nel 1874 e anni immediatamente seguenti il Lombroso e il Virgilio avevano quasi tratto dall'ombra del carcere e dei manicomi per collocarlo sul primo piano dei nuovi studi? Ecco, del resto, ciö che qualcuno scriveva al principio del secolo: « Si crede, dai piü, quando si conoscano a memoria i quattro o cinquecento articoli componenti un codice penale e quando si sia fatta l'analisi logica e grammaticale di quegli articoli, di aver completamente percorso il campo della scienza criminale... Invero, il diritto penale di oggi si limita a collocare su un piatto della bilancia la quantita del delitto, cercando poi mettere sull'altro piatto della bilancia stessa, tale dose di penalitä che l'equilibrio venga a ristabilirsi. Si dimentica completamente, per tal modo, altra parte della criminologia, parte fondamentale: quella, cioe, che studia le cause della criminalitä e la persona medesima del delinquente. Tanto per la scienza quanto per la Societä, non basta affermare che il delitto e u n a infrazione alla legge penale, infrazione da punirsi con una quantitä, piü o meno pesante, di prigione; oceorre sapere perche quei dato uomo sia diventato delinquente, e perche, in generale, l'uomo commetta delitti; in una parola, occorre sapere quali sono le cause generali e speciali della criminalitä. Unicamente conoscendo le cause di un fenomeno dannoso, si poträ agire su tal fenomeno, cercando tagliarne le radici... Necessita, dunque, rendersi ben conto dapprima delle cause della criminalitä, e poi si cercheranno misure che, da un lato, prevengano i delitti coi diminuirne le cause, e che dall'altro Ii reprimano quando non f u possibile impedirli... Si tratta, quindi, di una scienza p i ü larga (che non sia il puro e semplice diritto penale) che studia le cause della criminalitä, cioe a dire che mette in chiaro il dinamismo del delitto, e che basandosi sui risultati di siffatto studio etiologico cerca di combattere — con la prevenzione e la repressione — la criminalitä » (1). (1) Si veda la nostra lezione (nel corso di criminologia tenuto alla XJniversiiä di Losanna nel 1901) sotto il titolo: La Sociologie criminelle, pubblicata nella Rivista « La Scienza sociale», Palermo, gennaio-febbraio 1902, e piü tardi (ampliata e ritoccata) nella Rivista «La Scuola positiva », gen. febr. marzo, aprile 1903, coi titolo: Lignes generales d'un Programme nouveau pour
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Non e t u t t o ; vi e da restar sbalordjti — per non dire a l t r o — leggendo, sempre nelle citate pagine straniere che abbiamo piü sopra indicato, fräse tanto cronologicamente falsa come la seguente: « I I criminalista tedesco Liszt e il primo che fece della f o r m u l a : Non e il delitto, ma il delinquente, che dovrebbe essere punito, il fondamento di una storia del diritto p e n a l e » (pag. 33). L'uomo delinquente, cioe, e non giä il delitto; o meglio, l'uomo delinquente, piuttosto che il delitto. Ora, non e proprio questa l'antica formula della Scuola italiana? Parimenti, come si passon leggere le seguenti parole senza essere tocchi dall'anacronismo che esse contengono? « Incontestabilmente, costituisce progresso il fatto che Aschäffemburg, Wilmans, Bonhoeffer e Leppman e altri psichiatri siano oggi arrivati alla conclusione che tra i delinquenti ve ne siano non pochi da considerare come ammalati psichici... come intelligenze inferiori, come personalitä psicopatiche con caratteri isterici o epilettici » (pag. 38) (1).
13. - L « angelica farfalla ». Vorremmo or dire una parola, una sola parola, a coloro che rivolgono singolare rimprovero alle teorie italiane sopra dette circa il meccanismo di formazione e di attivitä dell'Io inferiore e d e l l l o superiore. Quäle errore, si dice, scendere fino al fondo dell'anima e indugiarsi tra le sue tenebre dove non si incontrano che il vizio e il peccato, e quäle errore nel sostenere che in ogni anima esiste — sia pure allo stato latente — la terribile possibilitä del vizio e del peccato! Non v'accorgete voi, che noi siam vermi Nati a jormar l'angelica farfalla? (Purgatorio X, 124, 125) Ebbene, o assai ci inganniamo (ma certamente cosi non e), o veramente e da dirsi che se vi e dottrina che ben mostri, per l'appunto, nel palpito dell'anima umana, la presenza di un'«angelica farfalla» e l'etude et l'enseignement de la criminologie. E anche l'edizione spagnola, sotto il titolo: Guia para el estudio de la criminologia, Madrid, 1903. (I) Per una storia della nascita e d e l l o sviluppo dell'antropologia criminale italiana, ei veda, oltre l'antico volume di A . FHASSATI, tutta la prima parte del primo volume della nostra Criminologia (1941, trattazione ampliata nell'edizione in corso di stampa).
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se vi e dottrina che faccia valere la nobile missione, l'efficacia, il modo delicato, sorprendente, di agire della personalitä superiore, tale dottrina e proprio quella che insino a qui abbiamo cercato ricordare e ricomporre. La quäle dottrina ha dipinto, e vero, con i p i ü foschi colori i cerchi inferiori dell'anima umana, criminale o non — come parimenti Dante si era servito delle ombre e dei fuochi del suo genio p e r dipingere le ombre e i fuochi dell'Inferno — ma ha descritto p u r anco con tratti sino a ieri sconosciuti, l'Empireo della personalitä superiore ove sono collocati gli spiriti buoni, le idee di giustizia, di amore, di bontä, di collaborazione, di sacrificio (quäle che sia, ammettiamolo pure, il modo di nascita di formazione di tali « istinti» superiori). La psicologia di cui parliamo, inoltre, h a ben visto da tempo, in anticipazione sulle varie differenti sorta di psicologie piü recenti, come i maligni folletti, nel tentativo di involarsi dalla profonditä dello spirito, si arrestino al contatto delle suggestioni dell'Io superiore, oppure come quei malevoli spiriti ,allorche si ostinano — a qualsiasi costo — a mostrarsi in pubblico, siano obbligati a mettere una maschera sul volto per piegarsi all'imperativo sociale e morale. II verme, dunque, che si trasforma in farfalla... Del modo di formazione, del resto, di questi giaeimenti psichici superiori da considerarsi come forze di arresto o di trasformazione e persino di sublimazione, dovremo meglio dire in uno dei capitoli che seguono.
CAPITOLO
SECONDO
IL TEATRO, IL OASTELLO E LE QUINTE DELL'ANIMA Le « anime » — dalla i n f e r i o r e e p r o f o n d a alla superiore — con le q u a l i ci siamo or ora intrattenuti non m o s t r a r o n o il loro volto e non parlarono soltanto attraverso le pagine di psicologi e di filosofi, ma persino — e con pittoresca e drammatica movenza — dalle scene degli ancor primitivi t e a t r i di un di e d a a l t r e fantastiche scene ancora. Si veda, infatti.
1. - L'anima vale.
sulla scena medie-
Signore e maestro nel farci « vedere » una volta di p i ü la lotta p e r p e t u a che si svolge n e l l ' a n i m o u m a n o t r a gli istinti prirmordiali e le suggestioni dettate dall'imperativo morale, f u il Medio Evo. Ma com e allora si denunciö la presenza sempre attiva del Demon.io, in fondo al nostro cuore, p u r si Seppe mostrare — in ispecie per mezzo dei Misteri e delle Visioni, sacre rappresentazioni —< la via che si h a da seguire p e r c h e l ' u o m o possa allontanarsi dal male p r o f o n d o che lo insidia e gettar lungi da se l'oppressione del peccato. Eccovi ad assistör e , in pieno Medio Evo, a p o p o l a r e r a p p r e s e n t a z i o n e ; La commedia deWanima (che troverä poi ritocchi, con la forma c h e oggi ne abbiamo, ai tempi di Lorenzo dei M/edici) ben r a p p r e s e n t a n t e , con i suoi vivaci colori e i suoi personaggi, le ansiose preoccupazioni dell'epoca. L ' A n i m a umana h a accanto a se, vigile ed amoroso, 1 'Angelo c h e custodisce... ma h a pur n e l l ' o m b r a sua stessa il Demonio che con ogni insidia o a viso a p e r t o le dä b a t t a g l i a , m e n t r e l'Angelo conforta per mezzo della Memoria, d e l l ' I n t e l l e t t o e della Volontä. A l t r e t t a n t i personaggi che si muovono, che p a r l a n o , c h e agiscono sulla scena... e ancor oggi p o t r e b b e riprendersi q u e l l o scenario e p o t r e b b e r o in esso muoversi quei personaggi, con m u t a t o nome reso moderno, ponendosi sul palcoscenico 1'« anima » inferiore, insidiante la superiore, e questa rispondere a quella, svolgendosi la successione delle scene attraverso episodi di ogni fatta da concludersi. a volte con il t r i o n f o d e l l ' I o infe-
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f i o r e , a volte — invece — con il segno della vittoria e della g r a z i a : Lievati sopra te tutto in jervore, diceva l ' I n t e l l i g e n z a a l l ' A n i m a nell'antica commedia; e l'Angelo, volgendosi in alto, prega, accennando alla combattuta a n i m a : Dagli, Signore, unardente fiammella, Che dijenda da drago jeroce. Vengono p u r e i n n a n z i a l t r i decorosi e n o b i l i personaggi quali la Fede di Celeste vestita, la Speranza a m m a n t a t a di verdi p a n n i e — rosso vestita — la Garitä... mientre i personaggi abit a n t i ciö che oggidi si chiama l ' I o i n f e r i o r e si avanzano p u r essi, ma in armi, a contendere con i p r i m i ; massimo tra essi l'Odio. Quando io veggo a terra il sangue umano — dice costui —< \Mi genera a vederlo un gran diletto, E tengo sempre il mio caval sellato Per esser presto presto in ogni lato... Come era da p r e v e d e r e — siamo s u l l e scene della finzione — ogni nemica potenza e disfatta e l ' A n i m a . . . con veste si bella e nuziale / AI convito starä celestiale. Q u a l c h e psicoanalista dei nostri leggerebbe con diletto quei cadenzati versi e vi t r o v e r e b b e , forse, sottili suggestioni. P r i m a ancora che quella Commedia come sopra ammaestrasse, si facevano duellare il Senso e la Ragione, ossja i Vizi e le V i r t ü come accadeva nelle semplici e p u r efficaci narrazioni d e l l ' e r u d i t o notaio Rono Giamboni, t r a d u t t o r e di O r o s i o e di Vegezio. Quei personaggi si muovono in folla, a v e n d o ogni vizio e ogni v i r t ü il suo speciale volto e il suo a d a t t o vestire; vivono e sorreggono l'anima, o la combattono, p r e c i p i t a n o o t r i o n f a n o come nei vividi affreschi — densi di f i g u r e — di C i m a b u e o di Luca Signorelli ad Assisi o ad Orvieto. Si vedono le schiere d e l l a Vanaglo, ria e dei suoi c a p i t a n i ; seguono quelle d e l l ' I n v i d i a , dell'Ira, della T r i stizia, dell'Avarizia, della Gola. della Lussuria e dei lor capitani. D ' a l t r o canto, ecco affacciarsi il « p a r t i m e n t o » d e l l e q u a t t r o osti o eserciti delle V i r t ü , e poi quelle della P r u d e n z a , della Fortezza, della T e m p e r a n z a , d e l l a Giustizia con i l o r capitani. T u t t o il codice del selcolo, come scrive Francesco de Sanctis, cioe tutto lo spirito dell'epoca aleggia in quelle scene di battaglia (spiritus intus alit) con il costante invito al personaggio d e l l ' A n i m a , conteso tra le potenze inferiori e le s u p e r i o r i , a mai slancarsi di fissar gli occhi a quei Monte, abitazione divina, ove sarä la sua salvezza. Lassü Vi e una fontana traboccante e bella / Che sempre getta un mirabil liquore. Si p o t r e b b e c o n t i n u a r e , ma valga un ultimo richiamo. I sacri testi — Lettera ai Romani, di P a o l o — avevano con d u r a intransigenza declamato s u l l ' a s p r o c o m b a t t i m e n t o che c a r n e e spirito, due c o n t e n d e n t i pur abitanti la medesima dimora, vanno senza tregua guerreg-
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giando tra loro sospingendo le umane creature a seguire la voce di questo e a rifiutare udienza alle voci dell'altra. Goloro che sono secondo la carne, pensano e hanno l'animo delle cose della carne (secundum carnem sunt) mentre in altri domina lo spirito (secundunt spiritum sunt) (VIII, 5). Ciö che e fatto e pensato secondo la carne conduce a morte, ma ciö che e fatto e pensato secondo lo Spirito conduce alla vita e alla pace (prudentiu spiritus est vita et pax) (VIII, 6). La carne non si sottomette alla legge; non ne sarebbe nemmeno capace (legi non est subiecta, nee enim potest) (VIII, 13). E appunto, di qui due personaggi — carne e Spirito — l'uno accanto all'altro nell'umano cuore, si fanno attori da teatro, sulle scene dei Misteri insieme a tutta la coorte di figure che quei personaggi accompagnano. Tutto ciö ieri e prima ancora di i e r i ; ma pur in ogni tempo che venne di poi, per quanto sotto mutati aspetti e con mutata voce, secondo l'aspetto e la voce dei sempre nuovi tempi.
2. - II castello deH'anima. L'« a n i m a » e, dunque, un teatro ove si svolge il dramma delle contese tra i piü vari personaggi; e cosi vedendo e simboleggiando, secoli e uomini trasformarono in una visibile azione ciöl che da suo canto la psicologia profonda di oggi richiama dalle tenebre dell'Io 6otterraneo alla luce della superficie. L'« anima », tuttavia, fu pur raffigurata — con i suoi interni contrasti che debbono portarla alla salvezza o alla morte — con materiale e pittoresca visione, alquanto diversa dalle precedenti, nella quäle ancora e sempre r a w i s i a m o — nonostante la finzione delle inunagini — le prime luci di quella moderna visione scientifica di cui particolarmente qui andiamo discorrendo. L'« anima cioe, e un edificio ora dalle porte e dalle finestre spalancate alle tormente e alle tempeste della vita, ora un turrito castello avente al suo comando fossato e ponte levatoio; anche qui intorno a quei severo edificio stanno nemici di ogni sorta pronti a penetrarvi per astuzia o forza... Anzi, taluno di essi vi penetra, ma la difesa, battuta sulla prima linea, tenta sulla seconda e sulle successive di cacciar fuori l'invasore. Chi, fra le due parti, giungerä alla vittoria? Riusciranno i difensori del Castello, sia a impedire l'avanzata all'oste nemica, 6ia a distruggere le infiltrazioni che si fossero via via verificate? Giä da tempo troviamo la sopra detta immagine nei vivaci e apo-
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logetici seritti cristiani. Girolamo, nel suo secondo libro polemico —» tanto pieno di fuoco — contro Gioviniano, ammonisce con questa immagine: « I sensi sono come le finestre per cui entrano i vizi nelle anime nostre, ma la metropoli e la rocca della mente non possono essere conquistate se il nemico esercito non atterra le porte del muro di cinta »... Mpntre i sensi sono dilettati dalle lotte degli atleti, dalla mobilitä degli istrioni, dalle femminili bellezze, dallo splendore delle vesti e delle gemme e da oggetti di simile natura, « la libertä della mente e fatta schiava del nemico che entrö dalle finestre degli occhi, onde si a w e r a quei detto profetico: la morte entrö per le nostre finestre ». Ora, se per queste porte, quasi ministri di perturbazione, i diletti invasero la rocca della niostra mente, « che diverrä della sua libertä? che della sua fortezza?». Tanto p i ^ q u e l'immagine ad Abelardo, cosi spesso ispirantesi al Solitario di Betlemme, che pensö citarla per disteso nelle sue confessioni e cioe in quella lettera ad un amico in cui rintraccia i dolori, le disawenture e gli affanni della propria vita. In particolare, l'immagine dell'anima quäle edificio o rocca da difendersi e presentata lä dove — nella lettera in questione — Abelardo narra come si allontanasse egli dal mondo per ricoverarsi in quella solitudine ove con canne e stoppa edificö l'oratorio intitolato alla Trinitä. Specialissima e assai drammatica forma prende il castello dell'anima nelle piü vivaci e appassionate pagine che — nei tempi giä passati — furono scritte in proposito: il Castello delle sette Stanze o Dimore surge nel piano circondato da ogni parte, e insidiato, dai nemici; ma in esso penetrando si puö, di man in mano che dal semioscuro piano terreno si sale e si vuol procedere verso le Dimore piü alte, trasformare il congenita male e la perversa passione nel bene e nella luce. Nel Castillo interior o Libro de las siete Moradas (il Castello dell'anima o Libro delle sette Dimore) Teresa d'Avila scrive proprio potersi considerare l'anima nostra come un castello nel quäle vi siano molte stanze o Dimore... alcune poste in alto, altre in basso e altre ai l a t i ; una e al centro: bella e luminosa Stanza (Stanza prima, capitolo I. 1, 3). Intorno all'edificio stanno non pochi — anzi moltissimi — noncuranti di entrare ignorando o volendo ignorare che lä dentro, nella settima Dimora, e la luce da conquistarsi dopo aver lentamente trasmigrato da Stanza a Stanza; e stanno anche, lä intorno, rettili e bestie. Chi non entra, non sapendo o non volendo entrare, si fa paralitico e per sempre r i m a r r ä steso a terra. Vi sono, per contro, quelli che si fanno innanzi. insino a entrare nella prima Dimora (stanL
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za semioscura ancora) portando tuttavia intorno a se traccia di quella pestilenza da cui provengono (Stanza prima, capitolo I, 5, 6, 8). La pittura e vivace, di indimenticabile fattura nello splendore delle sue immagini e giä noi — fanüliari con la psicologia del XX secolo — intravediamo le tentate insorgenze dell'Io inferiore e primitivo contro lTmperativo morale e sociale delle piü alte formazioni psichiche che stanno nel piü elevato luogo del Castello, luogo o Dimora « meraviglioso e risplendente, perla Orientale, albero di vita » (Stanza I, cap. II, 1). II viandante, infatti, dalla prima Dimora ove giä e penetrato ha da passare attraverso le Stanze tutte che precedono la Settima, risplendente di Sole, ma quante insidie lungo quei viaggio tende il Npmieo e quanti viandanti a mezzo cammino rallentano o fermano il piede! Per certo, lacci e insidie molto non possono contro coloro che in un simile viaggio si accostano giä alla Stanza superiore di cristallo e di diamantc, ma quelli che ancora sono assorbiti dalle cose e dalle passioni del mondo nel piano terreno del 6imbolico Castello, facilmente si lasciano inceppare (Stanza I, cap. I I , 12). Senza dubbio, im alcune Stanze le Potenze che ne sono a guardia hanno forza per resistere (I, II, 16); ma quanto occorre perseverare per giungere alle ultime Stanze! Guerra accanita si fa da parte del Demonio e come conviene non sbagliar strada fin dal principio per poter andar innanzi! (Stanza II, argomento). Dall'oscuro piano terreno, intanto, il viandante e penetrato nella seconda Stanza, ove ancor sono rettili; quivi « possiamo cadere ma per rialzarci » (Stanza seconda, paragrafo 2). Nella terza, giä l'individuo si fa migliore e nella quarta, poi, respira egli p i ü lucido e sano aere sino a che, oltre procedendo, trova ricchezze, tesori, delizie... (Stanza terza, cap. I, 5 e Stanze seguenti). Si affaccia alla mente analoga visione — mutando nei tratti di essa cio che ha da mutarsi — dovuta a lontani mistici di Oriente che descrissero la duplice composizione dell'« anima » (materia e spirito) e che insegnarono per quali vie a poco a poco dalla materia si potesse liberare lo spirito, sia p u r e a costo di interne lotte, repressioni, affanni. Ii gianismo indü. che ebbe per fondatore Jina Yardhamana nel VI secolo avanti l'era volgare, vedeva le anime, sposate alla materia, a poco a poco sciogliersi da questa grazie a incarnazioni successive,, battendo le eterne vie del tempo e di vita in vita trasmigrando... Lungo e infinito viaggio. ma soccorre — ad abbreviare quella eternitä — l'osservanza di speciali voti e minute e pazienti pratiche di sopportazione, di repressione e di rassegnazione: l'anima. cioe, offuscata e offesa
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dalla materia che ad es6a e frammista, a poco a| poco p u ö liberarsene e farsi pura. Ii conflitto, diremmo noi, tra l'Io inferiore e l'Io superiore si risolve con la vittoria di quest'ultimo... attraverso gli interni sacrifizi da parte di quei pochi che in tal modo sanno comhattere e vincere. Ma ci sia lecito tornare alle materiali e pittoresche rappresentazioni dell'anima indicanti gli accennati conflitti e i risultati che ne derivano.
3 - Tra le quinte dell'anima. Quanti secoli dopo le rappresentazioni dei Misteri e della Commedia dell'anima, e proprio ai nostri di, il palcoscenico, le quinte, lo scenario, torneranno a riapparire con gli stessi personaggi — o quasi — di un di, tra loro dialoganti!... Come fare rassegna dei pittoreschi modi con cui si volle plasticamente mostrare il contrasto perpetuamente sorgente tra le varie « sezioni » dell'Io, senza fare richiamo al curioso dramma che l'audace innovatore N. N. Jevrieinov poneva sulla scena sotto il titolo: Tra le quinte dell'anima? Quell'originalissimo autore e colui che, or fa piü di trenta anni, risuscitö il vecchio o vecchissimo teatro richiamando in vita, a Pietroburgo, il dramma liturgico, il miraculum, la pastorale, la farsa francese, le rappresentazioni medievali varie e quelle del vecchio ciclo spagnolo; f u anche direttore del famoso teatro di eccezione « Lo specchio obliquo » consacrato alla satira piü spietata e al grottesco. E non diciamo delle sue opere musicali, delle sue arie di danze, delle sue canzoni, e persino di una sua storia delle pene corporali in Russia. Ora, le strabilianti scene di cui facciamo qui menzione sono, per l'appunto, disegnate e colorite sul fondamentale concetto che non esista un solo Io in ciascuno di noi, ma sibbene tre Io; ognuno di siffatti personaggi e messo sulle tavole del palcoscenico e fatto agire e parlare... sempre, beninteso, disputando e contrastando. Nel prologo stesso sono posti i termini del problema, ma con una conoscenza — semplicemente — p i ü o meno discutibile della letteratura psicologica, poiche par che l'Autore non conosca se non psicologi di Germania, di Austria e di Francia; il professore che appare alla rihalta prima che si apra il sipario (io sono il prologo!) a w e r t e : « Le ricerche di Wundt, di Freud, di Ribot e altri dimostrano che l'anima umana non e qualcosa di indivisibile, ma si 10. -
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compone di diversi Io.„ E cioe (scrivendo su una lavagna) Io t + I o 2 + Io, + Io 4 ... Tuttavia puö dirsi, in ultima analisi, che l ' I o sj compone di tre Io. E diremo che l'anima — proclama il professore, sempre dinanzi alla lavagna — per adoprare una parola della vecchia lerminologia, si divide in l o primo razionale (ragione).; Io secondo sensibile (sentimento); Io terzo subcosciente ». Come si comportano nel dramma di Jevrieinov questi tre personaggi? L ' I o primo (razionale) e in abito da sera, mpntre l'Io secondo (ultrasensibile), e in giacca da pittore e cravatta rossa; in quanto all'Io terzo, si tratta semplicemente di un tale che, in tenuta da viaggio, passa il tempo a dormire accovacciato su una valigia... forse perche immerso nella 6onnolenza del subcoßciente. L ' I o secondo (che e il nostro Io istintivo ed egoistico) vorrebbe tracannare acquavite, ma l'Io primo si oppone. L ' I o secondo chiede a gran voce aria libera e movimento (anarchia?), ma l ' I o primo gli impone di non chiacchierare e di Star cheto. L'Io secondo vuole sfrenatamente vagabondeggiare e far stravaganze, ma l ' I o primo gli ricorda le geometriche e costanti leggi della morale. In altri termini, mentre l'Io primo chiede acqua di fuoco, l'Io secondo gli risponde : « V a l e r i a n a ! » . L'Io secondo delira per una gioiosa canzoneltista, dimenticando la fedele sposa, e l ' I o primo allora gli mostra, di quella canzonettista, il nudo scheletro e la misera anatomia, spoglia di qualsiasi belletto. L'Io secondo insiste, ma l l o primo gli fa vedere improwisamente il dolce quadro della sposa fedele cullante il bimbo. L'Io secondo sa trovare le ascose, invisibili e pretese macchie di quei quadro. Sta bene, ma quanta credulitä o miopia (vedere le cose vicine, non le lontane e di queste, anzi, nemmeno sospettare l'esistenza) o non conoscenza, in coloro che si mettono, sia pure con simpatica vivacitä e giustezza, a parlare dell'Io a piani sovrapposti, attribuendo tale concezione a questo o quei Maestro di oggi! Nel citato dramma il pedante professore ricorda — come abbiamo detto — i nomi di Wundt, di F r e u d , di Ribot, come quelli di coloro che videro e descrissero l'Io a t r e piani, di ben diverso aspetto l'uno dall'altro; ma. senza mancare di rispetto all'ingegnoso e vivace autore drammatico di cui sopra, ci sarä permesso di muovere qualche osservazione. Da un lato, non si vede bene in che cosa i grandi nomi di Wundt e di Ribot si possano veramente associare ad una dottrina delle tre anime; sembra piuttosto che essi siano stati lä collocati tanto per dare sapore... bibliografico alla citazione, scegliendoli tra quelli dei piü illustri psicologi. D'al-
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tro canto, come sarebbe stato facile trovare fuori da quei nomi e fuori da quelle terre stesse cui quei nomi si riferiscono, le vere origini — in piena psicologia scientifica — della dottrina in questione: JOj -j- lo 2 + Io 3 — Io totale! Volendo, si poteva risalire — come abbiamo giä mostralo — sino a Dante e ad Aristotele... segnando anche quei nomi sulla nera lavagna del palcoscenico. In ogni modo, come finisce la tragica storia posta sulla scena da Jevrieinov? L'Io secordo, ferocemente, ha il soprawento poiche strangola l'Io primo... Sicuro, ma — conclusione di squisita moralitä — non appena tocca la vittoria si accorge del profondo inganno che aveva creato a se stesso. Tanto si accora che si dä la morte. Sicche l'Io subcosciente — insino allora addormentato — si allontana con la sua valigia, carica di oscuri pensieri, per andare a dormire in un'altra anima... Viene in mente lo 6trani6simo doppio personaggio — Guglielmo Wilson —• di una novella di E . P o e : agiscono due personaggi assolutamente simili tra loro, entrambi Guglielmi, il buono e il cattivo, che si incontrano sempre e sempre tra loro hanno contesa... finche il cattivo uccide il buono. « H a i ucciso te stesso! », dice il buono spirando. I due Guglielmi, infatti, sono la stessa persona in cui e perpetuo contrasto tra le istanze del male e le luci del bene, tra le istanze (potremtmo dire) della carne e le suggestioni — troppo spesso inefficaci — dello Spirito, rammentando ciö che Manicheo proclamava con l ' a f f e r m a r e che « l ' a nima e luminosa, ma il corpo e oscuro».
CAPITOLO
TERZO
UN'OSCURA PACINA DI PSICOLOCIA: FIORI DEL MALE La storia del tragico contrasto tra i due Io, uno dei quali di congenita natura inferiore, mentre l'altro suggerisce, consiglia, r a f f r e n a o intimidisce, e antica: non data, davvero, d a l l e sottili osservazioni della psicologia moderna o dalle teorie della antropologia criminale che, fin dalla fine dello scorso secolo, tentö di dare alla teoria — cot me vedemmo •— contenuto e veste di carattere scientifico; n e si r i f ä soltanto alla dottrina dantesca delle tre « anime » (dal triangolo al quadrangolo e al pentagono). Quante volte si e detto come cio che si chiama coscienza, e un A l t r o che parla e par venga di f u o r i ; anzi, e un insieir.e di Altri, per cui non senza ragione si r i p e t e : « La tua coscienza significa gli A l t r i dentro di te ». La storia e antica, ne poteva essere altrimenti q u a n d o si pensi c h e la presenza degli insaziabili e inconfessabili appetiti agitanti il profondo del cuore umano, contrastati da un Censore che tenta far u d i r e la p r o p r i a voce, e (omnia mala ab intus procedunt; Marco, VH, 23) dramma che necessariamente si scopre allo sguardo di ognuno che — sia p u r e per fuggevole istante — si arresti a guardare intorno a se, in ogni tempo e luogo, gli uomini nel loro viso e n e l l e loro gesta o abbia motivo e forza p e r scendere a indagare nell'interno di se medesimo. A tale proposito, quäle florilegio di oscura psicologia profonda — fiori del male — da cui p u r si diffonde eloquente qualche insegnamento, potrebbe comporsi da chi vollesse raccogliere, attraverso i secoli, le dottrine e i f r a m m e n t a r i pensieri di chi seppe guardare e vedere denunciando, descrivendo e deplorando il male che arde (lampada accesa in un chiuso sepolcro) nell'Io profondo dell'essere umano! Non qui e il caso di darsi a siffatto travaglio componendo, come dicevano i Nostri di altri tempi, una «Fiorita », o un « G i a r d i n o » , o un « T e s o r o » , di siffatti insegnamenti dotti ed efficaci, ma non sarä senza legittima ragione il fermarci a qualc h e esemplare soltanto di quelle veritä — o reputate tali — che oggi
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vengono a colorarsi ognor p i ü e a i l l u m i n a r s i con le t i n t e e le luci di ciö che chiamiamo scienza e p r o c e d i m e n t o scientjfico, e che f u r o n o p u r sentite (se non cosi come oggi possiamo meglio sentirle o, almeno, di sfuggita viste) nel c o r r e r di ogni t e m p o . V e d i a m o q u a l c h e documento.
1. - Antiche sapienti pagine. P i ü volte l'anlica Sapienza aveva d e n u n c i a t o il t o r b i d o c h e in perp e t u o sta nell'ascoso sentire e pensare d e l l ' u o m o : l'Ecclesiaste —j c h i m a i ciö ignora? — volle proclamare, d e p l o r a n d o la i n c o r r e g g i b i l i t ä dei malvagi e antiveggendo le notazioni m o d e r n e (perversi difficile corriguntur, I, 15), c h e tanti sono i d i f e t t i dell'uomo da non poterli annoverare (et stultorum injinilus est numerus, id. i d . ) ; volle p u r sostenere non esservi uomo giusto in t e r r a qui faciat bonum et non peccet, nessun uomo, cioe, che faccia bene e n o n pecchi ( V I I , 21); ed aveva aggiunto che il cuore degli uomini e p i e n o di m a l e e di f o l l i a ; corda filiorum hominum implentur malitia et contemptu in vita sua (IX, 3). D e l resto, la vetusta tradizione del peecato originale non stava a simboleggiare la presenza originaria d e l m a l e , nel s e n t i r e e nel p e n 6ar d e l l ' u m a n a Stirpe, alla fönte stessa della sua vita? C h i in t a l e tema 6i a r r i s c h i a sino al motteggio p o t r ä r i p e t e r e ciö c h e l'irriverente d ' H o l bach scriveva, a proposito del p o m o cosi m a l a u g u r a t a m e n t e mangiato nel P a r a d i s o terrestre (alla p a r o l a ; Adam, della sua Theologie de poche) : « Un pomo c h e ancora i discendenti tutti n o n h a n n o p o t u t o digerire », ma chi preferisce riflettere, troverä forse sotto quei simbolo alcunche di vero e di nascosto. Le s e m p r e antiche carte r i p e t e r a n n o (Epistola ai Romani) non esservi alcun giusto tra gli u o m i n i e aggiungeranno esser la bocca dell ' u o m o un sepolcro aperto, la lingua maestra di f r o d e , le l a b b r a ir.tinte nel veleno dell'aspide, e tutti c o r r e r e con veloce piede a spargere il sangue (veloces pedes eorum ad effundendum sanguinem... III, 10-15); ma anche la dualitä d e l l ' u o m o — corpo e a n i m a , carne e spirito, I o istintivo e I o razionale — a p p a r e nella stessa Epistola lä dove si ammonisce che si ha da c a m m i n a r e « non secondo la carne, m a secondo l o spirito (...non secundum carnem ambulamus, sed secundum spiritum V I I I , 4) „ A n c o r a una volta con ciö si denuncia l ' i n f e r i o r i t ä o, meglio, la p e r f i d i a della c a r n e e la superioritä d e l l o spirito, e sop r a t t u t t o l'aspro e o m b a t t i m e n t o che i due contendenti, p u r a b i t a n t i
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la medesima dimora, vanno senza tregua sostenendo tra loro. Soltanto la vita dello spirito o predominio di esso affranca dal peccato e dalla morte (...liberavit me a lege peccati et mortis, VIII, 1). La denuncia di quanto vi sia di tristamente oscuro nell'umana natura e del drammatieo contrasto tra tale natura e quella — superiore — che cerca infrenarla, trova ciliare parole, rimaste eterne, nelle sentenze di Epitteto, dure, severe e ammonitrici. Siamo composti noi, uomini, di due ben diverse nature, l'una delle quali abbiamo in comune con la famiglia degli animali, mentre l'altra partecipa della divina essenza; ecco perche tra gli uomini vi sono quelli che pendono verso la parentela inferiore mentre altri ve ne sono che tendono verso quella p i ü alta, piü nobile e quasi divina... ed ecco perche questi ultimi pensano nobilmente mentre gli altri, in molto piü gran numero, non h a n n o che bassi e indegni pensieri. Con il che — sentenzia sempre Epitteto — si fa pittura della quasi totalitä degli uomini e si spiega perche tra essi tanto numerosi siano i mostri e le fiere tutte, come lupi, leoni, tigri e anche vilissimo e sporcissimo gregge (Massima 37). I i glorioso schiavo frigio — non si dimentichi — da tutto ciö traeva luminoso consiglio di saggezza ammonendo che, se la carne del tuo corpo e di assai bassa fattura, p u r esiste in te un qualche di cui puö veramente dirsi essere cosa nobile e quasi divina... Guardati bene, dunque, dall'affidarti alla bassa materia di cui sei composto, chiudendo gli occhi di fronte alla luce dello spirito, che in tal modo aumenteresti il numero degli umani mostri e degli animali (Massima 37). Anche altro Stoico dipingeva — quasi alla stessa epoca cui ci riferiamo — quadro amarissimo dell'umana psicologia... e delle conseguenze sociali che da quell'amara psicologia derivano. Nel libro secondo del De ira, Seneca fa con forti tinte notare come « il Saggio, ogni qualvolta che uscirä di casa gli converrä passare fra gli scellerati, f r a gli avari e prodighi e sfacciati ». Assisterä a continui litigi f r a parenti ed amici oltre che tra irrequieti nemici e vedrä persino « un tale che viene ad accusar uno di quei delitti di cui egli stesso e manifesto reo... e l ' u n o tendere alla rapina dell'altro ». Davvero « quando tu vedrai la piazza piena di moltitudine, sappi questo che quivi 6ono tanti vizi quanti uomini » (II, 7). Dei rapporti tra gli uomini e tra i gruppi si dice — giustamente? — che gli uomini « ogni guadagno fanno con danno a l t r u i ; sono essi gravati dai maggiori e gravano i minori... ». Che cosa e mai la vita se non un ridotto di gladiatori i quali vivono in un perpetuo contatto con le fiere? Queste, si noti, non fanno
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scempio tra loro, ma gli uomini invece fra loro si dilaniano e « dandosi il segno, mescolano il giusto con l'ingiusto» (II, 8) e poi, ecco chi melte la patria a ferro e fuoco, devastarsi interi paesi con guerre e pestilenze e distruggersi le cittä « le quali cose son tenute a gloria » (II, 8). Trasvolando i secoli, e tralasciando quindi ammonimenti e visioni che piü volte ripetono le antiche parole, tragica esposizione di piaghe dell'umano spirito offre quei testo che dal XIII secolo insino ad oggi ognora e di lettura a filosofi e non filosofi che si compiacciono parlare con se stessi e cercano — invano — di sfuggire ai dolori del mondo: diciamo del libro, attribuito a Tommaso Kempis, dell'/müazione. Dietro il velo delle simboliche immagini (viste dal mistico Autore, tuttavia, come reali e viventi) che passano tra le ombre e le luci di quelle pagine, oggidi possiamo ben scorgere sottili e profonde veritä psicologiche. In noi stessi, si dice in quegli ammonimenti, e cagione di ogni tentazione, la quäle in nessun luogo, per quanto segreto e santo, e assente... Partendosi l'una tentazione, sopravviene 1'altra, sieche sempre in noi e un patire di continuo (Libro I, cap. XHI). Si era giä awertito che senza cessa i mali istinti, sotto farma di tentazione, tendono insidie sui nostri passi poiche « il Demonio mai non dorme, ma va cercando se puö trovare alcuno ch'ei possa divorare». Senonche, hai tu certamente modo di difenderti; « A n c o r a l'uomo vince piü facilmente il nemico, se di subito che esso batte alla porta della mente, gli va incontro con la resistenza... Allora il nemico piü facilmente si vince, se non e entrato dentro dall'uscio del cuore » (id. id.). Qui, come si vede, e l'efficace figura della rocca o castello dalle cui porte non debbono entrare i nemici, e si farä anche menzione delle « molte tribolazioni » attraverso cui passano coloro che p u r vincono la lotta (id. id.). Insistenti voci (o tentazioni) vengono a cercare la via della mente o del cuore; tornano a ogni istante (anche se respinte) a battere alle porte, ben sapendo « quanto e grande la fragilitä umana, sempre inelinevole a' vizii: oggi tu confessi i tuoi peccati, e domani un'altra volta Ii commetti, ora tu proponi di guardarti, e passata una ora, fai come se mai ti fossi proposto » (Libro I, cap. XXH). Perche tanto male sia evitato e perche mente e cuore possano ad ogni nemico resistere, si che venga conseguita infine la felicitä suprema, si danno regole e insegnamenti cui son consacrate in maggior parte le citate pagine; le quali, cercando convincere chi ad esse si affida (quanta il'usione, falsitä e miraggio si contengono nelle voci e nelle cose che noi
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vanno tentando!) costituiscono uno di quei sistemi di autoconsolazione di cui diremo piü in lä, foggiati dall'umano spirito per evitare o lenire l'acerbitä prodotta dalla non soddisfazione o repressione dei profondi istinti, Anche la Riforma lasciö pagine non poche — come quelle, dure e incisive, di Calvino — denuncianti, da un lato le congenite malvagitä del cuore umano e descrivendo, daH'altro, i drammatici incontri tra l'Io del basso (come oggi diremmo) e l'Io dell'alto. In quella Institution de la religion chretienne che fu additata, non senza ragione, come uno dei primi monumenti durevoli della prosa francese e il cui Stile esprime con tanta energia l'intransigente fierezza del Riformatore, con qual calore e impeto si insiste sul fatto che il naturale p r o p r i o dell'uomo e tale da non produrre se non azioni meritevoli di condanna! San Paolo nella sua Epistola ai Romani (III, e seguenti) aveva ben detto tutti gli uomini essere sotto peccato e peccatori; il Riformatore ginevrino ripete l'asserzione traducendola con aspro e vigoroso d i r e : « Nul juste... tous ont decline... il n'y en a point qui face bien. pas jusqu'ä un seul •» e poi con calore si avverte che la descrizione del peccatore fatta dall'Apostolo, non giä si riferisce a tale o tal altro uomo, oppure a tale o tal altro gruppo di uomini, ma ä toute la lignee (TAdam; non si fa, cioe, riprensione dei corrotti costumi di taluno, ma si accusa « la corruption perpetuelle de notre nature ». P e r Calvino, si noti, gli uomini sono quali Ii descrive San Paolo, non tanto in ragione di un costume perverso (coutume perverse) quanto per naturale perversitä (perversite naturelle). Voglio bene ammettere — scrive sempre Galvino — che tutte le sopra denunciate malvagitä non si facciano presenti in ogni uomo, ma chi potrebbe mai negare che in ogni uomo non ve ne sia 9emenza? « Nul ne peut nier qu'un chascun n'en ait la semence enclose en soy ». II corpo umano, quando abbia in Se causa nascosta di malattia, non potrebbe davvero dirsi sano, per quanto malattia non si sia ancor dichiarata; nello stesso modo, non poträ dirsi sana quell'anima che in se tiene ascosa tanta macchia (1).
2. - Piü recenti massime e pensieri. Trasvolandö ancora i secoli, ecco lo spietato stillicidio delle Massime e dei Pensieri del duca di La Rochefoucauld; lä ben si denuncia (1) Institution
chretienne,
II, 3, 2.
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il lavorio incessante e ingegnoso, astuto e talvolta perfido, compiuto dall'egoismo profondo che, nell'uomo, trova mille maniere diverse per affermarsi e prevalere sommovendo ogni cosa e p u r restando nascosto (1). Si muove dal principio che 1'« amore di se stessi e di ogni cosa per se » Vamour propre (come si diceva allora) e il motore di ogni azione umana, amour propre o amore di se, che e capace di far di ogni uomo il « tiranno degli altri », quando di ciö si presenti possibilitä. Poi, a •ogni passo si svela quali siano quei procedimenti inquieti, mascherati 0 segreti, con i quali il vigile e insaziabile egoismo procede e si afferm a ; di tutto ciö si dice con una penetrazione e abilitä tali che fanno pensare alle descrizioni pittoresche di cui la psicologia profonda si servirä piü tardi. Si direbbe perfino che questa abbia talvolta trapunto i suoi aspri disegni sulla trama di alcune osservazioni del grande pessimista francese del secolo XVII. L'amour propre, e cioe l'egoismo profondo « non si riposa mai e si ferma su tutto ciö che lo circonda — uomini e cose — come l'ape sui fiori per tirarne ciö che e utile; nulla e cosi impetuoso come i suoi desideri e cosi nascosto come i suoi disegni, e cosi abile come la sua condotta; le sue lusinghe non si possono riprodurre, le sue trasformazioni sorpassano quelle delle Metamorfosi, 1 suoi processi raffinati superano l'alchimia ». Tale diabolico profilo dell'egoismo non presenta a meraviglia il viso nascosto dell'Io profondo, come e descritto in qualche frammento della modernissima psicologia? L'amour propre, e cioe l'egoismo piü vivo, si nasconde destraroente nella profonditä e nelle tenebre dello spirito: «colä esso e al coperto degli sguardi piü penetranti, e di lä compie mille insensibili giri e raggiri. Colä esso e capace di restare invisibile persino a se stess o » . Notate bene: ignorato persino a se stesso. Ora, non insegniamo noi oggi che i veri motivi psicologici delle azioni umane sono talvolta ignorati dallo stesso individuo che agisce? Dall'uomo, cioe, che agisce e che crede, anche in buona fede, di agire grazie a una Serie di motivi e di argomenti che sono ben lungi dall'essere quelli che in veritä lo spingono all'azione? L'ascoso egoismo agisce anche senza saperlo, diceva, dunque, La Rochefoucauld; e aggiungeva che questo egoismo profondo e nascosto, rincantucciandosi nelle tenebre dello spirito « vi
(I) Pensees tirees des premieres editions du Livre des Maximes; edizione della collezione « Bibliotheque nationale», Paris, 1913.
citiamo la
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concepisce, vi nutrisce ed alleva senza saperlo un gran numero di passioni d'amore e di odio e ne concepisce di forma cosi mostruosa che, quando le ha rivelate a se stesso, le misconosce e non si puö risolvere a confessarle». Quäle anticipazione! Metodi recentissimi di analisi della personalitä non insegnano forse che, dopo l'interrogatorio e dopo l'esame del « p a z i e n t e » , questi si rifiuta in sulle prime di riconoscere ciö che l'esaminatore gli rivela in merito alle cause segrete che hanno spinto il paziente ad agire, mentre poi il «paziente » stesso a poco a poco, dopo un lungo travaglio di introspezione, 6i decide a riconoscere ciö che ignorava egli 6tesso? Partendo dai sopra enunciati principii, l'autore delle Massime, con ogni p i ü abile e sorprendente gioco di prestidigitazione, dopo avere mostrato in tutta la sua bellezza il gioiello di un nobile sentimento, lo mette bruscamente sotto i vostri occhi divenuto polvere. Che cosa e la moderazione nella buona fortuna? « N o n e se non l'apprensione di perdere ciö che si ha » (Pensees tirees, ecc., 4). E la prudenza? E tutte le lodi con cui la circondiamo? « Tali lodi non sono che gli effetti del nostro atnour propre o egoismo che applaude se stesso in ogni modo » (id. id., 20), E la giustizia, sentimento di nobiltä che ci ravvicina agli Dei? « N o n e che il vivo timorc che ci sia tolto ciö che ci appartiene » (id. id., 22). E subito dopo: « Si biasima l'ingiustizia non per l'avversione che si h a per essa, ma per il 3anno che se ne riceve» (id. id., 24). La gioia stessa che proviamo per il successo riportato da un amico, non e che l'effetto della speranza nostra di «cavar una qualche utilitä dalla sua buona fortuna » (id. id., 25). Nulla sfugge allo sguardo inquisitoriale di questo investigatore che pretende di veder cliiaro attraverso i corpi opachi. La modestia. vero tesoro di alcune anime di buona fede, pi{, che un profumo — umile, ma persistente — non e in fondo che un sottile veleno; « JM modestia che sembra rifuggire le lodi non e effettivamente che il desiderio di averne di piü, e piü delicate » (id. id., 25). Del resto, per l'autore delle Massime, che mai si arresta sulla via di un'analisi ognor piü profonda, « non si loda la virtü e non si biasima il vizio se non per interesse » (id. id., 42). Occorre p r o p r i o acceltare, cosi come ci viene presentata, e con gli occhi bendati, la sopra detta analisi dell'anima profonda? Alcuni cr/tici a ciö si rifiutarono protestando che tale maniera di vedere e troppo straziante e dolorosa, ma siffatta critica non costituisce davvero valida ragione che ci permetta di collocarci a lato di quei critici, poi-
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che il vero, se vero vi e, non cessa di essere tale quando si compiace di circondare di spine la fioritura delle sue rose. Altri, invece, piuttosto che negare il valore degli aforismi pessiroistici che si succedono nelle Massime han cercato di coprire con veli quelle piaghe, e con quäle perspicacia! Hanno suggerito, cioe, che occorre sottintendere a ognuna di quelle miassime la fräse: per la maggior parte degli uomini... II che significherebbe che ognuno di quei neri aforismi risponde certamente a veritä, ma non si applica a tutti gli uomini e in ogni caso, ma soltanto alla maggior parte di essi. Oppure — ancora un'altra spiegazione — si a w e r t e come ogni sentimento che sembra, visto da fuori, essere la generositä e la bontä stessa, potrebbe anche spiegarsi con il motivo egoistico di cui si compiace tanto parlare l'Autore. Come che sia, accettando l'una o l'altra delle benevole interpetrazioni che tentano far svanire le tristi ombre di una psicologia a suo modo profonda, l'Umanitä e salva nei suoi tratti fisiognomonici di onesta persona... ma e salva, forse, soltanto in apparenza. Rimarrebbe, sempre, rispondente a qualche veritä, il lamento di colui che esclamava : « Umano cuore, meglio sarebbe stato che tu rimasto fossi di creta » (Guerrazzi, L'assedio di Firenze, cap. VH).
3. - Continuando. Ai nostri di, o quasi, il « fiorilegio» di cui stiamo discorrendo ben avrebbe da f a r larga raccolta in due variatissimi e seducentissimi giardini intrecciando corone con fiori leopardiani e fiori schopenhaueriani. Ma vi e proprio bisogno di qui richiamare pensieri che tutti conoscono? Del Leopardi che tanto insistentemente ebbe a descrivere le infinite sorta di infelicitä umane, sono anche le scoraggianti osservazioni sulle umane a quasi innate malvagitä dell'uomo; uscito costui dall'etä dell'oro e da quelle che vennero di poi, era p u r caduto — come si legge nella leopardiana Storia del genere umano — in « incomparabili vizi e misfatti i quali per numero e per tristezza 6i avevano di lunghissimo intervallo lasciate addietro le malvagitä vendicate dal diluvio ». E chi non rammenta, a proposito di quanto sopra, ciö che lasciö detto il filosofo Schopenhauer, allorche nei suoi Parerga und Paralipomena ( H parag. 156 bis, rislampa, Torino, 1921), garantiva ogni uomo essere fatto di stoltezze, di difetti e di vizi... Anzi « le stoltezze,
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i difetti, i vizi che noi vediamo in altri, sono p r o p r i o le stoltezze, i difetti e i vizi di noi stessi ». E ben si noti che « se le 6toltezze, i difetti, i vizi, in un preciso momento non vengono a galla in noi, non essendo allora alla superficie, pur giacciono nel fondo della nostra natura pronti a rivelarsi alla prima occasione, come vediamo negli altri... per quanto non si possa negare che il complesso delle qualitä malvagie sia presso l'uno maggiore di cio che non sia nell'altro, poiche la differenza tra le individualitä e incalcolabilmente grande ». Non abbiamo voluto comporre qui ciö che si potrebbe chiamare il florilegio psicologico dell'Io profondo, un florilegio in cui siano passati in rivista i pensieri piü suggestivi che in ogni tempo ha fornito l'analisi degli istinti segreti dell'uomo, ma abbiamo voluto soltanto indicare la possibilitä di poter compilare tale raccolta. Non mancherebbero, dawero, ampi svolgimenti da dare al tema, in aggiunta agli accenni giä fatti, raccogliendo per ogni dove elementi variatissimi nelle esterne forme, ma tutti in sostanza tra loro concordanti. La raccolta in questione potrebbe esser preceduta a guisa di epigrafe da quei versi del Machiavelli (in cui si sente assai piü la durezza del pensiero c h e la musica della poesia) insegnanti esser nate le passioni coi nascer stesso dell'uomo... . I n ogni lato L'Ambizione e l'Avarizia arriva. Queste nel mondo, come l'uom fu nato, Nacquero ancora; e se non fosser quelle Sarebbe assai felice il nostro stato
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Con queste Invidia, Accidia et Odio vanno Della lor peste riempiendo il mondo E con lor Crudeltä, Superbia e Inganno Da queste Concordia e cacciata al fondo
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A ciascun l'altrui ben sempre e molesto; E perö sempre, con affanno e pena, A mal d'altrui e vigilante e desto A questo, istinto natural ci mena (1). CI)
MACHIAVELLI,
Capitolo:
Dell'ambizione.
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4. - Le favole della veritä. Gran tesoro di veritä concernenti l'umana psicologia e motivi del1'umana condotta, tesoro ben degno di figurare nella «fiorita » di cui stiamo parlando, si trova... nel mondo degli animali quäle fu favoleggiato da tutti coloro che ebbero il buon senso, o l'accortezza, o l'astuzia, di far parlare le bestie. Quei mondo zoologico e, come si sa, soltanto in apparenza zoologico, ma in realtä e umano, sicche sentir favellare quegli esseri e vederli in movimento e come sentire umanissime voci e vedere umani spettacoli. Non si osa mostrare l'uomo quäle e (troppo ingrato 6pettacolo) ma con l'animale tutto e permesso. Basta venire da Esopo a Fedro —• per non volger lo sguardo ad antichissime novelle indiane che giä fanno parlare gli animali — e poi a La Fontaine e a Florian, e poi ancora a Lessing, o a Rriloff (il La Fontaine russo) e basta accompagnare quei novellatori e poeti nel loro vagare attraverso le scene di un mondo animale che e in terra, in mare, in cielo, per veder disegnarsi a poco a poco, lungo tale andare, il profilo di una psicologia umana (per quanto attribuita a esseri non umani) in profonditä, e ben diversa da quella che essa e in superficie. Che cosa disse mai — accanto alla fönte — il lupo all'agnello? E in qual modo questo, debole e timidetto, f u trattato da quello? Se ne ricava conclusione che puö estendersi alla Storia universale umana di ieri, di oggi, di domani, poiche dovunque sono uomini, lä sono uomini-lupo e uomini-agnelli. Un qualche di simile potrebbe concludere chi si rifä alla storiella del leone e dei suoi piü deboli compagni d'arme quando, al momento di spartire la preda, tutto azzanna il gran bestione proclamando ciö fare quia sum leo. Analogamente, o quasi, ecco chi porta aiuto a colui che tale aiuto invoca, ma poi, a cosa fatta, si compiace di tenere in schiavitü chi fu soccorso; chiede il cavallo — ancora allo stato di libertä — all'uomo di prestargli ausiüo per battere il cervo, ma l'uomo — per l'aiuto dato — piü non toglie il morso al cavallo. P a r di leggere storia di ieri e di oggi. Storielle, quasi tutte, narrate e ripetute attraverso i secoli da Fedro a La Fontaine. Mettete in. sieme servi e cortigiani, adulatori di potenti e di plebei (gli uni valgono gli altri) e tutti troverete giacersi in adorazione, faccia a terra, dinanzi al fumo degli incensi; ma fate che giri la ruota della Fortuna si che cada in frantumi il potente, e tutti diventeranno da servi, padroni in cerca di servi: caduto in infermitä grave, oltre che in vecchiezza, il leone, ogni animale che per lo innanzi gli rendeva osse-
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quio, con colpi di ogni sorta lo percuote ...Asinus, ut vidit f e r u m Impune laedi, calcibus frontein extudit. E quei cane di cittä, cosi buon diavolaccio, che ogni servitü sopporta e un collare che gli preme e spela il collo, p u r di saziarsi quotidianamente di pagnotta... e un cane o un vero e proprio tipo umano moltiplicantesi all'infinito? Altra immagine che si direbbe p a r l a n t e con umana voce e moventesi con umani gesti, quella cornacchia che si riveste delle penne del pavone e poi gracchia... con questa differenza, tuttavia, che mentre gli animali all'udire quei gracchiare awertono l'inganno, tra gli uomini dell'umano mondo accade che, hanno moltissimi un bei gracchiare, vestiti da pavone, ma ben pochi si accorgono trattarsi di sinistre e mendaci cornacchie. Una volta di piü l'uomo si troverebbe al livello inferiore rispetto all'animale. lnsomma, mai come in 6iffatti racconti che sembrano composti per divertimento dei bimbi ma che, per contro, h a n n o tutta la sapienza che si converrebbe a uomini adulti, mai — diciamo — come in siffatti racconti, la Favola veste e deliziosamente abbiglia la Veritä. Aveva, per l'appunto, lasciato scritto Florian (che fu uno tra i maggiori compositori di siffatte favole) nella sua; La fable et la verite come la nuda e vergognosa Veritä, non potendo mai in tal modo mostrarsi tra gli uomini e rimanendosi sola e negletta, potesse un di aggirarsi tra le folle e pur farsi ammirare quando la Favola volle benignamente rivestirla dei suoi propri panni e ornarla dei suoi propri gioielli dopo averle detto cosi: Gräce ä votre raison et gräce ä rna Vous verrez,
ma soeur, que
Nous passerons de
folie,
partout
compagnie.
Perche mai nelle favole di Lessing, in cui tanti animali prendono la parola svelando i loro profondi e oscuri sentimenti che sono poi i profondi e oscuri 6entimenti del cuore umano, perche mai l'usignolo e il pavone sono veri amici? La vera ragione sta nel fatto che, deliziando l'uno le orecchie umane mentre l'altro delizia la vista di chi guarda e ammira, nessuna concorrenza e possibile tra i due amici. Proprio come tra gli uomini. 11 grande pittore Kneller e il poeta grandissimo Pope potevano essere amici; e p i ü di quei che potessero essere amici il poeta P o p e e il poeta Addison. Perche mai i grandi della terra non disdegnano la compagnia di coloro che si reputano piccoli e
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nulli? P e r la medesima ragione per cui il leone si conduce seco l'asino — narra ancora Lessing in una delle sue favole — quando va a caccia: coi suo raglio l'orecchiuto animale farä levar la caccia di cui il leone approfitterä... « s i puö benissimo tollerare al proprio fianco chi reca qualche utilitä ». Perche mai il lupo, diventato pietoso, si contenta di mangiare le pecore soltanto quando sono giä morte? Sempücemente in ragione del fatto — narra 6empre Lessing — che quei lupo, diventato vecchio, piü non e capace di azzannare animale vivo; molte costumanze simili si vedono tra gli uomini. E l'umana improntitudine, propria all'uomo che sempre si crede capace di giudicare l'altrui pensiero e le altrui azioni, ognor trovando altezzosamente a ridire e a criticare, dove meglio risalta che nella favola dell'asino e dell'usignolo di Kriloff, lä dove l'orecchiuto quadrupede, giudicando gravemente del canto dell'usignolo, sentenzia che costui poträ forse giungere a ben cantare se si metterä di proposito allo studio e raggiungere quindi, foree, la perfezione del canto del gallo. Medesima cosa, come ognun sa, ogni di accade nelle nostre umane Societä. D'altra parte, in queste mirabolanti favole in cui gli animali parlano come se fossero uomini (nel mondo reale, invece, assai volte gli uomini parlano come se fossero animali) quando l'uomo appare non fa esso, davvero, bella figura. Basterebbe rammentare la favoletta del mugnaio, di suo figlio e l'asino — Le meunier, son jils et l'äne — in cui con efficacissimi versi si mette in duro rilievo la malignitä e la stupiditä delle umane folle. Oppure, basterebbe rifarsi alla favoletta —. La besace — in cui si dice che Giove caricö l'uomo di due bisacce da portarsi l'una sul petto e l'altra sul dorso trovandosi i difetti di ogni individuo in quella dietro le spalle mentre gli altrui difetti fanno bella mostra in quella sul davanti:
II fit pouT nos defauts la poche de
derriere
Et celle de devant pour les defauts
dautrui.
Oppure, ancora, basterebbe por mente all'altra deliziosa favoletta — Les voleurs et l'äne — in cui, narrandosi di due ladri che avevano rubato un asino (un povero baudet), si fa intendere che i popoli sono come ladri che litigano per la p r e d a ; arriva un terzo che porta via tutto e poi un quarto che depreda il terzo:
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De nul d'eux n'est souvent la province conquise; Un quart voleur survient qui les accorde net En se saisissant du baudet. Sicche, a voler essere giusti, si potrebbe dire che uomini e animali in siffatte favole se ne vanno alla pari.
5. - Altri racconti fantastici. Poiche cerchiamo attraverso favole, veritä umane — o credute tali da coloro che cercano nell'ombra dell'Io profondo — perche mai non potremmo spingerci sino a quei narrare fanlastico e bizzarro in cui, sia pure attraverso allucinazioni e bagliori di demenza, par si trovi qualcuna di quelle veritä? Colui che di continuo portö i p r o p r i lettori nei piü immaginosi mondi che mai fosse dato sognare, a p i ü riprese assicura, esplorando l'interno mondo della coscienza (non meno avventuroso di quello esterno) trovarsi in fondo ad esso, costante e piü o meno ascosa, la malvagitä. Alludiamo al Gatto nero. di Edgardo Poe e alle crude affermazioni che in quella novella si esprimono. E ' vero che quella novella riproduce stati patologici del personaggio di cui narra le avventure; ne risultano, tuttavia, insegnamento e suggestione di qualche efficacia. Perche, dunque, il povero gatto nero, piccolo e innocente, e martirizzato dal suo padrone? Perche poi questi, dopo avergli fatto saltare un occhio con la punta di un temperino —< spaventosa atrocitä —* si decide un mattino a consumare il supplizio di quella bestiola inoffensiva impiccandola a un ramo di albero? Si risponde dall'eroe della novella, che ciö accade poiche uno spirito di perversitä domina nell'ombra dell'anima umana. « I filosofi non tengono alcun conto di questo spirito, ma — come e vero che la mia anima esiste — io credo che la perversitä sia u n o dei primi impulsi del cuore umano, uno dei sentimenti che impietrano il carattere dell'uomo ». Altrove, in una ossessionante novella, degna davvero dell'attenzione di uno psichiatra e proprio dal titolo: II demone della perversitä, dopo aver fugacemente fatto menzione delle teorie di Gall e di Spurzheim circa le bozze craniche e le localizzazioni cerebrali, si proclama l'universalitä dell'impulso e della tendenza alla perversitä... In base a ciö ecco nell'uomo l'opporsi a cose, a uomini, ad awenimenti, il criticare, il combattere, il distruggere, l'agire a dispetto della logica... il tutto con tanta impulsiva cecitä e tanta interna soddisfazione da agire persino contro il proprio interesse. Tale perverso sentimento e il primum
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mobile (scrive il bizzarro novellatore) di tante azioni umane. « Noi commettiamo certe azioni per la ragione che non dovremimo compierle... La certezza del male e dell'errore insiti in una azione e spe6so la forza irresistibile che ci costringe, e sola ci costringe, a seguitarla... ». Non basta, che insistendo, si dice tale sentimento essere, « im,»ulso radicale, impulso primitivo, elementare». La novella in que»tione narra di un assassino che, avendo ucciso la persona da cui ereditare, per mezzo degli effluvi velenosi della fiamma di una candela, sicurissimo di non essere scoperto, si sente a un tratto ossessionato dall'idea di confessare il delitto. E cosi fa. Caso nettamente patologico, come in piena patologia si cade quando si voglia considerare l'istinto o demone delle perversitä cosi come l'audace novelliere intende. Rimane, invece, nella normalitä o quasi, lo stesso Poe quando nella suo novella La sfinge (una sfinge che e, poi, quella bizzarra farfalla che va sotto il nome di Sphynx crepuscularia) parla di « germi di superstizione ereditaria che giacciono latenti nel nostro essere » e che si possono schiudere in certe occasioni. Meglio dirä in altre pagine, il nostro fantasioso scrittore. di ciö che si puö trovare nell'Io profondo scrivendo — nei Marginalia — quanta sia l'impossibilitä o difficoltä in cui si trovano gli uomini di riconoscere e mostrare alla luce del giorno l'acre lievito di insofferenza e di egoismo che fermenta nel fondo dei loro pensieri e sentimenti. II fantasioso e implacabile narratore si chiedeva a tal proposito se realmente potesse trovarsi uomo che fosse capace di svelare l'intimo di se stesso — in una serie di confessioni — al pubblico, scendendo nell'abisso, fatto di tenebre e di orrore, del proprio sentire. «Scrivere questo libro, ecco la difficoltä; nessuno osa scriverlo; nessuno oserä mai scriverlo; nessuno potrebbe scriverlo, anche se ciö osasse poiche ad ogni tocco della sua penna infocata, la carta si raggrinzirebbe e prenderebbe fuoco Piü aspramente, forse, si esprimerä Flaubert quando nel fantastico, iridescente e tormentoso quadro de Les tentations de Saint Antoine verrä a dirci del « cri de sauvagerie qui s'elevera meme du fond inconscient de l'äme du Sage et du Saint». Ii grido straziantie che Flaubert sentirä uscire dalle labbra del grande tormentato, pur nella sua santitä. da mille tentazioni.
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6. - Ii primo impulso. Si chiuda ora, e questa volta a guisa di epilogo per il florilegio delle osservazioni psicologiche di cui discorriamo, con breve storia. Quäle e, al cospetto di ogni avvenimento della vita, il p r i m o e spontaneo impulso che ci agita e che tende a spingerci all'azione? E ' veramente impulso che sorge nobile e puro dall'Io superiore? O si tratta, invece, di un movimento che tende a prorompere a nostra insaputa dal labirinto sotterraneo e senza luce dell'Io inferiore? TJfuriri, ricchissimo mercante di 'Bagdad e assai virtuoso, e un modello sincero e vero di tutte le virtü. P e r questo, il buon Iddio Ormudz permette che il primo desiderio formulato dal Turiri, in ogni circostanza della vita di lui, si concreti in realtä. Ed ecco che i p r i m i impulsi di questo gran virtuoso, al cospetto di ogni contrarietä non si mostrano che pieni di collera c di rabbia, secreti impulsi che egli stesso ignorava o aveva saputo celare nell'ombra o nella penombra dell'incosciente. Che Cosa accade, allora, intorno a questo uomo i cui primi slanci trovano immediata traduzione in realtä? La tragedia e la morte seminano il terrore al passaggio di quell'uomo che per lo innanzi aveva sparso sul suo cammino dolcezza e benevolenza. I n vero, soltanto chi sa ben tenere in freno le voci de] profondo suo essere e spegnere la fiamma che lä piü o meno vivida brucia, puö con ogni tranquillitä andare attraverso le afflizioni della vita; si tratta, in tal caso, di uomini presso i quali gli istinti inferiori non esistono piü che allo stato di fossili incapaci di ogni resurrezione. Quegli uomini rassomigliano, in tal modo, a quei fachiro Ma'ietro di cui si parla nella stessa storia di cui sopra: la sua calma e la sua immobilitä di fronte ai drammi della vita esteriore e delle tempeste della vita interiore sono cosi grandi che le rondini possono impunemente fare il nido sulla sua spalla. Proprio vero? Non si dimentichi che si tratta di una favola. Fu maliziosamente ideata e narrata — sotto il titolo: Le premier mouvement — da Jules Lemaitre. Di questi « primi impulsi », con assai minore fantasticheria fiabesca ma con acutissima penetrazione realistica, aveva dato p i ü volte saggio Honore de Balzac nello scendere nell'intimo fondo psichico dei suoi personaggi. Nel suo Etüde de femme. l'autore della Commedia umana presenta la deliziosa, dolce, onestissima e purissima Clementine, sposa modello: una lettera d'amore a lei diretta per equivoco e nelle sue m a n i ; rimane indifferente la virtuosissima, ma appena viene essa
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a scoprire che quelle pagine ad altra donna effettivamente erano sta. te dirette, internamente si rammarica! P r i m o impulso, al contatto con la realtä, che rimarrä sepolto nelle tenebre, ma che p u r in quelle tenebre si era sprigionato. Avrä cura, quella virtuosissima, di non manifestarlo ad alcuno... e nemmeno a se stessa. Meglio ancora, ascoltate che cosa accada — con la fugace velocitä di un lampo che subito dispare — nell'intimo cuore del buon abate Birotteau, cosi come si narra nel romanzo balzachiano Le eure de Tours. Quei buon abate era uomo di cuore eccellente, candido e ingenuo — anche troppo — ma intanto, di tempo in tempo, quäle segreto e quasi inconscio sentire veniva a sorgergli nel fondo dell'animo? II vecchio amico di lui, abate Chapeloud, come doveva essere felice e tranquillo nella pace della sua abitazione, accanto alla chiesa affacciata sul giardino silenzioso, con i suoi mobili severi e, soprattutto, con la sua ricca biblioteca! Non aveva costui promesso di cedere a lui, in caso di morte, quell'appartamento, e non avrebbe forse legato a lui — abate Birotteau — ogni altro suo bene, compresa la ricca biblioteca, quando a Colui che tutto regge, sarebbe piaciuto di chiamarlo a se? Ecco un giorno il vecchio Chapeloud cadere in malattia ed ecco il buon abate Birotteau recarsi ogni di a portargli il soccorso della sua amieizia; soccorso ripieno di sinceritä « ma all'aver notizia della malattia dell'amico e nel recarsi a far visita a costui, sentiva egli venir su, suo malgrado, dal fondo del proprio essere, indistinti pensieri diversi di cui perö la piü sintetica e semplice forma pareva suonasse: Si Chapeloud mourait, je pourrais avoir son logement» (Le eure de Tours, p. 211 ed. 1882). II buon uomo sentiva bene che siffatto desiderio costituiva peccato e a cagione di ciö si costringeva — come dice Balzac — per contrizione, a mostrarsi e ad essere di fatto il piü possibile soccorrevole e devoto al malato (id. id.). II sottile coltello anatomico di Balzac psicologo non si arresta e continua a scendere, cosi vivisezionando, quando si aggiunge che, una volta trapassato l'amico, ricevuta effettivamente l'ambita ereditä, « tale possesso addolcisce assai nel cuore di Birotteau il dolore prodotto da quella morte » pur continuando Birotteau a piangere lo scomparso. Ma lo avrebbe resuscitato se ciö gli fosse stato possibile? II nostro spietato psicologo dice di no... nonostante l'eccellente cuore e la devota e soccorrevole amieizia. Forse, il non guaribile pessimismo balzachiano andava, nella sua investigazione anatomica, oltre il segno.
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7. - La delinquenza... dell'immaginazione.
In questi ultimi tempi e venuta in discussione una curiosa inlerpetrazione delle varie forme della delinquenza portante seco una non meno curiosa classificazione dei delinquenti, classificazione che almeno in un punto puö essere richiamata a proposito del tema che stiamo trattando. Ci riferiamo alla classificazione presentata dalla Scuola psicoanalitica e sulla quäle — basata come e su criteri eterogcnei, alcuni dei quali piü vicini alla fantasia che alla realtä >— ci guarderemo bene dall'intrattenerci, fermandoci soltanto a indicare che una prima e grande suddivisione degli uomini figura, in quella classificazione, distinguendo gli uomini stessi tutti in due grandi categorie: delinquenti immaginativi gli uni, delinquenti effettivi gli altri. Tutti, dunque, delinquenti; ma la delinquenza degli uni si muove soltanto nella sfera della immaginazione, laddove quella degli altri si esprime di fatto in modo concreto. A parte la considerazione che cotal modo di ripartire gli uomini e imperfetto inquantoche anche i delinquenti effettivi debbono essere stati o sono delinquenti immaginativi, ammettiamo p u r e l'esistenza di una «delinquenza immaginativa ma ricordiamo al tempo medesimo che il meccanismo psicologico di essa e la quasi sua universalitä, non solo costituiscono nozione giä vista e abbastanza intuitiva, sebbene poco approfondita dagli psicologi, ma coincidono, in certo senso, con la nota dottrina della delinquenza latente, quella « delinquenza » istintiva, impulsiva, inconscia o semi-inconscia che si nasconde — assopita — nelle sotterranee oscuritä dell'Io profondo e di cui abbiamo detto in uno dei precedenti capitoli. Accogliamo pure, come che sia, la denominazione: delinquenza immaginativa e facciamone conto. Psicologia antica, meno antica e moderna — oltre la modernissima — hanno sempre insegnato quäle utile sfogo sia dato agli interni affanni, agli irrefrenabili desideri, al proprio senso di inferioritä, ai suggerimenti di tendenze egoistiche non soddisfatte, da quello speciale processo psicologico, comune a tutti i mortali, che va sotto il nome di fantasticheria, o sogno ad occhi aperti. Ne parleremo di proposito in uno dei capitoli che seguiranno. mostrando di quei processo lo speciale ed essenziale carattere di autoconsolazione; qui e piü che sufficiente far notare che in tali fantasticherie assai volte la intorpidita mente
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di chi si abbandona, quasi sognante, a quelle costruzioni evanescenti, si compiace nella finzione di compiere tale o tal altro gesto piü che condannabile tanto dal costume quanto dalla vera e propria legge scritta. Vaga allora la fantasticheria nel sognare scene di « giusta » Vendetta, o deliziöse avventure tra cui trascorrere la vita se il sognatore potesse senza timore alcuno impadronirsi di altrui ricchezze o se potesse per magico potere tiranneggiare uomini e cose, o agire a distanza senza che gli esseri colpiti da tale azione si accorgano e sappiano da che parte provenga qucll'azione. Prospettava Montesquieu nelle sue Lettres persanes la seguente finzione; premendo un bottone che e accanto a voi, a Parigi, ne segue la morte di un mandarino cinese il quäle, mai da voi conosciuto, vi ha lasciato a vostra insaputa universale erede dei suoi immensi b e n i ; quante persone si rifiuterebbero di premere il bottone? E quante fantasticherie di tal genere si 6ono potute compiere pur da spiriti normalmente candidi e innocenti? Quante fantasticherie analoghe, da parte di chi si dipinge, fantasticando, che cosa farebbe se a lui fosse dato il dono magico della invisibilitä? L'uomo invisibile, infatti, quäle appare in qualche stupefacente narrazione che porta siffatto titolo, non si conduce proprio come un modello di virtü. E' da chiedersi se persino l'innocuo, debole, pauroso, ingenuo Renzo dei Promessi sposi, che si lascia sfuggire a quando a quando irose frasi contro il prepotente, non si sia piü volte abbandonato alla consolante fantasticheria in cui egli vede se stesso strozzare di sue mani l'odioso don Rodrigo. Tutto uno scenario —< questo, delle « fantasticherie » criminali — che si dissolve in un istante, il piü delle volte, e che per nulla troverebbe realizzazione fuori del sogno se si tentasse effettivamente di tramutarlo in azione concreta da quegli stesso che, nella dormiveglia sognante della fantasticheria, ebbe a disegnarlo e a colorirlo. Tanto e lontano cib di cui ci crediamo capaci, anche fantasticando e quindi quasi avulsi da ogni controllo logico e sentimentale, da cio di cui siamo capaci realmente! Le ragioni per le quali tale trapasso dalla «delinquenza immaginativa» a quella effettiva e il piü delle volte efficacemente conlrastato e reso impossibile, non sono qui da esporsi dovendo il tema essere trattato piü lunge; per il momento basti i\ cenno or or fatto indicante un nuovo aspetto, o poco noto, con cui l'Io inferiore dä vita — sia pure una vita che e vuota ombra, senza ossa, ne carne, ne sangue — alle sue immagini. Guai se le male avventure e i non confessabili sogni della «delinquenza immaginaria » dovessero ricevere trattamento uguale a quello
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che per legge divina o scr.itta subiscono o dovrebbero subire le azioni di una delinquenza effettiva e non immaginaria! Valida sarebbe l'eeclamazione di Amleto: « S e dovessimo trattare ciascuno secondo i propri meriti, chi sfuggirebbe alle frustate? » (Atto H, scena l a ) . Del resto, il principe di Danimarca non faceva che ripetere, forse senza saperlo, ciö che giä Ovidio aveva cantato dicendo: Si quotiens peccant homines, sua fulmina mittat Juppiter, exiguo tempore inermis erit; se Giove, cioe, scagliasse i suoi fulmini ogni volta che peccano gli uomini, in breve resterebbe disarmato! (Tristia, libro II, 33, 34).
8. - E I'« lo » profondo dei gruppi? L'oscuro complesso di impulsivitä egoistiche, nascosto — vivente nel sepolcro dell'Io inferiore di ogni individuo — quäle i vari tratti di cui sopra hanno cercato disegnare, si trova pur anco nell'Io inferiore, oscuro, ignoto e semi ignoto, dei gruppi sociali. Piü volte abbiamo detto e mostrato, qui e altrove, che ogni gruppo sociale formato, come e, di individui che tra loro sono omogenei per tendenze, vocazioni e soprattutto per interessi — e quindi costituente un tutto — e da considerarsi come un individuo sicche i principii fondamentali che reggono la psicologia normale e patologica degli individui, compresa la psichiatria, debbono essere tenuti presenti da chi vuol ben vedere e comprendere la psicologia, normale e patologica, dei gruppi sociali e la condotta di essi. Abbiamo giä visto come 1) il sottile processo psicologico deW autogiustificazione nella cosi generale attivitä psichica degli individui, si presenti tale e quäle — sol mutando ciö che si deve mutare — nel modo di sentire, di « ragionare di parlare e di discutere ad alta voce, dei g r u p p i ; abbiamo anche visto 2) come l'istintivitä profonda, detta magica e che pur vive nel mondo crepuscolare del precosciente dell'inconscio, formi una delle note caratteristiche in alto rilievo di certi gruppi sociali. E' da dire ora 3) che si possono trovare e accertare nell'Io profondo di ogni gruppo sociale quelle Stesse istintivitä di cui giä si vide dimora nell'Io profondo individuale; e vero che quelle istintivitä anche qui, mentre talvolta prorompono, in altre occasioni si trasformano e piü o meno legittimamente si mascherano, ma non e men vero che esse vivono e si fanno a ogni istante sentire dal loro bassofondo e spingono, istigano, sollecitano, guidano. a) Fondamentale e, nell'Io profondo di ogni gruppo (come in quello di ogni individuo), la volontä di vivere e di vivere ad ogni costo;
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e simultaneamente vivono in quell Uo profondo b) 1'istintivo impulso di appropriazione che si esplica mascherandosi sotto le piü varie ed ipocrite fogge, c) e quello di sopraffazione: si implora, dapprima, almeno un miniino di libertä di agire, ottenuto il quäle si chjede la paritä con altri gruppi che per avventura fossero o apparissero superiori. conquistata la quäle paritä, infine, si esige e si conquista la dominazione sopra gli altri. II tutto d) ferocemente assistito da un inestinguibile senso di gelosia e di invidia (personaggio ognor presente, anche nell'intimo della psiche individuale) per il quäle sentimento tale o tale altro gruppo prova piü dolore nel vedere le gioie o le pseudo gioie degli altri, che nel sentire le proprie sofferenze. Prova, in ispecie, piü rabbioso dolore contemplando il benessere altrui che disperazione per la propria miseria. II tutto, ancora, e) di continuo messo e sospinto da quella legge psicologica (che e anche propria all'istintivitä dell'individuo) da potersi esprimere con la sola parola: insaziabilitä — o incontentabilitä — in forza della quäle legge psicologica l'uomo (o il gruppo, diciamo noi) «tanto piü cerca quanto p i ü possiede », come cantava il poeta (1). Inoltre, se una certa psicologia profonda di oggi mette qualche esagerazione nell'affermare che t r a gli istinti profondi e jnestinguibili dell'individuo e l'istinto della distruzione, non e da negare che /) anche cotale istinto sia p i ü o meno presente nella psicologia profonda di ogni gruppo manifestandosi con l'aggressivitä contro il gruppo non simile, o concorrente, contro il gruppo che intralcia o potrebbe intralciare il voler vivere e i suoi egoistici derivati; aggressivitä che si porta talvolta 6ino al delirio della distruzione. Ntell'individuo siffatto istinto prende le piü strane, bizzarre e insospettate f o r m e : qualcuno noto come Wolfango Goethe nel fare lo spoglio di molti resoconti di arte e di lettere trovasse piü parole assai di biasimo che di lode e precisamente per tre quarti le prime e per un solo minuscolo quarto le seconde... il che potrebbe assumersi a simbolo del modo con cui gli uomini giudicano... e aggrediscono gli altri uomini. Invero, il piü delle volte gli uomini danno giudizio sugli altri uomini o sulle cose, sospinti essenzialmente dal proprio interesse e dal grado di invidia che quegli uomini e quelle cose destano in essi. Nel gruppo, ripetiamo, anche nelle piü variate forme si manifesta l'aggressivitä e l'oscuro senso di distruzione... (1) Su questo particolare punto si veda la nostra Memoria: Progresso, felicitä, incontentabilitä ecc., nella Rivista « Scienza e Tecnica Roma, gennaiogiugno 1948. ,
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Ma si badi : proprio come la bassa fioritura di cattive erbe, nel fondo dell'Io individuale, quando non appare e non viene fuori cosi come e, si trasforma e assume aspetti e colori — per venire alla luce del sole — ben diversi dai suoi propri, nello stesso modo le egoistiche istanze (dal voler vivere e dalla appropriazione sino all'altrui distruzione) dell'Io profondo di gruppo, si guardano berie dal mostrarsi quali sono allora che debbono esplicarsi ed imporsi e sanno assai bene togliere a prestito dai piü lucidi dizionari della logica e del diritto le piü valide argomentazioni per f a r passare il losco contrabbando... proprio come i n occasioni analoghe sanno fare gli isolati individui. Tra le quali manovre di contrabbando, usitatissima e quella (che pur i cieclii dovrebbero vedere ma che, tuttavia, ben riesce il piü delle volte) che nasconde il proprio interesse sotto il nobile velo dell'interesse generale: si domanda ad altissima voce, per esempio, la libertä per tutti e sopra tulto per gli altri... per averla p e r se stessi; avutala, la si toglie poi agli altri. Si domanda, in tempestosi momenti, un Comitato di salute pubblica che provveda per tutti e a tutti dia la salute... per avere tale salute, in ultima analisi, soltanto per se medesimi. Si proclama di volere ubbidire ciecamente e devotamente ai superiori comandi di universali leggi di morale mentre si vuole effettivamente comandare altrui e rendere altrui obbediente se non servo... Senza dire che coloro i quali vogliono tanto comandare gli altri, non sanno poi comandare se stessi. Si domanda giustizia, uguaglianza, fralellanza per tutti, ma in realtä sol per se stessi. Dovremo anche far notare che l'istintivitä del voler vivere e di tutti gli egoismi che da tale volontä derivano, e ancor piü cruda, irrefrenabile e spietata, nell'Io profondo del gruppo che in quello dell'individuo. Di ogni aperta o meno aperta manifestazione di quella istintivitä, dalle tinte antisociali sia p u r scolorite, l'individuo presso cui siffatte manifestazioni si palesano e si affermano, sente piü o meno la propria responsabilitä; cerca, e vero, di attenuarla, velarla, nasconderla, ma non puö sempre riconoscere tranquillamente a se stesso di riuscire a ciö f a r e ; per contro, quando il gruppo si sospinge a siffatte avventure la responsabilitä, diffondendosi sui numerosissimi elementi che compongono il gruppo stesso, par si sciolga, evapori... e quasi scompaia. Ottima ragione per lasciare libera via ad ogni profondo istinlo e, diciamo pure, a ogni malvagitä. Si aggiunga che pienamente drammatica si fa l'azione, con veri ricorsi preatavici e preumani, quando l'esplosione avviene senza fingimenti e senza mascheratura,
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violentemente, da parte dell'Io profondo di quei gruppi presso i quali piü vivaci, piü pronti, piü irrefrenabili, meno compresse dai giaeimenti psichici superiori, sono i residui dell'ereditä preistoriea.
9. - Pessimismo psicologico e pessimismo sociologico. Lp vivacissime pitture di cui sopra e — accanto ad esse — le osservazioni varie piü indietro esposte riguardanti l'Io a tre piani, cosi per gli individui come per i gruppi sociali, condurrebbero a dire di ciö che potremmo chiamare; pessimismo psicologico e pessimismo sociologico. II tema sarä di proposito trattato altrove, ma qui non sembraci inopportuno farne cenno. Pessimismo psicologico, allora che si crede e si dimostra (o si crede dimostrare) che l'uomo nasce, davvero, con originale peccato da cui mai guarisce trascinando tale peccato, essenzialmente fatto di egoismo, lungo tutti i sentieri della vita. Pessimismo sociologico, d ' a l t r a parte, allora che si crede e si dimostra (o si crede dimostrare) che la Societä altro non e se non un oscuro e sanguinoso campo di battaglia, teatro dei piü opposti contrasti e delle piü micidiäli lotte che mai fantasia di poeta, descrivente i fuochi dell'inferno, abbia potuto immaginare. Tale pessimismo «sociologico», del resto, proviene da quello « psicologico » e ne e diretto corollario. La Societä non e fatta di uomini? Non imprimono essi, in ogni loro azione, isolata o collettiva, il marchio del p r o p r i o modo di essere e di sentire? Del quäle pessimismo sociologico vi sarebbe da fare assai colorita esposizione ricordando, da un lato, le piü o meno moderne interpetrazioni unitarie che — ispirate a tale pessimismo — ebbero a farsi della vita sociale per opera di eminenti sociologi, ed esponendo, d'altro canto, le descrizioni artistiche e letterarie di una vita sociale quäle fu vista da artisti, sempre nel senso sopra detto, crudi osservatori della vita reale. Chi volesse fermarsi, almeno per il momento, su questa seconda categoria di osservatori potrebbe richiamare le non mortali pagine d'un grande realista; Honore de Balzac. Non fu forse costui il fondatore, o quasi, della letteratura narrativa realista, e spietatamente verista? Ora, vedere la vita sociale fatta di brutture, non e forse vederla quäle e, realisticamente, e non attraverso una sognante visione ottimista? Se vuoi raccogliere ricchezze e onori nelle fortunose vicende della vita, hai da avere animo tristo e 6enza scrupoli, insegnano le piü brillanti carriere degli eroi descritti nella Commedia umana: Monsieur Minard giun-
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ge ad essere grande e ricco commerciante e sindaco del suo quartiere parigino ecc. ecc. essendo partilo nella sua carriera coi vendere e spacciare cioccolata falsificata (Les petits bourgeois); Rastignac che in gioventü attinge denaro dalla borsa della 6ua ricca amante, finisce sottosegretario di Stato (Le pere Goriot e romanzi seguenti); Philippe Bridau, ladro, assassino, finisce l'onorevole carriera sua con l'ottenere uno dei piü alti gradi della guardia reale o repubblicana che fosse (Un menage de garqon); l'abate Troubert. anima a doppio fondo e maneggiatore di testamenti, finisce con il conquistare altissima carica (Le eure de Tours); il banchiere Du Tillet, r e delle banche parigine, ha iniziato il suo cammino scassinando il cassetto del principale (Cesar Birotteau), Anche il losco antiquario Magus diventa, grazie alle sue mille arti, piü che milionario (La «Vendetta » e altri romanzi) proprio come l'astuto ladro Remonencq, venuto su dagli stracci, e diventato poi ricchissimo (Le cousin Pons). E che dire di quell'altro sovrano delle banche parigine, Taillefer che da giovane uccide per rubare lasciando poi accusare del suo proprio delitto l'amico e che poi raggiunge i piü alti fastigi della vita sociale? (L'auberge rouge). In veritä, non e proprio detto che tutti i trionfatori nella vita, figuranti nella Commedia umana, abbiano preso le mosse dal f u r t o e dall'assassinio... ma sta di fatto che gentiluomini di tal fatta h a n n o dinanzi a 6e — in quella Commedia — la via del successo. JVfjp p u r si mostrano, in quella stessa Commedia, altre qualitä p i ü che utili per « arrivare ». Anche i medioeri hanno probabilitä di ascesa, poiche non recano fastidio e possono penetrare nel tempio della Fortuna mentre virtuosi di primo ordine rimangono in anticamera (Une fille d'Eve); il medioerissimo pittore P i e r r e G-rassou finisce con l'ottenere un posto d'onore all'Accademia di belle arti (Pierre Grassou). P e r converso, onestä, innocenza, cortesia d'animo e simili, rimangono nell'ombra o cadono sotto la schiera degli audaci che ogni cosa calpestano (1). D'altra parte, un vero corpus del pessimismo sociologico potrebbe comporsi con una Serie di aforismi da trarsi, ancora una volta, dalla Commedia balzacchiana. La vita sociale e un «cammino su una terra (1) Quali sono l e qualitä p i ü adatte per trionfare nella vita sociale? II tema e trattato nei paragrafi 84 e seguenti della nostra: La misura della vita, Torino, 1919, in cui si fa rassegna delle diverse qualitä in questione (ottime, pessime, medioeri e anche combinazioni di qualitä diverse) e pur nella nostra Memoria: Attrazione, repulsione e circolazione nella vita sociale nella «Rivista di Psicologia », Bologna, 1935.
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disseminata di abissi e calpeslata da pazzi » (Theorie de la demarche); camminano gli uomini « s u l l e säbbie mobili e nemiche inseguendo cieeamente la speranza mentre pochi faticosamente s'innalzano verso i p i ü alti piani, ed altri si ostinano a persistere nella lotta p u r sanguinando da ogni ferita » (Honorine). E quäle l'intimo pensiero che muove i gruppi umani gli uni contro gli altri o gli uni accanto agli altri? «Ogni associazione di uomini si forma proclamando come scopo il raggiungimento di una superiore ed universale idealitä, ma ogni componente di quelle associazioni, rientrando in casa propria dopo aver preso parte a una rumorosa riunione in cui fuorono espressi j piü nobili sentimenti nelle piü sfavillanti forme, escogita il modo di servirsi di quei collettivi sentimenti altruistici come di un trampolino da cui spiccherä il salto per raggiungere egoistici ed ambiziosi scopi » (L'envers de Vhistoire contemporaine). Singolare e incisivo tributo alla teoria di un « pessimismo sociologico » potrebbe pur essere portalo raccogliendo e illustrando i varii credo che Balzac fa di tanto in tanto enunciare a questo o a quello dei suoi personaggi piü in altorilievo, credo nei quali sono per l'appunto condensati i modi di vedere la vita sociale da parte dei personaggi in questione. Si trova, e vero, nelle pagine della Commedia un lucidissimo e idealista credo pieno di ottimismo pronunciato dalla contessa de Mortsauf (nel Le lys dans la vallee) ma quei credo e proprio fatto per dimostrare che nella realtä — come poträ accertare colui a cui quei credo e diretto —• nessuna di quelle vedute ottimiste puö effettuarsi. Piuttosto, si pensi allo spaventoso credo che il forzato Yautrin proclama al suo Rastignac in cui si tenta mostrare quanta immoralitä, ferocia, cinismo, governino — nella vita sociale — le gesta di coloro che debbono e vogliono conquistare il successo (Le pere Goriot) e si rammenti l'analogo credo del finanziere Gobsek: «Ciö che l'Europa ammira, l'Asia condanna; ciö che e vizio a Parigi e necessitä di lä dalle Azzorre »... Nella vita individuale e sociale « l e convenzioni e la morale stessa non sono che parole senza v a l o r e » (Gobsek). D'altronde — e qui la parola e direttamente di Balzac — la Societä umana e composta di tanti aggruppamenti sociali cosi diversi gli uni dagli altri come sono diversi gli animali in zoologia quali lupi, leoni, pescecani, avvoltoi; tra i quali uomini battaglie furiose che innalzano gli uni e fanno cadere nel fango gli altri (Avant propos della Commedia).
CAPITOLO
QUAHTO
HOMO IN TENEBRIS Che cosa niai non sarebbe capace di fare nelle tenebre quell'uomo (si chiedeva Cicerone nel De legibus, I, 14), il quäle altro non teme se non il testimonio e il giudice? Quid faciet is homo in tenebris? Alla domanda, cui giä con chiari sottintesi Cicerone dava rispo6ta. quotidianamcnte dä documentazione la triste esperienza della vita, ma in special modo rispondono, come giä dicemmo, quelle moderne pagine di psicologia e di psichiatria che insegnano che cosa accada della umana condotta allora che improvvise catastrofi collettive, frant u m a n d o in ogni p a r t e la complessa rete di n o r m e sociali c h e ci reggono e ci costringono, facendo si che — nel terremoto, nel saccheggio, nel panico, nell'oscuramento — l'uomo si trovi improvvisamente quasi nelle tenebre, in un ambiente ove p i ü non e luce o controllo. II che assai chiaramente insegna che cosa vi sia, anche se allo stato di assoluta inattivitä. nel fondo o nel doppio fondo psichico dell'uomo: ciö che a un dato momento si manifesta quando cadono le tenebre, sprigionandosi dall'intimo sentire, e senza dubbio ciö che giä esisteva — ma non si vedeva o rimaneva nascosto — quando splendeva il giorno.
1. - La quarta parete. Un caustico umorista pensö mettere sulla scena, in pieno teatro completamente immerso nel buio, individui diversi, tra loro dialoganti, che (appunto grazie all'oscuritä in cui gli spettatori erano immersi) dovevano credersi soli e solissimi tra le q u a t t r o pareti della loro stanza; mostrano, in quella oscura soliludine, la loro anima quäle e, tutta venata di malizia, di egoismo e di inganno... Senonche, che Cosa accade q u a n d o di colpo il t e a t r o si illumina, apparendo con ciö che la « quarta parete » non esiste e che quei galantuomini si trovavano, non sapendo, sotto gli occhi di tutti? Personaggi e dialogo mutano
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comipletamente aspetto; l'uomo delle tenebre si tramuta di forza nell'uomo che sta sotto il controllo della luce. Ainche costui, in veritä, vive di solito in una stanza con tre pareti soltanto, poiche vive in piena Societä, attornjato e costretto da una serie di imperativi e da continua sorveglianza. Quid nel caso in cui sorgesse una quarta parete sottraendo l'abitante agli occhi dell'esterno? Ripetiamo ancora con Cicerone: « c h e cosa non farä l'uomo, Iontano da occhio che guardi, in un deserto ove possa aggredire e spo-< gliare il solitario viandante? » ...Quid in deserto loco nactus. quem multo auro spoliare possit imbecillum, atque solum?
2. - Lontano dagli uomini. P r o p r i o vero; l'uomo in tenebris o in deserto, quando cioe ogni sguardo e ogni estraneo potere siano assenti, poträ vedere i r r o m p e r e senza freno dal suo intimo, una folla di biechi ospiti per lo innanzi ignorata dallo stesso padrone e signore della dimora, la qual cosa si verifica tanto piü facilmente quanto p i ü il naturale e congenito carattere di quei padrone e signore, o il grave peso di avverse condizioni ambientali, favorirä la fuori uscita in massa di quegli ospiti. Figuratevi per un istante un qualsiasi essere umano che si trovi nella possibilitä di abbandonare all'insaputa di tutti, e invisibile, la terra ove egli a-: bita per recarsi a vivere dietro lontanissimi orizzonti, lä dove nessun occhio terrestre poträ scorgerlo e nessuna terrestre forza, o costrizione sociale dei terrestri, poträ raggiungerlo. Si rinnova, in certo senso, la medesima situazione materiale e psicologica dell'/iomo in tenebris o dell'/iomo in deserto. Che Cosa mai f a r ä quell'uomo p r i m a di lasciare la terra sapendo che nessuna umana legge poträ p i ü toccarlo? Edgardo Poe darä rispo6ta con la fantasiosissima sua novella — piena, tuttavia, di geometrici e rigorosi riflessi scientifici — in cui si n a r r a delle avventure di un certo Hans P f a a l che andö nella luna, spiccando nascostamente il suo volo dalla t e r r a : al momento 6tesso che precede il volo, egli rapidamente toglie di vita alcuni suoi personali nemici cui aveva dato convegno senza avere rivelato loro il modo dell'improwisa e tragica partenza. P u r a favola? O espressione di un reale sentimento che brucia e arde sotto le ceneri?
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3. • L'uomo invisibile. Vediamo ancora che cosa accadrebbe all'uomo che potesse agire, per tale o tale altra ragione (la quarta parete, le tenebre, il deserto) senza controllo, e si pensi a quelle fantasticherie da romanzo narranti di qualche individuo che poteva, aggirandosi tra gli uomini senza che alcuno di lui si awedesse, condursi come ogni suo intimo istinto dettasse, senza piegare al peso della responsabilitä. Gran sogno, questo, della «invisibilitä » che sovente seduce l'immaginazione degli uomini, tanto da formare il tessuto di parecchie favole, fiabe e leggende. L'Angelica dell'Ariosto h a un anello che la rende invisibile e che i mille e mille lettori del poema hanno certamente sempre invidiato: Sei chiude
in bocca e in men che non
Cosi dagli occhi di Ruggier
si
Come fa il Sol quando la nube
balena
cela, vela.
E il cappuccio magico — passando dai nostri cieli alle oscuritä del Nord — di Sigfrido, nei Nibelunghi, non rendeva forse invisibile quei personaggio e non gli faceva compiere forse prodigi, come il rapimento a Brunilde della cintura di seta e dell'anello d'oro? Quanti mai, se fossero invisibili, tenterebbero impadronirsi di cinture di seta e di anelli d'oro? Persino, tra costoro, il buon Galandrino, come narra messer Boccaccio. Gli avevano detto di quella « p i e t r a di troppo gran virtü, p e r ciö che qualunque persona la porta sopra di se mentre la tiene, non e da alcuna altra persona veduto, dove non e » e subito il buon Calandrino, andandone alla ricerca, pensa che «trovata che noi l'avremo, che avrem noi a f a r e altro, se non mettercela nella scarsella et andare alle tavole de' cambiatori, le quali sapete che stanno sempre cariche di grossi e di fiorini, e torcene quanti noi ne vorremo? Niuno ci vedrä; e cosi potremo arricchire subitamente (Giornata VIII, novella terza). Invero, si immagini che cosa accadrebbe se agli uomini fosse dato il dono e il segreto della invisibilitä! L'uomo invisibile, abbandonato a se stesso, diventa ciö che vedemmo diventare l'uomo tra le quattro pareti o nelle tenebre o nel deserto o, ancora, al momento di poter rendersi inafferrabile abbandonando la terra. Fortunatamente o 6fortunatamente che sia, uomini invisibili non percorrono ancora le nostre contrade, ne penetrano, da tutti i n a w e r -
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titi, nelle nostre dimore... ma ciö avviene — senza a n d a r e nel romanzo t i p o Wells — q u a n d o e scesa la notte, vale a dire q u a n d o nell'oscuritä p r o d o t t a dalla soppressione di ogni f r e n o sociale e di ogni controllo, l ' I o i n f e r i o r e scatta alla s u p e r f i c i e (1).
4. - Vedere attraverso i muri. Aveva b e n visto come s t a n n o le cose l'aculissimo e spietato b e f f e g giatore, n a t o a Samosata — Luciano — q u a n d o , in u n o dei suoi p i ü celebri dialoghi, f a v o l a r e M e n i p p o sino alla L u n a e di lassü gli f a vedere con occhio p e n e t r a n t i s s i m o che attraversa i m u r i d e l l e u m a n e abitazioni, ciö c h e in queste, t r a le chiuse pareti, accade. « C h i a r a m e n te io vedea le cittä, gli u o m i n i e i l o r o f a t t i , e non solo ciö che avveniva nell'aria a p e r t a , ma anche ciö c h e faceano in casa c r e d e n d o di riman e r e nascosti ». E ciö, tanto n e l l e reggie e nelle p i ü ricche d i m o r e , q u a n t o n e l l e case dei p r i v a t i . O h i m e ! Nelle p r i m e , ecco il figlio d i Lisimaco t e n d e r e insidia al p r o p r i o p a d r e , Antioco s o g g h i g n a r e di soppiatto facendo il male, la d o n n a di Alessandro p r e p a r a r e il p u g n a l e che u e c i d e r ä il m a r i t o , Antigono c o m m e t t e r e n e f a n d e z z e e persino il f i g l i u o l o di Attalo mesce al p a d r e il veleno... E si succedono molte alt r e visioni del medesimo genere, come q u e l l e Offerte da E r m o d o r o c h e giura il falso, d a l l ' a u s t e r o filosofo che nascostamente si trascina in case di m a l a f f a r e , e da a l t r o che — b e n c h e in p u b b l i c o t a n t o declami — p u r si f a d i s o p p i a t t o a i n v o l a r e la votiva l a m p a d a n e l tempio. T u t t o ciö dovunque, anche in Africa o presso gli Sciti ed i T r a c i e q u i n d i : « a d u l t e r i , omicidi, insidie, r a p i n e , s p e r g i u r i , t i m o r i e t r a d i m e n t i ». D u n q u e , d o p o ciö che si vede, o d i e t r o ciö che si vede, M e n i p p o assiste allo svolgersi p a n o r a m i c o di ciö che n o n si vede. C o m e mjuta l ' u n o (1) Un'applicazione dei sopra detti principii e stata fatta all'esame dell'anormale stato psicologico (che qualche psichiatra ha chiamato: anarcoidismo) in cui si trovano l e folle del dopoguerra, in epoca, cioe, in cui vengono a mancare o a rilasciarsi l e varie sorta di freni e controlli sociali e anche di autofreni e di autocontrolli individuali. Si veda la nostra Memoria: Sul trionfo della delinquenza nel dopoguerra, nella « Rivista internazionale di Protezione sociale », Roma, settembre-dicembre 1946. Anche in tali epoche, infatti, somigliano gli uomini e le folle a coloro che si trovano in tenebris, o che si rendono invisibili. aggiungendosi a tale motivo altra serie di concause favorevoli al risuscitare degli istinti profondi come a dire le sofferte fatiche e i lunghi patemi, le sofferenze economiche, la presenza di nevrotici e tarati psichicamente dalle angosce belliche ecc. ecc.
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aspetto dall'altro! Anche la Luna — sempre nella prosa di Luciano — non accenna forse, dialogando con Menippo, a tutto ciö che i suoi raggi vedono penetrando l'oscuritä della notte? « So ben io le nefande e scellerate cose che fanno gli uomini in tempo di notte, mentre nel giorno si mostrano austeri e i n aspetto rigido e abito grave per essere riguardati e riveriti dagli ignoranti! La Luna di Luciano, guardando dall'alto e penetrando p e r tal modo nelle case degli uomini si da vederne le gesta compiute nel buio, non faceva che anticipare di secoli ciö che doveva far piü tardi Asmodeo, diavolo zoppo, quando in piena notte dall'alto della torre di San Salvador mostrava — allo scolaro di Madrid — l'interno delle case e con ciö i falsi pianti, le insidie, le perverse azioni che, sotto la protezione delle chiuse pareti, gli uomini commettono. « Abbi vera conoscenza della vita umana guardando gli uomini a loro insaputa; scoprirai cosi i motivi delle loro azioni e ti sarä rivelato il piü intimo sentire di essi » (cap. III, de Le diable boiteux di Ai. R. Le Sage). Anche qui l'avaro che, mostrandosi poverissimo in pubblico, conteggia — da solo — il suo tesoro. mentre i nipoti, dopo aver fatto sorrisi all'avolo, interrogano in un canto la fattucchiera per sapere quando l'avölo se ne andrä nel mondo dei p i ü ; anche qui, l'uomo « artificiale » della vita diurna diventa l'uomo vero e « naturale » della vita notturna, personificato in colui che, elegantemente ringiovanito dai trucchi e dai cosmetici, prima di coricarsi si toglie di dosso tutto ciö che le sa. pienti menzogne gli avevano fornito, dalla parruca alle imbottiture, alla gamba di legno... mettendosi sotto le coltri con ciö che gli rimane. Simbolo, questo, che da solo vale p e r tutto quei che potrebbe dirsi nei riguardi dell'uomo quäle appare e quäle — invece — e.
5. - E i gruppi sociali? Ci si permetta di aggiungere breve postilla che non ci sembra davvero di trascurabile importanza. Piü volte avemmo occasione, altrove, di riavvicinare il meccanismo psicologico funzionantc nell'interno del personaggio-uomo e determinante (o contribuente a determinare) la condotta, con l'interno meccanismo — anche di natura psicologica —1 che regola la condotta dei gruppi sociali; facemmo notare, cioe, che il gruppo agisce come se fosse un individuo e che, per conseguenza e fino a un certo punto, il meccanismo della psicologia individuale si ripete, almeno in p a r t e e checche ne dicano alcuni sociologi, in quello
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che muove il gruppo. Ora, anche per il fenomeno psicologico della quarta parete o, se si vuole, dell'uomo nelle tenebre o dell'uomo nel deserto, si ripete per i gruppi sociali ciö che abbiamo descritto verificarsi per l'individuo. Anche i gruppi sociali, compresi specialmente i singoli sottogruppi, agiscono di solito in un ambiente o palcoscenic« dalle t r e p a r e t i : sono essi esposti, cioe, al controllo di chi sta f u o n e anche allo stesso controllo di chi sta dentro il loro proprio ambito, tanto e vero che essi non osano mettersi direttamente sulla vi» delle male azioni, o in quella via si impegnano con discrezione t cautela, o sentono la necessitä di fabbricarsi, come giä dicemmo, tutta u n i Serie di autogiustificazioni apparentemente logiche e nobili... ma quando la quarta parete si chiude, o quando scendono le tenebre, o si fa deserto intorno ad essi, vale a dire quando il gruppo puö liberamente togliere ogni freno alla propria egoistica essenza, formata non solo dal voler vivere ma anche dal voler dominare e sopraffare, allora si lancia davvero il gruppo ad agire come se fosse nelle tenebre, spento all'intorno ogni riverbero di luce e di controllo, sicche il gruppo che per 10 innanzi poteva considerarsi come uno dei tanti individui della vita normale, diventa un individuo-Calibano, il mostro della tragedia ehakesperiana. Ognuno diventa... ciö che e. Si svolgono allora, sul fosco scenario della vita, le p i ü orrende tragedie di persecuzioni e di morte, cosi come non infrequentemente Storia e cronache danno esempi. 11 « demone » del gruppo — liberato da ogni ceppo — dä libero sfo go alla sua irrefrenabile e spesso crudele insaziabilitä.
6. - Awertenza. Potrebbe apparire da quanto sopra — affrettatamente leggendo e male interpetrando — che, essendovi in ogni uomo una « delinquenza latente », questa debba di necessitä imporsi alla superfice in tutti, nessuno escluso, gli individui formanli la massa immersa nella i m p r o w i sa tenebra di tragici avvenimenti. Sarebbe erronea cosa concludere in tal modo, poiche profondamente disuguali sono tra l o r o gli uomini, checche se ne dica, nei tratti particolari del loro mondo interno (istintivo. sentimentale, intellettivo) e quindi singolarmente diverse sono le reazioni che, da individuo a individuo. la personalitä psichica compie verso le sollecitazioni ambientali. Se e generale legge che ogni personalitä sia composta come sopra abbiamo indicato, da stratificazioni latenti inferiori e da superiori, e se e anche generale legge che 12. -
VIo.
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nelle tenebre, e cioe nel cadere in f r a n t u m j di ogni sociale controllo, irrompano le oscure voci del fondo, e pur vero che tale irruzione non si fa in egual modo e con la medesima violenza da p a r t e di tutti gli individui componenti — nelle tenebre — la massa. flnnanzi tutto, cominciano a farsi sentire, a prevalere, a imporsi, tali irruzioni, da parte di quegli individui che per congenita struttura, o per altro, presentano piü fragili e meno resistenti le formazioni psichiche superiori e inibit o r j e ; vengono poi — coi rendersi piü pesanti e pressanti le condizioni ambientali — a prodursi le violente o meno violente irruzioni da parte di coloro che giä avevano resistito, ma sino a un certo punto; e infine, a poco a poco, coi persistere delle tenebre, delle irresponsabilitä, delle impunitä, entrano neH'ambito della sempre piü allargantesi tragedia anche coloro che insino a ieri ne erano rimasti fuori. P e r quanto gravi si facciano le sopra dette condizioni di vita, tuttavia, pur si danno coloro che —' data la congenita natura psichica loro e la migliore organizzazione dei loro giaeimenti psichici superiori — rimangono illesi e tali si mantengono, mentre ognor cresce il numero degli altri, Ma... non si vedono; nessuno Ii conosce poiche non hanno storia, e se ne stanno essi ignorati, e in silenzio, nella interna luce della loro coscienza.
PARTE
I PERSONAGGI GLI ALTRUISTICI
TERZA
DELU "I0„ ACCANTO
AGLI
PROFONDO EGOISTICI
?
CAPITOLO
PRIMO
L'«EGO» ECOISTICO E ALTRI PERSONAGGI (L'INOONlSCIO) Avendo come sopra veduto e descritto, e o r a meglio da specificarsi quali siano gli « abitanti » dell'Io profondo e poi e anche da ehiedersi se in q u e l l ' I o profondo, accanto ai « personaggi » malefici di cui insino a ora abbiamo parlato, p u r se ne trovano altri di nobile volto e condotta oltre che — ben inteso —- il coai detto inconscio. Per quanto specificazioni del genere di quelle di cui vogliamo p a r l a r e difficilmente possano rinchiudersi in sintetiche, necessariamente incomplete e sol approssimative elencazioni descrittive, potremmo indicare come segue.
1. - Fondamentali istinti egoistiei e loro costanza. Chiamiamo Io profondo, in primo luogo, quell'insieme di istinti nettamente egoistiei persistentemente perenni che si esprimono o tentano esprimersi nelle p i ü diverse f o r m e : istinto di conservazione e del voler vivere, erotico, di acquisizione e captazione, di aggressivitä, di dominio, di sopraffazione e simili, e anche di distruzione, per non dire della istintivitä « m a g i c a » , E cioe, stratificazioni inferiori, egoistiche, delinquenza latente, fiamma nascosta. Delle quali categorie abbiamo dato illustrazione nei capitoli delle p a r t i che precedono la presente. P u ö dirsi che da secoli e dibattito sugli istinti dell'uomo discutenidosi sulla definizione, sulla migliore denominazione da darsi (terminologia), sull'elenco da farsi di tali istinti e sulla classificazione di essi ( q u a t t r o punti essenziali), senza dire dei possibili confronti con gli « istinti » — da chiamarsi cosi? — degli animali e anche dell'influenza che gli istinti stessi esercitano sul comportamento, individuale e so-
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Parte
terza
ciale. dell'uomo. Altrettante questioni che porterebbero a una trattazione piü che enciclopedica del soggetto. lmpresa che assai volte in modo frammentario, o piü o meno esteso, fu tentata, ma « impresa — come ebbe a 6crivere Ribot — in cui gli uni sono fuggiti, gli altri falliti » (nel paragr. 2 dell'introduzione alla parte seconda della Psychologie des sentiments). Circa la definizione, gli enunciati sono variatissimi e possono anche tra loro differenziarsi secondo che si riferiscano all'« istinto » dell'animale o agli istinti umani, o possano abbracciare l'uno e gli altri insieme. Si dirä, ad esempio, essere l'istinto una reazione, o un'azione, particolare e stabile... per tacere di altre definizioni. Quando pur non si concluda con l'affermare l'impossibilitä di ogni precisa definizione. Circa la denominazione o terminologia, si e detto; tendenze, inclinazioni, disposizioni e persino passioni, bisogni, pure avvertendo che tali diverse denomin azioni, se hanno tutte un quid in comune, hanno ciascuna — almeno in parte — un proprio significato, sicche non e affatto lecito adoperarle l'una per l'altra. Circa, poi, l'elenco e la classificazione (le due categorie procedono spesso, puö dirsi, di pari passo) interminabile lista a noi si presenterebbe — a cominciare, naturalmente, con i nomi di Aristotele e di P i a tone, e pur con quello di Cartesio — e si dovrebbe dire, per le teorie recenti e meno recenti, delle tendenze o facoltä, o istinti, di Gall (con relativo elenco e classificazione), della enumerazione e delle ripartizioni fatte da Emile Littre, ne si dovrebbe dimenticare quei dottor Garnier che nel 18S2 pubblicava un Traite des facultes de l'äme, molto diffuso tra il pubblico dell'epoca, in cui si classificavano gli istinti in t r e larghe categorie secondo che essi si riferissero a oggetti personali (dell'individuo), o a rapporti con altri individui, o a oggetti non personali (tra i quali, con qualche ingenuitä l'egregio Autore collocava l'istinto per il bene, per il vero, per il bello). Notissima e p i ü entrata nella comune dottrina, la classificazione — con: relativo elenco — di W. James nella quäle si trovano ancora una volta le stes-» se categorie, piü o meno giä elencate dai precedenti studiosi segnalandosi pur anco l'istintivo desiderio di essere conosciulo, lodato, approvato e anche l'amore del potere e simili. Analogamente, assai nota e generalmente accolta, la classificazione (sempre con relativo elenco) di Th. Ribot il quäle, dopo aver fissato che hanno da ritenersi come istinti primitivi quelle « tendenze » che rivestono i tre caratteri della inneitä. della specificitä a tutta la specie e di una relativa invariabi-
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I personaggi
dell'Io
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litä. classifica in tre grandi gruppi: di natura fisiologica gli istinti del primo. di natura psico-fisiologica quelli del secondo e infine di natura essenzialmente psicologica quelli del terzo; anche qui, istinti di nutrizione, quelli verso il piacere e fuggenti il dolore, la difesa e l'offesa, e pur la benevolenza, la simpatia, l'istinto sessuale, oltre che l'istinto del giuoco (che e tendenza a spendere l'energia superflua e che si diversifica in varie forme tra le quali l'attivitä estetica), la curiositä, e gli istinti egoistiei propriamente detti « che esprimono l'Io, la persona, in quanto ha coscienza di se, e si manifestano nel sentimento d'orgoglio o di umiltä, o nelle loro varietä ». Recentemente, elenco e classificazione di G. Papillaut nella sua opera: Des instinets ä la personnalite morale (Paris, 1930) in cui ancora si parla dell'istinto nutritivo, di quello del «confort », di quello di conservazione, di quello sessuale, dell'istinto gregario e ipergregario. Recentemente, ancora, classificazione ed elenco come segue: istinti alimentari, di difesa e di offesa. istinto di curiositä. istinto sessuale, i6tinto della famiglia o parentale, istinti sociali (gregarismo, imitazione, gerarchismo), istinto di appropriazione, istinto del giuoco (J. Larguier des Bancels, nel Nouveau traite de psychologie. diretto da G. Dumas, Paris, s. d.). Dovrebbesi, infine, ricordare W. Mac Dougall, che distingue istinti primari o fondamentali, istinti secondari e pseudo istinti. Negli istinti primari elenca: repulsione. fuga, curiositä e combattivitä, sottomissione e dominazione, istinto materno e paterrio (primitivo nella donna, ma acquisito nell'uomo) sessuale, alimentäre, di acquisizione, di costruzione e anche istinto sociale o impulso all'aggruppamento, impulso che l'Autore considera come primariö. Si elencano a parte gli istinti che l'Autore considera come secondari, non nel senso di derivati, ma perche di ordine strettamente fisiologico, come il ridere, il muoversi, i] dormire, ecc... per tacere, poi, di quelle categorie che Mac Dougall chiama pseudo-istinti i quali sarebbero forme piü complesse e frutto di evoluzione, manifestantesi durante le superiori fasi di struttura della psiche. come l'istinto religioso, di simpatia. di imitazione, di gioco. Inutile rammentare (in tanto complesso e discusso tema quäle il tema degli istinti primari e quindi profondi) altre classificazioni che allineano: conservazione, nutrizione, riproduzione, autonomia, captazione, potenza. combattivitä (A. Hesnard) o inutile ram(mentare le recenti e note esperienze di I. B. Watson sui tipi fondamentali di reazione del neonato di 4-5 mesi — appunto per mettere in luce le primordiali reazioni — attestanti consistere esse nella paura. nell'ira, in
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Parte
terza
irrcsistibili desideri di ordine vario ma sempre a fondamento egoistico. Come si vede, sempre o quasi sempre negli elenchi su menzionati figurano tra gli « istinti » tanto quelli egoistiei quanto quelli che f u r o n o chiamati egoaltruistici e quelli altruistici, ma noi ci fermeremo per il momento a quegli istinti profondi, egoistiei, di cui abbiamo poco sopra fatto menzione (conservazione, volontä di vivere, erotismo, ecc.) aspirazioni psicologiche dell'uomo fuori da ogni imperativo categorico, istinti e aspirazioni che, p e r la loro netta o tendenziale antisocialitä, venendo di continuo raffrenati dalle superiori formazioni psichiche dell'Io e dalle norme della vita sociale, cercano di uscire dall'oscuro chiuso avvalendosi di autotrasformazioni, svisamenti e mascherature di ordine vario. Quando pur direttamente e impetuosamente non irrompano. Dunque, istinti profondi — questi di cui intendiamo parlare — perche radicati nella natura stessa della vita che ha da mantenersi e da trasmettersi, e anche a motivo del loro continuo nascondersi —i quasi per vergogna —< agli occhi di chi guarda da fuori, e a rimaner celati nel fondo. Vissero tenaci, essi, dalla preistoria a oggi. E tuttora vivono, e sempre in avvenire vivranno finche l'umana creatura avrä vita portando seco, e seco trascinando, quei fardello, dalla nascita alla morte. Ciostiluiscono essi non soltanto l'immutevole fönte da cui sgorga l'attivitä psichica dell'individuo, ma anche, per l'ininterrotto tributo che essi portano alla struttura e alla vita delle umane Societä, uno di quei fatti che lo studio delle Societä umane deve essenzialmente mettere in evidenza se vuole veramente comprendere struttura e vita sociale e, cioe, fatti che abbiamo altrove chiamato — sempre in tema di studio dei fatti sociali — «fatti costanti» della struttura e della vita sociale, fatti costanti perche « permanenti, universali per quanto non sempre facilmente discernibili, fondamentali, generali » e che si trovano alla radice stessa della struttura e della vita dei gruppi sociali. « Fatti costanti» che abhiamo puranco, e da assai tempo, chiamato: residui a motivo del fatto che guardando, come di solito si fa, le umane vicende, si della Storia che della cronaca, apparentemente risultano le piü variegate e opposte varietä attraverso i luoghi e i secoli, un cangiante divenire mutevole e mutevolissimo, mentre chi sa togliere, p e r cosi dire, da siffatta superficie i variopinti strati esterni e a poco a poco cerca giungere ognor piü sotto le apparenze, si trova di fronte a un quid costante, sempre uguale in ogni luogo e tempo, che residua ad
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operazione compiuta, dopo che sono stati tolti successivamente esterni strati delle esterne e mutevoli forme (1).
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2, - L'inconscio. Io profondo, dunque, formato dai primordiali e fondamentali istinti. Ma anche Io profondo e quello che rinchiude il segreto e oscuro patrimonio dell'« inconscio »; possiamo immaginarlo come collocato, anche esso (in una rappresentazione schematica della personalitä), nel fondo della personalitä stessa o — se si vuole — nel doppio fondo di ogni attivitä psichica. Fu, per questo, chiamato « componente oscuro della personalitä », o anche « retroscena della personalitä ». Inconscio la cui importanza par sia di tal forza da dover essere indicato — come giä fece Teodulo Ribot — quäle « accumulatore di energie ». Anzi, scriveva Lipps, il problema del l'inconscio, piü che un problema psicologico essere il problema della psicologia. Nell'Io profondo, per conseguenza, l'Io nascosto, o da nascondersi, formato dagli istinti primordiali egoistiei, ma anche l'Io ignoto, dell'inconscio. In questo, i relitti ancestrali preumani e ancor quelli, meno lontani, della primitivitä preistoriea, e persino le dimenticate impressioni dell'infanzia, impressioni che sbiadendo sono cadute nell'inconscio. E impressioni che sono State ricacciate piü o meno volutamente nella zona dell'inconscio o quelle che, debolissime, mai penetrarono nella coscienza. Nell'inconscio si troverebbe pure — a quanto si dice — quei patrimonio, tanto diversamente distribuito da uomo a uomo, da cui sorgerebbero i fenomeni chiamati metapsichici. E finalmente — o soprattutto? — in quell'inconscio e anche da tener conto di tutta quella parte oscura che prepara, all'insaputa stessa della coscienza, gran parte degli atti psichici. AI quäle proposito si senta in qual modo osservava un antico nostro scrittore, letterato e critico preclaro, non psicologo: « Un mondo di moti quasi impercettibili della mente nostra, e d'idee poco meno ehe occulte a quelli stessi che le concepiscono, e di pensieri e di voglie talora ombreggiate appena al nostro cuore...» giace in fondo al nostro spirito (2f). ( 1 ) A . NICEFORO, Frammenti di una introduzione allo studio della sociolo. gia; I fatti costanti della vita sociale, nella «.Rivista di Psicologia;», Bologna, 1935, n. 2. (2) G. B A R E T T I , nel suo giudizio sulle opere del Metastasio, volume I delle Opere, pag 67 dell'edizione di Milano, 1877.
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Ci guarderemo bene dal trattare, sia pur sintetieamente, il diffieile e complesso problema. Tuttavia, ecco qualche cenno, a cominciare dalle variatissime come ognun sa, definizioni di inconscio, filosofiche e non filosofiche. Si lasci in tacere (Dio ci guardi dal mettere il dito su tale tasto) il concetto metafisico di un « Incosciente », generatore dell'Universo e modellatore di esso (secondo Hartmann), un « Incosciente » che e vera realtä e — anzi — essenza della realtä, essere in se stesso il quäle e ad un tempo idea e volontä, ma non diviene cosciente che in qualcuno dei suoi modi. Lasciando ciö da parte, in tema di « inconscio » potremmo ricordare come Enrico Morselli descrivesse un inconscio razionale — che si riferisce alla mentalitä — da un inconscio irrazionale il quäle si tripartisce in inconscio biopsicologico, in inconscio fisiopsicologico e in inconscio dinamico (nel vol. : La psicanalisi, Torino 1926). Potremmo anche ricordare — ma e ciö necessario? — quanta, diciamo pure, confusione si sia fatta e continui a farsi (piü per colpa della o~ scuritä delle cose stesse da definire che per colpa degli uomini) tra le denominazioni : inconscio, incosciente, subcosciente, coscienza liminale, coscienza subliminale, affacciandosi anche l'ipotesi di una doppia personalitä simultanea, l'una cosciente e l'altra incosciente. I n quanto alla indieazione: subcosciente, qualcuno —• come Morton Prince — conta nullameno che sei significati diversi, mentre altri — come W i l l y Hellpach — ricorda per la indieazione: inconscio, sino a otto significati. Si discute persino sulla presenza o no di «concoscienze» e cioe di eoscienze secondarie e oscure che coesistono accanto alla principale : in tal caso si propone distinguere il subcosciente (tutto ciö che esiste e si svolge nella nostra psiche senza che noi ne siamo coscienti) da una concoscienza dissociata (dalla principale) per indicare l'attivitä psichica dei presunti centri secondari di coscienza e si distingue anche una coscienza latente per designare tutti i nostri ricordi, idee, ecc. accumulati e a nostra disposizione, ma fuori del campo della nostra coscienza attuale (R. Assagioli). Ma chi voles6e, a titolo di curiositä. qualche minuta classificazione. sia pur discutibile, potrebbe ricordare come tra coloro che tentarono di definire l'inconscio e di classificare le varie categorie di cui esso si compone, siano coloro che classificano (G. Dwelshauvers) cosi. Un inconscio, in primo luogo. psico-fisiologico-. nel guardare io vedo, ma rimarco alcune cose e non altre le quali pur rimangono nel mio inconscio; un inconscio automatico per il quäle si compiono gesti abi-
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tudinari senza averne coscienza; un inconscio formante un'altra personalitä -capace di apparire e agire per p r o p r i o conto, io secondario, io sottoljminare; un inconscio latente-attivo (impulsioni e idee che sembrano Sorte dal nulla, creazioni artistiche, invenzioni, telepatia e altri fatti metapsichici). Si aggiunga, inoltre, un inconscio della memoria (associazione di idee),; un inconscio affettivo, detto anche l'inconscio passionale (sentimenti di cui non sempre ci spieghiamo l'origine); l'inconscio razionale (attivitä organizzalrice e razionale dei nostri concetti, che si esercita senza essere sempre presente alla nostra coscienza). E infine, ecco venire a chiudere la classificazione l'inconscio ereditario, intendendosi con ciö il peculio di vocazioni e disposizioni oscurarrtente trasmesse dai genitori o dagli avi, ma potendosi anche qui intendere l'inconscio ereditario raccogliente le oscure influenze preistoriche e storiche quando di tale processo ereditario si ammetta l'esistenza. Gli elementi tendenziali iriconsci avrebbero vivacissima importanza per determinare o condizionare o suggerire il comportamento generale dell'individuo nella sua condotta attraverso le vicende — sventure o trionfi — della vita. In particolare. poi, si insegna che le tendenze inconscie si esprimono e si appagano, non solo con le manifestazioni delle psiconevrosi (le quali costituiscono l'espressione di determinate tendenze sussistenti nel nevrotico e una forma di appagamento di quelle) ma anche — negli individui normali — con i cosi detti atti mancati come i lapsus. le dimenticanze. i gesti automatici. Inoltre si afferma, con insistenza forse soverchia, che anche il sogno. la cui interpetrazione si va trascinando da millenni suscitando ognor nuove ipotesi, pur essendo un contenuto normale della coscienza mette, tuttavia, in luce materiali che per lo innanzi abitavano quell'oscuro fondo che si e detto essere l'inconscio. tanto personale quanto ancestrale e preistorico. I contenuti del sogno esistevano psichicamente anche prima del sogno stesso in uno stato incosciente, e appaiono solo in sogno nella coscienza ridotta, nel cosidetto residuo di coscienza (Jung). P e r alcune delle sue caratteristiche, dunque, si direbbe che l'inconscio ha la sua «memoria » e che dal suo rifugio trasmette eomandi a moltissime operazioni psichiche. Insomma, grazie alle recenti vedute sull'inconscio, potrernmo dire che la personalitä psichica e composta di una parte superiore cosciente, •sotto la quäle sta quell'inconscio che e proprio alla persona, distinta da tutte le altre, e cioe inconscio personale; ma sotto quell'inconscio
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personale sta un inconscio ancor piü profondo che e, questa volta, non parlicolare a questa o a quella persona, come l'altro, ma patrimonio comune a tutti gli uomini, inquantoche raccoglie i residui ereditari della lontanissima etä preistoriea, inconscio che, appunto per tale ragione, i moderni studiosi designano con l'indicazione — p i ü o meno discutibile —< di inconscio collettivo (C. G. Jung). « L'inconscio collettivo — scrive 1'eminente psichiatra di Zurigo — e un patrimonio psichico ereditario individuale di qualitä rappresentative ma comune a tutti gli u o m i n i » . E altrove; « Giö che in noi si agita e dato da quei lontani sfondi, da quelle antichissime forme dello spirito umano, che noi non abbiamo acquisiti», ma ereditato da nebulosi tempi preistorici ». Tale inconscio collettivo costituisce veramente un'« anima generale e senza t e m p o » ed esso, scrive sempre il citato Jung (come giä avevano insegnato le antiche vedute italiane sulle stratificazioni inferiori psichiche), e « il deposito di tutte le esperienze umane fino dai piü oscuri primordi, non un deposito morto ne un desolato campo di ruderi, ma un sistema vivo e pronto a reagire ». II che, ripetiamo, era anche stato detto piü o meno dai nostri primi antropologi e psicologi criminalisti. Residuo —• si aggiunge — che «per vie invisibili, ed appunto perciö attivissime, regola la vita individuale»... «L'inconscio collettivo e la poderosa massa ereditaria spirituale dello sviluppo umano che rinasce in ogni strultura cerebrale individuale » si aggiunge ancora che, proprio come il corpo umano, pur variando da individuo a individuo, ha un piano generale a tutti comune « in cui si trovano ancor vivi quegli elementi che lo collegano cogli invertebrati e perfino coi protozoi », cosi, nell'organismo psichico di ogni individuo che pur variando da soggetto a soggetto ha un piano comune, si ritrovano gli elementi psichici primitivi e lontanissimi. Si precisa al tempo stesso coi dire che mentre la coscienza e « preeipuamente limitata agli avvenimenti del momento, dall'incosciente collettivo, invece, possiamo attenderci reazioni a condizioni piü generali e sempre presenti, di natura psichica, fisiologica e fisica »i (1). Un qualche di simile, ripetiamo, era stato visto a proposito della delinquenza atavica e p u r a proposito del risorgere delle stratificazioni inferiori preistoriche, dai nostri piü lontani e meno lontani criminalisti, come giä avemmo occasione di mostrare nelle precedenti pagine. ( 1 ) C . G. J U N G , Seelenprobleme der Gegenwartt Zurigo, pag. 120 e seguenti della traduzione italiana, Torino, 1942.
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Anche si sa, tanto il rumore che ebbero a suseitare tali interpetrazioni, che in questo inconscio collettivo i nuovi psicologi vedono un insieme di motivi e immagini mitologiche, tanto che i miti dei popoli sarebbero gli autentici esponenti dell'inconscio collettivo, sicche la mitologia sarebbe una specie di proiezione dell'inconscio collettivo stesso. Nel che potrebbe forse vedersi qualche bagliore di ver i t ä ; anzi, non sarebbe impossibile trovare antiche antieipazioni di tale veduta. Per il momento concludiamo con l'indicare che — da quanto 60pra — due categorie di « personaggi » abbiamo trovato nell'Io profondo: da un lato, i fondamentali istinti egoistiei esprimentisi nelle p i ü varie foggie o sottocategorie; dall'altro lato, l'inconscio, anche esso di forme e di sottocategorie diverse. Prima di continuare l'esame in questione al fine di accertare la presenza, o no, di altri personaggi, una breve digressione.
3. - Osservazione i neiden tale: gli uomini (ie i gruppi sociali) di distal lo, e cioe visibili neH'inferno. Fu detto che e piü facile ricostruire la storia dei continenti scomparsi che il profondo dell'Io, ma in veritä le esplorazioni dell'Io profondo, sia nella parte di esso che abbiamo detto essere la dimora nascosta degli istinti egoistiei primordiali e fondamentali, sia in quella parte ove, oscuro e semioscuro, vive l'inconscio, si fanno (e con qualche risultato) grazie a metodi vari. Da un lato, i normali mezzi (i reattivi psichici, tra essi) della psicologia di osservazione e di esperimento vengono utilmente adoperati, mentre dall'altro, con le dovute cautele, possono mettersi in opera i metodi della psicanalisi, in ispecie per quei che tocca le esplorazioni dell'inconscio (interrogatorio, associazione libera delle idee, ecc.): gli elementi tendenziali, inconsci, che contribuiscono a determinare la condotta dell'individuo, verrebbero alla superficie rendendosi visibili e coscienti coei all'esploratore come all'esplorato. Ma ora vogliamo far cenno delle possibilitä di altra indagine: analizzando, cioe, il comportamento non piü dell'individuo, ma dei gruppi sociali per mezzo del criterio da noi sopra suggerito (per il quäle il gruppo e un individuo, mosso dallo stesso meccanismo psicologico che muove l'individuo, compreso il meccanismo dell'Io profondo ed egoistico) si riuscirä a scoprire l'oscuro complesso di motivi
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che realmente spingono il gruppo all'azione, motivi nascosti d e l l l o profonao del gruppo, completamente in contradizione con i motivi palesi e proclamati, o consistenti in esterni e verbali pretesti. Nell'uno e nell'altro caso (esplorazione dell'individuo ed esplorazione del gruppo) ciö che per lo innanzi non si vedeva o cercava travestirsi, si fa palese; diremo quasi, per ciö che riguarda Yindividuo, che l'uomo invisibile si rende visibile, almeno nelle sue scheletriche linee fondamenr tali. Si tratta, per cosi dire, di una specie di radioscopia psichica. L'uomo, allora sarebbe confrontabile a quelle belle perle, splendidamente luccicanti all'esterno, ma di cui speciali procedimenti fisici p e r mettono mostrare la falsitä facendone vedere l"interno, o a quelle pietre preziose delle quali speciali trattamenti mettono in evidenza la interna composizione svelando di esse il falso, o ancora a quei quadri di antica apparenza e di antico tocco che, attribuiti a pennello di vetusto autore, sottoposti alla penetrazione dei raggi X svelano nascosta fattura e nascoste tinte che attestano la falsitä di quella pretesa opera d'arte. Medesima cosa si dica per gli invisibili motivi, nascosti e negati, che muovono il gruppo all'azione. Giacciono essi nell'Io profondo e, se di colore oscuro, si mascherano delle p i ü belle tinte quando fuori si mostrano. Ma anche qui, tuttavia, il sociologo che sia psicologo poträ tentare ciö che ci siamo permessi sopra chiamare radioscopia psichica. Qualche favola bellissima — il viaggio nel Sole, narralo da Cyrano de Bergerac —i ebbe a farci sapere come in certe terre sideree gli uomini fossero fatti di tersissimo cristallo, sieche ogni loro materiale interna struttura (nascosta negli uomini abitanti le nostre terrestri contrade) e ogni interno modo di funzionare dei vari organi, ben apparivano a chi guardasse attraverso il cristallo; e quei che e piü, attraverso quei limpido involucro apparivano i sentimenti e i pensieri agitanti il piü profondo di ognuno di tali uomini. La favola si fa, in qualche senso, realtä quando lo psicologo, per mezzo dei piü vari modi suoi di esplorazione psichica (dagli strumenti di laboratorio alla psicanalisi o altro) perviene a veder chiaro in quelle profonditä e in quei mondo degli istinti profondi che vorrebbero il piü delle volte mantenersi sotto la maschera; si direbbe che egli trasformi — se vi riesce — l'uomo di carne e ossa nell'uomo-cristallo della favola. Medesimo effetto (come dicevamo) si produce quando il sociologo — guardando ciö che non si vede perche nascosto sotto le esterne vicende della storia dei popoli e dei contrasti fra i gruppi sociali — riesce a trovare il « costante » o « residuo » che sta nell'oscuritä e che tan-
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to i popoli quanto i gruppi sempre cercano mantenere nell'oscuritä stessa; in tal modo, anche il sociologo trasforma la Societä (o il grup-, po) che agisce in un determinato modo, proclamando determinati motivi di agire, in una Societä (o gruppo) cristallo, riuscendo a mostrarne l'interno e nascosto « tesiduo > (1).
(1) A proposito di «residui», vedasi la nota alla fine del paragrafo 1 del presente capitolo I. E anche la nostra Memoria: Progresso, felicitä, incontentabilitä e « fatti costanti » della vita sociale, nella Rivista « Scienza e Tecnica », Roma, genn.-giugno, 1948.
CAPITOLO
SECONDO
DALL« ECO » EGOIST!CO ALL'« ECO » ALTRUISTICO Domandarsi, dopo aver dipinto come sopra il quadro di quegli istinti profondi che son cosi malvagi consiglieri e dopo aver assistito alle gesta d t ] ] 7 / o m o in tenebris o dell'uomo nel deserto. o anche dell'uomo invisibile, credere che tutto l'uomo, per l ' a p p u n t o , sia in siffalta pittura, sarebbe p r o p r i o aver percorso le precedenti pagine senza che la minima attenzione — sia p u r la piü superficiale — assistesse la lettura. Ai possibili disattenti ricordiamo quanto segue.
1. - E le « idealita » sociali? Non si e detto da noi 6tessi, qui e altrove, come gli egoistiei istinti p r o f o n d i si imbattano — quando tentano venire alla luce — in un organismo di formazioni psichiche che abbiamo chiamato superiori e che, i n f a t t i , costituiscono l ' I o superiore? Non si e detto (e meglio si mostrerä piü innanzi) che VHonio delle tenebre. se rischiarato dalla luce del controllo sociale e cioe vigilato da quella specie di angelo custode che e l ' I o superiore — tu sei la mia l a m p a d a ; tu illuminas luce rnam meam — riesce a dissipare quelle tenebre? O, quanto meno, a trasformarsi e trascoloransi sacrificando, per cosi dire, la sua infe« riore personalitä alla vigile coercizione superiore? Non abbiamo persino ricordato o mostrato, qui e altrove, come la formazione di questo Io superiore proceda e si rinsaldi, in tutti gli uomini, in armonia con l'ereditä e l ' a m b i e n t e , con le condizioni fisico-psichiche congenite e acquisite, m e n t r e si sgretola sotto la raffica delle improvvise crisi, di ordine interno e esterno, che possono a q u a n d o a quando abbattersi sull'indjviduo? Insomma, gli psicologi dell'Io a p i ü piani — dal]'inferiore al superiore — p u r necessariamente insistendo sulle caratteristiche d e l l ' I o p r o f o n d o , non h a n n o forse al tempo stesso indicato e descritto quelle attivitä antiegoistiche, presenti nel piano superiore del-
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r i o , che la Morale dei posilivisti dell'Ardigö chiamava idealitä sociali? Senonche, ben riconosciamo che il tema non si esaurisce con il ricordo or chiamato dinanzi agli occhi dei disattenti e degli smemorati; ci si puö e ci si deve, infatti, domandare se nell'Io profondo esistano, davvero, soltanto quei congeniti istinti, cattivi consiglieri (egoismo, aggressivitä e simili) di cui sopra, o se invece non coesistano anche, congeniti e almeno come luce crepuscolare che si svilupperä poi con l'educazione e la pressione sociale, gli istinti opposti di sociabilitä e socievolezza, di altruismo, di pietä e di probitä, e quello ancora che va sotto l'indicazione di senso morale, per non dire di altre categorie (come. a esempio, quell'idea e quei senso di giustizia individuale e sociale di cui tanto si parla) o sottocategorie di tali atteggiamenti psichici. In altri termini, si tratta di sapere quäle l'origine dei sentimenti o istinti, o idee-sentimenti, o idee-forze, di natura egoaltruistica e altruistica, o di autocontrollo; si tratta, cioe, ili forme autonome, congenite, oppure — altra ipotesi — siffatte forme sarebbero semplicemente, per nulla congenite, una necessaria derivazione dagli stessi istinti antisociali profondi? Nel primo caso, le « idealitä sociali » o altre analoghe avrebbero luogo di nascita, con lo stesso volto e lo stesso aspetto che assumono nella loro attivitä egoaltruistica, nelle stesse tenebre dell'Io profondo: Abele accanto a Gaino. Nel secondo caso, al contrario di ciö che n a r r a n o le antiche favole per le quali gli angeli si trasformarono in demoni, qui il mostro si trasforma in angelo, p u r lasciando dietro di se nell'oscuritä quegli originari compagni che rimangono mostri. In ogni modo, vi sarebbe ancora un punto da trattare nel caso di derivazione-. in qua] modo tale derivazione si fa? Vediamo dunque.
2. - Qualche cifra. P a r e che i sopra detti punti interrogativi — antichi, ripetiamo, ma ognor nuovi — ancor si presentino con qualche urgenza se alcuni psicologi americani hanno avuto idea di chiedere a un centinaio di giovani della Northwestern University: «credete voi esatta cosa l'affermare che il bambino nasce con una conoscenza istintiva del bene e del male? II che significherebbe che la coscienza morale e un istinto inn a t o » . La maggioranza degli interrogati non ha creduto rispondere af13. • L'Io.
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fermativamente; soltanto il 33 per cento degli interrogati stessi manifeste» la sua credenza nella inneitä degli istinti morali. Chi scrive ha voluto ripetere l'interrogazione (in occasione di una sua inchiesta o sondaggio per « misurare» l'opinione su determinate questioni da parte di vari gruppi di studenti universitari) rivolgendosi a studenti universitari e ottenendo percentuali sensibilmente diverse secondo il gruppo cui l'interrogazione era rivolta; un dato gruppo si e dichiarato a favore della inneitä della coscienza morale e dei sentimenti altruistici soltanto in ragione del 12 per cento dei suoi componenti, mentre altro gruppo ebbe a ripetere, senza saperlo, la percentuale nordamericana inquantoche si dichiarö esso a favore della inneitä in ragione del 33 per cento. ,9e si volesse concludere -— ma non si tratta che di un principio di indagini quantitative da doversi largamente svolgere —« si potrebbe pensare che la grande maggioranza degli «intervistati », appartenenti a classi ritenute colte (sia pure di superficiale e ancora incompleta cultura), reputa essere coscienza morale e sentimenti altruistici, categorie psicologiche acquisite piuttosto che congenite. Si potrebbe riavvicinare tale provvisorio risultato a un sondaggio della opinione del gruppo, sempre coinpiuto da chi scrive, presentando ancora a un gruppo di studenti universitari la domanda che segue: «Sino a che punto siete voi dell'opinione che l'uomo nasce buono? (e che la sua cattiveria quindi e prodotta dalle condizioni sociali?) ». Si doveva rispondere indicando con un punto da 1 a 5 il grado con cui chi rispondeva si avvicinava all'enunciato in questione: rispondendo con uno si veniva quasi a negare che l'uomo nascesse buono mentre con il 5 ci si schierava completamente in accordo con tale opinione. I punti inlermedii corrispondono a gradazioni di questa ultima opinione. Anche siffatto metodo di punteggio (da 1 a 5) e di esplorazione «mietrica» della mentalitä e dell'opinione di un gruppo, fu adoperato teste da psicologi americani per indagare quäle fosse il modo di vedere del gruppo nei riguardi di un ordinamento politico autoritario o liberale, e non per il tema di cui stiamo parlando. Ora, per il sondaggio or indicato e da noi compiuto, una forte massa, equivalente al 30 per cento dei soggetti, dichiarö non potersi pronunciare in proposito, mentre il 25 per cento si dichiarö per il punto cinque e un altro 20 per cento per il punto quattro. II resto si sparpagliö sui punti due e tre. Dal che, se si potesse e volesse concludere, si potrebbe dire trovarsi difficoltä e indecisione nel rispondere al quesito e, caso mai, una certa tendenza al credere (con punti 1 e 5) che l'uomo nasce buono.
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Ci siamo per un istante ferniati sulle poche cifre in questione piin per mostrare l'orientamento che si potrebbe dare a siffatte ricerche c h e per altro. Veniamo, piuttosto, al tema.
3. - Tentrfivo di definiziom, peir cominciare. II dibattito e tutt'altro che nuovo ma, tanto per mettere le cose al loro posto, sarä sempre necessario cominciare coi far definizione almeno per quelle categorie (or elencate) su cui in particolare e da fissare l'attenzione: sociabilitä, socievolezza, altruismo, pietä, probitä, senso morale, giustizia, per quanto di difficilissima fattura siano definizioni di tal genere, e assai discutibili, tanto piü. che alcune categorie, separatamente definite, potrebbero considerarsi come sottocategorie di altre. 1) La sociabilitä, si potrebbe convenire, e quella attitudine o impulsione che ha l'uomo (a quanto si afferma) di vivere in societä e di aggregarsi ai suoi simili. 2) La socievolezza, d'altro canto (come si vede, si distingue socievolezza da sociabilitä), e quella disposizione, attitudine o impulsione, che porta gli uomini, a quanto pare, a sentire simpatia per i propri simili. Dell'uno e dell'altro carattere molto si ebbe a discutere, e in senso vario; si osservö da alcuni che l'uno e l'altro « i s t i n t o » giä si trovano negli animali pur discutendosi se costituissero — essi istinti — fenomeni puramente meccanici, da confrontarsi a puri processi fisici, chimici o altrimenti che fosse, e accennandosi al fatto che, in ultima analisi, tanto l'uno quanto l'altro processo (sociabilitä, socievolezza) si connaturano con l'utilitä dell'individuo, animale o uomo che sia. Del resto — e diciamo ciö infino da ora — dalle piü materiali e meccaniche forme della sociabilitä e della socievolezza si svilupperebbero, crescendo e maturando, le varie forme della simpatia. 3) L'altruismo, con definizione di qualche filosofo (la parola altruismo e innovazione filologica dovuta ad Auguste dornte), e visto come l'insieme dei sentimenti che vanno dalla benevolenza alla dedizione e persino al sacrificio, sentiti dall'uomo verso gli altri uomini, sia pure nell'origine dell'umanitä in forme crepascolari, forme le quali poi a poco a poco si ravviveranno con l'evoluzione sociale. 4) E la pietä? Sarebbe essa quella disposizione — come si trova definita con parola dantesca del Convivio — « apparecchiata di rice-
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vere amore, misericordia e altre caritative passioni »? Quei sentimento, cioe', da considerarsi p u r esso istintivo, eome i precedenti, che ci spinge a lacrimare per gli altrui martiri? 5) E la probitä? Consisterebbe essa in quei senso (anche esso da taluni ritenuto come congenito) che mostra all'individuo il cammino dell'onesto e che lo « obbliga » a seguire tale cammino? Una honeStas .••empre vigile e sempre operante? Attributo, come voleva Dante nel Convivio, dell'anima nobile («quella probitä che alla gioventute presta la nobile anima »). In particolare, quei senso la cui osservanza o violazione. insieme alla violazione o inosservanza de] senso di pietä. e preso — da parte di moderni criminalisti — in considerazione per definire il « d e l i t t o n a t u r a l e » ? E cioe, essere delitto naturale quei gesto o condotta che contravviene al fondamentale senso di pietä e di probitä quäle e sviluppato in una data epoca e tempo nella maggior parte delle Societä dell'epoca; oppure quäle si trova, sia pure in forma elementare, in ogni umana Societä; oppure, ancora, quäle si trova (teoria piü restrittiva e realistica) in una data e specifica Societä e cioe nella Societä di un dato tempo e luogo. 6) Senso morale (quando p u r non si consideri tale senso come risultante dal concorso di altri tra quelli giä accennati e in specie della pietä e della probitä), secondo antica definizione, e quella facoltä per cui si discerne il giusto e l'onesto, e il dovere, da ciö che e ingiusto, disonesto e per altro motivo condannevole. 7) Anche del cosi detto, o preteso, senso di giustizia (e di una giustizia tanto verso l'individuo quanto verso i gruppi sociali) si p o t r e b b e forse dire risultare essa, caso mai, dalla presenza o meno di alcune delle categorie sentimentali e mentali or ora elencate. Del resto, nessuno puö dimenticare quanto difficile cosa sia stata e tuttora sia una rispoßta alla domanda: che cosa e giustizia? E ' , f u detto, l'uguale e il reciproco o, se si vuole, l'uguale e il legittimo... per quanto rimanga sempre il dubbio — a proposito dell'«uguale» aristotelico — se giustizia veramente sia nella uguaglianza o nella disuguaglianza intendendosi con la prima soluzione doversi tutti trattare ugualmente, mentre con la seconda p a r si intenda doversi trattare ciascuno come merita di essere trattato. Si aggiunge, dopo aver ricordato « l'uguale e il reciproco», che si tratta della piü grande delle virtü sociali, dell'espressione
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piü alta del sentimento di simpatia definendo ancora giustizia come ciö che e esatto, imparziale, proporzionale (1). Altrettanti nobili abitatori — i personaggi su elencati — della mirabile dimora formata dalla personalitä u m a n a ; ma si tratta di sapere, ripetiamo, se giä si trovino essi nell'Io profondo, e cioe nelle primigenie, ancestrali e persino preumane stratificazioni psichiche, o piultosto se abbiano esse soltanto albergo nelle stratificazioni superiori e in qual modo esse colä siano penetrate e quivi si siano affermate. Definizioni, queste qui sopra esposte, discutibili e piü che discutibili, come sempre accade quando si voglia dare forma concreta ad astrazioni che il piü delle volte corrispondono a p u r e illusioni. A, parole — direbbe uno scettico — vuote di senso, come possono convenire un senso e una definizione? Parole vuote, o fantasmi della nostra immaginazione (idola fori) che ciascuno riempie a p r o p r i o modo o riveste con propri panni, sicche ognuno vede, o crede vedere, in modo diverso dagli altri. Si aggiunga che ogni individuo, nel trattare e discutere temi che prendono le mosse da parole o concetti di difficile o impossibile definizione, appunto perche vuote o corrispondenti a fantasmi, muta improvvisamente il senso e la definizione della parola e del concetto quando ciö a lui convenga per i fini della discussione stessa; tante definizioni, quindi, a disposizione di chi discute, secondo le necessitä della causa, da mutarsi da causa a causa e lungo il corso stesso della medesima causa. Ogni individuo ha, non ci stancheremo di ripetere, due «logiche» a sua disposizione: l'una per condannare e l ' a l tra per assolvere e giustificare il medesimo fatto; si adopera or l'una (1) Tentativi di definizioni d e l l e sopra dette categorie al fine, soprattutto, di esaminare in quäle conto dovessero tenersi tali categorie per giudicare del grado di superioritä e di progresso di una civiltä, si trovano al paragrafo 17 (capit. H l ) della nostra opera: Les indices numeriques de la civilisa'ion et du progres, Paris, 1921 e anche al § 44 (cap. VI). Vi si indicavano i sentimenti di pietä, di probitä, di giustizia e anche lo spirito di sacrifizio (che qualche sociologo considera come la piü importante qualitä occorrente per la elevazione e il progresso di un gruppo sociale), quello di disciplina (id. id.) e quello di altruismo con richiamo dei nomi — oltre che di Aristotele e di Tucidide — di Voltaire («nous avons tous, deux sentiments qui sont le fondement de la Societe: la commiseration et la j u s t i c e » , nell'£ssai sur les rnoeurs, tomo I), di Spencer, di Michelet, ecc Medesime pagine nella nostra Memoria: Preliminari allo studio quantitativo della civiltä e del progresso, nella « Rivista italiana di Sociologia », Roma, gennaio-giugno 1929, § 18, e in quella: E' possibile un sistema di indici quantitativi, misuratori della civiltä? nella « Rivista di Antropologia », Roma, 19:16-17, § 14 e anche § 2.
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or l'altra secondo che eonvenga all'individuo stesso, e mai tanto uso f a n n o gli uomini di tale doppia « logica » come quando tra loro contendono in materia di altruismo, pietä, probitä, senso morale, ecc... Come che sia, accontentandoci delle tentate definizioni di cui sopra, vediamo che cosa possa dirsi nei riguardi del tema che qui particolarmente ci interessa.
4. • II problema delle origini. In ogni modo, riferendoci alle definizioni di cui sopra, eccoei di fronte alle diverse interpetrazioni genetiche di quei sentimenti o istinti (altruistici ed analoghi). a) Istinti
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Nettamente si dichiara da piü d ' u n o trovarsi per certo nel profondo congenito dell'Io accanto alla molteplice varietä di istinti egoistiei pur anco quelli apertamente altruistici oltre che — ben si intende — quelli che si esprimono poi nelle piü alte idealitä sociali. La sociabilitä e la socievolezza. ad esempio, sarebbero non giä forme psichiche acquisite e, diremo cosi, di superficie, ma istinti profondi e congeniti. E quindi « innati »? E' vero che si potrebbe richiamare quei detto di Aristotele nelYEthica; «Ognuno che vlaggi attraverso popoli di ogni genere puö ben rendersi conto del come l'uomo sempre simpatizzi con l ' u o m o » , ma e pur vero — diciamo noi — che si potrebbe dire p r o p r i o il contrario; «Ognuno che viaggi, ecc. ecc... si accorge del come l'uomo mai simpatizzi con l'uomo! ». Non vi e dubbio che la credenza nella spontaneitä, diremo cosi innata, di una sociabilitä portante seco simpatia, o generata da simpatia, trovo assertori d'ordine vario tra le piü varie categorie di studiosi, fors'anco perche il filosofo ama spesso erigere a teoria obiettiva la nobiltä delle sue interne aspirazioni, Occorre forse rammentare come la formazione delle umane Societä sia stata « spiegata » grazie a un innato istinto di sociabilitä da illustri P a d r i della Cihiesa e che Ugone Grozio sosteneva che l'uomo h a istintiva inclinazione per creare e mantenere la Societä, da cui la fönte del diritto naturale. Augusto Comte affermava essere tanto spontanea la sociabilitä nell'uomo da agire essa persino — piü volte — fuori da ogni ragionare; prima di lui, il fortunato mito del « buon selvaggio » aveva per lungo tempo dominato i cuori e le menti
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insegnando che l'uomo nasce liaturalmente socievole e buono, con tutti gli attributi che fanno corteo a tali qualitä. e una volta di piü con Rousseau si parlö della innata bontä umana. guastata dalla vita sociale. Persino nel pensiero di colui che, creando la scienza delle ricchezze, ne poneva le fondamenta sull'egoismo umano, si incontra la credenza nella innata sociabilitä con le conseguenze dell'altruismo. L'opera di Adamo Smith: The theory of moral sentiments (negli Essays, London, 1872) proclama : « Quäle che sia l'egoismo da attribuirsi al4 l'uomo, esistono senza dubbio nella natura stessa dell'uomo certi principi o stimoli che lo spingono a interessarsi della sorte altrui e gli rendono necessaria l'altrui felicitä anche se egli da ciö non ricavi altro vantaggio che il piacere di contemplarla ». Qui, tuttavia, pur parlandosi di una spantaneitä della sociabilitä e dei suoi derivati, ben si allude al fatto che tale carattere (e quindi le derivazioni di esso) proviene da uno stato di piacere individuale... che in ultima analisi e una forma di egoismo. Anche qualche nostro psichiatra par voglia credere che la socievolezza faccia parte delle forze istintive congenite piü antiche o paleopsichiche; essa verrebbe a prendere posto accanto agli istinti congeniti paleopsichici: sessuale, di conversazione, della proprietä, materno (C. Cleni). Tuttavia si noti che il medesimo Autore fa provenire i sentimenti altruistici, gli affetti, l'amorevolezza, la pietä verso i deboli, lo spirito di sacrificio, dall'istinto materno, sicche impulsi, tendenze. sentimenti di cosi detto alto grado, non sarebbero che derivazioni, piuttosto che forze congenite. Ciö nonpertanto lo stesso Autore scrive che l'istinto altruistico e forza congenita e ben definita (come quello egoistico) « il cui sviluppo perö e subordinato alle sostanze elaborate da alcuni complessi glandolari dell'organismo » (1). Altri si spinge a trovare nel fondo della psiche umana p i ü ancora della semplice sociabilitä e socievolezza, l'istinto — addirittura — dell'aiuto seambievole, originato da pura simpatia; si ricordi lo scritto (che a suo tempo sollevö rumore per il contro altare che sembrava volesse esso erigere di fronte alla dottrina darwiniana della lotta per l'esistenza) di Pietro Kropotkine. Vi sarebbe nell'uomo, e anche nel mondo animale, l'istinto dell'aiuto reciproco, ciö che Kropotkine chiamava l'entraide (1906). Elysee Reclus si schierava nel medesimo senso, ma anche qui ci si potrebbe chiedere se 1'« istinto» dell'entraide sia realmente di origine spontanea o un derivato, sino alla sublimazione, C . C E . N I , Cause biologiche Bologna, 1943, p. 25.
(I)
zione,
della delinquenza
nei rapporti
con la
costitu-
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dell'oscuro desiderio che ha l'individuo, soccorrendo, di essere a sua volta soccorso: con il che si ricadrebbe nell'origine, sia pur lontana e dimenticata, dell'amore di se medesimo. Del resto, non si trovano pur anco — e si vanno facendo sempre p i ü frequenti — coloro che rinvengono nella psicologia animale quei medesimo istinto di sociabilitä che si dice essere innato nell'uomo? La sensazione di piacere che sorge in alcuni animali nel vedersi tra loro riuniti, determinerebbe gli animali stessi ad associarsi, fa notare P. Caullet nei suoi Elements de sociologie (Paris. 1913, p. 12|0) che rammenta in proposito analoghe interpetrazioni di Darwin. Medesime vedute o quasi, nelle recentissime pagine di H. L. Allee; The social life of animals (New York, 1938). Sta bene, ma, cosi vedendo e interpetrando, sempre si ammette che l'origine della sociabilitä si trovi in un senso egoistico (piacere); e ciö anche se la « inneitä » della socievolezza nell'uomo sia un prodotto ereditario (per chi ammette le teorie trasformiste) dalla socievolezza animale. Inutile dire che p u r degli altri sentimenti piü sopra indicati si afferma la « inneitä » nel senso che si tratta di — per cosi dire — valori in se, e attributi specifici, giä perfetti, della coscienza umana e come v i r t ü che sono tali non per evoluzione o sviluppo, ma per essenza prop r i a : dati immediati, in altri termini, della coscienza e non risultati da evoluzione o da compromesso, un qualche di permanente « sub specie aeternitatis» e non di sopravveniente per derivazione o altro. b) Trasformazione niti?
di egoismi
conge-
Passando ora alla sponda opposta troveremo che di f r o n t e alle affermazioni del genere di quelle di cui sopra, si asserisce, invece, come le pretese «istintivitä» di ordine nobile e superiore, altro non costituiscano se non trasformazioni e quasi vere e proprie mascherature delle istintivitä inferiori e piü segrete, ma in qual modo? 1) La sociabilitä e la socievolezza, per cominciare, con tutti i loro caratteri derivati o affini, invece di trovarsi giä esistenti — fosse pure allo stato embrionale —• come istinti profondi, si presentino invece come un risultato degli istinti egoistiei stessi, i quali istinti egostici, si ripeta, sono proprio quelli che hanno, p e r cosi dire, presenza e precedenza congenita. La radice dei frutti e in t e r r a ; f r u t t i dal bei colore e odorosi, ma sorgenti da una terra umida e nera... si potrebbe ripetere con il don Giovanni byroniano. La sociabilitä e la socievolezza, cioe,
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potrebbero ritenersi come il risultato sublimato di un profondo e incosciente istinto egoistico. Una parola sul complesso meccanismo psichico cui facciamo allusione, meccanismo che abbiamo chiamato dell'aggregazione o dell'agg/ufinaztone e di cui abbiamo mostrato il congegno come segue. Dovunque si trovino individui umani allo stato (teorico) di assoluta dissociazione tra loro, immediatamente e necessariamente si formano aggruppamenti diversi, grazie a un processo di attrazione dei simili e di repulsione dei dissimili, in forza di una complessa Serie di fattori che si presenta cosi: i simili, tra loro, per costituzione biologica sono e si sentono pur simili per vocazioni e attitudini, da cui simiglianza di sentimenti e di pensieri, da cui ancora simiglianza di interessi; in ragione di che l'attrazione tra i simili trova la sua radice nella simiglianza di interessi i quali (non si dimentichi) non sono soltanto di ordine materiale, ma anche intellettuale e morale. All'origine, dunque, di questa particolare sociabilitä che perpetuamente genera l'associazione in gruppi starebbe piü o meno cosciente quei personale interesse che abita nella zona oscura del profondo (1). In altri termini, in tanto e sociabilitä (con la socievolezza, la simpatia, ecc... che ne derivano o la accompagnano) in quanto vi e un certo piü o meno cosciente interesse e beneficio. Cessando i quali, aggiungerebbe qualche osservatore del cuore umano che di troppo fosse imbevuto di massime scettiche o apparentemente scettiche, scomparirebbe la sociabilitä. jj j 2) A proposito di quanto sopra, malinconica divagazione potrebbe farsi quando si estendessero le interpetrazioni or esposte a quella particolarissima forma di socievolezza (in veritä formata anche da altre sottili forme di sensibilitä oltre la socievolezza) che e l'amicizia. Parola, questa ultima, di non facile definizione per quanto di definizioni al proposito — tutte di colore nobilissimo — se ne trovino, come a dire: scambievole amore, nato da conformitä di voleri, e da lunga conversazione; oppure : affetto scambievole tra due persone, che nasce dalla familiaritä e dalla conformitä di natura, e si nutre e si mantiene dalla estimazione reciproca. Malinconica divagazione — dicevamo potrebbe farsi, nonostante le belle definizioni or citate quando, cioe, ( 1 ) A . N I C E F O R O , Attrazione, repulsione e circolazione nella vita sociale, in « Rivista di Psicologia» Bologna, 1935, n. 3 4 , in cui si troverä un paragrafo consacrato al «fatto costante dell'agglutinazione», oltre che il richiamo a nostre precedenti ricerche in proposito a cominciare da quelle esposte nell'Antropologia delle classi povere (1908).
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c j ei fermasse a voler vedere in tale atteggiamento psichico non un qualche di contrario all'egoismo ma, in sostanza, profonde per quanto ignorate istanze egoistiche. Si insinua. poniamo, che si trova sop r a t t u t t o nell'amieo un compagno ai propri svaghi, un sollievo alla propria noia ed essenzialmente un alleato in caso di bisogno quando p u r — ccssando la condizione di pari a pari — non si trovi in lui un valido protettore; nel caso contrario e cioe nel caso in cui l'amico diventi un protetto, anche qui l'amicizia diventa. da parte del protettore, soddisfazione egoistica poiche da cio scaturisce il senso euforico di superioritä e di dominazione che l'incubo prova nel tenere soggiogato il succube. P e r certo, legame di amieizia si fa o tende a farsi tra gli affini per modo di sentire, di pensare e di volontä di azione... ma ciö significa appunto (farebbe osservare il solito scettico) che legame di amieizia si fa per affinitä di interessi; si tratta dunque, a guardare di lä dalla superficie, di una alleanza che, come tutte le alleanze, piü assai risulta da interessato — per quanto lecito — movente che dallo slancio di disinteressata simpatia. Se tutto il fin qui detto rispondesse a realtä, l'intero trattato De amicitia — se e. permesso correre a cosi lontane deduzioni — si dissolverebbe in polvere per non restare solidamente in piedi che il consiglio di quei Biante che (come giä piü sopra dicemmo), avendo pronunciato la celebre massima: tutti gli uomini sono malvagi, si vide anche attribuire quella: abbi cura di sempre trattare gli amici pensando che un giorno potrebbero diventarti nemici. Notisi che Biante figura tra i sette Saggi di Grecia. Viene anche in mente ciö che narra Stendhal quando ricorda l'aneddoto dei due carissimi amici nel secondo l i b r o De Vamour, tenente l'uno, capitano l'altro. nella stessa batteria da campagna alla battaglia di Talavera. 11 capitano e gettato a terra da una raffica di fuoco nemico e l'amico subito pensa di potere conseguire la promozione a capitano (De ramour, libro II, cap. 48). Verissimo... ma si potrebbe pur rammentare testimonianze in senso assolutamente contrario lä dove l'amico piange di tutto cuore l'amico e la sorte di lui, e persino per lui si sacrifica. Senonche, si tratta di favole, risplendenti nella poesia di Virgi-i lio, del Tasso, dell'Ariosto e nelle antiche narrazioni della mitologia. P a r l a n d o dell'amicizia dovrebbe pur dirsi di quei nobile «istinto» che e la riconoscenza... ma in proposito sarebbe da ricordare la strana (e veridica?) definizione che il pessimista dava di tale altissimo sentimento: la riconoscenza, cioe, e la speranza che la persona che vi ha reso un servizio ve ne renda un altro. Invero. non sembrerebbe
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tanto lontana dalla realtä tale definizione quando si pensi come ces6i di colpo la riconoscenza verso il benefattore quando costui, effettivamente, si sottragga a rendere nuovo servizio. E si ricordi — come giä avemmo occasione di accennare — che la riconoscenza e un peso da cui l'uomo cerca sbarazzarsi alla prima occasione. Non a torto Goethe distingueva, a proposito di riconoscenza, tre specie di uomini e cioe quelli che non sono grati, quelli che sono ingrati e quelli che hanno ribrezzo della gratitudine (Autobiograjia, libro I I I , parte II). 3) Come si e visto, in tema di sociabilitä e di soeievolezza si ha il tentativo di interpetrare tali caratteri come semplici derivazioni da istinti egoistici o, meglio, come mascheratura di tali istinti; medesima interpetrazione si da alla pretesa «inneitä » dei sentimenti di altruismo, di pietä e di probitä. In quanto all'altruismo, infatti, anche chi ammette l'origjne istintiva di esso (con forme embrionali sviluppatesi poi a poco a poco in forme sempre piü estese che abbracciano yempre maggior numero di individui intorno all'essere che sente) propone come specifica spiegazione genetica essere l'altruismo derivato dal congenito istinto parentale. in ispecie materno, proprio come l'cgoismo proverrebbe dall'istinto nutritivo : anzi, piü generalmente ancora, l'altruismo trarrebbe origine dall'istinto riproduttivo (A. Comte) per il quäle l'egoismo individuale si trasforma nell'amore per quegli allri che, nel caso in questione, sono rappresentati dalla prole; poi, a traverso l'evoluzione secolare e i contatti sociali, tale istinto originario si va affinando ed estendendo sino a diventare l'amore per il prossimo. Ciö dicendo, i sostenitori della spontanea ißtintivitä altruistica non fanno forse vedere che, in fin dei conti, tale... spontaneitä non e che una derivazione? Piü crudamente si esprimono coloro che nell'altruismo vedono addirittura Tespressione, piü o meno cosciente, dei principio: io amo gli altri perclie gli altri possano amare me e porgermi quindi l'ausilio dei loro amore e conforto. A ben guardare il fondo, dunque, l'amore per il prossimo sarebbe... l'amiore per se mfedesimo. Intendiamoci sulla parola egoismo, da non confondersi con egotismo. Ii primo puö essere alla base dell'altruismo o dell'egoaltruismo, mentre il secondo no, essendo fine a 6e stesso e costituendo una sorta di parossismo dell'egoismo. 4) Seguitando, per quel che tocca la pietä (o compassione) ritenersi essa come naturalmente primitiva e congenita oppure processo psichico derivato, anch'esso, dall'egoismo profondo? Si essa, sia pure in forma crepuscolare,, in ogni rappresentante dei
b, da quäle trova gene-
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re umano, assumendo cosi posto, sia pure minuscolo, in quei giardino profondo e primitivo dell'Io ove spuntano anche le cattive erbe degli istinti egoistiei e antisociali? E cosi essendo, si sviluppa efficacemente presso alcuni, mentre rimane pailida e decolorata in altri? Oppure, tale senso non risulta che da trasformazione e sublimazione del primitivo egoismo e del perenne utilitarismo? Ecco dirsi, non senza qualche ragione, che l'uomo sente pietä o compassione per altri sol perche — o soprattutto — nel vedere sofferenze e dolori altrui si pone p i ü o meno coscientemente al posto di colui che soffre e risente quindi, sia p u r e in immaginazione, quei dolori. Subito si aggiunge che, proprio e grazie al modo di funzionare di tale meccanismo si devono i casi in cui l'uomio si mostra senza pietä o compassione. Da un lato, infatti, ciö si produce allorche l'individuo, per congenite tare, anomalie, degenerazioni o fatti degenerativi somatico-psichici, e di scarsa sensibilitä dolorifica, la quäle sensibilitä dolorifica — che si tentö persino misurare per mezzo dell'algometro — e ben lungi dali'essere uguale p e r tutti, ancor su tale scala essendovi i piü alti e i piü bassi gradini, 6icche sui piü alti si raccolgono gli eccezionalmente sensibili in piü, mentre sui piü bassi vengono a trovarsi coloro che, stiamo per dire, possono considerarsi come i ciechi-nati della sensibilitä al dolore (1). D'altro canto, i casi in cui mancano o si spezzano del tutto compassione e pietä, si produeono anche in quegli individui nei quali compassione e pietä sono di solito presenti, ma ciö accade quando cessa nell'individuo, improvvisamiente o no, la possibilitä di trasferirsi con la immaginazione nella persona che soffre. Oceorre, infatti (e necessaria una parentesi) che si verifichi la pereezione deWidentitä tra se medesimi e l'altra persona perche la sopradetta, incosciente e automatica sostituzione possa aver luogo; e si noti che la pereezione di tale necessaria identitä tra l'Io che vede soffrire e l'altro Io che soffre, non richiede in via assoluta che si tratti proprio di esseri effettivamente identici, ma basta che vi sia somiglianza di alcuni caratteri fondamentali o possibilitä — da parte di chi risente compassione o pietä — di credersi o potersi credere l'essere che soffre : non vi e identitä effet(1) Su questo modo di rappresentare la distribuzione di un gruppo di individui in rapporto ai loro caratteri, o scala di gradini ascendenti su ognuno dei quali e convenienlemente rappresentato il numero di individui che si trovano su quei gradino, si veda una delle ultime edizioni del nostro trattato di statistica melodologica; per esempio, l'edizione riassuntiva dal titolo: Nozioni preliminari e quadri riassuntivi di statistica metodologica, Torino, 1946, fig. 2.
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tiva tra l'uomo che vede un abbandonato animale morir di fame e l'animale stesso, ma l'uomo istintivamente non si colloca forse al posto dell'animale, data la grande quantitä di caratteri, p r i m o tra i quali la sensibilitä, che sono comuni all'uomo stesso e all'animale? P e r conseguenza, se quell'uomo che cosi vede non e proprio di quelli che abbiamo detto collocati tra i ciechi-nati nei piü bassi gradini della scala rappresentante la sensibilitä dolorifica, la immaginaria sostituzione ha luogo e l'uomo sente pietä p e r l'animale che soffre... e per se stesso. Dicevamo anche che mancanza di pietä o di compassione si produce, p u r presso individui che normalmente sentono, allorquando .cessa nell'individuo, improvvisamente o no, la possibilitä di trasferirsi con l'immaginazione nella persona che soffre. Ora, in quali occasioni ciö avviene? Ciö si verifica quando — come giä dicemmo altrove parlando dell'Io allo specchio e delle autogiustificazioni — il legame di identitä, che p u r esiste, viene da noi volontariamente spezzato perche particolari condizioni in cui si trova la persona che noi « guardiamo » fanno a noi apparire tale persona come assolutamente diversa (anche se ciö non e) da quel che noi siamo: quando noi, ad esempio, «guard i a m o » un criminale che h a perpetrato orrendo delitto, ogni legame di identitä tra noi e quel criminale si spezza. e non soffriamo se quel criminale vediamo sottoposto a sofferenze punitive... a parte l'intromissione di altri fattori psicologici (istinto di Vendetta e simili) che in noi concorrono alla produzione di tale assenza di pietä. Non basta; che piü frequente dei caso or citato, a proposito della non compassione verso il criminale tanto diverso da noi (cosi come ci vantiamo o crediamo essere) e il caso. meno intcso e compreso, nel quäle l'individuo, pur normalmente sentendo, spezza il legame d'identitä con il proprio simile quando il proprio simile si dichiara o e da noi dichiarato nernico e quando tale dichiarazione porta addirittura alla violenza dei conflitto. L'uomo non vede piü nel « nemico » un altro uomo, ma un essere cosi diverso da rendere impossibile la sostituzione di se medesimo all'altro e perö da rendere impossibile il senso di pietä e di comxniserazione. In tali casi sarebbe da ripetersi il t r o p p o vecchio ma non troppo inesatto principio hobbesiano: homo homini lupus, bene intendendo — si noti — che ciö ha da significare non giä che l'uomo tratta l'uomo come tra loro si trattano i lupi, ma come fa il lupo quando sbrana l'uomo. Cosi noi diciamo perche siamo uomini e tra uomini; che non vi e dubbio che se i lupi potessero tra loro discorrere, direb-
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bero lupus lupo homo: il lupo tratta il lupo cosi conrie l'uomo sbrana l'uomo! Abbiamo altrove, in uno dei precedenti capitoli, svelato quanto sia comodo a ogni individuo — o, almeno, a molti individui —< lo spezzare il legame di identitä c h e effettivamente lo avvince agli altri uomini, la qual cosa peririette a ognuno che ciö voglia, di infierire con r tro il « n e m i c o » pur ottemperando in generale al grande principio: ama il prossimo tuo come te stesso; nel caso particolare il « n e m i c o » non e piü mio prossimo, e cessa per me l'obbligo di amarlo come me stesso. 5) In quanto a quella probitä (senso congenito?) che di continuo sorregge l'uomo probo nel suo honeste vivere, vi e forse taluno che pur di tale «senso» ravvisi una egoistica origine? P a r che si, quando. si ragiona come segue. Allorche in un individuo suggerimento o tentazione si fa, sia pur lontanamente, sentire sospingendo l'individuo stesso ad abbandonare la dritta via, puö assai volte sorgere, al tempo stesso deH'autocontrollo che vorrebbe agire, quei processo psichico dell'autogiustificazione di cui abbiamo largamente parlato aprendo le pagine della presente opera (in tal caso l'individuo assolvendo se stesso... cessa, almeno per quanto sia necessario, di essere 1 'homo probus) ma se autogiustificazione non si fa o non agisce, sorge e permane il pensiero della pena — diciamo p u r e : del rimorso — che l'individuo proverä alla dimane del suo errare e del suo malfare. In vista di tale pena, di tale sofferenza, appunto, si permane nella via dritta. La qual cosa avviene, in ultima analisi, per sfuggire ad un previsto e immancabile stato di afflizione: sui piatti — staremmo per dire — di quella bilancia psichica che ognuno di noi porta in se e che ha per missione di pesare il pro e il contro, e cioe il piacere e il dolore, l'attrazione e la repulsione, lo svago e la noia che proverrebbero da ogni nostra progetlata azione, l'individuo oolloca da un lato la pena che a lui dä il rinunziare a ciö che lo sollecita e lo tenta insidiosamente, e dall'altro la interna e fastidiosa pena da cui egli si aspetta di essere afflitto... L'individuo si decide per la minor pena. Lä dove la minor pena e data dal rinunziare all'azione condannabile, permane — vittoriosa — la lionestas. Indipendentemente, poi, da questa previsione di un f u t u r o disagio, puö aversi il senso penosissimo di ripugnanza che l'individuo prova nel pensare alla effettiva realizzazione della mal consigliata azione, ripugnanza che e da fuggire e che si respinge proprio coi non cedere alla condannabile suggestione. Ancora una volta, tra due pene si sceglie la compagnia della minore. In ogni modo, da tale «egoistica»
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scelta, speciale fatto proviene che addirittura porta senso di egoistico piacere all'uomo che ha vinto la battaglia e allontanato la tempesta: l'individuo, cioe, in pace con la propria coscienza di lanto si sente superiore alla folla di coloro che in tale stato davvero non si trovano, o che al richiamo di essa si mostrano insensibili, da provare altissimo senso di soddisfazione; vero stato di piacere, dunque, prodolto dall'auio-ammirazione. Naturalmente, siffatto procedere, a base di pesi e di misure, e tutt'altro che chiaraniente preparato e perseguito, ma si svolge (staremmo per dire) nel sottosuolo psiohico dell'individuo e quasi all'insaputa dell'individuo stesso; inoltre e da dirsi che valutazioni « ponderali » di tal genere possono aver luogo soltanto in coloro che hanno la possibilitä di sentire e prevedere il sorgere di uno stato dt pena alla dimane di una malonesta azione, la qual cosa e in stretta lelazione con la struttura congenita e acquisita della personalitä che agisce. In conclusione, e per dirla in forma breve e forse troppo paradossale, si afferma che l'uomo probo rimane tale perche... ha paura (una nobile e rispettabile paura) di essere non probo! 6) II tema ci porterebbe pur anco a dire dei concetto e dei senso di «giustizia » di cui tanto si parlö attraverso i secoli, di cui tanto ancora si parla e di cui tanto certamente si parlerä... indipendentemente dalle definizioni che di «giustizia» (come concetto e come sentimento) furono date, si danno o si daraimo. Non vi e dubbio che a parola di tal genere si pretende ognor conferire obiettivitä mostrandone il contenuto assolutamente estraneo a ogni partieolare interesse e come situato in un empireo ove non si trovano che Divinitä; lustitia est constans et perpetua voluntas ius suum cuique tribuere (Giustiniano Iii). I, tit. I, 1), ma sta di fatto che filosofi scettici esistono ed esistettero per sostenere che non davvero una giustizia esiste, ma tante quanti sono gli uomini — ognuna diversa dalle altre come gli uni diversi dagli altri sono gli uomini — e ciö perche ogni individuo ha o pretende avere la propria giustizia. Aggiungiamo, per chiarire (se pure vi e bisogno di chiarimento) che ogni individuo foggia il concetto e il senlimento di giustizia — e proprio di una giustizia assoluta — a propria immagine vale a dire.... secondo i propri piü o i«eno coscienti interessi. Senza spingerci tant'oltre, potremmo tuttavia far notare che in ultima analisi si domanda giustizia per gli altri e per tutti, e cioe giustizia in linea assoluta, essenzialmente perche si desidera giustizia p e r se medesimi; si invoca la necessitä, la nobiltä e la assolutezza di una giustizia che protegga gli altri, per trovare protezione noi
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stessi allora che ne avremo bisogno. E soprattutto tale protezione, ben si intende, dell'individuo, si riferisce alla protezione degli « i n t e ressi » — siano essi di materiale fattura o altamente spirituali — dell'individuo stesso. Si aggiunga altra considerazione. Quando si parla, anche sinceramente, onestamente e nobilmente di giustizia, coloro che cosi parlano e sentono, in tal modo sentono — tra l'altro o sovrattutto — perche ponendosi idealmente al posto di chi potrebbe esser vittima di ingiustizia e violenza senza aver modo di respingere con le proprie forze quell'ingiustizia e quella violenza, ben si sentono sollevati pensando che l'opera soccorritrice della legge verrä im loro aiuto e anzi poträ prevenire ogni colpo. Vedrä da se il lettore se quanto veniamo dicendo puö anche applicarsi al concetto che i gruppi sociali si f a n n o di una «giustizia» immanente e assoluta. giustizia sociale nel caso particolare. Se l'individuo, cioe, chiede e vuole giustizia perche in ultima analisi vuole la sua giustizia, medesima cosa, non accadrebbe forse per i gruppi? La « giustizia » che ogni g r u p p o reclama p i ü o meno giustamente p e r se stesso in nome di una assoluta, superiore ed eterna legge, altro non sarebbe che la proiezione all'esterno dei particolari interessi di gruppo il quäle tali interessi colorisce con le tinte della universalitä e della nobiltä. La « giustizia », in ogni caso, invece di scendere dal Cielo — come tutti, individui e gruppi, proclamano — verrebbe su, semiplicemente, dalla Terra... e anche dai piü oscuri angoli di essa.
5, • Posfilla. A voler indicare con la parola Superego i sentimenti antiegoistici, o semplicemente ego-altruistici, o addirittura essenzialmente altruistici, di cui abbiamo rintracciato — con brevi eenni — l'origine, e con la parola Ego l'insieme di quelle istintivitä, inrvece, crudamente egoistiche, di cui giä facemmo cenno. potremmo forse dire che — accettando la dottrina interpetrativa di cui sopra — il Superego e null'altro che un vero e autentico Ego... visto da un particolare angolo visuale? Intendiamoci bene, sempre a proposito della interpetrazione a base egoistica di cui stiamo discorrendo e a proposito del concetto di « e g o i s m o » . Salvare un uomo dall'ira delle aeque o di un incendio o,.
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per contro, uccidere un uornjo per derubarlo o a fine di Vendetta... che mai vi e di comune tra siffätti gesti? Si poträ rispondere, seguendo le interpetrazioni di cui or ora facemmo cenno, che se il volgare uccisore si dä all'omicidio per freddo o impeiuuso sfogo del proprio egoismo procurando a se il cercato piacere, anche colui che si getta a salvamento altrui, iiell'onda o nella fiamma, ciö fa perche sospinto impetuosamente e di scatto dal nobilissimo piacere che gli e dato dal senso di compiere opera alt amen te meritoria e anche da quello che gli e procurato dalla liberazione di un senso di angoscia provato nell'assistere alla minacciata morte di un suo simile, liberazione che egli otfiene, appunto, coi gesto che dovrä salvare da morte chi in pericolo di morte si trova. Sta bene; ma chi poträ mai confondere — tanto dal punto di vista quantitativo quanto da quello qualitativo — il « piacere » egoistico dell'uno dei due su indicati personaggi con quello dell'altro? Ii « piacere » che spinge l'Ego dell'uno con quello che fa muovere e solleva il Superego dell'altro? Si vada pure meticolosamente alla ricerca della comune origine o radice (il motivo) dei due comportamenti... ma di quäle profonda diversitä l'albero e il frutto (l'azione)! Della quäle diversitä — non vi e dubbio — occorrerä ben tener conto nei riguardi della valutazione sociale e morale che la Societä ha da fare dell'individuo: quanto vale, cioe, un individuo socialmente e moralmente? La psicologia genetica, invero, nel distinguere gli istinti in fondamentali da un lato e derivati dall'altro, aveva giä affermato che mentre i primi sono essenzialmente quelli di conservazione e di riproduzione, i secondi o pseudo istinti costituiscono una trasformazione dei primi diventando « s e n t i m e n t i » tra i quali quelli di simpatia, di socievolezza, di solidarietä, ecc.; i primi sono essenzialmente egoistiei mentre i secondi assumono aspetto altruistico. Ci sembra che le precedenti pagine illustrino i n modo particolare — come non sempre si era fatto insino ad ora — la veduta in questione la quäle, in ogni modo, avrebbe bisogno di essere ancor p i ü largamente illuminata e approfondita, se questo fosse il luogo e il momento.
6. - In conclusicne. In conclusione, n e l l ' I o profondo di ogni individuo si trova — oltre a cio che ignoriamo noi stessi di noi medesimi —• ciö che non si confessa neanche a se stessi, sia per timore di guardare t r o p p o in fon14. •
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do, sia p e r il disagio che recherebbe all'Io superiore cotale tuffo nel buio, sia perche effettivamente non si sa guardare in se, medesimi. Abbiamo giä visto, d'altronde, che cosa accada quando l'Io superiore accingendosi a compiere siffatto viaggio in profonditä, si accorge dei contrasto e dei disagio: l'individuo cerca allora — guardandosi nello specchio — di comporre il dissidio, sempre a beneficio di se stesso e, in ultima analisi, sempre a beneficio dell'Io inferiore. Vedremo tra breve ben altri meccanismi profondi e p i ü o meno coscienti di trasformazione e di deviazione degli istinti profondi oltreche di autoconsolazione, frequenti e frequentissimi, in cui ogni soddisfazione all'insorgere dei profondi istinti (e anche di nobili aspirazioni sorte dalPIo superiore) sia resa impossibile. compressa o infranta.
7. - Riassumemk». Riassumendo, alle pittoresche e non pittoresche immagini dell ' I o di cui insino a qui abbiamo parlato, un'allra immagine ancora dovrebbe aggiungersi. E cioe : viaggiando nel senso inverso a quello che un esploratore seguirebbe per scendere dalla superficie della terra verso il centro di questa, vale a dire niuovendo dal profondo per salire verso l'alto, troveremmo nel p i ü basso l'Io profondo con tutte le sue istanze egoistiche e antisociali, con la sua ereditä preistorica e infantile e pur con tutta la misteriosa ricchezza dei suo inconscio; ma poi, sopra a tali formazioni (o a fianco) verrebbe a porsi ciö che con significato piü o meno vario e discusso fu detto il precosciente o subcosciente. Sopra di che, infine, e cioe al sommo, si colloca l'Io di superficie o Io superiore formato dalle costrizioni educative e social i della epoca, dalla maturazione e trasformazione dei primordiali istinti egoistici in egoaltruistici e persino altruistici, ma pur accogliente — in modo cosciente o no — i risultati psichici che l'adattamento individuale alla vita collettiva ha a poco a poco accumulato nelle passate epoche. Dimwdoche in tali casi l'Io di superficie o cosciente, riceve i risultati dal fondo incosciente e subcosciente. Mai, in veritä dunque, la dottrina italiana delPIo a piü piani — come giä avemmo occasione di far notare — negö l'esistenza delle « voci »' superiori di cui si disse. Infatti, or con l'antico detto greco, rainmentö che t r a quelle voci e la presenza di quegli Dei senza i quali non e possibile vivere la vita, intendendo tra quegli Dei esservi quelli che sono simboli di giustizia e di veritä, or (proprio tornando a richiamaro la dottrina aristotelica
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•e dantesca dell'anima intellettiva o superiore) si volse all'af formazione dantesea indieante ehe l'anima in cui tale parte e presente (la p a r t e intellettiva) e « perfettissima di tutte l'altre » : quando l'anima e in possesso della potenzia ultima (la ragione) « p a r t e c i p a della divina natura a guisa di sempiterna intelligenza...» tanto che « l a divina luce, come in angiolo, raggia in quella » (Convivio, H I , 2). In poche parole, quindi, la psicologia dell'Io inferiore e profondo, in luogo di attoscare se stessa e chi ascolta con la pittura di un cimitero senza luce e cosparso di rovi e spine — cosi come si fanno a dire gli accusatori — insegna, p e r contro, esservi in quei prunaio p u r qualche fiore : che le corolle sboccino dircttamente dal terreno profondo perche giä in quei fondo avessero lor seme, o che siano piuttosto prodotto di una trasformazione della Spina in fiore, ciö h a importanza soltanto relativa. Importanza h a il fatto che tra l e spine vi sia qualche fiore, e che le spine possano tramutarsi in fiore. In ultima analisi, si sarebbe tentati di notare che la descrizione disegnata dalla psicologia dell'Io a t r e piani per quei che tocca l ' I o superiore, si avvicina — in certo senso, mutando ciö che si ha da mutare e a p a r t e la discussione sulla genesi e sul funzionamento delle formazioni psichiche superiori — alle piü nobili pitture che i nobili artefici del pensiero e dell'indagine filosofica, parlanti p i ü da profeti e da sacri veggenti che da spietati realisti, ebbero a dire di quelle « idealitä » a cui gli uomini debbono tenere fissi gli oechi della lor mente e dirigere il palpito dei loro sentimenti per non cadere nel basso, ma portarsi ognor piü in alto. La nostra dottrina italiana dell'Io a p i ü piani, insomma, per quanto si-sia particolarmente fermata a guardare — con l'animo, diremmo quasi, del clinico che desidera diagnosticare e cercar guarigione del male — la parte piü oscura e fonda dell'edificio, h a p u r detto non poco di quei che tocca la parte superiore. H a indicato, i n f a t t i ; «) quali sono le diverse categorie psichiche abitanti tale zona, cercando definirle a una a una (socievolezza, sociabilitä, altruismo, pietä, senso morale e via dicendo); b) ha dibattuto il problema riguardante l'origine di tali sentimenti o forze, vale a dire che si e chiesta se giä si presentassero tali forze nell'Io profondo, fosse p u r e allo stato embrionale e poi a poco a poco si venissero sviluppando ed ampliando insino a p r e n d e r e stabile dimora e ad agire efficacemente nel piano superiore d e l l ' I o ; c) ha tentato lumeggiare il modo di evoluzione e di reale azione di tali forze e ha suggerito persino che tali forze sono in continuo sviluppo (forse ottimisticamente) quasi che sovra l'Io superiore si andassero
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Parte
te rza
p r e p a r a n d o stratificazioni psichiche di natura ancor piü elevata nel senso dell'altruismo, dei dovere e della potenza dei freni inibitorii; d) ha mostrato, aneora, come tali forze, saldamlente costituite, facciano argine agli impulsi inferiori e rimasti tali, insistendosi particol armen te sul come (si potrebbe anche dire; sul perche) talvolta avvenga c h e nel conflitto prevalgono gli spiriti inferiori.
P A R T E QUARTA
TRASFORMAZIONIE DEGLI
ISTINTI
MASCHERATURE PROFONDI
CAPITOLO
PRIMO
SUBLIM AZIONE NELLE SUE VARIE FORME A) LEROS
Cerca via e modo di soddisfazione l'istinto profondo? E non treva? I s t i n t o non soddisfatto e che facilmente e apertamente non puö soddisfarsi, istinto che si fa sentire — nel fondo dell'Io — lä dove si agitano gli istinti inconfessabili, o quasi, per il loro egoismo o per la loro crudeltä e cerca, cioe, di uscire dalle tenebre in cui e costretto da cento sociali coercizioni che gli tagliano la s t r a d a , p e r venire alla luce... e non trova? N e viene u n o stato di inquietezza e di sofferenza, da cui una automatica ricerca e creazione di sistemi di difesa contro tanta pena. Gran p a r t e della vita dell'Io, invero, altro non e — a ben g u a r d a r e — che una continua attivitä di difesa, che corre e agisce p e r le vie piü diverse, come vedremo. E b b e n e ; t r a i vari modi di difesa non e forse q u e l l o che all'istinto stesso, imprigionato, dä liberazione mutandogli, per cosi dire, gli esterni connotati? II tramutato personaggio viene per tal modo a quella luce che altrimenti gli sarebbe stata proibita. Esso mette sul p r o p r i o volto mascliere tra le piü varie e piü ingannatrici, le piü dissimili — in apparenza — dai contorni della fisonomia che sta sotto. Una trasformazione, quindi. Non e facile cosa, davvero, procedere a una classificazione dei vari sistemi di trasformazione degli istinti, il p i ü delle volte — per non dir sempre — agenti ncll'ombra, all'insaputa nonche del mondo esterno e degli spettatori che guardano, ma di colui stesso nel cui intimo tale processo si comp i e : ciö nondimeno facciamoci alla prova e tentiamo ordinata ed esplicaliva classificazione, ben sapendo (occorre forse ciö dire?) c h e in sifFatto t e r r i l o r i o come, del icsto, in ogni altro t e r r i t o r i o di ricerche, categorie e classificazioni non esistono, ma soltanto casi singoli, l'uno dall'altro diverso... Classificazione e, staremmo p e r dire, in noi, da noi, e per noi, e non nelle cose; il nostro pensiero, nel ragionare, ag»ruppa per comoditä di esame e di esposizione i casi simiglianti. Vediamo, in ogni modo.
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La piü bella, audaee — e artehe ingannatrice per gli occhi del grande pubblico — trasformazione si ha lä dove il profondo jstinto che p u r dovrebbe rimaner velato e ascoso, vien fuori dal fondo trasfigurandosi e quasi sublimandosi... sempre che trovi nelle biopsichiche caratteristiche dell'uomo in cui tale ascensione ha da farsi, possibilitä di ciö compiere. In tal sublimazione, l'istinto p r o f o n d o non confessabile o poco confessabile trova suo soddisfacimento, fosse pure — questo — di semplice superficie, ma tanto quanto basti per ingannare, oltre che gli spettatori, l'attore stesso.
1. - L'Eros nelle trasfiguraxiomi idelt'arte. Quali, tra gli oscuri e non palesabili istinti, costretti in basso dalla coereizione sociale e anche da tentativi di autocoercizione, trovano via in quella — t r a le varie trasfigurazioni — che puö apparire tra le piü seducenti ed elevate? D'ordine vario; ma tra le piü smaglianti per la fosforescenza delle maschere con cui sa coprirsi il viso, sta l'Ercs con il suo fuoco sempre acceso anclie se ascoso, un Eros che — di solito a carattere fisiologico — deve altre volte essere corasiderato, per propria natura o per via di Ienta acquisizione, come patologico o anormale. a) Oggimai, infatti, ognun sa che l'acceso ma p u r sano erotismo di alcuni creatori eeniali o semplicemente appassionati d'arte, si trasforma nell'opera d ' a r t e medesima dando ad essa carne e sangue o in un incommensurabile e quasi maniaco culto per le.belle fantasticherie dell'arte. b) Si dica il medesimo per Valterata (e anche molto alterata) sensibilitä erotica propria di taluni grandi artisti, alterata sensibilitä che trova sfogo e soddisfazione nell'opera d ' a r t e stessa ben lasciandovi la p r o p r i a impronta. c) Si avverta che pur quando sol si trattasse di creazioni « l e t t e r a r i e » (o analoghe) che d ' a r t e non hanno che il nome, la biacca o il rossetto, ben puö trattarsi di quei medesimo fatto di trasformazione di cui stiamo facendo cenno: l'istinto profondo si sprigiona ed evade esprimendosi nella creazione — sia pure volgare o volgarissima — letteraria o consimile. d) Anche la cosi detta letteratura dei manicomi e la cosi detta arte figurativa e plastica dei manicomi stessi, formate dalle composizioni « l e t t e r a r i e » in prosa e in versi e dai fantastici disegni degli alienati, q u a n d o siano di contenuto erotico danno p u r esempio di ciö che andiamo dicendo; e cosi fanno analoghi
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scritti di mattoidi, come pur scritti di persone per nulla dedite a creazioni letterarie, ne alienate, ne inattoidi, ma certamente ipersensitive. e) Accanto a tale categoria puö degnamente venire a collocarsi quella che e formata non giä da mediocri e spesso anomali creatori dei documento « l e t t e r a r i o » o « artistico», ma da quei persistenti e sempre avidi lettori dötati, secondo ciö che essi stessi dicono, di senso artistico, i quali nella persistente lettura di opere d'arte o di pseudo arte, ove a ogni passo si mostra il sorriso o la smorfia dell'Eros, trovano modo di gustare quella gioia « artistica » che e espressione di un soddisfacimento da non potersi raggiungere con altri mezzi,
2. - Premessa. Alcuni psicologi o sociologi o anche, come si dice, sessuologi, fersmamente credono che alla radice di ogni umana attivitä, individuale e collettiva, si trovi perenne lo stimolo dell'Eros; per via, poi, di suc«essive trasformazioni e di successive superstrutture, da quell'unica origine proverrebbero le piü varie forme di vita anche se le une dalle altre profondamente dissimili: tutta l'umana vita in ogni suo aspetto di pensiero e di azionc sarebbe, in ultima analisi, una derivazione deil'istinto erotico. P e r corseguenza, e naturale — si dice — che nel caso speciale della creazione artistica sarebbe da ritenersi che questa, anche se elevata e di squisita fattura, trovi le sue radici nell'invisibile erotismo e che, anzi, tanto piü si rafforzi in bellezza quella creazione, quanto piü vivo e — anche nel profondo ignoto dell'artista — quell'istinto. Sostenendosi che la radice essenziale primigenia dell'arte e nell'erotismo, si assicura persino che i primi albori della sessualitä nei giovani suscitino in essi anche un ravvivamento dei senso artistico: i l fiorire dei primi amori giovanili (verso i sedici anni) si conivincia ad ammirare la bellezza di un paesaggio, l'incanto della poesia, o quello della pittura e della musica. Solo la sessualitä darebbe colore alla vita facendone in essa sentire sfumature e finezze che altrimenti sarebbero passate inosservate; senza di che la vita diventerebbe grigia, di vuota monotonia, e la facoltä di godere e di creare andrebbe distrutta o, almeno, ridotta... Cosi asseriscono i sostenitori della dottrina. Intima solidarietä, dunque — secondo costoro — tra sessualitä ed estetica. da documentarsi, tra l'altro, con una asserita predominanza delKelotismo presso gli artisti. Va. con tutto ciö, il ricordo alle indagini, alle interpetrazioni e alle insinuazioni, ormai celebri e celeberrime, presentate dal fondatore della scuola psicanalitica (si veda il primo
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dei t r e s t u d i di Sigmund F r e u d : Drei Abhandlungen zur Sexualtheorie,. Leipzig-Wien, 1905). La teoria fu sviluppata a fondo, in seguito, dallo stesso Freud e dalla sua Scuola; basterä riportarsi allo studio di O. R a n k : Der Künstler ecc., che e tributo alla «Sexualpsychologie», (Wien-Leipzig, 1907). Ma non sarebbe difficile cosa trovare, prima di quei nomi, altri nomi ancora cui rivolgersi per imbattersi in allusioni, non infrequenti, a tal genere di sublimazione. Pagine abbastanza significative di A r t u r o Schopenhauer, di Federico Nietzsche, e pur di altri potrebbero essere addotte a tal proposito. Si rammentino i Nuovi paralipomena di Schopenhauer in cui il filosofo p a r voglia — in alcuni passaggi — mettere in evidenza la 6omiglianza della creazione geniale con alcune forme dell'istinto sessuale e in piü affermi che, se coi violento desio erotico si fanno vive le facoltä dello spirito, ancor p i ü vive si f a n n o allorche, per forza, tale desio e deviato, poiche sorge allora in suo luogo e in sua sostituizione, p i ü elevata ancora, la potenza psichica. Orbene, non intendiamo occuparei della dottrina che vede nell'Eros l'unica, universale e perenne fönte delle multiform! attivitä psichiche e materiali dell'uomo o dell'arte in intero, nie vogliamo coniondere con essa la nostra trattazione; qui si vuole soltanto far semplice eenno della vera e propria trasformazione che le voci profonde dell'Eros assumono nell'opera d'arte tramutando ciö che apertamente non potrebbe essere presentato nel suo vero aspetto, o che non trova altro sfogo, in espressioni e visioni, forme, colori e musicalitä, prose e poesie che degnamente possono illuminarsi della luce del sole liberando, in certo senso, »1 compresso desiderio dell'animo, il che, precisamente — qui sta il p u n t o — costituisce un processo di « esteriorizzazione» con il quäle l'artista procura 6oddisfacimento a se medesimo, sia pur parziale. non potendo al vero e completo soddisfacimento giungere per altra via.
3. - Qualche documentazione. Si veda dunque e sol p e r pochi cenni. Inutile discorrere e dare csempi di quelle ricche e illustrate pagine di storia dell'arte e di critica d'arte in cui lo storico o il critico, portandosi a vivere di continuo sotto il cielo dell'Ellade accanto ad Afrodite, tratteggia con luminosa efficacia le purissime nuditä della scultura greca ravvivando il proprio dire e le p r o p r i e estasi con fulgente documentazione iconografica. Qui l'immagine delle t r e pudicissüme Grazie, p r i m a che Socrate pensasse di rivestirle di un velo; qui le bellezze delle varie Veneri, spiranti dalla
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persona soave profumo di ambrosia, dalla Venus victrix alla Venus genitrix, e quelle ancora, persino, dei divino Apollo o dei, nudo Discobolo. Nessuno intenderebbe insinuare c h e la creazione di tante belle paginc di storia v di crilica d'arte sempre corrisponda a un semplice transjert, o soddisfacimento indiretto, o equivalenza, nel senso di cui sopra; ma non e affatto improbabile che piü d'una volta ciö sia accaduto. Asserzione dello stesso genere potrebbe farsi quando si pensi all'opera, spesso di incomparabile bellezza, che (sempre nel mondo antico) portö alla fattura di m a r m i di squisita forma e di: invidiata perfez.ione tra i quali — non 6i dimentichi — alcuni che soltanto a p o r t e chiuse po6Sono ammirarsi; sublimazione, ancor qui? Inutile, anche, ricondurci all'insinuazione avanzata da chi faceva notare l'insistenza con cui pittori grandissimi nostri e non nostri, da Michelangelo e Rubens, moltiplicavano e ingigantivano sulle loro tele i piü coloriti nudi, anche maschili; o inutile richiamare l'appassionato amore con cui dalle tavolozze dei p i ü grandi Maestri, come da quella di Durer, uscissero quasi per miracolo le nudissime figure di Adamo e di Eva... Sublimazione? Piuttosto si ricordi quante volte, a torto o a ragione, la prosa e la poesia vollero essere viste, nell'opera di tale o tal altro scrittore ricco di immagini e di colori, come una vera e propria manifestazione esterna — a fine di liberazione — di una quasi ossessionante e contilua pressione dcll'istinto profondo di carattere erotico. Procedimento d j sublimazione che e fatto — e si dica ben chiaro — con tale elevazione, spir.itualizzazione, nobiltä c bellezza, da f a r cadere ogni tentativo, piü o meno ipocrita, nonche di condanna, ma p u r di semplice biaSmio, Qualche esempio? Non ne mancano davvero. Non staremo a ricordare, tanto e nota la Cosa, quelle paradossali e patologiche tramutazioni dei basso istinto nel documento letterario o pseudoletterario che sono co6tituite dal noto scritto — XVIII secolo — romanzesco o quasi dei marchese de Sade a proposito deH'autenticitä dei quäle scritto, tuttavia, lo psichiatra Moll emise dubbi, ma non confermati dalla maggioranza degli studiosi. Ne f a r e m o menzione di quelle pagine, ognor da romanzo, di Sacher-M]asoch quali Venus in Pelz ecc. ecc. che, come le precedenti, entrano nel dominio della psicopatologia. E nepp u r e diremo — o piuttosto basterä appena accennare — di tante e perturbatrici pagine di Oscar Wilde in cui e travestimento di profondi istinti da non illuminarsi a troppo viva luce : leggendo The picture of Dorian Gray viene senza dubbio fatto di chiedersi quäle anima vi sia dietro quella, sensualmente perversa. di qualche personaggio; quella
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dell'Autore? Possiamo chiedere, cioe, se colui che descrive e in tanta descrizione si compiace o si dilunga, non apra l'uscita di sicurezza alla compressa passione e non ottenga equivalenza alla non reale soddisfazione. Qualche psichiatra ebbe a scrivere or non e molto che Wilde deve la « caratterizzazione » cosi genialmente femminile del personaggio di Salome alle componenti invertite della p r o p r i a sessualitä (G. E. .Morselli). P e r contro, e da dar esempi sotto la luce di p i ü chiaro orizzonte. Si oserebbe forse negare la presenza del sottile e incosciente procedimento di sublimazione di cui stiamo parlando, lä dove nella novella intitolata Cleopatra. Theophile Gautier dipinge Cleopatra sul suo letto di riposo, accanto ai f i o r i del loto, nei veli e nelle gemme del suo costume egizio, o lä dove descrive, con musicalitä in cui suoni e colori sembrano fondersi, l'egiziana regina entrante nel bagno, il capo ornato da una ghirlanda di fiori e i capelli disciolti, ricadenti in cascate nere sulle spalle? Medesime tinte e lucentezze quando nella novella — tratta dall'antica tradizione — intitolata all'asiatico re Candaulo, Theophile Gautier descrive Nissia, bellissima, dalle marmoree linee, nel suo coricarsi — castissima — accanto allo sposo, il collo disegnato da Afrodite, la nuca di alabastro, le spalle sboccianti a mezzo dalla clamide come il disco della luna da una nuvola opaca, le belle braccia cariche del peso dei braccialetti e delle catene ingemmate, i capelli improvvisamente sciolti, rotolanti in spirali sul dorso e sul petto, come fiori di giacinto, Gontinuando e passando ad altro quadro, sollecitazioni — diremo cosi — di ordine sessuale non furono piü volte viste trasparire dalla fulgida e a volte attossicata poesia di Charles Baudelaire? Nelle rime dal titolo; Les Jleurs du mal, tra i colori, le gemme, i profumi, serpeggia e brilla a ogni istante quella fiamma; La Beaute, La Muse, Venale, La Geante, VHymne ä la Beaute, il Sed non satiata... (per non dire di altre composizioni analoghe) potrebbero servire di splendido campione del genere, con i loro aecenni o tocchi che mostrano or i lucenti occhi della donna eternamente limpidi, or le nude spalle di marmo, or il seno profumato, or la femminile bocca simile a un'anfora di delizie... e sempre la donna, infine, « verso cui, come in lunghe carovane, viaggiano i desideri ». Sollecitazioni e tinte dello stesse colore non si fanno anche vive negli scritti di quelPAlfred de Vigny che cantava la blonde foret de tes cheveux d'or pur e che diceva della sua amata aux cheveux denoues qui roulent sur son front? E in Alfred de
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Musset non si vide forse il p i ü sensuale dei poeti romantici della 6econda generazione, come de Vigny era stato il p i ü sensuale tra i poeti della prima? Trattasi ognora di equivalenze sovranamente ottenute in fulgidissime forme dall'artista, grazie alle quali si da segreta via al compresso istinto e quindi si ottiene maschcrata soddisfazione. Aßsai c h i a r o emerge siffatto procedimento nella prosa musicale, poetica, colorita e, diciamo pure, sensuale di un forbitissimo esteta, novellatore e romanziere quäle Pierre Louys; tra le nuditä appena velate delle sue donne, sul lucido sfondo delle antiche scene alessandrine, si svolge — in Aphrodite — tutto il dramma tra lo scultore Demetrio, Creatore di vivide bellezze nel marmo, e la cortigiana Criside, vivida bellezza essa stessa. E ancora quadri e sensazioni di colori, di p r o f u m i , di carne, ne Les chansons de Bilitis e in: novelle come L'homme de pourpre ove si dice di quelle bellissime la cui giovane pelle « doit etre eclatante sur un tapis de pourpre sombre ». E che diremmo noi, infine — per tornare indietro di secoli — di quel grande e fantasioso monaco spagnolo dei 600 che, nel silenzio e nelle macerazioni dei suo litiro, sotto lo pseudonimo di Tirso de Molina, scriveva drarrimi che figurano tra i p i ü celebri della storia letteraria spagnola e in cui primeggiano — come nel dramma El condenado por desconfiado le sfrenate passioni di un Enrico donnaiolo, amante di femmine da trivio e quelle di un eremita che aveva ceduto alle tentazioni dei diavolo? Che Tirso de Molina scrivendo quelle pagine sia riuscito a liberare se stesso — con la sublimazione dell'arte — da ciö di cui 1'eremita cosi sceneggiato non aveva saputo sbaraz.zarsi?
4. - Non «mittle divagazicne sensibilitä tisti).
olfattiva
di grandi
(la ar-
Senza continuare la rassegna — che potrebbe essere di assai lunga distesa, ma qui inutile — ecco al proposito p i ü particolare e abbastanza efficace osservazione. L'irriverente e qualche poco stravagante curiositä degli psicologi e anche di qualche psichiatra ha ben creduto mettere in evidenza la trasformazione — sublimata dall'arte — dell'erotismo profondo allorche l'artista si diletta e con fine voluttä si distende a narrare e a descrivere la gioia delle sensazioni olfattive. Ci si muove, cioe, da parte degli psicologi e degli psichiatri di cui sopra, dalla ormai notissima esistenza di assai stretto rapporto tra l'Eros e la
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sensibilitä olfattiva, con tutte le derivaizioni e — diciamo pure — le deviazioni che ne seguono; tutta la gamma delle manifestazioni di sensibilitä olfattiva viene dall'artista chiamata a raccolta a tale proposito, a cominciar da quelle piü squisite e gradevoli, per venir poi a quelle che sempre men vicine si trovano a tale carattere, e a quelle infine che normalmente sono da classificarsi tra le sgradevoli e persirto ripugnanti. II piü perseguitato dalla cruda analisi dei critici, se non ci sbagliamo, fu Emilio Zola. Di lui piü volte giä si erano accusate le « trasfigurazioni» delle tinte erotiche in colorazioni estetiche; nei suoi Contes ä Ninon, per esempio. n a r r a n d o egli dei momenti in cui conlemplava il paesaggio provenzale, lä ove aveva conosciuto e amato Ninon, dice che « contemplando la valle e le ondulazioni del terreno gli c-orrevano a pensiero le linee eleganti e spiccate del bei corpo di lei e paragonando cosi, cominciava ad amare follemente quei paesaggio, ne sapeva che cosa amasse di piü, se la sua cara Provenza o la sua cara Ninon ». Ma in ispecie alle sue « depravazioni » (quäle grossa parola nei riguardi di colui che descrisse con tanta profonditä e amarezza ogni girone dell'inferno sociale!) olfattive si volse particolare biasimo, sottintendendo trattarsi di espressioni di basso istinto erotico. A ciö f u dedicato quasi un capitolo dall'autore di Degerierescence (scrittore, psichiatra ed enunciatore, come egli stesso dice, di paradossi psicologici e di paradossi sociologici); d'altra parte, ogni sorta di critici, in ispecie i malevoli, che tanto piü sono in numero quanto piü alto e il colosso da assalire, mise ripetutamente innanzi la zoliana «sinfonia dei p r o f u m i dei formaggi » elevanlesi dai padiglioni dei mercati central! di Parigi, come pur la zoliana descrizione del penetrante odore — residuo di carne nuda e viva — che emana dal mucchio di biancheria sporca passante tra le mani della lavandaia. Di quelle sole pagine del 'entre de Paris e dell'^ssojnmoj'r. par che la maggior parte dei piccoli critici abbia conoscenza, ma si potrebbe p u r discutere delle sensazioni olfattive, zoliane ancora, fattc (per cosi dire) dei colori piü puri : i fiori di vaniglia cantano il loro p r o f u m o come colombi c h e tubario... dalle orchidee uscivano profumi come da viventi incensieri. Del resto, in quella analisi minuziosissima che il dottor Toulouse ebbe a fare della personalitä fisica e psichica di Emilio Zola, viene ben mcssa in evidenza la eccezionalitä della sensibilitä olfattiva di quei grande dipintore delle umane miserie, psichiche e sociali. Lo spietato Max Nordau nel caricare le sue geniali tinte di critica all'opera di questa o quella scuola letteraria — in Degerierescence — faceva figu-
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r a r e Emilio Zola Ira quei flaireurs che la psicopatologia e la psicologia paranormale ben conoseono, rieordando che l'ipersensibilitä olfattiva a fondo sessuale propria a siffatti personaggi e da ricollegarsi a un atavismo piü1 arcaiico ancora di quello che rimonta all'uomo primitivo, poiche trova essa motivo e coincidenza tra gli animali presso alcuni dei quali le materie odoranti, p u r ripugnanti, sono in stretto rappoUo con l'attivitä sessuale. A voler continuare sul tema, si potrebbe ancora additare l'autore, giä ricordato, dei Fiori dei male, di tante altre sontuose poesie e di mirifiche prose, a proposito dei quäle piü volte si notö la squisita gioia nel parlar dei p r o f u m i : alcuni, freschi e dolci come una musica o verdi come lo smeraldo dei p r a t i ; altri, ora densi e trionfanti comme l'ambre, le musc, le benjoin et Vencens, profumi che chantent les transports de l'esprit et des sens (nel sonetto Correspolldances). Rimane ognor ricordata la sensuale gioia: «l'anima mia nuota nel tuo p r o f u m o come quella degli altri uomini naviga nella musica ».., comme d'autres esprits voguent sur la musique le mien, o mon amour, nage sur ton parfum! (nelle quartine: La che• velure). In tal modo il poeta cantava, allora che, come scrisse Georges Rodenbach, prose e poesie non avevano ancora conosciuto che una estetica della visione, mentre l'autore dei Fiori dei male si creava una edueazione estetica dell'odorato («Revue de Paris», giugno 1894). Insomma, trasfigurandosi nell'opera d ' a r t e e nel pensiero che si innalza e si distende a volo, i piü intimi e i p i ü oscuri sensi dell'artista, fatti di materia viva, diventano quasi puro spirito come se la materialitä dei corpo stesso si trasferisse, con la sua vita, in quella dell'opera d'arte o di pensiero, sottraendo lo spirito al corpo che rimane cosi muto e quasi inesistente, mentre tutta la vita deH'istmto si e trasfusa nella fattura d'arte. Cade in mente l'antica e romanzesca leggenda di quel pittore fianmiingo — Luigi van H o o r t — che trasfuse la sua stessa vita nelle pitture che andava componendo; «Sono invecchiato prima dei tempo, esalando a poco a poco la mia vita, perche io, come Iddio alle sue creature, ho prestato agli esseri creati dal mio pennello parte dell'anima mia per dar l o r o la vita ».
5. - Ganrinuamfo: Abfelardo ed Eloisa. Ma lasciamo p u r da parte le strane corrispondenze fisio-psicologiche tra sensualitä e olfatto o le loro traduzioni Sublimate nell'arte, e torniamo per un istante alle mascherature artistiche e passionali di
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un oscuro erotismo. Allontanandoci di gran lunga dalle moderne e tanto note pagine or or citate, per guardare in altri tempi e in ben altre categorie di preoccupazioni affettive e filosofiche, non potremmo forse vedere in qualcuna delle belle lettere di Abelardo (in cui con insislenza si parla della vigile efficacia prodotta dalle preghiere delle donne insieme riunite e della felice condizione di colui che e assiduamente assistito da una sposa diletta), l'insistenza tenace con la quäle oscure voci profonde, a contenuto normalmente erotico, ma represse, si trasfigurano e quasi si deliziano in espressioni elevate e nobili? «Che se non ti stimassi — scrive Abelardo alla sua Eloisa (Heloisae dilectissimae sorori sitae in Christo Abaelardus frater eius in ipso) — da tanto da potcr impetrar grazie (per me) da te sola, il santo congresso di vergini e tu che loro presiedi, otterreste congiunte quelle al cui conseguimento non bastai da solo». Invero, grazie a preghiere di donne, non ebbero quelle donne i loro morti risuscitati, come narra l'Apostolo nella sua Epistola agli ebrei? Nella stessa lettera ad Eloisa si fa lucido il represso desiderio di Abelardo per una sposa (la sua Eloisa, senza dubbio), quando egli ricorda essere scritto nei Proverbi che la valorosa donna e la Corona di suo marito, aggiungendo che chi trova una buona moglie ha trovato un bene e riceverä consolazione dal Signore, poiche buona moglie e data propriamente dal Signore. Persino la propria tomba, l'ardente e irrequieto Abelardo vuole tra donne « devote a Cristo come quelle che furono sollecite della sepoltura del R e d e n t o r e » , cosi come si legge tra i sospiri della citata lettera, in cui — come in ogni altra — nascoste vene di erotismo serpeggiano sotto la cenere della devozione. Non conta osservare — come ebbe a far qualche «sessuologo» — che nello Stile di Abelardo prima della sua tragedia chirurgica e dopo, e da notare la differenza, appunto a motivo della tragedia stessa poiche nelle varie lettere ad Eloisa (scritte dopo la tragedia) il tono e la fiamma, sebbene non cosi ardenti come quelli di Eloisa, p u r semp r e appaiono. Non ci si faccia dire, per caritä, ciö che per nulla intendiamo dire. Quanto abbiamo sopra detto non significa affatto che l'arte del poeta, o la prosa — naturalista o appassionata — di chi e signore della parola, 6ia essenzialmente espressione e quasi un trasformarsi e un sublimarsi dell'erotismo. P e r nulla intendiamo portarci a siffatta regola di ordine generale; vogliamo suggerire, per contro e soltanto, che tale stato istintivo p u ö degnamente travestirsi, a quando a quando, si nella
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poesia che nella prosa di chi sa degnamente poetare e narrare. CJlö detto, siamo sicuri che ci si farä dire, da piü di uno, il c o n f a r i o di quel che siamo andati dicendo.
6. - Parenfesi: a;s liberatrix. In generale e da dirsi che l'opera d'arte — vera e sentita (che puö p u r essere f r u t t o falso e posticcio di artificioso calcolo) — costituisce quasi sempre la liberazione di un profondo sentire che non trova via d'uscita, di esternarsi e di soddisfarsi in altro modo; un ineffabile sollievo, quindi, per colui che dalla interna tomba dei proprio soffrire risuscita, trasformandolo in visione di luce, il sotterrato fantasma. Ecco perche Wolfango Goethe descrive i dolori dei giovane Wierther estraendoli dal proprio dolore e quasi da esso< liberandosi; ed ecco perche medesima cosa fanno Ugo Foscolo con le sue lettere di Jacopo Ortis e Alfred de JVJusset con le sue Confessioni di un figlio dei secolo... In quante appassionate storie dei dolori di un'infanzia che soffre, di un amore contrastato e calpestato, di brucianti fuochi di ambizioni coperti e spenti dalle ceneri, di torbidi contrasti di famiglia, Ktorie Sublimate tutte dalle dolcezze dell'arte, ritroviamo la biografia segreta deH'artista! Cantava Enrico H e i n e : Aus meinen Thränen sprietzen... Nascon dalle mie lagrime I piü splendenti fiori, E i miei sospiri cangiansi Di rossignoli in cori. (Intermezzo, 2) II quarto atto della Favorita di Bonizetti, scritto in una notte e definito l'atto musicale piü bello di amore e di morte che fosse stato ecritto, e un frammeno autobiografico? Fu scritto mentre l'Autore aspettava la sua donna (si dice) che p r e f e r i recarsi a un ballo; l'angoscia dell'anima tutta si versa in quella scena in cui Fernando rimprovera la donna di essere la favorita dei re. Ha da dirsi un qualche di simile per il Chiaro di luna di Beethoven scritto sotto l'impeto di una amorosa passione non corrisposta e che traduce, nella sua prima parte, l'angoscioso lamento de! sofferente. D'altra parte, non vuole forse la tradizione che il preludio dei quarto atto della Traviata — tutto lacrime e affanno — sia stato scritto da Giuseppe Verdi molta tempo prima dell'opera stessa, sotto l'impressione dolorosa provocata dalla morte 15. - L'Io-
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Parte
quarta
di suoi diletti? P u r soffocati slanci di ribellione e di forza si esteriorizzano nell'impeto del canto, come accade nello studio detto della Rivoluzione, composto da Chopin sotto l'impressione della caduta della sua Varsavia in mano ruasa. L'arte in tutti questi casi si plasma sulle forme della stessa vita interiore dell'artista, quasi a esprimersi come uno sdoppiamento di quella vita o, meglio, continuazione di essa o, meglio ancora, ideale e sognante completamento, come sogno che deriva dalla vita e si sovrappone ad essa. Anticipando su quei che largamente si dirä poi, si prenda subito nota del fatto che trasformazioni come sopra, le quali sostituiscono alla piena soddisfazione deH'istinto la mascheratura piü o meno sublimala, sono al tempo stesso trasformazione e liberazione, e cioe — nei riguardi di questa ultima indieazione — consolazioni o, meglio, autoconsolazioni in quanto e consolare se stesso il liberarsi da grave oppressione. Grazie a siffatto procedimento, di complesso effetto, le rose disseccate dei desideri insoddisfatti. si tramutano in un fiorito rosaio che e beltä e profumo di eonsolazione.
7. - L'Eros cetesfi.
nelle
frasfigurar'&ri
Chi volesse continuare in tema di « sublimazione » deH'Eros profondo potrebbe or fermarsi a ricordare — e ancor questo e abbastanza risaputo — quella teoria per la quäle istinti profondi, ricollegantisi alla vita erotica, possono p u r sublimarsi, anziehe nelle forme attive e creatrici dell'arte, in particolari forme di misticismo, inattive e contemplative. Le quali (si noti bene) sono pur esse, in un certo senso, opera d'arte e creatrici ma — per cosi dire — a vuoto in quantoche, se la creazione artistica e concreta e plastica offrendosi alla folla di chi guarda quasi come ruscello di acqua viva che zampilli dalla piü ascosa sorgente e poi se ne vada a scorrere sotto i piü aperti cieli, quest'altra e nuova creazione e un puro e fastoso miraggio che l'individuo crea a se stesso e per se stesso immergendovi, con ineffabile delizia. il proprio spirito. Ancora una sublimazione, allora, grazie alla quäle si trasferirebbe incoscientemente la soddisfazione dell'istinto spostandola dall'oggetto proibito a quello per cui proibizione non e. Tale o tale altra forma di religioso misticismo contemplativo, ascetico, in cui tutto e grido d'amore, sino alla disperazione e in cui si possono
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profondi
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persino intravedere — tra le pure luci della eontemplazione — le carni stesse degli Esseri divini verso i quali l'anima s'innalza con ebrezza e con spasimo, rientrerebbe forse in tali sorta di trasfigurazioni, di travestimenti, di sublimazioni? L'impulso d'amore, dal sepolcro in cui l'individuo stesso che gli sta a guardia vorrebbe tenerlo disteso in eterno, si libererebbe in tal modo dal suo sudario, all'insaputa stessa dei vigile guardiano e prenderebbe nuovo volto e nuova vita.
a) Pagine
mistiche.
Tracce dei sopra indicato prodigioso meccanismo di trasformazione si troverebbero — a quanto asseriscono certi psicologi di cui, tuttavia, a ragione o no con asprezza si combattono le vedute — con ogni cvidenza nelle belle, armoniose e carezzevoli espressioni di cui a tal proposito si servono le anime piü pie e anche piü sante, quando faIvoita narrano l'estasi a cui esse si abbandonano allorche «Jesus saisit l'äme pour la liquefier dans la forge de l'Almour et la verser, alors qu'elle entre en fusion, dans le moule nuptial de sa croix». Oppure, allorche esse deserivono « l'amoureuse furie de l ' E p o u x » abbattersi sulla dolce donna sofferente e in pianto; oppure, ancora, quando esse dicono come l'aureo giogo imposto dall'Iddio dei dolori e dell'amore diventi dolce e delizioso per l'anima in delirio (I). Rientra in tal modo di interpetrare e di pretendere, per cosi dire. c!i vedere l'invisibile che e dietro il visibile, l'osservazione piü volte fatta (a torto o a ragione) nell'ammirare il bellissimo viso della santa Teresa, nell'immagine scolpita dal fantasioso Bernini; quel viso, in un marmo che appare cosi dolce e morbido come carne viva, ben traduce lutta la commozione dei piü profondi ed umani sentimenti di amore: guardatelo, invero, quando un raggio di sole, attraverso le sacre invet r i a t e dei tempio, prendendo riflessi dai cortinaggi, hatte su di esso e gli da vita. In proposito, qualcuno potrebbe anche tornare col pensiero a quella celebre tela raffigurante l'estasi di santa Caterina, che si ammira nella pinacoteca comunale di Lucca, dovuta al pennello di Pompeo Girolamo Biatoni da Lucca, in cui la Santa senese sta per cadere, folgorata dalle stimmate, mentre due angeli belli come l'aurora la sorreg(1) J. K.
HUYSMANS,
Sainte Lyduiine
de Schiedam,
Paris, 1901, pp. 92, 74, 9».
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Parte
quarta
gono: nel viso di lei (osservano i critici d'arte) quelle medesimetracce di umano amore, reso divino, che gli artisti amano rivestire di luci e di colori quando rilraggono eelesti beatitudini e celesti estasi purissime. Aveva scritto Francesco De Sanctis, di quella grande Santa, che « il suo amore verso Gristo ha tutte le tenerezze di un amore di una donna che si sfoga a quei modo, lei inconscia » (Storia della letteratura italiana. nel c a p . : II trecento). Potrebbe darsi che con le osservazioni di cui sopra ci si trovi di fronte a una semplice interpetrazione, puramente subiettiva, da parte dell'artista e del critico, e quindi inesatta, ma non potrebbe p u r darsi che — data la relativa frequenza con cui opere d'arte di tal genere si presentano — si tratti di pura riproduzione della realtä? Non e il caso di dar qui risposta (tanto p i ü che per nulla abbiamo intenzione di agitar qui siffatto tema) e rimandiamo ai non pochi scritti d'arte, di psicologia e persino di psicopatologia e di una psicanalisi p i ü o meno discussa e da discutere, sul soggetto; ma ci potremmo limitare a volgere il nostro sguardo verso le lucidissime e scintillanti attestazioni portate da una di quelle anime che quasi di continuo cercarono svelare a se stesse — per poi spanderlo a guisa di sollievo e di soccorso intorno a loro — il gaudio dell'amore divino. Quanto significativa e profonda, infatti, la bella immagine — fresca di poesia — con la quäle Teresa d'Avila, la Santa, rappresenta simboJicamente le nozze spirituali tra la donna orante e la divinitä! « E ' come se l'acqua del cielo cadesse in un fiume o in una fönte, dove si confonderebbe in tal modo da non sapersi p i ü distinguere quella del fiume da quella del cielo; oppure come se un piccolo ruscello andasse a finire nel mare da cui non saiebbe piü possibile separarlo » (1). Subito dopo, con altro paragone pure efficacissimo: « E' come se una gran luce penetrasse in una stan-
( 1 ) SANTA T E R E S A , II castello inleriore (Caslillo interior, o Libro de las siele moradas) o II castello delVanima (composto nel 1577 nel Monastero di Toledo), settima Stanza, o Dimora, o Mansione, Capitolo 2, Par. 4. La settima Stanza del castello e, come si sa, quella in cui si trova Iddio medesimo, sovrana Maestä. Citiamo la traduzione italiana (Milano, 1932) di P. Er.mto della Provincia Veneta e P. FEDERICO della Provincia di Navarra, adoperando tuttavia la parola Stanza o Dimora invece della parola Mansione. La parola castigliana Morada ha il significato di soggiorno, luogo di stanza; la parola Mansione, con cui 6pe6so ei traduce la Morada del testo, e adoperata come nell'Evangelo di Giovanni, XIV, 2: in domo patris mei, mansiones multae sunt, i l che comunemenie si traduce: nella casa del padre mio vi sono molte stanze.
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za per due finestre; vi penetrerebbe divisa, ma dentro si farebbe una sola» (1). Aveva giä detto p r i m a ; « possiamo paragonare tale unione a due candele di cera unite insieme cosi perfettamente da formare una sola fiamma; oppure vederla come se il lucignolo, la fiamma e la cera non fossero che una cosa sola » (2). Si senta, dei resto, con quali dolcissime e nobilissime parole si descrivono la Celeste gioia e le grazie sublimi di cui Iddio favorisce le anime che sono entrate nella settima Stanza (Settima Stanza, cap. 1). « Quando Nostro Signore si degna di aver pietä di quanto patisce ed ha patito pel desiderio di Lui quest'anima che Egli spiritualmente ha giä accettato per sua sposa, la introduce prima che il matrimonio spirituale si consumi, nella sua stessa camera » che e questa Settima di cui parliamo. « I n quella guisa che DIo ha la sua Camera nel cielo, cosi la deve avere nell'anima per abitarvi da solo come, a modo di dire, in un secondo cielo» (Settima Stanza, cap. I, par. 3). Nella sesta Stanza giä si diceva (a proposito di quesle elevate e spirituali unioni mistiche t r a la donna orante e la divinitä, vera maestä o sole) che quel Sole dalla sua stanza illumina tutto ITJniverso e tutte le anime. Su di che si costrui, da p a r t e di competenti specialisti, tutta una complessa teoria: quando Iddio s'impossessa della sommitä soltanto, o apice, dell'anima, lasciando ai sensi e alle facoltä interiori libertä di darsi alla loro naturale attivita, si ha l'orazione di quiete; quando afferra tutte le interne facoltä lasciando alla loro attivitä i soli sensi esterni, si ha 1 'unione piena- quando s'impossessa nello stesso tempo delle facoltä interne e dei sensi esterni, si ha 1 'unione statica (fidanzamento spirituale); quando poi estende il suo dominio'su tutte le facoltä interne ed esterne, non p i ü di passaggio ma in modo stabile e permanente, si ha il matrimonio spirituale (Ad. Tanquerey). Se fosse lecito riavvicinare il sacro al profano e all'ultra profano, potrebbe il pensiero ricorrere a quelle strane fantasticherie — miste, appunlo, di sacro e di profano — cui si abbandonava il giovanile e irrequieto sentimento di Madame Bovary nella sua prima etä quando «le itnmagini di fidanzato, di sposo, di amante Celeste o di matrimonio eterno, che ricorrevano nelle prediche, le davano in fondo all'animo dolcezze ignorate » (cap. VI, parte I).
(1) Id., id. (2) Id., id.
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Parte
quarta b) Preghiera
alla
Vergine.
Mjedesimamente. amore pio e appassionato puö innalzarsi dall'adoralore alla Vergine; si avrä allora quell'invocazione sovrumana e freneliea che l'abate Mouret volgerä alla bella Vergine dal manto azzurro e d'oro e dai nudi piedini color di rosa, inginocchiato sulla pietra della sua povera e nuda chiesa, abbandonato tra la pace e il silenzio degli alberi (1). Una di quelle invocazioni, dunque, in cui palpita il tanto pietoso e appassionato culto per Miaria. come giä aveva notato Feuerbach quando di tale appassionato amore diceva essere « eine rein aesthetische, eine rein poetische Tendenz... Maria ist die Göttin der Schönheit, die Göttin der Liebe, die Göttin der iMenschlichkeit, die Göttin der Natur...» (2). Potremmo allora anche chiederci: l'ineffabile amore che canta la sua passione nell'Ave Maria di Franz Schubert e senza alcun dubbio amore che si innalza fino alle piü alte sfere dei cieli, ma — a ben sentkne la risonanza profonda — non e pur sacro amore p e r una donna, la Donna ideale e quasi irraggiungibile dai sospiri di chi canta e da chi perdutamente cerca innalzarsi sino s Lei? Certamente cosi elette e Sublimate forme di devozione, di dedizione e di spirituale unione mistica, sono ben lungi da quelle «devozioni » che il Beato Luigi Maria Grignion di Montfort, nel suo eloquente Trattato della vera devozione a Maria Vergine, indica sotto il titolo di « falsi devoti e false devozioni a Maria » enunciando le « sette sorta di falsi devoti e di false devozioni a Maria » : i devoti critici, i devoti scrupolosi, i devoti esteriori, i devoti presuntuosi, i devoti inw costanti, i devoti ipocriti, i devoti interessati (Santuario di Maria, Regina dei cuori, Roma, V a edizione. 1928. pag. 60) ....Le vere, alte e amorose forme di devozione, di dedizione e di spirituale unione mistica si riavvicinano piuttosto a quella forma di devozione che lo stesso Reato chiamava « tenera » e che sempre eloquenlemente descriveva. E ' la devozione che ricorre alla Vergine « con molta semplicitä, fiducia e tenerezza, e a Lei si rivolge per aiuto... per essere rischiarata... per essere raddrizzata... per essere sostenuta... per essere fortificata, ecc. ecc. (1) E . ZOLA, La faute de Vabbe Mouret, cap. XIV della parte prima. (2) Si legga l'articolo che L . F E U E R B A C H ha consacrato all'opera di E . E M M E R A N : Die Glorie der heiligen Jungfrau Maria, 1841, e che porta per titolo: Ueber den Marienkultus; si trova nel primo volume delle Sämmtliche Werke di FAU E R B A C H , Leipzig, 1847, p. 181.
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e nelle sue croci, od opeie o contrarietä della vita, per essere consolata » (id. pag. 68). Nelle stesse belle pagine, d'altra parte, si dice — a proposito dei « motivi che ci devono f a r abbracciare questa devozione » (pag. 84) di «Maria che si da al suo schiavo d'amore » specificando che « quando Essa vede che uno si da lutto a Liei per farle onore e servirla, spogliandosi di quanto ha di piü caro per onorarla, si da anch'Essa tuita a lui e in una maniera ineffabile » (pagg. 89-90).
8. - L'Eros nelle trasf iguraxioni contro la tentaxrone. E in quelle dell'amicizia e della «fedizione. Non e possibile trattare dei molteplici aspett: che l'Eros represso puö assumere sublimandosi per affacciarsi alla superficie, senza pur dire alcunche nei riguardi di quelle mascherature o trasformazioni di cui e indice nel titolo qui sopra. Ed ecco brevi parole in proposito, piü per cenno che per altro. a) Contro la
tentazione.
Sostiene qualcuno che la sublimazione o, se si vuole, la trasformazione delle profonde voci istintive cariche di sessualitä, che ad ogni costo occorre far tacere, si trova anche, probabilmente, in quelle forme esasperate dell'ascetismo in cui ogni energia dell'asceta arde e 6i consuma nel combattere il Demonio, cioe a dire per combattere, quasi corpo a corpo, la Tentazione. Qualche bizzarro specialista di psicologia sessuale si e spinto infatti a vedere nell'ascetismo in continua lotta con la Tentazione, l'espressione dell'oscuro Eros, poiche quella lotta che pone l'asceta in continuo contatto con gli orrori da repellere, costituirebbe (in ultima analisi) un mezzo per procurare — per ritorta via — alla creatura che con disperazione si difende, il piacere proibito... Non spingiamoci tanto oltre; ma p u r dando un'occhiata alla strana e doviziosa documentazione che potrebbesi raccogliere su tal punto vien fatto di notare che in tante paradossali, e p u r alte, forme ascetiche di attivitä dello spirito par davvero si nasconda una costante occupazione e preoccupazione, da parte dello spirito stesso, una curiositä in istato ansioso, senza cessa agente e pungente, per le frutta proibite e, ciö nonostante, ognor presenti nell'oscuro fondo della cowienza. L'« asceta » passa il tempo suo ad ascoltare quelle tentanti
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Purte
quarta
voci con terrore — e vero — ma intanto le ascolta; esse risuonano nel suo orecchio e si trasforinano in immagini, senza vesti, nel giardino della sua fantasia. «Ecco: sento brividi per tutto il corpo. Quäle supplizio! Che delizia! Sembrano baci. II mio midollo si fonde! M u o i o » , dice S. Antonio quando tra una tentazione e l'altra si hatte con corde uncinate (G. Flaubert, Les tentations de Saint Antoine, cap. II). Cadrebbe qui in acconcio la citazione delle non poche osservazioni coropiute da alcuni psicologi e psicopatologi sul segreto legame che in molti casi avvince l'autotortura alla tortura d'amore, con richiamo storico psicologico alle vicende di quei flagellanti che trasportano attraverso i secoli il loro torso nudo e le loro corde annodate, ma andremmo troppo oltre il limite qui voluto.
b) Amieizia,
dedizione.
Interpetrazioni, piü, o meno oscure, del genere di quelle or ora date potrebbero — con qualche sottigliezza e persino ai margini dell'equivoco — da alcuni studiosi delle indicate oscuritä psicologiche essere avanzate nei riguardi di altre categorie di esterne manifestazioni — piü o meno Sublimate — della vita erotica. Non e il luogo qui di p a r l a r e di quelle patologiche o quasi patologiche forme di « amieizia» che dettero e tuttora danno larga materia di studio — da K r a f f t Ebing e altri sino a Maranon, a Ribeiro e ad altri ancora — agli psichiatri; e evidentissimo in tali casi che non si tratta affatto di sublimazione, per quanto alcuni «attori» di siffatte scene erotiche vedano nelle prop r i e tenerezze un colorito schiettamente ideale... Piuttosto, potremmo fermarci alla documentala analisi che gli psicologi G. Obici e G. M^rchcsini ebbero a fare dei cosi detti « amori fiammeschi » ; anche in tale categoria di manifestazioni e attrazioni affettive p u r trapela, nonostante l'ingenuo candore delle esterne apparenze, l'istanza segreta, sotterranea e quasi sempre incosciente. Qui, veramente, potrebbe vedersi (quando si tratti di forme sentimentalmente platoniche). una specie di sublimazione ; ma sorvoliamo e si venga piuttosto a far cenno di vere e proprie forme di amieizia (che escludono a p r i o r i l'interpetrazione di cui sopra), di ammirazione mansueta e di entusiastica sottomissione. Sotto tali forme non si nasconderebbe forse — ignorato o sconosciuto — il fuoco dell'istinto segreto, d'ordine erotico? E ciö, ben si ripeta, all'insaputa stessa di colui che sente ed agisce o, per meglio dire, senza
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e h e costui abbia ben chiara idea dei motivi profondi dei suo sentire e dei suo agire. II dolcissimo e patetico Francesco di Sales, dopo aver fatto necessaria distinzione (al solito) tra le false amicizie e le vere, commenta col dire essere le prime di tre sorta : nettamente scssuali le une, o semplicemente — le altre — ispirate da una ammirazione delle qualitä fisiche e maleriali della persona amica, e infine presentarsi quelle da considerarsi soltanto come frivole (Vte devote, ch. XVIJ). I commentatori di lui, con lui ripeteranno che « ces fausses amities commencent generalement avec l'äge de la puberte; elles naissent du besoin instinctif qu'on eprouve alors d'aimer et d'etre aime; souvent, c'est une sorte de deviation de l'amour sexuel. En dehors des communautes ces amities se forment entre jeunes gens et entre jeunes filles... Dans les communautes fermees, elles existent entre personncs du meine sexe et s'appellent amities partieulieres. Elles se prolongent parfois jusqu'a un äge plus avence... Au point de vue de leur origine, ces amities sensibles... sont basees sur des qualites exterieures et brillantes; elles sont accompagnees d'emotions vives, parfois passionnee » (1). D'altra parte, e continuando su terreno che e assai presso al precedente, si poträ dire di coloro che, sempre in tema dell'oscuro fondo di cui stiamo parlando, scrissero con Stile immaginoso e seducente, pagine che sarebbe difficile non ricordare — nonostante la unilateralitä assai particolare con cui i fatti vengono guardati — sugli invisibili legami che awincerebbero il profondo istinto dell'Eros ai sentimenti di sottomissione, di dedizione, di cieco attaccamento che individui o folle pttesono provare per il dominatore. La manifestazione di tali sentimenti diventerebbe per tal modo la « scarica » di un istinto profondo e segreto (2). Sia o non sia ciö esatta cosa, rispondente o no al vero, sta pur di fatto che slanci di tal genere, di devota ed irresistibile sottomissione, entusiasta, possono pure ricollegarsi — a nostro modo di vedere — all'altro meccanismo psicologico e agente per via di una Serie di oscuri passaggi che vanno dall'inconscio alla semioscuritä della coscienza e che poi improvvisamente si illuminano dimenticando il buio dei luogo di provenienza; e cioe, slanci di tal genere possono lontanamente trovare origine in un profondo istinto, da parte dell'individuo prosternato a terra, istinto egoislico che per via di successive ( 1 ) A D . T A N Q U E R E Y , Precis de theologie ascelique ei mystique, Paris-Tournai, Rome, 5° ed. paragrafo 600 e segg. (2) S. F K E U D , Psychologie collective et analyse du Moi, ed. franc. dei 1924, Paris, pp. 36-38, pp. 48-49.
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Parle
quarta
sublimazioni vede nell'Efesere ammirato e reso quasi divino e onnipotente, una protezione per Se stesso, un sacro riparo dietro il quäle e da ritenersi fidi e sieuri e persino un riflesso (bello, perfetto e gigante da ammirarsi da tutti)... della propria immagine! Doleezza ed ebbrezza di una megalomania ebe ammira se medesima... nell'Altro! Invero. anche di tale ultima interpetrazione (riflesso della propria im-J magine) par faeciano accenno quelle pagine che pur mettevano in prima linea 1'interpetrazione purarnente e quasi esclusivamente sessuale 'Freud. Op. cit., pp. 54-69).
9. - L'Eros in qua Ich« sua pseudo sublimazione (concupiscenza larvata, « pruderie »). Non dimenticliiamo che le trasformazioni che mascherano, per cosi dire, il basso erotismo permettendogli segreta uscita, non sono tutte di una portata e di una nobiltä cosi elevata quäle — come vedemtmo — l'arte, il misticismo religioso, l'ascetismo, l'amicizia, lo spirito di dedizione e di dipendenza... Se ne danno di misura assai piü modesta, tali da non meritare davvero di essere decorate coi nome di « sublimazione » p e r quanto si tratti di una masehera che ha pretese, o smorfie, di elevazione e di nobile dignitä. Abbiamo giä intravisto qualcuna di tali trasformazioni; le false amicizie; ma eccone un'altra di carattere ben diverso e cioe l'affettazione di scandalizzarsi per tutto ciö che potrebbe non a p p a r i r e casto e decente (oltr'Alpe si dice, con una sola parola, pruderie). In altri termini, affettazione nel mostrarsi morale e castigato, rispettoso, sensibilissimo e gelosissimo cultore, devoto, d e l pudore e delle convenienze. Tale contorto atteggiamento che, se si vuole, e una specie di ascetismo in dose omeopatica fu, non senza malignitä, definito come «una eoncupiscenza l a r v a t a » . La « p r u d e r i e » , infatti, vede dovunque lo Spirito del male e l'impudicizia, non ammette sorrisi, o traduce ogni sorriso in contorcimenti di affettato disgusto. Dovunque e il Peccato e dovunque, per conseguenza, chi in tal modo pensa e si atteggia, entra in contatto con il peccato stesso, se non altro per combatterlo e p e r opporre ad esso una specie di corruecio o la finta impassibilitä del volto. Anche cosi si ottiene, in qualche modo, la « scarica » del profondo istinto da mascherare e da fare useire liberamente, sotto tale masehera, per le vie della vita.
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profondi
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Qualcuno definisce la pruderie come una forma ofctentata di falfco pudore, aggiungendo costituire essa una concezione dei nudo attraverso una curiositä unilaterale • Federico Schleiermacher diceva di tale carattere: « u n a mancanza di pudore mista a laecivia. Che Cosa si deve pensare di quelli che pretendono di essere cosi freddi e tranquilli e trasaliscono, invece, di passionc contenuta ad ogni minimo stimolo esteriore, e si illudono di serbar tanto maggior pudore quanto piti trovano in ogni cosa, in ogni parola, argomento di sospetto? Vivono costoro in continuo agguato, e il loro mal dissimulato, talora inco-i sciente, sensualismo diffondono e proiettano su tutto ciö che Ii circonda; poi, appena lo scorgono e lo riconoscono, tosto se ne ritraggono spauriti e scandalizzati e danno colpa altrui di ciö che p u r emana direttamente da loro II filosofo e teologo di Breslau che si innalzava con la sua filosofia a cercare l'Infinito e l'Assoluto, ad amare lo spirito universale, a comprendere — come egli diceva <— l'Unitä e la immortalitä dei mondo, faceva dunque derivare lo stato d'animo corrispondente e proprio alla pruderie, o falso pudore, dalla coscienza di un intimo pervertimento e di una profonda corruzione (1). In ultima analisi, la « pruderie » sarebbe — come giä accennammo — una smorfia con la quäle l'abile e astuto soggetto prende contat1o, odiato e desiderato al tempo stesso, con l'istinto che si tratta di comprimere; in piü, la smorfia in questione avrcbbe il non spregevole vantaggio di fare apparire la persona che dietro di essa si colloca, nobile, austera, dotata di elevatissime qualitä morali e quindi suscitatrice di continua ammirazione. Quanti motivi, allora, per travestirsi piü o meno coscientemente in tal modo! IV^a il p i ü delle volte il calcolo, specie per quel che riguarda il voler apparire diversamente da ciö che si e, e dei tutto sbagliato, poiche il trucco e imbastito con cosi chiaro e appariscenle filo, che ben pochi sono coloro che non si accorgono dell'inganno. Sicche, da quel congegno di atteggiamenti, di falsi pudori e di ricercate pose, in luogo di ammirazione ne viene irrisione e talvolta commiserante pietä. II « pubblico » — o buona parte di esso —' ben vede questa volta il vero dietro l'apparenza. Diceva quel rude e franco personaggio della cominedia di Lope de Vega (II miglior giudice e il Re): « Se, essendo calvo. metto una parrucca. cesso per questo di esser calvo? ». (1) F. S C H L E I E B M A C H E B , Vertrauten pagg. 63-65.
Briefen
über die Lvcinde,
Hamburg, 1835
CAPITOLO
SECONDO.
CONTI NUAZIONE. ANCORA DELLE SUBLIMAZIONI. B) L'ODIO Non si creda che sublimazione di istintivi egoismi o simili, si abbia soltanto per le oscure voci dell'Eros p r o f o n d o ; se n e danno p u r per quell'apparente nemico dell'Eros stesso che e l'istinto aggressivo, anche acceso sino dalla f u r i a dell'odio. Anzi, p r o p r i o come si p u ö prod u r r e sublimazione — da p a r t e d e l l e piu. vivaci intelligenze — del nudo erotismo in squisite forme d ' a r t e riccamente vestite, cosi per l'aggressivita e per l ' o d i o possono prodursi trasformazione, sfogo e legittima evasione nei seducenti colori dell'arte.
1. - L'odio nelle dell'arte.
trasfigurazioni
La sublimazione, infatti, o persino la pseudo sublimazione, in forme artistiche o pretese t a l i , non procede soltanto, o essenzialmente, quando e se vi sia capacitä di trasfigurare il basso mondo i n t e r i o r e dell'erotismo (come abbiamo p e r alcuni casi veduto nelle pagine che precedono), ma quante volte la trasfigurazione in forme elevate... o pseudo elevate si fa dall'artista o dallo scrittore, p i ü o meno maestrevolmente, per dar via o « scarica » a p r o f o n d i sensi di livore, di Vendetta e perfino di crudeltä! E anche a cieco istinto di sopraffazione che su tutto e su tutti vuol prevalere servendosi dell'attacco scontroso ed iroso contro t u t t o e contro tutti... Si aggiunga (altro volto del mostro che non ha da vedersi) la p e r e n n e invidia che ha il suo veleno in ogni cuore ma che in questo e quello, specialmente, intensifica il suo amaro sapore. Quante opere dell'intelletto — dal poema al romanzo e alla novella — con contrassegno di bellezza e di genialitä, p o r t a n o le tracce di travestimenti, sia p u r e di p o r p o r a e di oro, i quali dietro l'affresco istoriato con quella p o r p o r a e quell'oro nascondono ciö che e p u r tanto chiaro e limpido p e r chi sa leggere!
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Vogliamo alludere a quegli scritti che assalgono, percuotono e feriscono, provenienti non tanto da giusto sdegno quanto da fönte non cosi p u r a ; si ha allora la canzone, la pagina polemica, la declamazione, il «trafiletto » il pamphlet, il libello... or venuti fuori da penna di veri artisti, or da quella di semplici mestieranti che a mala pena spolverano dei gesso dei pagliaccio il loro viso. Lo sfogo serve di «scarica» ai bassi e oscuri istinti di odio, di crudeltä e di livore, e forma un sostitutivo all'azione vera e propria, impedita dalle sociali coercizioni. L'aggressivitä, o il livore, o l'odio, si trasforma nell'opera d'arte... o in un sembiante di opera d ' a r t e ; statua di marmo pario, l'una, ma di cartone o di carta pesta l'altra. Non importa : 1'« artdsta » non solo ha trovato modo di dar vita legittima e aperta alla propria aggressivitä, ma anche soddisfazione alla profonda istanza che lo affliggeva e tormentava .Anche qui la trasformazione in opera d'arte o di pseudoarte diventa in certo senso (come accennammo per le trasformazioni dell'Eros) una autoconsolazione. Di tutto ciö, vale a dire di tali buie e malcelate profonditä, si trova anche traccia in quelle autobiografie (ve ne sono veramente immortali) in cui l'autore narra di se, dei suoi odii e delle sue passioni pungendo e colpendo questo o quel personaggio che per lui fu malevolo e tristo, contraffacendone aspetto e gest.i per meglio esporlo al riso o al disprezzo di chii legge: fatti personali — molte volte — che vengono presentati come di ordine e di interesse generale e rispondenti alla piü pura obiettivitä; fotografie malignamente ritoccate che sono mostrate dal loro autore come se fossero istantanee colte dal vero. Libbidienza quindi alla irresistibile spinta che fa trasfigurare il rancore non giä nell'azione concreta, ma in un equivalcnte di essa. Ad esempio di ciö potrebbe darsi quel capolavoro di spietata aggressivitä, di inesausto rancore e non infrequentemente di vero e proprio odio che par lalvolta vada sino al sangue, costituito dalla romanzata autobiografia che Jules Valles fa di se stesso sullo sfondo delle piü aspre lotte sociali e delle ribellioni contrassegnanti la sua vita. Iracondo, beffardo, schernitore, ad ogni pagina dei suoi scritti e quell'Autore, nella rabbiosa guerra contro tutti e contro tutto... come in ispecie appare dal suo L'insurge — una autobiografia — in cui e ribellione non nel solo titolo, davvero, ma in ogni fräse, sia che si narri della giovanissima adolescenza dei giovane in collegio, sia che si segua anno per anno e persino giorno per giorno l'andare di quella vita irrequieta, insofferente, astiosa e come quotidianamente awelenata dall'amaro della cicuta. Basta vedere come quell'Autore de-
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scrive i personaggi — maschere celebri della vita di allora, alcune delle quali rispettabilissime — che gli passano accanto; il loro volto e trasformato in quello degli animali o raffigurato nelle iinsmagini di spregevoli oggetti, mentre il loro an im« e quasi sempre mostrato come nei riflessi delle piü oscure tinte. Basta ricordare, inoltre, quanto egli proelamava, appunto nel citato scritto: « H o voglia di sghignazzare sul volto di questa Societä, che non posso attaccare a viva forza, fosse anche coi pericolo della mia vita; l'ironia mi vien fuori d'impeto dal cuore e dal cervello. So ehe la lotta e inutile e mi confesso vinto in preeedenza; ma voglio ridere di nie, deridere gli altri, urlare il mio disprezizo per i vivi e per i morti » (cap. VHI), Per maggiori particolari su questo punto (in qual modo la Vendetta e io scherno trasfigurano la descrizione di un volto e di un personaggio) ci permettiamo rimandare a ciö che scriviamo altrove (1). Si ricordi anche con quäle esacerbato animo un grande e strano poeta e scrittore — Charles Baudelaire — dichiarava accingersi a scrivere le proprie Memorie. Volgendo egli alla fine di una vita di sofferenze e di disinganni, decide di eonsegnare le sue confessioni, spesso fatte di ira e di rivolta, in un l i b r o dal titolo: II mio cuore messo a nudo, libro di rancore, di cui perö non furono scritti che frammenti. Quanti di essi altro non sono che invettive corrusche e brucianti le quali non hanno davvero ritegno di volgersi al basso linguaggio! Sfogo e autoconsolazione — ancora una volta — per l'interno livore? Nella lettera alla madre del 1 aprile 1861, si dice che in questo libro « accumulerö tutte le mie collere » ; e in quella del 5 giugno 1863: « Q u e sto libro sarä un libro di rancore... Voglio far sentire incessantemente che mi sento come estraneo alla Societä e ai suoi culti. Volgerö contro il paese intero la mia reale facoltä di impertinenza. H o bisogno di Vendetta, come un uomo stanco ha bisogno di un bagno »... « Lascerö scritte queste pagine a documento della mia collera». E si legge ancora tra i lamenti; «Sono perduto in questo vil mondo tra gli urti della folla, avendo dietro di me solo delusione e amarezza e, innanzi, solo una tempesta! ».
(1) Nel capitolo consacrato al modo con cui si fa la caricalura di un volto, «ell'ofera in attesa di pubblicazione: La fisonomia ndVarte e nella scienza-
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2. - Ajtisfiche pagine di ingiurienga a farla cuocere dando per tal modo al pubblico un vero senso di gioia e di conforto » (nello scritto: « Le train des hysteriques », p. 230 dei citato volume). Basterebbe quanto sopra per dare idea dei posto che pagine siffatte potrebbero occupare in una casistica delle trasformazioni che i piü profondi istinti di aggressivitä —< e anche di odio — possono subire passando attraverso la composizione artistica; ne aggiungeremmo granche se ricordassimo trovarsi in quelle pagine il p r i m o Napoleone ripetutamente indicato come « l ' i m p e r i a l e brigan-
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te », sovrani e pontefici come « immondi e malfattori che uniscono la bestialitä al f u r t o con violenza, l'ignominia alle imposizioni » senza dire di altri personaggi piü o meno illustri da indicarsi come Orchi, o vecchie carcasse di carne ultra stagionata, o scrofolosi, omicidi... gente tutta da gettarsi in un marcitoio (pourrissoir) ecc. ecc. (nello scritto; «Les rois s'en vont», pag. 2381 del citato volume). Naturalmente, tutti coloro che non godano le simpatie del torbido Autore e che suscitino in lui rancore, sono da lui segnate coi marchio delle piü violente espressioni; alcolisti, assassini, figli illegittimi, prostitute da marciapiede, pellacce, branco di bestie, lucidatori di scarpe, inquilini di ca6e di tolleranza, cagnoli bassotti, piedi piatti, truffatori, bestie a quattro zampe cui furono tagliate orecchie e coda, sciacquapiatti, gente dal cuore purulento, seggette da ospedale, pidocchiosi, cavalli da corsa nel campo deH'abbiezione ecc. ecc. (nello scritto; « L e triomphe de la domesticite » pag. 249 del citato volume). Laurent Tailhade, si noti, conta tra gli scrittori di classica prosa dei nostri di. Si avverta ancora che siffatto modo di procedere, mentre costituisce equivalenza di una soddisfazione che diversamente non si puö ottenere, forma al tempo stesso una sorta di « autoconsolazione » per chi non trova modo (individuo o pubblico che sia) di sfogare materialmente la propria aggressivitä e il proprio livore. Mä su questo punto rimandiamo lä dove (parte quinta della presente opera) parleremo delle autoconsolazioni. Negli assalti che l'ira, l'odio, la Vendetta — pur sotto lo splendore della sublimazione artistica — danno alle cose e agli uomini, anche il linguaggio, abitualmente corretto e decoroeo, puö farsi triviale, dal che quell'irrompere che spesso vediamo — pur nella piü squisita opera letteraria — di frasi volgari e non rifuggenti, persino, dall'aperta oscenitä; frasi che solo il piü basso volgo, o criminale, usa adoperare e che vengono a costellare lo sfogo iracondo dell'artista. Vero e che il significato profondo del linguaggio triviale, turpe, osceno (rustica verba, sordida verba, erotica verba), sia esso manifestantesi nel comune parlare del volgo o risalente alla superficie in speciali momenti di non efficacia delle stratificazioni superiori della personalitä (e anche in certe epoche di crisi, di dissolviinento e di violenza), non si comprende soltanto grazie all'accenno in questione; occorre scendere assai piü in fondo e tener presente il meccanismo di alcuni processi psichici di cui parleremo p i ü in lä quando tratteremo del significato profondo dei sordida verba. ecc.. ma per il momento basti l'accenno
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or fatto. E valga, ad esempio, l'irrorapere dell'insulto triviale e anche osceno che piü volte sorprende e ruinoreggia nel tranquillo e placido scorrere della poesia catulliana. II Poeta, che p u r e il non sorpassabile autore dei carmi chiamati «dotti», quali l'Epitalamio, il Canto nuziale, le Nozze di Tetide e altri, di greca fattura, e delle brevi poesie, piene di dolcezza, a Lesbia, non rifugge —• quando l'ira e lo spirito di Vendetta, o la semplice malignitä, si fanno in lui sentire — dal piü grossolano insulto tradotto in grossolane immagini... il tutto pur semp r e segnato dall'impronta dell'arte. Dolcissima, invero, la poesia di Ca^ tullo, ma il miele dei Parnaso si fa aceto quando il poeta ha da attribuire ai suoi nemici e ai suoi rivali i piü disonorevoli vizi e i piü risibili difetti. Si ricordi qualche verso. Gelio e un incestuoso trattenendosi con le sue donne abiectis tu• nicis (LXXXVIII). Lesbio e bello sed tarnen... nessuno vorrebbe un bacio dalla sua turpe bocca (LXXIX). Egnazio mostra candidi denti, ma sono essi candidi perche quell'individuo se Ii pulisce (sibi solet dejricare gengivam con un certo liquido (quod minxit) che la decenza vieta di nominare (XXXIX). Se Rufo a nessuna donna piace, gli e perche le spaventa col suo pessimo fetore (crudelem nasorum pestem) e perö tutte lo fuggono (LXIX). Suffeno non e mai cosi contento come quando scrive versi, ma quei versi sembrano scritti da un villano (XXII). Ario crede pronunciare elegantemente quando parla (chommoda dicebat si quando commoda vellet dicere) e pronuncia invece in modo ridicolo LXXXIV). In quanto a un tale che si chiama Cesare, il Poeta non se ne cura affatto, non desiderando nemmeno sapere se e bianco o nero. P e r qualcuno non mancano gli epiteti di lestofante, vampiro, truffatore, pervertito (impudicus et vorax et aleo) (XXIX). Vibennio padre e il p i ü grande dei ladri (o für um optime) mentre Vibennio figlio e qualcosa di peggio ancora (o cinaede fili), poiche se il padre h a le mani sporche il figlio le ha piü sporche dei padre ed ha 6porca anche altra cosa (XXXIII). Gli Annali di Volusio dovrebbero essere gettati al fuoco (XXXVI) e sono tra la piü immonda cartaccia, Annales Volusi, cacata charta). Emilio e un uomo puzzolente da tutte le p a r t i : «Sarei imbarazzato nella scelta se fossi costretto ad annusargli la bocca o altro (os an culum olfacerem) (XCVII). Cominio ha una lingua che dovrebbe essere tagliata e data in pasto agli avvoltoi (lingua execta avido sit data volturio) mentre tutto il resto dovrebbe essere divorato dai corvi, dai cani e dai lupi (XVIII). Nasone e il p i ü occupato dei bagascioni (pathicus) ed ha a farc con molti uomini (CXII). Mentula 16.
-
L'Io.
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e ricco e straricco (iCXV) e grandissime sono le sue sostanze ma lui, in persona, non e che una indecente parte del corpo (non homo sed vero mentula). AI marifo di Lesbia (LXXXIII) dice semplicemente: « Asino bastato, non capisci n u l l a ! » ( M u l e , nihil sentis). Vetio e putidus, verbosus et fatuus (XCVIII) tanto che se volesse la sua lingua potrebbe leccare vecchie scarpe e altro (...et crepidas lingere carpatinas). E' a dire, con quanto sopra, che il dolcissimo Catullo, tanto lenero per la sua Lesbia — perfida ed infedele — abbia risparmiato nei 6uoi rancori e nelle sue male parole le piü o meno dolci figure del 6esso detto gentile? P e r nulla. La femmina amante di Mamurra (XLI) e senza cervello, spudorata (il Poeta adopera parola crudissima in proposito), femmina dall'orribile naso (turpiculo naso). A un'altra donna, o donnaccia, rimprovera (moecha turpis) l'ignobile andatura, il suo modo di ridere da cane (ridentem catuli ore) e le grida ancora, tanto p e r c a m h i a r e : Moecha putida (XLII). Ancora parlando, o sparlando, 3ell'amante di Mamurra (XLIII) non si fa scrupolo di notare che essa non possiede ne un piccolo naso nfe un bei piede ne occhi neri ne dita affilate ne elegante parlare (nec longis digitis nec ore sicco). Di una certa Rufa, bolognese (LIX), dice — con una sola parola — una perversa oscenitä (Rufa... fellat).
3. - Trasformazioni di impulsioni criminali? P r o p r i o vero, d'altra parte, che altri bassi istinti — oltre l'aggressivitä, l'invidia e simili — possano suseitare e suggerire l'opera d'arte e darle vita esprimendosi in essa sotto le p i ü lucide e irridescenti forme? Chi vuole rifarsi, su tale punto, all'antropologia criminale di Cesare Lombroso ricorderä alcune pagine di lui nelle quali si dice di grandi artisti che lasciarono nelle loro opere impronte piü o meno velate di delittuo6e sollecitazioni; in qualche poesia di Byron trovarsi l'impronta del rimorso, della violenza, di malvagie passioni e rappresentarsi persino l'incesto oltre che tentarsi una sorta di apologia, come nel Caino, del malfare per la quäle i rappresentanti mistici del male come Lucifero e Caino sono piü accarezzati, e qualche volta 6embrano piü logici, di quelli del bene (1). L'illustre antropologo e psi(I)
C.
LOMBROSO,
L'uomo
delinquente,
Torino, ed. del
1896,
vol. I, p.
597.
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chiatra faceva citazione di quanto sopra, non giä per indicare il processo psicologico della trasforniazione e sublimazione dei bassi istinti nell'opera d'arte che dä libero sfogo e autoconsolazione, ma per insegnare come vi fo6se lievito di delinquenza o di malvagitä pur nel fondo dell'animo dei grandi, in ispecie consacrati all'arte (genio e follia?). A questo proposito sembrerä non poco ardito il dire del Lombroso sul Foscolo : nelle due tragedie Ricciarda e Tieste dipingersi la violenza delle passioni stesse del Poeta compiacendosi questi troppo spcsso di delitti, di stupri e di adulteri. Invero, di se stesso il poeta delle Grazie e dei Sepolcri piü di una volta fa piltura in cui profondi e oscuri istinti, quasi perversi, appaiono; or egli canta: Cieca e la mente e guasto il core... oppure : La fame d'oro, arte e in me fatta e vanto, aggiungendo: Tal di me schiavo e cTaltri e della sorte, Conosco il meglio e al peggior m'appiglio
a tutti aspro e a te stesso; oppure: Pronto, iracondo, inquieto, tenace: Di vizi ricco e di virtü, dd lode alla ragion, ma corro ove al cor piace. E in altro luogo ancora: Cauta in me parla la ragion, ma il core, Ricco di vizi e di virtü delira
Arditissima, e davvero poco accettabile, la strana interpetrazione (che giova, tuttavia, qui ricordare) data da Fr, Hebbel a qualche tragedia shakespeariana: « Se Shakespeare non f u assassino, gli e che pote liberarsi dai suoi impulsi scrivendo Macbeth ». L'angosciato e violento autore di Maria Mpddalena alludeva, in certo modo, a se stesso poiche intendeva dire — a un critico suo ammiratore il quäle gli esprimeva timore di vederlo cadere in malattia della mente per il grande lavoro — che non sarebbe mai divenuto pazzo dal momento che poteva esprimere le sue pazzie nell'opera d'arte. Ma da ciö all'accertamento di vera e propria malvagitä — sia pure fortemente e aspramente contesa e repressa — vi e qualche dislanza.
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P i ü nel vero, forse, il nostro criminalista quando nelle medesirae p a gine or rammentate suggerisce — passando dai poeti agli artisti dei colore — che orrende scene di sangue, di torture e di martirio, portate dalle piü ardenti tavolozze sulla tela, corrisponderebbero essenzialmente a tumultuoso e irrefrenabile sfogo di violenti e forse anche crudeli istinti che tormentano insoddisfatti il profondo dell'artista. Alcuni pittori omicidi quali il Caravaggio, lo Spagnoletto e qualche altro, amarono dipingere scene selvagge o di sangue, come la strage di San Bartolomeo, le torture di San Girolamo di S i o n ; anzi, p e r una simile predilezione, Molyn f u detto il Tempesta. Si citano in proposito altri nomi (persino quello dei grande e fastoso Charles Lebrun) al r i guardo dei quali, tuttavia, vi sarebbe assai da discutere.
CAPITOLO
TEKZO
DEVIAZIONE DEI BASSI ISTINTI E SUE VAR1IE FORME L'istinto profondo e poco confessabile non trova modo di uscire •dalla sua notte per via della sublimazione, cioe a d i r e della elevazione, anche modesta o modestissima o, semplicemente, artefatta? P u ö trovare sua rispondente espansione, sua soddisfazione ed equivalenza, grazie a una abile deviazione, che non e davvero una sublimazione• II che si produce quando l'Io riesce ad applicare l'esternarsi dei profondo istinto, e quindi «scaricarsi », in forma di attivitä p i ü o meno lecita e persino talvolta ricompensata con lodi e applausi della folla, o di certa folla. La qual cosa da all'Io, in tal modo « scaricato» e liberato, la sensazione dei realizzarsi in attivitä concreta dell'istinto e p e r ö il piacere e il benessere fisico e non fisico che ne risultano. Categorie varie di siffatte deviazioni si danno, delle quali tenteremo ordinata esemplificazione.
1. - Adattamenti a speciali attivitä professional!. Lo Scannatore descritto da Eugenio Sue nei Misteri di Parigi, ad esempio, non poträ forse deviare legittimamente i suoi profondi istinti d i colore sanguinario mettendosi a capo di un grande e portentoso maeellatoio? Vero e c h e il romanticismo dei fantasioso n a r r a t o r e fa guarire, come per tocco magico, l'anima di quel crudele trasformandolo quasi in quello di un angelo, prima ancora che a quel crudele 6i off r a l'onesto esercizio dei sangue; tanto che neppure allo sguardo dell'agnello morente, il giä crudele Scannatore sa resistere... ma e p u r vero che la deviazione ideata dal romanziere per d a r legittimo varco d i uscita all'irrequieta agitazione dei suo personaggio, puö rispondere a veritä. Assai crudamente (ma con esatta rispondenza alla veritä?) il grande Balzac, in u n o di quei suoi panoramici romanzi in cui con t a n t o
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pessimismo parla dell'umana psicologia e dell'umana Societä, fa d i r e alla giovane M.lle du Tillet, figlia del banchiere du Tillet: « L e aggressioni e gli assassini sulle strade maestre sono vere azioni di pietä e caritatevoli in confronto con certe eombinazioni finanziarie. Ai grandi uomini d'affari importa meno che nulla il t r a r r e la gente a rovina ». Diremo, con ciö, che l'autore della Commedia umana abbia creduto vedere come certi figuri di finanzieri e di uomini d'affari, anche di primo piano, altro non siano che personaggi i quali tramutano sapientemente la diretta esplosione del loro istinto di accaparramento in azioni legittimamente, o quasi legittimamente, ammesse? La moderna anlropologia e psicologia criminale, si noti, ha ben voluto dire un qualche di simile (1). Senza ricorrere a pagine di fantasia, si ricordi quei che oggidi insegna la nuova scienza detta « orientamento professionale ». Essa studiando — tra l'altro — e mettendo in evidenza le vere e le false vocazioni dei bimbi o dei giovani, e operando in ciö per mezzo delle cognizioni fornite dalla psicologia profonda e anche grazie al metodo che abbiamo altrove chiamato dell'interrogatorio e della confessione o grazie ad altri sistemi ancora, mette in evidenza come si possa trovare nell'esercizio di alcune professioni l'equivalenza — se non il vero e proprio concretarsi in realtä — di bassi istinti quali la violenza, la crudeltä o, quanto meno, la fredda insensibilitä... E persino si puö trovare nell'esercizio di tale o tal altro mestiere una legittima o quasi legittima applicazione e deviazione della gioia di veder soffrire (neronismo) o — anche questo! — della assoluta inadattabilitä al lavoro normale, o dello spirito di vagabondaggio e via dicendo. II giovane B u t i f e r — ardito personaggi o di un romanzo balzacchiano — e un irrequieto e impenitente contrabbandiere « ma (dice di lui il buon dottor Benassis) per quanto sia egli su assai caltiva strada, venga il giorno in cui la nostra terra si dovrä levare contro il nemico, e quell'uomo, alla testa di un gruppo di giovani animosi, saprä far fronte a un intero regciimento » (Le medecin de campagne, p. 161 dell'edizione non illustrata del centenario). Quante forme di attivitä, invero, di cui il vivere sociale p u r si serve e di cui la Societä tiene perciö a mantenere l'azione, rientrano in una delle umane categorie di cui stiamo narrando! Qualcuno osservö, ad esempio, che la dura Serie di ricerche di laboratorio in fisiologia (1) R.
LASCHI,
La delinquenza
bancaria
ecc. Torino,
1899.
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o patologia e travagli analoghi, provando e riprovando su categorie varie di animali volutamcnte sottoposti dall'esperimentatore a ogni sorta di sofferenze, potrebbero fornire — a quanto p a r e — validi equivalenti in cui un profondo istinto aggreseivo da liberare trova quasi gloriosa via di uscita. In altri t e r m i n i e in parole povere e schiette, si asserirebbe che se l'anatomico, il fisiologo vivisezionista, il chirurgo e persino l'odantoialra, si sono dati al loro difficile e sapiente compito, ciö accade in quanto la loro vocazione mascherava aggressivi istinti profondi (sino alla crudeltä?) che per la libera via della professione trovano legiltimo sfogo. Curiosissima Cosa da notarsi a proposito della « c r u d e l t ä » di siffatti sperimentatori: schiere di rispettabili e giä mature zitelle che deviano (potremo dire; sublima110?) i loro insoddisfatti desideri profondi di affettivitä e di maternitä mancata, o di mancata soddisfazione di vero e proprio amore, con una zoofilia che giä desto la beffa dei Parini e che la psicologia analitica e non analitica talvolta ebbe ad anatomizzare, f u r o n o tra le piiii feroci denunciatrici di tante crudeltä, bandendo crociata contro i crudeli dei laboratorio di fisiologia, si da invocare per questi vivisezionisti poco meno che la vivisezione stessa (occhio per occhio, dente per dente). Costoro, a loro volta, risposero — come ebbe a fare il fisiologo Al|essandro Herzen (junior) in un denso suo volume —• facendo elenco di tutte le inaudite sofferenze che cuoche e sottocuoche e altre donne di cucina o non di cucina (zitelle e non zitelle) fanno subire all'innocen(e famiglia degli animali affinche le maciullate e ben preparate carni possano riuscire di maggior gradimento agli umani palati. Due schiere, allora, l'una contro l'altra armate (quella dei vivisezionisti e quella delle vecchie zitelle), che t r a d u r r e b b e r o in attivitä degne di essere prese in ogni considerazione i loro istinti profondi, non sempre apertamente spicgabili o che liberamente non cbbero modo di trovare via di uscita? Ancora un esempio, e sempre nella via della deviazione legittima e p i u che legittima. Monsieur Lecoq, il celebre e ingegnoso agente di polizia creato da Gaboriau, aveva cominciato la vita sua in piena miseria e tra infiniti guai: il suo lucido talento, inventore e costruttore, gli faceva concepire, tra le infinite angustie in cui egli si dibatteva, i piü abili piani di raggiri, di frodi e di furti che mai potessero essere immaginati e che lo avrebbero d'incanto sottratto alla miseria; sorprendendo se stesso nelle fantasticherie di tale piano inclinato, preferi dedicare quel talento alla ricerca dei malvagi, alla soluzione dei piü
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intricati problemi di investigazione giudiziaria e alla caccia dell'uomo. Ed entrö nelle file della polizia diventando... il celebre Monsieur Lecoq, precursore — senza saperlo, naturalmente! — di Sherlok Holmes (cap. II della prima parte del romanzo di G-aboriau intitolato a quei sorprendente personaggio) (1). Nello stesso modo, piü di uno spirito irrequieto trova maniera — fuggendo le diuturne e pesanti costrizioni della vita civile — di liberare il proprio irrefrenabile istinto di inadattamento, di vagabondaggio e persino di cruda primitivitä, lanciandosi fuori dai ristretli confini dell'orizzonte che lo vide nascere e agitarsi alla ricerca dell'avventura. Ne consegue assai volte un utile legittimo per chi cosi si dä ad altri cieli e ad altre terre, e un utile, inoltre, per coloro che l'avventuriero lasciö dietro di se. Molte storie di arditi popolamenti e di messa in valore di terre mai per l'innanzi battute se non da animali selvaggi o da selvagge popolazioni, potrebbero narrare di questi irrequieti che — in certo senso inadatti o insofferenti airambiente di origine — si mescolano alle prime e volonterose correnti di audaci e nobili pionieri, trovando legittima, felice e utile realizzazione dei propri instabili sogni. Con il che, c evidente, per nulla si attenua o si scolora o si degrada il generale carattere di quelle grandi correnti di pionieri ai quali sempre va la strofa del poeta : Pionieri! o pionieri! Indugiar non possiamo. Dobbiamo marciar, diletti, dobbiamo afjrontare i Noi, muscolose razze: su noi poggiasi tutto. Pionieri! o pionieri! (Walt Whitman).
perigli,
Continuando, largamente vi sarebbe da far menzione di coloro che — in momenti di torbidi, di tragici rivolgimenti e di sociali convulsioni, allora che il normale e tranquillo ritmo della vita collettiva bruscamente si spczza — approfittando del momento e mettendo in valo(1) Per la storia romanzesca di tale personaggio e di altri analoghi, e confronto fra le gesta di essi e i metodi dell'investigazione giudiziaria scientifica, rimandiamo alle nostre Memorie: L'istrutloria giudiziaria nel romanzo e nella scienza; - Note introduttive allo studio della perizia su documenti scritti, entrambe nella «Giustizia p e n a l e » , I presupposti, Cittä di Castello - Roma, fasc. I e segg-, 1937; fasc. 1V-VI, 1933, in cui si troverä anche citazione di analoghi nostri lavori, precedenti, sul medesimo soggetto.
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r e le loro qualitä di ardimento senza scrupoli, di violenza e altro, faeendosi innanzi riescono a suggestionare, a guidare, a dettar norme di «leggi»... e a eonquistare per 6e lauta dose di ricchezze. Mirabile applicazione automatica delle deviazioni in forme legittime o pseudo legittime di attivitä sociale, le quali fanno di colui che istintivamente sarebbe segnato dal piü profondo marchio dell'antisocialitä, un fortunatissimo professionista della vita pubblica. C'on tali uomini che ricorrono alle violente forme della condotta, senza scrupoli soverchi e spesso privi di senso morale 6ia per natura congenita, sia per cccitä parziale prodotta da odio di parte, si guidano dittatorialmente gruppi e Societä non tanto come il pilota conduce la sua imbarcazionc, ma come il pirata la sua nave. In cotali mestieri o mansioni talvolta si incanalano persino coloro che, fuori da quell'ambiente o da quei compiti, sarebbero forse caduti in aperte forme di delitto apertamenle passive di repressione giudiziaria; il corsaro £ munito, allora, di legittime patenti da corsa e puö finire i suoi giorni in una sorta di gloria, per quanto ciö non sempre accada, come infatti insegnano e continueranno a insegnare la Storia e le cronache. Si pensi — per non parlare ehe dei passato — alle Cronache fiorentine di messer Dino Compagni, per non dire di altre cronache di ieri, di ieri l'altro... e certamente di domani.
2. - Simbiosi sociale. I fondatori della nostra antropologia criminale italiana giä da t e m p o avevano indicato come certe attivitä, proprie a taluni individui i cui profondi istinti sono fortemente colorati di tinte criminali o criminaloidi, possono talvolta piü o meno bene inquadrarsi nella vita normale portandovi p u r anco utili frutti per la Societä. Almeno, per quella data forma di Societä in cui essi, anche in semplice sottordine — chiodo, carrucola, avrebbe detto il poeta degli Eroi della soffitta, e meno ancora — si sono inquadrati. Questo felice •— chiamiamolo cosi — contributo che le impulsioni criminaloidi, sotterranee, piü o meno represse in alcuni lad e poi piü o meno legittimamente deviate all'esterno, possono recare al funzionamento normale della vita collettiva in certe condizioni, e all'attivilä sociale utile, legittima e « n o r m a l e » , fu indicato col nome di simbiosi sociale. E cioe «simbiosi» tra la cri«ninalitä e la non criminalitä, oppure anche — con aspra durezza —
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utilizzazione del delitto. Simbiosi — 6i ricordi — ossia associazione tra due o piü diversi organismi viventi, che permette loro di svilupparsi e di vivere. In altre parole, convivenza di due esseri non simili che stanno fra loro in intimia comunione con rispettivo reciproco vantaggio. Ancor oggi egregi criminalisti tornano a definire la simbiosi sociale come, in generale, la utilizzazione di elementi in se socialmente passivi (o inadatti) a fine di interesse collettivo, aggiungendosi c h e in criminologia 6i ha simbiosi allorche si cerca di sfruttare le disposizioni criminose (o analoghe) traendone bene. Ricavare, cioe, dalle energie pronte a 6caricarsi nell'illecito, una funzione ed un risultato contrario a quello a cui potrebbero e vorrebbero dirigersi (1). 11 rapporto di Enrico Ferri al Congresso di Amsterdam 1901 (C. R . Amsterdam, 1901, p. 223) sulla simbiosi del delitto aveva detto: 1° E ' la utilizzazione della delinquenza e del delinquente « e n le canalisant dans formes moins nuisibles et plus favorables ä la collectivite....»; 2° Distinguendo gli anormali in involutivi ed evolutivi, si noti che l a simbiosi sarebbe piuttosto applicabile agli evolutivi, ma si ammette perö che sia anche realizzabile, in forma pi{j limitata, per gli involutivi. Si parla di tutto ciö come se la simbiosi fosse un'azione voluta per mezzo di misure legislative o analoghe, ma e evidente — diciamo noi — che il fenomeno si produce anche automaticamente. Anzi, sta proprio qui la sua caratteristica. In generale, si potrebbe osservare che alcune forme di attivitä politica o analoga, alcuni aspetti delle guerre, le diverse forme di lotte e di concorrenza civile, le rivolte dirette a instaurare un ordine che si reputa p i ü elevato del precedente, le diverse macchinazioni di intrighi e di speculazioni economiche e via di seguito, costituirebbero o potrebbero costituire, secondo che giä dissero i nostri primi antropologi criminalisti, altrettante attivitä nelle quali non poche sorta di profondi istinti antisociali pur trovano — deviando — legittimo sfogo, rendendosi per tal modo e in certo qual senso — ben inteso senza volerlo — utili alla Societä. I medesimi antropologi criminalisti facevano al tempo stesso osservare, con alquanta originalitä, che se il delitto e la attivitä egoistica a base antisociale rimangono fenomeni eterni nella vita collettiva nonostante le secolari e spietate repressioni e torture T segno e che tali categorie, in ispecie quando si manifestano sotto certe (1) A .
lano,
1943,
ZERBOOLIO,
diretto da
nella voce: Simbiosi, E.
FLORIAN.
A.
del Dizionario di criminologia, e N . PENDE.
NICEFORO
Mi-
Trasfcrmazioni
e mascherature
de.gli istinti
profondi
251
forme eontrollate di deviazione, possono essere utili alla vita sociale (1).
3. - Deviazioni predatorie (giuoco e giccatori). Di natura tutt'altro diversa, almeno nella esteriore sua forma, da quelle or ora indicate, e quella deviazione legittima o quasi legittima o sulla quäle si chiudono gli oechi — che di recente qualche chiatra (D. Marguglio) credette poter mettore in evidenza a proposito dei giuoco e dei giuocatori. Si intenda; giuoco per denaro e in ispecie giuoco — come si dice — di azzardo; e si intenda anche che si tratta non solo della passione insistente o dominatrice in determinati individui per tale sorta di giuoco, ma anche dei casi in cui a tale giuoco gli individui si danno senza, per cosi dire, ossessione, ma per scopo professionale. Gesti di tal genere sono forse l'espressione — deviata — di un istinto profondo non confessabile, che trova la sua « scarica »• al tavolo di giuoco? a) Premessa.. Prima di venire specificatamente al tema, ci sia permesso premettere alcune nostre osservazioni. Premettiamo, cioe, che giä la prima antropologia criminale aveva p a r l a t o dei modo con cui la tendenza o la passione per il giuoco (venale) si manifesta in tale o tale altra categoria di anormali, e in tal dire quei primi studi si servivano sia di raccolte di osservazioni precedentemente compiute da studiosi vari, sia di dirette ricerche condotte nelle carceri e altrove. L'antico trattato di H. A. Fregier, ognor citato, sulle « Classes dangereuses ecc. » (Bruxelles, 1840), consacrava un breve capitolo alla passione dei giuoco da p a r t e dei professionisti dei giuoco e dei malfattori (anche, per questi ultimi, nelle carceri), passione da esprimersi persino con un vero f u rore : « Le jeu est une des passions aux quelles la classe vicieuse se livre avec le plus d'ardeur... Aussi les preposes de la police 6ont-ils tous enclins ä mal augurer de cette classe d'hommes, dont ils ne parlent qu'a( 1 ) C. L O M B R O S O , L'uomo V edizione, 1897.
delinquenle,
volume III, p.
611
e segg., Torino,.
2S88
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quarta
vec une profonde commiseration et comme de gens devoues au crime » (p. 105). Anche dal sempre citato lavoro di N. Lauvergne (Paris, 1841) sui forzati si riportavano medesime conclusioni, mentre giä il classico libro di A. J. B(. Parent Duchätelet sulla prostituzione (Bruxelles, 1837) forniva indicazioni del medesimo genere per quei che riguarda usi e costumi delle prostitute (1). N e W U o m o delinquente si toccava della passione per il giuoco da parte dei delinquenti: « Dopo i piaceri della Vendetta e della vanitä soddisfatta, il delinquente non trova diletto che superi quelli del vino e del gioco » (I, 462-464), Si diceva, inoltre, dell'ingegnositä con cui, ricorrendo ai piü strani artifici, i carcerati sanno crearsi nella prigione stessa carte da giuoco (I, 603) e si diceva, d'altra p a r t e , che — per contro — gli alienati hanno solo di rado passione per il giuoco (I, 469), riferendosi tuttavia agli alienati giä in atto, rinchiusi nei manicomi. Sicche, per grandi categorie di anormali — professionisti del giuoco, delinquenti delle carceri, prostitute — si veniva (in veritä senza troppo approfondire) a indicare tale passione come una caratteristica della psicologia di tale gente. E cio senza escludere che taluni candidati all'Ospizio psichiatrico si trovassero pur anco in tali condizioni; viene in mente lo stranissimo personaggio della Donna di picche di Pusckin che passa la febbrile sua vita tra le sorprese e le ansie del giuoco e che cosi tragieamente viene travolto dalla sua idea fissa da cader nella follia: «Herman, impazzito, e rinchiuso nell'ospedale di Obuchov, nella cella n. 17; non risponde ad alcuna domanda e borbotta con una rapiditä vertiginosa: tre, sette, asso! Tre, sette, donna di picche!...».
b) Una
classificazione.
Passione o follia del giuoco, dunque, e anormalitä? In ogni modo, prima di venire a parlare della nuova maniera di vedere la deviazione-giuoco, ancora una premessa; occorrerebbe, cioe, distinguere categorie varie di giuocatori. Invero, giä da qualche tempo nell'esame psicologico dei giuocatori si erano distinti, sulle tracce di classificazio(I) Per la storia dei vari studi riguardanti i caratteri psichici e anche fisici dei criminali, studi che precedettero e quasi prepararono le piü moderne indagini sul tema, rimandiamo a tutto il capitolo primo del nostro volume: Criminologia; vecchie e nuove dottrine, Milano, 1941 di cui si sta pubblicando una 6econda edizione notevolmente ampliata.
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ni analoghe compiute sui criminali dall'antropologia criminale, gli occasionali dai passionali (per tendenza irresistibile e voluttä di lotta. e cioe anormali monotipici) e professionali, questi ultimi di solito a tinta criminale (1); per nostro conto potremmo indicare come segue. a) Mettiamo subito da parte il giuoco che richiede speciali attitudini, abile esercizio dell'intelligenza e che costituisce (poniamo: la partita a scacchi, senza posta di danaro) quel piacere spirituale che accompagna il lavoro dell'intelletto, un derivato di esuberante attivitä intellettiva. b) Ma vi e pure quella passione per il giuoco che e prodotta e alimentata dalla morbosa ma ricercata sensazione dei rischio da correre e quindi dal subito piacere che si prova quando il dado o la carta improvvisamente annunzia la vittoria; tale passione puö, sino a un certo punto, essere scevra di contcnuto venale. c) Ben altro motivo, invece, potrebbe trovarsi nella necessitä di distrazione che si impone a quegli individui i quali, pur non essendo impediti di distrarsi con letture o in convcrsazioni varie, non sanno — per povertä di pensiero o per altre täre biopsichiche — trovare tale distrazione se non nel giuoco; ed anche qui il contenuto venale potrebbe passare in seconda linea. d) Accanto a tali giuocatori, impotenti a distrarsi fuori dei giuoco, possono coJlocarsi coloro i quali, non per la ragione or detta ma per necessitä prodotte dal loro isolamento in prigionia o in altra maniera, credono poter ricorrere a tale modo di svago. Gli uni (c) diventano giuocatori alla ricerca dello svago, per natura —• si potrebbe dire — congenita (povertä di pensiero, altre forme di debilitä) - mentre gli altri (d) sarebbero piuttosto da classificarsi tra i giuocatori (ostinati) per motivi amhientali. e) Non si esclude che possa trovarsi interpetrazione causale della passione per il giuoco in alcuni individui, per il semplice fatto di una persistente infantilitä dei loro spirito: il giuoco — e intendiamo parlare dei giuoco in generale — che e tanto importante categoria nel comportamento e nell'attivitä degli animali, diventa anche importante categoria nella vita psichica e nell'attivitä dei bimbo, da ollrepassarsi poi o modificarsi con l ' e t ä ; si comprende che un arresto in quel primitivo stato infantile puö detcrminare la permanenza al tempo stesso di quell'attivitä e passione, sia pure sotto nuovi aspetti. /) Rimane infine la categoria che particolarmente qui interessa e cioe quella che raccoglie i veramente avidi di
(1)
G.
CAHAMANNA, /
giuocatori
1898, cosi citato da D. MAncucno.
in rapporto
alla psicologia
e alla
psichiatria,
2S88
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guadagno e di preda e che da tale aviditä sono ferocemente 6ospinti, insistendo — tale passione —• in modo continuo lungo interi periodi della vita, o apparendo soltanto a quando a quando con l'occasione, ma sempre con voce dominante e imperante. Veniamo dunque al tema, ancor premettendo qualche nostra osservazione.
c) Istinti
predatorii?
Istinto da predoni? II predone Caligola, che e tra gli imperatori •di cui Svetonio canta le gesta a insegnamento per gli ammiratori di certe grandezze, il predone Caligola — diciamo — era un giuocatore di polso; tanto istinto di preda poneva anche nel giuoco che u n di, dovendo sospendere il giuoco in cui si tratteneva, si fece sostituire momentaneamente da qualcuno che giuocasse in sua vece, ma nel frattempo trovava modo di estorcere denaro a due cavalieri e con quei denaro tornando al giuoco eselamava mai il giuoco essergli andato bene come quei colpo: exultans rediit gloriansque, numquam se prosperiore ales usum. II giuoco in tal modo inteso, allora, potrebbe significare l'esterno modo di dar soddisfaeimento aH'istinto predatorio? II nostro Guerrazzi scrisse, in proposito, parole roventissime descrivendo — e condannando — gesti e anima di uomini che a tal passione di preda con cieco f u r o r e si abbandonano, e precisamente tale descrizione si legge in quei XIII capitolo de L'assedio di Firenze in cui si narra della notturna veglia nel campo dcU'esercito imperiale assediante la cittä; sotto la tenda di Filiberto, principe d'Orange, si giuoca disperatamente a dadi e a carte cercando intascare oro il pifj possibile: « Invano cercheresti nel mondo cosa che p i ü del giuoco tornasse funesta agli uom i n i ; esso conduce seco per mano la ignoranza, la miseria, la disperazione, piü tardi il delitto... Giuocavano, e quivi avresti potuto contemplare le mani trepidanti di tutti e cioe del perditore per passione di sapersi spogliato, del vineitore per cupidigia di rapire l'ultimo soldo, e gli occhi scintillanti di vivido splendore nel favorito dalla fortuna... ». Recentemente, meglio si tentö fare esame di quella passione e di quella cupidigia cercandosi ricollegarc la passione per il giuoco (venale) a quei sistemi di deviazione degli istinti profondi di cui in precedenza noi stessi (1932, 1941) avevamo fatto elenco. Richiamandosi, infatti, alla nostra esposizione (sublimazioni, deviazioni, autoconsolazioni, perversioni, evasioni, autogiustificazioni, ecc.) il Mar-
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guglio si domandava se, negli uomini appassionati con furiosa insistenza per il giuoco (venale), il giuoco stesso non costituisca proprio una di quelle forme di deviazioni legittime o pseudolegittime di cui noi avevamo parlato e in cui si scaricano gli istinti profondi poco confessabili: nel caso specifico, l'istinto predatorio. Si mettono in rilievo alcune antiche osservazioni di G. Caramanna con le quali 6i notava che il giuoco comporta aspri motivi di denaro con accompagnamento di egoismo, invidia e odio, per quanto coperti, ma si imperiosi da f a r tacere altri 6entimenti. E in base a tutto ciö l'Autore — D. Marguglio — si domanda se il giuoco con posta di denaro, insistentemente e appassionatainente ripetuto, non rappresenti il fenwneno piü tipico di un processo di evasione dell'istinto predatorio < attraverso regole bilaterali che compongono un complesso di autogiustificazioni per chi vince e di autoconsolazioni per chi perde » (1). Se e vero quanto 6Cp r a , « istinto predatorio » trova evasione non soltanto quando si tratti di giuochi detti d'azzardo — come par intendano gli studiosi della psicologia dei giuoco — ma anche, ci sembra, allorquando all'azzardo e riserbata minore o minima parte e si fanno piuttosto sentire l'abilitä e la maestria dei giuocatore. Anzi, potrebbe forse dirsi che in questa seconda categoria di casi vi e piü vivo l'istinto predatorio per quanto appaia p u r esso quando il guadagno e dovuto all'azzardo: gran gioia poter tanto conquistare all'avversario, grazie al semplice voltarisi di una carta!
d) II giuoco d'azzardo
della
vita.
Su questo ultimo punto potremmo ancor aggiungere qualcosa riguardante la speciale psicologia di coloro che, cercando cupidamente di carpire il successo nella vita con l'affidarsi all'azzardo, alla fortuna, alla propria Stella, agiscono nella vita come il giuocatore al giuoco della zecchinetta. Da un lato si gusta il patologico piacere, proprio a uno 6pirito anormale, di vivere passando di pericolo in pericolo, ma anche in aspettazione (drammaticamenle alternata di timore e di speranza) dei piü clamoroso successo; d'altro canto, ci si abbandona all'idea fissa, irragionevole, della propria Stella: idea megalomane, que-
(1)
D.
MARCUGLIO,
Spunti
di profilassi
psico-morale;
nella « Scttimana medica», Palermo, n. 7, 1942.
giuochi
e
giuocatori,
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st'ultima, che a lungo andare lavorando puö condurre alla tragedia, sicche si diventa vittima della propria megalomania. «Giuocatori» di tal genere, nella vita — come intorno a un tappeto verde di una bi~ sca — ve n e furono, grandi e piccoli, or impegnanti soltanto il prop r i o personale destino, ora quello degli individui (associati, azionisti, e altri) che al giuocatore, trascinato daH'ebbrezza dell'azzardo e dalla fiducia nella propria fortuna, si affidarono. II piü. delle volte siffatti « giuocatori » per mezzo delle loro carte e dei loro dadi giuocano il denaro degli altri e persino la vita e l'onore altrui. Gfettando il dado... la fortuna aiuterä. Se esce il doppio sei, sarä per loro il trionfoGrandi e piccoli, dicevamo, siffatti giuocatori... Grandi come Law o come Lesseps, o come i celebri maneggiatori di denaro nella Roma antica e nell'ancien regime di Francia (G. D O I S A ' , La delinquenza negli affari, Torino, 1928) o come i riveriti pirati della Borsa, genialoidi quali il Saccard dell'Urgent zoliano o il re dei fiammiferi Ivar K r u e ger che seppe creare un dominio industriale su cui il sole mai tramontava, o un qualsiasi altro re del baccalä, o del petrolio. Oppure, piccoli che si credono grandi anche perche il buon pubblico e il mondo dei servi in cui vivono Ii proclamano t a l i ; rassomigliano a quei nani che vedendo in sul cadere del giorno la loro vacua ombra proiettarsi lunga sul suolo, credono di avere quella statura. Anche costoro affidano alla fortuna il proprio istinto predatorio per ottenere e carpire un 6uccesso che altrimenti difficilmente potrebbero conquiStare. Anche qui, il giuoco d'azzardo — nella vita — e l'espressione di una intensa cupidigia (di successo) e di uno stato psicologico profondo di anormalitä.
4. - Altre deviazioni: nudismc, sportismo (ancora l'Eros e l'aggressivitä). Si offrono, oltre le sopra dette, altre vere e proprie deviazioni quasi legittime o addirittura legittime e in ogni modo liberatrici, a pertamente spiegantisi al cospetto dei cieli e degli uomini, permettenti la « scarica » di profondi istinti quali, in ispecie, quelli di ordine sessuale e di ordine aggressive — talvolta leggermente venate di anormalitä — che sarebbe non breve cosa e forse qui fuor di luogo studi are a fondo, a una a una, con l'aiuto della psicologia — profonda o
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110 — e pur della psicopatologia. Ci si consenta di f a r soltanto qualche esemplificazione cominciando con quelle che si riferiscono al piü o meno ascoso senso di erotismo. a)
Nudismo.
Tra le deviazioni in questione, ad esempio, e quel « n u d i s m o » che in tanti luoghi ha fatto scuola o, quanto meno, tanti dibattiti ha sollevato, si da portare persino alla creazione di una letteratura e di pa^ gine di romanzo. « N u d i s t i » teorici non mancarono che, cercando a fondo nei trattati di igiene d'ogni p a r t e dei mondo, non esclusi i vecchi testi vedici e braminici, giunsero a dimostrare che l'igiene fisica e mentale dell'uomo sta nel nudo; e gli adepti, piü o meno numerosi, accorrono. Obbediscono costoro realmente alla evidenza suggestionatrice dei ragionamento scientifico dominante la sfera superiore d e l l l o , o non fanno se non tradurre e travisare le istanze dell'Io inferiore? I nudisti pratici e praticanti, cosi, si spogliano dei tediosi indumenti che una civiltä maledetta e distruggitrice ha imposto loro, realmente per acceso entusiasmo verso un benefico « stato di natura » abilmente colorito ed esposto in fiabe dalle fervide immaginazioni di Rousseau e di Chateaubriand, o piuttosto per obbedire al profondo impulso — da maseherarsi — che Ii porta a siffatte deviazioni? Non vogliamo dimenticare che la « dottrina » dei nudismo si inquadra o vorrebbe inquadrarsi in una assai piü vasta visione scientificä che va 60U0 il nome di naturismo; se esistono — come fu indicato da Garrel — due sorta di salute; quella naturale e quella artificiale, la prima proveniente dalla resistenza naturale dell'organismo e la seconda riposante sull'azione delle medicine e dei medici, il « naturismo» pretende conservare o raggiungere la salute naturale, definendosi quäle dottrina (come ricordava in una sua conversazione Guido Ruata) che insegna a regolare l'esistenza conformemente alle leggi della Natura e nel tempo stesso un sistema terapeutico che vuol curare le malattie utilizzando i soli mezzi naturali e quindi con l'esclusione di ogni medicamento o di ogni agente fisico artificiale. Qualche pagina o qualche capitolo delle curiose opere di Pierre Oudinot, di P a u l Carton e dei fratelli Daniel insegnino. Ora, il «nudismo » per l'appunto costituisce uno degli aspetti con cui la dottrina naturista si presenta e si applica movendo dal concetto specifico della utilitä o necessitä de! 17. - L'Io.
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bagno d'aria e de] bagno di sole, mentre altri aspetti del naturismo prendono invece in considerazione il modo di alimentarsi (vegetarismo completo o incompleto, crudismo, ecc.) o speciali costumi igienici quali l'idroterapia, la ginnastica svedese e non svedese, ecc... Anzi, si parla proprio di un « naturismo scientifico» il quäle, volendo regolare la vita secondo le leggi della Natura, mette in pratica vari procedimenti di ordine igienico preventivo o no e cura le malattie coi soli mezzi naturali senza medicine. Tutto ciö, in ogni modo, p e r nulla esclude che il particolare compartimento del naturismo da indicarsi coi nome di nudismo, trovi i suoi profondi motivi, oltre che in preoccupazioni di ordine esclusivamente igienico e inedico, in ispirazioni di altro genere, e ciö non tanto da parte dei suoi creatori, quanto da parte degli adepti e consenzienti. In pagine per intero consacrate alla teoria prailica del nudismo ( R O N T E M P S , Nudisme, Paris, 1 9 3 0 ) si legge che la nuditä in comune e rimedio all'ossessione sessuale, esaurisce l'irrequieta curiositä, porta quasi all'indifferenza e « normalizza » le forze genetiche. P a r e che tale sistema sia degnamente applicato da colonie di nudisti nello Chäteau di Garambouville, nell'Eure, credendosi e pretendendosi cosi di « rivitalizzare » I'organismo e la razza. Ottimi pretesti che mal Celano il contrabbando o, addirittura, la patologia mentale. Invero, il caso di una patologia mentale in atto presso tale o tal altro riformatore — a base erotica o no — p u ö piü di una volta servire di inizio a un movimento che si propaga tra adepti contrassegnati da piü o meno lievi tinte di debilitä mentale e di irrequietezza erotica; lo storico delle umane miserie poträ rifarsi alle antiche e vecchie cronache in cui fenomeni di tal genere, o analoghi, ebbero a manifestarsi e ripetersi tra le folle o tra gli adepti di ristrette congreghe.
b) « Sportismo
».
Si aggiunga lo «sportismo » (possiamo permetterci di creare tale parola?). Esso, or sotto i ben trasparenti veli deH'archeologia classica com le sue ridenti palestre e i 6uoi bagni profumati, tanto ricchi di colori e di luci e soprattutto di nuditä, or per consigli tratti a proposito e a sproposito dalla severa saggezza della fisiologia e dell'igiene e che insegnano a rendere bello e sano il corpo perche belle e sane siano le sue attivitä, or infine grazie alla scorta di una speciale psicologia la quäle viene a dire che gli armoniosi e coordinati gesti della ginnastiv
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«a e dello sport modellano l'individuo per meglio fargli comprendere il senso della vita e per condurlo a maggiore socievolezza e a un ammaestramento all'azione non individuale ma sociale, lo sportismo — diciamo — allinea e mette in movimento umane forme, piü o meno discinte, in fulgido spettacolo (1). Spettacolo che e tale, non si dimentichi, tanto per chi guarda da fuori quanto per chi ad esso prende parte. Ecco aprirsi alle rinnovate Ninfe e ai cori dei giovani che lor /anno Corona le acque delle piscine; ecco passare rapidamente dinanzi all'insistente sguardo dello 6pettatore la rapida coorte delle corritrici quasi spoglie di ogni velo perche la « maratona » sia piü rapidamente conquistata; ecco ancora le agili figlie — 6enza saperlo! — deli'antiea Grecia, strette soltanto in breve maglia, lanciare il giavellolto, ben liete di rinnovare in tal modo la classica bellezza, oltre che di farsi ammirare in quesla o quella parte della statuaria loro linea. Anche la breve e brevissima maglia — un simbolo di maglia! — aiuta singolarmente nel suo compito la giovane lanciatrice dei disco... E via di seguito. Potremmo anche riferirci a certe applicazioni della ginnastica •svcdese — o ritenute tali — quando gli esercizi sono eseguiti in armoTiioso gruppo di ginnasti o di ginnaste, e ciö tanto piü quanto piü saitanno spoglie di ogni impacciante indumento le membra da mettersi in ritmico moto. Soddisfazioni, ancora, dei inedesimo genere — sia detto per richiamo analogico — daranno le danze ritmiche tanto spes«o consigliate ed eseguite a titolo di educazione estetica, e anche ginnica, risuscitanti le chiare bellezze di quell'Ellade in cui — a quanto pn're — le danzatrici si muovevano libere da veli; medesima Cosa si diea per i quadri plastici che formano, di tanto in tanto, ripetuto e dilettevole gioco in conversazioni e salotti da parte di amichevoli brigate oltreche, ben inteso, dietro le velate luci della ribalta, quadri plastici che riproducendo talvolta guerrieri chiusi nel ferro e dame d a l lungo strascico, non senza compiacimento risuscitano pur anco i piü deliziosi quadri dell'antica mitologia ove non sono davvero nascosti gli uomini nel ferro o le donne nei velluti. (1) Sui temi: interpetrazione psicologica — ottimista o pessimista — della rinnovata e sempre piü allargantesi attivitä sportiva; significato di tale attivitä, sia da parle degli attori, sia da parte dei pubblico nei riguardi dei senso profondo che ad essa deve attribuirsi, si veda il nostro volume: Sport; gli uomini « le macchine. Studio biomelrico dello sport e degli sportivi, (Roma, 1937, pag. 165 e segg. e anihe pag. 5 e segg.
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Non si ingannerä alcuno (torniamo allo «sportismo» propriamcnte detto) se si vorrä far credere, con elegante pretesto archeologico e classico, che i sopra detti mirabili giuochi sportivi, in realtä utili e belli, in certo senso siano stati pensati e voluti — da chi vi prende parte e da chi assistc — per risuscitare quei giuochi di cui con tanto fulgore disse Virgilio nel canto quinlo del poema suo o da cui colse pretesto Pindaro per cantare le glorie di uomini e di popoli, o siano stati voluti e pensati per risuscitare quei paesaggi di marmi e di giardini che Luciano descrisse in alcuni dei suoi dialoghi e frammenti per narrare le gioie delle terme. Molto meno, poi, si troverä ragione del pronto diffondersi e divampare della passione sportiva in un volere con simile mezzo conquistare a ogni costo la salute del corpo e persino quella della mente (que6t'ultima si ha... o non si ha, ne dal nulla si crea lanciando il disco). Tale motivo, senza dubbio, puö essere indicato ad alta voce e puö realmente figurare tra i motivi determinanti, ma non costituisce davvero il principale ed e6senziale movente, da ricercarsi assai piü in profonditä. c) Continuando (erotismo, vita, crudeltä).
aggressiv
Nelle sopra dette forme di attivitä, dunque, e negli spettacoli che ne derivano e nascosta una profonda istanza erotica che 6i soddisfa in legittime ed anche applaudite forme, ma per nulla si esclude che altra forza ispiratrice si trovi in segreto. Vi si riscontra, in quei segreto, e quindi nel profondo, il perenne istinto dell'aggressivitä e della combattivitä. Ii che varrebbe, cosi per gli individui come per le folle. Sono ben note le vedute di qualche criminalista sui legami che avvincono in certi individui la smania sportiva — in ispecie per certi sport — e l'aggressivitä; anzi, si parlö apertamente di sport e criminalitä, e cosi parlando si credette ben metlere in evidenza non solo la barbarie primitiva perennemente di ritorno in superficie di certi sport, ma anche e soprattutto la psicologia «criminale» o quasi di coloro che a tali sport si dedicano con furore (1). Sarebbe il caso di ricordare con quali orrendi tocclii Victor Hugo nel suo Hamme qui rit descrisse le sagome di certi « sportivi » dell'epoca... ma oggi siamo in altro secolo! (1)
G.
DEL
VECCHIO,
Sport
e criminalitä,
Torino, 1927.
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Medesime considerazioni — come sopra — sono da farei riguardo alle folle che a spettacoli dei sopra detto genere corrono con passione. Anche tali folle vedrebbero, grazie a spettacoli come il combattimento dei galli, le prese di corpo dei lottatori, i colpi sotto la mascclla dei pugili, prendere libera uscita le giä sotterranee aspirazioni ancestrali e belluine di crudeltä. Persino nell'inocente giuoco dei calcio che, sotto spoglie a quando a quando mutate, si tiascina da millenni atlraverso una umanitä la quäle e pur di continuo presa da eure assai gravi, persino l'innocente giuoco dei calcio potrebbe essere veduto e interpetrato, da parte di psicologi nostri, come una necessaria deviazione — alla luee dei sole — dcl rabbioso istinto di combattivitä ed aggressiv vitä posseduto dall'lo profondo di ogni essere che debba e voglia vivere, dominare, sopraffare. In ogni spettacolo di tal genere, lä dove •entrano in gara materiali eompetizioni di lotta dalle piü, brutali alle meno violente e talvolta fanciullesche, tanto gli attori quanto gli spettatori si pongono, per cosi dire, allo stesso livello inquantoche tanto gli uni quanto gli altri (sportivi da un lato e folle concuaie e plaudenti dall'altro) danno libero e aperto sfogo a quei complessi istinti agonistici che immessi per allra via sarebbero probabilmente andati incontro a riprovazioni e sanzioni di ordine sociale. Invece dell'urto, si ha la composizione e la paeifieazione. La «scarica » affettiva dei bassi istinti, si ripeta, si fa tanto da parle di chi dä spettacolo o a tali gesta si consacra (bassi istinti che son talvolta ignorati da colui stesso che Ii possiede), quanto da parte delle intere folle che si esaltano alla vista di- 6pettacoli in cui la violenza e pur anche il sangue formano, in ultima analisi, la piü forte attrazione (1). Diceva qualcuno che a spettacoli di cotal genere anche i femminili cuori piü teneri si fanno di sasso, ma in realtä, piü che di un'abitudine da contrarsi con la rep^ca di sensazioni violente a poco a poco ottundentisi, si tratta di vera e propria resurrezione — in ultima analisi bene accolta — di profondi istinti che si credono sotterrati. Descrivendo il movimentato e drammatico torneo in cui il Cavalier Nero — siamo nei primi anni dei XIV secolo — si profila come misterioso incognito, il romanziere ben dice che la sostituzione delle armi cortesi alle vere e proprio armi di punta e taglio non provoca davvero piacere nelle anime degli individui e delle
(1)
-reaux,
Vedi. ad efempio, l'artirolo di C H . F £ R £ Le sadisme nella « Revue de Medecine», Paris, 1900.
aux courses de
tau.
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folle assistenti a tali tornei: « L a maggior parte delle classi inferiori, alcuni anche delle superiori e vuolsi perfino qualche niatrona videro con dispiacere che l'armi cortesi fossero prescelte... E quegli stessi che fra noi oggidi si dilettano delle tragedie quanto piül sono atroci,. trovano vezzo in un torneo a proporzione de' rischi affrontati dai personaggi della giostra » (Ivanhoe, cap. VIII). Che, del resto, il bassofondo sanguinario degli uomini riuniti in. folla non aspetti che rapida scintilla per esplodere e mostrarsi quäle e, puö ognun vedere coi richiamare al pensiero le non infrequenti, eterne e universali scene in cui il basso istinto esplode senza ritegno alcuno e con la piü audace violenza, direttamente, quando cioe, con delitto collettivo (ad esempio), le folle si gettano alla depredazione oalla caccia dell'uomo portando seco. inferocite, la devastazione, il saccheggio, l'incendio (1). II Manzoni, in un celebre capitolo dei suoi Prornessi sposi, Emilio Zola in alcune raccapriccianti pagine del suo Germinal, Massimo d'Azeglio in quei capitolo del suo Nicolö de' Lapi in cui si descrive il sacco di Roma, hanno saputo dipingere smaglianti e foschi quadri al tempo stesso, che contano tra le piü impressionanti pitture rappresentanti irose gcsta e cieche pazzie di folle criminali; considerazioni analoghe furono fatte a proposito dei linciaggi nord americani da F. Baumann, nell'opera s u a : im dunkelsten Amerika (Dresda, 1902). Anche le folle, infatti, proprio come gli individui, hanno bisogno di « scaricare », or sublimandoli come esse possono, or deviandoli, quei loro profondi istinti che non possono affacciarsi in superficie direttamente e liberamente; ne sarebbe davvero fuori di luogo il cercare quali, per l'appunto, tali sistemi di scarica e di sfogo a volta a volta trovati dalle folle di ieri e da quelle di oggi; anzi, si potrebbe persino tentare di gettare uno sguardo alla preistoria interpetrando quei mirifici disegni delle caverne (e quelli tracciati sugli oggetti) che rappresentano schematicamente riti e cerimonie della tribü in gruppo. Ieri e oggi si trattava e si tratta di manifestazioni collettive (giuochi, feste, contese agonistiche e simili) il cui profondo e incoscente fine consiste nel d a r via libera, in modo piü o meno lecito. e consentito dal coattivo costume sociale, alla profonda tensione degli oscuri istinti antisociali, egoistiei, aggressivi e persino crudeli. Non e da eseludersi (tutt'altro!) che l'cterno dramma della guer(1) S C I P I O S I C H E L E , La foule criminelle, essai de Psychologie collective, 2 a e d . , Parigi, 1901, in ispecie a p. 56 e f-egg., e al secondo capitolo della prima parte..
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ra iniziatosi al mitico sorgere deH'Umanitä allora che Caino 6traziö il corpo di Abele, e poi senza cessa ripetutosi di generazione in generazione, trovi le sue perenni radici nel perenne istinto di aggressivitä e di distruzione, alleato al perenne istinto di sopraffazione, che giace scodpito nel fondo e nel sottofondo dcll'uinana psiche con caratteri che nessuna opera dei tempo vale a cancellare. Scrive uno studioso conlemporaneo, in un suo studio che e analisi psicanalitica dei fattori storici e individuali della guerra, che questa e da considerarsi come realizzazione di una somma di cariche istintive, capaci di sottrarsi alla cen6ura della ragione e straripare in una scarica energetica turbolenta e tragica. Se si pensa anche che motivi di ordine economico (nel senso di istintivo desiderio di guadagni e conquiste) vengono a far sentire il loro peso, si vedrä come l'eterna attivitä bellica in questione sia la estcrna risultante di profonde istanze di ordine aggressivo (e anche sadi&tico) e predatorio (1).
5- - Estetismo narcisistico. Continuando il nostro andare, sia pur rapido, atlraverso le vai ie e meno apparenti trasformazioni prese — nell'uscire in superficie — dai profondi istinti dell'Eros che pur dovrebbero rimanere compres6i... e non vogliono, ne possono, ractogliamo ancora qualche esempio tra quelli che per la loro estrema lontananza dal punto di partenza, per la variegata e impenetrabile maschera di cui si coprono, semb f a nulla abbiano a vedere con l'istinto da cui provengono, talche il pubblico non solo passa vicino a quelle maschere senza accorgersi affatto di che Cosa si tratti, ma reagisce e nega (in un primo momcnlo e insino a tanto che dura la sorpresa) se talumo, togliendo improvvisamente a quei personaggi la loro maschera, ne mostra il volto. Quäle attivitä dell'Io, piü modcsta e piü futile — in apparenza — di quella spiegata compiacentementte da tale o tale altro individuo nella cura della propria persona? Ecco tutta una serie di squisite attenzioni: dal bagno ai profumi. dal sottile lavorio delle unghie e dell'acconciatura delle chiome al sapiente massaggio, quando pur non si tratti dei ricorrere alle piü vive e incarnate pitture d'Oriente e quando pur non si tratti di ricorrere a nastri e monili che adornino i piü o meno nascosti lini bianchi o di diverse tinte... il tutto, ben (I)
E.
GLOVER,
War, tadism
and pacifism,
London, 1933.
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6'intende, si tra )a folla femminile (del ehe non sarä da far meraviglia) quanto per tale o tale altro soggetto dell'altro sesso. II Mattino pariniano Condann ava con insistenle ironia, e non solo quando descriiveva moine e vezzi della dama incipriantesi, ma anche quando diceva del nobil signore, dai piü vari vestiti da mutarsi secondo i giorni e le stagioni: Non sol dia leggi Alla materia la stagion diverse; Ma sien qual si conviene al giorno e all'ora Sempre vari il lavoro e la ricchezza (v. 804 e segg.). Medesima ironia quando si mostra lo stesso giovine, disceso da magnanimi lombi o da fortunati accumulatori di ricchezze, farsi accanto all'astuccio « di pelle rilucente ornato e d'oro •» ...« e in grembo a lui, — Atta agli orecchi, ai denti, ai peli, all'ugne, — Vien forbita famiglia... » (v. 843 e seguenti). Intanto
...A lui I primi onori Colmo cristal...
contende, d'odorifer'onda (v. 848 e seguenti)
E' sempre Narciso che si guarda nello 6pecchio dell'acqua e ne prova sottile ed intimo piacere. Un piacere, si noti bene, del tutto materiale. a tinte autoerotiche, sotto i cui veli sta forse nascosta la segreta fönte di un senso che, non potendosi sollevare insino al vero e proprio Eros, devia e umilmente si contraffä in una trasformazione di esso (1). Sotterfugio piü o meno incosciente, tra i tanti di cui stiamo discorrendo. Tale individuo insiste sulle eure date e prodigate — come 6opra — alla propria persona in raffinato modo? « Gli e — dice egli — per piacere agli altri o semplicemente per essere agli altri gradito». Certamente, tale spiegazione corrisponde a ciö che si vede; ma ciö che si vede non e sempre ciö che e. Occorrerebbe, invece, dire: « P e r piacere a me stesso Oppure si potrebbe anche dire che ciö si fa per sentire ciö che qualche psicoJogo e psicliiatra chiama; « il piacere di se stesso La qual cosa si fa. si noti, per la via del senso della vista non solo, ma del tatto e dell'odorato pur anco, e vogliamo dire del p r o p r i o tatto (come e naturale) e del proprio olfatto. Oscure forme di (1) Si veda ciö che abbiamo scritto nel capitolo della presente opera consacrato alle «autocontemplazioni » dell'Io.
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autoerotismo? I direttori spirituali, sempre rivolti a occuparsi dei particolari anche minimi che possono influire sulla formazione dello spirito, ben non dimenticarono di mettere innanzi l'importanza dei fatto di cui stiamo parlando, tanto bellamente e artisticamente incipriato e imbellettato dalla esterna frivolezza delle apparenze; pagine assai curiose, e talvolta strane e conturbanti, furono spesso dovute a precettori di tal genere, cultori — senza saperlo — della psicologia profonda, pagine che distolgono da ogni gesto di intime ed esagerate eure e che giungono perfino a proscrivere ogni sacrificio non solo alla moda, e quindi alle Grazie, ma anche ad Igea. Pagine la cui esagerazione, impressa sovente in molte di es6e, ha dato piü volle materia a eritica non benevola e a sarcasmi appoggiati validamente da questo o quel capitolo dei piü, elementari trattati di igiene. Come potrebbe negarsi, ciö nondimeno, che quei precettori psicologi, tanto arcigni e intransigenti, abbian saputo ben vedere nel fondo delle cose? Vorremmo in ogni modo obiettare a tali rigidi e scontrosi precettori di aver essi dimenticato, con l'implacabile rigore delle loro prescrizioni, che meglio vale lasciar operare la scarica della profonda irrequietezza erotica con mezzi da potersi coeiderare come innocenti o quasi, piuttosto che vederla necessariamente compiersi per altre vie, traverse e oblique, conducenti talvolta a un preeipizio di fronte al quäle lo spirito avrä spesso fatica di arrestarsi e retrocedere.
6. - Altro possibile fravestimento: la parola parlafa. Mai si porrebbe fine a una rassegna da ritenersi, se non completa, almeno sufficiente, delle varie forme di attivitä — comprese quelle che pur hanno aspetto modestissimo e appaiono di minima importanza — che non sempre possono liberamente esprimersi. Ancora per riferirci a qualcuno di cotali istinti il cui tono e segnato sia dalla sessualitä, sia dall'aggressivitä, dall'invidia e dal livore, istinti non proclamabili direttamente, o poco confessabili, proseguiamo il noßtro cammino. E ci troveremo a dire dcl modo di parlare (linguaggio, segno rivelatore della personalitä, oltre che dell'ambiente psichico e sociale) che in alcune delle sue molteplici forme puö, per l'appunto, divenire espressione e scarica dei sopra detti istinti in forma p i u o meno legittima-
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mente espressa o tollerata. Esamineremo, per tal modo, la conversazione in una sua speciale forma (//irt), il basso linguaggio, la maldicenza. a) Premessa.. 11 tema, tuttavia, non poträ qui essere che accennato (e anche in modo assai sommario) poiche fu esso larghissimamente trattato altrove da chi scrive; basterä ora richiamare qualche tratto. E cominciamo con una premessa. Una lingua, innanzi tutto, e il prodotto del fattore individuale (dello spirito, fu detto) o del fattore sociale (Societä)? Comunque sia, quali sarebbero, in una lingua e in un modo di parlare, le visibili tracce dell'« individuale ;> e del «sociale»? (1). A' tal proposito, come negare che modo di parlare, tanto diverso — nei suoi particolari — da persona a persona, sia tale espressione della personalitä da potersi dire che esso e per l'appunto rivelatore di quella personalitä? (2). D'altro canto, e facile osservare che nel seno della lingua comune si formano naturalmente tanti modi speciali di parlare che sono corrispondenti alla differenziazione della popolazione in gruppi sociali (e anche psicologici) gli uni dagli altri diversi; alcuni di questi modi di parlare, assai speciali, nascono e si mantengono intenzionalmente segreti in ragione della funzione di protezione e di difesa del gruppo che ha creato quei modo di parlare; anzi, diventano anche mezzo di assalto e vanno dal linguaggio segreto della coppia amica, o amante, o degenerata, sino a quello dell'associazione criminale (3). Particolarissimoriguardo, a proposito del modo di p a r l a r e quäle sintomo della personalitä e del fattore sociale al tempo stesso, e quella varietä del parlare che puö chiamarsi « basso linguaggio » o speciale modo di parlare del
( 1 ) A . N I C E F O R O , De findividuel et du social dans le langage, nella «Revuede l'Institut de Sociologie », Bruxelles, 1928, n. 3 e 4. ( 2 ) A . N I C E F O R O . La personnalite et le langage; le parier des hommes medioeres, la conversation, le style personnel, nella « Revue de l'Institut de sociologie », Bruxelles, 1929, n. 2 e 3. ( 3 ) A . NICEFORO, II gergo nei normali, nei degenerati, nei criminali, Torino,. 1897. Le genie de Vargot, Paris, edizioni del Mercure de France, 1912. T a l e volume, men're richiama le pagine della precedente opera (italiana) scrive molli nuovi capitoli, largamente diffondendosi su di essi.
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ba&so popolo, contrassegnato da quelle chiamato erotica verba, surdida verba, tre caratteristiche ancora, tra le quali terpetrazione di cui discorreremo tra
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calegorie verbali che abbiamo rustica verba, oltre che da altutte e assai significativa l'inbreve (1). b)
La
conversazione.
Deila psicologia della conversazione granche n o n si e detto dagli psicologi di professione, ma piuttosto qualche parola fu pronunziata dai moralisti e dagli osservatori — in ispccie criticd — dell'umana condotta (basti fare i nomi di La Bruyere e di La Rochefoucauld). Assai si presto il tema per sottili notazioni, da parte di siffatti osservatori, piü profonde talvolta di quelle che potrebbero farsi nei laboratori stessi da psicologi di mestiere. Si insegnö, ad esempio, che successo nella conversazione otterrete quando parlerete esclusivamenle o essenzialmcnte di ciö che farä piacere al vo6tro interlocutore (in un salotto occorre parlare — fu detto — di ciö che fa piacere agli altri senza adirarsi se gli altri non parlano di ciö che fa piacere a voi). Viceversa, si tratteggiö con somma ironia la figura di coloro che parlano piü per ascoltare se stessi che p e r far piacere agli altri, poveri esseri i quali — tuttavia — escono piü che soddisfalti dalla propria conversazione poiche credono di aver conquistato il plauso dei proprio interlocutore e mai ebbero ad accorgersi della distrazione di costui. E cosi di seguito. Ne fu dimenticato — ma ora da psicologi e anche da sociologi — l'attraente tema che discute se psicologicamenste e sccialmente valga di piü il parlare o il silenzio. Vero e che ripete taluno l'aforismo: «la parola che non hai mai detto e la tua schiava, mentre quella che hai detto e la tua padrona », per cui si confermerebbe valere piü il silenzio che il parlare e specifica poi col mostrare quanta virtü educativa nasca dal silenzio e dalla meditazione, il quäle silenzio — cosi ( L ) A . NICEFORO, Le langage du bas peuple et le Moi inferieur des individui et des Societes, nella « Revue de I'Institut de Sociologie x>, Bruxelles, 1931 e 1932. Tale Memoria e stata in parte riprodotta nella « Giustizia penale », I presupposti, fasc. I, 1935, sotto il titolo: Psicologia profonda dei gergo popolareVedasi anche la nostra voce: Gergo, nel Dizionario di criminologia (diretto da E. FLORIAN, A . NICEFORO, N . P E N D E ) , Milano, 1 9 4 3 e la nostra Memoria: Homo loquens, nella « Rivista di Psicologia », Bologna, 1936, n. 1.
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inteso — diventa, in ultima analisi, una conversazione con Se stesso e puö prendere tutte le tinte che vanno dal rimorso purificatore alla contemplazione e comprensione delle piü auguste veritä. In una conversazione in cui tutti si datwio a parlare, coprendo spesso la voce degli uni quella degli altri, soltanto il Saggio si tiene in silenzio. Sta b e n e ; ma pur vi sono gli altri che non senza ragione rammenitano accompagnare l'ostinato silenzio qualche sorta di tara mentale, laddove la conversazione e scuola di socievolezza ed e quasi trasformatrice del selvaggio taciturno, chiuso nella isola del p r o p r i o Io, in essere progressivamente incivilito. Senza dire che p u ö essa — la conversazione — costituire, anche se banale, un riposo dell'intelletto, aggiungendosi inline che la conversazione, obbligando chi parla a formulare le proprie idee, contribuisce a precisarle, poiche l'espressione verbale dando corp o al pensiero mostra di esso le possibili manchevolezze. In via non erroneamente conciliativa scriveva il nostro Pietro Giordani che e neccssaria cosa altcrnare la solitudine taciturna con la conversazione, perche questa ti insegnerä a conoscere gli uomini quali essi sono, mentre solitudine e silenzio daranno a te forza per dedicarti a fare degli uomini ciö che essi dovrebbcro essere (1). Come che sia, perche mai la conversazione si fa tanto brillante e cosi viva tra donne e gentiluomini se non perche essa e, 'in questo caso, come l'equivalente — sia pure ingenuo e non materialmente efficace — di una soddisfazione del profondo istinto che attira l'un sesso verso l'altro e che in ispecie fa dell'uomo l'aggressore e, stiamo per dire, il persecutore, mentre la donna obbedisce al suo irrefrenabile e segreto istinto di attrazione e di conquista? Si tratta, dunque, di una « scarica » che il profondo Ero6 trova modo di compiere elegantemente e quasi ingenuamente per mezzo di una conversazione in cui sentimenti e colori dell'attrazione sessuale appaiono e si soddisfano in leggere ed aggraziate sfumature. Nel cosi detto flirt si hanno raddolciti modi di concretarsi di tale trasformazione, in quei co6i detto flirt che un pastore evangelico psicanalista definiva come un « p o n t e teso fra l'amicizia e — addirittura — il libertinaggio» (L. D. Weatherhead, La maitrise sexuelle, Paris, 1933). Non mancö, invero, qualche grande Santo che, pur non ocnoscendo la teoria delle equivalenze psichiche
(1) Lettera a G. Capponi, in data di Firenze I gennaio 1825. Vedi ancbe il paragrafo « Conversation ou silence? » nella nostra citata Memoria su La personnalite et le langage.
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quäle fu in questi ultimi tempi tratteggiata cosi da noi come da altri, reputava opera piü miracolosa di quella che resuscita i morti dalla loro tomba, il poter conversare spesso e con familiaritä con persone dell'altro 6esso senza che si perda, sia pure in minima parte, qualche tocco della castitä dei cuore, quando p u r non si tratti di perdere il tutto. Quanto sopra, sia detto senza che si ritenga p r o p r i o necessario l'accettare la formula intransigente e troppo rigidamente geometrica di coloro che affermano: il linguaggio, e di conseguenza la conversazione, come — d'altra parte — il canto, ebbero nascita per ragioni di ordine puramente sessuale (1). In quella intran6igenza, tuttavia, vi e idca che occorrerebbe forse approfondire, un'idea che non viene fuori dal solito quadro delle idee a priori, ma che fu suggerita dall'esame di cio che accade tra gli animali canori e cantanti durante i loro giuochi d'amore (Carlo Darwin).
c) Basso linguaggio siva).
(scarica
aggres-
Una equivalenza verbale di soddisfazioni inibite su cui si puö a ragione attirare la curiositä dello studioso, psicologo o non psicologo che sia, sta in quello speciale parlare che abbiamo altrove chiamato «basso linguaggio popoJare» e di cui altrove abbiamo studiato la struttura e la complessa etiologia. Anche su questo punto ci sia permesso di rimandare il lettore a quelle nostre ricerche, piü indietro citate, che qui non e nenimeno il caso di riassumere; diremo soltanto quanto segue. Tra le caratteristiche dei basso linguaggio, in ogni popolo e in ogni tempo, sono — in p r i m o luogo — la deformazione e il travisamento delle parole, da un lato, e l'uso continuo, dall'altro, di quelle tre categorie di verba che abbiamo chiamato: erotica, sordida, rustica. Domandate ai piü, perche mai tale modo di parlare si manifesti con le sopra dette caratteristiche; vi sentirete rispondere il piü delle volte (in quanto alla mania deformatrice delle parole) che la plebe ha profondo il senso dei comico, dei pittoresco, dell'arte, e che appunto da quell'innato genio si sprigionano le gaie e comiche trasformazioni (I)
A.
CABRAL,
Venus genitrix,
Paris,
1882,
p.
155.
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della comune lingua. Ainzi, parla taluno di un vero « spirito di giuoco » (esprit de jeji) che e caralteristico dell'anima semplice e primitiva, proprio come accade per i bimbi e persino tra gli animali, spirito di giuoco che determina, appunto, il popolino a scherzare — per cosi dire — con le parole e che per conseguenza conduce a quelle deformazäoni verbali di cui sopra. Le quali sono pure frequenlissime nel gergo dei criminali, motivate — si dice — dallo stesso « spirito di giuoico» (G. Lombroso) che sarebbe, negli adulti, sopravvivenza infantile. D'altro canto — e con riferimento alla caratteristica da indicarsi con la frequenza degli erotica, sordida, rustica verba — troppo nota e, si dice, la franca semplicitä e ingenua lealtä dell'uomo del popolo che dice pane al pane, perche ci si possa aspettare nel linguaggio di lui un qualsiasi velo o pudore da stendersi, con revererrte e convenzionale decenza, sulle parole. Inoltre e in secondo luogo, fu segnata quäle caratteristica del basso linguaggio la materializzazione delle idee per la quäle concetti astratti vengono resi in modo concreto e per la quäle, quindi, tutto si presenta in quei linguaggio sotto forme concrcte e materiali mancando, in chi parla, le idee astratte e generali (paucity of ideas, disse taluno riferendosi alla mcntalitä del basso popolo incolto e primitivo). Anche ciö fu interpetrato come effetto del pittoresco modo di considerare le cosc, che sarebbe proprio alla primitivitä mentale del basso popolo. Le spiegazioni concernenti le caratteristiche tutte or rammentate appaiono verosimili, ma non tutto ciö che appare verosimile puö esser vero; quelle spiegazioni sono di pura superficie e occorre, invece, guardare il fondo per quanto non sia sempre consigliabile ciö fare a causa delle disillusioni che tuffi di tal genere neH'ombra portano a chi in tali esplorazioni si azzarda. E anche a motivo del senso di disagio che a noi si dä ogni qualvolta la nostra pigrizia intellettuale viene colpita dal fatto di dover abbandonare idee e credenze di facile comprensione a cui ci eravamo abituati senza alcuno sforzo da parte nostra. Invero, crediamo aver dimostrato — quasi more geometrico — con numerose osservazioni e considerazioni, che le superficiali interpetrazioni di cui sopra sono in gran parte da collocarsi in seconda e anche ultima linea. Ecco, infatti. Osservato come il basso linguaggio — o modo di parlare del basso popolo — abbia tra le sue caratteristiche lo svisare e lo sfigurare le parole per mezzo della triturazione o amputazione, della trasposizione, della 6ostituzione sillabica, dell'assonanza... (il che
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«sempi tratti da ogni dove e per ogni popolo hanno mostrato), in» vece di interpetrare siffatta mania, veramente distruggitrice, come estrinsecazione di un pittoreseo senso artistico o come semplice spirito di giuoco (troppo ingenua inlerpetrazione) la si interpetri come espressione dei profondo senso di aggressivitä che il popolo nutre verso uomini e ambienti che costantemente esso reputa a lui avversi e usurpatori di ciö che gli spctta. Si aggiunge, in proposito di tale aggressivitä, che caratteristica dei basso linguaggio e anche l'abbassarnento delle cose e degli uomini (e dei concetti) di uno.o p i ü gradi e -quindi una «denigrazione» delle immagini: la testa diventa la zucca, la faccia diventa il grugno, morire diventa scoppiare o crepare ecc... Di tale procedimento, che abbiamo chiamato di denigrazione, nessuno ebbe a dire prima di Raoul de la Grasserie o prima di ciö che, illustrando e interpetrando, ne fu detto nel nostro: Le gerne de Vargot. Non si tratta (in tale meccanismo di abbassamento e denigrazione) di fantasioso spirito poetico e artistico, ma ciö •e piü veracemente da imputarsi a quello stesso spirito di denigrazione di cui sopra si e fatto cenno. Mentre il travisamento morfologico assalta e insulta la forma esterna della parola, l'abbassamento concetltuale, invece, assalta e insulta il contenuto. In altri termini, travisamento delle parole, abbassamento e denigrazione, materializzazäone dei concetti, esprimono sia c principalmente lo spirito di opposizione, d'invidia e di aggressione (che e nascosto nel profondo e che ad ogni costo ha da manifestarsi non giä con il gesto e con la condotta — il c h e sarebbe pericoloso e dannoso — ma con la « scarica verbale») sia la difficoltä ad innalzarsi ad idee astratte, perspicuo segno di povertä mentale. Triturare parole, materializzare, denigrare, puö senza dubbio — sia detto tra parentesi a guisa di postilla — produrre espressioni originali e pittoresche, ma sempre l'originalitä e il pitiorico sorgono automaticamente all'insaputa stessa di colui che crea la triturazione, la materializzazione, la denigrazione (1)Vi sarebbe anche da dire di quella caratteristica dei basso lipguaggio che in generale potrebbe andare sotto l'indicazione di : trivial itä e che a volte assume anche essa — vista da fuori e senza approfondire — qualche colore di pittoreseo aspetto. In realtä, tale linguaggio grossolano e volgare (poseiamo dire; rustica verba?) (1) Larga dimostrazione esemplificativa di tutto ciö si trova nel citato volu. nie Le gerne de l'argol e nella citaia Memoria su Le langage du bas peuple ecc.
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ostentatamente adoperato, quasi come un Signum della «casta » cui ßi appartiene (linguaggio volgare, anche se non ricorre a erotica o a sordida verba), rappresenta in un certo senso la manifestazione di uno stato d'animo (torna a farsi sentire l'aggressivitä) che prova diletto nell'infrangere le regole proprie al modo di parlare dei gruppi ove cultura e regole di educazione formano un quid che e cosi diverso — e cosi criticato, invidiato, sprezzato — dagli individui che, per abitudine o per libera scelta, si danno a quei linguaggio ove ogni parola « n o b i l e » e sostituita con una volgare o volgarissima; anzi, la volgaritä diventa, come accennammo or ora, il signum della classe che in esso si pavoneggia non potendo in altro modo mostrare la propria superioritä sull'avvcrsario. Linguaggio triviale, dunque, linguaggio che — in un certo senso — e espressione di aggressivitä. d) Basso linguaggio
(scarica
erotica)i.
Si veda ora, come altra caratteristica ancora del basso linguaggio popolare sia da ritenersi come deviazione e scarica di un istinto profondo che e diverso dall'istinto aggressivo: si affaccia, cioe, di nuovo l'istintivitä dell'Eros. Si tratta di una speciale categoria di equivalenze verbali, proprie anche esse al basso linguaggio sebbene in particolari casi possano pur trovarsi nel modo di parlare di coloro che non vivono nelle sferc piü basse delle gerarchie sociali. Vogliamo dire, cioe, dell'uso corrente che il basso popolo fa di quelle parole e frasi che abbiamo chiamato erotica verba; e potremo anche alludere ai sordida verba, come vcdremo. E cioe linguaggio osceno e anche linguaggio sporco e sordido, per ognuna delle quali varietä facemmo altrove precisa anatomia. Che cosa mai rappresentano tali forme — che i piü attribuiscono superficialmente soltanto a mala educazione o insufficiente — se non l'espressione patente del profondo e nascosto istinto, non apertamente Confessabile, che direttamente non puö venire in superficie mostrandosi quäle e, ma che si accontenta di trasformarsi e di deformarsi in espressioni verbali? Nuovo sistema, dunque, di « correlazioni » tra lo spirito e la parola. Mettiamo da parte la considerazione — che pur sarebbe importante cosa non dimenticare — ben nota agli psichiatri, riguardante la frequenza con cui alcune categorie di inferiori mentali, come gli imbecilli, ricorrono corrcntemente a parole oscene nel loro diseorrere; « S i tratta di una particolare tendenza dello spirito che 6»
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manifesta soprattutto nei degenerati; essa e loro particolare come la decenza e particolare agli spiriti normali » (1). E ancora; «Interessante cosa da segnalarsi e il carattere triviale e grossolano degli imbecilli; amano essi continuamente servirsi di linguaggio osceno, 6OJ prattutto dinanzi alle donne... e quella trivialitä corrisponde a uno speciale stato psichico che e il risultato di uno sviluppo psichico anormale » (2). Faremo 06servare, per nostro conto, che il procedimento suddetto e pur da considerarsi — o essenzialmente — come una vera presa di contatto (quando colui che cosi parla e uomo che conversa con donne) della persona che cosi bassamente parla, con quella a cui la parola e diretta o che quella parola puö udire. Presa di contatto che particolarnriente e continuamente si fa da parte degli imbecilli di Sollier... ma sporadicamente, c piü o irteno velatamente, da parte di altri individui che non sono proprio da collocarsi nella categoria psichiatrica suddetta. Qualora, per contro, il volgare parlatore adoperi tale suo modo di parlare in crocchio di amici, ha pur da ritenersi siffatto suo modo di esprimersi quäle equivalente, per quanto piü che schematico, a uno sfogo o soddisfaeimento di ordine erotico e non — evidentemente — come contatto. D'altra parte e ovvio che tali irrefrenabili o travestite espressioni esterne di un profondo senso — talvolta be6liale — erotico, sorgono dalle piü oscure latebre dell'Io profondo, ignoratissime all'uomo stesso (normale) che a sua insaputa le alberga, riuscendo es6e cio nonpertanto a correre in superficie in quei soggetti tarati, o in qualche guisa mentalmente inferiori. che vedono non funzionanti o fragilissimi i giaeimenti psichici superiori: Vengano questi a disfarsi e si assisterä allora — rimaniamo ancora nel campo di quella psichiatria che e lente di ingrandimento della psicologia — a quelle penose scene piü volte svolgentisi negli ospedali psichiatrici in cui anche persone di ses6o femminile, pur educatissime, colte e di civile condizione, 6i abbandonano di quando in quando a un turpiloquio erotico che esse mai avrebbero adoperato nella loro vita precedente la caduta in quell'alienazione che ora le sequestra nell'ospizio. Di quando in quando si mette in rilievo, dunque, cio che era e che sarebbe rimasto — 6enza il dramma mentale — nascosto o ignorato. L'alienazione, come spesso accade, mette in piena libertä gli ascosi e persino gli ignorati sogni dell'« artista (1) P.
SOLLIER,
Psychologie
(2)
SOLLIER.
loc.
P.
18 • VIo
cit.
de l'idiot
et
de l'imbicile,
Paris, 1891, p. 95.
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In ogni modo, e tornando al basso linguaggio nelle sue caratteristiche di erotica verba, proprio al basso popolo, ripeteremo anche qui che tali erotica verba sono da considerarsi, a nostro modo di vedere, come una vera e propria scarica verbale dell'istinto sessuale. In altre parole, il comune uso degli erotica verba rappresenta la realizzazione, p e r quanto indiretta — molto indiretta — di istinti e di desidcri profondi compressi; una specie di auto-erotismo verbale per mezzo del quäle, in qualche modo, si trova la vietata soddisfazione. E cosi, in parte, potrebbe dirsi (si noti bene), per i sordida verba. Vero e che questi ultimi traducono idee e cose che non si riferiscono alla sessualitä e sono abbastanza ben distinti dagli eroticasi tratta di espressioni e concetti che vanno, p e r cosi dire, frugando nelle inwnondizie e in ogni sorta di ributtante residuo; ricorrono nel parlare di alcune categorie di alienati come ebbe a notare Gilles de la Tourette che indicö tale parlare coi nome di coprolalie. Ma di una attenuata e scolorita «coprolalia» p u r si servono taluni con loro proprio diletto. Ora, tali espressioni hanno pur un intimo e segreto rapporto ( come qualche pagina di psicologia e di psichiatria potrebbe mostrare) con la sessualitä c ciö — ben inteso — senza che colui che adopera quei linguaggio veramente si accorga di tale intima connessione. e)
murali.
Sono anche da collocarsi, nei riguardi di una interpetrazione psicologica, sulla medesima linea delle t r e varietä di verba or menzionate — verba erotica, sordida, rustica — le iscrizioni, i graffiti, i disegni che i bimbi, i deficienti, gli inferiori di vario genere, le persone rozze o incolte, tracciano sui muri e che forniscono buon materiale di studio, per quanto a prima vista modesto, a psicologi, a criminalisti... e persino a quegli archeologi che siffalta documentazione rintracciarono negli scavi di antiche cittä. Nella psicologia di chi sporca i m u r i rientra l'infantilismo, la grossolanitä, l'aggressivitä e la distruzione, l'inferioritä mentale, e anche la ricerca di una scarica erotica. Ancor qui, in ultima analisi, si tratta di un linguaggio scritto, di un modo di « p a r l a r e » che si estrinseca nel graffito; diremmo, anzi, che si tratta di esclamazioni scritte rientranti nello studio del modo di esprimersi e di parlare (1). (1) Vedi il paragrafo: «vLes exclamations ecrites ou inscriptions m u r a l e s » della citata Memoria: Le langage du bas peuple, ecc.
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7. - Basso linguaggio e classi coife. Basso linguaggio, come sopra, e p r o p r i o esclusivamente accantonato nelle classi inferiori della Societä? Non trovasi fors'anco, per avventura, qua e lä disseminato nel niondo meno basso e piü colto? P e r certo. E occorre subito dire che ciö avviene — come fino ad ora vedemmo — per rispondere a istanze aggressive e anche erotiche che in quei parlare trovano scarica costituendo per ciö soddisfazioni e sfogo piü o meno leciti; ma occorre subito aggiungere due fondamentali osservazioni. Basso linguaggio nelle classi colte appare, in primo luogo, non davvero in modo (diremo cosi) diffuso e generale, ma sporadico, vale a dire che e6so si manifesta soltanto nel parlare di tale o tale altro individuo, sia pur colto o coltissimo. Trattasi, in tale caso, sia di soggetti la cui congenita natura fortemente tinta di aggressivitä e di erotismo si dä via libera anche nel quotidiano modo di parlare (nonostante la cultura e l'educazione), sia di individui che, normalmente castigali nel discorrere, vengono momentaneamente travolti per circostanze esteriori a perdere l'autocontrollo. E ' accaduto p i ü volte a ciascuno di noi di trovarsi a fianco di persone eJette sotto molti riguardi, che uella conversazione frammischiano per abitudine ad ogni loro fräse forti allusioni di basso carattere erotico se p u r non si danno addirittura, sempre per abitudine e sempre nonostante la loro cultura e la loro educazione, a costellare il loro dire di impudicizie verbali perfettamente inutili e parassitarie nei riguardi dei concetti che il loro parlare sta a esporre; in tali casi gli interlocutori non hanno che mantenere la propria serietä senza darsi a quei sorriso che il parlatore vorrebbe con le sue allusioni provocare. Oppure, quante volte abbiamo assistito a improvvisi scatti e ad esplosioni di bizza e d'ira, pur da parte di persone che normalmente sanno controllarsi ma che in quei momenti scendono a un basso linguaggio caratterizzato dalle p i ü violente espressioni di aggressivitä e (diremo quasi) di iconoclastia verbale! L'Io profondo, nell'uno e nell'altro caso — tendenze congenite o improvvise perturbazioni — mcstra il suo volto. D'altra parte — seconda osservazione fondamentale — e da dirsi che (per quanto il fenomeno non sia stato sufficientemente avvertito e notato, e quindi spiegato) in certe epoche, contrassegnate dall'irruento sfogo di violenze, di arbitri, di crudeltä e di prepotenti im-
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posizioni, col rendersi regina di ogni cosa la forza, si diffonde e 61 espande al tempo stesso il basso linguaggio invadendo e tingendo di suo colore il linguaggio degli uomini che pur si trovano a conquistare o ad aver conquistato quegli alti gradi dei vivere sociale ove, in tempi normali, detto linguaggio e di solito sconosciuto. Si assiste allora al mortificante spettacolo di un allinearsi di parole volgari, uscite dal marciapiede, dal fango, dalle case di malaffare o dagli ergastoli, nel parlare o nel concionare, e persino nello scrivere su per le gazzette e nei pubblici proclami. Qualche documentazione in proposito, assai pittoresca, si trova nei fogli, nelle brochures, nell'oratoria, della Rivoiuzione francese, epoca in cui — come fu detto — il popolo sovrano piü non vuol parlare che il basso linguaggio dei pubblici mercati (1). Poiche tale linguaggio, fiore dei marciapiede — sempre come fu detto — urta le orecchie delle belle aristocraticlie, se ne faccia p u r uso ad ogni istante al fine di rendere piü smagliante lo Stile e rialzarne il tono (sie), Si troveranno filoni d'oro e diamanti in ganga nel famoso libello: Le pere Duchesne, redatto dal non meno tristamente famoso Hebert il quäle dopo aver cantato da giovane, in medioeri poesie, la gloria di Luigi XVI e la gentilezza di Maria Antonietta, si servi poi dei p i ü basso e crudo linguaggio dei popolo e dell'infimo gergo p o p o l a r e per redigere il foglio rivoluzionario nel quäle si chiedeva ogni di nuovo sangue: i Girondini diventano « rospi », mentre il Re diventa l'orco, l'ubbriaco, il porco, il cornuto Gapeto, laddove la Regina diventa la lupa, la tigre, la seimmia austriaca. Quella prosa si rallegra poi dei fatto (alla dimane della decapitazione di Maria Antonietta) che la testa di quella femnrina sia stata separata finalipente dal suo f... collo di prostituta. II tutto nel p i ü basso gergo popolare: la tete... avait ete separee de son foutu col de grue. Medesima fioritura (sia detto ancor questo) nel foglio assai piü recente: Le pere Peinard, della fine dello scorso secolo, scritto per il popolo e con il linguaggio dei popolo, ricco di trivialitä e di crudezza con ricchissima smaltatura di bestemmie e di gergo anche criminale : « c'est la langue du populo que je degoise... Etre compris des bons bougres, c'est ce que je veux; pour le reste je m'en fous » (2). Ma documentazione analoga o quasi, potrebbe pur trovarsi per altre epoche piü vicine a noi e persino contemporanee. ( 1 ) Doct. C A B A N E S et L. N A S S , La nevrosä revolutionnaire, Paris, 1906, p. 401. (2) Si vedano le pagine che a tale sorta di linguaggio, in uso nelle gazzette e nei fogli che si dirigono al popolo, abbiamo dedicato, nella prima parte dei nostro citato volume: Le getiie de Vargot, ecc. Paris, 1912, pag. '56 e segg.
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Senza rimanere tra noi, diremo che materiale in proposito si trova nella produzione «letteraria » a tinte sociali e politiche di qualc h e lontano paese di oggi ove l'invettiva e considerata (cosi fu detto) come una delle belle arti; invettiva particolarmente ed esclusivamente diretta verso coloro che si sospetta non pensino come l'insultatore e che questi p u ö liberamente scoccare a ripetizione dal momento che la vittima di tale assalto verbale — imbavagliata — non puö rispond e r e (siamo in regime dittatoriale). Invettiva, si noti bene (e ciö assai eonta in quanto all'esame psicologico del fenomeno) il cui veleno e la cui grossolana volgaritä, nata nel piü basso fango, vengono adoperati in nome dell'Umanitä, della Fratellanza e soprattutto della Libertä. Parole e frasi come; marciume purulento, conati di vomito, eagnaccio insanguinato, bastardi di iena e di sciacallo, uomini dal sangue di vipera, carogne, ignobili e puzzolenti cani rognosi, cadaveri appestati da gettare rapidamente nella fossa, ai cani la morte dei cani... Tutto ciö, nel parlare e nello scrivere, o nel polemizzare, da parte di accademici, di giornalisti, di condottieri e di grandi gerarchi. In riguardo a quanto sopra sarebbe questo il luogo per far cenno di una speciale volgaritä di linguaggio, anch'essa verbale manifestazione di uno stato di aggressivitä al cui proposito gli psicologi non si sono forse tanto soffermati quanto il tema meriterebbe: il bestemmiare. Ancor qui, infatti, © d a oseervarsi che si tratta il piü delle volte della esplosione di un basso istinto di aggressione e di distruzione che viene alla superficie in momenti nei quali un accesso d'ira sopprime, .sia pure per pochi istanti, l'efficacia dei freni inibitori. L'aggressione e la distruzione, che pur vorrebbero dirigersi verso uomini o cose, si sfogano e si trasformano in aggressioni e distruzioni verbali. Poiche, appunto, l'accesso d'ira si accompagna a gesti di distruzione (e non solo verso le cose che cadono sotto mano, ma su se medesimo: in se medesm0 si rodea co' denti) gesti che infrangono e sowertono persino ciö che a noi >e caro o stimato intangibile, ecco nell'accesso d'ira correre l'iroso impetuosamente ad assalire e spezzare il nome della divinitä grazie ad un processo psicologico di iconoclastia verbale paragonabile a quello (puramente materiale) per il quäle, ad esempio, un grande imperatore preso da istantaneo accesso d'ira gettö a terra, frantumandolo, un magnifico vaso di Sevres che aveva sul tavolo- Nell'uno e nell'altro caso — iconoclastia verbale e iconoclastia materiale — si ha trasformazione ed esplosione di un irrefrenabile stato d'ani>mo, che viene dal basso, in manifestazione esterna. Analogo meccani-
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smo probabilmente agisce — in piena psichiatria — in quei casi indiculi da qualche studioso (Andrea Verga) sotto la denominazione di r mania blasfematoria; l'alienato, cioe, emette bestemmie a getto continuo, proprio per dar sfogo al suo senso profondo di continua irositä. La quäle, in tal modo, si trasforma (prendendo via di uscita) in semplice attivitä verbale. Ancora una volta, volgare, volgarissimo e persino turpe modo di parlare costituisce la trasformazione e la « liberazione» di un basso istinto che vuol prorompere. Sarebbe da dirsi, infine — continuando a f a r cenno dello sporai. dico uso dei basso linguaggio da p a r t e di individui che socialmente non vivono in basso — di coloro che al basso linguaggio ricorrono non tanto per dare p i ü o meno incosciente sfogo ai profondi istinti aggressivi ed erotici, quanto per ricercare con l'uso di esso una patente di originalitä. I critici, letterari o no, deWEdipo di Andre Gide, recitato qualche anno fa (1932) in un teatro parigino, dopo aver notato come su quella scena i personaggi si compiacessero di servirsi dei p i ü volgare dei linguaggi, osservarono non risultare davvero piü artistico ed efficace un dialogo quando — come fa E d i p o allora che domanda chi h a ucciso il re — si fa dire a quell'illustre personaggio: « S i j e connaissais le cochon qui l ' a tue...» o quando Eteocle getta in faccia al suo interlocutore la fräse; « J e m'en fous! »... o quando, ancora» Polinice minaccia; « Et si je te foutais mon poing sur la gueule? ».
8. - Una spiegazione? Insomma, basso e bassissimo linguaggio in certe epoche, anche — e con ostentazione — sulle labbra di chi sta in alto. p e r ciö spiegare occorre rifarsi a quei concetti, illustrati dalla psicopatologia, che trovano segreta convivenza e correlazione tra la violenza sadica e la bestialitä erotica; le epoche in cui e trionfo della forza, della prepotenza e dei sangue (epoche a quando a quando attraversate dalTUmat nitä) hanno ognor visto un venire a galla dall'imo fondo il basso linguaggio che istantaneamente invade quei p i ü alti piani della Societä che per lo innanzi quel linguaggio ignoravano o non adoperavano. Non sfugga al lettore u n particolare fatto che ha non lieve importanza nei riguardi degli effetti che sulle masse puö produrre e produce il basso linguaggio che assale, percuote... e tenta di toglier di mezzo, con l'assassinio verbale, l ' a w e r s a r i o . Nello scrivere, p i ü indietro, in uno dei precedenti capitoli, di ciö che potrebbe chiamarsi una « fi-
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losofia del successo » ricordavamo anche a proposito di una « psicologia dell'incubo» maneggiatore di folle (un incubo facente conccssioni alle proprie personali opinioni e alla propria logica per mantenere il platiso della folla stessa) che nella strategia di dominazione delle folle e suggerimento sovrano impadronirsi dei cuori con l'infiaminarli, non tanto di amore e devozione per qualcuno o p e r qualcosa, quanto di rancore, di odio e di Vendetta verso gli a l t r i ; si va cosi a svegliare quella innata aggressivitä che ogni essere umano porta, anche a sua insaputa, in se medesimo e che, saputa dirigere, e di tanto potente stimolo alle attivitä dei gruppi sociali (1). Ora, qual maggiore arma, per il vilipendio e per l'esposizione al pubblico dileggio, del basso linguaggio?
9. . La maldicenza. Certo, la liberazione dell'istinto aggressiv«, dell'invidia e del livore per mezzo della parola non si fa soltanto con i grandi e imponenti mezzi di cui sopra; la piccola e miserabile Vendetta quotidiana, allo stato cronico, velenosa, si fa pur anco per mezzo della maldicenza sussurrante... malevolorum obtrectationes et invidia, come diceva Cicerone. Piccola e miserabile strategia dei piccoli e dei miserabili; essa coagula, per coSi dire, la fisonomia di quei nani e di quei poverissimi d'animo — mentre parlano — in una specie di contorsione untuosa che rassomiglia aU'espressione dell'aperto riso o dell'ironia fiera e de"gna, o del sarcasmo sdegnoso-.. come la rotonda e giallastra zucca somiglia al sole. Ciö nonpertanto, anche siffatta contorsione dä uscita ai sempre vigili istinti di invidia e di rancore. Quanti allievi in questa scuola della maldicenza e quanti ne escono degnamente addottorati! Richard Sheridan ponendo sulla scena, appunto, la sua The school for scandal efficacemente (ma inuti'lmente!) combatteva contro i vili pettegolezzi e le dannose maldicenze che snaturano i fatti e che talvolta trasformano in delitti gli altrui perdonabili. errori o trascurabili pecca. tucci. II Moliere inglese dipingeva con ciö la societä inglese... ma in realtä si trattö di pittura adatta a tutte le umane contrade oltre che a tutte le epoche, e perö quelle scene ebbero traduzioni in ogni lingua ( D A . N I C E F O R O , Criminologia, vol. I, p. 475 e segg., e in particolare p. 4 9 0 . E anche, nella presente opera, si veda il paragrafo 10 del capitolo terzo della prima parte.
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e consensi da ogni parte. « P a r i e r et offenser — disse di uno dei personaggi in cui La Bruyere dipingeva l'abate de Rubec, nipote dei vescovo di Tournay — parier et offenser pour certaines gens, est precisement la meme chose: ils sont piquants et a m e r s ; leur style est mele de fiel et d'absinthe; la raillerie, Finjure, l'insulte, leur decoulent des levres comme leur salive... Iis frappent sur tout ce qui se trouve sous leur langue, sur les presents, sur les absents; ils heurtent de front et de cote comme des beliers » (1). Teofrasto, per quanto in brevissimi tocclii, aveva tracciato medesimo ritratto descrivendo quel tale, cioe, che ad ogni nome che si pronuncia dinanzi a lui vi rifä in poche parole, oblique e insidiosissime, la storia di tutti gli antenati, collaterali, discendenti e simili della nominata persona: una storia che e, per cosi dire, filtrata attraverso il veleno. Particolarissimo ed elegantissimo modo di maldicenza, proprio a certi intellettuali (varietä umana assai vanitosa, il piü delle volle, e non priva di acido livore) e a certi intellettualoidi, soddisfacente al tempo stesso la «scarica» dell'invidioso fermento e l'autoconsolazione, si ha quando il maldicente parlatore critica, trova mal fatto, dichiara manchevole o errato tutto ciö che non esce dal suo proprio cerebro e c h e vien foggiato da altre mani assai piü valide (e di qui l'invidioso fermento) delle sue. Senza Stare a dire in proposito troppo gravi parole, ma soltanto per ricorrere a qualche figura tratteggiata con ironica bonomia, si potrebbe correre col pensiero a quel personaggio di Voltaire (in Candide) che nella sua doviziosa casa veneziana, ricca di quadri, di fiori, di libri e di spartiti musicali di ogni genere — abbiamo nominato il signor senatore veneto Pococurante — prova a ogni istante l'immensa gioia di esercitare il morso della propria critica su tutto e su tutti, e tanto piü morde (o crede mordere) quanto piü in alto e l'oggetto o la persona sovra cui altezzosamente e disdegnosamente egli si pone (o crede porsi). Infatti, il colpo riesce : « Che uomo superiore — dice il buon Candide, dopo aver udito quel contiivuo criticare — che uomo superiore, che grande genio! Nulla per lui e hello... E ' veraroente superiore a tutte le ricchezze da lui possedute». E piü in lä, un'acutissima riflessione che sembra davvero indegna dei buon Candide; costui osserva; «Non vi e forse gran piacere nel trovar modo di tutto criticare, nello snidare e vedere difetti lä dove la co(I) Les versation ».
caractere»,
nel capitolo dal titolo: «De la societe et de la COB-
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niune degli uomini non vede che buone qualitä e perfezioni? » (C.andide, XXV). Presso alcuni, poi, la cui anima si trova in perpetuo e sentito contatto con le istintivitä criminali, quella « l i b e r a z i o n e » , invece di farsi per mezzo delle compiacenti forme del si dice, sottolineate da reticenze, da mezzi sorrisi e da gesti di affettata dcplorazione (come accade il piü delle volte), si estrinseca — secondo il grado di intelligenza del maldicente — ora coi piü aspro ed incauto discorrere, ora con le arti piü delinquenziali, la lettera anonima non esclusa. forma speciale di maldicenza scritta e di denuncia piü o memo calunniosa. Vi sono uomini, appartenenti a quest'ultima categoria, che non soltanto hanno per tal modo trovato via di sfogo al loro miserevole istinto, ma che per tale via, appunto, ebbero a fare quasi trionfailmente l'intera loro carriera professionale, accademica o politica che fosse. E' opportuno far notare come il processo psicologico di cui sopra («scarica» del fermento aggressivo e di livore per mezzo della maldicenza) rientri ancora una volta in quei meccanismi psicologici che possono. al tempo stesso, figurare tanto nella categoria delle trasformazioni (il livore interno, congenita, si manifesta all'esterno — per precauzione — sotto la forma della maldicenza), quanto in quella delle autoconsolazioni: «Mi autoconsolo del dispetto in me generato dall'altrui successo, sia per mezzo del sottile veleno della maldicenza, sia lanciando. contro l'individuo che mi procura tale dispetto, quella particolare specie di lettera anonima che e il maligno; si dice che...». Anche qui e da tener conto del fatto che giä facemmo osservare a proposito dell'ingiuria e del linguaggio triviale: il successo che la maldicenza ottiene nei confronti delle masse o. meglio, del diffuso pubblico attraverso il quäle essa si spande. Se maldicenti e maldicenze si prcsentano in modo estremo e in alto rilievo in casi piü o meno isolati, non e da dirsi che il sentimento generatore della maldicenza non sia nel cuore di ogni uomo; di qui il 6uceesso della parola maldicente presso l'orecchio dei piü. Basta un leggero soffio per accendere il fuoco sopito. Gli uomini non tollerano l'altrui superioritä, reale o fittizia che sia, e ben godono quando di qualche superioritä reale sentono affermarsi dal maldicente non essere quella superioritä che sepolcro imbiancato, e p i ü ancora provano godiniento quando ascoltano maldicenti parole che di una superioritä fittizia mostrino velenosamente la vacuitä. E grande e rumoroso e il successo del sasso scagliato nel pan4ano, tra i ranocchi che subito si dänno a gracidare. Gli e proprio scon-
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tando tale facile reazione da parte di chi ascolta, che maldioenle e maldicenza usano e abusano dei m e t o d o ; coloro che cosi procedono,. guardandosi nello specchio potrebbero forse scorgervi l'Io-altro che Ii rimprovera per tale criminioso procedimento che p u r serve l o r o sia di trasformazione e di deviazione, sia di autoconsolazione... ma e inutile Cosa rammentare che maldicente e maldicenza, anche sentendo6i rimproverare dallTo-altro, trovano mille buone ragioni... per aver r a gione.
CAPITOLO
QUAKTO
ALTRE SINCOLARI TRASFORMAZIONI E DEVIAZIONI Continuando il nostro dire, senza aver la pretesa — impossibile. del resto, a realizzarsi — di far adeguata raseegna delle molteplici e variatissime trasformazioni e deviazioni c h e assume la «scarica » di profondi, oscuri, compressi e spesso non confessabili istinti, potremo p u r accennare ad alcune singolari trasformazioni e deviazioni.
1. - Piccoli e apparentemente insignificanti gesti di equivalenza e di scarica (tic erotici? E altri. Gesti maniaci liberatoci. Tic verb>a!i, lapsus, sintomi). a) E ' forse vero (e per continuare la nostra rassegna concernente le diverse forme che p r e n d e l'esplosione in maggiore o minor modo . sfigurata degli oscuri istinti) e forse vero che certe piccole manie, traducentisi con piccoli gesti, parecchi dei quali si presentano persino in forme che sembrano automatiche, altro non siano se n o n maniere incoscienti, o quasi, di scaricare stati psichici profondi, irrequieti, compressi, che debbono pur sprigionarsi in qualche modo? Ecco, ad esempio, alcuni piccoli gesti stereotipati e senza cessa ripetentisi, come fossero veri e propri tic: e forse vero, come taluno insinua, che siano anch'essi — o p a r t e di essi — mode6ta esplosione di appetiti oscuri e semincoscienti di auto-erotismo e anche, talvolta, di non tant o p u r o e semplice eteroerotismo? Ecco colui che, per abitudine, p a r l a n d o o assorto nei suoi pensieri, si trastulla continuamente con la catena b r i l l a n t e sul suo panciotto, o con i dorati ciondoli di essa; oppure, ancora, ecco chi per abitudine si compiace di giocarellare con questo o quell'oggetto che ha sopra di se, accarezzandolo, strisciandolo, agitandolo nervosamente, quasi senza accorgersene. Quest'altro, inve-
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ce, ha abitudüie di altro genere: con gesto quasi automatico si accarezza il mento o la fronte, o si passa il d i t o tra i capelli, o 6i sorregge il volto facendo 6correre la roano all'altezza delle narici, o si rode le unghie, quasi senza volerlo, o in continuazione mastica l'estremita della matita che tiene in mano per prendere note o semplicemente per baloccarsi con essa, il tutto (masticazione di unghie e di matita) con una specie di furore in cui ha da esservi un qualche di diletto. O anche, ecco colui c h e ha per abitudine lo stropicciarsi — nion senza delizia — con l'unghia la testa, ma tuttavia con una specie di eleganza; per esempio, col mignolo soltanto. I gesti in questione, da qualche originale e forse troppo originale psichiatra, f u r o n o passati sotto il microscopio di un illuminato esame, proprio come furono giä fatti passare al medesimo lume alcuni strani e per lo innanzi mai approfonditi — da parte degli studiosi — gesti dei bambini quando costoro, poniamo. con ostinazione e furore prendono, per cosi dire, contatto con se medesimi succhiando il proprio pollice o l'alluce dei piede (presessualitä infantile). Nella stessa categoria di gesti potrebbe forse rientrare l'abituale gesto di colui che, dopo aver eseguito l'elegante operazione di cui sopra stropicciandosi con l'unghia la testa, guarda fissamente cio che l'unghia rapace puö aver portato seco dopo l'oetinato tragitto, quasi compiaceivdosi di quel modo specialissimo di conten*plare se stesso. Insospettata e nuova forma... di narcisismo! In conclusione, si tratterebbe di piccoli gesti che servono ancora di equivalenza a profondi istinti di colorito essenzialmente erotico, sfogantisi (cosi come essi possono) anche sotto le parvenze di 6oddisfazioni minime e umilissime. Cosi ben mascherati sono gli uni e gli altri di tali gesti, che nessuno si accorge il piü delle volte della loro presenza o, quanto meno, nessuno sa vedere quäle sia il loro vero colorc. La radice sta nascosta, anche per chi si abbandona a quei tic, sotto il terreno. b) D'altra parte, alcuni tic motorii possono ben trovare in fönte diversa dalla precedente il loro oscuro e profondo motivo, costituendo essi una specie di reazione e difesa contro un'immagine che improvvisamente sorga a dar fastidio (o persino angoscia) e che occorre immediatamente rimuovere. Chi, ad esempio, per qualche transitorio disturbo di respirazione o di deglutizione ha dovuto durante quel disturbo frequentemente e ripetutamente ricorrere a contrazioni, aspirazioni e simili, delle parti nasali o della gola, producenti con il loro movimento caratteristici rumori di aspirazione o di espirazione nasale.
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o raschiamenti di gola o leggeri colpi di tosse, anche tornando allo stato normale poträ benissimo — se e soggetto a lasciarsi impressionare da immagini che gli presentino il possibile rilorno del passato disturbo — venire a difendersi da quell'immagine e ad allontanarla, ripetendo il movimento 6onoro che giä ebbe a servirgli in altra occasione. Senza entrare nel campo di disturbi veri e propri di tale o tal a l t r o genere che possono provocare piccoli moti di difesa i quali permangono poi sotto forma di tic, bastera far cenno di altre immagini producenti il medesimo effetto or indicato; chi, poniamo, si lascia di tanto in tanto a6salire dal dubbio che l'orlo delle proprie unghie non sia di perfetto candore, cercherä — anche trovandosi in piena conversazione insieme ad estranei — di sbarazzarsi da quell'idea cercando con le unghie di una delle due mani di passare sotto quelle dell'altra al fine di togliere ciö che potrebbe quelle unghie insudiciare, il tutto continuando a discorrere senza che l'occhio del « paziente » segua piü o meno attentamente l'operazione. Movimenti motorii di tal genere — occasionati da ciö che chiamiamo una reazionc di difesa contro immagini piü o meno ossessive — movimenti originati sia da transitori stati morbosi, sia da immagini o fantasie che prendono origine dal nulla o da semplici timori o sospetli, possono presentarsi in varie parti della faccia, nel capo. nel collo, nelle spalle. nelle dita e anche nelle braccia. Ma si danno pur anco movimenti di difesa, o ge6ti, ben piü complessi dei piccoli tic or ora accennati che, pur essi, hanno da considerarsi come una reazione di difesa contro disturbi o timori o minaccie di ordine il p i ü delle volte immaginario. Ecco, infatti. c) 'Vogliamo, cioe. fare allusione, in tema di difesa e di 6carica, a gesti di apparentemente futile importanza che si presentano anch'essi quasi come tic o piccole manie automatiche: automatismi, questi, ben diversi per il contenuto e l'origine loro, da quelli or dati ad esempio. Si tratta di certi stati psichici, a volte carichi di preoccupazioni, di timori, di angoscia, che la scarica, per l'appunto, riesce a liberare dal loro colore. Una specie di idea fissa, irragionevole, sorgente dall'imo fondo psichico ove mai si getta lo sguardo, assedia lo spirito o si presenta a quando a quando o in determinate occasioni, idea perturbatrice e conturbatrice che prende tinta, secondo i vari individui, qui della tragedia, lä della comicitä o della tragicomicitä: «Mi accadrä disgraizia e forse invece di tornare a casa, oggi, sarö recato al pronto soccorso del vicino ospedale, se uscendo dimenticherö di p r e n dere con me tale o tale oggetto fosse pure inutile e inutilissimo ». Trage-
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dia da evitare! Basterä portare seco l'oggetto, o tornare subito indietro per riprenderlo se fosse stato dimenticato, p e r tranquillizzare lo spirito; piccola mania «liberatrice »! Eccone un'altra: « Poträ esservi — a notte alta, quando rientro nella mia oscura stanzetta — qualcuno sotto il mio letto? ». Uno sguardo rapido, dopo essermi abbassato anche automaticamente, mi sbarazzerä da quell'angoscia. La scena si ripete ogni sera. Anche qui, maniaco gesto liberatore. Altra categoria di casi ancora; « Ogni malefica infezione poträ derivare al mio povero corpo se qualche malefico microbo si troverä a insidiarmi sulla posata che ho da portare alla bocca o sul piatto ove h o da stendere la mia pietanza » ; un rapido colpo di salvietta — gesto puramente simbolico che in realtä nessun effetto igienico di nettezza poträ produrre sulla posata o sul piatto — non darä affatto all'oggetto sospettato di crimine il richiesto candore, ma toglierä dall'ansioso spirito lo stato di preoccupazione. La scena si ripete ad ogni pasto. Sempre maniaco gesto liberatore! Si veda, ancora, il comportamento di quel tale che regolarmente, dopo avere chiuso a chiave il cassetto dei proprio tavolo prima di uscire di casa, ed essenido effettivamente poi uscito, torna regolarmente indietro, ossessionato dall"idea fissa per verificare se la chiusura era stata con esattezza eseguita. Si potrebbe continuare a iillustrazione non solo della grande varietä di maniaci gesti liberatori da considerarsi come altrettanti tic, o quasi, di cui si arricchisce l'umana attivitä, ma anche dei fatto (di cui altrove avemmo occasione di dire) che ogni uomo « normale » puö avere — e ha — cosi nella sua sagoma fisica come nelle sue attivitä biopsichiche e di condotla, questo o quel punto — o piü punti — di « anormal itä ». Ma, per il inomento, basti quanto sopra. d) Se i tic e i piccoli gesti che abbiamo chiamato « maniaci » possono sino a un certo punto collocarsi nella categoria dei tic motorii, vorremmo dire che altri tic (se e lecito adoperare tale parola) dovrebbero invece andare sotto la designazione di tic verbali. Essi si introdueono automaticamente tra parola e parola nel p a r l a r e di certe persone sotto forma di intercalari automatici, stereotipati e perfettamente inulili — dal punto di vista logico e grammaticale — nello svolgimento della fräse. Si introdueono involontariamente, inopportunamente, inutilinente e quasi per impulso irresistibile. possiamo chiamare anche siffatto « gesto » verbale con nome di tic? Ecco, ad esempio, colui che nel p a r l a r e introduce a ogni istante l'intercalare: non e vero? mentre un altro preferisce gettare ad ogni istante l ' a w e r b i o : naturalmente...
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Un terzo, p r o p r i o senza rendersi ragione del sorriso che il suo intercalare desta negli ascoltatori, interrompe ogni sua fräse coi: dico, dico (ben ripetuto due volte di seguito). Non diciamo di quelli che con assai volgaritä — pur appartenehdo a classi colte — intercalano le loro narrazioni, quando si tratta di descrivere animatamente alcunche, con una bestemmia piü o meno presentabile, sempre la stessa. Insomma, p r o p r i o come il tic motorio ripete macchinalmente il medesimo gesto da parte di alcuni individui, cosi nel caso dei tic verbali il discorso e continuamente interrotto dallo stesso gesto verbale automatico. Spiegazioni date o tentate in proposito dagli studiosi delle anomalie e delle stranezze del linguaggio, son per lo piü insufficenti a spiegare ragionevolmente il fenomeno; potrebbe pensarsi, tuttavia, che i tic verbali in questione provengano — se non ci sbagliamo — da una specie di autodifesa che l'individuo fa di se stesso e del suo dire quando si trova egli esitante nell'esporre il proprio pensiero: la sosta necessariamente imposta alla sua esposizione verbale dal tic verbale automatico, permette al dicitore (preoccupato e forse intimidito) di riprendere fiato. L'intercalare diventa allora una sorta di äncora di salvezza cui il dicitore si aggrappa e che gli dä animo per proseguire; una espressione esterna, automatiea e incosciente, di un intimo turbamento prodotto da uno stato di esitazione e di timidezza, stato pensoso da cui, appunto, la sosta verbale libera — 6ia p u r e momentaneamente — il dicitore stesso, Stereotipie verbali che si seguono a ripetizione nel dire di tale o di tale altro individuo p u r si danno costituenti, non giä una sola parola o poche sillabe come sopra, ma intera fräse, per quanto breve com e : «aspettate un momentino» (petit moment... e un intercalare che Balzac pone sulle labbra di un suo alquanto ridicolo personaggio nella novella: La grande Breteche, e che abbiamo ritrovato in qualche persona di nostra conoscenza, in italiano); « e di ciö basta» ; «come giä dissi»; « d e t t o questo, passiamo o l t r e » ; « v e r i t ä autentica » ecc. ecc. Forse, ancor qui l'introduzione frequente della fräse stereotipata e inconsciamente fatta per dar respiro — materiale e mentale — al dicitore che sta in quei punto per arrestarsi e scivolare; ma e p u r da d i r e che l'imponenza massiccia di una ripetizione stereotipata, senza logico scopo in quanto alla struttura grammalicale e sintassica della fräse e perö suscitante il sorriso di chi ascolta, dovrebbe p u r imporsi e farsi cosciente e ben visibile a colui che di tanto estese stereotipie verbali si serve: quindi e da pensarsi alla presenza di qualche deficenza, sia
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pur in leggier grado, mentale in colui che in tal modo parla e che manca dei piü semplice 6en6o di autocontrollo. Vero e che riesce assai facile controllare gli altri, nel senso di vedere macchie, lacune e imperfezjoni nel fare e nel dire degli altri, mentre e difficile Cosa controllare se ste6si poiche di continuo noi ci mirianio im uno specchio che non ci offre la nostra immagine quäle e 11,3 quäle noi crediamo o de»sideriamo essa sia; ma e pur vero che non accorgersi — udendosi parlare — dei continuo e monotone ripetersi della medesima stereotipia verbale costituisce errore di cosi grossolana fattura da lasciar adito alla supposizione di qualche locus minoris resistentiae nelle attivitä mentali dei dicitore. In generale e da ritenersi che, tanto gli individui affetti dalle piccole fobie di cui abbiamo piü sopra fatto cenno, quanto i timorosi che si aggrappano all'intercalare o che non si accorgono dei ridicolo prodotto dall'automatica ripetizione della medesima fra6e o parola, si trovano p i ü frcquentemente tra i neuroastenici o altri neuropatici colpiti da instabilitä affettiva, da emotivitä esagerata, da infantilismo mentale e tratti analoghi. e) Altra categoria di comportamenti o di piccoli gesti « liberatori», infine, sarebbe da r i m e n i r s i in quelle distrazioni, dimenticanze, /apsits, in cui anche gli individui di piü « normale » fattura si trovano spesso a cadere; cotali gesti sembrano non e6Sere dettati da precisa intenzione: « l o non dimentico intenzionalinente sul tavolo gli occhiali, o la restituzione di un libro o altro oggetto, ne dimentico intenzionalmente tale o tale avvenimento, o il nome di tale o tale altro luogo o persona, ne parlando cado inteiizionalmente in una cosi detta «papera » citando il nome di qualcuno o pronunziando una data fräse... P e r nulla. E ' una semplice distrazione o dimenticanza! ». Orbene, quella non intenzione ha invece — come con acuto ardire si tentö mostrare (Freud) — una segreta e a me ineonscia « intenzione •» perche quelle dimenticanze e quegli errori sono un mezzo ideato dal mio l o profondo, e all'insaputa dell'Io di superficie, per liberarmi da uno stato di fastidio e fors'anco di pena: fastidio di adoperare gli occhiali. inestetici o accusatori degli anni che furono, o di privarsi di un libro che fa tanto comodo avere sotto mano, o fastidio di rinnovare Pimportuno senso di antipatia e di malessere che dä il nome di uno iettatore o di antipatica persona, o l'evocazione di un fatto per me increscioso... f ) E' p u r da far cenno della interpetrazione che si dä (da qualche studioso) a gesti considerati come sintomi di alcune forme nevrotiche, sintomi che costituirebbero semplicemerrte la « scarica » di certi stati
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d'animo profondi, repressi e compressi per ragioni varie. Ii « paziente » dalla sofferenza recata da tale repressione o compressione, si libera con il gesto o sintonio esterno in questione. Uno sfogo e una « s c a r i c a » , e quindi una specie di tentativo di autoguarigione momentanea. Un tale accusa crisi dolorose alla regione cardiaca, con relativa sensazione di soffocamento e dolori lancinanti al tallone 6inistro... Lo psicoanalista, per mezzo di interrogatorio e di analisi di sogni, non esita a dichiarare che quei segni sono i sintomi di una trasfigurazione (che il sofferente compie) del dolore morale provocato da una disavventura d'amore, continuamente represso («lacrime inghiottite»). «La sua coscienza si era semplicemente ritirata dai contenuti ad essa penosi sicche essi, lasciati a 6e, poterono raggiungere la coscienza solo direttamente come sintomi » (C. G. Jung). In altri termini, e come ognun sa, questa o quella manifestazione delle psiconevrosi, e cioe i cosi detti «sintomi nevrotici», altra C06a non sarebbero se non la espressione di determinati complessi psichici profondi propri al nevrotico, giacenti nel profondo dell'Io per processo di compressione e rimozione in causa del sentimento di pena, o di vergogna, o di pentimento, che tali stati psichici suscitarono e suscitano nel soggetto. La formazione del sintomo e la pereistenza in esso, da parte del nevrotico, costituirebbero anche in certi casi l'appagamento di una profonda e compressa tendenza aggiungendosi che si tratta di una espressione esterna (della tendenza profonda) travestita e, per cosi dire, menzognera. o ipocrita, o dissimulata. talcbe in ultima analisi essa riesce illusoria o pressoche tale; infatti, la profonda tendenza, per quanto di continuo allontanata e parzialmente soddisfatta per mezzo del «sintomo», continua a vivere e ad agire nel fondo, da cui necessariamente toma a quando a quando a far sentire le sue istanze. Essa a nes6un coslo vuol essere ignorata. Inutile rammentare a tale proposito — tanto ormai la cosa e nota — che i metodi cosi detti psicanalitici, tra i quali il metodo delle associazioni libere oltre che (a quanto si afferma) l'interpetrazione psicanalitica dei sogni, riuscirebbe a mettere a nudo la vera fisonomia e natura di questi complessi profondi e di queste profonde tendenze, non piü mascherate, dunque. sotto l'infingimento di un abile travestirsi-
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L'Io.
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2. - Pseudo soddisfazicni matertali, incomplete o parziali. Non e davvero facile cosa, in questo territorio delle equivalenze e delle «scariche » istintive e affettive che stiamo percorrendo, creare e distinguere categorie nettamente delimitate tra loro; anche qui le tintc di transizione e le sfumature — come un po' dappertutto, dei resto — servono di passaggio tra l'uno e l'altro ordine di fatli che pur crediamo distinguere tira di loro in prima approssimazione. Ciö non pertanto, dopo aver classificato le diverse sorta di sublimazioni o elevazioni e le diverse sorta di deviazioni lecite, consentite e persino talvolta applaudite, o dopo aver fatto cenno delle piccole e poco notate o poco notabili « s c a r i c h e » in tic, gesti, lupsus, eccoci di fronte a un insieme di fatti — «equivalenze » anche questi — che potrebbe formare una quarta categoria, assai vasta e fors'anco piuttosto eterogenea, in cui troveremo alcune oscure forme di soddisfazioni incomplete o parziali, il p i ü delle volte tenute nascoste, di assai particolare natura e di ordine cssenzialmente materiale. Tali categorie di equivalenze concernono quei profondi ed irrequieti istinti simboleggiati dall'Eros che giä vedemmo or sublimarsi in equivalenze di alto valore sociale, or trovar sfogo non giä nelle squisite forme dell'arte ma nelle basse deformazioni della pseudo letteratura commerciale e di contrabbando, or trovar via di uscita deviandosi in applicazioni o soddisfacimenti piü o meno legittimi e consentiti perche profondamente mascherati, ecc... Ma qui essi trovano esplosione e soddisfacimento grazie a misere sorta di attivitä o sotterfugi clandestini, di fisonomia assai speciale, che si vanno accostando assai volte, quando vi sia ripetizione loro e loro intensifieazione, al territorio della psicopatologia anziehe rimanere in quello della psicologia normale o quasi. L'Eros, cioe, non potendo spiegare liberamente la propria attivitä, e obbligato ad accontentarsi di autoinganni che gli fanno sembrare realtä ciö che e semplicemente un'ombra della realtä stessa. Non
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velock Ellis, di Maranon, di Ribeiro, di Garnier a questo riguardo. E anche ben note, oramai, per gli studi di psichiatria e medico-legali, sono le denominazioni di autoerotismo, di grande e piccolo feticismo, di uranismo e del suo analogo femminile, di esibizionismo, di necrofilismo, di sadismo, di masochismo e via dicendo, distinguendosi anche tali manifestazioni — in quanto alla natura di esse o alla loro intensitä — in semplicemente irregolari o veramente patologiche. Mentre pur si distinguono (per quei tanto che vale siffatta distinzior.e, in ispecie nei suoi casi misti e di transizione) in congenite ed acquisite. Piü volte (quando non si tratti di origine nettamente congenita e, come qualcuno anche dice, somatica, di tali manifestazioni), si tratta proprio di atteggiamenti, di gesti, di soddisfacimenti che prendono vita perche vi e impossibilitä di battere apertamente il dritto cammino e che a poco a poco, ripetendosi e intensificandosi, diventano capaci di sostituire definitivamente gli atteggiamenti, i gesti, i soddisfacimenti normali. Giungono essi per tal modo ad assumere definitivamente l'aspetto di quelle forme che vanno sotto il nome di psicopatie sessuali acquisite. Le quali vanno gareggiando con le congenite, sebbene possano esse — a quanto dicono i tecnici della psicoterapia — smorzarsi i cancellarsi, oltre che coi ritorno alle pratiche normali, per lo innanzi negate, ^nche con il trattamento suggestive psicoterapeutico (Edgard Berillon e altri). Sta bene; contentiamoci di rimandare ai noti studi degli special isti, giä citati, ma abbiamo dovuto p u r sfiorare il non simpatico tema, pon foss'altro per un istante, inquantoche esso tocca assai da vicino il meccanismo delle trasformazioni, delle equivalenze, delle — per quanto transitoria — in quella etä. Alludiamo all'autoerotismo prepubere, pubere e immediatamente post-pubere; e non diciamo (sebbene si potrebbe anche di ciö parlare) dei fenomeni o « scariclie » che furono indicati sotto il nome di « presessualitä infantile ». Puö in seguito, presso taluni soggetti che siano in piena giovinezza o maturitä, per circostanze di ordine individuale e di ordine ambientale insieme, tale pseudosoddi«
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sfazione tornare a presentarei e a ripetutamente insistere come equivalente, ancora normale o quasi, de! non soddisfacimento diretto e completo. Erroneamente la classe di fatti di cui p a r l i a m o e prospettata sotto il nome di quel personaggio di cui al versetto 9 dcl capitolo 38 della Genesi; in ogni modo, costituisce esso un sottogruppo dei fatti provocati dalla non diretta soddisfazione. II triste corteggio di mali, cosi fisici quanto psiehici, che tale sotterfugio ed equivalente trascina seco, facendoli a poco a poco d a p p r i m a apparire, poi sviluppare e i n tensificare, e ancor piü vasto di ciö che a bella p r i m a potrebbe sospett a r s i ; invero, si forma un legame associativo (e, staremo per dire T quasi per via di riflessi condizionati, come f u dimostrato assai p r i m a che si parlasse di riflessi condizionati), di immagini a base di autoerotismo che, se portano in un p r i m o tempo a fatti di narcisismo fisico, possono poi condurre a tendenze — cariche di potenzialitä erotica anche omosessuali — che 6orgono insensibilmente nello spirito e si impongono. II tutto diviene a poco a poco una vera coazione p e r chi n e e la vittima, la quäle, ciö nonpertanto, se ne compiace. D'altra parte, altre manifestazioni ancora di carattere a b e r r a n t e possono a p p a r i r e come sostitutivi. trasformazioni e « s c a r i c h e » (feticismo e forme piü gravi giä ricordate) ancor grazie ad associazioni di immagini che vengono ad innestarsi nello spirito dell'autoerotista: cosi fanno i parassiti sull'organismo che loro serve di sostegno. E cioe il compresso istinto, tentando via di uscita nelle p i ü strane forme, p u ö giungere attraverso l'autoerotismo non solo alla patologia omosessuale lentamente acquisita, ma anche — sempre p e r via di associazioni tra sensazioni e tra immagini, il p i ü delle volte formatesi e cristallizzatesi nei momenti autoerotici — alle p i ü varie forme dei piü strani equivalenti. Si vanno per tal modo formando, a poco a poco, orientainenti di feticismo — che puö avere per obietto, sia p a r t i dei corpo, sia oggetti (in ispecie di abbigliamento e simili) — o, quel che e p i ü grave, orientamenti masochistici oppure 6adistici, per non dire altro. Nei quali casi tutti (sorti a poco a poco, sviluppatisi e affermatisi da una apparentemen.te tenue radice d i soddisfazione incompleta e particolarmente autoerotica) si ha lenta acquisizione degli stati anormal» e paranormali che mai si sarebbe verificata ove il compresso istinto avesse trovato libera la propria strada. P a r l i a m o — descrivendo come ßopra — di « scariche » e trasformazioni p i ü o meno anormali originate non tanto da co6tituzione congenita, quäle che sia nelle sue molteplici varietä, ma da processi di lenta acquisizione, senza escludere
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c h e tanto piü facilmente si produce e si sviluppa l'acquisizione stessa quanto piü questa trova adatto terreno e predisposizione. Ricollegand o , infatti, le strane avventure tutte di cui sopra a un autoerotismo semplicei originario e anche ingenuo (e ciö, grazie al meccanismo di associazione coatta tra certe sensazioni autoerotiche e le immagini che ne risultano) intendiamo riferirci, ripetiamo, alla teoria delle psicopatie sessuali acquisite, teoria che per nulla — intendiamoci bene — esclude quella delle psicopatie sessuali congenite, ma che spiega facilmente una grande quantitä di casi. Casi tutti sui quali ci guarderemo di insistere, ma che tuttavia occorreva pur indicare, poiche stiamo mostrando sotto quäle varietä infinita di forme, talmente differenti le une dalle altre che non sembrano avere alcun rapporto tra loro, l'istinto profondo riesce a farsi fuori dalla sua tana e a trovar strada per sentieri tortuosi che non conducono, del resto, se non a una volgare equivalenza e a fantasmi sostituenti la vera soddisfazione normale completa.
P A R T E QUINTA
COME UIO A
INGANNA
SÄ
STESSO
UTOCONSOLAZIONI
CAPITOLO
PRIMO
IL GRANDE SOTTERFUGIO: L'EVASIONE Artifici varii, abbiamo visto, travestimenti speciosi, comprome»si lalora fragili e fragilissimi ma p u r momentancamente efficaci, danno il via agli istinti profondi sotto miutato e legittimo aspetto oreandosi per tal modo l'equivalente — in mancanza di meglio — della vera e propria soddisfazione diretta. Ma allora che tale cercata soddisfazione, sia pure nelle piü modeste e artificiali sue forme, non e raggiunta, che cosa mai accadrä nel l'interno di quello spirito che a nessun costo rinunzia alla propria difesa? Cercherä — e quasi sempre troverä — i piü sottili espedienti c h e gli serv.iranno di consolazione per i non riusciti suoi sforzi, e quasi di riposo o di schermo-
1. - Premessa. Occorre dire intanto, che l'irrequietezza, il turbamento, la pena e sin l'angoscia producentisi in chi non vede concretarsi le p r o p r i e profonde aspirazioni, non si verificano soltanto quando 6i tratti del tentato esternarsi di oscuri istinti egoistiei poco o nulla confessabili, ma pur anco allora che le nobili aspirazioni d e l l l o superiore (siano pure esse prodotte da incosciente trasformazione degli istinti egoistiei) vengano a lacerarsi e infrangersi contro la dura scogliera della misera o tragica vita quotidiana. In ogni caso e necessario trovar modo di nascondere a se stessi le ferite del cuore e chiuder l'udito alle parole che piangono nel nostro interno. Non e detto, quindi, che si tratti sempre — nel campo delle autoconsolazioni — dei fiori del male (che non trovarono modo di sbocciare e che p u r vogliono aprirsi al sole) di quei giardino segreto che ciascuno di noi porta in f o n d o al p r o p r i o essere. No davvero. P u ö trattarsi — e ciö accade assai volte — di slanci, di desideri, di sogni nobili ed elevati, che svaniscono al contatto dell'aspra durezza della realtä spietata e maligna. P r o p r i o cosi.
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Quali, poniamo, siffatti slanci nobili ed elevati che tanto 6peS6<> vengono infranti? Desiderio, ad esempio, di ottenere ciö che si crede »ia giusto a noi spetti, desiderio di mantenere integra la propria dignitä, di sentirsi trattato come uoino e non come Cosa o servo (sempre che ei possano dare individui che cosi sentano). desiderio che sgorga — e vero — da un complesso di senlimenti che assai da vicino toccano il benessere puramente individuale dei soggetto, ma che al tempo stesso esprime, da parte dei soggetto stesso, volontä di giustizia, di dignitä, di elevazione intellettuale e morale, anche per gli altri e per tutti, oltre che per se stesso. Quanti disinganni vengono a cadere, come la neve di una tormenta, sulle macerie di cosifatte aspirazioni, ricoprendole come col gelo di un sudario! Ripetiamo: aspirazioni di tal genele, dal volto austero e irradiato di luce, possono in ultima analisi con•iderarsi come sublimazioni dell'egoistico senso de! voler vivere senza il dolore e l'affanno che sono prodotti dalla contemplazione delle umane miserie e delle umanc ingiustizie... tanto piü che giustizia, probitä, dirittura, rigorosa onestä, sono categorie morali e sociali che pretendiamo in altri senza ben verificare se esse poi siano realmente presenti in noi stessi; se soffrianvo nel veder altri soggiacere all'ingiusto, ancor piü soffriamo se chi soggiace e la nostra stessa persona, senza accorgerci che non penseremmo e non sentiremmo nello stesso modo se l'ingiustizia fosse fatta... a nostro vantaggio. Come che sia, disillusioni e sofferenze di tal genere sono certamente da considerarsi di a6sai migliori panni vestite che non quelle prodotte dai piü intransigenti e imperiosi istinti egoistici; e di ciö e da tenersi dovuto conto. D'altronde, ecco altre irrequietezze ed angosce, provenienti da sorgenti ben diverse da quelle ora accennate, per quanto apertamente egoistiche, ma non davvero da tenersi ascose per vergogna: l'angoscia (a cui, in definitiva, nessuno sfugge) ognor presente e vigile, dinnanzi al senso della morte e per la quäle ognuno e ad ogni di, anche senza volerlo e sernza chiaramente rendersi di ciö conto, ripete il sospiro della « jeune captive » di Chenier, che alla vigilia di essere portata alla morte grida che non vuole ancora morire... je ne veux point mourir encore. Anche un indefinito senso di pena, se non di angoscia, produce in qualche anima eletta la coscienza dei mistero in cui si awolge la Natura nella quäle pur viviamo e siamo immersi, mistero che a noi si affaccia ogni qual volta cerchiamo guardarla in volto, mistero che e in ogni suo gesto (compresi quelli che ai piü sembrano semplicissimi, limpidi e governati dalle p i ü elementari leggi «naturali»1. mistero che
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« persino — come, 6orridendo ai giudici che lo condannavano per empictä, diceva Etienne Dolet — nel p i ü tenue filo d'erba. Ora (e tralasciamo di indieare altre fonti ancora di desideri apcrtamente confessabili e pur tormentosi per il loro eterno non soddisfaciniento) ora, dinanzi alla tormenta della continua e lenta estinzione delle illusioni, apparentemente piü nobili, bisogna pur che l'Io trovi modo di sottrarsi alla pena e — in tanta minaccia di naufragio — cerchi terra ove approdare, fosse p u r terra deserta. Quali mai, siffatti modi di salvataggio, e tanto per il naufragio dei bassi istinti quanto per quello delle piü alte idealitä?
2. - Una prima classificazione. Tra i processi psichici cui assai spesso — coscientemente o no — l'Io ricorre per difendere se stesso da preoccupazioni, dubbi, disagi, •offerenze morali le piü varie, e anche dalla pena che dä la non soddisfazione di istanze profonde, e Pallorrtamamento psichico dal mondo esteriore, processo che va sotto il nome comunemente usato (troppo coinunemente e anche a sproposito) di evasione. Nel suo tugurio il poverello sospira: «Non posso lasciar il mondo, ohime! essendo privo d'ali... Cosi l'antico poeta Okura, nella sua canzone alla Miseria. Invero, ognuno di noi e forse come il mjsero che dcsidera allontanarsi e fuggire dal tugurio della vita per non vedere e non sentire. O come il Salmista che implorava; « O h ! Avessi io delle ali, come le colombe! l o me ne volerei e mi riparerei in alcun luogo ». Quis dubit mihi peiu nas sicut columbae, et volabo et requiescam. « Ecco io me ne fuggirei lontano; io dimorerei nel deserto Ecce elongavi fugiens et mansi in solitudine (Salmi, 54, 7-8). Desiderio di ogni uomo e di ogni tempo, non realizzato? Eppure, modo di allontanarsi, di fuggire o — quanto meno — di volgere altrove il viso, continuamente e trovato con istintiva spontaneitä dagli uomini. L'Io sofferente si allontana, grazie ad espedienti vari (alcuni dei quali anche semplici e modesti) dalle co6e che lo feriscono; lo spirito esce ed evade, sc cosa si puö dire, dal carcere delle dure cose e crudeli in cui e rinchiuso e piü non risente che una lontana eco di quei mondo. Se pur ancora qualche indistinto suono a lui giunge, guarda da un'altra parte per hon vedere, per non sentire e cosi fuggendo si slancia a vivere, grazie agli immaginosi fantasmi entro i quali cerca la nuova vita, in un mondo lontano di ben mutato aspetto da quello che cosi crudelmente l'aveva insino allora
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conturbato e afflitto. Dove sono questi nuovi mondi lontani entro cui vivere per non vedeire? P e r quanto di siffatti processi, detti di evasione, ognor si parli, non sono stati essi ancora sottoposti ad attento studio, e molto meno si e lentata classificazione dei vari modi con cui essi si presentano. poIremmo su tal punto cominciare col dire che possono darsi due grandi catcgorie di evasioni: contemplative le une, costruttive le altre. Le prime trasportano l'Io afflitto e preoccupato fuori dal mare delle sue tempeste cullandolo, ad esempio, nella contemplazione di paesaggi e di fantasmi forniti dalle belle finzioni della lettura, dei teatro e dei cinematografo, o dalle variegatissime scene della fantasticlieria; le seconde, lungi dal contemplare soltanto, si danno a intenso travaglio in tale o in tale altra occupazione che dia tregua o riposo allo spirito si che questo rimanga completamente assorbito in quel travaglio e da ogni altro pensiero distratto. Vedremo tra breve se in realtä possa darsi distinzione netta e tagliente tra le evasioni contemplative (in ispecie la fantasticheria) e quelle effettivamente costruttive; per il momento, ecco qualche illustrazione dei tema.
3. • Awertenza. Diciamo essere 1'« evasione » — contemplativa o costruttiva che sia — opportuna maniera per sfuggire al mondo o coprire i nostri occhi, ma pur al tempo stesso vedere altre cose che ci distraggano e non ci affliggano; dobbiamo subito, tuttavia, premettere a ciö che andremo dicendo, una considerazione: 1'« evasione», in ispecie in alcune sue forme (alcune particolari letture corrispondenti a soddisfazioni di nostri profondi istinti, ma soprattulto alcune speciali forme di fantasticherie) non soltanto porta noi, con le sue ali magiche, lontano dalle quotidiane noie e amarezze (autoconsolazione), ma permette pur anco ciö che piü indietro abbiamo chiamato « trasformazione degli istinti profondi », istinti profondi che non possono trovare sfogo nella realtä della vita e che si accontentano quindi di soddisfarsi con le visioni e con le sensazioni fornite dalle scene, dai paesaggi e dalle astrazioni dei 1'evasione. La quäle, dunquc, coßtituisce al tempo stesso una autoconsolazione e una « scarica » di quegli istinti profondi e di quei prdfondi egoismi che mal si potrebbero direttamente manifestare nella vita, compressi come sono (negli ipogei tenebrosi della personalitä) dall'imperativo sociale e dalle costrizioni morali dell'epoca-
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Come che sia, facciamoci alla nostra rassegna dando principio con la speciale forma di evasione contemplativa offerta dalla lettura.
4. - Evasione contemplativa: a) La lettura. Facile, assai comune ed eterno espediente per l'evasione, e la lettura (per la minuta gente che non sa leggere, la « lettura », si fa con l'attento e meravigliato udire la narrazione di favole o leggende che lasciano trasognato chi a6Colta e che poi saranno ripetute di bocca in bocca). P e r i piü, ecco il romanzo storico, il romanzo di avventure e il romanzo meraviglioso: il primo vi fa vivere i n un passato che e lontano dal vostro secolo, mentre il secondo vi strappa dal luogo grigio e monotono in cui scorrono le lunghe ore della vostra vita; nell'uno e neH'altro caso vi allontanate dal presente, ora spostandovi con Alessandro Dumas, con Walter Scott, coi nostro Francesco Guerrazzi e con il nostro M.assimo D'Azeglio verso i tempi che furono, splendenti di scene e di personaggi dal volto cosi diverso da quello di scene o di personaggi di oggi. ora tra6correndo awenturosamente di mare in mare, di terra in terra, di longitudine in longitudine, con Fenimore Cooper e con Giulio Verne. Anzi, la tran&volata fantastica attraverso il tempo non si fa soltanto nel passato, ma pur nel futuro antieipando visioni e 6ensazioni del mondo avvenire coi contemplare le romanzesce predizioni di Edoardo Bellamy sull'anno duemila, o quelle di Robida sul secolo ventesimo, o di Wells che pei- mezzo della sua maechina per volare attraverso il tempo o con il descrivere ciö che avverrä quando il dormiente si sveglierä. o con il suo romanzo dell ' a w e n i r e (che fa seguito e fine al romanzo della preistoria) vi trasporta nel piü lontano futuro fin quasi all'estinzione della terra. Nel passato e nell'avvenire, insomma, e cio£ dovunque fuorche nel presente, ed anche in mondi che non furono ne saranno, ma che escono dalla piü ardente fantasia del loro Creatore : nel centro della terra, come descrive Edoardo Bulwer. mostrando i paesaggi e le attivitä di una immaginaria societä che colä vive; in un mondo perduto — abitato da uomini e mostri del tutto diversi dai nostri — come narra Conan Doyle; nell'isola dei Centauri, come descrive — lanciandosi ancora una volta nelle sue fantasie — Robida. P e r non dire dei fanta6iosi paesi della luna o di altri pianeti ed astri visitati da Luciano, da Gulliver, da Cyrano de Bergerac. da Voltaire, e persino da Sibdad il
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marinaio... paesi che appaesionatamente noi visitiamo per allontanarci dal nostro e per colä trovare un realizzarsi di quelle aspirazioni che tra noi sono costrette a morire appena nate. Medesima funzione (dimentioanza, allontanamento, contemplazione di ciö che e assolutamente diverso da quel che ne circonda) assolve la lettura dei «meraviglioso», da quello che si presenta sotto le forme piü logiche come fanno i miracoli dei ragionamento investigatore e scopritore di impenetrabili enigmi, miracoli dovuti a Gaboriau e a Conan Doyle, a quello che si veste delle piü assurde ma pur scintillanti e mirabili tinte: basti pensare alle novelle di Edgardo Poe e di Teodoro Hoffmann le quali ci portano, e vero, in un mondo di impossibilitä e di fantasmi... ma meglio vale ogni sorta di impossibilitä e ogni sorta di fantasmi che non tulte le possibilitä e tutti gli uomini di carne e ossa della vita che 6tiamo vivendo. Ora, quäle mai la ragione dei continuo e replicato successo di siffatte grandi finzioni romanzesche, se non la rispondenza assoluta e completa di cotali immaginari mondi e di tali fantasie al generale e tanto diffuso bisogno di fuggire il mondo reale? persino le piü deformi e squallide imitazioni di quei grandi esemplari si moltiplicano senza cessa a migliaia, gettate alle turbe di avidissimi lettori che poco si cu-i rano dei senso d'arte e di bellezza, ma piü cercano la suggestione, di una favola che sia ben lontana dalla realtä. Chi in tali mondi e in tali finzioni si astrae — non fosse che per la breve ora strappata alle piü lunghe ore di inquietudine e di sofferenza — dimentica i dolori dei presente, vivendo nel passato e nell'aweniire, in paesi lontani o nel grande teatro delle finzioni e contempla p e r tal modo una vita tanto diversa da quella che lo affligge. Da attore misero e perseguitato, si fa spettatore. Attratto da tali favole, l'illuso abbandona la terra dei suo dolore e naviga verso lontane sponde e felici. Da tutto ciö — chi potrebbe mai negarlo? — proviene quell'incantesimo che, non solo sulla minuta gente, ma anche e soprattutto sugli spiriti piü eletti esercita la lettura... Misera e di misere favole per i miseri, ma di austere pagine, anche dure e aspre, per le menti non povere e adusate a cercare il bello e a sentire il vero ancor lä ove altri nulla vede. « Spoglio di ogni desiderio — narra Plinio il giovane in una delle sue ettere (IX, plinius, Minutio Fundano suo) — e di ogni timore, lontano da ogni rumore che possa inquietarmi, me ne sto nella sola compagnia di me stesso e dei miei libri con i quali favello »... mecum tantum et cum libellis loquor. O rectam ünceramque vitam!...
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O mare, o litus, verum secretumque! Menti siffatte, anzi, il piü delle volte non provano gioia — e quindi eomjpleto distacco dalle quotidiane tristizie — che in quegli incantesimi. Si enitra in un nuovo mondo, per lasciare quello in cui si vive e che sentiamo ostile. Un fcraniquillo « al di lä » si apre dinanzi ai nostri passi senza che l'angustia della morte ci abbia ancora colpito. «Le ore di studio a cominciar dal primo mattino — soleva dire Montesquieu — sempre per me furono rimedio sovrano contro il disgusto che mi recavano le cose della vita; mai ebbi sorta di dispiaceri che un'ora di lettura non mi abbia fatto dimenticare ». « Io vivo piü coi morti che con i vivi » ebbero a d i r e lutti coloro che, per non udire le voci dei vivi — dissonanti, sgradevoli e rattristanti — ebber agio e possibilitä di passare la maggior parte della giornata — o accanto alla notturna lampada — anziehe con i contemporanei e con le cose eontemporanee, con chicchessia tra i grandi del passato, di Roma e di Atene, leggendo i loro scritti; tale espiessione di diletto, di rifugio e di oblio fu adoperata da intelletti i piü lontani e diversi, come da Nicola Spedalieri (biografia di G. Gimbali) ad Alessandro Pusckin (quanto lontani l'uno dall'altro, e p u r tanto vicini nel medesimo desiderio di fuga e di consolazione!) il qualle diceva di dimenticare il mondo intero nella sua stanza perche i suoi amici — i morti che si allineavano nella sua libreria — vivono con lui (biografia compilata da Iv. Ivanov). Insomma, dimenticando la terra, guardare le lontane stelle e cioe la luce dei nostri grandi morti. Davvero, immergersi nel diletto delle finzioni che vi trasportino lontano, quasi a raccogliere una luce che non e di questa terra, fa pur comprendere perche tante volte novellieri piü o meno fantasiosi abbiano mostrato quadri in cui uomini e donne, isolatamente o a gruppi, per non sentire dolori del momento o per sottrarsi ai pericoli della pestilenza o per ingannare il peso di una grigia noia, si danno a narr a r e dilettevoli storie le quali tutte facciano — almeno momentaneamente — porre in oblio ogni preoccupazione. C061 fa la brigata del Decamerone di Messer Giovanni Boccaccio e, per sontuosa imitazione, cosi fanno i pellegrini di cui parla Geoffrey Chaucer in The Canterbury tales; oppure ancora in amene storie dimenticano il tempo amici e amiche con le pingui e gaie novelle delYHeptameron di Margherita di Navarra. Medesimamente, Lalla Rookh — prineipessa indiana del poema di Thomas Moore — recandosi attraverso lunga distesa di contrad e a raggiungere colui che le era stato assegnato come fidanzato, a lei ancora ignoto, inganna la noia e piü ancora il turbamento e la preoc-
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cupazione facendosi n a r r a r e le belle favole dalla sua guida, il poeta Feramorz... che si trova poi essere l'incognito fidanzato. Accade agli adulti ciö che quotidianamente si verifica per i bimbi : gli uni e gli altri vogliono ascoltare fiabe e novelle per dimenticare e illudersi... almeno per qualche minuto della penosa giornata. Da che coßa deriva — e sia detto di passaggio ancor questo — il successo dello spettacolo cinematografico anche banale, se non da questo desiderio e, anzi, da qucsta necessitä che sospinge a ogni passo il viandante, attraverso le oscure vie della vita, a guardare lontano e a dimenticare ciö che gli sta intorno? E il successo di alcuni festivi spetlacoli, anche infantili, i quali piü; per i bimbi sembrano esser fatti che non per gli adulti che ad essi accorrono? Lasciamo pur da banda, intanto, quella particolare finzione che si ccrca nella lettura, non tanto per desiderio di autoconsolazione o d i fuggire la vita, quanto per imperioso stimolo di dar segreto o compialcente e facile sfogo a profonde istanze, non realizzabili, dell'Io profondo; ognun sa come possano miseramente servire di equivalenza ad atti reali alcune proibite e proibitissimc letture; senza riferirci a quelle che in piü o meno spregevole forma vi trascinano nel piü oscuro mondo dell'Eros, po6siamo pur dire che non soddisfatti istinti di vagabondaggio, di combattivitä e anche di crudeltä trovano in certe letture l'illusione — o l'allucinazione — di vera e propria realizzazione: ben sanno ciö, ad esempio, quegli studiosi dell'umana personalitä. i quali hanno notato da chi sono preferite e gustate le pagine, anche strettamente scientifiche, che narrano con ricchezza di documenti storici delle torture e dei supplizi che in ogni parte dei mondo l'Umanitä ha saputo scoprire e mettere in atto per perseguitare, punire ed « emendare » il genere umano. D a l t r a parte, e senza spingerci al limite della patologia e della parapatologia, non e davver» compiere grande scoperta l'osservare come ogni persona che nella lettura cerca svago e conforto, da quelle letture specialmente si lascia attrarre le quali prospettino nelle loro narrazioni personaggi la cui condotta eroica — o sentimentale, o altra che sia — corrisponde a quella che il lettore o la lettrice vorrebbe per proprio conto attuare nella vita quotidiana. J»roiettando in tal modo la propria personalitä in quella che £ presentata dalla finzione, il lettore e la lettrice vedono se stessi quali sognano essere. sicche il 6ogno si fa quasi realtä... da cui. non solo una «evasione ma anche un soddisfaeimento degli interni e non sempre confessati desideri e di mal celate aspirazioni. Lasciamo pur da canto, co-
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nie dicemnio, siffatte trasformazioni, piü o meno innocenti, del profofido sentimento nelle belle menzogne o nelle istoriale cronache della lettura, tanto esse sono di comune osservazione, e veniamo piuttosto a quell'evasione contemplativa (autoconsolazione e « scarica » al tempo stesso) da indicarsi come fantasticlicria.
5. - Evasione contemplativa. b) La fantasticheria e le varie sue tinte psicologiche. Si tratta di un atteggiamento psichico — notisi bene — ehe, come pur accade per alcuni altri giä illustrati nelle precedenti pagine, puö essere eonsiderato al tempo stesso, sia come soddisfazione e sfogo deviato o incompleto e succedaneo della non libera manifestazione di istinti profondi, sia come via di consolazione, di riposo, di tranquillizy.ante illusione. Nel primo caso la fantasticheria offre il miraggio di una soddisfazione alle voci importune e disordinate dell'Io profondo; chi — ad esempio — materialmente non puö vincere e sopraffare, o infierire, o trar Vendetta, o abusivamente godere, crea nelle sue fantasticherie, a immagine dei propri desideri, avvenimenti e scene che quasi danno al sognante il senso della traduzione in realtä dei propri appetiti. Senonche, nella fantasticheria stessa e anche — conre dicemnio — quell'autoconsolazione che proviene dal fuggire la vita reale per immergersi in quella immaginaria; siamo sempre di fronte a una evasione, diremo cosi, contemplativa ma pur sempre efficace: la fan|tastieheria o sogno a occhi aperti. Momenti, cioe, di abbandono in cui le cose che stanno intorno a noi si seolorano e perdono le linee del loro profilo per tramutarsi in quelle di un nuovo mondo che £ conforme ai nostri intimi desideri, anche inconfessabili, e di quei mondo allora gustiamo le delizie con cuore pieno di estasi e di gioia; l ' I o sognante si diletta in tal modo ad assistere, quasi come spettatore im. nanzi a una visione cinematografica, allo svolgersi panoramico del 6uo sogno. In altri termini, la fantasticheria — allontanando — consola, e facendo contemplare desiderate e spesso proibite scene dä, 6ia pur parzialmente, la cercata soddisfazione. Quante maschere e quanti aspetti prendono siffatte fantasticherie! Potremmo elencarle e classificarle come segue. ben avvertendo che nella loro varietä molte di es20. - L'Io-
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scj se non tutte, hanno un oscuro fondo comune, a tinta — diciamolo pure — criminaloide, costituito da quella «criminalitä latente» che giace compressa e il piü delle volte incosciente nel fondo di ogni peil, sonalilä psicliica; alcune di esse, poi, in special modo traggono origine da un infantilismo psichico che pur eeso — come giä altrove vedemmo — giace nel fondo della personalitä adulta con possibilitä di reviviscenza. Cio detto, facciamo breve rasßegna. a) Fantasticherie fiabesche nua felicitä.
e di inge-
Diamo luogo, innanzi tutto, alle fantasticherie che chiameremo jiabesche: « Se avessi le ali! Se possedessi la lampada di Aladino! Se fasse in mio poßsesso quella borsa magica di cui parla Chamisso nella 6ua novella su L'uomo che ha perduto la sua ombra, borsa ricolmaj di oro che mai rimane vuota! ». O p p u r e : « C h e cosa accadrebbe 6e fosse in mio potere lo specchio che mi facesse vedere nella sua luce ciö che accade lontano da me e che io desidero conoscere!». Meglio ancora: «Se potessi rendermi invisibile, e tutto vedere, e su tutto in tal modo poter agire a mio capriccio!». Fantasticherie di tal genere riconducono il «sognante» allo stato infantile, a quello stato infantile che semp r e dorme nel sottosuolo dei nostro spirito e che da un istante all'altro p u ö risvegliarsi. In tali fantastici viaggi nel mondo delle favole, la fantasia — collaboratrice instancabile degli oscuri istinti — getta a profusione tutto l'oro e tutti i gioielli, veri o falsi che siano, di cui essa dispone, componendo per tal modo, decorando e illuminando tutto un fittizio mondo di incantesimi, ove l'Io, liberato da ogni intralcio, coglie ogni delizia e vagabondeggia attraverso i tesori di un giardino incanta« to. Accade, in tutto ciö, quel che narra una delle poesie delle Notti d'inverno di Henri Murger; il povero nella sua umida stanza, accanto al focolare spento, mentre la neve batte alla sconnessa finestra, intirizzito, veglia e pensa trasformando tutte le sue povertä in un palazzo incantato grazie al soccorso della poesia e della fantasia che gli stanno accanto. Ognuno di noi — almeno in alcuni momenti della vita — non e forse il povero Murger accanto ad un focolare spento? Sta bene, ma non vorremmo dimenticare che, pur spaziando in cosi colorite e fanciullesche visioni, lo spirito puö essere sorpreso di tanto in tanto da sottili tentazioni che lo spingono ad agire (sempre
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nella sua fantasticheria) piuttosto come suggerisccno le cattive fate — e persino le streghe malefiche — che come dettano le buone fate; anc h e qui tanto l'Orco quanto Barbahleu possono a l t e m a r e le loro voci con quelle dei Geni benefici e protettori. La «criminalitä latente», insieme all'infantilismo, viene alla superficie. Ma si tratta sempre di favole! Stanno accanto alle fiabesche, quelle fantasticherie placide in cui si fanno sogni di materiale felicitä e di benessere, o sogni, meno frequenti, di spirituale felicitä; delizie del corpo e dello spirito dunque, le une e le altre. Le prime, ad esempio, ti portano nel paese d i Benfgodi ove ogni grazia di Dio e a disposizione della tua ghiottoneria... anche bestiale (l'Io profondo non cessa di far sentire la sua istanza), mentre le seconde, facendoti cadere in un ottimismo e in una ingenuitä di carattere ebefrenico, ti trasportano in quella Cittä futura dalle pacifiche abitazioni e dai lieti giardini, sotto il Sole che calmo e sereno illumina la fraternitä degli uomini tutti intenti a opere di pace e di lavoro... quasicche mai Caino avesse ucciso il fratello Abele! Non si esclude — tutt'altro! — che siffatte aspirazioni nobilissime sorgano e si affermino non tanto per la pietä destata dalla morte di Abele e dallo spettacolo di tante feroci ingiustizie, quanto per la incosciente considerazione e tema — da parte di chi sente cosi nobilmente — di trovarsi un giorno a subire la Sorte di Abele: pietä, in ultima analisi e sebbene in forma incosciente, piü per 6e che per l'altro. Medesimamente, sogni altissimi di una felicitä quäle soltanto la Cittä f u t u r a pol-trä dare, profilano le loro ro6ee tinte per il bene degli altri — nostri fratelli — e vero... ma anche per il nostro proprio bene, di noi stessi, trasformando in altruismo il nostro stesso egoismo. b) Dalle fantasticherie e dalle vendicative,
megalomani alle erotiche.
Ma, a parte le sopraindicate categorie di fantasie allontanatrici e consolatrici e durante le quali, si noti ancora, alcune tendenze egoistic h e e antisociali possono far 6entire il loro speciale colore, ecco venire innanzi le altre che cercano concretarsi con le scene e i mezzi, non giä delle fiabe o della pura immaginazione, ma con le scene e i mezzi della vera vita quotidiana. Sono tra esse, con qualche frequenza, le fantasticherie di grandezza megalomane in cui ha sfogo il piü sfrenato e anche illecito desiderio di potenza e di comando sino alla crudelta
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Parle
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( q u a n t e non obbedienti te6te f a r e i c a d e r e — pensava un t a l e — se fo6ti un miandarino dell'antiea Cina!). Qui la v a n i t ä che ie in fondo a ianti cuori, anche se mascherata di orgoglio, trova l i b e r a distesa a ogni 6ua follia scorrendo su tutti i tasti c h e v a n n o dalle p i ü vanesie esi)bizioni infantili a l l e p i ü irragionevoli pretese dei Superuomo. Si t r a t (a 6empre di sogni dai quali, tuttavia, si t r a e consolazione e soddisfacimento. E p u r , tra le fantasticherie, q u e l l e di Vendetta — t a n t o lontane da quel p r e c e t t o evangelico che detta il p e r d o n o e che o g n u n o ripete di viva voce senza sentirlo in quel cuore nel quäle a l b e r g a n o ben a l t r i 6entimenti — Vendetta che non p u ö davvero realizzarsi nella vita c o r r e n t e ma che p u r si realizza, sognando, nella fantasticheria. Sapientissima quella leggenda o favola dell'antiea Grecia im cui si n a r r a dei p e r che il s o m m o Giove si decidesse un giorno a c h i u d e r e il f i n e s t r i n o che d a l l ' O l i m p o eTa a p e r t o sul m o n d o e da cui il potentissimo Iddio, maneggiatore di f u l m i n i , ascoltava voti e p r e g h i e r e degli u m a n i ; gli e che ognuno di costoro d o m a n d a v a alla divinitä, credendosi perseguito o m a l t r a t t a t o o r a p i n a t o da Tizio o da Caio, domandava alla divinitä di scagliare il f u l m i n e — a p p u n t o — sovra T i z i o o Caio, sicche a voler dare udienza e accoglimento a tanti voti, in un a t t i m o sarebbe stato p r i v o d e l l ' i n t e r a U m a n i t ä il m o n d o tutto. Non a c c a d r e b b e un qualche di simile se le maledizioni e le invoeazioni alla mala sorte dei prossimo. che ogni mortale p r o n u n z i a e pensa, fantasticando o non fantasticando. aveßsero a realizzarsi? E ancora, sovrane — come sovra no e sul m o n d o l'Ero6 — l e f a n tasticherie erotiche funzionanti, s e m p r e , da scarica e da autoconsolazione; se alcune istanze a t i n t a c r i m i n a l e , p r o f o n d e e oscure, possono dar colore alle fantasticherie di cui s o p r a . qui il p r o f o n d o e o6curo sepolcro da cui possono sorgere fantasmi profilantisi nelle fantasie e r o tiche e d a t o dalla psicopatologia. Questa, anche nelle persone normali, nel mon*ento dei « delirio » sognante esce dal suo a n t r o ; non h a n n o forse insegnato. psicologi e psicopatologi, che ogni attivitä di psicologia normale ha la sua esagerazione nella c o r r i s p o n d e n t e attivitä psicopatdlogica? Inversamente. non p o t r e m m o noi dire che dietro ogni attivitä psicologica normale sta — nascosta e p r o n t a a sbucar f u o r i — la corrispondente attivitä psicopatologica? R a g i o n e p e r cui la fantasticheria erotica p u ö a volte colorarsi persino (sebbene in sbiadite tinte) con quei riflessi che f o r m a r o n o giä obietto di studio da p a r t e d i psichiatri o sessuologi quali Havelock Ellis e altri. S e m p r e t o r n a alla s u p e r f i c i e ,
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nel libero e incontrollato svolgersi della fantasticheria, lTo sotterraneo — appunto perche incontrollato — anche ignoto a colui stesso presso il quäle tale fugace reviviscenza si compie.
c) Fantasticherie della estrema etä e meccanismo dei ricordi consolatori. Luogo a parte e da farsi alle fantasticherie che accompagnano rimpianti e ricordi propri alla estrema etä allora che il viandante piü non guarda — come fa il giovane — dinnanzi a se, ove non vedrebbe che la tomba, ma dietro di se, riandando coi pensiero e con le sue reviviscenze fantastiche lungo la strada giä percorsa. Qualche egregio psichiatra (L. Battisteiii), ha notato nei vecchi, a proposito della compiacente rievocazione di ricordi che essi fanno, cio che egli chi ama una «mitomania senile» consistente nel fatto che quei venerabili anziani, nel raccontare a ripetizione le loro gloriose avventure o i comici e piacevoli episodi di gioventü, fanno narrazioni che sono beni lungi dal ricalcare la veritä vera, inquantoche si e prodotto strada facendo, attraverso gli anni, nello spirito del parlatore un processo di autoconfabulazioni per il quäle nuovi elementi — di pura invenzione e a titolo decorativo — vengono introdotti nella trama del racconto e dei ricordi, completandosi per tal modo i vuoti e le dimcnticanze o addi- rittura sostituendosi con dati apocrifi gli autentici o, ancora, alternandosi i due processi. II lento e ripetuto processo di alterazioni tanto si impone alla mente del vegliardo che questi, suggestionato dalla propria creazione, finisce coi credere alla veritä della sua menzogna: di qui, appunto, la cosi detta « mitomania senile ». E' ovvio che processo psichico di tal genere rientra nel quadro di quelle rimembrartze della passata etä che tanto spesso vengono a farsi sentire e a imiporsi nella etä senile: « Io non vivo piü che di ricordi s> scriveva malinconica mente Rousseau in su] finire della sua vita; ma e altrettanto ovvio che le fantasticherie « s e n i l i » di cui vogliamo far cenno sono altra cosa della verbale e loquace mitomania dei vecchi per quanto affinitä e consanguineitä vi sia tra l'uno e l'altro processo psichico. Che cosa e, invero, ciö che vogliamo chiamare « fantasticheria senile »? Senza dubbio, ciascuna delle varie forme di fantasticherie di cui abbiamo fino ad ora parlato possono presentarsi e svolgersi dinnanzi ai sognanti oo-
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chi dei vecchio, con preferenza di questa o quella tra esse secondo il tipo della personalitä congenita (e pur di quella acquisita) di colui che alla fantasticheria si abbandona, ma qui vogliamo esclusivamente alludere a quei « sogni » di cui e soltanto o essenzialmente compiacimento nei vecchi poiche risuscitano i ricordi delle fuggite cose, come dianzi accennavamo. Ama, infatti, il vecchio tornare a percorrere l ' a n tica strada giä battuta per soffermarsi ai luoghi che furono — o gli sembrano ora — d'incanto e nei quali gli pare, col ricordo, poter rivivere, visto che quei luoghi e quei d i mai piü egli troverä sul breve cammino che gli resta a battere; ama ancora — per quanto ciö pos6a apparire 6trano — tornare col pensiero a passate miserie, formando di tutto oiö il disegno e le tinite di una fantasticheria che si svolge nel silenzio della contemplazione, piü o meno assistita da quella mitomania di cui sopra. Mitomania senile vera e propria si esplica nel dialogo e nelle conversazioni con amici, mentre fantasticheria senile e, per cosi dire, un fuoco d'artificio che il vecchio accende per se solo e p e r Se mcdesimo nell'interno dei proprio spirito. Del ch& mai forse si disW sc dagli pßicologi per quanto il tema valga davvero di essere con qualche larghezza preso in esame e trattato. Chi volesse venire a ciö dovrebbe tenere presenti le varie categorie di considerazioni che seguono. Innanzi tutto si noti che quando, a qualsiasi etä, noi ci volgiamo a ricordare il passato per riviverlo nelle sue successive tappe, quel passato non si svolge dinnanzi ai nostri occhi come un nastro cinemialografico che presenti tutti i particolari di ogni singolo quadro o moimento (particolari che il nostro occhio tutti insieme abbraccia); no,. di quel passato noi non vediamo, ne siamo capaci di rievocare, se non alcuni punti, anche di minima importanza, mentre tutto ciö che tra un punto e l'altro si dovrebbe presentare rimane completamente vuoto o buio, o ignorato, o dei tutto dimenticato- II lungo nastro della nostra vita passata, per conseguenza, quäle che sia lo sforzo che noi facciamo per ricostruirlo e farlo passare dinnanzi al nostro spirito, si riduce a una successione di pochi punti luminosi che si sono fissati nella nostra memoria e che costituiscono, da soli, i fuochi illuminanti tutto ciö che fu, fuochi che splendono nelle fantasticherie fatte di rimembrarsze. Su quei punti — quasi frammenti rimasti a galla dopo il n a u f r a gio — si ferma e lavora la fantasticheria dei vecchio o di colui che, vista chiusa dinnanzi a se irrevocabdlmente la strada dell'awenire, ei volge con necessitä a guardare il proprio passato: Sempre al pensier tornavano / Gli irrevocati dl. Resta da cercare e Stabilire per quali ra-
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gioni la vita tutta del passato non e mai possibile possa essere rievocafta, e perche alcuni rottami soltanto di essa permangono nella memoria, passivi di rievocazione piü o meno alterata, ma rimane soprattutto da cercare e stabilire per quali ragioni quei dati fatti soltanto, non gli altri, permangono nella fosforescente successione dei ricordi. Qualche sociologo (Mi. Halbwacs) nello Studiare il meccanismo della memoria e in particolare il perche alcuni fatti della nostra vita a nod rimangono impressi mentre altri scompaiono ne possono essere richiamati, tentö spiegazione che potrebbe essere tenuta in valore, sebbene unilaterale e direttamente ispirata dalle dottrine della Scuola cui il sociologo in questione apparteneva; si pretendeva, cioe, che i nostri ricordi sono dettati e imposti dalle condizioni sociali in cui si manifestarono i fatti che noi ricordiamo... o che abbiamo dimenticalo, sicche i nostri ricordi essenzialmente si discgnano su quadri sociali piuttosto che sulla natura della nostra personalitä biologica e psichica. Non e qui, davvero, il momento di trattare il tema; bastava qui a noi indicare come la rdviviscenza dei ricordi della passata vita si faccia, in ispecie nel vecchio, portando l'obbiettivo su alcuni punti soltanto del passato, sempre gli stessi, che risalgono in superficie sul vuoto generale dell'oblio: in veritä, se dovessimo rivivere tutta la passata vita per tanto spazio di tempo quanto quello che dovrebbe d u r a r e a traduzione effettiva dei nostri successivi ricordi, in realtä di quanto abbreviato risulterebbe il corso della nostra esistenza e di quanto ridotto! Come che sia, altro punto da ben definire sta nel cercare di quäle materia con preferenza 6i serve la fantasticheria senile in questi oscuri soliloqui che il vecchio ha con se stesso; essi si producono, certamente, a scopo di autoconsolazione e pur di «scarica » e sfogo a profonde sollecitazioni che non trovano n® potrebbero trovare altrilmenti il loro soddisfacimento, ma — ripetiamo — di quäle materia quelle fantasticherie si compongono? Delle liete memorie, in primo luogo. Cantava qualche poeta che nel riprendere la sua cetra nella avanzata etä e dopo lungo silenzio, farebbe egli risuonare quelle corde delle canzoni e delle memorie liete di gioventü per potere ancora una volta vivere e intenerirsi risuscitando quelle scene, quelle gioie e quelle emozioni; e ben diceva poiche sta, appunto, una delle autoconsolazioni prodotte dalla fantasticheria il fingere di passare ancora una volta attraverso quegli awenimenti che un di procurarono gioie; anzi, a questo proposito e da dirsi che risuscitando in tal modo le giorie del passato, la fantasticheria ii permette, per cosi dire, di restaurarlo nel sen-
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so che quelle oinbre, o molestie, o iatture, che al momento delle passate gioie si frammezzarono, come sempre accade, alla piü o meno illusoria felicitä. vengono allontanate, tamquam non essent. mentre le note effettivamente esprimenti letizia e godimento vengono calcate ed esagerate. Ne proviene una mistificazione che fa sentire il suo efficace valore per far vivere il fantasticante di una fittizia vita... che ha l'aspetto della realtä senza p u r coincidere con essa« In conseguenza, non e poi da dirsi che il ricordo delle passate e scomparse gioie, nelle fantasticherie di rievoeazione, susciti sempre dolore, anche se sovrana poesia ebbe a far d i r e a Franeesca: Nessun muggior dolore / Che ricordarsi dei tempo felice / Nella miseria: nei momenti di vera fantasticheria, infatti, le passate fortune, anche se per sempre distrutte, sono richiamate perche il loro ideale contatto crei la illusione di un ripetuto godimento. illusione che e propria alla fantasticheria nella quäle ogni processo di raziocinio e di controllo si annebbia e decade. P r o p r i o richiamando il verso dantesco, chiedeva Alfred de Müsset: Dante, pourquoi dis-tu qu'il n'est pire misere Qu'un souvenir heureux dans des jours de douleur? Quel chagrin l'a dicte cette parole amere. Cette ojfense au malheur? Rimane ora da chiedersi se anche i l icordi tristi vengono a fornire le loro voci alle fantasticherie che in sul cadere della vita si fanno dinnanzi agli occhi di chi si volge a guardare il percorso cammino per tornare a vivere una vita che gli e sfuggita e gli sfugge. Potrebbe credersi, a prima vista, che amaro. t r o p p o amaro, e quindi improprio a una fantasticheria di autoconsolazione e di soddisfazione, sia il risuscitare tristezza di ricordi; eppure e spesso veritä nel contrario. II riportare sullo schermo caleidoscopico delle p r o p r i e visioni i doloranti pcriodi dei p r o p r i o passato pone l'individuo che guarda quei pas6ati mali — uscito fuor dal pelago alla riva — in una posizione attuale di superioritä e di soddisfazione in confronto alla posizione triste dei passato; di qui, in un certo senso, il sollievo e il respiro che dä, allontanatasi la tempesta. la contemplazione (anche essa operante su una ricostruzione piü o meno restaurata ai fini dell'autoconsolazione) di un male passato-
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Come l'Io inganna sc stesso - Autoconsol azioni d) L\< lo » diventa
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irresponsubile.
E" da chiedersi come e perche in alcune delle indieate forme di attivitä sentimentale e mentale, l'Io profondo esca senza ritegni dal suo sotterraneo spingendosi, persino, oltre linee di confine che mai avrebbe varcato nella condotta della vita realmente vissuta, assistendo, anzi, a tali proprie gesta con compiacimento e gustando le fimzioni cui assiste quasi come di fronte a uno spettacolo. Gli e che, da un lato, nel mettersi sulla via di quelle fantasticherie, l'Io sognante a poco a poco si oscura perdendo i contatti con la realtä e quasi restringendo, o singolarmente affievolendo, i] campo della coscienza, sicche giä per tal fatto vengono a intorpidirsi le possibili costrizioni della Cjensura moral e ; ma, d'altro canto e particolarmente, in quei momenti di pura creazione fantastica e irreale, l'Io sente di non piü essere responsabile di fronte a terzi e fors'anco neppure di fronte a se stesso. Per la qual cosa puö esso permettersi ogni libertä. Ogni timore svanisce e cosi ogni scrupolo e ogni vergogna, anche perche lo stato di semicoscienza o di coscienza liminare che accompagna la fantasticheria, rende impossibile, o singolarmente indebolisce, quei controllo che l'Io superiore puö esercitare piü o meno efficacemente sull'Io inferiore. L'Io, insomma, in quei momenti non si guarda neanche nello specchio (ove potrebbe scorgere il proprio volto che lo rimproveral e dä libero sfogo alle sue aspirazioni.
6. - Continuazione. Evasione contemplativa, fantasticherie, alienazione mentale, delinquenza latente. Le costruziioni fantastiche, per tal modo, si susseguono liberamente Tuori da ogni controllo nella esuberatiza di ogni finzione anche ardita o arditissima... Non vi e che un passo da compiere perche la fantasticheria, diremo cosi, normale, con tutti i suoi paesaggi, le sue figure, le sue movimentate scene, diventi il delirio dell'alienato (viene in mente la definizione data da Malebranche, ripetuta poi da Voltaire: « l ' i magination est la folle du logis»); si rimane :— staremmo per dire — alle soglie dell'allucinazione e dell'alienazione stessa, pronti a ritirarsi da quella soglia all'opportuno momento. Bicer.do la qual cosa, saremmo persino tentati di aggiungere singolare osservazione concernente,
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p e r cosi dire, l ' a f f i n i t ä che trovasi tra le v a r i e f o r m e di f a n t a s t i c h e r i e e alcune manifcstazioni p r o p r i e ad alcune f o r m e di alienazione m e n t a l e ; v o r r e m m o cioe d i r e che l e varie c a t e g o r i e di fantasticherie si p r e s e n t a n o come se fossero a t t e n u a t e f o r m e di a l t r e t t a n t e categorie — corrispondenti -— di alienazione m e n t a l e e di gravi f o r m e di a n o r m a l i t ä psichica. Si p r e n d a n o , ad esempio, l e varie f o r m e p a r a n o i che (deviazione della mente, esprimentesi con un sistema di i d e e f a l s e per q u a n t o logicamente intessute intorno, generalmente, a u n ' j d e a di grandezza o di persecuzione) e si vedrä come ognuna di esse scolpisca in altissimo rilievo i t e n u i e d evanescenti t r a t t i di u n a c o r r i s p o n d e n t e fantasticheria « n o r m a l e » ; l ' i d e a p a r a n o i c a m e g a l o m a n e trova la sua corrispondenza nelle f a n t a s t i c h e r i e di grandezza, quella paranoica persecutiva nelle fantasticherie di Vendetta, m e n t r e p u r l e a l t r e f o r m e di p a r a n o i a come la religiosa, la politico-riformatrice e anche la litigiosa o q u e r u l o m a n e , si d i r e b b e a p p a i a n o o t r a c c i n o i l o r o disegni, i l o r o personaggi e le loro azioni — sebbene in f o r m e attenuate — in corrispondenti specie di f a n t a s t i c h e r i e . D'altra p a r t e , l e morbose f o r m e di e r o t i s m o che, come giä accennammo, si manifestano in alcune categorie di d e g e n e r a t i e di alienati, e certe idee e «sogni» a c o n t e n u t o vivacemente ipererotico, non trovano forse l o r o adeguata corrispondenza, attenuata, nelle piü semplici e banali f a n t a s t i c h e r i e e r ö t i c h e ? P a r t i c o l a r e r i g u a r d o ha da aversi, in questo riavvicinamento tra la fantasticheria e l e vere e p r o p r i e f o r m e di alienazione e di degenerazione, a quello speciale tipo di degenerazione che va s o t t o il nome di follia m o r a l e , o lucida, o r a g i o n a n t e , o follia di azione, considerata a n c h e da alcuni come delinquenza congenita e perversitä congenita. Essa puö, senza alcun d u b b i o , f o r n i r e q u o t i d i a n o e continuo m a t e r i a l e alla fantasticheria la quäle, p e r tal modo, si veste con le p i ü violente finzioni della cattiveria e della c r u d e l t ä , in attesa c h e le f i n zioni si t r a d u c a n o e f f e t t i v a m e n t e in atto. Q u a n d o si pensi, o l t r e q u a n t o s o p r a , che nelle l a t e b r e di ogni l o giace ( f o r m a t o dall'insieme degli istinti dei voler vivere, dei voler sop r a f f a r e , dei voler d o m i n a r e e i m p a d r o n i r s i di c i ö che e f u o r i dellTo) quella « delinquenza l a t e n t e » di cui p i ü volte a b b i a m o parlato, ben si vedrä come anche siffatto giacimento i n f e r i o r e possa a p p a r i r e alla superficie d u r a n t e i m o m e n t i di a b b a n d o n o e di irresponsabilitä c h e 6ono p r o p r i alla f a n t a s t i c h e r i a e che la accompagnano, sicche la fantasticheria, d i r e m o p u r e , c r i m i n a l e o venata di c r i m i n a l i t a , non solo fa la sua apparizione — e si i m p o n e — al d e g e n e r a t o vero e p r o p r i o c h e
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si cataloga sotto la rubrica della perversitä congenita, ma anche puö a volte formare il tessuto, tenue o meno tenue, visibile o meno visibile, della fantasticheria di quell'uomo « n o r m a l e » che in dati momenti assiste, quasi incosciente, alla resurrezione dei suo l o profondo non compresso dalle inibizioni dell'Io superiore, proprio come puö accadere nei sogni a ocehi aperli. Potremmo richiamare a tale riguardo, la curiosa classificazione dei delinquenti presentata da Freud (e giä altrove rammentata): delinquenti immaginativi da un lato, delinquenti effettivi (da suddividersi in organici, normali, nevrotici da un lato e colposi, passionali, per legittima difesa dall'altro canto) non tanito perche tale classificazione possa accettarsi, 6peeie in confronto con quelle presenitate dalla nostra Scuola italiana e poi imitate o ritoccate da imitatori e seguaci, ma appunto perche essa dice di una « delinquenza immaginativa » la quäle — si noti bene — e comune a tutti gli uomini, per quanto la maggior p a r t e di essi (dobbiamo concedere ciö?) non cada poi nella delinquenza effettiva. Ora, non ci sembra dubbio che la «delinquenza immaginativa» di Freud corrisponda, sia a quelle fantasticherie che abbiamo detto di carattere crudamente e i goistico, egocentrico, vendicativo e di crudeltä, sia a quelle — piü innocenti — che p u r sono venate di egoismo e di antisocialitä e c h e sono create dallTo per evadere, per autoconsolarsi, per dar sfogo alle voci dei profondi istinti. Vien fatto di chiedersi — sia detto di passaggio — che Cosa mai accadrebbe se le fantasticherie si rendessero visibili... In uno dei fantasiosi romanzi di H. G. Wells — La cittä deltabisso — si narra di quei prodigiosi uomini che, viventi in fondo a] mare, avevano saputo creare ogni meraviglia della scienza, tra le quali meraviglie quella di una grande lastra, riflettente il pensiero, in cui si vedevano, tradotti in scena, personaggi, awenimenti, tutto ciö che un uomo — collocato di fronte a quella lastra — volontariamente o involontariamente pensava. Che Cosa mai accadrebbe se un Wells, non piü romanziere ma 6apiente uomo di laboratorio, riuscisse a creare mirabile lastra di tal genere da mettersi a disposizione di ciascuno di noi si che ciascuno di noi potesse vedere le fantasticherie di amore, di odio, di ambizione, di crudeltä cui si abbandonano, per dar sfogo alle urgenze dei bassi istinti, amici e nemici, persone amate o non amate che ci stanno accanto o che incontriamo nelle con6uetudini dei nostro quotidiano vivere? Non parliamo di ciö, ma passiamo piuttosto a dire che se doves6imo rappresentare graficamente quanto sopra, proporremmo di trac-
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ciare una linea-base orizzontale r a p p r e s e n t a n t e ciö c h e a b b i a m o chiam a t o « d e l i n q u e n z a latente » e cioe l'insieme degli istinti egoistiei, antisociali e analoghi, m e n t r e tante p e r p e n d i c o l a r i si a l l i n e e r e b b e r o su quella l i n e a ciascuna di esse dovendo r a p p r e s e n t a r e una particolare categoria di fantasticherie; le fiabesche, q u e l l e di felicitä, le megalom a n i , le vendicative, le eroticlie, significandosi con ciö c h e ognur.a di quelle fantasticherie p u ö innestarsi, con maggiore o m i n o r e vigore, sulla base di una egoistica antisccialitä e delinquenza latente.
7. - Confinuaxione. La « costruttivitä » nella fantasticheria contemplativa. Tipo di fantasticheria e tipo di personalitä. A b b i a m o detto c h e il lavorio psichico p r o p r i o della fantasticheria e una di quelle forme che possono venir considerate come contemplative, a d i f f e r e n z a di q u e l l e che diremo costruttive; ma a rigore non e d a trascurare c h e , in c e r t o senso, anche qui vi e costiuzione poiche e p r o p r i o l'Io che ricama e semina di fiori la sua fantasticheria e che la cosparge delle gioie dei sensi e dei crudi godimenti d e l l a Vendetta. Esso, se non altro, ha d a t o il via al movimento cinematografieo delle immagini e gli ha dato questa o quella direzior.c per considerare poi, ad occhi chiusi o semichiusi, e immobile, lo svolgersi del nastro romanzato. N a t u r a l m e n t e , ogni individuo c h e si dä a siffatto lavorio ha la sua particolare predilezione per tale o tale a l t r o genere di favole d a c r e a r e e da contemplare, le quali v a r i a n o secondo le qualitä e le intensitä istintive dei soggetti. Alcune r i c o r r o n o con p r e f e r e n z a e insistenza alle tinte normali dell'erotismo senza escludere c h e possano spingersi ai margini della patologia e oltre di essa. mentre p e r altre t u t t o il canovaccio si fa con i sogni della vanitä piü sconfinata sicche le immagini che vi si dipingono figurano le p i ü assolute soddisfazioni personali; a l t r e ancora si svolgono su piü o m e n o foschi — ma talvolta i n g e n u i — temi di Vendetta, o p p u r e si a b b a n d o n a n o a impossibili supposizioni di contenuto fiabesco. come giä vedemmo, ravvivando i dimentichi sogni dell'infanzia. Secondo poi l'elevatezza o m e n o della mentalitä del soggetto, si h a n n o basse e p o v e r e f a n t a s t i c h e r i e da 6trapazzo, di q u a l i t ä i n f e r i o r e , ma p u r efficienti e sufficienti p e r chi in
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esse si immerge, mentre altre si presentano con piü nobile tessitura e piü sapientemente congegnate. Puö, cioe, la fantasticheria accontentarsi nella finzione di gustare modeste e materiali gioie, quasi puerili, e della spicciola vita quotidiana mentre, d'altro canto, puö essa innalxarsi a piü comples6e e quasi scientifiche costruzioni. Ognuno fantastica, in una parola, come crede ma soprattutto come puö.
8. - Perche l'axicne sognata no« sempre e trasferita nella realtä. Sarebbe pur da aggiungersi immediataniente come e perchie i sogni della fantasia, in ispecie se piü vicini alla 06cura latenza dei male, difatto non sono poi realizzati da parte dei « s o g n a n t e » ; costui, in altri termini, si contenta dei sogno e poi, quando e se trattasi di passare all'azione, rimane immobile, mfuto e quasi si ritrae con orrore. Gli e che due importanti e definitive ragioni fanno sentire il loro peso per la non traduzione in atto dei criminali ed egoistici sogni sceneggiati dalla fantasticheria. E si veda quali. Sta la prima di tali ragioni nel fatto che la forza inibitrice dell'Io superiore, resasi torpida durante la fantasticheria (stato di riposo, o quasi di annuvolamcnto, della coscienza) si risveglia e si fa agente quando le nebbie della fantasticheria si sono dissolte, per lo che l'individuo, nel quäle tali freni inibitori normalmente agiscono, respinge nel buio, lä donde erano uscite, le sue inconfessabili creazioni e quasi in quel buio le scppellisce... sino a che non tornino poi esse a risorgere per subire, tuttavia. la medesima Sorte giä provata. La seconda ragione per cui dal sogno non si passa effettivamente all'azione, sta nel fatto che «sognando » e fantasticando noi dißegnamo e costruiamo facendo astrazione da cento piccole realtä penose, portanti disgusto e persino ripugnanti, che effettivamente si presentereb« bero e a noi si imporrebbero qualora invece di sognare dovessimo agire e qualora, invece di trovarsi di fronte a una vita compos'a unicamen. te con materiali che ei allettano tutti, senza eeeezione, ci trovassimo di fronte ai veri materiali e alla vera prosa della vita: troveremmo in tal modo motivi di allontanamento, di ripugnanza, di impossibilitä ad agire, motivi che durante il sogno ad occhi aperti non ave%amo neppur intravisto o che deliberatamente avevamo lasciato nell'ombra. Vengono esßi con evidenza alla luce quando — ceßsato il torpore della fan-
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tasticheria — l'Io riprendc il contatto con la vita da vivere. II sogno, quindi, urtandosi alla realtä, retrocede — per cosi dire — e rimane sogno e 6i perde in annebbiati ricordi.
9. - E anche se il sogno si trasformasse in realtä... Una necessaria postilla a quanto sopra. E' vero che la fantasticheria, comunque tessuta di finzioni, procura al sognante quell'autoconsolazione e quello sfogo che in qualche guisa a lui danno benes6ere e soddisfazione; questi gusta la gioia del sentire ciö che realmente 6entirebbe qualora quei suoi compressi desideri si concretassero in realtä, ma tutto ciö e assoluta illusione. In questo senso, cioe, che se effettivamente le fantasticherie piü varie si traducessero in realtä (superando tutti gli ostacoli, giä accercnati, che impediscono al sogno di esplicarsi nella vita reale) il sognante si accorgerebbe che quelle traduzioni non corrispondono al testo che egli, fantasticando, aveva composto. Ogni 60gnante crede, nell'ora del sogno, che tale o tale altro dei suoi desideri quando venga a realizzarsi gli porti quei senso di piacere, di soddisfazione, di gioia, che ingenuamente aveva egli immaginato, mentre ciö mai accade dal momento che la realizzazione, aruche la piü completa, di ogni nostro profondo sentire ci lascia quasi sorpresi per la non corrispondenza tra ciö che fiducio6amente aspettavamo e ciö che materialmente avviene. «Non e che questo? > si chiederebbe il sognante di fronte alla realizzazione del suo sogno; la quäle cosa si verifica cosi per i desideri (e le loro realizzazioni) degli individui, come per i desideri (e le loro realizzazioni) dei popoli. Anche i popoli, infatti — e i gruppi che Ii compongono — hanno le loro fantasticherie e con esse si illudono: fantasticherie di grandezza, di felicitä, di gloria piü o meno legittimamente ottenuta e anche fantasticherie di conquista e di preda o di sopra ff azione, e di tirannico dominio oltre che — ben inteso — fantasticherie che Ii spingono ad agire in certe direzioni piuttosto che in altre per seuotere e distruggere attuali condizioni di C06e che sembrano insopportabili... ma allora che la fantasticheria si traduce in realtä e la meta viene raggiunta, quante volte accade (quast sempre?) ciö c h e tocca al bimbo che inseguendo le farfalle per suo capriccio e diletto, appena una ne raggiunge, po6ata su un fiore, e con la mano la serra, si sente improwisamente pungere dalle spine che die-
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t r o il fiore si nascondonoj Una filosofia della Storia, scritta con qualche obiettivitä, darebbe certamente tra i suoi ammaestramenti quello che insegna come spesse volte, o pur sempre, popoli e gruppi umani, dopo aver a lungo lavorato per realizzare alcuni loro vivacissimi sogni e programmi, si trovano ad un tratto — e cioe alla dimane della ottenuta realizzazione — ad accertare che il fine raggiunto, e quindi la raggiunta realtä, e dei tutto diversa da quella per cui da tempo e con fatica si erano essi dato tanto travaglio. Disillusioni di tal genere non si presentano, davvero, durante lo svolgersi dei sogno fantastico e nella contemplazione di esso non essendovi quivi lo spietato controllo della realtä ma, sempre rimanendo il sogno nel sogno, la finta realtä si mostra al sognatore quäle esso crede realmente debba effettuarsi e per conseguenza la soddisfazione o l'autoconsolazione — priva di qualsiasi omi>ra di disinganno — sono complete, o, almeno, appaiono complete.
10. - L'artificiale ausilio alle fantasticherie. E' forse necessario ricordare l'importanza che in tali forme speciali di difesa dell'Io per mezzo della fantasticheria prende tutto ciö c h e per propria natura puö stimolare quella ingannatrice attivitä mentale, facilitarne lo sviluppo, mantenerla viva e accesa, rivestirla di suggestione e bellezza, come fanno quelle essenze e quelle droghe che furono chiamate creatrici di paradisi artificiali : l'alcool, il tabacco, l'oppio, per tacere di altre? E' forse necessario ricordare che, appunto, grazie al loro potere magico di co6truzione illusoria e mirifica, siffatte essenze e droghe materiali e spirituali lianno sempre trovato posto tra gli innumerevoli filtri ai quali — in ogni tempo e luogo — i'Umanitä porta ostinatamente le proprie labbra? Non senza ragione gli etnografi, nel descrivere usi e costumi dei vari popoli detti di natura e nel mostrare a tale proposito come — nessuno escluso tra essi — abbiano tutti trovato modo di ricorrere a inebrianti della piü diversa fattura, consentiti dal luogo, concludevano sulla fatale necessitä, che p a r sia legata all'umano destino, di cercare per mezzo degli artifici in questione, dimenticanza di ciö che e vita reale per poter vivere artificialmente ben diversa vita e p i ü lieta... nei falsi giardini delle Esperidi. Se droghe e artifici dei genere sopra accennato paiono addormen-
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tare — e di fatto addormentano — in un sogno pieno di fantasticherie facendo quasi perdere al sognante la coscienza delle cose che gli stanno d'intorno, piü semplice mezzo e modestissimo si dava in altri tempi quando nel domestico focolare ardeva la fiamma e lentamente si trasformavano in brace i ceppi messi al fuoco. Accanto a quei focolare posava. silenzioso e guardando immobile i tizzoni ardenti e le accese braci, l'uomo in riposo e cosi guardando e fiseando si immergeva in un torpore ehe dava libero sfogo ai sogni e alle fantasie; scorgeva egli e «avvisava nei disegni fantastici tracciati dallo screpolarsi dei tizzoni e della brace. scene. personaggi. profili delle p i ü strane cose. Un modo, dunque. di intorpidire Se medesimo al riflesso e al calore del fuoco e di sprigionare la fantasticheria da tale stato psichico... e dai disegni che il fuoco fantasiosamente traccia. Diceva Gobseck — strano personaggio della Commedia umana, nella novella del medesimo nome — che contemplando i ceppi dissolventisi al fuoco del. caminetto, i giovani vedono degli abbozzi di scene che in quei tizzoni si disegnano, f i gure di giovani donne e sogni di imperio, mentre i vecchi vi scorgono le piü che frantumate rovine dei loro lontani ricordi. Un modo di fantaslicare, anche questo, accanto al caminetto, che e oggi scomparso o che va scomparendo. Vorremmo aggiungere, innalzandoci di tono e di materia. che p u r la musica e senza dubbio da eonsiderarsi come una di quelle e6senze c droghe incantatrici che favoriscono, accompagnano e coloriscono la fantasticheria e appunto perciö, come ogni sorta di stupefacenti, si trova essa accanto aH'uomo in ogni tempo e luogo esercitando il suo potere a ogni grado della mentalitä e della sentimentalitä umane, dai monotoni ritmi incantatori della primitiva musica selvaggia alle armonic cele6ti destinate a creare quadri di vivaci speranze, di amore, di appassionate nostalgie, come si fa — poniamo — dalla Primavera di Grieg, dal Sogno tFamore di Liszt, dal Valzer triste di Sibclius, dalla Serenata di Schubert e dalle celcstiali armonie di Vincenzo Bellini e di Gaetano Donizzetti. Sogni e fantasticherie di amore. di malinconia, di oblio quando canta Beethoven nel suo Chiaro di luna e Chopin nella sua Goccia tTacqua. ma sogni e fantasticherie di azione, di combattivitä e di guerra quando risuona VEroica. In tali casi, la melodia o la concitata tempesta servono di falsa riga. o di semplice tracciato, o di indivisibile guida. al ricamo della fantasticheria e sono sentite non tanto per ciö che esse sono — siano pur mirabili — ma per ciö che esse suscitano. Anzi, a questo ultimo proposito £ da dirsi che persino
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quando la musica pcrde ogni suo carattere di vera musica discendendo a] piü monotono, primitivo o selvaggio ritmo, con quella monotonia di accenti che suscita automatica ripetizione di movimenti, l'individuo trova completo abbandono di se stesso e quasi si addormenta abbassandosi per tal modo allo stato del serpente che viene incantato dallo zufolare ritmico dell'incantatore. Ancora una « musica » dunque, che produce i suoi effetti per addormentare e far sognare.
1 1 . - Evasione eoatruttiva. II lavoro. Allontanamenti per via del teatro e dello schermo animato, o della lettura, o della fantasticheria, nelle loro varie forme di attrazione e di 6uggestione ben diverse 6econdo gli orizzonti intellettuali e sentimentali dei « sognanti non costituiscono che evasioni di natura inattiva e contemplativa. Per contro, in altri casi l'evasione si fa costruttiva e attiva: lo spirito, cioe, non rimane — estatico e di ogni cosa dimentn co — a guardare, ma si dä esso stesso, con i lontani e talora fantastici materiali di cui va in ricerca, a una nuova costruzione. Lo spirito e interamente occupato, allora. in un ininterrotto lavoro che puö essere di creazione artistica, di astrazione. di ricerca nelle piü lontane atmosfere (quali, ad es., la filosofia o la scienza pura). Lavoro seducente e piacevole, o duro e 6evero, che ci rende docili schiavi e ci obbliga a nulla vedere di ciö che e intorno a noi. In ogni caso. come a giusta ragione fu detto, il lavoro e sempre meno noioso del divertimento. Si tratta ancora di una forma — ma questa volta attiva — di filosofia dell'assenza e deH'oblio. Nel primo caso. si dimentieava contemplando; qui si dimentica lavorando. Tra le ineffabili sofferenze di quell'esilio in cui doveva trovare la morte, Ovidio scriveva: « Io qui... mitigo il mio fie10 destino componendo in versi i miei lamenti sebbene non vi sia alcuno che ascolti quei versi; almeno, cosi consumo e deludo il giorno... ne tedio mi prende dell'angustiata mia vita grazie a te, o Musa, ehe tu mri dai sollievo; tu sei il riposo del mio affanno; tu il rimedio del mio male... nam tu solacia praebes; Tu curae requies, tu medicina venis. (Tristia, IV, 10, 117-118). Tu guida, tu compagna sei; tu mi allontani dall'Istro e mi dai ogni luogo in mezzo allTElTcona... Tu dux et comes es, tu nos abducis ab Histro. In medioque mihi das Helicone locum » (119-120). Ben piü accanto * noi Niccolö Machiavelli, in esilio nel suo quasi 21. - L7o.
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claustrale ritiro di San Cassiano, scriveva; «Venuta la sera mi ritorno a casa, ed entro nel mio scrittoio; ed in sull'uscio mi spoglio quella Vesta contadina, piena di fango e di loto, e mi metto panni reali e curiali e rivestito condecentemente, e n t r o nelle antiche corti degli antichi uomini, dove, da loro ricevuto amorevolmente, mi pasco di quel cibo, che solum e mio, e che io nacqui per l u i ; dove io non mi vergogno parlare con loro, e domandare della ragione delle loro azioni; e quelli p e r loro umanita mi rispondono; e non sento per quattro ore di tempo alcuna noia, dimentico ogni affanno, non temo la povertä, non mi sbigottisce la m o r t e ; tutto mi trasferisco in l o r o » . E cosi« compose il Principe (lettera a Francesco Vettori). Quanti secoli dopo, Edgar Quinet cercava, anch'esso, di sfuggire — costruendo nel paesaggio di un mondo lontanissimo — alle sciagure dei momento; «Dove rifugiarmi per non vedere ciö che vedo, per non udire ciö c h e o d o ? » , scriveva nel 1875 Edgar Quinet ancora sotto il dolore portatogli dal disastro che aveva gettato a terra la sua patria. E rispondeva: «Cercherö riparo sull'inaccessibile rupe dell' anlico mondo greco ». E cominciö a scrivere su La vie et la mort du genie grec. Invero, vivere t r a le Muse dell'Elicona, guidate alla danza da Apollo, e accanto a Minerva coronata di violette, era portarsi ben lungi dal territorio conquistato dal nemico, tanto lungi da non piü vederne il profilo. Un libro, ciö nonostante, in cui a ogni passo si proiettava l'ombra dell'idea angosciante che aveva fatto soffrire il suo Autore, poiche idea direttrice stava nell'affermare essere la bellezza dell'arte greca un dono della Vittoria, e cioe delle armi che in difesa della libertä combattono e vincono. Belle parole le quali, anche se non rispondenti a realtä e figlie di voluta illusione, hanno pertanto — con la loro musica — efficace potere consolatore!... Walter Scott, paralitico e sofferente, p e r non sentire il suo dolore ed evadere da 6e stesso scrive Ivanhoe o — p e r meglio dire — detta Ivanhoe perche la sua mano non reggeva la penna. «Siate sicuro, diceva a Gillies, che se le sofferenze avessero avuto possa di impcdire che io mi dedicassi al lavoro, non sarebbe mai stata scritta una pagina di Ivanhoe; s'io mi fossi abbandonato ai miei pensieri e avessi cessato di lavorare, mi domando se il male non si sarebbe radicato piü profondamente e fatto incurabile » (W. H. Prescott nel suo Vita e opere di Walter Scott). Per certo, non a tutti e dato consolare se stessi e d evadere scrivcndo il Principe o narrando le avventure di Ivanhoe, ma che importa? A molti che tengono in mano la penna b conces6o il creare l'eva-
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sione costruttiva di cui stiamo parlando e cader nell'illusione di aver •creato... Ogni uomo che cosi crea, stima aver dato vita ad un capolavoro, o quasi. E tanto basti ai fini dell'autoconsolazione. D ä l t r a parte, non si creda che l'evasione costruttiva dia conforto — piü o mpno illusorio, ma pur sempre conforto — soltanto lä dove lavoro si crei accendei_Jo i fuochi piü o meno alti dell'intelligenza; umili lavori e modesti, ai quali l'uomo desideroso di fuggire dal mondo, e soprattutto dal suo proprio mondo interno, si dä con tenace volontä, possono portare quegli stessi benefici; persino l'ostinazione con cui taluno si rincliiude nel labirinto di un «solitario» eseguito con un niazzo di carte, e ancora la quasi inebriante passione per risolvere rebus, indovinelli e parole in croce, ed enigmi del medesimo genere, non costituiscono forse un «lavoro » per mezzo del quäle lo spirito cerca « distrarsi » e cioe evadere? Travuillons... c'est le seul moyen de rendrp. la vie supportable, si legge alla fine del Candide di Voltaire; poco prima uno dei personaggi di quei romanzo aveva detto che le travail eloigne de nous trois grands maux: l'ennui, le vice et le besoin. Gjiä: ma Voltaire e un maledetto spirito diabolico di cui non bisogna seguir e i consigli.
CAPITOLO
SECONDO,
ALTRI SOTTERFUCI: L'ISOLAMENTO, LA DEFORMAZIONE DELLE COSE, ecc... L'inesauribile magia inventiva de]l'Io, pronta a ogni mezzo che valga a difeea e ad allontanamento dalla pena, dalla noia e dal dolore, non h a per certo esaurito ogni sua risorsa — al contrario! — col metl e r e in a t t o questo o quello degli artifici di cui or ora abbiamo discorso; anzi, non e essa che in sul principio dei suo andare. Si veda, infatti.
1. - L'isolamento in se medesimo. Non r a r o metodo di autoconsolazione sta nel serrarsi con austero cipiglio nel chiuso di sie medesimo in modo da considerare tutto ciö che a w i e n e fuori di noi come se non esistesse numquam se minus solum, quam cum solus esset, si ripete con Cicerone (De officis, III, in p r i n c i p i o ; De Republica, 1, 17). Nello stesso modo, la fiera ferita a morte e non piü capace di difendersi, si r i n t a n a nel suo covo in oscuritä e silenzio. Giä da tale chiudersi in se stesso risulta che l'individuo sopprime ogni confronto — talvolta penoso e umiliante — tra se e gli altri e valorizza se medesimo ricavandone sollievo e compiaeimento; ma a p a r t e ciö, sta di fatto che dalla claustromania psichica in questione risulta, per chi in tal modo si difende e per chi in tal modo rinuncia, u n o stato d'animo che puö essere di tranquillitä severa, di riposo e di pace. Quegli soltanto acquista saggezza e pace, che sa distogliersi da ogni Cosa dei mondo e vivere nel proprio mondo interiore... Et illum praecipuo puto suo vivere bono, qui vivit alieno (Sidonio Apollinare, Libro VI, Epistola 12). Di f r o n t e al mondo esterno che senza cessa vorrebbe colpire e che di fatto nessuna occasione lascia sfuggire per dare il colpo. l'individuo si c h i u d e in im castello di pietra... anzi. si potrebbe dire, diventa egli stesso una pietra, come quel-
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la che Michelangelo scolpiva sulla tomba inedicea. L'amico del grande artista — Gian Blattista Strozzi — aveva composto una quartina jnneggiante alla sovrana bellezza, e vivente, di quella statua rappresentante la Notte dormente; e tanto viva, dice il poeta, che se tu le parli, essa ti risponderä; e Michelangelo, corrucciato dal triste spettacolo che a lui offriva la tirannia dei tempi, fa rispondere alla sua bella addormentata: Grato mi e il sontio, e piü Vesser di sasso / Infin che il danno e la vergogna dura! / J \ o n udir, non veder, m'e gran Ventura; / ferb non mi destar, deh! parla basso... Filosofia dell'indifferenza, dunque, che costituisce ancora una nuova forma di auto-consolazione: allora che in realtä essa puö concretarsi. — io non vedo, io non sento, io non parlo — essa non e piü una fragile masehera da porsi a volontä sul viso per nascondere, sia pure momentaneamente, i segni della sofferenza; e masehera diventata sasso e volto al tempo medesimo. « ...Vorrei non poter toccare la terra, nemmeno con la pianta de' piedi », dice il Santo, ritirato dal mondo, al suo diseepolo, nelle fantasie di Flaubert (Les tentations ecc..., cap. IV), E una grande Santa aveva giä detto che la perfezione £ morire a se medesimi, morire alla volontä, alle inclinazioni, agli affetti umani (S. Caterina, Letterei). In forza di tale procedimento non si ha (e ci;ö e evidente) ne «scarica » dei profondi istinti lepressi, n e deviazione e trasformazione di essi, ma del tutto isolandosi sulle alte vette — pacem summa tenent — l'Io, rendendosi assente dalla terra, quasi sopprime ogni interno risentimento e ogni interna aspirazione. Tagliata la radice, non piü ne fiore ne frutto... ma neppure spine.
2.
- Gontinuazione: l'autoammirazione (negli individui e nei gruppi).
E' il caso di notare che l'abitudine di chiudersi in se stesso ritirandosi sulle alte vette puö portar seco apparizione di un assai speciale modo di guardare nel proprio interno, modo speciale di autocontemplazione che diventando autoammirazione rende piü forte la difesa dell'Io e piü valida lautoconsolazione. Coi farsi di mano in mano sempre piü indifferente al mondo esterno, l'individuo puö a poco a poco giungere a vedersi piü grande, piü in alto, p i ü nobile di ciö che realmente e. L'ombra che egli h a
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creato in se stesso p i ü non trova punti di r a f f r o n t o e giganteggla. L o spirito rimane come in una deserta ieola, col 60I0 p r o p r i o Io quäle compagno; e q u e l l l o , in tale selvaggia solitudine, occupa di mano i n mano la zona della coscienza e appare qual formidabile gigante... quasi come un Eroe che puö senza tema tenere in dispregio tutto ciö che accade intorno a lui e fuori di lui. Ne consegue il sorgere, neH'individuo che per tal modo d i f e n d e la propria sensibilitä, di uno stato di megalomania, di interna ammirazione di se stesso; quanto piü ci si distacca dal mondo e quanto piü furiosamente si coltiva il proprio giardino interno, tanto p i ü si puö diventare ammiratori di quel giardino... anche se si scambiano gli sterpi per fiori. Si perviene p e r tal modo a quel «narcisismo » psichico di cui giä abbiamo fatto cenno in precedenti pagine. Checche ne sia, proprio da siffatta sopraelevazione psichica di se stesso, fatta da se medesimo e per se medesimo, sgorga l'illusoria fönte deH'autoconsolazione. Un qualche di simile si dä, talvolta, anche per i gruppi sociali — dai meno estesi e meno complessi ai p i ü vasti quali le Nalzioni — che si chiudono, per cosi d i r e , in se medesimi prendendo a contemplare, poniamo, la propria Storia (piü o meno restaurata e artificiosa) ignorando ostinatamente quella degli altri; ogni attivitä a grandi ed elevate tinte, artistica, letteraria, scientifica, politica o di conquista ed ogni ricchezza di nobili idee (dalla rettitudine alla giustizia) sono p r o p r i e ed esclusive al gruppo in questione che tali coloritissime forme di attivitä superiore impara a contemplare e ad ammirare in spcciali catechismi che debbono servire a formare la mentalitä degli adepti; t u t t o ciö che e fuori dal gruppo stesso e volutamente o no ignorato, dimenticato, ridotto ai minimi termini. II gruppo vive allora — staremmo per dire — neH'ombra gigante dei proprio fantasma e nel proprio superbo isolamento, quasi come unico appartenente alla Stirpe degli uomini o, meglio, degli Eroi. Ne consegue uno stato euforico di autoconsolante megalomania... che puö tuttavia condurre improvvisamente al disastro quando la fragile e fantasio6a costruzione venga in brusco contatto con la realtä.
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3. • L'autoconsolaxione prodottä col deformere le cose. Altri sistemi non pochi esistono, pronti all'autoconsolazione artificialmente creata. Lo spirito, ad esempio, si da come cömpito — e a tale cörrtpito a poco a poco si abitua — il non guardare le cose che gli recano turbamento o pena se non dopo averle con maggiore o minore efficacia deformate e averle deformate in tal modo che esse p i ü non possono portar seco, sotto il mutato aspetto, quel turbarnento e quella pena a cui chi guarda cerca sottrarsi. L'autoconsolazione, cioe, e ottenuta per mezzo della deforinazione — nel nostro spirito — completa o parziale delle cose. Si poträ allora con ogni tranquillitä esclamare: « L'uva di quel grappolo e troppo verde; non vale la pena che io mi affatichi intorno ad essa»1... Nondum matura est; nolo acerbarrt, sumere! (Fedro, IY, 3]). Accade il medesimo allora che lo spirito non cerca nelle cose che si ostinano a farlo soffrire se non quegli aspetti e quei particolari che son capaci (Separatamen le considerati e quasi avulsi dal tutto di cui pur fanino parte) di far mutare quasi di colpo il senso e la fisonomia delle cose stesse. Viste sotto questo nuovo angolo visuale — aspetto nuovissimo — viste, cioe, da un solo lato e, stiamo per dire, di traverso, oppure mascherate e travisate nel loro insieme dal nostro occhio medesimo, le cose stesse piü non sono capaci di offendere e di incidere nella carne dei nostro spirito, f e r i t e ognora rinnovantisi e che mai par si vogliano cicatrizzare. Non pochi aforismi e sistemi non pochi, e Codici di saggezza dei piü alto valore per beltä, furono creati deformando il volto delle cose, o mascherandole, perche gli uomini afflitti dal dolore dei vivere, medi-i tando su quei Codici e a quelle pagine ispirandosi, potessero trovare il cercato riposo. Ecco, ad esempio, qualche pagina, o cenno, di siffatti sistemi o di siffatti Codici. a) Tipico, ad esempio, e il sovrano consiglio di colui che disse : « S e a t« tutto manca, poverissimo, e che a un tratto ti trovi ad essere re e signore dei mondo interö, non ti esaltare. Si tratta di nulla. E 6e ti trovi, invece, ad essere re e signore dei mondo intero, e di colpo tutto p e r d i , non ti affliggere. Si tratta di n u l l a » . Come si vede (sistema Orientale di autoconsolazione) il tutto si deforma, nel tuo 6pirito e p e r istantaneo tocco di bacchetta della tua volontä, in nulla... e il nulla puö diventare il tutto. Esser tutto, e dunque come essere nulla,
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ed essere nuila e come essere tutlo: deformazione completa delle cose! Abbiate siffatta fede e il vostro cuore piü, non farä sangue. b) Ecco altro modo di pensare e medicar le vostre piaghe quando cade ogni ardita e orgogliosa speranza, per tanto tempo coltivata, di riccheziza o di gloria. Che mai puö importarvi tale disavventura? Potrete sempre dire a voi stesso che «rettitudine e saggezza sono doni ben piü preziosi della ricchezza » e voi certamente siete in possesso di questi piü preziosi doni poiche siete (o vi credete, o fingete credervi) retto e giusto. Sicchfe « p e r quanto povero voi siate, voi pur siete il piü ricco dei r i c c h i » ; cosi parla Epitteto (60, 75) il glorioso schiavo frigio che, ognor deformando e sfigurando le cose per persuader se stesso che esse non sono ciö che in realtä sono, proclamava essere il piü mi6ero schiavo piü libero assai dello stesso uomo libero, se la sua anima e libera. Chi potrebbe mai negare che parole di täl sorta portino veramente raggi di luce consolatrice per le genti afflitte? [Ben ciö sanno coloro — uomini e popoli — che vivono in ischiavitü e che perpetuamente soffrono per l'ingiustizia e nell'ingiustizia. Ed ecco ancora: « Ad ogni spiacente C06a che ti si affacci e a te cerchi imporsi, tu sii pronto a d i r e : tu non sei che pura immaginaziione, e per nulla ciö che sembri essere » (Epitteto, 10). Miseria o ricchezza, schiavitü o lib e r t ä ; nessuna differenza tra parole o co6e che sembrano tanto diverse. Tutto sta che l'anima sia ricca e libera, ed ogni anima e tale purche ciö voglia. c) E il dolore fisico? Non e forse, anch'esso, puro frutto della nostra immaginazione? Se io dico al dolore, per conseguenza: « T u non sei d o l o r e » , esso necessariamente cessa di essere ciö che prima sembrava essere. La donna roinana che, condannata a morte dall'imperatore tiranno, insieme al marito, si trafigge con la daga il petto e subito, poi quella daga passa allo sposo dicendo : Non dolet! e l'immortale simbolo della consolante deformazione di cui stiamo parlando. d) Solenne e, poi, e p i ü volte ripetuta, quella deformazione che si ottiene coi convincere noi 6tessi come tutto ciö che esiste e che in particolare ci colpisce non appartiene al vero mondo della realtä, ma costituisce semplice frutto del nostro modo di vedere: non e realtä, ma « o p i n i o n e » . Furono maestri gli Antichi nell'in6egnare siffatto rimedio, e di comune lettura sono le pagine con cui Cicerone espone ed illustra tale dottrina. Mettiti in mente che, alla fin dei conti, tutto ciö che puö affliggerti e mera opinione (opinio) e come tale e un qualche non delle cose stesse, ma creazione del tuo pensiero; quindi, finzione
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e non esistenza reale... o a un dipresso. La tristezza, poniamo, e un'opinione circa ciö che si crede essere un male presente (opinio recens mali), come l'allegrezza puranco e semplicemente opinione circa ciö che si crede essere un bene presenle (opinio recens beni praesentis). II timore, d'altra parte, e da dirsi altro non essere se non una opinione circa un male sovrastante che sembri intollerabile (opinio impendentis mali, quod intolerabile esse videatur); anche la sete di ricchezza, con 10 strugger l'anima ch'essa fa, e semplice opinione circa un bene avvenire a noi vantaggioso che giä ci par toccare con mano... ma a quella mano sfuggente (opinio venturi boni) (Tusculanae, IV, 17). Qui davvero, grazie a tanto austeri e ben composti sofismi, il filosofo si fa cieco con le proprie mani per non vedere, ma se da tale cecitä ricava qualche conforto, sia pur ben venuta la cecitä. e) Guardare le cose, se non vogliamo esserne avvelenati, da un particolare angolo visuale sta anche nel convincersi che tutto e fumo inconsistente, nebbia impalpabile, vanilä e pura vanitä. Vengono in aiuto allora, veramente mirifici, i canti deH'Ecclesiaste. Vanitas vanitatum, et omnia vanitas (I, 2). Che vale affaticarsi e t r a r sofferenze da questo o queU'avvenimento? Un'etä va via, e un'altra etä viene... 11 sole si leva e poi tramonta... il vento or va, or viene e torna.... scorrono in eterno i fiumi senza mai far traboccare gli oceani... quello che e stato e lo stesso che sarä (I, 4, 9). Da cui, inutilitä dei tutto e conseguente stato di quiete; anzi, indifferenza nel sentire e nel conlemplare tanta inutilitä. « Ho veduto tutte le cose che si fanno sotto il sole; ed ecco tutto ciö e vanitä e tormento di spirito»... ecce unirersa vanitas et ajflictio spiritus (I, 14). Vanitä, sia pure, in tutto e su tutto; e se vi e qualcosa di reale, ciö sta nel miserevole fatto che dovunque, su questa terra, in luogo dei giudizio e l'empietä, ed empietä ancora in luogo della giustizia... —• et in loco justitiae iniquitatem — ma verrä pure il momento (consolaziane per chi risente tanta ingiustizia) in cui Iddio giudicherä il giusto e l'empio pereiocche per qual si voglia cosa vi e il suo t e m p o : et tempus omnis rei tunc erit (H, 17). /) Aspettiamo dunque. Nel frattempo, l'accertare che tutto e vanitä, se distacca l'uomo dalle cose e lo rende insensibile ai mutamenti di esse, p u r lo chiude — secondo le patetiche lamentazioni di cui stiamo facendo cenno — nel piü oscuro pessimismo, il che anche costituisce, in certa guisa. qualche consolazione, talche deH'Ecclesiaste puö dirsi non essere soltanto il libro delle vanitä ma pur anche dei pessimismo. « Io pregio i morti che giä son morti piü che i viventi che sono
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Parle
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in vita sino ad ora »... at laudavi magis mortuos, quam viventes (IV, 2t) ma davvero anche il continuo desiderio della morte e il p r e f e r i r e que6ta alla vita e un continuo distaccarsi dal mondo per « non vedere le opere malvagie che si fanno sotto il sole » e quindi diminuire la propria sofferenza (IV, 3). Non e da dubitarne; se, visto in certa guisa, tutto ciö che appare luce e piacere non e che vana ombra e vana illusione, vuota e inutile apparenza, la mancanza di quella vuota e inutile apparenza non puö davvero affliggerci... g) Inutile ricordare che il p i ü grande e completo travisamentodelle cose o di quella realtä che noi vediamo o crediamo vedere come tale, e che ciö nonostante per nostra consolazione dobbiamo ritenere tale, e nella filosofia vedanta dei grandi I n d ü ; qui vi tale travisamento si presenta con tinte assai piü intense e fosforescenti di quelle di cui si serviva la consolatrice filosofia di Cicerone. Tutto quaggiü, per quei travisamenti, e illusione e non esistenza — come il riflesso della spuma del mare (i sacri testi si servono proprio di tale immagine) — e dove e illusione non puö esservi fönte di dolore. Si vedrä p i ü innanzi, quando di proposito parleremo dei grandi Evangeli della consolazione, come sappia argomentare siffatta dottrina. h) Senza deformare e senza figurare le cose in modo completo e universale come or ora abbiamo indicato, ci si puö collocare in modo da guardarle, per cosi dire, di lato, come giä dicemmo, e p u r si otterrä il cercato fine.,. sempre che sia possibile .separare l'uno dall'altro i due sottili procedimenti. Poniamo, ad esempio, che nonostante i vostri meriti ed i vostri diritti (ognuno di noi e sempre eonvinto di non es6ere trattato dalla Societä secondo i propri meriti e secondo il proprio diritto) voi siate relegato, nell'oscuritä o nella dimenticanza, nel piü basso loco della scala sociale. Nessuna sofferenza; la filosofia di Boezio verrä in vostro aiuto dalla luminosa prigione di l u i ; «Occorre rarissime volte che le degnitä e le potenze si diano agli uomini dabbene... » (De consolatione philosophiae, II, 6). E tu che cerchi consolazione in quella voce, non sei forse un uomo dabbene? E come mai — essendo tale, o credendoti tale o fingendoti tale — potresti venire in dignitä e potenza? Anzi, oltre che non affliggerti, potresti pur procurarti l'intimo gusto di sorridere nel vedere come si affacciano le cose: « Se tu vedessi che nella nazione dei Topi, alcuno di loro s'appropriasse ragione e potestä sopra gli altri, non scoppieresti tu dalle risa? » (id. id.). La tesi in questione — si noti — risponde al vero? E a tutto il vero?
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i) Ancora singolarissimo e — a quanto pare — efficace modo di deformare cose e avvenimenti guardando da assai speciale angolo visuale sta nel rifarsi di continuo a quei suggerimento che dava l o stesso Boezio, per non piangere, quando faceva osservare (sempre dal suo carcere) che al postutto ogni cosa di quaggiü si spoglia di qualsiasi importanza quando rosservatore, e cioe chi soffre, si 6posti idealmente attraverso il tempo f u t u r o e da quei lontano punto dell'awenire prenda a considerarla. Altro che deformazione, a l l o r a ! Si ha addirittura soppressione e scomparsa. Tutto « p r e m e ed annulla la lunghezza e l'oscuritä del t e m p o » ; la piü, celebrata fama di oggi diventa, in quei punto f u t u r o verso l'eternitä, assolutamente nulla (De consolatione, II, 7). Come che sia, basterä togliere a prestito il modo di pensare espresso da Boezio per vedere trasformata l'angoscia prodotta dal carcere in cui il filosofo aspettava la morte (e in cui noi viviamo), in una quieta malinconia portante tra le sue mani qualche poco di dolce consolazione... Medesimamente, si danno oggi coloro c h e facilmente, o quasi, trovano autoconsolazione per qualche disavven. tura subita pensando che fra dieci anni (hanno poi, costoro, tutti i torti?) o poco piü, tale disavventura avrä p e r d u t o ogni colore 6gradevole, vista da tanta distanza di tempo. L'acrobazia mentale con cui ci si sposta attraverso il tempo per giudicare nulle le cose che momentaneamente ci sembrano giganti, si ripete con il trasportarci attraverso lo spazio... Viene in mente il sogno di Scipione, narrato da Cicerone, di Scipione che sognando abbandona la T e r r a e si trasporta a volo attraverso gli spazi oltrepassando persino quei Sole che e dux et princeps, et moderator luminum reliquorum; di lassü, come gli appare piccoliesima e quasi nulla la T e r r a ! e da quella distanza guardando, qual valore potrebbero avere le molteplici e tanto puerili vanitä umane? In un modo o nell'altro, insomma, per mezzo della deformazione completa o per mezzo di quella che e soltanto parziale o, diremmo cosi, laterale, delle cose, noi strappiamo ad esse — se possiamo cosi esprimerci — il loro veleno. Noi togliamo loro di dosso i loro propri panni, per rivestirle poi a nostro modo. Singolare ed efficace forma d i falsificazione che commettiamo p e r pietä verso noi stessi. L'Io cosi operante vuole ingannare se stesso — e sa, forse, nel suo fondo, che si tratta di un puro inganno — ma un silenzio di pace sorge da tale menzogna. Dolce e pietosa filosofia della menzogna e dello sfigura-
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mcnto, da collocarsi accanto a quella, piü sopra vista, che abbiamo chiamato dell'« evasione » o filosofia dell'assenza e dell'oblio.
4. - L'autodifesa contro la propria ignoranza o contro il dolore dei non »apere Due ben diversi stati di disagio dell'Io vengono a seigere, saltuariamente o di continuo, di f r o n t e al senso e alla coscienza dei proprio non sapere. MJai si confessa agli altri, da p a r t e dei volgare, di essere ignorante, ma talvolta siffatta confessione qualcuno fa, sebbene in modo crepuscolare, a se stesso; apertamente, invece, altri proclama il proprio non sapere tanto agli altri quanto a ?e stesso, ripetendo il malinconico ignoramus et ignorabimus diffidando perfino noniche dei futuro, ma delle stesse cose che ci stanno dintorno, materiali e spirituali, sospettando trattarsi di pure parvenze. In ogni caso e, cioe, tanto nel senso e nella coscienza della propria ignoranza da parte dei volgare, quanto neH'ignoramus et ignorabimus di chi pensa, sorge — come dicevamo — un disagio e perfino una sofferenza che ha pur da trovare in qualche guisa la sua consolazione, che sarä di bassa lega — ne potrebbe essere diversamente — per l'ignorante, ma di piü elevata fattura p e r il dotto che e conscio della infinita nullitä delle sue cognizioni. Sarä, tale autoconsolazione, il facile dileggio da p a r t e dei primo (il volgare) e la creazione di tutto un sistema — geometricamente arcliitettato — di filosofia scettica da parte dei secondo (il dotto). Diciamo qualcosa, per cominciare, nei riguardi dei primo, avvertendo che piü larga trattazione concernente in generale l'ironia (insieme al riso, al sorriso, al sarcasmo, all'umorismo) come arma di difesa e come autoconsolazione, sarä fatta piü innanzi, nella parte interamente consacrata alle autoconsolazioni per mezzo dei diversi modi di sorridere e di ridere. a) L'ironia
degli
orbi.
Siete u n perfetto ignorante per congenita natura — cecitä nata —• o per puro disinteresse (altra forma di cecitä) verso ogni luce di sapere, attratto piuttosto da sollecitazioni, inintellettuali o no, piü o meno grossolanamente ricreative di vario genere? Guriositä e tempo a voi fanno difetto p e r aprire gli occhi, preso come siete dalle mille cian-
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frusaglie della vostra inutile esistenza? Mia cio nonostante, avete sentimento della inferioritä in cui vi trovate di fronte ai non ciechi, sentimento vago e indefinito che pur essendo tale vi reca in sofferenza e fastidio, soprattutto quando — orbo — vi trovate a faccia con chi orbo non e? Semplicissima cosa sbarazzarsi dal tedio e dal fastidio di tale sensazione prendendo a scherno l'oggetto o il tema venuto sul tappeto della conversazione e di cui non; potreste nulla dire poiche nuilla sapete; basterä fare un po' d'ironia — che in questo ca60 diventa la scienza di chi non ha alcuna scienza — e voi otterrete al tempo 6tesso un duplice effetto. Da un lato, cioe, assumete l'importanza di un beffardo giudice che sta assai sopra ogni misera contesa e che vede uomini e avvenimenti assai piccioli e ridicoli, mentre voi solo — giudice ironico — vi sottraete a tanta miseria. D'altro lato, poi, vi sbarazzate del sopra detto senso di pena e di inferioritä che vi importuna. Chi volesse servirsi di quell'italiano posticcio che si va creando fuori dai dizionari della lingua italiana direbbe: « ironizzare », per difendere sc stesso dal senso d'inferioritä di cui sopra; basterä forse d i r e : esercitarsi nell'ironia e con l'ironia, a tutti i costi. Sono maestre in siffatta schermaglia parecchie categorie di « orbi » e par che tra esse per universale conseriso vi siano alcuni di coloro che nei salotti, nelle anticamere e nelle piü illuminate feste necessariamente si trovano a contatto con le piü varie specie di persone, anche elette ed elettissime, e sono costretti, quindi, sia a p a r l a r e o dar giudizi su tutto e tutti, sia a evitare di esprimere ciö che essi sanno o non sanno... e soprattutto ciö che non sanno. Le ton du grand monde est de traiter avec ironie tous les grands interets, scriveva Sthendal in una delle sue note (De l'amour, cap. XLII) ... Ma ironia, specie di moneta falsa, puö dar luce agli orbi? b) Lo scetticismo
di chi sa.
Di ben altra fatta, e cioe nobile ed elevata, e la difesa contro il disagio e addirittura il dolore risentito dall'uomo che cerca oltre il fitto velo delle cose e che non trova, ne puö trovare. Sentirä in se stesso, oscuramente, che se e impossibile cosa il conoscere, e anche inutile cosa il cercare; se ne rimanga quieto e immobile lo spirito nel silenzio e nella pace di ogni rinuncia. Evidentemente, modo di ragionare di tal genere per nulla si presenta allo spirito di chi quei ragionamento compie quasi irsconsciamente, e non in modo cosi chia-
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ro, limpido, inesorabile come tentiamo qui esporlo, ma p u r agisce nella subcoscienza di chi pensando. cercando e non trovando, tenta autogiustificazioni e autoconsolazioni. E' da riflettere che quanto piü il dotto acquista cognizioni (siano dei mondo esterno, siano dell'interno, quali appaiono o quali sono in realtä), tanto piü aumentano i punti di contatto dell'allargantesi cerchio dei suo sapere con l'ignoto dal monvento che la soluzione — o creduta tale — di u n problema suscita immediatamente e prospetta non uno ma p i ü problemi nuovi al tempo stesso, p u r essi ancora nell'ignoto e da risolvere. La schiera degli interrogativi, in altri termdni, non si presenta al ricercatore sotto forma di catena rettilinea, ma piuttosto a guisn di ventaglio che va sempre piü allargandosi ed estendendosi, da cui un sentire sempre p i ü profondamente e distesamente i disagi prodotti dalla coscienza di quel non sapere che sempre p i ü allarga i suoi oscuri orizzonti. E* il easo di rammentare: äuget et scientia dolorem. Dal quäle dolore si esce con la rinunzia e con il confidarsi alla conclusione scettica. I filosofi di professione richiameranno, a proposito dello scetticismo di cui sopra, le grandi ombre di Pirrone e di Sesto Empirico, per s e n t i r l e ancora affermare che a qualsiasi proposizione se ne puö opp o r r e una contraria ugualmente probabile e che nulla e certo (non liquet; dunque, nil potius, da cui lo stato di impassibilitä, sovrano riposo dello spirito) e quella di Montaigne che si domiandava dove mai fosse uno « s t r u m e n t o giudicatorio ». E quella ancora di Berkeley e persino quella di Davide Hume, ricordando come il p r i m o dei due sostenesse la falsitä di tutte le no6tre percezioni, nulla essendovi di reale al mondo, ne fenomeni, ne materia, mentre il secondo con l o sviluppare ed estendere i teoremi degli scettici, giungeva a ferire il principio stesso di causalitä. Distingueranno anche — i filosofi di professione — uno scetticismo come dottrina (lo scetticismo degli antiehi, ad esempio), da uno scetticismo quäle tendenza dello spirito, e considereranno inoltre uno scetticismo critico (riferendosi alla eritiea della ragione di Kant) senza dimenticare uno scetticismo mistico (la conoscenza dei vero non si p u ö avere dalla ragione, ma dalla fede soltanto) e consiglieranno, oltre di ciö, la lettura delle belle pagine lasciate da Giuseppe Rensi. A noi qui non spetta insistere e illustrare quanto i filosofi h a n n o giä pensato e scritto a proposito dei soggetto di cui discorriamo; basterä, per imtenderci, far notare che per nostro conto possiamo consid e r a r e l'autodifesa e l'autoconsolazione — nei riguardi dei disagio o
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•dolore prodotti dal non poter sapere — conie il risultato dei seguent i atteggiamenti simultanei o successivi dello spirito o, se si vuole, dell'Io: in ogni dibattito o controversia, tante ragioni militano per una data soluzione quante per l'altra, si che il meglio e sospendere il proprio giudizio; notando, poi, che nessuna certezza esiste sull'essere le cose quali a noi si presentano e persino nessuna certezza che esse esistano in se, meglio vale ancora rimanere nel dubbio e in una «pecie di indifferenza... senza dire, infine, che la nostra stessa ragione, nel ragionare, non ha alcuna sicurezza di costituire strurrjento adatto, appunto, al ben ragionare, a meno che non si trovasse strumento che controllasse la ragione, strumento registratore, obiettivo, imparziale, che non e affatto dato trovare e a cui, dun que. meglio vale rinunciare. Insomma, nella stanza chiusa e impenetrabile e il mistero; tentate, quante volte sia possibile, ogni sorta di chiave od ordigno per a p r i r e o forzare la serratura : ogni tentativo sarä inutile e vi reelierä fatica e pena. Meglio vale trovar riposo e quiete nel rinunziare. AI postutto, le piü vetuste tradizioni non insegnano forse essere severamente proibito aprire le stanze chiuse e lasciarsi tentare dal mister o , che e sacro e inviolabile, come ebbe a fare l'inavveduta compagna di Barbablü? II volere conquistare l'impossibile — si ricava dal p i ü celebre dramma di Björnson; Oltre il potere nostro — e forzare la mano alla divinitä o alle leggi di natura, si paga con la morte, come fa il pastore evangelico norvegese Sang, e anche l'amarchico Elia, per avere desiderato e voluto qualcosa di superiore al volere umano. D : a l t r a parte, non ha proprio da dirsi che lo scettico, filosofo o no, rinunzi all'esercizio dei suo pensare poiche egli puö ben portare di continuo miinute e laboriose indagini sulla forma, sulle parvenze, «ulla successione, sulla apparente concatena/.ione degli awenimenti verso i quali e portata la luce dei suo intelletto, ma ciö f a t t o (bgli, dunque, non e orbo... come gli altri di poco fa) rinunzia egli a ogni «spiegazione». Da quella rinunzia, diremo cosi, claustrale, nella quäle si chiude, egli trova — coecientemente o no — la pace. Una pace che porta con se la caduta di ogni intolleranza e una benevola contemplazione, se non commiserazione, delle cose e soprattutto degli -uomini. Nullum negotium est patefacere, omnia in rebus humanis dubia, incerta, suspenso magisque omnia verisimilia quam vera, dice lo scettico Cecilio nel suo dialogo con Ottavio ai piedi della statua di Serapide, come narra Minucio nel suo Octavius (V, 21). E ' fatica spre«ata. cioe, l'adoperarsi a spiegare i misteri delle cose; tutto quaggiül
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Parte
quinta
e dubbio e incertezza, sospeso, e le cose a noi offrono aspetto piü di verosimiglianza che di veritä.
5. - La ricerca della « compensazione » alla propria inferioritä. E' assai nota la dottrina interpetrativa dell'umana condotta dovuta ad Alfredo Adler e ad essa possiamo per un istante richianiarci. P e r lo psichiatra cui ci riferiamo, e in ogni uomo un senso di inferioritä prodotto, sia da cause fisiche, come imperfezioni anatomiche e funzionali, infermitä, ecc... sia da cause sociali (come a dire ambiente familiare ecc... i] sentirsi inferiore rispetto a gruppi professionali, e altri, diversi da quello cui l'individuo appartiene), sia da cause cosmiche come terremoti e analoghi disastri naturali. E perö, necessaria insorgenza di una volontä di liberazione da tale penoso senso che si fa dinamico manifestandosi da p a r t e dell'individuo coi cercare una soddisfacente compensazione, reale o fittizia, di cui il « l i b e r a t o » si contenta o nella quäle si rinchiude. Ora, p e r l'appunto, il modo di esplicarsi di tale incontro tra il senso di inferioritä e la tentata o trovata compensazione, darebbe colore alla condotta del soggetto. P u ö , invero. se l'individuo (parla sempre il nostro Autore) trova nel mondo che lo circonda, incoraggiamento al suo tentativo di compensazione, questa esplicarsi in forme che lornano utili e produttive tanto per l'individuo, quanto per il mondo stesso in cui egli si muove; dal senso di inferioritä, quindi, la ricerca e l'effettuazione di un compenso che diventa socialmente utile (per esempio, un intensificato e approfondito lavoro cui l'individuo si da per vedersi superiore a tanti altri e controbilanciare, allora, la propria inferioritä in altro cainpo). Ma quando l'infeiale senso di inferioritä mal 6i com>pensa e continua a incidersi nello spirito del soggetto, e continua anche ad essere contrastato dal mondo ambiente in cui il soggetto vive, il compenso prende la speciale forma di una superioritä fittizia che si manifesta, sia con una voluta indifferenza verso le cose e gli uomini, ßia con un rinchiudersi che l'individuo fa in sie stesso, sia ancora con un continuo atteggiamento di disprezzo verso tutto e tutti e persino, infine, con speciali forme di psicosi e di nevrosi organiclie e funzionali... senza dimenticare il delitto e pur anco la prostituzione. In ultima analisi, si tratta di una automatica ricerca di «compensi» che corrispondono, in parte, a quelle « autoconsolazioni » di
Come l'Io inganna sc stesso - Autoconsol azioni
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cui andiamio discorrendo e di cui andiamo facendo descrizione; mentre, tuttavia, la brillante dottrina dell'eminente psichiatra semtbra voler costituire un'interpretazione univoca della condotta, sembra a noi trovarsi piü, accosto al vero chi, p e r l'interpetrazione della condotta, si serve di parecchie categorie di forze, o moventi, o concause, o componenti, come vedemmo altrove trattando degli schemi geometrici e aritmetici della statica e della dinamica della personalitä umana (1).
(1)
e della
A.
22. - L'Io.
Schemi e simboli geometrici o numerid della nella « Scuola positiva », Milano, 1948, n. 1-2.
NICEFOBO,
condotta,
personalitä
CAPITOLO
TEHZO
iL SOCQORSO DELL'OTTI MIS'MO Non s a r ä davvero necessario t r o p p o d i l u n g a r s i sulla consolazione, ingenua m a p r o f o n d a , capace di t u t t o f a r s o p p o r t a r e , c h e l ' I o sa c r e a r 6i a l l o r a c h e esso riesce a nutrirsi di u n a filosofia ottimista delle cose e a f e r m a m e n t e c r e d e r e in essa. Si p u ö distinguere u n ottimismo concreto p o i c h e vede esso realizzarsi il b e n e e il giusto, in un f u t u r o p i ü o m e n o vicino, sulla t e r r a , e u n ottimismo miuico il q u ä l e vede p i u t t o s t o l ' a r m o n i a di t a l e giustizia in u n m o n d o c h e trovasi d i l ä dalla t e r r a e nel q u ä l e d o v r a n n o t u t t i gli u o m i n i vivere la loro vita f u l u r a . II p r i m o dei d u e ottimismi (concreto, t e r r e s t r e ) p o t r e b b e a sua volta distinguersi in un ottimismo individuale p e r il quäle le s o f f e r e n z e e l e ingiustizie da te o da me p a t i t e t r o v e r a n n o u n g i o r n o giusta r i p a r a z i o n e o le malvagitä d a te o da m e commesse s a r a n n o un di p u n i t e , e i n u n ottimismo storico, collettivo, p e r il quäle le sagge ed oneste arti dei gruppT sociali conducono p r i m a o d o p o al t r i o n f o d e i g r u p p i stessi, m e n t r e le malvage a r t i di essi c o n d u c o n o p r i m a o d o p o alla p r e c i p i t a z i o n e e alla morte. Q u a l c h e p a r o l a di illustrazione e qualche esempio.
1. - Ottimismo concreto. V a r i e e molteplici sono le f o r m e che nel nostro caso p r e n d e l'ottimismo concreto. Cerchiamo f a r n e esemplificativa rassegna, illustrando e c o m m e n t a n d o . a) La Cittä
futura.
Larga e d i f f u s a f o r m a di o t t i m i s m o concreto consola il s o f f e r e n t e con un m i r a g g i o a lunghissima p o r t a t a : il m o n d o di oggi £ assai t r i ste valle di l a c r i m e , e vero... m a d o m a n i — e qui sulla t e r r a stessa —
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p i ü non sarä cosi, che un benefico Sole irradierä tutt'intorno splendendo su dimore umane p i ü elementi e p i ü nobili di quelle di oggi. I ciechi vedranno, parlerä il muto e camminerä il paralitico. E in questo audace sperare l'individuo trova conforto, anche se l'attesa dii i i a n e non sarä proprio per lui, ma per coloro che verranno di poi e che gli succederanno accanto al domestico focolare. Cattä f u t u r a , consolatrice, non tanto come quella — preveduta e lumeggiata dai nostri grandi romanzieri fantastici — ove tutto e ricchezza di meccanismi quasi magici che ridueono al minirno lo sforzo di lavoro dell'uomo c dove l'elisir di lunga vita procura ai viventi la prolungata giovinezza, ma piuttosto come quella di cui parlava Anatole France quando diceva che si muteranno in fiori le spine del biancospino. Meno ingegnose e meno nobili pitture si potranno trovare nei discorsi o arringhe che taluno — con abilissima prestidigitazione verbale e altra — rivolge alle folle, ma come che sia si tratterä sempre di cieca fiducia, ausiliatrice, in una dimane che f a r ä dimenticare le pene di oggi. Rientrano nell'abbagliante luce di tali miraggi tutte le varie sorta di credo riguardanti la Cittä f u t u r a che poeti, pensatori e altre men nobili categorie di uomini hanno recitato e vanno recitando accanto al capezzale dell'uomo steso sul suo letto di dolore. b) Una commedia bene.
che finisce
sempre
Altra, ma p i ü profonda, fönte di ottimismo consolatore sta — nel caso in cui non ci si voglia o non ci si possa innalzare troppo in alto o guardare troppo lontano — nel pensare: « Si, certo, contrarietä e preoccupazioni, per ogni dove ci muoviamo, sorgono ad affliggerci; quanto mai, tuttavia, ciö poträ d u r a r e ? Le cose, prima o dopo, si as6esteranno perche tutto quaggiü prima o dopo si aggiusta. In fondo, le cose della vita sono di solito una di quelle commedie che finiscono bene ». Anzi, su questo punto taluno sa convincere se stesso — se non gli altri — pensando che mai vi e da preoccuparsi realmente o da conturbarsi poiche nello svolgersi degli umani eventi, e p i ü particolarmente nello svolgersi delle piccole avventure e disavventure della vita quotidiana, occorre sempre contare su un personaggio che mai fa difetto al momento opportuno, e cioe sul Caso, sull'Impreveduto... specie d i divinitä soccorritrici che risolveranno la piü disperata situazione. Non pochi si trovano a vivere creando a Se stessi simili racconti di
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täte e trovano cosi modo di non pensare ai pericoli della dimane... e di vivere. Insomma, la vita e una commedia... che finisce sempre bene! c) Credenza
nella « legge di compenso »„
Non pochi hanno saputo creare a se stessi una strana convinizione che, senza essere in alcun modo dimostrata dai fatti, ma avente soltanto u n fioco lume di verosimiglianza, serve largamente a portar soccorso, speranza, fiducia. Si dice, cioe, che esiste quaggiü! una «legge di compenso » per la quäle se tu in qualche Cosa soggiaci a questo o quel colpo della avversa fortuna, p u r hai motivi di soddisfazione e compiacimento per altra co6a, producendosi per tal modo compenso geometrico dei male col bene. Tutto e geometria, quaggiü. Ne segue > ad esempio, che quando vedi feste e dovizie intorno aH'uomio invidiato, guardati dal volere di lui prendere il posto o dal portargli r a n core (si soffre di p i ü nel contemplare la fortuna altrui che nel sentire le p r o p r i e miserie) inquantoche molti dolori porta senza dubbio nel cuore, invisibili, quell'uomo da si invidiabile aspetto. Si rammenti il ripetutissimo: Se a ciascun l'intern o äff anno ecc., o si rammenti la romantiea leggenda dei ricco, avvolto nel fastoso suo mantello di velluto, che di fronte al rnisero che lo invidia, aprendosi il mantello. mostra l e nascoste ferite e recita : « Tutti portan la croce quaggiü». Qual meraviglia? Non esiste, forse, una «legge di compenso»? T u t t o e —- dicevamo — geometria quaggiü, anche lä dove il nostro imperfelto e fragile occhio non sa scorgere la perfetta armonia delle linee su cui ies tracciato e si svolge l'Universo. E si intenda per Universo, tanto quello interno, dell'anima, quanto quello esterno e cioe dei mondo, con la sua struttura, la sua dinamica, materiale e non materiale e cioe dei mondo fisico e della Storia umana. Invero, questi egregi filosofi dei « c o m p e n s o » vedono p u r anco nella Storia degli uomini il verificarsi della loro legge: a periodi — di lustri o di secoli — di benessere, di elevazione, di fortuna (ad esempio) seguono lustri o secoli di depressione e di decadenza, quasi che l'onda di ribasso dovesse « compensare» l'onda di rialzo, in attesa — ben si comprende — che una futura onda di rialzo compensi la sofferta depressione. Concludendo; soggiaccio ad alcuni mali, ma posso godere di alcuni beni che potranno compensarmi dei male o farmelo dimenticare ; vedo la fortuna degli altri, ma h o da pensare che quella fortuna e
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scontata dall'uomo che io invidio con altrettanti dolori che non vedo; soggiace a tristi avventure il mio Paese, ma domani risorgerä... Non occorre aver vista acuta per vedere l'estremo artificio di siffatti modi di ragionare, ma chi e costretto ad appigliarsi a qualsiasi ramo nel rotolare verso l'abisso, non p u ö forse trovare sostegno in quegli artifici, sia pur passeggeri? d) Una Provvidenza terra.
che agisce
sulla
Qön p i ü alto spirito pensano coloro che, senza por credenza nella pretesa legge della commedia c h e ha sempre da finir bene o nella improvvisa e benefica apparizione dell'impreveduto, o nell'azione di una pretesa « legge di compenso », se ne stanno sicuri dell'intervento, in opportuno istante, di quei gran personaggio che va sotto il nome di Provvidenza e che ha da farsi sentire, appunto, sulla terra stessa, non soltanto per porgerti la mano al momento in cui pare che nessuna umana 1 mano a te si stenda, ma anche per liberarti dalle eure — quando ad essa tu ti rivolgi — e dalle preoccupazioni del travaglio quotidiano. Ideo dico vobis, ne solliciti sitis animae vestrae quid man» ducetis, neque corpori vestro quid induamini... inutile affannarsi nel pensiero di non aver di che nutrirsi domani o di che vestirsi; respicite volatilia caeli... Pater vester caelestis pascit illa... Considerate lilia agri quomodo crescunt... riguardate agli uccelli del cielo, come non seminano e non mietono, e non accolgono in granai; eppure il P a d r e vostro Celeste Ii nutrisce... Avvisate come crescono i gigü della campagna... Essi non faticano, e non filano; eppure io vi dico cKe Salomone stesso, con tutta la sua gloria, non f u vestito al p a r i dell'un di loro... nec Solomon in omni gloria sua coopertus est sicut ununi ex istis (Matteo, VI, 25-29). P r o p r i o cosi. Ii Maligno potrebbe osservare — egli ha sempre qualcosa da osservare, a torto o a ragione — che, per quanto si dica, innumerevoli sono nei piccolii nidi i poveri morticini p e r fame e per freddo... e quanti sono i gigli dei campi cui radice e stelo vengono spietatamente corrosi da bestie nemiche, o soffoeati da erbe e rovi non meno ostili! Fortunatamente, le osservazioni del Maligno non hanno in questo caso troppo vasta portata e si irtfrangono contro la tranquilla eertezza che vien data dalle esplicite assicurazioni di cui sopra.
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2. - Continuaxione. Ancora deif'otfimismo concreto: l'ingiusfo sarä punito... [Particolare forma di ottimismo consolatore si dä quando nel cuore dell'ingenuo sofferente sta perenne la convinzione che ogni malvagio — ognuno di quei malvagi, appunto, che tanto ci perseguitano — sarä a suo tempo punito (ed io, notisi bene, sarö per tal modo vendicato), Gli e che ogni malefatta, p r o p r i o p e r essere tale, porta seco le cagioni dei precipitare in basso di colui che ebbe a compierla. Delitto e castigo debbono bere alla medesima coppa. Ii tutto, non si dimentichi, quaggiü) in t e r r a : qui il malvagio e la malefatta, e qui la tomba dei malvagio e la dissoluzione stessa delle malefatte opere. Poco conta che nella vita... accada p r o p r i o il contrario e che quotidianamente i fatti smentiscano tale nobilissima e quasi sacra fiducia, ma chi cerca a ogni costo punti di appoggio, tavole di salvataggio a cui aggrapparsi, chiude gli occhi di fronte ai fatti e sostituisce ai concreti fatti stessi i « f a t t i » dei suo pensiero e delle sue proprie creazioni. Carte assai venerabili ed antiche porgono — nel senso di cui sopra —in ogni loro pagina, agli stanchi e ai sofferenti, fiducia e quindi consolazione. Ii libro di Giobbe, che di solito e presentato come il libro della rassegnazione — e di una rassegnazione che alla f i n e e decorosamente e lumjnosamente premiata — potrebbe invece, o anche, venir preso a testo di un credo ottiimista il quäle suggerisce a chi e , o si crede, perseguitato dai malvagi e dai loro misfatti, che un di sicuramente gli uni e gli altri saranno ridotti in polvere. Oltre che dipingere con le piü nere tinte la bassezza degli uomini e le tristezze della vita, che Cosa dicono nel loro immaginoso parlare, i t r e amici di Giobbe, Elifaz, Temanita, Bildad Suhita, Sofar Naamatita? « Quelli che a r a n o l'iniquitä e seminano la perversitä, la mictono»! ...qui operantur iniquitatem, et seminant dolores, et metunt eos (IV, 8). Non crediamo davvero c h e — a differenza di ciö che di solito accade — ai tempi di Giobbe le cose si presentassero come e detto, ma le certo che gran sollievo ha da provare colui che, perseguitato o credentesi tale, con sicura speranza aspetta il verificarsi di quell'amimlonimento. «Quelli che ti odiano saranno vestiti di vergogna; la dimora e il cuore degli empi piü non saranno » ...qui oderunt te, induentur conjusione; et tabernaculum impiorum non subsistet (Villi, 2ß).
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E ' pur vero che il malvagio possa splendere — basta guardarsi d'intorno — di una luce che per qualche istante abbaglia e che tanto reca male agli occhi del tuo cuore... ma « l a luce dell'empio sarä spenta e nessuna di quelle faville rimarrä a splendere... la loro lampada verrä spenta » ...et lucerna, quae super eum est, extinguetur (XVIII, 5-6). A dire il vero, i fatti quotidianamente parrebbero smentire la nobile veritä di tale aforismo, ma — come si sa — i fatti non contano quando si tratta di costruire delle ideologie. La ragione — continuano le sacre pagine — del distruggersi del malvagio sta (dottrina ultra ottimista che ha trovato notevoli risonanze anche assai lunge nello spazio e nel tempo) nella mala azione medesima la quäle, appunto perche mala azione, non p u ö alla fine che generare la perdita del suo autore; « II suo p r o p r i o consiglio lo traboccherä abbasso; perciocche egli si getterä nel laccio coi suoi p i e d i » ...et praecipitabit eum consilium suum; immisit in rete pedes suos. (XVIII, 6-8). Preparate p u r la vostra consolazione, voi che avete sofferto della oppressione che altri vi fece e tutt'ora vi f a ; « Chi ha rapinato e distrutto la casa altrui, non edificherä la sua » ...quoniant domum rapuit, et non aedijicavit eam (XX, 19). T r o p p o bello per essere vero, ma ogni bella e degna consolazione e da considerarsi con ogni rispetto. In fondo, l'intera dottrina puö riguardarsi (l'ingiusto sarä punito) — quando non la si consideri come ingenua autoconsolazione piü o meno fittizia o come ideale creazione non conforme al vero — semplicemente quäle un'espressione dello spirito vendicativo p i ü che dello spirito di giustizia, spirito vendicativo che ogni uomo porta nel p r o p r i o seno. E puö considerarsi anche come una specie di ammonimento o tentata persuasione o minaccia da servire come impedimento o f r e n o alle altrui ingiustizie. Diciamo: altrui, poichei le «ingiustizie» per le quali noi invochiamo l'autoconsolazione, la Vendetta, la giustizia, r a m m o n i m e n t o , sono sempre quelle commesse dagli altri, non le nostre! La filosofia che si esprime con la massima; «l'ingiusto sarä punito» e una filosofia che si trasporta anche dall'individuo alla storia dell'Umanitä quando essa si spinga ad insegnare che l'oppressore di questo o quei popolo non poträ che essere punito in forza del fatto stesso della sua voluta oppressione, proprio come pensava quei grande — Lattanzio — che fu chiamato, a torto o no, il Cicerone cristiano e che. nel suo De mortibus persecutorum, ricorrendo insolitamente a vivacissimo, concitato e aggressivo Stile, raccontava la triste fine, tra ine-
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narrabili dolori fisici e morali, dei persecutori. Non giä, ben si intende, dei persecutori (a fine di malvagitä) di ogni uomo d e m e n t e e giusto, sibbene di quei persecutori che infierivano contro quella particolare categoria di perseguitati e di martoriati che formava la nuova folla di cristiani. Infatti, nella citata opera, descrivendosi figure, ambienti e vicende dei tempi di Nerone, di Domiziano, di Decio, di, Valeriano, di Aureliano e di altri ancora, si pretende insegpare ctome l'ira divina ben a ragione infierisca contro i persecutori, le famiglie e i discendenti di essi. E d ecco mostrarsi in quelle pagine — siano esse o no autentica opera di Lattanzio — in piü parti quasi romanzesche di aspetto e perö drammaticamentc efficaci, gli ignobili morbi e le nefande morti dei solito Nerone, execrabilis et nocens tyrannus, di quel Domiziano che esercitö invisarn dominationem, di quel Decio che, execrabile animal, peri ucciso dai b a r b a r i rimanendo insepolto exutus ac nudus, di quel Valeriano che appunto per aver tolta la libertä a molti, fu ridotto in schiavitü egli stesso: dovette fare il servo e offrire le spalle al suo regale padrone che quel cliinato dorso adoperava, imposito pede, come sgabello (atteggiamento, dall'una e dall'altra parte, che non f u soltanto proprio di quei tempi). Naturalmente, si descrissero p u r anco le sventure di genere vario toccate a Diocleziano sceleruni, inventor et malorum machinator, il quäle tuttavia — ricordiamo noi — mori dopo essersi ritirato a vita tranquilla, coltivando i cavoli, tanto che a chi gli tornava a offrire l'impero, rifiutava l'offerta giustificandosi col dire, non senlza filosofia: « V i e n i a vedere il mio orto! ». E cosi di seguito, da sventura a sventura passano i persecutori — o, meglio, quei particolari persecutori — poiche Iddio, vendicatore, dopo aver colpito l'uno volge lo sguardo all'altro... deus vindex cculos ad alterum transtulit. La dottrina riferentesi al particolare caso in questione — De mortibus persecutorum — e in ogni modo confortatrice e vendicatrice, pur traspariva nelle generali e profonde veclute che l'apologista cristiano aveva profuso nelle sue Institutiones ove, sotto il bei manto dell'esposizione filosofica, si addita di continuo la vigile opera di giustizia della Divinitä e tra l'altro si asserisce' che se i malvagi saranno puniti nel giudizio finale, spesso vengono p u r colpiti e flagellati in questa vita. E meglio ancor la dottrina — confortatrice e vendicatrice — vien fuori dal polemico De ira Dei dello stesso Lattanzio, in cui ogni pagina sta a d i r e che la precipitazione dei malvagi e necessaria conseguenza deH'eterna e immanente legge divina che vuole ricompensa ai buoni (cioe ai cristiani).
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La tesi ottimista e consolatrice di cui sopra e cenno, troverebbe •confermia —• agli occhi di coloro che hanno fede in essa — piü di una volta; ma sol perche piü volte una avversa fortuna colpisce il persecutore, i credenti possono davvero mettere in rapporto il presentarsi dell'avversitä con l'antecedente o simultaneo fatto della spietata efferatezza di quei crudele, quasi che quella fosse la necessaria conseguenza di questa?... Ma e chiaro che amimettere ciö e quasi un voler vedere le cose piü come a noi stessi, e a nostro modo, piace accomodarle, che come esse in realtä sonoi; in veritä, perche abbia davvero a credersi che le male gesta del persecutore provochino, per forza di immanente giustizia, la punizione del persecutore medesimo, occorre che la mala sorte, toccata un giorno o l'altro a costui, si trovi in aperto ed evidente rapporto di conseguenza con la malefatta: questa ha generato quella per via di una Serie di successivi avvenimenti gli uni agli altri connessi come i successivi anelli di una catena. Se il persecutore, poniamo, ha — per uno di quei capricci delle sue sanguinarie farrtasticherie di cui tanto spesso parla, ad esempio, Svetonio — fatto strage di innocenti e, poi — scivolando a u n angolo di strada — si spezza il femore, come mai potrebbe dirsi di questo avvenimento presentarsi esso come una « p u n i z i o n e » che e conseguenza della precedente strage? No; perche « punizione » vi sia (e proprio nel senso che la dottrina ottimista e consolatrice proclama) occorre che la punizione in questione provenga come inevitabile avventura che sia conseguenza dell'atto condannevole. Senza di che mancherebbe, a ben guardare, il •contenuto, diremo cosi, morale della punizione stessa la quäle diventerebbe un semplice accidente, estraneo al gioco di cause e di effetti originato dalla mala azione. Insomma, se allo scellerato sopravviene grande iattura e persino lo scempio della vita, e necessario che sia ben evidente come il fatto sia stato direttamente occasionato, sia p u r e a lungo intervallo di tempo, dalla commessa scelleratezza: altrimenti, n o n puö davvero dirsi che per intima legge di natura o per saggio volere degli Dei il male punisce se stesso. Per certo, chi riesce a convincere se stesso, spingendo lo sguardo verso i giorni che verranno, che le miserie, le ingiustizie e le varie fogge di crudeltä, tutte continuamente e insidiosamente operanti, ricadranno sugli autori di esse poiche — come si dice da questi ottimdsti — il male si ritorce come tale verso il suo autore, poträ non sentire o, meglio, sopportare il dolore prodotto dalle ingiustizie e dalle 6vent u r e framezzo alle quali vive. La dottrina tornö ad ogni istante attra-
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v e r s o i secoli a suggerire il suo illusorio m a efficace conforto. D i giä il filosofo e Miaestro l a t i n o — Seneca — nello scongiurare N e r o n e d i non macchiarsi di sangue, tentava m o s t r a r g l i c h e sangue e delitto av r e b b e r o di forza p r o d o t t o nuovo sangue e nuovi delitti, il t u t t o con t r a g i c o f i n i r e in un p r e c i p i z i o p e r chi d e l i b e r a t a m e n t e si mettesse su quella s t r a d a . Ben p i ü t a r d i , n e l l a tragedia consacrata a B r i t a n n i c o , p r o p r i o cosi R a c i n e fa p a r l a r e Seneca rivolto a N e r o n e : «11 vous faudra, Seigneur, courir de crime en crime... Et laver dans le sang vos bras ensanglantes... Craint de tout l'univers, il vous faudra tout craindre (Britunnicus, a t t o IV, scena 2) A q u a n t o pare, il grande tragico f r a n c e s e n u t r i v a p r o f o n d a f i d u cia nel s o p r a d e t t o p r i n c i p i o etico-storico, t a n t o che p i ü volte quel p r i n c i p i o e da lui p r o c l a m a t o ; nella nona scena d e l l ' a t t o t e r z o di Esther, le armoniose voci d t l c o r p o e n u n c i a n t i le g r a n d i leggi della v i t a e della m o r a l e (a imitazione dei C o r o greco) r i c o r d a n o : « H o ben v i s t o l ' e m p i o essere adorato, l ' e m p i o che simile all'altissimo c e d r o nascondeva nei cieli la f r o n t e sua audacissima... m a p i ü t a r d i , passando, p i ü non lo scorsi. E r a stato a b b a t t u t o » ...Je n'ai fait que passer, il n'etait dejä plus.
3. - ... e il giusto ricompensato. N a t u r a l m e n t e , se l ' e m p i o quaggiü t r o v e r ä sua degna f i n e tu, c h e sei uomo p r o b o e d r i t t o , sarai p r e m i a t o qui stesso, stanne sicuro, p e r c h e l ' u o m o p r o b o e d i r i t t o « e verdeggiante al Sole... e le sue radici 6ono dense e p r o f o n d e » ...in ortu suo germen eius egredietur; super acervum petrarum radices eius densabuntur (Giobbe, V I H , 16, 17). Sei tu saggio e onesto di cuore? V e r r ä g i o r n o in cui « d i m e n t i c h e r a i gli a f f a n n i e di essi sol ti r i c o r d e r a i come di acque trascorse »... etl quasi aquarum quae praeterierunt recordaberis (XI, 16). C h e p i ü ? P e r t e si leverä il giorno « p i ü c h i a r o dei mczzodi — quasi meridianus — e r i s p l e n d e r a i tu stesso come la Stella dei m a t t i n o » ( X I , 17). M e d e s i m i concetti r i f u l g o n o — a consolazione dei c r e d e n t i — n e l la lussureggiante poesia dei S a l m i , lä dove, ad esemp'o, si assicura c h e il giusto « s a r ä come u n a l b e r o p i a n t a t o presso a ruscelli d i acque, il q u ä l e r e n d e il suo f r u t t o nella sua stagione, e l e cui f r o n d e non appassano » (I, 3) ...et folium eius non defluet... « la via degli e m p i perirä» (I. 6) ...et iter impiorum peribit. II giusto non e forse «come u l i v e
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verdeggiante nella casa di Dio? » (LI, 10)... sicut oliva fructifera in domo Dei. Per contro, non vi £ alcun dubbio che l'empio, l'ingiusto, il violento, il menzognero, il malvagio, troveranno punizione loro sulla terra stessa... assicura il Salmista, costruendo piuttosto i suoi sublimi pensieri sui miraggi delle sue alte aspirazioni che non sui fatti della vita che gli si svolgeva d'attorno. II Signore « f a r ä piovere in su gli empi brace, e fuoco, e zolfo, e vento tempesloso » (X, 6)... et spiri-tus procellarum. Oppure, saranno i malvagi « recisi come fieno e si appasseranno come erbetta verde » (XXXVI, 2)... quemadmodum olera herbarum, cito decident. E in conclusione; « O possente uomo, perche ti glorii del male?... Iddio ti distruggerä in eterno, ti atterrerä e ti divellerä dal tuo tabernacolo» (LI, 7)... et emigrabit te de tabernacolo tuo. Anzi, e da dire che l'empio, in queste tragiche visioni del Salmista, e visto cadere in ogni piü aspro tormento e cosi accade per ogni nemico del giusto; vengono tutti « consumati per la loro empiet ä» (LXXII, 19)... perierunt propter iniquitatem suam. Si dice persino che il giusto perseguitato avrä la gioia « di bagnare le sue mani nel sangue dell'empio » (LV3I, 11) ...manus suas lavabit in sanguine peccatoris. In veritä, potrebbe parere a qualcuno t r o p p o implacabile e dura siffatta giustizia e, forse, troppo lontana da una divina misericordia, ma (s : a detto di sfuggita) vi sarebbe p u r sempre da ricorrere alla ingegnosa, per quanto ardita, interpetrazione che Uario di Poitiers — vescovo e santo — dava nel suo Tractatus super Psalmos; questo fecondissimo scrittore applicava all'esame e alla interpetrazione dei testi biblici il metodo c o ä detto dell'allegoria, pur non dimenticando l'interpetrazione materiale lettera] e; i Sahni sarebbero per intero una profonda allegoria ricca di simboli e di ascosi significati, ed ecco quindi come la spietata durezza (o crudeltä?) con cui si punisce o si invoca la punizione, si trasforma semplicemente in qualche cosa di ben diverso. spogliandosi di ogni efferatezza... colorandosi, anizi, di pietä e di benevolenza. Quando nei Salmi, ad esempio, si legge che occorre governare con scettro di ferro (reges eos in virga ferrea), l l a r i o interpetra che quello scettro di f e r r o null'altro simboleggia se nion il governo del buon pastore. Oppure. quando il cantore dei Salmi, pervaso da una specie di persecuzione, domandava a Dio la morte — nei piü orridi modi — dei nemici, Uario assicura che lä si tratta della morte, non dell'uomo peccatore e nemico, ma del peccato e si tratta persino della conversione del peccatore. Oggimai il modo di rendere giusti» aia nei riguardi di chi ha lacerato la legge, pare si sia, addolcito —
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a l m e n o t e o r i c a m e n t e — ma poiche il cuore dell'uomo p r o v a certam e n t e maggior soddisfazione e gioia nella Vendetta, aniche la p i ü cupa, che n e l perdono, sta di fatto c h e la p u n i z i o n e degli empi, precipitati nella p i ü o r r e n d a t r a g e d i a , costituisce con la sua immagine una delle t a n t e autoconsolazioni che il m i s e r o o il perseguitato (o c h e si «rede tale) crea a Se stesso.
4.1 - Ma... e la mala morte djal giusto? M a i n t a n t o , a voler stare nel g udizio di cio che si vede o si sa, p u r a p p a r e non i n i f r e q u e n t e m e n t e la t e r r i b i l e m o r t e dei giusti e l a piacevole degli i n i q u i , come avverte p e r s i n o B a n i e l l o B a r t o l i nel suo L'uomo in punto di morte, il q u ä l e B a r t o l i , tuttavia, c o r r e s u b i t o a u n a di q u e l l e spiegazioni che sono p r o p r i o f a t t e (a voler accoglierle) p e r f i g u r a r e tra quelle autoconsolazioni che a ogni co6to lo s p i r i t o addolorato c r e a a se stesso p e r s o p p o r t a r e e per g u a r d a r e di lä dal dol o r e medesimo. Dici tu forse c h e la m o r t e d i tanti, p r o v a t a m e n t e giusti, sia t e r r i b i l e , p e r c h e « gli occhi della tua carne, non solo mal veggenti, m a in t u t t o ciechi a discernere il b e n e e il male d e l l ' a n i m a , Ii v i d e r o soccombere tra supplizi, disastri o p e n e i n f i n i t e . C o m u n q u e d i savventurata s e m b r i la m o r t e in c h e finiscono costoro, p u r avventurat a m e n t e finiscono giacche con la morte e n t r a r o n o p e r la d r i t t a via e p e r a p e r t a p o r t a nella nuova vita, m e n t r e il tristo c h e visse pessima vita, a n c h e se ha m o r t e b u o n a , trova in essa triste m o r t e come inizio d e l l a sua perdizione. P e r conseguenza, i p r i m i — i giusti — p a r che a b b i a n o t e r r i b i l e m o r t e se tu i n t e r r o g h i gli occhi della c a r n e , ma ved r a i che ne e b b e r o o t t i m a se interroghi gli occhi dello spirito, p r o p r i o c o m e e b b e r o o t t i m e m o r t i i m a r t i r i che soccomjbettero p e r la lunghezza dei m a r t i r i o p i ü d i s p i e t a t o o p e r atrocitä di t e r r i b i l i t o r m e n t i (l'Aut o r e a l l u d e ai m a r t i r i cristiani, m a avrebbe p o t u t o a l l u d e r e u g u a l m e n t e a ogni sorta di martiri).. E m e g l i o si c o m p r e n d e r ä a l l o r a il vero dei d e t t o : Come mai p u ö dirsi aver m o r t e cattiva, c h i onestamente vi6se?... 1Von potest male mori, qui bene vixerit » (capitolo X ® ) . A voler essere sinceri, r a g i o n a m e n t o come sopra h a piuttosto sap o r e di s o f i s m a : m e n o i r r a z i o n a l e (ma chi 6i f a g a r a n t e della giustezza della nostra r a g i o n e ? ) s e m b r a , invece, l'argomentazione che M,inucio poneva sulle l a b b r a — senza c r e d e r v i , t u t t a v i a — dei suo Cecilio: quod si mundus divina Providentia et alicuius numinis auctoritate reger et ur,
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numquam mereretur Phalaris et Dionysius regnum, numquam Rutilius et Camillus exsilium, numquam Socrates venenum (V, 12)... c h e se provvidenza o divinitä reggessero davvero il mondo, un Falario o un Dionigi mai avrebbero regnato, mai un Rutilio e un Cämillo avrebbero visto l'esilio, ne Socrate avrebbe dovuto bere la cicuta.
5. - Ancora deH'ottimismo concreto: veri e falsi epicurei. Accanto a un ottimismo concreto di piü o meno a h a fattura e spe6so rivestito di toga o illuminato da filosofica luce, puö qua e lä spuntare modesto e materiale ottimismo concreto — sempre a motivo di autoconsolazione, in cui il Creatore dell'autoconsolazione si sforza credere o finge credere — che poggia su facili gioie e men che spirituali soddisfazioni. Si parte, e vero, da un generale principio, esatto o inesatto che sia, per il quäle il mondo e la vita presentano a ogni passo cose belle, ma si viene immediatamente poi in basso, terra terra, a consigliare la ricerca della felicitä e l'oblio di ogni male nel far gustare a una a una, dai nostri sensi, quelle cose belle, anche le piü f u tili: Liu Yutang nella sua celeberrima Importanza di vivere dä tra i motivi che procurano la felicitä del vivere quei piacere, tra l'altro, che si puö trovare nel mordere a piena bocca una bella fetta di rosso cocomero! P e r certo, ognuno si crea le autoconsolazioni che la propria mentalitä e la p r o p r i a sensibilitä gli permettono o gli consigliano di creare. Noi siamo in pericolo, dice il sereno filosofo cine6e, di dimenticare che siamo degli animali e che la vita non puö andare disgiunta da attivitä animali; la vita non consiste nel f a r e fortuna, nelle elucubrazioni mentali dei filosofi o nei voli immaginosi dei poeti, e neppure consiste nel raggiungere uno scopo determinato; essa e fatta piuttosto del semplice godimento di noi stessi e degli altri, della casa, delle rocce, degli alberi e delle stelle e significa persino, per adoperare le parole dell'Autore, « il semplice taglio dei capelli quando Ii abbiamo lunghi, l'innaffiare un vaso di fiori, vedere il vicino capitombolare dal tetto della sua casa ». La vita, in conclusione, consiste... nel viverla approfittando delle mille piccole gioie — pur trascurabili, inavvertite, se non disprezzate, da una mente e da un cuore che abbia-, no alti ideali — che essa puö presentare, piccole gioie, e anche materiali le quali (si noti) sarebbero al tempo stesso spirituali, sempre se-
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condo l'Autore: la mente e il cuore, in ultima analisi, non 6tarebbero forse nella carne o non sarebbero di sola carne? Ammirare un paesaggio, un'alba, un tramonto, godere alla vista dcl sereno che dopo la tempesta rompe l'orizzonte, contemplare la bellezza di tutto ciö che e bello, respirare l'aria viva a pieni polmoni, seguire con l'occhio beatamente le volute azzurrastre dcl vostro sigaro profumato, o dissetarsi nell'ora calda a chiare, fresche e dolci acque... tutto ciö e semp r e a nostra disposizione e costituisce, a ben saperne approfittare, l'in» tera vita. Ben ßi comprende come facile filosofia di tal genere abbia ottenuto facile successo in un secolo come il presente; ma senza insistere su ciö, facciamo piuttosto cenno di un errore in cui potrebbe taluno cadere nel giudicare di eßsa. L'osservatore che oseremmo chiamare superficiale, sarebbe tentato di riavvicinare i sopra detti suggerimenti, di filosofica pretesa, alla filosofia di Epicuro, e sbaglierebbe come sbagliano e 6empre sbagliarono coloro che intendono o intesero 1'« epicureismo » come quell'insieme di dettami vodgarmente materialistici che consigliano quella unica gioia materiale e morale, e quäle scopo della vita, il piacere dei sensi. Tutt'altra cosa, invece, e la filosofia di Epicuro, di poi svisata, alterata e quasi capovolta dalle generazioni che seguirono; essa proclamava, infatti, trovarsi il fine della vita nel piacere, ma in un piacere, soprattutto, prodotto dalla saggezza: potersi accontentare il Saggio, per il suo pasto quotidiano, di pane fosse p u r stantio. E tutti sanno che la vita degli epicurei, amici o discepoli dei filosofo, f u purissima di ogni macchia, adorna soltanto di semplicitä e tenue la spesa — 6i d'ca ancor questo — per il loro vitto comune : l'amore per la felicitä terrena procedeva insieme alla purezza dei costumi, o derivava da essa. Verissimo che quella filosofia insegnava essere il piacere il fine dell'uomo, ma un piacere che solo 6i trova — come dicemmo — nella saggezza, nella calma e nella tranquillitä dell'animo, lontano dalle passioni. Si leggano le varie e lunghe pagine che P i e r r e Gassendi ebbe a scrivere, nel seicento, per ricostruire la filosofia epicurea e spogliarla dei falso di cui attraverso i secoli l'avevano ripetutamente vestita i calunniatori (1).
(I) Anche Orazio, che pur si lascia andare a definire come gregge la scuola •di Epicuro, fu trattalo — in ispecie per l e sue Odi —. come epicureo nel cattivo senso della parola; ma pur di tale giudizio puö segnarsi l'inesattezza. Rimandiam o in proposito alla nostra Misura della vita (Torino, 1919, pag. 38 e segg.)
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6. - Una speciale forma di ottimismo concreto: « Poteva essere peggio!».. Eccoci ora a trovare nuova suadente suggestione. O meglio, nuova suadente autosuggestione. Occorre ripetutamente dire a se stesso e cercar convincersi che se un dato male ci colpisce, vi e quasi da ringraziare il Cielo che non si tratti di male maggiore. La formula autoconsolatrice potrebbe suonare cosi; « P o t e v a essere peggio! » P e r conseguenza, non vi e da lamentarsi; anzi, vi e da t r a r r e dalla prima sventura motivo di soddisfazione. In altri termini, se ne sl ia senza lamento colui che si spezza una gamba, poiche sonvi coloro che ebbero a vedersele spezzate entrambe; e benedica, anzi, il Ciielo (come n a r r a l'arguta facezia di un ottimista a ogni costo) colui che, essendosi sentito annunjziare aver trovato la morte in improwiso terremoto il padre e la mad r e di lui, udi al tempo stesso essere inesatta la notizia essendo morto 6oltanto il padre, sieche lo sventurato, che giä alle prime parole dell'aranunzio aveva gettato disperato grido, si fece all'altro: «Sia benedetto il Cielo! ». Forse senza ironia, ma quasi con un sacro senso della profonda ignoranza in cui noi ci troviamo (a incominciar dai piü Saggi) delle cose della vita, dal loro nascere al loro morire, e quasi ad ammonimento e rimprovero per la nostra pretesa di tutto volere a ogni forza comprendere, una leggenda insegna con assai evidenza come, appunto, l'uomo abbia a starsene pago del male, nel dubbio (anzi, nella certezza) che male maggiore poteva soprawenire. Vedete quei povero boscaiuolo che nel dar con l'accetta nel tronco della quercia salva dal colpo un misero insetto e che, con meraviglia e terrore, vede trasformare l'innocua bestiolina in una Fata dagli occhi di luce? «Domandami ciö che vuoi — dice la Fata — e sarai esaudito... ». Risponde il boscaiolo: « L a felicitä per m : o figlio, per mio figlio che mi aspetta laggiü nella povera capanna ». II boscaiuolo si mette sul cammino del ritorno, ma trova con spavento che la sua capanna e ridotta in cenere, sepolcro delle ossa del figlio suo. Tutto aveva distrutto l'incendio e al m'sero che singliiozzando chiedeva in che modo la Fata avesse man-
in cui si discorre della forma, della lunghezza e del contenuto delle Odi di Orazio, della pretesa frivolitä di esse e dei punti di contatto di quella poesia con il pensiero stoico. Si veda anche la nostra Memoria: Metodo statistico e documenti ietterari, nella «Rivista d ' I t a l i a » , Roma, 1917, agosto.
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tenuto il suo dire, questa riapparendo gli moströ come per incanto e su una scena vivamente animata, ciö che sarebbe stata la vita di quei figliuolo se l'incendio non fosse venuto a troncarla. P e r delitti e infamie di ogni genere, egli sarebbe morto sul patibolo. La storiella e in ameno modo narrata da Voltaire. Quanto sopra ben richiama la strofa di Chaucer nella Novella del cavaliere, lä dove il padre della poesia inglese fa dire ad Arcita che —• in istato di libertä — conversa coi eugino Palemone che £ in istato di prigionia, non doversi al postutto giudicare felice chi e libero e in-» felice chi e prigione, inquantoche « u n o , per esempio, desidera le ricchezze, e non sa che saranno la sua morte o la sua rovina; um a l t r o che e in prigione, vuole uscirne ad ogni costo e in casa sua trova la morte per mano dei servi •».
7. - L'ottimismo concreto di un» certa filosofia della Storia. La consolante dottrina — illusione o non illusione che sia — non trova vita soltanto nelle pagine degli antichi testi e in quelle del* l'antica e della nuova poesia, ma serve persino di autoconsolazione a quegli storici che, dopo avere eon ogni obiettivitä e minuzia raccolto e interrogato documenti di ogni genere, credono assicurare che popoli i quali mal si conducono, tosto o tardi verranno distrutti a cagione della loro stessa mala condotta. Nemesi storica! Esiste, invero, una dottrina ottimista — diremo cosi — laica, avanzata da alcuni storici e che trova non pochi credenti, dottrina la quäle vede nelle male azioni dei popoli la netta causa del preeipitare cui i popoli stessi dovranno piü tardi sottostare. Nazioni che p u r godono momentaneamente delle pitü ampic ricchezze o fortune, e non vedono tramontare il sole sulle loro terre, dovranno cadere in polvere se nell'ebbrezza della loro potenza calpesteranno diritti umani e divini. La violenza dei popoli cade sotto il proprio peso (Vis consili expers mole ruit sua, cantava il Poeta) mentre la forza temperata dalla saggezza e con il sostegno degli Dei si innalza e si fa grande: Vim temperatam di quoque provehunt / In, maius... Gli Dei l'aborriscono quando essa non medita che misfatti:... idem ödere vires / Omne nefas animo movetites (Carmina, III, 3, w . 65-68). Ancora una volta il delitto e il castigo sono raffigurati da 6 : ffatti storici come due viandanti che prima o dopo dovranno pur incontrarsi sotto il medesimo tetto. Una cosi detta « giustizia immanen-
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t e » tesse il variopinto ricamo della Storia. Slinigolare notazione puö farsi in proposito richiamando una specie di attestato che dava alla dottrina in questione quel Niccolö JVI,achiavelli che non puö dirsi davvero — nella sua qualitä di scrutatore di coscienze e di avvenimenti storici — un ottimista. Nel Canto V dell'v4»no d'oro, il Mlpchiavelli, poeta duro e aspro, non dimentico di essere pur storico e filosofo della storia, dopo aver passato la notte nella casa dell'ancella di Circe, lasciato solo, rivolge nella sua mente pensieri sulla grandezza e il decadimento degli Stati dicendo poi, quasi a conclusione dei suo pensare, che motivo primo e costante di quel decadere sta neH'ingordigia di sempre nuove conquiste: Quel che ruina dai piü alti colli, Piü) ch'altro, i regni, e questo: che i Di lor potenza non son mai satolli.
potenti
Questo appetito gli Stati distrugge: E tanto piü mirabil, che ciascuno Conosce quest'error. nessun lo sfugge. Per contro — e si tratta sempre degli alti pensieri dei Machiavelli, solo con se stesso nella casa dell'ancella di Circe — per contro, tanto piü lunga. per durata, sarä la potenza, quanto miigliori saranno le leggi e piü oneste. E anzi: Quel reg/io che sospinto e da virtü Si vedrä sempremai gire a l'insü. E' facile, invero, mostrare come prima o dopo cadano gli imperi c come la polvere o le macerie, o le selve stesse, coprano i luoghi ove un di sorgevano monumenti da cui si governava ampia distesa di terra, ma e men facile fare dimo6trazione che quella polvere, quelle macerie e quelle 6elve selvagge sono proprio dovute a ingiustizie e colpe di cui ebbero a macchiarsi un di gli abitanti e i reggitori di quella contrada; e evidente, piuttosto, che ogni umano aggregato che esplichi forza e dominio, e pur accenda fuochi di « civiltä », abbia fatalmente a eubire i decreti di una naturale legge la quäle impone che tutto ciö che nasce debba poi vivere per prepararsi a decadere e a perire, si come fa l'uomo che trapassa dalla etä infantile all'adulta e poi va verso la morte dalla quäle piü non torna... proprio come raffigurava — forse tra i primi — lo storico Florus quando diceva che gli imperi hanno la sorte dell'uomo: etä infantile, giovane, adulta... per finire poi nel23. - L'Io.
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la decrepitudine e scendere nella tomba. Con questa differenza, possiamo aggiungere, che se le tombe in eterno conservano i loro morti, il precipitare degli umani gruppi e delle Naziani puö dopo qualche tempo tramutarsi in un nuovo sorgere che avrä senza dubbio la medesima sorte dei precedenti ritmi, o cicli, vitali (legge « pendolare » della Storia, oppure: aritmelica della Storia, come fu detto). Rimandiamo, su questo punto, al cap. X dei nostro Metodo statistico, ecc. ediz. dei 1931.
8. - L'autoconsolazione trovata nel1'otHmismo concreto dei prove-bi, « sapienza dei popoli ». Del resto, senza innalzarsi sino all'empireo delle Sacre carte o della piü fantasmagorica filosofia della storia, si rimanga a terra, accanto al volgo, alle frasi fatte, a quella cosi detta sapienza dei popoli che si esprime con i piü correnti e quasi automatici modi di dire, o proverbi, accettati e ripetuti senza controllo. Lä, chi cerca speranze da r a w i v a r e e consolazione dei propri mali e dell'insofferenza che dä il contemplare, accanto al proprio abbassamento, l'innalzarsi di quelli che riteniamo malvagi, troverä suggerimenti e conforto. Lo scellerato trionfa, ed io me ne rammarico o... ne h o invidia? "Via bene, ma.. Dio non paga il sabato! E poi, troverä egli certo — quello scellerato — chi gli renderä pan per focaccia perche... chi la fa Vaspetta, o meglio: chi la fa Vaspetti. O p p u r e : quel che e fatto e reso. D'altra parte, a voler considerare con bonario umorismo le cose, continui pure quello scellerato a farne di sue... che verrä il giorno in cui sarä accalappiato nelle sue stesse reti : tanto va la gatta al lardo finche vi lascia lo zampino! E poi, non e forse vero che... tutti i nodi vengono al pettine? I n ogni modo — e continuando — vi e da stare tranquilli quando, con p r o f o n d o senso di desolazione (o di invidia?), si assiste alle fortunate malefatte di Tizio o Claio: verrä il giorno dei giudizio dal momento che... il diavolo fa le pignatte, ma non i coperchi! E quando le ammassate ricchezze dei filibustiere rifulgono accanto ai nostri poveri stracci, consolatevi pensando che le cose cambieranno poiche non vi e dubbio: la farina dei diavolo va in crusca; altrimienti detto: quod male lucratur, male perditur et nihilatur (veritä sacrosanta : basta guardarsi intorno per vederla realizzata!!). Come mai sdegnarsi, d'altra parte, dei fragoroso successo ottenuto dal mendace istrione o dal
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mendace intrigante, grazie alle squisitamente elaborate sue menzogne, se... la bugia ha le gambe corte? Infine, al cospetto di chi trionfando con la violenza atrocemente offende il piü elementare senso di giustizia (giustizia che, in ultima analisi, e sempre una giustizia vista da chi giudica e si sente colpito) consolatevi pure pensando che... chi di spada ferisce, di spada perisce. Invero, qualche volta accade proprio cosi; ma chi mai ha tenulo in proposito con preciso registro di conti in cui siano annotate, da un lato, le volte in cui quella profezia si realizza e dall'altro quelle in cui accade il contrario? Non occorrerebbe ricorrere ai piü ardui artifici del calcolo delle probabilitä per stabilire il rapporto tra i casi favorevoli al sopra detto principio e i casi possibili (e cioe i casi favorevoli piü i casi contrari) e vedere come realmente vanno le cose di questo mondo. Continuando ancora, ecco il malfattore perseverare nelle sue male aiaioni senza che alcuno lo disturbi, ma lasciate tempo al tempo e vedrete che... chi semina raccoglie e che, anche tira tira, la corda si spezza. E' si spezzerä, statene certi. iCosi si crede, cosi si spera... ma non sempre cosi e. Si potrebbe, insomma, p a r l a r e di una missione consolatrice dei proverbi, quando sono essi ottimisti, e di ottimismo concreto (per quanto vi siano contradizioni in proposito trovandosi talvolta questo o quei proverbio a proclamare il contrario di ciö che altro proverbio annuncia ed accetta). Dolce liquore, questo, dei proverbi ottimisti che vi aiutano a soff r i r e e che vi insegnano a sopportare! Chi non sa soffrire — dice uno di essi — non sa vivere. Del resto, quäle che s'a la tormenta in cui vi trovate, prendete coraggio pensando che dopo il cattivo ne viene il buono e che (Tun male nasce un bene. Non importa se di fatto cosi non e; ciö che importa (ai fini dell'autoconsolazione a tutti i costi) e che voi cred'ate che cosi sia. I n o l t r e , abbiate qualche pazienza poiche, come ancora una volta fu riferito da IBeppe Giusti nella sua raccolta dei proverbi, non nevica tutto il verno! Fidate sempre nella salvezza, pur nelle tenebre, e nella Ventura soccorritrice e p r o w i d e n ziale: Dio non manda mai bocca, che non mandi cibo. Quanto ie vero che in questa categoria di proverbi e di aforismi la vita e dipinta non quäle e, ma quäle noi tutti vorremmo che essa fosse! Blen dice Gino Capponi nell'awertimento da lui premesso ai proverbi toscani del Giusti; « P e r una di quelle massime che prostrano l'uomo nella vlgliacca disperazione del bene, tu ne hai cento che lo rialzano, e la
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coscienza ripiglia sempre in fin dei conti le sue ragioni, e una giustizia riparatrice t'e posta sempre dinanzi agli occhi... I] mondo dei proverbi ci si presenta migliore assai del mondo com'e, o come almeno p a r e a noi; e nel frequente awicendarsi d'opposte sentenze noi non sappiamo temere che il male prevalga » (edizione del 1852, pp. IX-iX)* In altri termini, diciamo noi, fingono i proverbi o, meglio, certi proverbi, che le cose de] mondo sempre vadano bene e sempre si aggiu6tino, ma ben essi sanno che la realtä e assai diversa; ciö nullameno, hanno ben ragione di p a r l a r e in tal modo ai fini di f a r sopportare e di far vivere la vita. Non rifuggono e6si dal consigliare potersi ricorrere al riso e al sorriso quäle preventiva medicina al dolore: chi ride e canta, suo male scansa; oppure: l'allegria ogni mal lo caccia via, fornendo per tal modo — tra l'altro — materia a quelle moderrte pagine di psicologia che vedono nel riso e nel sorriso, nella satira, nell'ironia, nell'umorismo, uno dei tanti modi cui puö ricorrere l'uomo per sfuggire alle sofferenze e alle torture della vita. Senza dubbio, vi e qualche ingenuitä nel candore di tanto ottimismo, ma anche l'ingenuitä ha la sua missione. Classica ingenuitä, ad esempio, quella che appare dal paradossalc proverbio tedesco presentato da Wolfango Goethe nella sua autobiograffa e da lui insistentemente illustrato: cid che si desidera nella gioventü), l'etä matura porge in abbondanza. So purtroppo, fa notare lo stesso Goethe, che contro questo vecchio proverbio l'esperienza pratica della vita potrebbe rivoltarsi, ma io sono credente in esso (Autobiografia, parte II, l i b r o II). Sicuro, la vita dell'uomo e, niente di meno, la realizzazione di un sogno di f a t e : la variopinta folla dei nostri p ' ü audaci desideri giovanili, va a poco a poco — lungo il corso della vita — trasformiandosi da folla di iridescenti fantasmi, in viventi e reali personaggi!, Ma tale trasformazione, ohime!, non si avvera che nei sogni di Wolfango Goethe, il quäle spende parecchie pagine del suo scritto per « dimostrare » come e perche ciö possa avvenire. Sarä; ma tutti gli uomini non sono Wolfango Goethe!
9. - L'ottimismo ultraterreno. Come che sia, sempre si tratta (nelle sopra dette forme di vedere e pensare) di una interpetrazione ottimista della vita terrena, di un credo ottimista che allevia con i suoi 60gni piü di una sofferenza. Ma esiste, oltre di ciö, altro ottimismo piü valido e fors'anco di maggiore
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bellezza: quello che vede finalniente la felicitä e che assicura la vita, non giä su questa miseranda t e r r a , oggi o domani, ma di lä dalla morte, quando si spegnerä la fiamma dei corpo per accendersi in eterno la luce dello spirito, nei cieli. Qui in basso, la sofferenza, ma lasaüi — ove saremo un di — la liberazione e la gioia. Anche nel cielo e una Terra, e su quella nuova T e r r a saremo felici. Una Terra — come descriveva il cristiano Prudenzio nel suo Cathemerinon, libro degli inni quotidiani — che e un giardino fragrante di rose, di fiorranci, di viole, di croco rorido di ba,lsami, risonante d i soavi melodie: Illic, purpureis tecta rosariis, Omnis fragrat humus, caltaque pinguia Et molles violas et tenues crocos Fundit jonticulis uda fugaeibus. (V, 113 e segg.) Gioia dei sensi, apparentemente, ma in realtä gioia dello spirito, secondo il poetico cantore di quegli inni, destinati ad accompagnare il commosso pensiero dei viandante, attraverso le vie della vita, ora per ora dei giorno, a cominciare dal mattutino canto dei gallo e dai pa6ti quotidiani, sino aH'accendersi della notturna luce e al sonno che verrä poi. E ancora nel Paradiso dei cieli condurrä il sofferente, quasi ai nostri di, la romantica ballata: va il povero, solingo e pieno d'affanni — come nella canzone di Uhland — per la sua aspra via, intirizzite le membra, i piedi nel freddo della neve, erede egli stesso di dolori e stenti... Che importa? Levando gli occhi egli vede di lä dai cieli e parla con Dio. Quando l'alto paradiso si aprirä per me « ...anch'io verrö /' vestito a festa, radiante in viso / al tuo banchetto m'assiderö ». Consolazione, questa, che da secoli fu ed e porlata per ogni dove dalla fede; il Discorso sulla montagna potrebbe, a questo proposito, quasi per intero formare testo. «Beati coloro che fanno cordoglio » quoniam ipsi consolabuntur... « Beati coloro che sono perseguitati per cagione di giustizia », quoniam ipsorum est regnum caelorum... (Matteo, V, 4, 10).
CAPITOLO
QUARTO
NUOVE VIE DI SOCCORSO: LA LOCICA, LESPIA ZIONE, LA RASSEGNAZIONE, LA GIOIA DEL DOLORS Volgiamoci, per un istante, indietro. L'insensiibilitä che l ' I o cerca i m p o r r e a se stesso per mezzo dell'evasione o della deformazione che esso impone alle co6e, p e r nulla riesce a proteggere il sofferente d a l l e continue fatiche? La prigionia in se stesso, con l'autocontemplazione narcisdstica che ne deriva, si mostra incapace a far chiudere g)li occhi di f r o n t e alle disavventure e a l l e infinite spiacevole'zze — p e r non dire a l t r o — della vit<»? La filosofia ottimista, in tutte le sue molteplici forme (piccolo o g r a n d e ottimismo di quaggiü, o p p u r e grande ottimismo della Celeste Gitta) non dä f i o r e e f r u t t o dall'arido t e r r e n o di u n o spirito di disilluso e non fiducioso? Questo si deoide a ricono6cere definitivamente l'esistenza dei dolore e p u r si decide a d e f i n i tivamente accoglierlo quäle suo ospite. Ma, a p p u n t o p e r ciö, nel r i ceverlo troverä modo di addolcirne le asprezze. V e d i a m o come.
1. - La «logica •» vuole cosi. Lo spirito chiederä ausilio ad abili costruzioni discorsive e ragionatrici in cui domini — o sembri d o m i n a r e — la p i ü stretta logica si che questa costituisca, p e r l ' a p p u n t o , il mezajo consolatore : chi soffre, cioe, per sventure che a lui p o r t a n o — vere o fittizie c h e esse s i a n o — uomini e cose, si difende c o n t r o tale sofferenza cercando disperatamente ragioni logiche da presentare e intimare a se stesso, le quali gli «spieghino» la non realizzazione dei suoi desideri e perö giustifichino ogni sua disillusione, il crollare delle sue « legittime » aspirazioni, la distruzione dei suoi diritti (ogni uomo e sempre convinto che una gran quantitä di suoi diritti gli e quotidianamente negata) e che spieghino, in una p a r o l a , l'esistenza e la persistenza dei suoi t o r m e n t i , oltre che delle sue grandi e piccole molestie. Con ogni sforzo m e n t a l e
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tenterä di persuadere se stesso che le cose e gli avvenimenti, portanti seco tanto fiele e tanto veleno, non potevano presentarsi e svolgersi in modo diverso da quello che in realtä fu. I^a logica stessa delle une e degli altri voleva cosi. P e r tal modo persuadendo (o fingendo persuadere) se stesso, l'Io si rassegna al destino dell'ineluttabile e trova re^ quie. Si confida, dunque... a una specie di rassegnazione «laica ». Ben riconosce tutta la crudeltä della vita che esso vive, ma p i ü non cerca di allontanarsi da quella; neppur cerca di alterare e sfigurare il volto delle cose p e r vederle sotto altro aspetto, fosse pur sotto quello di masehera ingannatrice. No; esso accetta la vita cosi come e, ma esso cerca al tempo medesimo una spiegazione « logica » che, grazie alla decisiva forza e alla i n a p p e l l a b l e sentenza della logica, addolcisca l'effetto di ogni ferita. Perche, infatti, ribellarsi o sentire il dolore che spinge alla rivolta, se cio che accade o e accaduto doveva di necessitä — e per un complesso di necessitä agenti fuori di me e a me estranee — aücadere? Autoconsolazione, come sopra, per quanto essenzialmente inattiva e per nulla costruttiva, pur puö raggiungere con qualche efficacia il suo fine. Due soli esempi, ma di chiara evidenza — se non sbagliamo — vorremmo d a r e ; l'uno si riferisce ad uno speciale ragionamento «logico » per il quäle il sofferente trova modo di « spiegare » i continui suoi insuccessi nella vita, mentre l'altro 6i riferisce a quei ragionamenti — anch'essi «logici » e piü che logici — ai quali si ricorre per renderci insensibili all'oppressione che e in noi data (piü1 o meno sempre presente) dall'idea della morte. a) II «perche »
dell'insuccesso.
« Nulla di ciö che io tentai, nella vita, ebbe a riuscirmi; nessun bene materiale potei raccogliere... Ma ciö si deve, senza dubbio, al fatto che mai volli inchinarmi dinanzi ai grandi, ne adulare questo o quello » (Epitteto, 54). Se la logica delle cose, invero, vuole che per sole tali vie si giunga, qual meraviglia che io sia rimasto sul cammino dietro gli altri e sia, anzi, preeipitato nel fosso? Non poteva essere diversamente. « Mi trovo fuori di ogni pubblica carica? Ben si sa con quali mezzi coloro che ottengono tali cariche riescano in ciö... Nessuno mi poträ chiedere; dinanzi a chi strisciasti, baciandogli la mano? A qual porta hai tu battuto? Chi e quando volesti tu ingraziarti con doni? » (Epitteto, 57). Interrogativi tutti che quasi formerebbero una
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Serie di buoni consigli per chi vuole arrivare e cioe chi vuole farsi strada, sia pure carponi, o per chi vuole arrampicarsi, sia pur tra le beffe dei pubblico, scivolando e riscivolando, sino al sommo dell'alb e r o di cuccagna; buoni consigli, per quanto universalmente noti, tanto e vero che essi sono quasi universalmente seguiti e felicemente messi in opera! Ma ad Epitteto servivano per ammaestrare se stesso e per dar motivo di consolazione agli altri. t T i assilla la brama di pervenire al consolato? (Briga e intriga, sollecita a destra e a sinistra, fa la riverenza a costui e a quello lä, marcisci pure nelle anticamcre, non rifuggire da bassezze e da nequizie » (Epitteto, 58). Ripetiamo: ecco perche in nulla ebbi fortuna e fui da tutti oltrepassato, e perche ne ricchezza, nie consolato vennero a me. Le ragioni logiche di quanto accade sono squisitamente logiche ed evidenti. La < spiegasgione», con la sua rigorosa logica, soddisfa il mio intelletto oltre che il mio amor proprio, e mi dä riposo. b) A proposito di insuccesso, di fortuna e di sfortuna. II singolare ragionamento di cui 6opra — non dimentichiamo — e analogo, in certo senso, a quello che ogni uomo fa quando si trova di fronte ad avvenimenti in cui egli e principale pereonaggio e che comunemente vengono attribuiti (secondo che faccia comodo), sia al merito personale, sia alla fortuna, o alla sfortuna. Se qualche cosa, cioe, di bene, di buono, di eletto io compio o a me sopravviene, causa di ciö — mi affretto a proclamare o a pensare — sta nel mio personale m e r i t o ; ma se un qualche di male, o qualche insuccesso, o qualche errore e da me compiuto, la causa di ciö sta nella sfortuna che mi perseguita (1). Mi attribuisco, dunque, con rapido ed elegante ragionamento, il merito di ciö che riesce bene, ma trovo immaginario perso(I) II personaggio « Sfortuna » (o quello gio che sta fuori di noi e che noi insidia o che risiede in noi stessi e che con noi stessi tema in parecchi paragrafi dei capitolo III
« Fortuna ») e veramente personagsoccorre, o piuttosto e personaggio e connaturato? {Abbiamo trattato i l dei nostro volume: Sport; studio
biometrico dello sport e degli sportivi (Roma, 1937), paragrafi dal titolo; Le cause degli accidenti. — Gli accidenti della strada. — Qualitä personali e infortuni sul campo dei lavoro. — Qualitä personali e disgrazie. — Cause interne e cause esterne della mala sorte. — Interpetrazione obiettiva della fortuna e della sfortuna.
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naggio cui riversare la colpa (che pur sta in me) dei miei insuccessi. Tornando al filosofo greco, potrai pur dire con lui, a titolo di autoconsolazione, che gli alti o altissimi gradi raggiunti da Tizio filibustiere o da Caio predone e assassino sono proprio dovuti alla congenita malvagitä di quei messeri, ma sta sicuro che se a te capitasse di toccare con la suola delle lue misere scarpe rattoppate la soglia di sovrane grandezze, ti affretleresli a proclamare che causa di ciö sta prop r i o nelle tue personali qualitä di intelligenza e di onestä e nei tuoi personali meriti. Ogni uomo, invero, ha a propria disposizione parecchie logiche da adoperare, secondo i casi, per giudicare il medesimo fatto; una di queste logiche e fatta per colori re in; bia
temere
Ancora, e sempre ad esempio. Abbiamo detto in una delle precedenti pagine qualche parola circa lo stato piü o meno cosciente di oscura ed angosciosa inquietudine in cui gli uomini si trovano quasi in ogni giorno della vita a pensiero di quella distruzione del nostro Io che e data dalla morte (ed anche quando si tratti della semplice distruzione del vilissimo involucro — come tanti dicono — materiale) p u r sapendo o credendo che l'altro Io non muore o non dovrebbe morire. Ebbene, per allontanare tale continua molestia, ragionamenti logici di ordine vario furono in ogni epoca trovati e ripetuti, appunto perche la logica, con la necessitä della sua ferrea imposizione, ed anche la falsa logica — purche abbia le sembianze della vera — portano ad accettare, senza soverchie doglianze, ciö che e. T r a i quali ragionamenti di assai bella logica — e p u r a come il p i ü puro dei cristalli — sta quello a noi cantato da Lucrezio alla fine del terzo libro del 6uo De rerum natura... 'Perche mai aver timore della morte e ciecamente sottomettersi al terrore provocato dall'idea dell'annientamento del proprio Io e di quella di un sonno eterno (senza sogni, come voleva Lucrezio) sotto una terra umida e fredda? Nil igitur mors est ad nos, neque pertinet hilum. La morte non ci riguarda e in nessun modo puö affliggerc'... dal momento che piü nulla noi sentiremo quando essa sarä giunta (Lucrezio libro III, 828, traduzione quasi letterale de] detto di
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Epicuro). E r i tu forse in stato di dolore e ßentivi sofferenze quando, prima di nascere, ti trovavi nel nulla? No davvero. E non accadrä duntque la medesima cosa allora che. avendo il tuo cuore cessato di battere, tornerai a cadere nel nulla? La lucerna, dopo essere estinta e come era prima di essere accesa... ricorda Seneca a 'Lucilio (Lettera I V , LIV); quella lucerna, davvero, non sta peggio dopo estinta che prima. Anche noi ci siamo accesi e spenti: lucerna peius esse, cum extinta estT quam antequam accenditur? D'altronde, poiche timor di morte e generale in gran parte dalla continua bramosia, tiranna di ognuno di noi, che tutti abbiamo di godere le dolcezze della vita, basterä semplicemente pensare e eonvincersi — parla anccra Lucrezio — che di tali dolcezze giä ne gustammo in tale sufficenza da poter noi scendere con tranquillitä nell'omhra eterna, cosi come con animo lieto giunge il viaggiatore alla fine del suo viaggio: « Tu sei partito, hai navigato, sei giunto. Che altro dimandi? » E poi, dove son mai queste tanto desiderate dolcezze della vita? Sono veramente esse venute a spargere rose lungo il selvaggio cammino che abbiamo percorso? MS dirai che no, ma ti affretterai ad aggiungere che se infino a ieri e ancor oggi ciö non accadde, la fioritura sarä certamente per domani. E tu vuoi quindi aspettare il dimani... un dimani, rifletti bene, che sarä sempre... un dimani? Su quei selvaggio cammino, a ben considerare le cose, non ebbe a trovarsi se non la perpetua inquietudine prodotta da un perpetuo rinnovarsi ed allargarsi di desideri mai soddisfatti o — se soddisfatti — recanti nessuna gioia; anzi, proprio in ragione di tale soddisfacimento, sorgono altri desideri da soddisfare e perö nuove inquietudini, nuovi cimenti e nuove molestie. Davvero, 6i puö morire senza rimpianti per s : ffatte dolcezze che, ogni di da noi chiamate, mai risposero al nostro appello o che — rispondcndo — a noi vennero portando illusioni e nuovi desideri. Si lasci, dunque, senza rimpianto la vita in iscambio di un riposo che sarä perfetto...j4eqwo animoque capis securam, stulte, quietem (Lucrezio, III, 937). Non vi sarebbe perfino da lamentarsi, a voler essere logici, della brevitä della vita e cioe del vivere per assai piü breve tempo di quello vissuto da altri; Marco Aurelio soccorre, in proposito, con i suoi Pensieri quando logicamente dimostra che vita breve e vita lunga in ultima analisi si riducono a medesima cosa: coloro che a (lungo vissero che cosa hanno di piü di quelli colpiti da morte immatura?... Giacciono insieme in qualche cantuccio sotto terra... Inoltre «considera l'infinitä del tempo trascorso e quell'altra infinitä d e l l ' a w e n i r e ; posto tra que-
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sti due infiniti, che differenza corre tra chi visse tre giorni e chi visse tre secoli? » (IV, 50). Altrove (XII, 35) il filosofo imperatore invoca proprio la logicitä dei fatto della morte per ricavarne un senso di quiete e di tranquilla rassegnazione; « C i o che accade secondo la legge e giusto per tutti. Che vi e di male se dalla cittä ove tu vivevi ti rimanda non1 un tiranno, non un giudice iniquo, ma quella stessa Natura, che te n'aveva fatto cittadino, come un attore dei dramma. che viene licenziato dallo stesso direttore di scena che ve l'aveva invitato? ». Potrebbesi comporre una ghirlanda immortale con quei fiori sempre vivi di cui saggi filosofi (vi sono p u r anco, come ognun sa e p u ö vedere, filosofi non saggi) si vollero servire per dimostrare — logicamente serrando la concatenazione dei loro argomenti — che il timore della morte e puro fantasma, ma svelando al tempo stesso, con tale ostinata preoccupazione dimostrativa, quanto mai tale timore fosse profondamente radicato nel loro cuore... cuore, dei resto, in ciö uguale a quello di tutti gli altri uomini. In veritä, i ragionamenti tutti di cui sopra, fatti per portare a noi l'insensibililä, l'indifferenza, la pace, splendono come le piü belle p ; etre preziose... ma l'istinto della conservazione, connaturato con la struttura biologica di ogni essere vivente, se puö ritrarsi nell'ombra quando direttamente non e assalito e tacere quindi di fronte al filosofo ragionatore, riappare improvviso e signore — anzi, tiranno — quando esso e posto in pericolo. E ciö, nonostante i piü splendidi lucciechii di quelle gemme. E' certo da pensare che la logica degli indicati ragionamenti riesca a convincere soltanto l'intelletto, ma non a determinare la condotta o, piü generalmente, a convincere soltanto coloro che giä a priori avevano deciso di lasciarsi convincere.
2. - Credenza nell'espiazicne. Framezzo alle piü varie ed agili costruzioni difensive in cui la logica e cercata e inseguita — se non sempre veracemente raggiunta — a tutti i costi perche essa venga a « spiegare », a giustificare e p e r ö a consolare, una specialmente merita posto a parte; essa ha piü volte sollevato dal dolore qualche umano cuore. Ciö si da quando il sofferente, battuto dal dolore morale o dal dolore fisico e quasi prostrato sul suo letto di tortura, si forma a poco a poco — ma pur per luce improwisa — la convinzione che quel suo martirio e una espiazione che
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co6tituisce ri6catto per colpe commessc... e, si noti, per colpe commes6« sia da lui stesso ehe da altri. Nel p r i m o caso il paziente, riconoscendo la legittimitä della punizione, non ha piü da dolersi della logica conseguenza delle proprie azioni; si potrebbe osserrare in proposito che talvolta il paiziente, messo sulla via di tale autoconsolaziome, va creandosi immaginaric colpe passate o va rendendo gravi quelle che pur potrebbero venir perdonate. Egli crea a se stesso, fantasticando, le ragioni sulle quali poi eserciterä la sua logica giustificatrice. Nel secondo caso, invece, il paziente dice: « L a sovrana giustizia si e compiaciuta di scegliere, tra i tanti. proprio il mio spirito e il mio corpo per mettere in opera il misterioso principio per il quäle il sangue degli uni purifica le colpe degli altri». In tal modo pensando e da tale pensiero suggestionato ed abbagliato, il sofferente non solo serenamente accetta le sue stimmate poiche cosi vuole una ferrea e universale legge imperante in sin dai primordi della vita sociale, ma infinitamente si commuove e g'oisce per quella scelta che facendo di lui l'agnello espiatorio, sta a testimoniare la suprema benevolenza, diretta a salvare — insieme agli altri tutti — anche la vittima. Qualche parola per l'uno e per l ' a l t r o caso. a) Mea culpa,
mea maxima
culpa.
Primo caso. Singolare via per giungere ad una 6opportazione di veri o pre6unti dolori affligenti l'umana vita e tanto piü brucianti in quanto ci sembrano essi — anche se cosi non 6ono — contrassegnati dal marchio dell'ingiustizia, e quella di cui potrete ben rendervi conto quando udrete da qualcuno di cotali sofferenti (per sofferenze vere o immaginarie che siano) sospirare che nessun legittimo e diretto motivo esiste a spiegazione di tanta perseeuzione se non, forse, quello di dovere 6Cont a r e oggi, p e r mezzo di ogni jattura, qualche colpa ieri commessa... P i ü d'una volta si sente cosi parlare o, se proprio tali parole cosi chiaramente come or diciamo non escono dalla bocca di chi parla, ben si comr prende che esse 6uonano nell'interno di chi vi fa intravedere tale suo stato d'animo. Surgam, et ibo ad Patrem meum — pare che dica il sofferente a motivo di consolazione — et dicam ei: Pater, peccavi in caelum, et coram te... non sum dignus... (Luca, XV, 18, 19). Rammentcremo, a questo proposito, che gli psicologi misero da qualche tempo in
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luce alcuni processi psichici, detti di autoaccusa e di autopunizione, per i quali il soggetto si trova a poco a poco colpevole di qualche suo anteriore e lontano gesto o modo di es6ersi condotto (colpa reale o immaginaria) si da venirne un senso di pena e di angoscia da cui il 6oggetto stesso non trova modo di liberarsi se non cercando una punizione che diventa quindi una autopunizione. La ricerca di una colpa, vera o immaginaria che sia, e l'autoaccusa, si presentano di solito nei malinconici; sonorelativamente frequenti nella donna e, tra gli uomini, tra quelli che abbiamo altrove chiamato (in ragione della loro bisessualitä psichica con accentuazione di femminilitä) uonwni-donne; si danno anche. in alcuni, nei periodi di senilitä e in casi di psicosi tossiche (1). Si vanno cercando, allora, piccoli e minuscoli fatti dei passato e se ne trasformano e ingigantiscono le linee, se pur non si creano quasi ex nihilo tali rappresentazioni sulle quali poi attivamente si lavora. Vi sono spiriti, anche elevatissimi, in cui tale procedimento psichico (ricerca di antiche colpe p i ü o meno irreali) 6i fa in modo continuo e corrosivo. Le autoaccuse, senza dubbio viste attraverso il fluttuante velo dell'esagerazione, della Candida Teresa d'Avila, suonano cosi; « D i passatempo in passatempo, di vanitä in vanitä, d'occasione in occasione, incominc'ai a poco a poco a metter di nuovo in pericolo la mia povera aniima la quäle, guasta ormiai per tante distrazioni, si vergognava di continuare con Dio quella particolare amicizia che deriva dall'orazione » (S. Teresa, Autobiografia, cap. VII, par. 1). Rimprovera a se stessa le innocenti conversazioni in parlatorio avute durante le visite che le facevano (cap. VII, par. 6). « Chi potrebbe narrare, o Signore, tutte le occasioni dalle quali in questi anni mi avete strappata e nelle quali sono sempre ritornata a collocarmi; tutti i pericoli nei quali avrei perduto per sempre ogni buon nome e dai quali, invece, vci mi avete liberata? » (cap. VII, par. 18). Ma i processi di autoaccusa e di autopunizione di cui piü sopra, non coincidono proprio con quelli di autoconsolazione di cui vogliamo ora parlare, per quanto siano con questi in qualche indiretto rapporto; qui abbiamo voluto semplicemente dire dei rifugio psichico in cui si ripara l'individuo quando riesce a convincere se stesso che le 6ue afflizioni sono punizione di colpe — vere o immaginarie — in passato (1) Si veda il paragrafo dal titolo; u,,A proposito dei delilto come autopunizione ecc. » nel primo volume della nostra Criminologia, Milano, I94J, pag. 312; piü largamente nella seconda edizione, volume terzo, Milano, 1949.
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commesse. Ecco l'uomo che da ogni parte e quasi senza interruzione di tempo h a ricevuto colpi di ogni genere o, almeno, ha creduto — data la sua estrema sensibilitä — ricevere tali colpi. Ne porta ancora, o crede portarne, le lividure. Vere o immaginarie che siano le tracce e le stimniate del suo dolore, egli ne soffre e tanto piü ne soffre in quanto in un primo tempo egli crede che ogni colpo ricevuto, od ogni patimento a lui inflitto, od ogni umiliazione che egli deve sopportare, costituisca crudele fatto di assoluta ingiustizia. Gli piovvero addosso senza nessuna provocazione da sua parte, e da quei colpi (il che aggrava ancor piü la pena) non Seppe e non sa in alcun modo difendersi. Naturalmente, piange su se stesso contemplandosi cosi vittima d e l l ' a w e r sitä e si riduce — poiche le battiture p a r continuinio ogni di a dar martirio al suo corpo e al suo spirito, e piü a questo che a quello — ad una specie di rassegnazione e di aspettativa continua di sempre nuovi e ingiusti mali. Senonche, cosi facendo e non rinunziando a cercar ragione di ciö che accade, una ne trova infine che se pur a primo aspetto non appar dotata di piena logica, tuttavia a poco a poco gli penetra in cuore e gli dä una specie di sollievo che lo a : uta a sopportare il dolore delle antiche ferite, vere o presunte che siano, e delle nuove. « I colpi che mi abbatterono — egli dice — mai furono giusta e legittima risposta a qualche m : a azione che direttamente Ii provocasse... ma non potrebbero essi costituire giusta o legittima risposta e punizione (egli adopera proprio questa parola) per qualche antica mia colpa che ho posto in dimenticanza e il cui castigo, appunto, si £ fatto aspettare, ma non e venuto a far difetto? ». Evidentemente, se cosi fosse, alla malvagia illogicitä della persecuzione da parte delle cose e degli uomini portante la vittima a una sorda e inqu : eta ribellione, si sostituisce la logicitä di un processo a cui di forza conviene rassegnarsi con tutta la quiete che stato di rassegnazione porta seco. Anzi, piü sicura e tranquilla si fa tale quiete consolatrice in quanto quei piegarsi al fatto compiuto e quell'accettarlo come logico e persino ben meritato, solleva anche lo spirito dal senso di una colpa che l'individuo e andato a cercare p e r ogni dove nel suo passato, di una colpa che ora gli appare — ombra o realtä che sia — di continuo sotto gli occhi. P r o p r i o cosi accade quando il colpevole, o credutosi tale, giunge a procurarsi autopuniz : one che lo solleva dal senso di disagio e di pena. Ecco perche, p u r senza rendersi conto del profondo e ascoso meccanismo del suo ragionamento, l'individuo che perpetuamente si lamenta dei perpetui travagli che lo affliggono e non sa darsene ragione, trova
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infine la ragione di essi a tutti i costi gettandosi a riguardare il passato e facendolo spietatamente tornare, dinanzi alla sua coscienza, ingigantendo in quello, il gesto in cui oggi egli vede un qualche di condannab'le, se non addirittura un misfatto. Se la ricerca, si noti, e compiuta nello stato d'aniino or descritto, non e difficile che, a ben guardare, a ben ingrandire anche i minimi tratti e a ben riavvicinare ciö che e lontane, non pochi di tali condannabili gesti vengano a mostrarsi nel cammino di ogni vita... II Saggio stesso non pecca forse sette volte al giorno? Lo strano e apparentemente logico ragionamenlo di cui sopra, viene senza dubbio a sorgere e soprattutto ad accettarsi da parte dell'interessato sol perche costui, al tempo medesimo in cui inlravvede la possibilitä di cosi ragionare, sente che accettando quella piü o meno improvvisa suggestione e abbandonandosi ad essa, si sentirä sollevato dall'afflizione a lui di continuo portata dal non trovare vera e diretta ragione dei suoi mali. La ragione vi £ dunque, ma ert> sepolta; non si vedeva, ed or io la veggo e tutto comprendo e a tutto m i piego. Beatus homo, qui corripitur a Deo... beato l'uomo che da Dio e castigato; increpationem ergo Domini ne reprobes... e perö non disdegnar la correzione inflittati dall'Onnipotente. Da quel ferire e da quel percuotere verranno grazia e guarigione, e consolazione dei male... quia ipse vulnerat, et medetur; perentit et manus eius sanabunt... perciocche Egli e quel che manda la doglia e altresi, la fascia; Egli e quel che fa la p : aga c le sue mani altresi guariscono (Giobbe, V, 17-18).
b) L'espiazione...
per
altri.
Veniamo ora a dire di quel secondo caso di credenza (fiduciosa e consolante) in una espiazione che, questa volta, non e espiazione per i propri peccati... ma per quelli degli altri. Questo secondo caso e P>ü singolare dei primo, ma trova modo di attuarsi e concretarsi anch'esso. Ii sangue e il martirio degli uni — dice la credenza — purifica le colpe degli altri; se siete stato scelto dalla sovrana potenza che tutto regge, per costituire tale olocausto, non avrete che ravvisare nel vostro soffrire u n segno chiarissimo della predilezione sovrana. Chi, sia pur da lunge, conosce vita e pensieri di questo o quel sofferente e di questo o quel credente che trovö persino beatitudine nel suo soffrire, non si meraviglierä di tale nuova e forse insospettata via che porta all'autoconsolaz : one per mezzo dei riconoscimento di una necessitä superio-
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re e immanente. « Non bisogna dimenticare — ammoniva Goffredo de Haga parlando a Santa Lidvina di Schiedam orribilmente torturata e piagata sul suo letto di dolore — che ogni malattia e una espiazione c che se Iddio perciö non vuole farla cessare, nessun 6occorso ifledico al mondo poträ ottenerne la fine... Ii medico non riuscirä a far guarire se non quando il suo intervento coinciderä con la fine della espiazione, quäle fu decisa dalla divina volontä » (1). Espiazione per innumerevoli colpe che dalla pia sofferente mai furono commease, e ciö perche (proprio come scrive J. K. Huysmans nel raccontare gli ineffabili e gioiosi dolori della sua Santa Lidvina) ..«l'humanite est gouvernee par la loi de solidarite dans le Mal et de reversibilite dans le Bien... Autrement dit, chacun est, jusqu'ä un certain point, responsable des fautes des autres et doit aussi, jusqu'ä un certain point, les expier... »(p. 100 e segg.; vedi anche a p. 76). Non forse da tale « l e g g e » di sostituzione e venuto il sacrifizio di quegli che riscattö la primigenia colpa del genere umano? « Legge » di sostituzione che, appunto, p e r rnette a un'an ; ma che soffre e che £ destinata a far cancellare le altrui colpe, di «recommencer les affres du Calvaire.... de se clouer ä la place vide sur la Croix » (id., id., p. 101). In proposito, faceva notare Joseph de Maistre in una delle smaglianti pagine delle sue Soirees de Saint-Petersbourg (Entretien dixieme), si fanno meraviglie quando si vede un innocente miseramente perire... ma esiste tra gli uomini una solidarietä che rende reversibile il delitto come pure, d'altronde, il merito. Ogni di accade che l'innocente si trovi a espiare per tutta la Serie di colpevoli che pur sono vissuti e hanno agito prima di lui (si veda anche il VII Entretien che parla della guerra come cosa «divina » puisqu'elle fait couler tant de sang expiatoire...). Accogliendo nell'intimo sacrario dell'Io interno ragionamenti come quelli ora indicati, per suggestione che venga da f u o r i o per autosuggeslione, 6i trova modo di rassegnarsi e persino di gioire di fronte alla logica ineluttabilitä. Invero, se puö sembrare proprio il contrario della logica il fatto che l'innocente di oggi o di un dato luogo debba scontare i falli del peccatore di ieri o di coloro che abitano gli antipodi, una volta ammesso per intuizione o convinzione — cieca o illuminata che sia — tale principio, ne viene fuori la piena logicitä delle conseguenze e quindi del mio soffrire e della mia espiazione...
(1)
J.
K.
HUYSMANS,
Sainte
Lyduine
de Schiedam,
Paris,
1901, p.
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per gli altri. La logicitä di quella serie di conseguenze consola ed aiuta a portare la croce, e tanto piü cio si verifica in quanto ogni nuova sofferenza attesta ehe veramente e toccata a chi soffre, la grazia di essere l'Eletto. Soltanto ci si potrebbe chiedere se la profonda e sorprendente concezione in questione, creata dal pensiero e dal sentimento di qualche grande uomo della terra, corrisponda realmente all'intimo, lontano e onnipotente pensiero di quella Divinitä che dovrebbe f a r scontare al giusto le colpe dell'ingiusto; non sarebbe qui il caso, invece, di ripetere con l'antico filosofo che gli uomini attribuiscono agli Dei le lor proprie idee?
3. - La gioia della rassegnazione. Altro sistema ancora di autoconsolazione — sia pur fragile — puö l'Io formare a se stesso allora che esso decide, stanco di ogni lotta, di accettare il dolore senza piü discutere. Colui che soffre puö, infatti, volgersi alla rassegnazione, nobile forma di quotidiano suicidio, e allora a tutto egli si rassegna, da ogni colpo si lascia spezzare, da ogni dove si ritira e quasi cancella sie medesimo; il tutto con una tristezza calma e quasi Serena che non e davvero spoglia di nobiltä e di incanto. Filosofia della rassegnazione! La soave musica di quei versi che u n poeta nostro componeva or fa p i ü di un secolo, ben fa sentire in tutto il suo essere tale stato d'animo; disilluso in ogni sua aspirazione, il poeta trova conforto dapprima nel pensare che egli possiede un bene assai piü sontuoso della ricchezza, e cioe la purezza dell'animo 6uo, ma poi altro conforto trova nel consacrare la propria vita alla solitudine e alla malinconia che egli vede quäle Ninfa amabile e gentile : Malinconia / Ninfa gentile / La vita mia / Consacro a te. Avverte anche non essere nato per la vera felicitä colui che non sa riconoscere di che dolce gioia sia portatrice la malinconia. Gli onor che sono? / Che val ricchezza? / Di miglior dono / Vammene altier / D'una alma pura... / Malinconia, Ninfa gentil / ecc. ecc. / I tuoi piaceri / Chi tiene a vile / AI piacer vero / Nato non e (Pindemonte). ill ]Njostro — come si vede — raccoglie da ogni campo le sue autoconsolazioni: dalla deformazione delle cose (la quäle insegna che la ricchezza e materiale Cosa assai vile), alla clausura .in s© stesso, alla malincon i a , infine, compagna dolcissima della rassegnazione. Quante anime, davvero, nella malinconia della rassegnazione trovano quella pace che tanto da vicino somiglia al sonno dei morti! 24. • L'Io.
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4. - Gioia dei dolore e gioia dei martirio. Eppure, puö anche darsi che il dolore in tutta la sua crudezza, il dolore che noi cerchiamo fuggire gettandoci p e r qualsiasi sentiero, possa fornire esso stesso motivo di consolazione. Quodque mihi telum vulnera jecit, amo... e amo il dardo che mi f e le ferite, disse il poeta (Tristia, IV, I, 35). Persiste tsso a rimanere infitto nel cuore, e nulla riesce a preparare e a comporre il malinconico cimitero — triste ma tranquillo — in cui ogni sofferenza viene ad acquietarsi?... Lo spirito, ognor sentendosi perseguitato e offeso, si fa allora capace di tentare un supremo sforzo, se non l'ultimo e definitivo: esso giunge non soltanto a compiacersi in quel suo proprio dolore che non gli si puö staccare di dosso, ma a gioire persino di quella tortura. Si spinge, cioe, sino a far m a r t i r i o di se stesso, trovando per tal modo una specie di sollievo... II dolore diventa allora un male di cui si teme guarire. Diciamo ancor p i ü : diventa il dolore, allora, una specie di gioia, Vera gioia dei martirio. Crudeltä e piacere non hanno forse tra loro uno stretto e quasi invisibile legame che, messo improwisamente in luce, puö riempire di stupore chi non sa e soprattutto chi non vuol sapere, ma che ciö nonpertanto ben corrisponde alla realtä? I pazzi morali, che piü frequentemente incontriamo nella vita e su ogni gradino della scala sociale che non nelle prigioni e negli asili psichiatrici, procur a n o a se stessi la piü intensa gioia cercando di far soffrire gli altri e contemplando gli altri dolori; medesimamente, o analogamente, certe categorie di pervertiti sostituiscono al normale soddisfacimento — nel campo dell'erotismo — gesti che infliggono dolore alla vittima e che talvolta sono veramente sanguinari (sadismo), oppure si fanno infliggere umiliazioni, dolori e torture per gustare, al tempo stesso, un insano piacere (masochismo). I quali atteggiamenti, sia detto tra parentesi, pur si trovano, ma in forma embrionale e — occorre dirlo? — naturalmente senza t o r t u r a o sangue, nella n o r m a l i t ä ; atteggiamenti psichici che attestano ancora una volta la presenza dell'intimo legame che avvince il dolore, o 1'iimiliazione, al piacere. Ora, nel nostro caso di un'autoconsolazione data col trovare la gioia nel dolore, si direbbe, appunto, che il sofferente si rivolga, per cosi dire, contro se stesso e l ' I o trova allora — compiacendosi nella propria sofferenza — quella sorta di strano piacere e di strana voluttä che il pervertito trova col suo patologico comportamento. Aggiungiamo che g da fare intervenire,
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a i fini di una poss'bile spiegazione della gioia del dolore, l'efficacia o influenza che hanno gli atti di distruzione quali suscitatori di piacere, da cui persino il senso di sollievo e di liberazione che dä, in e6tremi casi patologici, l'autodistruzione, casi nei quali il malato o sofferente infierisce contro se stesso e se stesso materialmente dilania. Dovremo accennare — non foss'altro per associazione di idee — alla « spiegazione » che alcuni fisiologi si sono compiaciuti dare al cosi detto «piacere delle l a c r i m e » ? II pianto che scoppia abbondante, o che abbondantemente scorre — dicono costoro — produce una sempre piü forte anemia dei centri nervosi, dalla quäle ecco prodursi u n quasi torpore cerebrale, una inerzia psichica, una specie di indifferenza sentimentale c mentale... In altre parole, una sorta di anestesia del cervello. Ne consegue un affievolimento (da parte di chi lacrima) delle impressioni e delle percezioni, sicche — passando attraverso il cervello anemizzato — il dolore p e r d e la gravezza e la intensitä delle sue tinte (R. Romme). Vogliamo dire, passando dalla materialitä di siffatte spiegazioni a visione piü calda di sentimento, che il dolorante e piangente, incapace di uccidere il proprio dolore, si lascia uccidere da esso, e in quella simbolica morte trova la cercata quiete? D'altra parte, e senza ricorrere alla psicopatologia, gli psicologi e anche i non psicologi che ricordano l'opera di Teodulo Ribot su la psicologia dei sentimenti, ricordano p u r anco le pagine di quell'opera in cui si parla degli intimi e segreti rapporti esistenli tra la goia e il dolore, e particolarmente quelle che trattano della « gioia del dolore». - A tal proposito siffatte pagine richiamano la teoria di Herbert Spencer, per la quäle il piacere nasce — in tali casi — dal contrasto che il soggetto accerta e sente tra lo stato di umiliazione o di sofferenza in cui si trova e lo stato di superioritä, di elevazione e di nobiltä in cui per contro dovrebbe trovarsi (piacere del contrasto) (1). Piacere e dolore sarebbero allora da considerarsi, piü che avversi nemici, in veritä, fratelli e di cio si potrebbe prendere a simbolo l'immagine — raffigurante in sorprendentissimo e materiale modo la natura di tale strana complicitä — della « Femme au serpent » scolpita da Clisinger e di cui parla Teofilo Gautier, splendente bellezza nelle cui fattezze lo spasimo del dolore rassomiglia al parossismo del piacere (2). R n o x , La Psychologie des sen'imen's, capitolo I V . E anche : DU pla sir et de la douleur, Paris, 1 8 9 1 , passim. ( 2 ) T H . G A U T I E R , nella prefazione alle Oeuvres di I C H . B A U D E L A I R E , t. «ione del 1878. (I)
CISQUE
TH.
FRAN-
BOUILLIER,
I,
edi-
CAPITOLO
QUINTO
ALTRI SOTTERFUCI ANCORA E I GRANDI EVANGELI DELLA CONSOLAZIONE Lunga ancora sarebbe la via da b a t t e r e per tutto percorrere il cammino che conduce attraverso le infinite forme di autoconsolazioni che la logica, o la non logica, e il sentimento — insieme a una specie di autosuggestione e di istinto che vuol fuggire il dolore o che ad esso trova modo di adattarsi — h a n n o saputo c r e a r e ; ci limiteremo a f a r menzione dei grandi Evangeli, p e r intero consacrati a ciö che abbiamo chiamato « autoconsolazione », non senza prima sostare un istante su qualche altra forma, diversa da quelle fin qui esaminate, che p r e n d e il processo psicologico autoconsolatorio di cui stiamo discorrendo.
1. - II piacere dei sentirsi commisera to e dei I1 au toc om m iserazione. II malato che si lamenta, o l'infelice che piega sotto le b a t t i t u r e dell'avversa fortuna, si sente di qualche poco sollevato quando chi gli sta intorno con affetto gli p a r l a , lo commisera e lo compiange. O vos omnes qui transitis per viam, attendite, et videte si est dolor sicut dolor meus (Lamentationes Geremiae, I, 12). Analogamente e di conseguenza, l ' I o che soffre si sente in certo modo sollevato q u a n d o una parte dello stesso Io — grazie a una specie di sdoppiamento dellTo stesso in due Io ( l ' u n o c h e soffre e l ' a l t r o che guarda e commisera) —i lo compiange e versa lacrime accanto a lui e per pietä di lui. Quanto p i ü compassioniamo noi stessi, e quanto p i ü su noi stessi piangiamo, tanto p i ü lo spirito si scioglie dai dolorosi lacci entro cui forse invano si dibatte. Pianse il Leopardi sulla tomba dei Tasso ed ebbe gioia dalle lac r i m e ; « quello (egli scrive nella lettera al fratello) e l ' u n i c o piacere che h o provato in Roma... ma non si potrebbe venire dall'America
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p e r gustare il piacere delle lacrime lo spazio di due minuti? ». Si direbbe, nello stesso modo, che l'Io, lacrimando sulla tomba di se stesso, trovi sollievo nella gioia delle lacrime. Genere speciale di autocontemplazione (come giä vedemmo in uno dei precedenti capitoli, a proposito del niobismo) che porta sollievo e che qui non facciamo che rieh i amare.
2. - Vi e chi piange come noi... e ancor piü. Ingegnoso sistema di autoconsolazione per le proprie miserie e quello tentato talvolta con felice esito (e che sentiamo spesso prospettarci, quando soffriamo, da chi vuol consolarci), sistema il quäle al sofferente suggerisce in continuazione, quasi suggestionando, che se egli lacrima per una ferita materiale o morale che sia, altri vi sono — e non pochi — che come lui sono afflitti, e dagli stessi mali. Dal che, qualche consolazione e persino — perche no? — un certo sollievo. Gaudium est miseris socios habuisse poenarum, si ripete con antico detto che nell'uso popolare si traduce coi vecchio e logoro motto: aver compagno al duol scema la pena. La Sofonisba di cui nel Trionjo d'amore del Petrarca che si consola della caduta di Cartagine con l'esclamazione, passata anche essa in forma proverbiale: S'Affrica pianse, Italia non ne rise, si crea sistema di autoconsolazione come sopra. Ma non basta. Occorre pensare non solo che sono a mille i sofferenti come noi, ma anche che meglio di mille sono coloro che soffrono piü di noi. « La consolazione p i ü efficace in ogni disgrazia — scriveva Arturo Schopenhauer — e in ogni dolore, sta nel guardare gli altri che sono ancora piü infelici di noi, e questo ciascuno puö fare, per quanto (aggiunge l'Autore) ciö faccia noi rassomigliare a un gregge di pecore, destinate tutte a essere un giorno o l'altro sgozzate, ognuna delle quali si consola giorno per giorno e, finche vive, vuol vedere le altre p e r i r e sotto il coltello » (Parerga und paralipomena, D , par. 15). E ' innegabile che il modo di considerare le cose come ora abbiamo indicato, e di... rendere cieco se medesimo, p u ö prestarsi a qualche sorriso: e cosi f u di fatto, quando la piü penetrante ironia del XiVIII secolo fece dialogare il filosofo consolatore presentante il farmaco di cui sopra a una infelice donna oppressa da un'infinitä di dolori. «Pen-
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sate (diceva il filosofo) a quella sventurata regina d'Inghilterra che rischiö di morire in un naufragio, che vide lo sposo suo trascinato al patibolo e che perdette il proprio regno ». Rispondeva la sconsolata: « Q u a n t o mi dispiace p e r essa!» e ricadeva nel proprio dolore. « E Maria Stuarda? Le sofferenze di quella infelice — incalzava il filosofo — troncate soltanto dalla morte, non sono forse di gran lunga maggiori delle vostre? ». La sconsolata, ciö nonostante, continuava a spargere lacrime. « Suvvia (parla sempre il filosofo), volgete il pensiero a quella Giovanna di Napoli che, p u r tanto bella nei suoi giovani anni e regina, m o r i poi per strangolamento! ». Ma la povera piangente, cui facevano difetto — tra l'altro — sicure nozioni storiche, continuava a immergersi nel p r o p r i o dolore. E cosi di seguito, per quanto l'alta filosofia de] consolatore ricorresse a successive e sempre p i ü vivaci immagini di donne messe a supplizio da ogni sorta di tragedie, non escludendo la sventuratissima Ecuba, orbata dei suoi diciannove figli e Niobe, ugualmente colpita... Malinconicamente l'interlocutrice, che non si consola, fa osservare: « Credete voi che, se aveste narrato i dolori miei a quelle sventurate regine o a quelle antiche donne, si sarebbero esse consolate con le mie sciagure? ». La storia (Voltaire, Les deux consoles) non finisce cosi, che alla dimane il filosofo ricevette nolizia della improwisa morte dei figliuol suo... e pianse senza trovare consolazione alcuna, per quanto la sconsolata donna di poco sopra gli facesse rimettere una lunga lista contenente i nomi di tutti i sovrani che videro morire i propri figli. L'erudito filosofo — dice sempre la storiella — trovö csattissimo quell'elenco... ma continuo a piangere. E' innegabile — dicevamo — che l'indicato metodo di consolazio« ne, trasportato il dialogo tra il filosofo e l'addolorata al diagolo tra l ' I o che soffre e lo stesso Io che dice a 9e medesimo altri soffrire assai di piü, potrebbe essere trovato (da chi guarda da fuori) semplicemente assurdo o quanto meno di discutibilissima efficacia; ma intanto sta di fatto che ciö non avviene dal momento che assai di frequente tale metodo consolatore si trova presentato seriamt?hte in non meno serie pagine di moralisti e p u r di mistici.
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3 . - 1 1 dolore e un lavacro purificatore e fönte di nobittä. La gioia del dolore trova facilmente, inoltre, altra fönte perenne in una serie di considerazioni, piü di ordine intellettuale che sentimentale, che assai spesso vengono a frammettersi agli atteggiamenti or ora ricordati. Ci lasciamo convincere, nel particolare caso di cui intendiamo parlare, che il dolore e lavacro di ogni impuritä, una specie di battesimo del Saggio, un contrassegno della elevatezza e della nobiltä dell'animo, una purificazione continua, quasi fiamma che arde ma non consuma. Meglio vale la tr : stezza che il riso — diceva I'antico scritto — perciocche il cuore migliora per la mestizia del volto... per tristitiam vultus, corrigitur animus (Ecclesiaste, VII, 4), II cuore dei savi e nella casa del duolo; e il cuor degli stolti — cor stultorum — e nella casa dell'allegrezza (id. id. 5). II dolore e la via che conduce alle stelle : per aspera ad sidera. Accogliamo dunque il dolore e riteniamolo come amico, poiche ne verrä sublimazione dello spirito. Descriveva Prudenzio nel suo Pev'stephanon il carcere dei martiri che, quando costoro entro quelle mura venivano torturati, di gran luce si illuminava e spuntavano fiori... e si infrangevano i ceppi (V, 237 e segg.); dal martirio stesso veniva la consolazione. E cosi sia per tutti coloro che dal proprio dolore traggono luce di elevazione e di nobiltä.
4. • I vari e complessi sistemi dei grandi Evangeli. II Poeta della malinconia, come poco sopra dicemmo, non raccoglie per se e p e r l'animo suo una sola consolazione, ma insieme parecohie che non si escludano l ' u n l'altra, ma quasi si sommino e operino insieme. II medesimo fanno alcuni grandi Evangeli — veri libri sacri dell'Umanitä che cerca sottrarsi come che sia al tribolo del suo interno soffrire — offrendo insieme sistemi parecchi, e diversi di consolazione, tra i quali non maneano quelli stessi di cui or ora abbiamo parlato. Tutti i balsami, e in grande varietä, sono raccolti in ognuna di quelle anfore. Facciamone qualche rassegna. a) E cominciamo dal breve libro, ma terribile sotto certi aspetti, attribuito a Tommaso Kempis: Della imitazione di Cristo. Ti consiglierä di non vivere se non in conipagnia di te stesso; « O g n i volta
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ch'io sono stato fra gli uomini, sono diventato meno u o m o » (I, 20, 2); ti insegnerä che « l'anima acquista le sante virtü nel silenzio e nella quiete», e che « nella cella si trova l'abbondanza della dolcezza divina » (I, 20, 6). Una filosofia consolatrice, dunque, di cui giä disegnammo i tratti. Ti dirä, inoltre, che le cose di una vita esterna, vale a dire le cose dei mondo, hanno valore nullo — filosofia della deformazione delle cose! — poiche « n o n si va al regno dei cielo se non per dispregio delle cose dei mondo; la qualcosa e somma sapienza » (I, 1, 3)... «Adunque studiati di ritrarre il cuore tuo dall'amore delle cose visibili e transitorie » (renderti insensibile, dicevamo noi, col non vedere, col non sentire, col non parlare) dappoiche «ogni volta che l'uomo disordinatamente desidera alcuna Cosa, subitaneamente diventa inquieto a se medesimo; l'uomo superbo ed avaro mai 6ta in riposo, ma l'umile e povero di spirito conversa in moltitudine di pace » (I, 6, 1). Oppure, « veramente quegli e grande che in se medesimo e piccolo e ogni onore e ricchezza stima per niente » (I, 3, 6). Senti ancor questa, e imparerai (o convincerai te stesso ai fini di autoconsolazione) che hai da renderti insens'bile cosi alle lodi come alle calunnie; invero « non Sarai piü santo se sarai lodato, ne p i ü vile se Sarai vituperato » (II, 6, 3). P u r la logica viene a portar soccorso a tale complesso sistema di autoconsolazioni. Occorre saper ragionare di fronte alle sventure e alle afflizioni, e ragionando si trova che « b u o n a Cosa e a noi che alcuna volta abbiamo delle avversitä e tribolazioni, perche hanno esse natura di ridurre l'uomo al suo cuore, acciocche si conosca essere in esilio e bandimento, e che non ponga la sua speran'za in alcuna Cosa dei mondo » (I, 12, 1). b) Preziosi libri, quasi analoghi, si erano resi immortali da secoli e mai si app'assirono o si appassiranno; tale e il Libro dei ricordi dettato dalla saggezza di Marco Aurelio, di quel Marco Aurelio che pronunz'ö l'assioma da non dimenticarsi; Non viversi la vita in un mondo ove n o n siano gli Dei (intendendo tra essi quel divino fantasma che e la Giustizia). Si legge in quel libro come « l a morte e la vita, 1'onore e l'infamia, il dolore e il piacere, la ricchezza e la povertä, tutte queste cose parimente toccano ai buoni e ai cattivi, non essendo ne oneste ne disoneste ; dunque non sono ne beni ne mali » (II, 11). Filosofia della deformazione delle cose! « I n o l t r e , le cose umane debbono considerarsi come aventi la vita di un giorno, prive quindi di ogni pregio; ieri muco domani mummia e cenere » (IV, 48). Altra deformazione? Tale principio trova efficace applicazione nel pensare
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c h e « l a durata della vita umana e un p u n t o ; la materia, cosa che m u t a ; il senso, cosa oscura; la compagine d i tutto il corpo, cosa destinata alla putredine; la fortuna, cosa incerta; la fama, vanitä... anche tutto ciö che riguarda l'anima e sogno e f u m o ; la vita, lotta ed esilio; la celebritä postuma... oblio». Che cosa resta adunque, cui ci possiarao attendere? «Sola ed unica cosa, la filosofia» (II, 17). Ancora un modo, come si vede, di deformare le cose, o porsi a considerarle da un particolarissimo angolo visuale che ne mostri un lato soltanto (quello che a noi serve vedere) lasciando volutamente il resto nell'ombra. Quella deformatriee consolazione, i Ricordi del saggio imperatore esprimono coi dire : « Ciascuno non vive che nel tempo che gli e presente, ossia un istante; il resto, o lo ha giä vissuto o e incerto se lo vivrä. Picciola cosa adunque e la vita di ciascuno; picciola cosa il lembo di terra ove egli vive; picciola cosa ancora la fama che lascerä dietro di se, dato che pure che duri lunghissima, tramandata da una ad altra generazione di omiciattoli i quali son ben tosto sorpresi dalla morte e nonche conoscere colui che giä da tempo e morto, non conoscono neinmeno se stessi » (III, 10). Ne viene come conseguenza che se tutto e tanto breve cosa, e illusoria, come mai si potrebbe da tali fuggevoli e fragili par•venze — a cui nessuna importanza possiamo dare — ricevere dolore? D'altra parte, ecco ancora un motivo di autoconsolazione: chiudersi nella pace e nella clausura della propria anima. L'autore del Libro dei ricordi di ciö fa spesso cenno interrogando, dapprima, se l'individuo per sfuggire ai travagli e alle pene non si rechi talora in lontana campagna e tale altra volta non si ritiri su lontana spiaggia o nell'alto di una montagna, e avuta risposta affermativa, comecche tale condotta fosse semplicisslma e naturale, si meraviglia che l'individuo medesimo non comprenda come « possa egli, allorche ne giudichi venuto il momento, ritirarsi in se stesso. Giacche in nessun luogo puö l'uomo ritirarsi ove siavi maggiore tranquillitä o quiete piü alta che nell'intimitä dell'anima sua » (IV, 3 e anche V, 10). Tanto piüi agevole riuscirä questo fuggire le cose esterne e il guardar soltanto entro di se, quanto piü colui che cosi saprä agire troverä « dentro di se tali cose che lo faranno ben tosto trovare a suo agio nella loro contemplazione » (IV, 3). II filosofo imperatore, sia detto tra parentesi, non era mosso da egoismo quando suggeriva di starsene lontano dagli uomini per non soffrire e chiudersi in se stessi, poiche la sua profonda umanitä costantemente gli insegnava che « colui stesso che pecca e a me 6tretto d a legami di parentela, non perche in me scorra il medesimo suo san-
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gue ed io sia nato dallo stesso suo germe, ma perche partecipo con lui d'una stessa intelligenza ed ho con lui comune l'origine divina » (I, 1). Si senta, inoltre e continuando, quäle motivo di consolazione puö crearsi colui che si trova a essere preso tra opere dei malvagi, intenti a passargli innanzi con le loro spregevoli arti o a dargli di traverso nel cammino: « Quando nella stanza in cui mi trovo si fa dei f u m o e l'aria diventa irrespirabile, mi allonlano» (V, 29). Vero e che il filosofo accennava forse al fumo irrespirabile che a cagione della perversita umana copre la terra, e alla possibilitä che ciascuno possiede di dipartirsi dalla terra stessa. ma evidentemente la massima si rende ottima — ai fini della tranquillitä interna — di fronte a ogni d i s a w e n t u r a della vita stessa per la quäle il disgusto per le male arti della compagnia in cui vi trovate vi p r e n d a alla gola. Del resto, tutta una consolatrce filosofia della rassegnazione e rinchiusa nella semplice f r ä s e : abstine et sustine, il cui senso tanto soventemente appare nelle pagine dei Ricordi; astienti, cioe, da ogni cosa che, pur sollecitandoti e tentandoti, non e in ultima analisi se non pura vanitä, illusione o effimera gioia ingannatrice (e tutte le cose, piü o meno, sono tali) e se p u r senti la sofferenza, maggior calma troverai nel sopportarla che nel ribellarti ad essa; filosofia della rinunzia e della rassegnazione. Infine, e soprattutto, dai Ricordi emerge una filosofia che riconoscendo la ineluttabilitä logica e la necessaria concatenazione delle cose, si piega ad esse: poiche tutto quagg'ü e imprescindibile successione di cause e di effetti, renditi pur l'animo tranquillo nel considerare gli eventi alla cui fatale successione tu non puoi che assistere; «i susseguenti hanno sempre qualche nesso di parentela con gli antecedenti; le cose non sono disgiunte le une dalle altre o governate da una necessitä a esse estrinseca, ma b e n ä da un vincolo razionale... tanto c h e i fatti non dimostrano soltanto una mera successione, ma anche una mirabile parentela tra loro » (IV, 45). Veduta precorritrice di ciö che molti secoli dopo fu chiamato; meccanicitä dellUniverso? «Checchessia ti avvenga, ti era destinato ab aeterno e la concatenazione complessa delle cause aveva coordinato l'esistenza tua a questo accidente... Memore di queste cose, in quanto sono parte di questo tutto, non avrö nessun motivo di sopportar di mal animo alcuna delle cose che mi vengono dal tutto... Cosi, ricordandomi che io faccio p a r t e di un tal tutto, avrö care e accetterö qualsiasi cosa m ' a w e n g a » (X> 5, 6). i
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Quando nel fare richiamo, per quanto fuggevole, degli immortali breviari di consolazione, si parla del filosofo imperatore, come anche non dire delle quasi sacre parole dello sch : avo filosofo Epitteto? Sacre parole formanti un codice di precetti vari, tutti veramente risplendenti e a cui giä poco sopra sentimmo la necessitä di rivolgerci? E come non pensare ai suggerimenti di Seneca, che non tacquero neanche dinanzi alla morte, o alle Tuscolane di Cicerone, cosi vicine alla filosofia stoica, o come non pensare alle parole formanti per l'appunto il breviario della consolazione filosofica, parlanti dal carcere di Boezio? üovremmo, a tal proposito, lungamente scstare sui rammentati breviari tutti che hanno servito e tultora servono di guida per costrui- 1 re tale o tale altro sistema di autoconsolazione, ma non e questo il luogo, per quanto una sorta di antologia su tale soggetto non compirebbe vana opera ai fini di una difesa dello spirito e anche ai fini di un tentato miglioramento dell'Io. Tuttavia, pochi aceenni potranno pur essere fatti. c) Considerate, per cominciare, in qual particolar modo Epitteto guarda le cose e gli uomini p e r non sentire l'umiliazione del dolore (deformazione). E soprattutto r c o r d a t e il consiglio; « Ad ogni cosa che puö recarti fastidio e affanno, tu — guardandola in viso — dille che essa altro non e che pura immaginazione e per nulla ciö che vorrebbe farsi credere » (massima 10). Onori — e con quante viltä conquistati? — ricchezze, gio'e mondäne, lungi dall'essere ciö che p e r nostro e r r o r e appaiono, «sono semplicemente confettucci e coriandoli che si gettano nelle feste al grosso pubblico; i bambini si battono t r a loro per raccoglierli, ma gli uomini non ne f a n n o conto. Si distribuiscono in tal modo provincie da governare e... confetti buoni per i bimbi. Se uno di essi p e r caso mi cade tra le pieghe della toga, potrö ben portarlo alla bocca, p u r sapendo ciö che vale, ma se fosse caduto a terra non mi sarei certo abbassato per raccogl'erlo» (massima 83). D'altra parte, anche il Nostro consiglia di guardare nel proprio interno « perche in te stesso troverai le vere ricchezze » (massima 4), sicche anche povero sarai ricchissimo. E ancora una volta si insegna che gli avvenimenti hanno una loro logica alla quäle e inutile sottrarsi; riconoscerla significa accogliere con la massima serenitä tutto c ; ö che accade: «Non chiedere che le cose si presentino come tu vorresti, ma convinciti che esse si presentano come devono presentarsi » (massima 16). E infine si sugger'sce; «Sopprimi ogni desiderio nei riguardi delle cose che da te non dipendono (massima 11) e sarai felice ». I n f a t t i ,
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«fclicitä e desiderio mai possono trovarsi insieme» (massima 24). Rendersi insensibile, dunque. Altro modo di rendersi insensibile: «Se tu ingiurii una pietra, ascolterä forse essa le tue ingiurie? Che profitto mai potrai tu trarre dai tuoi insulti? Ebbene, fa come fa la pietra e, cioe, chiudi l'orecchio ad ogni ingiuria » (massima 263). Occhi bendati, dunque, per non soffrire, e bendati con ricorso alla deformazione, alla clausura in se medesimo, all'artifizioso ragionare di una benevola logica... ma sotto quelle bende, o nonostante quelle bende, l'austeritä dei riconoscere le leggi di Natura, il coraggio per sopportare la giusta severitä nei riguardi di se medesimo in una con il compatimento e la tolleranza verso gli altri. d) Consolanti parole sono anche a ogni pagina pronunciate dalle Tuscolane ciceroniane, si da formare pur esse uno di quei breviari di cui stiamo facendo cenno. I cinque libri di quel « b r e v i a r i o » cercano convincervi, libro per libro, che il Saggio non teme la morte e poi che il Saggio non teme il dolore e poi ancora che il Saggio e insensibile ai dispiaceri e alle avversitä, e insegnano inoltre che il Saggio e inaccessibile alle passioni (una statua?) e infine che la saggezza basta da sola a formare la felicitä. Circa il p r i m o punto si pensi che morire non e altro che la nostra uscita da prigione e liberazione dai ceppi in cui viviamo... laeti et agentes gratias pareamus emittique nos e custodia et levari vinclis arbitremur (Libro I, 118). I n quanto al secondo punto (il Saggio non teme il dolore), e vero che i poeti fanno lamentare t r a i tormenti gli eroi e descrivono le lamcntele di Filottete, di Ercole, di Prometeo, ma i poeti danno con cio cattivo esempio mentre, p u r riconoscendo che il dolore e un male, occorre fortificarsi contro di esso e convincersi che e Cosa indegna p e r un uomo il gemere e il piangere... turpe nec dignum viro videbitur gemere (Libro II, 31); se dignitä e senso di onore ti sapranno assistere, resisterai al dolore... dum honestas, dum dignitas, dum decus adhaerit, in te continebis... il dolore non sarä piü da te sentito: cedet profecto virtuti dolor et animi inductione languescit (Libro II. 31); che una paziente rassegnazione al dolore aiuta a non tenere conto di esso (Libro II, 43). E anche la fierezza contribuisce a non f a r sentire il dolore o a sopportarlo (Libro H , 61 e 62). Si da ripetere con Posidonio ammalato mentre ammaestrava Pompeo: « Nihil agis, dolori! quamvis sis molestus, numquam te esse confitebor malum» (Libro II, 61, 62). Riguardo al terzo punto si mostra come il Saggio, oltre a rendersi insensibile al dolore fisico, sa pur rendersi insensibile ai dispiaceri: per cio fare h a soltanto da
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convincersi che ogni sofferenza e in ultima analisi una malattia (aegritudo, 22, 23) che si sopporta con la riflessione e pensando ad altre sofferenze p i ü gravi... qui gravius jerunt luctus aliorum exemplis leniuntur (Libro III, 57, 58). Quarto punto, e cio© essere il savio inaccessibile alle passioni quali la paura, il piacere, il desiderio, la coller a : non si tratta che di opinioni... Sed cognita jam\ causa perturbationum (passioni) quae omnes oriuntur ex iudicis opinionum et voluntatibus (IV, 82). Per quei che tecca il quinto punto, si insegna essere la saggezza da sola a formare la felicitä: atque si in virtude satis est praesidi ad bene vivendum, satis est etiam ad beate (V, 53). e) Come non dire, ancora, dei preziosi libri di consolazione lasciati dai filosofi all'Umanitä e da loro scritti quasi alle soglie della morte, sentendola giungere di violenza e per aperta ingiustizia, cioe dei libri di Seneca e di Boezio? « Quando qualche disgrazia si( abbatte su uno di questi abitanti d'Europa — scriveva nelle sue lettere il Persiano di Montesquieu — costui altra risorsa non ha se non la lettura delle pagine lasciate da un certo filosofo che si chiama Seneca, mentre gli asiatici, dotati di maggiore buon senso, assorbono dei filtri che rallegrano lo spirito e coloriscono di rosa i ricordi delle sofferenze » (Lettres persanes, XXXII). Evidentemente, tanto il persiano, quanto Montesquieu tenevano giustamente in dispregio le calunnie contro il filosofo raccolte da Cassio Dione e giä messe in circolazione da un tristo di cui © inutile fare il nome perche meglio e mai nominare certi f i g u r i ; si rimproverava, ad esempio, all'austero filosofo di avere accettato doni da Nerone. P e r certo, quando Nerone, la dimane della morte di Britannico, per accaparrarsi plauso e favore distribui a d r i t ta e a manca ricchezze che ben poco a lui costavano, anche Seneca f u tra i beneficati, e il filosofo accettö, ma b e n scrisse poi che « alcune volte anche contro la volontä nostra dobbiamo accettare u n beneficio: quando lo dä un tiranno crudele e iracondo che reputerebbe ingiuria se tu disdegnassi il dono suo... P o n i allo stesso livello un assassino, un' pirata e un re che abbia animo di assassino e di pirata. Che dovro fare io dunque? » (De beneficiis, II, 18). Come che sia, sta di fatto che si ha da leggere Seneca se si vuole trovare conforto imparando a guardare le stelle e cioe ad allontanarsi dai dolori della vita, a considerare fugaci e fugacissime le grazie della Fortuna, a vivere in se medesimo e persino a farsi signore della morte: « finche mi sia lecito vedere gli astri e fissare l'occhio alle stelle... che cosa m'importa quäle sia il
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suolo che io premo? » (De consolatione ad Helviam, madre di Seneca, VIII, 2). •Circa il primo punto (fugaci e fugacissime le grazie della Fortuna): * considera dunque che non solo l'accrescimento dei beni di fortuna, ma ancora la perdita di essi, sono cose caduche; e poiche sono cose avventizie, tanto facilmente vivrai senza esse, come vivevi prima che ti fossero date dal caso » ...tani facile sine isto vives quam vixisti (Ad Lucilium. XLII). Circa il secondo punto (vivere in se medesimo), ogni salvezza e ogni felicitä e in noi stessi e dentro di noi, ne puö venire da f u o r i ; « se vuoi esser felice, pensa che il bene che e cagione e sta-bilimento dei beato vivere e uno solo, e cioe sta nel confinarsi in 6e stesso»... fac te ipse felicem. Fatti felice da te stesso... «Non vi e piccolo cantuccio della terra d'onde l'uomo non possa salire al cielo» ...subsilire in caelum ex angulo licet (Ad Lucilium, XXXI). M,a si, chi si chiude al mondo, nessuna delle mondäne voci ascoltando, sarä beato e acquisterä quello stato felice che proviene dalla saggezza. « Per diventar savio, basta che si chiudano le orecchie — si cluseris uures — e non basta turarle con la cera, che bisogna impegolarle e di piü forte pegola che non f u quella con che dicono che Ulisse turö le orecchie ai suoi compagni ». (Ad Lucilium, XXXI). In quanto al terzo punto (farsi signore della Morte), puoi la morte tranquillamente guardare in viso « pereiocche che importa o che tu non cominci, o che finisci, essendo che dell'una e dell'altra di queste cose l'effetto sia il non essere? » (Ad Lucilium, LIV). Insomma, si guardano le stelle per fuggire la terra (evasione), si eonsiderano come non esistenti — perche caduche — le varie 6orta di beni (deformazione delle cose), si rinchiude lo spirito in se medesimo per non sentire la vita dei mondo (autoinsensibilitä), non si teme la morte perche quando essa e in noi, noi non siamo, o siamo come eravamo in prima dei nascere (logica e pseudologica) ...Belle e austere finzioni che ingannano l'ingannatore stesso... e con ciö adempiono l'altissima loro missione. /) E infine, si ascoltino le parole di quella Donna « dagli occhi che molto piü di lontano scorgono che gli uomini comunemente scorgere non possono » che —- illuminando di sua luce il nero ergastolo di Bioezio — all'imprigionato si fa accanto per dargli consolazione. Nel De consolatione philosophiae — nuovo Evangelio tra quelli che furono scritti a sollievo, s : a pure fittizio, degli incarcerati nella prigione dei mondo — troverete infatti ancora una volta come si ponga rimedio ai
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m a l i che ci affliggono, compresa l'angoscia prodotta dalla morte che ei avvicina, grazie a questo o a quello dei balsami di cui giä abbiamo dato indieazione. Ecco qualche esempio. Deformando le cose, innanzi tutto, vedremo le scene e le umane figure che ci stanno intorno, in modo che non pungano o feriscano: 10 splendore delle pietre preziose e di tutti i doni della Fortuna, come mai potrebbero tanto attirare gli uomini quando si pensasse — oltre che si tratta di cose caduclie, ieri od oggi a te date, ma domani probabilmente tolte — che esse sono cose materiali «le quali mancano del mov'mento dell'anima (carens animae motu) ne possono perö tirare a se gli occhi e lo spirito di chi, come l'uomo, h a un'anima? » (Libro II, prosa V). Blellissimo sofisma, come si vede. Se ne ascolti un altro: ti manca il modo di vestirti con abbl'gliamenti splendidamente ornati (variis fulgere vestibus) e di c'ö ti lamenti? « Pensa che l'ammirazione che a cotali cose si porta non va all'uomo ma alla veste...» Continuando, attraverso il brillare degli utili sofismi, troveremo: « Ti fa difetto la turba del servidorame (longus ordo famulorum), e porti invidia a chi ne e circondato e seguito? Pensa che cotal gente e dannosa Sorna della casa e nemicissima del padrone » (ipsi domino vehementer inimica... Libro II, prosa V). Qui le cose non sono deformate che rispondono a veritä, ma vengono artatamente guardate da speciale angolo. Persino la notorietä e la fama di cui p u r ogni uomo e avido, basta siano guardate sotto speciale luce perche vengano viste e sentite quali pure illusioni; piccole, deboli e vane cose le quali anche se empissero di se la terra intera — e questo mai accade, perche notorietä e fama si restringono a questo o a quei breve territorio — non farebbero che occupare un punto soltanto deH'immenso spazio Celeste; anzi, un punto di siffatto punto (in hoc minimo puneti quodam puncto), poiche nel circuito della terra stanno luoghi immensi non abitati e in cui, per questo, notorietä e fama non possono avere abitaz'one. Un punto di un punto! Picciole, deboli e vane cose, per quanto tu ti llluda debbano esse rendere imperituro il tuo nome nei secoli; « se tu agli infin'ti spazi le agguagli dell'eternitä, che cagione hai di rallegrarti della lunghezza e duramento del nome tuo?... Sieche anche fama di lunghissima durata, in ultima analisi, e veramente di durata nulla »... non parva, sed plane nulla (Libro II, prosa VII). D'altra parte — e ancor continuando — ti dä molestia e amaramente ti disillude 11 vedere te stesso privo di ogni onore e car'ca mentre altri se ne adorna e se ne mostra vago? Pensa che «cotali dignitä e potenze 6i
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abbattono di solito a cadere in persona malvagia... (in improbissimum). Accade varissime volte (quod perrarum est) che le dignita e le potenze si diano agli uomini buoni e dabbene e ancora in tali casi chi e che ben le usi? » (Libro II, prosa VI). Ammesso che in realtä cici sia, e che non si tratti di semplice deformazione — sia pure parziale —• delle cose, cosi ragionando e chiaro che viene in soccorso quella «logica» che giä piü volte vedemmo apparire tra gli infingimenti dell'autoconsolazione e che suggerisce: in te non possono cadere onori e dignitä in quanto non sei tristo o malvagio. Consolati, dunque. Infine, in luogo di sempre guardare f u o r i di noi e lontano, cercando e desiderando, si guardi e si rimanga in se medesimo: « E' possibile che non abbiate alcun bene, il quäle sia tanto proprio vostro (proprium vobis atque insitum bonum) e dentro di voi, che vi bisogni andar cercando dei vostri beni in cose non solo fuori di voi, ma da voi lontane? (Libro II, prosa V).
5. - I suggerimenti della filosofia indti. Chi intendesse lasciare, sia p u r momentaneamente, da parte i grandi sistemi di consolazione creati dalle non mortali pagine dei nostro mondo classico greco latino — cui siamo piü vicini — e da quelle dei piü antichi testi, troverebbe assai lontano da quel mondo altri Evangeli di consolazione o di benefica illusione consolatrice quando si volgesse verso il sole d'Oriente e in particolare, ad esempio, verso qualche grande pensiero, consiglio e suggerimento, dell'India saggia e filosofica. Come da luogo a luogo, lontanissimo l'uno dall'altro, e da secoli a secoli, le medesime sofferenze fanno nascere dall'intimo sentimento dell'uomo le medesime sorta di tentativi di liberazione! Ii magico pensiero d'Oriente codificava un grande principio liberatore e consolatore esprimendosi con la filosofia vedanta e con i canti di Asht'avakra. Sono i canti della saggezza (o pretesa tale) e dell'annullamento di ogni dolore, venuti fuori dall'intimo convincimento — Vera autosuggestione — che ogni cosa, ogni vicenda, ogni sentimento e cioe ogni vedere, ogni sentire, e semplice illusione. Qui il sistema di autoconsolazione non e cosi complesso come altri sistemi o sotterfugi, ma apparirebbe piuttosto univoco; cio non toglie — quando ben tal sistema sia entrato nello spirito de! sofferente— che si possa ren-
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dere efficace. Le sentenze filosofiche del Maestro, espresse nei venti canti dell'Asht'avakragita, sono per qualche discepolo indü cio che p e r qualche discepolo di occidente sono i grandi breviari consolatori di cui abbiamo fatto cenno; si tratta di una filosofia basata sulla p i ü assoluta deformazione delle cose, poiche di esse si nega l'esistenza medesima, filosofia derivata dalle lontane Upanisad e che il Maestro insegnava al discepolo assiso ai suoi piedi, sorta di segreto per gli iniziati. Liberazione, sapienza, perfezione, provengono fluide e limpide come acque di sorgente dal convincimento che la fantasmagoria delle cose variabili framezzo a cui viviamio e quella dei nostri sentimenti stessi sono falsamente perccpite inquantoche esse non corrispondono ad alcunche di reale e di obiettivo. « H a i mai visto in terra, attorcigliata, una fune che ti par serpente? Simile e il mondo esterno che tu vedi con i tuoi occhi, e pur quello interno dei tuoi piaceri e dei tuoi dolori: p a r cosa viva, ma tale non e » (I, 9). Ne consegue che « puoi liberarti da ogni errore coi pensare che la tua individualitä stessa non e che vana apparenza; cosi sarai liberato dalle percezioni dell'esterno mondo e insieme da quelle dell'interno animo t u o » (1, 12). Ti par davvero, quando guardi una perla o il lucente interno di una conchiglia, di vedere argento lucidissimo? Argento non e, ma illusione. P r o p r i o come la fune attorcigliata ti sembrava serpente. T i p a r davvero di veder cose e uomini tra i lontani vapori battuti dal sole? Cose e uomini non sono, sibbene miraggi. In ultima analisi, tutto cio che vediamo e sentiamo e illusione da noi stessi creata; questo mondo illusorio nasce da noi stessi « proprio come dall'acqua nascon le bolle di schiuma » (V, 2). Dalla convinzione di cio proviene uno stato di indifferenza di fronte ad ogni evento che, fuori o dentro, venga ad affliggerci — od anche a dar parvenza di piacere — indifferenza portante seco la vera felicitä «poiche il creato e pari al falso argento della madreperla. Ecco la veritä: e indifferente cosa il lasciare o il prendere » (VI, 3). E ancora: « Senza desideri io mi resterö, lieto e tranquillo e senza alcun attaccamento » (VII, 4). Invero, da che cosa provengono gli infiniti lacM ci che ti stringono e ti recano molestia e oppressione se non dagli errori in te prodotti dalle perpetue illusioni che, fuori e dentro, ti travagliano? Quelle illusioni fanno in te nascere sempre piü vasti e nuovi desideri; sappiti sbarazzare da quei desideri e da quei lacci. Ricordati che « il morire di ogni desiderio vuol dire libertä e che sol nel distacco dalla esistenza trovasi la gioia » (X, 4). In realtä, il sistema autoconsolatore espresso nel poetico e filoso25. - L'Io.
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fico testo di cui parliamo e soltanto in appareniza monocorde e cioe basato sul solo concetto della non esistenza dei mondo esterno che, sia per derivazione da quell'essenziale concetto, sia per altre vie, giungono al discepolo spiegazioni e suggerimenti di ordine vario. Ad esempio : conduce alla perfezione l'abbandonare ogni cosa mondana c il prefiggersi di non darsi ad attivitä alcuna, come pure il reputare ugual cosa piacere e dolore, odio e amore, speranza e scoramento, il fare e il non fare (IX, 1). Tutto sprezzando, come mai l'uomo non potrebbe trovare la pace? (IX, 5). E anche: finiamola una volta con le ricchezze e con ogni sorta di attivitä... « poiche gli e appunto a cagione di tutte queste cose che l'animo non puö trovar riposo nella impraticabile foresta dei mondo » (X, 7). In una specie di decalogo, d'altronde, la cui osservanza farebbe raggiungere la felicitä, il Maestro, che p u r si e mosso dal generale concetto della perpetua illusione, addottrinando il discepolo ben gli scolpisce nella mente — tra i vari precetti — consigli di questo genere: l'alternarsi delle umane vicende dipende dalla loro propria natura e se ben ti convincerai di ciö, sarai libero di dolore; se Sarai scevro di ogni brama, internamente Sarai tranquill o ; convinciti che fortuna e sfortuna, piacere e dolore, nascita e morte, non da te dipendono, ma dal destino e convinciti p u r anco che origine di ogni dolore e soltanto l'immaginazione, sicche liberandoti da questa ti starai «lieto, placido, felice e senza passioni ». T u , poi, qualora sappia ottenere completo isolamento in te stesso, « piü non penserai a ciö che fu fatto, a ciö che si fa, a ciö che si f a r ä ; chi sia convinto che questo mondo, pieno di tante apparenti meraviglie, nel fondo non e nulla, quegli riposerä libero da ogni travaglio della mente e dei cuore, come se egli nell'intero mondo fosse un nulla » (vedasi l'intero L i b r o XI). Non e tutta, la filosofia «liberatrice » vedanta, nelle massime di cui sopra, o analoghe; essa p u r poggia sul principio — potremmo dire — panteistico che Iddio e in tutto e che il tutto (compreso il mdo Io) e Iddio, proprio come l'onda e il mare e il mare e l'onda. Lo Spirito assoluto e, per cosi dire, frantumato nei singoli spiriti individuali, ciascuno dei quali subisce la magica e variopinta illusione di credere che dinanzi a se passano le cose e le avventure della vita e i sentimenti dei p r o p r i o animo. Ma appunto p e r tutto ciö, a quanto dicono siffatti credenti e come dice lo stesso canto consolatore, quando il paziente riesce a comprendere di trovarsi tutt'uno con Iddio, tale convincimento rende davvero assurdo e inconcepibile ogni desio verso le vane e
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vanissime parvenze: « I o sono il tutto. Ecco la persuasione in forza della quäle, liberandoti da tutte le illusioni, tu sarai felice » (XV, 15). Volendo, p e r qualche attimo ancora, sostare tra i saggi della filosofia indü, si dovrebbe riaprire quei f r a m m e n t o del M a h ä b h ä r a t a che va sotto il nome del canto del beato o Bhagavadgita. Vi si imp a r e r e b b e ancora una volta trovarsi tranquillitä e pace grazie a una filosofia della rinuncia e della insensibilitä. Quando l'uomo rinuncia a tutti i desideri che gli penetrano nel cuore, quando egli e in pace con Se stesso, allora egli e detto vivente in saggezza... Quando egli e irremovibile nelle meditazioni, e privo d'entusiasmo nei successi, quando egli h a vinto l'amore, la paura o l'ira, allora soltanto egli e detto vivente in saggezza... Se egli p e r nessuna ragione si commuove p e r beni o per pene, se egli non si rallegra e non si addolora, in lui la saggezza si e stabilita. Si dice, cioe: Chi non si turba e affligge E nell'opra
propizia
Ne mai nel dubbio Nella rinunzia
non si
nella
infesta
allieta
oscilla o non si
essenzial si acqueta
arresta, (1). (ottava 310)
Continuando i suoi insegnamenti, la filosofia consolatrice dir« come « gli oggetti si ritirano dinanzi all'uomo astinente; le affezioni dell'animo si ritirano dinanzi a colui che le ha abbandonate » e c h e t in altre parole, se vuoi non soffrire e vivere in saggezza hai da fare come la tartaruga quando in se stessa tutta si r i t i r a rendendosi per tal modo estranea alle cose e agli avvenimenti che la circondano. II consiglio suona ancora una volta cosi; « Viandante terrestre, cammina per la tua via senza desideri, e camminerai verso la pace ».
(1) Bhagavadgita (II canto del Beato). Episodio del Mahabhärata - ottava 310, Traduzione Kerbaker.
P A R T E SESTA
UAUTOCONSOLAZIONE DEI
DIVERSI
MODI
E DI
PER DI
RIDERE
MEZZO
SORRIDERE
CARITOLQ
PRIMO
RISO CONTEMPLATIVO E RISO ASSALITORE
Ricorrere, dunque, a una evasione che procura dimenticanza, o a ciö che abbiamo chiamato « deformazione », delle cose, oppure ancora ricorrere all'isolamento in se medesimi, o coltivare l'ottimism,o concreto o mistico, o invocare l'ausilio di quella autopersuasione che adopera la logica e la pseudologica dei ragionamento e delle cose per piegarsi alle cose stesse o, alla fine, accettare il dolore p u r cercando via di consolarsi per aver dovuto accogliere ospite tanto severo... ecco — come vedemmo — altrettanti sistemi, altrettante « f i l o s o f i e » , conducenti a vedere e sopportare la vita con a n i m o piü1 o meno rassegnato e consolato. P u ö venire anche in aiuto — p e r chi ancora non ha ini odio le carte scritte — la meditazione su quegli Evangeli dei dolore e dei rimedi al dolore stesso, di cui abbiamo fatto cenno poco so-< pra... Ma p u r esistono altri sistemi e altre « filosofie ». La filosofia, ad esempio ed in una p a r o l a , dei r i d e r e : e di um ridere, si noti, c h e prende i piü diversi aspetti p u r rimanendo sempre nel quadro dei riso. Yogliamo dire, e ancora in generale, di una filosofia che ride della vita e che al pubblico che sta intorno mostra come sia ridicola la vita stessa; una filosofia che della vita ride volontariamente, con ostinata e ricercata deliberazione. F o r m e variatissime assume tale atteggiamento, piü voluto che spontaneo, poiche quando sarebbe il caso di piangere, tale filosofia sorride e ride e va da un ridere che e semplicemente contemplativo di un mondo di cui si vuol ridere (e che, in veritä, non puö molte volte se non far ridere), a un ridere attivo, apertamente giocondo, p e r dire poi, infine, di quello che produce — in colui che e obietto di quel riso — ferite non guaribili e cioe riso di Vendetta e persino di veleno. Facciamo dunque qualche rassegna, p r e m e t t e n d o alcunche.
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sesta
1. - Due aspetti (consolazione e « scarica ») del ridere. La filosofia del ridere, liberatrice e consolatrice, puö essere adoperata e vista, volta per volta e secondo i casi, sotto due aspetti (senza dire delle sfumature intermedie) come segue. Da un lato, quella filosofia viene a collocarsi pienamente in quei sistemi di autoconsolazione di cui andiamo discorrendo e che intervengono allorche ogni p i ü o meno diretto soddisfacimento e reso impossibile (da cui uno stato di molestia, di amarezza, di dolore, che e forza allontanare) e si ride o si cerca far ridere, allora, delle cose della vita, semplicemente per non esserne ferito e mutare il volto di esse. D'altro canto, quella filosofia, pur formando piü o meno innocente autoconsolazione, puö presentarsi e prendere posto nei veri e propri sistemi — assai p i ü indietro indicati — di « scariche » äffettive dell'istinto compresso ma liberantesi in forme travestite; il riso di scherno, per esempio, diventa vera e attiva azione di Vendetta, per quante Vendetta non materiale ma semplicemente verbale, anche se jllecita e illegittima. Quei vendicativo riso di scherno, inoltre, se si concreta in una forma che prende, con la prosa o la poesia, il volto dell'arte, diventa una di quelle trasfigurazioni di un profondo istinto o di un profondo risentimento che si getta in quella via di uscita per non poterne o volerne prendere altra. In ogni caso, si tratta di un ridere e di un far ridere per difenderci e per assalire e soprattutto per non piangere : quando ridiamo, gli altri rideranno con noi... allora che piangiamo, jnvece, siamo soli a piangere.
2. • Avvertenze. a) Del riso e del sorriso — occorre dirlo? — si danno tante e cosi diverse forme e tanti e cosi diversi motivi e meccanismi, che sarebbe forse inutile sforzo il tentare unica e definitiva definizione e unica spiegazione; in ogni modo, sarä necessario ben Stabilire, per quanto possibile, di quäle forma del ridere o del sorridere si intenda trattare. Ecco, poniamo, lo spontaneo atteggiamento sorridente della beatitudine fisica o di quella erotica, o il sorriso di compiacenza nell'atto di autoammirare se stesso, o il sorriso quasi estatico dell'ammirazione per altri o p e r bella cosa che piaccia, o quello ancora che par voglia
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accarezzare la persona con cui si p a r l a (il sorriso che ognun fa quando rivolge la parola al bimbo). Vi e anche il sorriso che potremmo chiachiamare imbarazzato, che sfiora le labbra, accompagnato il piü delle volte da una specie di gorgheggio o di singhiozzo e che si manifesta, soprattutlo nei timidi, in momenli nei quali cerca il timido di difendersi o giustificarsi, sorpreso o circuito da situazioni imbarazzanti. Senza dire, poi, di quello esprimente benevolenza o semplicemente il piacere che si prova nell'incontrarsi con persona cara e amica. D'altra parte, passando dal sorriso al riso vero e proprio, ecco il riso aperto e schietto (ilaritä) che e in noi suscitato da un qualche di comico o ecco, per contro, il riso amaro e sarcastico che diventa critica e beffa, per non dire di altre forme ancora dei ridere. 6) Alcune forme dei sorriso e dei riso —• indicate o non indicate qui sopra — sono spontanee e in noi suscitate dalle cose e dagli uomini che ci stanno d'intorno o che si affacciano al nostro pensiero; altre invece son volute e quasi artificiose poiche — staremmo per dire — non e l'esterno mondo che crea in noi direttamente i motivi dei ridere e dei sorridere, ma siamo noi stessi che in noi stessi formiamo taJi motivi proiettandoli poi all'esterno. Dei quali processi vedremo eeempi non pochi. c) Quando tanti valentuomini si sono occupati con specifica competenza dei sorridere e dei ridere in ogni loro forma, trattando il tema cosi nel campo della fisiologia e della fisiopatologia come in quello della psicologia, dell'arte e persino della filosofia, sarebbe troppo audace cosa riprendere a parlare di tale soggetto e perö ci guarderemo bene dall'entrare nel vivo di tale argomento. Invero, ecco con la sua monumentale opera: II riso in fisiopatologia, ecc. (Napoli, 1941) Tommaso Senise trattare il problema da fisiologo e da psichiatra; lo psicologo inglese A. Bain aveva p u r visto il tema da psicologo, come pure aveva fatto Teodoro Lipps e come piü recentemente fece Laurent Dugas nella sua Psychologie du rire. T h . Ribot ne dirä nella sua Psychologie des sentiments e Sully James nel suo saggio sul riso. Kraepelin ne aveva parlato, ma da psichiatra, riserbandosi poi Sigmund Freud di ricavare dalla propria immaginosa fantasia scrutatrice alcune osservazioni in materia analizzando, in ispecie, il tratto di spirito. Non si dimentichi Th. Piderit che tratto, da psicologo, dei riso nei riguardi della espressione, scrivendo di fisiognomonia; medesimo tema e ben trattato dal nostro Giuseppe Ovio. T r a i filosofi, Herbert Spencer non disdegnö trattare il tema e poi H e n r i Bergson nella no-
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tissima sua opera, per quanto non eonclusiva (ma e possibile concludere su tema tanto complesso?), toecö importantissimi punti del soggetto con acume psicologico e filosofico, per non dire anche delle pagine di Georges Palante, psicologo e filosofo della vita sociale, di spir i t o originale. D'altra parte, da psicologo artista aveva scritto Charles Baudelaire nel suo abbozzo De l'essence du rire• Tra noi vollero esprimere il loro pensiero sul riso e sul ridere (il comico, l'umorismo ecc.) uomini dalle piü varie culture e dai piü vari atteggiamenti, come Ruggero Donghi, Giorgio Arcoleo, Arnaldo Fraccaroli, il filosofo Filippo Masci (nella sua Psicologia del comico), Tullio Massarani, E n rico Nencioni, Paolo Mantegazza, Gaetano Trezza e recentemente (in particolare per lo studio dell'umorismo nei Promessi Sposi) Vincenza Reforgiato e Attilio Scarpa. Si aggiungano i nomi dello psichiatra G. Montesano e di A. Piccoli-Genovese che faceva rassegna critica e intelligente delle varie dottrine sul riso nel suo: II comico, Vumore e la fantasia, per tacere di altri, naturalisti, letterati, artisti, che avremo occasione di citare nelle pagine seguenti. Per nostro conto, dunque, senza azzardarci a por mano al complesso problema, ci limiteremo a guardarlo dall'angolo visuale del nostro soggetto e cioe diremo del sorriso e del ridere in quanto fenomeno di autoconsolazione, come giä fu indicato nella nostra Memoria del 1932 (« Rivista di Psicologia », Btologna, n. 3-4). Distinguiamo, intanto, i due estremi di una filosofia del ridere o autoconsolazione per mezzo del r i d e r e ; la conteplativa e l'aggressiva... senza escludere ogni sorta di sfumature tra queste due estreme tinteE diremo dapprima delle forme da potersi considerare come «contemplative », o vicine a queste, la quäle filosofia contemplativa del ridere o del 6orridere raggiunge agevolmente il suo fine per diverse vie di cui eccone una, tanto per cominciare. Prendere, cioe, atteggiamento che consideri la vita, e anche ee medesimo, null'altro che con umori«>mo. Ma che cosa e umorismo?
3. • Riso ccntemplativo: l'umorismo... forma sorridente della rassegnazione? Molto si e detto e scritto in proposito (1) cercando definizioni p i ü (I)
Tutto un libro e stato dedicato alla definizione dell'fcumour da F . B A L D E N Les definitioru de l'humour, Paris 1907; rimandiamo ad esso il lettore»
SPENCEB:
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o meno inutilmente, e interpetrazioni eausali. Qualcuna di esse poträ servire a illustrare il nostro tema? Disse taluno che l'umorismo e un'arte di vivere (Harald Höffding); anzi — diremo noi — e modo di sopportare la vita. Altri mette in evidenza essere l'umorista uno spettatore disinteressato il quäle, p r o p r i o perche disinteressato, giudica spogliando di ogni sentimento e di ogni affettivitä le cose e gli uomini da giudicare (J. Sully), da cui la visione umoristica dei mondo e di se mesedimi; anzi — diremo noi — si tratta di uno spettatore che finge (non solo verso gli altri, ma anche particolarmente verso se stesso) di essere disinteressato... ma che non e tale; che se cosi fo6se... non farebbe l'umorista. Ancora un altro inganno? Altri, poi, tiene con ragione a far vedere, definendo, quanta amarezza si nasconda sotto l'atteggiamento dell'umorista (questi crea in tal modo, non dimentichiamo, una difesa contro l'amarezza stessa, il che non e sempre stato detto) e perciö 6i sentenaiö che l'umorismo e la serietä dissimulantesi sotto lo scherzo (A. Schopenhauer). Fu anche suggerito — meno brevemente — che l'umorismo e la « malinconia di un'anima superiore che giunge a divertirsi di ciö che la rattrista; l'atteggiamento grave di chi confronti il piccolo mondo finito con l'idea infinita; ne risulta un riso filosofico che e misto di dolore e di grandezza » (Gian Paolo Richter). Assai bene fu pur scritto che l'umorista e colui il quäle, essendo giunto a scoprire il Nulla dei Tutto, ridendo si vendica della Nemesi che lo condanna (G. Trezza). Ma a proposito di quel « r i d e n d o » occorre aggiungere che si tratta di un riso impercettibile profilantesi su un viso che p a r impassabile, il viso dell'uomo —- come dicevamo — che si disinteressa delle esterne ed interne vicende; un riso interno, e silenziosamente interno. Altri, infine, vede nell'umorismo — e ciö torna di appoggio alla nostra tesi — l'atteggiamento di chi sentendo il male e l'ingiustizia delle cose e degli uomini, cerca di togliere tutto il veleno contenuto in tale triste accertamento ricorrendo umoristicamente a una bonaria conciliazione tra il male e l'idea di bene, tra l'ingiustizia e l'idea di giustizia, in modo che l'offesa si scolori e perda il suo acido; l'umorista, cosi, tenta conciliazione, dicevamo, e sempre la trova o... finge trovarla. L'analfabeta trionfa? Giustissimo... perche le zueche rimangono sempre a galla. Trionfa l'omicida, e il ladrone si fa gran signore? Si tratta di me6seri, pieni di dottrina, che sanno a mepur notando che non si tratta in esso dei modo di vedere e comprendere qui d» noi presentato.
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moria le pagine naturalistiehe della lotta per l'esistenza e a cui occorre fare tanto di cappello. Oppure (altra definizione) : forma di pessimismo piü o meno triste e profondo, che riesce ad abbozzare un sorriso interno; per lo ehe fu detto essere l'umorismo essenzialmente subiettivo nel senso che non e tanto la Cosa esterna, presa in considerazione dall'umorista, che e comica in se stessa e che suscita l'atteggiamento umoristico, quanto lo spirito di lui che mette nelle cose l'umorismo. Vedremo, del resto, che tale posizione di subiettivitä si trova piü o meno evidente ed efficace in tutte quelle forme del sorridere e del ridere, sino allo schernire, che sorgano da motivi intrinseci, piü o meno coscienti, di autodifesa. Comunque sia, da tutto ciö risulta un sorriso che non e aggressivo ma, diremmo, contemplativo e quasi bonario, o piuttosto: rassegnato. Svanisce quella realtä che, mostrata come realmente e, recherebbe molestia e sofferenza. Quando Renzo, di ritorno dall'aver visitato l'Azzeccagarbugli va dicendo: « A questo mondo vi e giustizia finalment e ! », il Manzoni che di umorismo se ne intendeva aggiunge: « Tant'e vero che un uomo sopraffatto dal dolore non sa piü quei che si dica ». Severa condanna, i n tranquilla forma umoristica, senza iperboli e senza grossi aggettivi, della perenne ingiustizia — di ieri, di oggi, di domani — che regola tante cose di questo mondo.
4. - Ancora un riso contemplativo: la vifa vista come una caricatura e una commedia che fa ridere. Modo di guardare la vita (ai fini dell'autoconsolazione) che potrebbe considerarsi affine al precedente pur senza confondersi proprio con esso, sta nel vederla in caricatura e nel darsi continuamente tale compito sino a convincersi, o quasi, della veridicitä assoluta di siffatta visione: uomini e cose che ne circondano, cioe, non sono che caricatur e ! E se caricature, quäle importanza potrebbero mai avere? D'altra p a r t e e pur da dirsi che p u ö la vita, a titolo di autoconsolazione, essere da noi considerata come semplice commedia. Invero, se — come f u detto —• la vita dell'uomo considerata nel suo complesso e una tragedia, considerata nelle sue sipgole parti e una commedia (Neue Paralipomena, 318); la vita del giorno — si leggeva nelle stesse pagine — l'afflizione dell'istante, il desiderio e il timore della settimana, la
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contrarietä di ogni ora, sono vere scene da commedia. Potremmo per nostro conto aggiungere: ancora sono scene da pesante caricatura o da semplice commedia molte buffonerie che gli uomini compiono seriamente o facendo credere al pubblico di far sul serio; cosi stando le cose, tanto piü riuscirä facile ricorrere a una voluta deformazione che p e r no6tro uso interno e per nostra autoconsolazione noi facciamo dei personaggi, delle cose e degli ambienti che ci affliggono e ci perseguitano. Guardando, allora, trasformiamo nel nostro intimo quelle visioni e quelle scene in caricatura e in commedia e come tali le consideriamo.
a) Vna parola sulla « caricatura». La vita, cioe, con le sue grandi e piccole battaglie — fatte per dare tanto dolore e infrangere tante illusioni — con i suoi grandi e piccoli uomini in aspra contesa tra loro, viene da noi deformata in modo, quasi, che perfino una tragedia o un'epopea si trasforma e deforma n e l . la Batracomiomachia omerica. II metodo, coscientemente o no seguito per ottenere deformazioni di tal genere, e quello stesso che e adoperato dal disegnatore o dal narratore per disegnare o presentare caricature di personaggi; si pongono in evidenza, fortemente calcando, i tratti anomali quasi che essi costituiscano l'intera figura o l'intero oggetto da mettersi in caricatura; si abbassa ciö che e in alto sino a farne far caduta in basso o, viceversa, si finge conferire alta dignitä a ciö che e di bassissimo conto... dei che e inutile qui dire avendo di tutto ciö fatto larga trattazione altrove con particolare riferimento alla tecnica per mezzo della quäle nella letteratura narrativa si fa descrizione, diremo cosi, caricaturale dei personaggi (I). Come una caricatura, dunque, vediamo la vita o fingiamo con noi stessi vederla... Quindi, come mai potremmo noi sentirci ferire da cose talmente grottesche e risibili? Come mai potremmo dare importanza a siffatte risibili e disprezzabili cose e occuparcene? Rimangano pure nel loro scomposto mondo di caricature! Non occupuparsene e, al tempo 6tesso, allontanarsi da esse, non vederle e togliere loro ogni potenza di nuocere. Non basta, poiche per altra fönte ancora agisce — quäle consolatrice — la voluta deformazione in caricatura delle cose che ci affliggono: quella (I) N e l capitolo consacrato alla caricatura, nella nostra opera, ancora inedita, su II volto e la persona nelfarte, nella scienza, nel segrtalamento giudiziario; descrizione e interpetrazione•
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se sta
caricalura, sia pure posticcia e di cattiva lega, costituisce la Vendetta di colui che degli uomini e delle cose sente la ferita, e ogni Vendetta e portatrice di un sollievo (proprio cosi) che dä un po' di aria respirabile a chi ha l'impressione di soffocare. b) Ma il «ridicolo » e — in tal caso — nel nostro occhio. Non ci si faccia illusioni: il ridicolo, in questo caso, e non tanto nelle cose quanto e soprattutto (come diceva La Bjruyere nei suoi Jugements) nel no6tro occhio... « le ridicule reside dans l'imagination de ceux qui croient voir le ridicule oü il n'est point et ne peut etre ». In ogni modo, colui che ride — anzi, colui che vuol ridere — per partito preso, degli uomini e delle cose, mette se stesso ben sopra gli altri e sopra le cose, guardando dall'alto e cosi affermando (non fosse altro che ai propri occhi) la propria superioritä. Ne scaturiscono il cercato senso di sollievo, l'autoprotezione, l'autodifesa. Non senza ragione qualche nostro acuto studioso ebbe a sentenziare che il riso spontaneo e affermazione della propria individualitä autonoma; e qual compiacimento — aggiungiamo noi — dä a uno spirito che si sente offeso tale affermazione della propria individualitä! « I n psicologia, fa notare quell'Autore, le espressioni con le quali il soggetto afferma la propria individualitä autonoma rappresentano altrettante liberazionl e manifestazioni esteriori, dalle quali il singolo trae una maggior coscienza di se e un istintivo senso di piacere » (1). In altri termini, diremo che se il sentirsi superiore produce un senso di piacere che si manfesta coi sorridere, e altrettanto vero che il porsi da se medesimo (a torto o a ragione, e piü spesso a torto che a ragione) sopra gli altri o 6opra le cose e gli avvenimenti, conduce al sorridere o, meglio, 6i sorride — degli altri, delle cose e degli avvenimenti — per far vedere che si e superiori a tutto ciö che ne circonda. Giä potremmo giungere (a proposito dei vari modi di sorridere che per autoconsolazione cercano sfigurare le cose della vita) a una prima conclusione. Si pensi, cioe, a quei detto: « c h i ha coraggio di ridere e padrone del mondo si, ma si aggiunga che sarebbe stato forse meglio dire; «chi impara a ridere e padrone del proprio m o n d o »
(1) A.
PICCOH-GENOVESE,
Opera citata, capitolo I, p. 18.
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e perö non dei mondo esterno (il quäle, in ultimo, sempre ride di noi e dei nostro finto ridere), ma dei proprio mondo interiore, Vale a dire, dei Castello delle riostre illusioni. Ii ehe, comunque sia, e giä gran cosa.
5. - Filosofia dell'ironia. Di una « filosofia dell'ironia » scrivevamo altrove e da tempo (permetta il lettore questo ricordo) a proposito dello scoraggiamento che aveva colto un dato parfito politico poco tempo dopo il trionfo dei partito stesso, inquantoche uomini e cose si erano alla fine presentati — dopo la vittoria — con un volto ben diverso da quello che si era creduto durante la battaglia o si era sperato dovessero essi avere. Da cui, negli animi di molti, disillusione e sconforto. Come difendersi? P e r mezzo di un atteggiomento ironico verso quegli uomini e quegli avvenimenti. E d ecco allora l'ironia affacciarsi ed imporsi come critica e autoconsolazione. Diventa essa « l'espressione piü, pura, p i ü filosofica, piü sana, dei sentimento e della critica individualista. Diventa la difesa dell'individuo contro le perpetue e necessarie disillusioni che dä la contemplazone della vita sociale... L'individuo, infatti, ha uno scudo, un balsamo, una armatura d ' u n pezzo, che sapranno difenderlo dai colpi spietati che il dolore e lo sconforto tentano recargli. E' l'ironia! E' la contemplazione ironica della vita sociale, dei conflitti sociali, dei conflitti individuali... E' certo che esistono nella - vita sociale e nelle varie forme psichiche che formano la vita dell'animo, conflitti e opposizioni irreducibili. II contrasto, ad esempio, tra le aspirazioni o le promesse dell'individuo quando e da questa parte della « b a r r i c a t a » . e quelle dello stesso individuo non appena 6ia passato dall'altra parte della « b a r r i c a t a » , e perpetuo e irriducibile; il cuore dell'uomo che contempli tale contrasto senza essere armato dalla filosofia e dalla morale della ironia, e un cuore che 6anguina. E l'uomo, se vuo] vivere senza troppo soffrire, ha pur da trovare una consolazione, come difesa a tali eterne, molteplici, irreducibili contradizioni inerenti alla natura delle cose. Ecco allora sorgere la filosofia dell'ironia: la concezione ironica della vita; filosofia e concezione che costituiscono un punto di vista intellettuale per mezzo dei quäle l'individuo, cosciente delle contradizioni dolorose che entrano a far parte dei giuoco dell'Universo e della Societä, si disinteressa di tale giuoco, o almeno si rifiuta di prendere sul serio tale
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giuoco ambiguo in cui tutte le forze sono necessarie e perciö, in un certo senso, legittime ». « P u n t o di vista. come si vede, assai particolare, che difficilmente intere masse di uomini potrebbero adottare; punto di vista tutto individuale, riservato ad essere concepito ed accarezzato da pochi individui soltanto, da pochi filosofi contemplativi i quali si rinchiuderebbero nel tempio d'avorio della loro filosofia ironista mentre tutt'al1'intorno ferverebbe la guerra. striderebbero i contrasti dei contrari e perpetuamente 6i rinnoverebbero gli scenari delle disillusioni » (1).
6. - Da! riso contemplativo al riso assai itore. Vorremmo insino da ora notare come l'uomo che vede in caricatura la vita (o finge con se stesso di vederla tale) puö avere siffatla visione a propria compagna quotidiana dei suoi pensieri e del suo sent i r e rimanendo nel campo chiuso del sorriso (o del riso) contemplativo, ma se egli rende esterna quella sua autoconsolazione per mezzo della parola o dello scritto, chiamando il pubblico o i vicini a contemplare la sua opera d'arte e quasi a farne parte, il sorriso o il riso — ancor piü efficace, quest'ultimo, quäle consolazione — si fa da contemplativo e quasi interno, attivo e assalitore. Iia caricatura delle cose e degli uomini non e presentata soltanto dall'autore a se stesso, ma e proiettata su uno schermo a disposizione di ognuno che passi. Quando quei Jules Valles di cui giä avemmo occasione di dire, spirito acre, insofferente e vendicativo, scrive la propria autobiografia o quasi, ogni personaggio profilato sulla scena di quella vita e furiosamente deformato in atroce caricatura, cosi nei tratti esterni come negli interni r l'uomo ch'egli vi mostra, anche sc porta nome notissimo e grande, non e un uomo. ma una zucca, una pipa di coccio, un muso da faina, un chiodo... e via dicendo (2). II narratore, malcontento di se, di tutte le ore della sua giornata, di tutte le giornate della sua esistenza, e 6opratlutto attediato da ogni volto che gli passa accanto, abbassa ognuno di quei volti denigrandolo sino alla caricatura e dä in tal guisa sfogo alla propria sofferenza. (1) A . N I C E F O R O , Parigi: una cittä rinnovata. Torino, 1911, p. 3 8 0 . (2) Alludiamo alle pagine de L'insurge, di cui giä avemmo occasione d i dire nel cap. II della IV parte della presente opera.
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Si tratta, dunque, di un riso — ancor esso voluto da chi ride il quäle, piü che essere un intimo e valido mezzo con cui noi, quasi confabulando con noi stessi, giungiamo al disprezzo delle cose e al nostro allontanamento da esse, si fa essenzialmente, o piuttosto, tagliente arma di offesa pur rimanendo intatte le sue funzioni di autoconsolazione. Yogliamo, in tal caso, deridere e vogliamo anche che gli alt r i ridano in viso agli uomini e alle cose cui diamo assalto. II riso, allora, diventa il mezzo per via dei quäle cerchiamo ottenere il soddisfacimento dei nostro profondo desiderio, materialmente irraggiungibile, e che mai realmente poträ tradursi in atto, di assalire, colpire, annullare e spegnere tutto ciö che a noi e, o appare, nemico o rivale. (il rivale e considerato, di solito, peggio dei peggior nemico). Federico Nietzsche (Cosi parlö Zarathustra) diceva: Chi vuol uccidere perfettissimamente, ride. Non con l'ira, bensi col riso si uccide (III, paragrafo 34). II nostro riso, allora, si fa direttamente sentire agli uomini e alle cose che ci stanno intorno e che con esso vogliamo percuotere; nel qual caso, in una di quelle sue tante forme che prendono colorazioni diverse, puö dare al nemico immateriali ferite che, a differenza delle materiali e visibili, mai si cicatriazano. T u t t o puö dimenticare — disse qualcuno — un uomo, dalle offese ai piü, brutali colpi che gli vennero inferti, ma non mai parole di scherno che lo esposero al riso dei pubblico. Due estremi, dunque; dal sorriso contemplativo, sia pure leggermente beffardo, a cui noi volutamente ci diamo piü per nostra jntima soddisfazione e per contemplazione della vita che per mostrarlo ad altri, al voluto riso cattivo che par voglia far concorrenza all'arsenico o al pugnale. Un riso, ripetiamo, che parte da noi per nostra deliberata volontä, e non dalle cose. Ma tra i due estremi (riso contemplativo e riso assalitore) vengono a disporsi in gran numero le piü varie sfumature: dal sorriso, cioe, quasi silenzioso e interiore o che appena sfiora le labbra e di cui abbiamo detto, si va al riso aperto che giä appare rampogna e ritorsione, all'ironia (anche apparentemente bonaria), al sarcasmo e poi alla beffa verbale che sghignazza e schernisce. E cioe, in questo riso attivo che offende, e con l'offesa difende l'autore suo, e ogni sorta di gradazione dell'offesa. Yerremo subito a dire di siffatte sfumature, ma sia p e r il momento consentita qualche necessaria parentesi.
26. - L'Io.
CAPITOLO
SECONDO
RICETTARIO, SCOPI ED EFFETTI DEL RISO P r i m a di continuare vorremmo dire qualcosa — sia pure f r a parentesi — che da vicino tocca e illumina il nostro soggetto. Chi ricorre a l l ' a r m a di difesa e di offesa di cui stiamo discorrendo, per allontanare se stesso dalla vita o addirittura per assalirla, h a a disposizione sua i p i ü vari mezzi che, sebbene non sia qui il luogo di f a r passare in, specifico esame, m e r i t a n o non di meno di essere brevemente accennati. Mezzi vari e molteplici : basti pensare, poniamo, che l'uomo (quell'uomo stesso formante il m o n d o di cui dobbiamo ridere) se f u da qualcuno contrassegnato dalla nota definizione: essere il solo animale che r i d e (ma e proprio vero?), potrebbe meglio venir definito come il solo animale che veramente faccia ridere. Ridere, ben 6'intende, tanto nel senso di un riso che sia tale p e r d a w e r o (riso provocato d a l l e cose stesse), quanto nel senso di un riso che e tale (riso volontario) sol per evitare il pianto. Orbene, non esiste forse una serie di norme, o dettami, o consigli — stiamo per d i r e : un ricettario — che insegni il modo di rider degli altri e d i f a r ridere? U n a specie, dunque, di tecnica del far ridere? Alla quäle, coscientemente o no, ricorre tanto la pura e semplice autoconsolazione, quanto la trasformazione del profondo istinto aggressivo in espressione v e r b a l e : trasformazione che essa p u r e — come ved e m m o — e un soddisfacimento, sia p u r e parziale.
1. - Da Cicerone e dal Castiglione ai moderni. Cicerone nel secondo l i b r o del suo De oratore non dava giä consigli sul modo — da p a r t e dell'oratore — di destare il sorriso e il riso a spese degli uomini e delle cose che l'oratore doveva d i m i n u i r e o prendere in dileggio? AI proposito, anzi, si distende egli su tutta una
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trattazione dei riso e dei ridere ehe psicologi, fisiologi e anche filosofi non dovrebbero ignorare, trattazione che distingue cinque punti dei problema, ancor oggi materia di non chiuso dibattito. Unum-, quid sit (che cosa e il riso); alterum : unde sit (da che cosa e prodotto); terlium: sitne oratoris risum velle movere (conviene all'oratore di provocarlo?); quartum: quatenus (e in quali casi?); quintum-, quae sint genera ridiculi (quali i diversi generi dei ridicolo e dello scherzo?). Del resto, non occorre aver sott'occhio un trattato di retorica per arrivare a scoprire a quali meccanici artifici dei dire e dei comporre ci si possa rivolgere per destare il riso; lodare le cose biasimevoli, biasimare scherzosamente le cose lodevoli, parlare con gravitä delle cose futili (come fa il poema eroicomico), adoperare espressioni volgari p e r parlare di cose nobili e cioe servirsi dei contrasto tra forma e sostanza, ecc... Vale a dire — si noti— che e da ricorrere a una vera e prop r i a contraffazione delle cose e degli uomini, come giä accennammo parlando della caricatura. Le vivaci e sempre fresche pagine, deliziate da cento aneddoti, che Baldassarre Castiglione componeva nel secondo libro dei suo Cortegiano, formano giä antica esposizione di tale tecnica. Si fa ridere, si legge in quelle pagine, quando ben si morde, al che si perviene quando con oneste parole si nomina una cosa viziosa... o ricorrendo all'ambiguitä, ai doppi sensi, ai bisticci, ai motteggi, ai contrapposti, alle comparazioni ridicole, alle riprensioni dissimulate, ai detti contrari, alla simulata ingenuitä e alla schiocchezza, al fingere di non ridere. II nostro Messer Baldassarre sarebbe, per avventura, un vero precursore — dimenticato — di quel filosofo dei nostro secolo che descrisse, proprio con un suo volume sul ridere, una specie di tecnica dei riso, e cioe dei modo di f a r ridere? Nel ricettario bergsoniano, infatti, si additano vecchi e nuovi sistemi: storpiare, com e diremmo noi, le cose, 6ia portandole dall'alto al basso (e cioe dal solenne al famigliare), sia viceversa; parlare delle piccole cose come se fossero grandi; esagerare o d e g r a d a r e ; vedere le persone come se fossero cose e, anzi, come se fossero « meccanizzate » (si pensi alla compassata e comica serietä dei Clown nel circo); ripetere automaticamente gesti e parole e insistere su tale ripetizione; adoperare movimenti e pensieri che sono propri a un dato ambiente (professionale, poniamo) nel mo6trare personaggi e cose di altro ambiente; attirare improvvisamente l'attenzione su qualche prosaico particolare dei fisico di una persona quando si bada o si dovrebbe b a d a r e solo al morale di essa ecc. ecc... Certo e che l'uomo desideroso di ridere o far ri-
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dere delle cose della vita e di vendicarsi di es6e facendo sorridere gli altri a proposito di esse, poträ tenere sott'occhio tale o tale altro paragrafo dei sopradetti ricettari.
2. - Una speciale ricetta: formazione e deformazione delle parole nel tratto di spirito. In un ricettario del genere possono anche figurare quei sistemi, quasi meccanici e automatici, di formazione e deformazione delle parole — nel parlare — di cui hanno discorso p i ü volte psicologi e psichiatri nel trattare dei cosi detti «tratti di s p i r i t o » . Clonsiderare, infatti, persone e cose in mezzo a cui viviamo facendole di continuo passare sotto il piü o meno diafano velo di una serie di tratti di spirito, porta un colorire il panorama della vita con una continua tinta comica e si rientra, per tal modo — volendo o no — nel nostro riso difensivo e di consolazione. Gli psicologi e gli psichiatri di cui sopra, tuttavia, non vedono nel tratto di spirito (in cui possiamo noi, al contrario, ravvisare un tentativo di difesa, di offesa e quindi di autoconsolazone) la funzione or cennata, ma ben altro, conducendosi essi — possiamo dirlo? — in modo piuttosto spietato verso tale forma di spirito e in ispecie verso coloro che a tale forma di continuo si danno. La «spiegazione» portata innanzi dagli egregi anatomici del pensiero, non esclude affatto — a parte l'esagerazione di cui possa essere rivestita — la esattezza di cio che or ora dicemmo nei riguardi della funzione difensiva del tratto di spirito; ma quäle, siffatta spiegazione (da parte degli psichiatri)? Chi da presso aveva avuto modo di seguire le anomalie e le stranezze del parlare di certe categorie di alienati, aveva messo in rilievo la frequenza con cui costoro nel parlare si servono automaticamente, 6ia delle associazioni fra le piü singolari di idee, sia dell'assonanza tra parole, sia persino dello scambio di lettere e di sillabe nella stessa parola (J. Seglas); piü tardi gli « a n a t o m i c i » del tratto di spirito e del giuoco di parole o di simili acrobazie verbali, credettero vedere nell'intimo meccanismo del tratto di spirito le tre materiali caratteristiche or ora indicate (associazioni strane, assonanze, scambi di sillabe e lettere) e pur dando c o ä , senza volerlo, il ricettario per comporre tale modo di parlare, subito venivano alla conclusione; accostarsi i perpetui dicitori di tratti di spirito e di giuochi di parole a quei tali
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alienati — per la piü parte deficienti mentali — di cui giä si e detto. E documentavano come segue. Una pereezione — si disse — sveglia una appereezione che richiama alla coscienza tante diverse rappresentazioni associate; mentre il cervello sano sopprime e considera nulle le appereezioni o rappresentazioni contradittorie o che non s'accordano ragionevolmente con la prima e originaria appereezione, il cervello del deficiente non si dä affatto a tale cömpito di scelta e di sele-1 zione, ma si ferma ad esprimere questa o quella delle rappresentazioni associate o parecchie di esse, siano pure in contradizione; dalla quäle contradizione puö venire fuori automaticamente quei « g i u o c o » del pensiero e delle parole, o motto di «spirito», che suscita il riso. La medesima cosa accade quando l'individuo in questione si abbandona, nella sequentza delle parole che egli pronuncia, alla assonaniza, alla rima, allo storpiamento, a parole che hanno con le precedenti non un legame di senso, ma di rassomiglianza anche lontana: ne possono venir fuori una deformazione delle parole e una nascita automatica di immagini che suscitano il riso (Max Nordau, Deg^nerescence, Paris, 1894, I, p. 117 e segg.). Giuochi verbali di tal genere — insiste crudamente il citato Nordau — sono regola generale presso certi deficienti, e prova d'imbecillitä per quanto di sovente destino meraviglia, ammirazione e persino facciano ridere perche hanno aspetto di spiritositä. Checche ne sia, e cioe si accetti o non si accetti la cruda interpetrazione data dal paradossale autore di Degenerescence, resta per noi inteso che anche in quelle indieazioni si trova un ricettario per destare il riso, grazie al modo di associare. di ricorrere all'assonanza, di comporre (o scomporre) automaticamente frasi e parole. E perö e fuor di dubbio che quei modo di motteggiare, trasformando e avvilendo le cose e gli uomini, puö servire di difesa e di offesa ai fini di quell'autoconsolazione di cui stiamo discorrendo. Continuando, e da rammentare che la nota e piü recente analisi del tratto di spirito, dovuta alla sottile ma talvolta fantasiosa penetrazione di Sigmund Freud, puö anche essa considerarsi — in talune sue p a r t i c in ispecie in quelle in cui si fa, per cosi dire, l'embriologia del tratto di spirito — come un ricettario per la fabbrieazione di cui stiamo discorrendo. La « condensazione v e r b a l e » , ad esempio, f u indicata in tali pagine come uno dei metodi di fabbrieazione del tratto di spirito, condensazione che amalgama in una sola parola o in una sola fräse, frammenti di parole o frammenti di frasi che dovrebbero essere separate, condensazione che opera non soltanto fondendo due pa-
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role o frammenti di fräse in blocco unico, ma anche fondendo due pensieri tra loro diversi dopo averli o no alterati. Naturalmente, F r e u d nella sua qualitä di violento innovatore della psicologia dei sogno, fa notare che tale processo di condensazione, proprio alla creazione dei tratto di spirito, e processo psichico analogo a quello che opera nel sogno; d'altro canto, una delle spiegazioni fornite nei riguardi dei perche di tale processo nel tratto di spirito e data col sostenere che occorre vedervi essenzialmente una « tendenza al risparmio». Non saremmo piü vicini al vero nell'avanzare, invece, che siamo di fronte a una meccanica alterazione delle p a r o l e e delle frasi e a meccanico connubio tra concetti molto diversi, il tutto dovuto al desiderio di schernire le cose e gli uomini di cui si parla, o quanto meno di scherzare con tali giocattoli? Scherno e giuoco — non si dimentichi — che dilettano lo schernitore e il giuocatore... a spese altrui o delle cose che fanno oggetto dei giuoco; scherno e giuoco i quali — e ciö piü conta — possono puranco guarire chi di essi si serve, dalle ferite che uomini e cose hanno voluto p r o d u r r e . Si ha da dire — a tal proposito — che giä da tempo, nello studio dei veri e propri gerghi dei criminali (Lombroso, l'Uomo delinquente, V ediz., 1900, I, p. 547) e in quello dei volgarissimo parlare dei basso popolo (Niceforo, 1897, e di poi larghissimamente in un volume dei 1912 e in altri scritti dei 1931 e dei 1932), si era ben messo in luce con quanta frcquenza e con quanto pittoreseo effetto i gerghi dei criminali e il basso linguaggio popolare si servissero dei giuochi di parole, di « bizzarrie » fonetiche e di strane associazioni di idee. Alvverta il lettore, ciö nondimeno, che mentre i primi citati studi sui gerghi dei criminali attribuivano direttamente allo spirito e alla volontä dei parlanti stessi la visione ironica e comica delle cose espressa nel gergo, i nostri studi, che vennero di poi e che particolarmente toccavano dei basso linguaggio popolare, credettero soprattuto scoprire come il risibile, l'ironico e il comico in tale basso modo di p a r l a r e (formato da travisamenti fonetici e da piü o meno assurde associazioni di idee) piü che essere intenzionali, provengono automaticamente e spontaneamente dallo 6pirito di aggressivitä, acre e iracondo che, appunto, assalta, deforma e degrada le parole e i concetti p e r mezzo dei travisamente fonetico, dell'associazione assurda delle idee, ecc... II quäle meccanico procedimento, anche alla portata di chi non ha spirito alcuno, conferisce automaticamente un aspetto comico alle
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cose e agli awenimenti in tal modo mostrati dalla econtorta e contraffatta parola.
3. - Alfra sicura ricetfa: «Vedi come inciampa e come si sbaglta!». L'errore fa ridere. Crediamo doverci fermarc — prima di abbandonare il tema dei ricettario — su altre indicazioni al proposito, sempre a conforto di un esame dei meccanismo per il quäle si ride o si fa ridere ad altrui spe6e. Imparerete a ridere delle cose e degli uomini, o farete altrui ridere di quelle cose e di quegli uomini, se convincerete voi stesso e se convincerete gli altri (riuscire in questa seconda convinzione e piü difficile che riuscire nella prima) che uomini e awenimenti perpetuamente si sbagliano nel loro modo di condursi e di presentarsi; il vostro Io che guarda e che schernisce, infallibile — o che finge di credersi tale — non) puö che ridere, dentro di se o in aperto sorriso, di tanti errori e non puö che accertare, con soddisfazione grandissima, la propria superioritä: autoconsolazione numero uno. Quella numero due, si ottiene quando si fa intervenire il pubblico e a questo si addita l'errore (anche se non esiste) commesso dalla persona che e obietto dei vostro scherno; pubblico piü o meno credulo e di solito ignorante quando fa massa, che riceve senza contrasto la vostra deJ . nuncia degli errori altrui. Invero, non a torto f u osservato che si ride — o meglio: la Societä ride — quando taluno, nel fare o nel dire, si sbaglia. QueH'uomo — l'esempio e banale ma efficace — camminando incespica, traballa e sta per c a d e r e ; non di pietä o di commiserazione e il primo vostro sentimento, ma di riso, e ciö appunto perche quell'uomo « si e sbagliato» nel portare innanzi il piede; l'errore (l'illogicita di un movimento che non risponde al suo fine) vi fa sorridere. Chi gestendo animalamente si colpisce con u n dito l'occhio, desta ugualmente il riso, e ciö accade perche chi ride a w e r t e l ' e r r o r e che sta in quel gesto, tanto che una pittoresca fräse dei « gergo » famigliare parigino dice pittorescamente, per indicare che un tale si e sbagliato: il s'est fourre un doigt dans l'oeil... e talvolta aggiunge: jusqu'au coude. Sono errori che si pagano... col riso di chi guarda. Un errore o dimenticanza (anche questa costituisce errore) in un futile particolare dell'abbigliamento suscita il riso; ben ciö sa chi, ad
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esempio, si dimentiea di annodare la eravatta o, peggio, esce senza cravatta, o ancora — si tratta di una donna — se questa si e appuntato sbadatamente un fermaglio alla rovescia sul petto. Alludiamo, bene inteso, a tempi e a epoclie in cui la buona lenuta esigeva 1'elegante uso (e anche igienico) della cravatta; ma e p u r bene inteso che i tempi cambiano e che se in un dato tempo facchini e carettieri cerca;> no nelle esterne forme della loro tenuta imitare quella degli strati piu. inciviliti della popolazione, allre epoche si danno in cui gli strati superiori, decadendo dal loro incivilimento, imitano le esterne forme della tenuta dei facchini e dei carrettieri. Ma anche in tal caso, chi si distacca dalla norma, per errore o altro... fa ridere. Quando la tenuta generale e da facchino, chi non h a tale tenuta suscita il riso. In fatto di dimenticanze e di errori dovettero ben ridere i buoni ferraresi quando un bei giorno videro messer Ludovico Ariosto uscir di casa in pantofole. Perche mai Zeffirino Xardias, p u r simpaticissimo personaggio di un romanzo di avventure dovuto alla fervida fantasia di Giulio Verne, fa a ogni istante sorridere il letlore? Esce di casa affannato per provvedere ad urgenti acquisti che gli serviranno per condurre una grande esperienza scientifica da lui iniziata con speciali istrumenti nel suo laboratorio, ma strada facendo si dimentiea di tutto ciö la1-! sciandosi attrarre da altro genere di ricerca mentre pur gli strumenti astronomici con i quali egli cercava deviare e guidare il corso di una meteora, continuano nell'abbandonato laboratorio a funzionare... ognuno immagini con quäle risultato! Quella colossale distrazione e un « e r r o r e » (come sono « e r r o r i » , o conducono all'errore, tutte le distrazioni), e l'errore altrui fa sorridere contrassegnando una volta di piü la superioritä di noi... che non erriamo. Ancora, in un romanzo di Verne, ridiamo quando Paganel, il simpatico geografo navigante verso l'America del Sud, 6i accorge di aver studiato lo 6pagnolo... 6ui Lusiadi di Camoens... il grande portoghese. Un « errore » che chiama necessariamente il riso. E si tratta, come abbiamo fatto notare, di personaggi simpaticissimi ; ponete al posto loro figure in cui l'abile deformatore e descrittore abbia saputo togliere o attenuare ogni carattere capace di destar simpatia e mostrate quelle figure cadere a ogni passo nel trabocchetto dell'errore e della distrazione: un riso verrä suscitato che avrä vero sapore di scherno. Si veda, dunque, di qualc efficacia protettiva contro le insidie e le molestie del mondo esterno sia l'abitudine che l'Io assume di vedere personaggi e cose, intorno a lui, come se sempre si sbagliassero e con-
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tinuamente commettessero errori, da cui il sorgere del riso da parte dell'Io che guarda, che critica e che nota con compiacenza la sequela degli errori, supposti o reali che siano, altrui... e Ii fa notare agli altri, lui che mai sbaglia! Assai volte, tuttavia, l'errore e proprio nel giudizio di chi guarda, ma cio non conta se costui crede — come sempre crede — di avere la ragione dalla sua. Sappia il signor lettore, in ogni modo, che l'esagerato, insistente e pervicace uso di vedere intorno a se, dovunque, l'errore, mentre al tempo stesso si considera il proprio Io come infallibile, e fatto che si manifesta in individui dal malato spirito paranoico, degenerati anche per altre forme di degenerazione e per lo piü — come se tanto non bastasse — contrassegnati dai tratti piü o meno evidenti di quella pazzia morale che qualche psichiatra chiama anche costituzione perversa. Cio detlo, non si dimentichi che il meccanismo mentale di cui stiamo parlando (trovar dovunque l'errore per f a r ridere e per ridere) puö benissimo trovarsi, nello stato attenuato e saltuario, in persone che non rientrano proprio nel quadro ora indicato, ma che di tal mezzo si servono semplicemente ai fini di difesa, di offesa e di auloconsolazione.
4.
II riso, Vendetta del gruppo.
Giä vedemmo che non pochi processi sentimentali e mentali producentisi nell'individuo, si ripetono per il gruppo il quäle per tal modo agisce come se fosse un individuo. La Societä, pur intesa nel senso di questo o quei gruppo particolare, non tollera che gli individui che la compongono agiscano con una indipendenza che Ii porti fuori da quella norma che essa stessa ha creato e su cui vigila incessante; tra le varie armi con cui essa colpisce tali «eccenlrici » e anche, come fu piü volte osservato, il riso (Bergson, Piccoli-Genovese e altri). La Societä e il gruppo, cioe, gettano il ridicolo — o cercano gettare il ridicolo — su questi viandanti che camminano fuori dalla strad a maestra; Societä e gruppo tentano far credere: « Vedi come si sbagliano! Si tratta del solito mezzo di difesa e di offesa oltreche, in certi casi, di autoconsolazione da parte del gruppo. Nei suoi Jugements, La Bruyere aveva ben sentenziato; «qu'une erreur de fait jette un homme sage dans le ridicule ». Nello stesso modo, dunque, con cui il riso puö servire, come vedemmo (il riso voluto, di riflessione), quäle difesa dell'individuo, cosi serve esso di difesa al gruppo. II gruppo, colpilo e
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offeso da coloro che non sentono, non pensano e non agiscono come esso v o r r e b b e , si serve — tra l ' a l t r o — d e l l ' a r m a dei riso p e r r i s p o n d e r e con l ' a r m a dei ridicolo e dell'umiliazione a l l e voci di quelli c h e osano non u b b i d i r e alle mode che esso v o r r e b b e i m p o r r e . La vittima dei ridicolo e in tal modo umiliata e da questa u m i l i a z i o n e nascono la malsana gioia dei g r u p p o e la Vendetta da p a r t e dei g r u p p o stesso. Quanto vi e di v e r a m e n t e voluto, tuttavia, e q u a n t o di inconsciam e n t e spontaneo, in tale f o r m a di perseeuzione — f a t t a p e r mezzo d e i riso e dello s c h e r n o — d i chi si distacca dal g r u p p o ? Ben s'intende c h e lo stesso r i d e r e , p o r t a n t e seco c o n d a n n a dell'« e r e t i c o » e umiliazione di questo — con soddisfaeimento e Vendetta da p a r t e dei g r u p p o stesso — p u ö cosi c o l p i r e il b i a n c o come il n e r o , l ' a z z u r r o come il verde (il virtuoso come il condannevole) : t u t t o sta nel v e d e r e se il g r u p p o e, nel suo costume, nella sua moda, nel suo agire, composto in maggioranza di b i a n c h i o n e r i , d i azzurri o di v e r d i . I n taverna si p u ö r i d e r e d i chi non si u b r i a c a , come... nel m o n d o della s o b r i a gente si r i d e degli u b r i a c h i . Nella caverna d e i l a d r o n i chi — capitatovi p e r eeeezione— non r u b a , fa ridere... p e r la sua onestä.
5. • II riso, difesa contro il vanrtoso e contro l'altrui reale superioritä. C h i a r o attestato della f u n z i o n e di difesa individuale e p u r sociale che ha il riso, anche non aggressivo, e d a t o dal fatto c h e u n o degli a t teggiamenti — p r o p r i dei nostro prossimo — c h e p i ü ci reca molestia, e cioe la v a n i t ä , e tra quelle doti u m a n e che p i ü destano, p e r l'app u n t o , il riso. T a n t o l ' i n d i v i d u o come la Societä, ritorcono l ' i n g i u r i a c h e loro reca il vanitoso a f f e l t a n t e la p r o p r i a superioritä s u l l ' u n o e sull'altra, o si consolano di quell'ingiuria, p e r mezzo dei riso. II vanitoso non e soltanto uno degli e t e r n i personaggi che dal t e a t r o suscitino il ridere d e l l ' i n t e r o p u b b l i c o , ma p u r l ' a n o n i m o e 6picciolo figuro che ognuno di noi si trova d'accanto nelle vicende della vita e che anche qui desta il n o s t r o p i ü o m e n o f o r z a t o sorridere. Davvero, una delle C06e che p i ü noiosamente rechi molestia a l l ' u o m o vivente in Societä e la vanitä altrui (non c e r t o la... p r o p r i a ) , q u e l l a vanitä c h e ci fa s e m b r a r e che ogni vanitoso — vale a d i r e la maggior p a r t e degli individui con cui a b b i a m o l ' o n o r e di i n t r a t t e n e r c i — ci voglia cammi-
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nare addosso. Giä si sa che gli uomini sono un poco come le Nazioni: ogni Nazione e superiore a tutte le altre ed e soltanto — caso mai — in ragione di tale o tale altra evidentissima e malauguratissima causa, se ciö patentemente non risulti e non sia quindi Cosa universalmente riconosciuta. Grande molestia, dicevamo, la vanitä altrui (anche perche tale vanitä potrebbe effettivamente corrispondere a una reale superioritä) ed ecco perche ad essa opponiamo il riso, sia interno, per eccesso di educazione, sia esterno, beffeggiando. Nont sarebbe fuori di luogo notare che nel beffeggiare l'altrui vanitä, sempre con il fine di vendicarsi di quei presuntuoso giudizio che il vanitoso ostenta a nostra mortificazione, il befFeggiatore — e cioe colui che si difende — si serve appuunto, come motivo del ridere e del fare ridere, di quei « trucco » poco sopra descritto, basato sul far vedere l'errore in cui cade la persona da deridere. Quei vanitoso (tutti sono vanitosi... meno colui che giudica tali gli altri) e un uomo che, nel giudicare se stesso, si sbaglia; e come si sbaglia! Ridiamo, dunque. Continuando, si ha pur da dire che la dife6a p e r mezzo del ridere e del far ridere, con le stesse armi con cui si volge verso il vanitoso vero e proprio, si volge pur anco contro chi, vanitoso o no, nettamente si impone per la propria superioritä. Ancora una volta la superioritä (altrui) dä fastidio a colui che guarda e che, or vorrebbe possedere quelle medesime qualitä, or crede effettivamente possederle, non riconosciute, ed or crede persino di possederne di superiori, * sempre misconosciute; e allora, per difendersi da siffatto stato di molestia (leggi: invidia), si corre a proclamare che l'affermazione diretta o indiretta, patente o non patente, parlata o non parlata, che l'invidiato individuo fa — con i propri gesti e con la propria condotta — della propria superioritä e delle proprie invidiate qualitä, e un « e r r o r e » , un'esagerazione, un'assurda illusione. II che altra cosa non puö destare se non il riso. L'invidia, p r i m o motivo che tutto muove, spingendo ad aggredire, a denunciare, a schernire e a f a r schernire, e soddisfatta, assopendosi COM momentaneamente i serpenti che essa nutre nel seno; nel suo antro, pieno di negro squallore — si ricordino le Mietamorfosi di Ovidio — sta l'invidia, curva a divorare serpenti, pasto ai suoi vizi, torcendo le pupille... edens vipereas carnes (II, 768). Non par di vedere la figura, l'atteggiamento e il volto interno dell'invidioso? P e r tal modo, ancora una volta, l ' I o ferito nel suo amor proprio, o fingendo veder un errore anche lä dove er-
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rore non esiste, cerca non 6entire le sue ferite, sicche il riso — a nostro modo di vedere — puö essere definito, quando costituisca in ogni sua forma un meccanismo di autoconsolazione, come un processo di cicatrizzazione dello spirito ferilo, cicatrizzazione che l'Io ferito procura a se stesso. « Quanto piü si e miseri e perco6si — lasciö scritto il Leopardi nel suo Elogio degli uccelli —• dalla vita, tanto piü si ride ».
6. Un'altra parentesi: riso e personalitä; il fine dei riso; gli effetti dei ridere. Hanno anche da trattarsi i punti (se p u r tale trattazione puö farsi separatamente dalle precedenti) riguardanti il sorriso e il riso quali segni rivelatori della personalitä, lo scopo o il fine dei ridere e gli effetti — benefici o no? — dei ridere. Non sarä male dire di ciö qualche parola. a) Riso, sorriso e
personalitä.
(In quanto al primo punto, alquanto discosto dalle nostre presenti ricerche, ben poco diremo, anche perche dei segni fisici dei volto e della persona rivelatori dei carattere abbiamo discorso altrove trattando anche particolarmente dei riso e dei sorriso, ma ricordiamo soltanto che Lavater vedeva nel sorriso e nel modo di ridere il segno dei carattcre e prima di lui i canoni della bellezza, con il nostro Firenzuola, dicevano che il sorriso e l'indice dei cuore « essendo il sorriso uno splendore d'anima ». Ii che giä era stato detto da Dante nel Convivio; piü tardi, Carlyle ripeteva affermando che «nel riso e la chiave dei eifrario per deeifrare un intero uomo Piü tardi ancora, moderni studiosi della fisiognomonia davano classificazioni, diremo cosi, psicologiche dei sorri-so e dei riso indicando il riso o il sorriso buono e aperto, arguto, benevolo, giovanile, malizioso, ironico, triste, ecc... (Paola Lombroso), mentre il grande Balzac (che, per il suo spirito di osservazione e in forza dei suo metodo verista e naturalista, minutamente descriveva ogni particolare dei fisico di una persona) aveva dcscritto il sorriso 6cettico, il sorriso sofferente, il sorriso di convenienza, il sorriso enigmatieo, il sorriso malvagio, ecc. sempre insistendo sul significato di esso come sintomo
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de] 6entimento e dei pensiero (in un capitolo della nostra citata opera sulla fisonomia, non ancora pubblicata, capitolo consacrato a Balzac descrittore di fisonomie). Veniamo piuttosto al secondo punto: a che cosa 6erve il riso? quäle il fine di e6So? b) II fine dei riso. Ancora il riso come difesa fisiopsicologica. P e r nostro conto abbiamo giä coininciato a mostrarc comp serva o po6sa servire il riso (in determinate condizioni) quäle difesa, offesa e quindi — essenzialmente — quäle autoconsolazione. P r i m a di in6istere, valga il ricordo di una antica veduta in proposito, appunto, dei fini che ha il ridere. Riaprendo il trattato dei iPortegiano si legge che due sono gli scopi in questione, ben diversi l ' u n o dall'altro ed entrambi efficaci: la distrazione dai nostri tormenti o semplici eure, da un lato; la punizione dei cattivi e malvagi, dall'altro. Nel primo caso si tratta di distrarsi dal mondo delle cose che ci affliggono; senonche, ben si noti, lo scrittore cinquecentesco qui non intende un riso creato (come noi, invece, sosteniamo) da noi ste66i per consolazione, ma intende che dimentichiamo le nostre eure quando altri giunge a distrarci con lo scherzo, talche persino « i prigionieri che d'ora in ora aspettano la morte e che p u r vanno cercando qualche rimedio e medicina per ricrearsi... » ricorrono ad esso. Col ridere, ascoltando divagazioni e scherzi « l'uomo si dimentica delle noiose molestie delle quali la vita nostra e piena ». Nel secondo caso, quando cioe il riso diventa un mordere. il buon consigliere onestamente avverte che tali morsure hanno da darsi ai 6uperbi e ai presuntuosi, aggiungendo perö che siffatta via non e da battersi quando ci si trovi di fronte a « scellerati che paia che meritino esser condannati a pena capitale » ; per costoro troppo poca cosa sarebbe la semplice morsura prodotta dal ridicolo. E cosi sia (Cortegiano, libro II, 42 e segg.). Del sopra detto fine — punizione — fa pur chiaramente cenno il Leopardi nel citato suo scritto quando sentenzia che il riso « al tempo presente si trova essere in dignitä e stato maggiore che fosse mai, tenendo nelle Nazioni civili un luogo, e facendo un ufficio coi quali esso supplisce per qualche modo alle parti esercitate in altri tempi dalla virtü, dalla giustizia, dall'onore e simili, e in molte co6e raffrenando e spaventando gli uomini dalle male opere ». Si tratta,
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come ognun vede, del riso, non diremo vendicativo, ma giustiziere: castigat ridendo mores, si potrebbe ripetere, a voler fare una facile erudizione, un pö da strapazzo, ricordando la celebre massima iscritta dal poeta sul busto di Arlecchino. Anche Arlecchino, infatti, ha la sua missione. In ogni modo, il fin qui detto non risponde veramente ad importante domanda che dobbiamo p u r farci; perche ridiamo? E si intenda bene che vogliamo ora riferirci piuttosto al riso spontaneo (dallo spontaneo riso di amarezza allo schietto riso irresistibile) che al riso voluto e, 6taremo p e r dire, premedilato e di mala fede. Cercheremo dar risposta un poco piü in lä, dopo aver chiuso la presente parentesi.
c) Gli effetti del
ridere.
«In quanto agli effetti del riso (altro punto assai discusso dai trattatisti) e noto che soprattutto si parla dei benefici effetti del ridere ripetendosi dai moralisti e dagli psicologi il vecchio detto: « aggiunge, ogni 6orriso, un filo alla trama della v i t a » , mentre i fisiologi, con maggiore specificazione, h a n n o cercato elencare gli effetti in questione riferendosi tuttavia essenzialmente al riso spontaneo e non a quello — in certa guisa — voluto e cercato di cui noi stiamo trattando. II riso — insegnano i fisiologi — attiva la respirazione polmonare, accelera la circolazione del sangue e migliora la composizione di questo, eleva la pressione sanguigna, stimola le secrezioni, aiuta i processi digestivi e accentua il metabolismo; costituisce anche una specie di massaggio o ginnastica salutare (Senise), quando p u r . . . non si muoia dal ridere, come si dice, cosi come accadde a quei poeta comico, Filemone siracusano, del IV secolo avanti l'era volgare che trovandosi, vecchio e stremato di forze, e ammalato, nel suo letto e vedendo entrargli in camera un asino il quäle allegramente si mise a mangiare alcuni fichi secchi sparsi sul tavolo, cominciö a essere preso dal riso per la buffoneria della cosa e chiamo il domestico perche a quell'asin o che mangiava si portasse anche da bere una coppa di vino; sicche, aumentando ancor la buffoneria, aumentö puranco si smoderatamente il riso che il povero poeta fu colto, ridendo e in cagione del riso stesso, dalla morte. II che potrebbe anche considerarsi come un beneficio! L'aneddoto e narrato da Valerio Massimo nel capitolo De mortibus non vulgaribus, della sua raccolta di detti e fatti celebri
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( L i b r o IX, cap. 12, 6). E il buon Margutte non ebbe a far medesima fine quando - Ganto XIX dei Morgante - vide la bertuccia che tentava infilarsi le scarpe di lui? I n quanto a noi — occorre ripeterlo? — e da d i r e che tra gli ef-t fetti dei ridere (e di quel particolare ridere su cui ci siamo fermati) e da metterc in prima linea il beneficio psicologico dell'autoconsolazione o senso di sollievo che l'individuo prova nell'allontanare da se l'oppressione data dalle vicende che lo affliggono o dagli uomini che lo conturbano. II quäle benefico effetto, dei tutto subiettivo, non e meno importante di quelli enunciati dai fisiologi e, anzi, con qualcuno di quegli effetti potrebbe confondersi.
CAPITOLO
TERZO
PERCHE' SI RIDE? Si distingua, innanzi t u t t o : quando ci si domanda «perche» si ride o, meglio, perche l'uomo ride, s'intende riferirsi al riso spontaneo, quäle nell'uomo e prodotto da cose, avvenimenti, situazioni e personaggi che per qualche loro carattere e aspetto provochino il riso. Non 6'intende r i f e r i r s i al riso, diremo cosi, voluto e di cui noi stessi facciamo creazione per un piü o meno cosciente processo di difesa o di offesa che e al tempo stesso processo di autoconsolazione. II tema, p e r conseguenza, n o n rientrerebbe - a rigore - nel soggetto che stiamo trattando, ma non ci sembra inutile f a r n e breve cenno e presentare qualche nostra interpetrazione.
1. - II processo meccanico del riso. Occorrerebbe, per cominciare, far menzione di quegli studi assai volte originalissimi con cui si riusci a mettere in chiaro il processo meccanico grazie al quäle i muscoli del viso si contraggono quando si ride, processo accompagnato da altre modificazioni nelle varie parti del corpo, all'esterno e all'interno, da analogamente studiarsi e met< t e r e in evidenza: base anatomica del riso, dunque, e base fisiologica del riso, con esame dei muscoli mimici, dei centri e delle vie nervöse, e altro ancora. Si pensi ai larghi studi di Carlo Darwin sulla espressione dei sentimenti negli animali, e anche alle note osservazioni del Mantegazza e di von Piderit; si pensi alle belle esperienze di Duchenn e de Boulogne sulle contrazioni dei muscoli del viso sperimentalmente prodotte da correnti elettriche ed esprimenti le piü varie emozioni, compreso il modo di r i d e r e ; anzi, su questo punto - sconfinando il territorio assai lontano dal presente - si potrebbero esaminare le fotografie che il medico legale Nicola Minovici di Bucarest otteneva sui cadaveri del suo laboratorio quando, trafiggendo per mezzo di lunghi e sottilissimi spilloni i muscoli del viso del cadavere, componeva
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quel viso a suo piaeimento facendolo apparire, volta per volta, secondo il modo delle contrazioni, come se fosse vivente ed esprimente or questa or quella emozione, e or in questo or in quelPatteggiamento, ottenendo persino il riso o il sorriso (Archives d'Anthropologie Criminelle, Lyon, 1904). Ai nostri di, Tommaso Senise inizia il suo larghissimo e documentato studio sul riso in fisio-patologia (Napoli, 1914) con l'esame, appunto, della base anatomica dei riso, e continua con quello dei meccanismo nervoso dei riso stesso (via centripeta; centro di ricezione e di elaborazione degli stimoli atti a produrre il riso; via centrifuga). Lo stesso Autore poi, come giä Duchenne e Minovici, ma allargando e intensificando le esperienze, esamina e provoca il riso traducendolo al tempo stesso in belle iscrizioni graßche che permettono l'esame intimo di ogni suo movimento: ogni tracciato grafico e - con l'al'4 tezza delle sue linee, con la sua distesa, con le sue ondulazioni, un riso che si svela nei suo particolari; ognuno di essi insegna e fa vedere le invisibili modificazioni che subisce la respirazione durante questa o quella forma di riso e quindi il diaframma (tutto l'organismo «ride», infatti, e non soltanto — come comunemente si crede — il solo viso). Fenomeni cardio-vascolari che accompagnano il riso, or moderato, or schiettamente aperto, ed ora esprimentesi in alta crisi, parlano p u r evidenti in quei tracciati. Ricerche di laboratorio dei medesimo geneire, come e risaputo, si debbono anche allo psicologo e psichiatra G. Dumas.
2. - Qualche « spiegaxione ». II nostro giä ricordato ed encomiato messere, autore dei Cortegiano, aveva tentato - quasi senza volerlo - una «spiegazione» del ridere, quando insegnava che si ride di quelle cose «che hanno in se disconvenienza e par che stian male » (II, 46). Ridiamo, cioe, perche la cosa di cui ridiamo e sconveniente. Messer [Baldassarre aggiungeva (e ciö ci sembra giusto) che se si ride di ciö che appare sconveniente, non e per questo da ammettersi la veritä di ciö che ci appare, ossia non e detto che quelle cose da noi viste come sconvenienti, e quindi eccitanti il riso, siano in realtä sconvenienti. Almeno, cosi ci 6embra potersi interpetrare il citato passo di quell'Autore. P i ü recenti tentativi potrebbero essere ricordati con riferimento, tuttavia, tanto al riso spontaneo quanto alle altre sorta di riso. Ecco 27. - L'/o.
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coloro (come giä accennammo) che affermano essere dato il meccanismo del riso o, meglio, la cagione del riso, dalla sensazione prodotta dal contrasto (Kraepelin) tra opposti (per esempio tra il grande e il piccolo, tra ciö che e plebeo, ecc. ecc.) in un gruppo di cose f r a le quali vi e una discordaniza evidentissima. Oppure, ecco le spiegazioni che parlano del riso come espressione del sentirsi superiore sia agli altri sia in confronto a se stessi in periodo precedente (Hobbes); infatti il riconoscersi, di fronte a se stessi superiori, vittoriosi e in possesso di alte qualitä, dä il sorriso (autocontemplazione narcisistica). Del resto, p u r lo stato di beatitudine materiale si accompagna o si esprime, se non con il riso, per certo coi sorriso o quanto meno con l'atteggiamento a lieve sorriso... di beatitudine. Si pensi, poniamo, al filtro di ebbrezza che danno i primi fumi di Bacco... o all'estasi che culmina nelle gioie di Eros.
3. - Quat+ro principii per spiegare if « perche » del ridere. D'altra parte, seguendo tutt'altro cammino e poco curandosi di accertamenti anatomofisiologici che pur hanno - se non ci sbagliamo qualche importanza nella ricerca di quei « p e r c h e » di cui parliamo, uno dei moderni e piü noti indagatori sul fenomeno del riso — Bergson — ha ben creduto scoprire i vari punti fondamentali che ad esso si riferiscono e che potrebbero contribuire a spiegare il « perche » del ridere: il riso e in noi destato soltanto da ciö in cui e direttamente o indirettamente l'uomo; il riso, perche in noi si desti, ha bisogno della presenza di un altro uomo o di altri uomini e cioe della Societä; il riso e in noi provocato dall'accertamento, da noi fatto, che il risibile obietto (uomo, avvenimento, ecc.) funziona sottraendosi alle normali forme della vita e del suo ambiente ubbidendo quasi a una sorta di meccanicitä; inoltre — quarto punto fondamentale — noi ridiamo quando, mettendoci in contatto con le persone o con le scene che ci faranno ridere, tale contatto si verifica per mezzo della nostra intelligenza e non della nostra sensibilitä (l'oggetto del riso, cioe, si rivolge alla intelligenza. non alla sensibilitä). Traduciamo brevemente i sopra detti quattro principii in altrettante immagini al fine di renderli, per cosi dire, piü visibili e in rilievo e farne. al tempo stesso, coi permesso dell'Autore, rispettosa critica, se del caso. E diremo quanto segue.
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a) Un paesaggio (dice il primo principio) non fa ridere; ma, diciamo noi, una pianta deforme o f r u t t o scontorto, pur non appartenendo a umana categoria, puö destare il riso: forse perche ricorda atteggiamenti e smorfie umane? Un palazzo ultra novecento fa ridere pur non appartenendo a umana categoria, esattamente come desta il riso una di quelle moderne musiche, non categoria umana, che foi mano la delizia dei servidorame femminile; forse perche nel risibile palazzo e nella risibile musica e impronta e traccia dell'uomo, autore dell'uno e dell'altra? b) II povero Robinson Crusoe, chiuso nella sua isola, non ride, perche occorre essere almeno in due per ridere, ma non si puö negare che talvolta lo stesso Robinson, anche prima che Venerdi venisse a por fine alla sua solitudine, dovette sorridere da solo come taluno di noi p u r fa quando, soletto per via, vede passare nel suo pensiero ridicole cose e ridicoli uomini. c) Un uomo che cammini e gesticoli come un fantoccio, fa ridere (e ciö perche esso, col suo automatismo, si sottrae al normale modo di camminare e di gestire). Proprio cosi j e innegabile che la meccanicitä presentantesi lä dove dovrebbe essere vita, autonomia e 6pontaneitä, provoca il ridere. d) Ma, sia pur goffo — nel suo strascicarsi — quell'uomo, esso non mi farä davvero ridere se desta la mia compassione (rivolgendo6i, cioe, al sentimento e non semplicemente all'intelligenza). - Non si sarebbe dei tutto nel torto se si affermasse che, nonostante la quantitä grande di osservazioni e suggerimenti nei riguardi dei «perche» si ride (riso spontaneo), il problema in questione non e stato convenientemente ed esaurientemente risolto... tanto e difficile cosa spiegare tal gesto, cosi misconosciuto nella sua intima radice. Manca la formula sintetica e decisiva, ne saremo davvero noi capaci di comporla nelle presenti brevi pagine. A meno che, piü per sfuggire alla questione che per altro, non ci si accontentasse della spiegazione che dava il filosofo e poeta dei pessimismo quando, essendosi chiesto perche creatura umana 61 misera e tanto circondata da ogni sorta di dolori trovasse pur forza di ridere in ogni occasione, rispondeva che il ridere x e specie di pazzia non durabile, o pure di vaneggiamento e delirio... Gli uomini non possono aver causa di riso che sia ragionevole e giusta» (Leopardi, Elogio degli uccelli). II perche dei ridere, in altri termini, e da cercarsi nel disordine della mente! Amara affermazione che
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non puö, in ogni modo, adeguatamente rispondere al perche di cui si e in cerca.
4. - Continuando: una nuova spiegazione? Importanza della illogicitä nella causazione del ridere. Qualche riflessione, ancora, prima di abbandonare il tema. Come mai si pottebbe in una sola formula costringere la definizione del riso o il perche del riso stesso, dal momento che esistono tanti diversi modi di ridere corrispondenti a motivi profondamente diversi del riso medesimo? II sorriso del bimbo - come giä dicemmo - e un qualche di ben diverso dalle altre sorta di riso che vanno dal riso o sorriso della beatitudine fisica, quasi ebete ed erotica, a quello della tenerezza, a quello che appena sfiora le labbra, o a quello (alPestremo opposto) che si manifesta in una tumultuosa e scrosciante crisi. Ma pur ammettendo che non sia possibile costringere in una sola formula il «perche» del ridere, ci sembra non cader del tutto in errore giudicando che frequentissima tra tali cause (per il riso spontaneo) e quella che si trova in un fenomeno che prende nascita da un processo essenzialmente intellettuale e 6i ripereuote in una serie di fatti di ordine fisiologico. Quäle? Allorche noi ci troviamo di fronte a un atteggiamento, a un fatto, a un enunciato, di cui la nostra logica avverte la illogicitä, tale accertamento (processo intellettuale) produce in noi un certo disturbo fisiologico (respirazione, circolazione) da cui il nostro organismo viene piü o meno turbato e da tale turbamento fisica non esce, con processo di reazione, se non coi fisico processo del riso che tutto torna a mettere in equilibrio. Chi, seguendo metodo di osservazione e sperimentale, passa in rassegna le varie raceolte di avventure, aneddoti, motti di spirito e 6i-i mili, per deterrrunare caso per caso dove sta la ragione per cui quella data avventura, quei dato aneddoto, quei dato motto di spirito suscita riso, si accorge (come mostreremo altrove offrendo tale documentazione) che il piü delle volte la comicitä e prodotta dal giudizio che noi istintivamente e quasi incoscientemente diamo circa la illogicitä della 6Cena e dei gesti che ci troviamo d i fronte.
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a) Qualche
4(2,1 esempio.
« Come mai — dice un tale all'amico che va alla caccia bene armato di fucile — vai a caccia senza cartucce? ». E l'altro; « Costano care... e il risultato e il medesimo». La illogicitä della situazione di un uomo che va a caccia con fucile senza cartucce e la essenziale causa che desta il riso. Quella illogicitä vi ferisce intellettualmente e fisiologicamente, ma il riso vi guarisce all'istante dell'una e dell'altra ferita. Per conseguenza, generalizzando, vorremmo dire — a titolo p r o w i 6orio — che il riso (il riso spontaneo) e la difesa intellettuale e fisiologica contro ciö che disturba l'equilibrio intellettuale e fisiologico dei nostro Io. Ancora, procedendo per via di esempi... Essendo stato Quinto, fratello di Cicerone, piccolo e mingherlino, ritratto a mezzo busto da uno scultore che lo presentö grave e imponente, Cicerone motteggiö: «Curioso! Mio fratello, quando e la metä, e piöf grosso di quando e intero! ». La illogicitä di una cosa la cui metä e piü grande dell'intero... offende e ferisce la nostra logica provocando per reazione quel riso che ristabilisce l'equilibrio. Di un tale che era 6tato console per poco piü di un giorno, Cicerone diceva «esserfi stato quel console cosi zelante da mai aver dormito durante il p r o p r i o consolato»; e gli ascoltatori a ridere, feriti 6enza dubbio dalla illogica assurditä di un uomo che per lungo periodo di tempo mai dorme. Altra assurditä di primissimo ordine, e quindi necessariamente destante il riso, e data dal detto di Diogene che, mentre un cattivo arciere si esercitava al tiro, si collocö sul bersaglio osservando « essere quello il solo punto in cui poteva egli sentirsi sicuro». D'aUra parte — e continuando — trovereste voi logica cosa che un paio di calzature rodesse i topi? Suprema illogicitä, e proprio in ragione di ciö faceva ridere Catone quando a un Tizio che si lamentava perche un topo avesse rosicchiato durante la notte la calzatura di lui osservava: « E avresti voluto tu dunque che la calzatura avesse rosicchiato il topo?». E' tutta venata di comico la celebre novella di Oscar Wilde in cui si narrano le tribolazioni dcl fantasma di Canterville, ma il comico proviene, per 1'appunto, dal fatto di un fantasma... che ha paura dei vivi i quali — si senta ancor questa — gli offrono olio per luhrificare le catene e perche queste, quindi, piü non facciano tedio6o e fastidioso rumore. Si aggiunga che il fantasma, alla fine, muore ed e s^polto dai vivi. Assurditä tutte che per la loro pungente illogicitä producono in noi un « d i s t u r b o » che non e sanato se non dal riso. Anche nella
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novella, dello stesso Wilde, narrante il delitto di lord Savile, il comico sta nella illogicitä della condotta del giovane l o r d ; costui cerca a piü riprese nella lista dei suoi amici quelli che egli dovrä uccidere.., per adempiere una profeizia che a lui aveva fatto una veggente rivelandogli che avrebbe dovuto, un giorno, uccidere uno dei suoi amici. Si direbbe, davvero, che l'accertamento della illogicitä da parte di chi una illogicitä avverte, produca nell'organismo materiale e psichico del senziente un disturbo, una rottura di equilibrio, un disordine materiale e psichico che soltanto la Serie di movimenti e di Processi esprimentisi con il riso riesce a ricomporre. Si senta ancora: gli scarponi, comperati da un affettuoso padre al tenero pargoletto, sono troppo grandi per quei bimbo? « Non fa nulla — osserva il padre, bonario — Ii poträ portare sino a che sarä grande ». Oppure, si dia il bimbo che fa osservare alla domestica l'aver essa affrancato la lettera da imbucare con un francobollo di valore doppio del necessario. « Ma cio, appunto — spiega la domestica — perche chi riceve la lettera abbia giä il francobollo per rispondere ». Patente illogicitä c h e fa sorridere. b) Ma la « illogicitä» per gli uni... non e senipre « illogicitä » per gli altri. Insomma, il riso spontaneo e una reazione al « t r a u m a » che in noi produce la illogicitä di una situazione; potremmo anche dire che e6so e la cicatrizzazione della ferita che nella nostra logica produce l'accertamento di una illogicitä. Si tratta, come si vede, di una «spiegazione » che e al tempo stesso una definizione... o quasi. Tuttavia, occorre dire puranco — e soprattutto — che non sempre ciö che e illogico per te e anche illogico p e r me. Ricordavamo poco sopra che il buon M'argutte mori di risa nel vedere la bertuccia infilarsi gli stivali di lui (illogicitä di primo ordine per la logica di Margutte) e poiche tra i motivi del ridere e il «trauma» che si produce nella nostra logica allorche vediamo cosa che a questa sembra assurda, era naturale che a Margutte venisse irrefrenabile il riso di fronte alla illogicitä di una scimmia che si impuntava a infilarsi calzari di uomo... Ma nel medesimo modo, la scimmia avrebbe senza dubbio dato in grandi risa, urtata nella sua logica scimmiesca, di fronte a un Mar-
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ecc.
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gutte che compisse gesti propri alla scimmia. Ha ragione l'uno o l'alt r a : Margutte o la bertuccia? Anche i vari gruppi sociali, nell'interno della medesima Societä, hanno — non dimentichiamolo — ciascuno la propria logica e, per conseguenza, ciascunio di essi puö ben ridere, in maggiore o minore buona fede, degli altri. E ' vero che gli uomini tutti della medesima Societä sono in possesso, totale o parziale e il piü delle volte teorico, di una elementare logica generale, quasi aristotelica, ma e p u r vero che ogni gruppo crea a se stesso, pressoche incoscientemente, una superstruttura logica, in base ai propri interessi e alle proprie aspirazioni o, meglio, ai propri appetiti, logica particolare che si sovrappone alla logica generale e che gulda... « logicamente » le azioni dei gruppo.
c) Postilla:
Verrore di chi
ride.
Sarebbe veramente superfluo l'insistere, dato il sopra detto tentativo di spiegazione, su un'importante postilla che deriva dalla spiegazione stessa. E cioe, data la innegabile e costante subiettivitä nella quäle vive ognuno di noi, e data la imperfetta applicazione che ogniuno di noi fa (pur credendo di ben fare) dei principi della logica (steche si puö dire che ognuno di noi ha la sua logica personale... e sbagliata), dato tutto ciö, e naturale che la valutazione di illogicitä che noi diamo volta per volta ad un dato fatto o detto, con il relativo ri- so che ne sorge, puö essere dei tutto sbagliata... venendo per corollario il fatto che anche il nostro riso, in qualche caso, e un riso... sbagliato. II ridicolo, allora, e nelle cose... o semplicemente nel nostro giudizio? Se nelle cose, un dato oggetto che fosse ridicolo a Parigi sarebbe pur ridicolo tra gli Ottentotti, ma ciö non e ; anzi, ciö che e ridicolo a un certo grado di latitudine, non e p i ü tale sotto altro cielo, proprio come il ridicolo di un secolo puö divenäre saggezza e logicitä in un altro. E viceversa. Anche nella vita corrente accade il medesim o : io rido di ciö che tu fai molto seriamcnte (e potrebbe darsi il caso contrario); i giovani, ad esempio, ridono di ciö che seriamente fanno i vecchi (il modo di giudicare la « logicitä» degli atti varia col variare delle etä) e costoro sorridono piü o meno benevolmente di ciö che fanno sul serio i giovani. Si potrebbe continuare. In altri termini, abbiamo torto di ridere
quando
crediamo
di
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Parle
s
e st a
giudicare illogico e assurdo ciö ehe — se avessimo saputo meglio guardare e comprendere — ci sarebbe apparso logico e non assurdo. Cessate le ragioni della illogicitä, cessa la ragione del ridere. Ecco perche dalla nostra spiegazione di cui sopra, vorremmo rieavare pur l'aforismo: ridere significa (o puö significare) non comprendere, che chi comprende non ride. Tanto e vero ehe quella medesima cosa suscitatrice di riso perche a noi appare illogica e che, quindi, non comprendiamo, cessa dal far ridere e puö persino destare ammirazione e pietä quando si siano acquistate cognizioni le quali ci facciano vedere che la Cosa in questione non era affatto illogica e rientra nel quadro della nostra comprensione. Si rideva... perche non si capiva; ora, da quando si e capito, piü non si ride. Infatti, guardate quei selvaggio (come diciamo noi... che non siamo tali) dell'America del Sud arrampicarsi 6ull'albero passando di ramo in ramo, collocando dietro di se piccoli bastoncini perche servano di ponte di passaggio al figliuoletto nato allora allora e che pur non era materialmente con lui, o guardate quei selvaggio che traghettando il fiume porta a fianco piccola cesta galleggiante per far traghettare il neonato... che pur non e con lui ma accanto alla madre, nella capanna lontana (W. E. Roth). L'europeo che cosi guarda, sorride o r i d e ; ma quando viene a sapere che e ferma credenza del « selvaggio » che lo spirito del neonato segue ininterrottamente il corpo del padre, cessa il motivo di riso. Riderä, infatti, chi non comprende. d) Varie forme di illogicitä trici del riso.
suscita-
A voler poi, sempre nel campo della nostra tentata spiegazione, guardar piü da vicino i vari aspetti di quella illogicitä che ci sembra connaturata nelle cose o nei fatti che guardiamo e che turbano l'equilibrio della nostra logica, si troverebbe che di essa illogicitä si presentano varie forme, tutte concorrenti alla medesima conclusione. 1) E ' illogico, per esempio, adoperare mezzi giganteschi per raggiungere minuscolo fine (il famoso Tizio che uccide a revolverate la zanzara) o viceversa. E ' illogico agire in modo evidentemente assurdo p e r raggiungere un fine che si sarebbe potuto toccare con semplicissimi ed evidenti mezzi: il celebre clown Grock, di fama internazinnale, faceva assai ridere il pubblico del circo quando, sedutosi su uno sgabello di f r o n t e a un lungo pianoforte a coda per accingersi a suo-
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nare, trovando lo sgabello troppo lontano dalla tastiera dei piano, tirava con grande sforzo il piano verso se stesso e verso lo sgabello... con sovrana illogicitä, suggerendo la p i ü elementare logica, aristotelica o no, di tirare, invece, lo sgabello verso il piano. E quäle piü assurda illogicitä di quella che appare dalla strabiliante avventura dei barone di Münchhausen (tutte strabilianti, dei resto, per illogicitä le avventure di quell'illustre e simpatico barone) il quäle, per raggiungere il campo nemico si mette a cavalcioni di un grosso proiettile uscente dalla bocca dei cannone situato accanto a lui e parte quindi con esso? Si aggiunga poi — continua la illogicitä meravigliosa — che, giunto nell'aria, a mezza strada, tra il proprio accampamento e quello nemico, l'eccellente barone, pentito dei viaggio, si affretta a tornare indietro approfittando di un proiettile che partito dal campo nemico gli passava accanto. La ininterrotta successione di si colossali illogicitä desta di continuo la dolce reazione dei riso o dei 6orriso. Accertamento dei medesimo genere potrebbe farsi per ogni singola avventura narrata da quel grande personaggio: il cavallo che, affaticato e assetato dopo la battaglia, beve senza interruzione alla fönte, e mai cessa di bere perche, essendo stato tagliato a mezzo corpo da una colossale sciabolata, il povero quadrupede piü non possedeva che la parte anteriore dei corpo e p e r ö l'acqua che gli entrava nelle fauci usciva direttamente dallo spezzato tronco senza calmare l'arsura della povera bestia, ecc... Si ricordi anche quella lepre che, pcrseguitata in caccia dall'illustre barone, senza tregua fuggiva dinanzi a lui e senza mai posa ne stan«hezza... finche l'egregio cacciatore si accorge che ciö poteva accadere perche quella lepre era fornita di quattro gambe complementari sul dorso sicche quando le quattro gambe di sotto erano stanche, si rivoltava la lepre su se stessa e continuava a correre servendosi delle quatt r o di sopra. Splendido capolavoro di illogicitä... e di a w e n t u r e di caccia. 2) Particolare forma di urtante illogicitä risulta dal riavvicinamento automatico e meccanico di idee di cui l ' u n a escluda l'altra e che pur vengono t r a lor saldate; si tratta di un semplice giuoco che, appunto per il carattere or detto, suscita il riso. Si chiamino ad esempio quei popolarissimi verseggiamenti che tanto fecero ridere il pubblico delle farse quando dicevano: Qual pesciolin terribile — Vola di ramo in ramo — E con canzon melliflua — Urla belando; io t'amo — Cosi, baciando i fulmini — II cor danzando sta. Oppure si pensi all'immediato successo che h a n n o le frasi di questo genere: il
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sole cadeva a larghe jalde, ecc... Oppure, ancora, si pensi a certi racconti esposti in quei foglietti volanti, o libretti rozzamente illustrati e etainpati, di cui tuttora si fa spaecio in talune campagne (fogli e opuscoli di colportage, come dicono i francesi): C'era una volta un ricco pover uomo — Che cavalcava un nero caval bianco — Sali sccndendo in cupola del Duomo — Reggendosi. dal destro lato manco ecc... I cultori dell'etnografia popolare ben conoscono narrazioni, verseggiamenti e filastrocche (dette alla « rovescia ») di cui p a r si delizi o si sia deliziata la mjnuta gente delle campagne; d'altra parte, Gäulio Cesare Croce, autore di Bertoldo, aveva cantato, per far ridere il suo pubblico: Una pulce di maiolica — Fatta di canna d'India, — Che passa il mare Atlantico — Sohra un granel di senape ecc... Sempre in tema di una meceanicitä c h e traspone categorie diverse di pensieri insieme poi fondendole, da cui una illogicitä che fa sorridere, sarebbe da rammentare la comicitä che sorge dal saldare in una sola fräse le p a r t i di due ben diversi proverbi: gallina vecchia, onor di capitano (e il suo complemento; bandiera vecchia fa buon brodo). O p p u r e : un chiodo caccia l ' a l t r o e tutti e due lavano il viso. O p p u r e ancora: a can che lecca cenere, ponti d'oro (e il suo quasi complemento: a nemico che fugge, non affidar farina), ecc. ecc... Noti il lettore come le pittoresche, risibili e «spiritose » immagini che vengono fuori dal riavvicinamento meccanico di cose opposte e tra loro in contradizione, non preesistano (per cosi dire) alla creazione della fräse di spirito, ma siano ad essa posteriori nascendo automaticamente dal giuoco — anche fatto a occhi chiusi — consisten-l te nel riavvicinamento degli opposti. Se « spirito » vi e, esso non si sprigiona dal pensiero di chi parla o narra o canta, ma dall'inerte materiale delle parole automaticamente accomodate come sopra. II che f u con larga documentazione giä mostrato — come ricordammo — dall'autore delle presenti pagine a proposito dei travisamenti, delle triturazioni, delle deformazioni e amputazioni che il basso popolo fa della lingua comune traendone una serie di immagini (non volute, ma automatiche) ora veramente pittoresche, ora schiettamente risibili. Senonche, e p u r da notare che l'uso dei sopra detti contrasti, riunenti t r a loro concetti opposti, si trova non infrequentemenite in quei verseggiare che e proprio a certe categorie di mattoidi, o addirittura di alienati, verseggiare che — dopo che il Lombroso raccolse e scrisse in proposito — abbiamo chiamato « l e t t e r a t u r a b i a n c a » ; chi leggesse, poniamo, la seguente quartina: Danzan gli ioni — Fra scrosci e tuoni
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— E fan canzoni — Per l'avvenir... seguita da quest'altra : Mentre giu. livo — E recidivo — Di clivo in clivo —• Va Veleltron, ecc. ecc.... troverebbe di che sorridere al cospetto di quegli ioni che fanno canzoni e di quell'elettrone che e giulivo e va di clivo in clivo (illogicitä pifll che urtante) se pur non dominasse il sentimento di pena e di pietä per il malato di mente che in quei versi si rivela (1). 3) Ma vi sono p u r altre forme di illogicitä che tutte ci turbano e che quindi destano in noi la reazione dei riso. Quando Gedric il Sassone, insieme al suo amico sassone, si presenta alla festa regale dcl r e normanno, si ride di lui e dell'amico perche rivestivano essi la breve tunica e il lungo mantello degli antichi sassoni, mentre lunghissime giubbe e cortissime mantelline rivestivano gli a l t r i : i mantelli cortissimi, in maggioranza e in generale uso, ridono dei mantelli lunghissimi... non conformisti (cap. XIV di Ivanhoe di Walter Scott). Anche l'anormalitä e il non conforinismo, dunque, sono una sorta di illogicitä rispetto alla normalitä. Voltaire nella sua lettera Sur les Quaquers fa giustamente dire al quacquero; « Avoue que tu as bien eu de la peine ä t'empecher de rire quand j'ai repondu ä toutes tes civilites avec mon chapeau sur la tete et en te tutoyant »l Invero, in tempi e luoghi in cui tutti salutano scoprendosi il capo e p a r l a n o dando il voi, diventa oggetto di scherno e di ridicolo chi saluta senza nemmeno toccarsi il cappello e parla con il tu (ma il quacquero aveva le 6ue buone ragioni e la sua logica poiche — come egli diceva — ai tempi dei Cristo non ci si levava il cappello e non si dava dei voi). A proposito della « illogicitä » di ciö che e anormale, valga ancora quanto segue. L'accertare, invero, che un dato fatto o atteggiamento cade — rispetto a tutti i fatti e a tutti gli atteggiamenti formanti la massa in cui esso si produce — nella zona della anormalitä staccandosi, cioe, dalla massa stessa con un profilo di eccezione, costituisce una specie di aecertamento di illogicitä: assurdo e, in certo senso, (1) Rimandiamo al § VII della nostra Memoria: Asterischi di psicologia criminale e ai margini, nella «Giustizia penale », I presupposti, 1941, paragrafo che dedica alcune pagine alla « letteralura bianca », e cioe dei mattoidi e degli alienati. Letteratura bianca abbiamo chiamato siffatta sorta di creazione letteraria dovuta ad alienati e a mattoidi, riferendoci a quella tragica definizione che nei Rejrattari J U L E S V A L L E S dava dei rinchiusi nei manicomi: « Cadaveri ancor vivi, tutti biancovestiti... che si muovono in prigioni bianche... ». Letteratura bianca. in oppcsizione alla letteratura rossa, alla gialla, all^ azzurra, come abbiamo indicato nel capitolo: « Le immagini, l e gazzette, il libro » d e i nostro volume: Parigi; una citt'a rinnovata, Torino, IS'll.
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non solo ciö che non puö in nessun modo prodursi, ma anche ciö che si produce (quasi aborto) fuori dei limiti della normalitä. Infatti, anc h e la anormalitä — purche non si rivolga al nostro sentimento, suscitando pietä od orrore o ammirazione, ma locchi esclusivamente la nostra visione intellettiva — puö essere motivo del ridere; l'ingiusto riso provocato dal gobbo (quando pur questo, per una data ragione, non susciti in noi sentimento di pena) insegni; il gobbo e, a motivo della sua colonna vertebrale, un « anormale »... per quanto sia ben noto l'aneddoto del gobbo stesso che, lamentandosi di essere stato mal fatto, 6i senti rispondere che, per gobbo, era fatto bene. La illogicitä di tale risposta, solo apparentemente logica, fa sorridere, proprio come fa sorridere l'accertamento puramente intellettuale di una anormalitä che non desti alcun riflesso sentimentale.
CAPITOLO
QUARTO
ANCORA DELL AUTOCONSOLAZIONE PER MEZZO DEL RIDERE: PAGINE DI SCHERNO E DI ASSALTO Torniamo ora a quei riso (sempre voluto a difesa come sopra) che non e davvero da collocarsi tra i modi che abbiamo indicato come « contemplativi » o affini ad essi, ma tra quelli che abbiamo chiamato « a t t i v i » e assalitori. Ne abbiamo giä fatto semplicissimo cenno poco indietro, ricordando al riguardo le atroci caricature prospettate da Yalles o da altri e la fiera sentenza di Nietzsche, ma e ora il luogo di parlare piü largamente di quei riso.
1. - Riso di aggressiono e di Vendetta. Si tratta di un riso ognora espressione di un tal senso di difesa dell'Io, da d i v e n t a r e assalto e offesa che porta seco la piccola gioia della rappresaglia e talora il piü oscuro livore della Vendetta. Si avrä, cioe — o ci sapremo creare p e r nostro uso e per difesa che va sino all'offesa — un riso non p i ü velato da una certa rassegnazione e da un quasi doloroso distacco dalle cose della vita, come vedemmo farsi dall'umorismo, o non piü risultante — piuttosto f r a n c o e schietto, almeno apparentemente — da una continua deformazione comica della vit a ; no, si avrä. invece (se p u r e permesso trovare categorie le une diverse dalle altre in tante s f u m a t u r e e gradazioni) si avrä invece un riso che si farä p i ü o meno affilato e tagliente non giä in una ironia bonaria e contemplativa, ma causticamente aggressiva, o u n riso che diventerä duro e sprezzante sotto una masehera cristallizzata in una specie di smorfia ne] sarcasmo, o che si trasformerä quasi in d u r a percossa con la satira e che poträ, infine, mostrarsi attivamente aggressivo e persino — perche no? — criminale, quando servirä ad avvilupp a r e e ad abbellire insinuanti menzogne ed abili calunnie.
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Parte
sesta a) Qualche
celebre
pagina.
In questi assalti che lo spirito esacerbato dä al mondo che lo circonda ricorrendo a tale o a tale altra forma dei riso — un riso voluto, che sorge dentro di noi, attori, e che per nulla ci viene naturalmente imposto da fuori — il riso p u ö esprimersi in eterne creazioni in cui (si noti) anche il basso istinto di Vendetta si sprigiona e si illumina con la forma della sublimazione. A voler far rassegna delle diverse forme dei ridere costituenti, senza alcun dubbio, la «scarica » affettiva di chi assale e percuote col p r o p r i o riso, troppi nomi dovrebbero venire qui chiamati a testimonianza. Pare davvero che tale modo di liberarsi dalla tristezza prodotta da un continuo cadere delle jllusioni e tale modo di vendicarsi della Societä maligna siano proprio di grande effetto e costituiscano arma di altissimo pregio, se tante celeberrime pagine si trovano quando si fa rassegna di siffatte maniere di sfogo che e al tempo stesso assaito e autoconsolazione. Dovrebbe, la rassegna in questione, toccando or di questa or di quella forma dei ridere e dello schernire, cominciare da Archiloco? « I I piü crudele dolore (cantava quel poeta) trafigge le mie ossa... e una spessa nube cade sui miei occhi », sicche il poeta crea, insieme al giambico, le canzoni di aspro dileggio che debbono, almeno temporaneamente, liberarlo dal suo risentimento e dalle sue sofferenze per essersi visto negare la bella Neobule dal padre di costei; il dileggio sino all'ingiuria, porterä « rimedio a quelle t r a f i t t u r e e dissolverä quella caligine». Aristofane, d'altra parte, or con lo scherno, or con una di quelle varie forme dei ridicolo che vanno dai colori piü attenuati ai piü accesi, in eterne pagine — come eterne sono certe schernevoli razze di uomini — insegnerä a ridere delle ingiustizie e delle goffagini della vita, di certi individui e di certe costumanze. Di Aristofane tutti gustano l'atroce ironia che anima le scene ove p a r l a n o gli uomini di Acarnia, fanatici di guerra o quelle ove le donne dell'Attica si riuniscono intorno alla intraprendente Lisistrata e complottano con essa. E ben si ride quando il famigerato furfante e capopopolo Cleone abbindola le pluadenti folle adulandole sino alla nausea (nella commedia / cavalieri) finche trova chi, piü adulatore e piü intrigante di lui, prende il suo posto e sino a che il popolo, stanco di tanti inganni,piü non vuol sentir parlare di ciarlatani e demagoghi (amabile finzione che serve di epilogo alla commedia aristofanesca). Oppure ben sorride lo spettatore, quando nelle Nuvole appare tutto il ridicolo di certi filo-
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sofi, in quelle Nuvole, tuttavia, in cui non vorremmo vedere la figura di Socrate confusa con quella di falsi filosofi. E cosi dicasi, e cosi si rida, per ogni altro sarcasino del teatro aristofanesco come lä nelle Fe. spe in cui si sogghigna a proposito di giudici e di tribunali. Senza dire dell'astioso livore con cui nelle Rane si ride contro un poeta nemico preso a scherno e della comica beffa con cui si presentano, nel gracchiare delle ranocchie, i verseggiamenti dei poetastri minori; oppure, ancora, senza d i r e delle fantastiche scene degli Uccelli — vivaci e allegoriclie scene — ehe si prendono giuoco senza pietä delle costumanze e degli uomini di quella cittä in cui Aristofane vive e che mostrano le vicende dei due ateniesi emigrati da questo mondo p e r cercare in remoti regni aerei l'onesto vivere... che non trovano. Doveva ben ridere il pubblico, ma piii ancora del pubblico doveva ridere, pensando e scrivendo le sue scene, Aristofane stesso e con quei riso f a r traboccare il proprio corruccio o — diciamo pure — il proprio livore, trasformandolo in opera d'arte. Un qualche di simile accade per Plauto che dalla sua povertä e dal suo faticoso lavoro quotidiano di semplice operaio mugnaio, contemplando i vizi dell'uomo meglio ne sentiva il morso e da quei disagio si liberava con il riso; ed eccolo beffeggiare l'avaro ne\YAulularia, il parassita nel Curculio, lo smargiasso nel Miles gloriosus, le innovazioni femministe nellVlswiarta e cosi via via, coprendo di ridicolo o insultando con lo scherno lo schiavo intrigante, il vecchio brontolone, le cortigiane e i libertini. II tutto con quella ampia libertä di espressione plebea che forma una delle caratteristiche (per l'assalto agli uomini e alle cose) proprie a Plauto. Possiamo forse considerare anche la satira — non tanto quella placida e divagatoria come l'oraziana, ma feroce e quasi sanguinosa come quella di Giovenale — come un modo di ridere e far ridere delle umane brutture o, meglio, come un modo di legittima Vendetta e di accusa per mezzo dello scherno? Se Plauto, colpito dalle bruttezze morali degli uomini, beffeggiava — a titolo di sfogo e di autoconsolazione — lo spregevole animale Homo (quäle si presenta in tanti esemplari) Giovenale, colpito dalle bruttezze morali del mondo in cui viveva, beffeggiava (piuttosto che i singoli tipi di individui) la spregevole Societas dell'impero... la quäle, poi. in ultima analisi non era se non una delle tante forme in cui si presenta, con fondamentali caratteri permanenti, la Societas umana. II poeta scriveva sotto Traiano e Adriano, prineipi elementi, ma l'ambiente tutto e gli uomini ben ri-
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senlivano ancora dei terrorismo di Domiziano; in tale ambiente — come diceva il poeta stesso — difficile est satiram non scribere (I, 30). L'anima onesta e corrucciata si indigna contro i corrotti costumi dell'epoca, e allora l'adirato verso dipinge il vilissimo barbiere che diventa patrizio e con i patriizi gareggia... patricios omnes opibus quum provocet unus; beffeggia l'ipocrisia che ostenta moraleggiare: Curios simulant et Bacchanalia vivunt• acerbamente schernisce il mal costume delle cittä, mentre piü onesta e la vita di provincia: ego vel Prochytam praepono Suburae; ride dei cortigiani di Domiziano tra i quali, ad esempio, quel Crispino... monstrum nulla virtute redemptuni a vitiis; schernisce il parassita (vizio dell'epoca di allora e, sotto mutala forma, vizio ancora di oggi) il quäle davvero crede che il sommo bene stia nel vivere e mangiare sull'altrui tagliere : ut bona summa putes, aliena vivere quadra; narra con ritmo rovente dell'infamia delle donne: la pudicizia visse soltanto, e poi spari, ai tempi di Saturno... credo pudicitiam Saturno rege moratam. E via dicendo. (I, 2 4 ; VII, 3;. III, 5; IV, 2; V, 2 ; VII, 1). II riso, davvero, non ha soltanto funzione di difesa individuale; esso costituisce anche una, se cosi puö dirsi, difesa sociale. Non soltanto l'individuo si difende (e offende), ma ciö si fa anche da parte della Societä. Quando Aulo Persio, con la sua satira concisa, nobile ed efficace, allude — colpendo — al tiranno e mostra di quanta vanitä siano l'oro e gli orpelli dei secolo, non solo si ha trasfigurazione e autoconsolazione da p a r t e dei poeta, ma p u r anco reazione da parte dei popolo intero che legge, ode e in cuor suo applaude... e in quel silenzioso applauso trova ristoro. Ben fu detto che, fatta la satira da un grande che 6i sente estraneo e si apparta, pur reagisce tutto l'organismo collettivo e si difende contro le cause che lo minacciano (1). Invero, come lasciö scritto Carlo Cattaneo, « la satira e l'esame di coscienza dell'intera Societä; e una reazione dei principio dei bene contro il principio dei male; talora la sola repressione che si possa opporre al vizio vittorioso » (Cattaneo, Della satira, all'inizio stesso dei discorso). Anche Persio si era proposto di ridere delle nefandezze dei tempi e degli uomini: « Che cosa farö? » — si era chiesto — e aveva risposto: «Sono di milza petulante io, e devo ridere a ogni costo! quid faciam? Sed sum petulanti splene, cachinno! (I, 12) ma in realtä ben poco la sua satira austera si dava al vero e proprio riso, sia pure (I)
A.
PICCOLI-GENOVESE,
Giovenale, Firenze, 1533, pag. 52.
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bonario. II poeta, cioe, che trascorse i brevi anni della sua vita solitaria e taciturna, t r a pochi e cari amici e Maestri, nell'ideale giardino dello Stoicismo, non ride, ne beffeggia, n e scende al dileggio con aspra e iraconda parola — tanto che fu detto essere la satira di Persio una satira senza riso — ma piuttosto ammonisce, p u r sempre colpendo. Eloquenti e punitive le sue allusioni a Nerone (I, 4 ; I, 122; IV, 3; IV, 17; V, 9) e quella relativa a Caligola (VI, 43); ed efficaci i vivaci accenni che la satira fa dell'ignoranle presuntuoso, del furfante, del servo, dell'adulatore... il p r i m o ben rammenta il villano dai rozzi stivali, ignaro delle stelle, che presume dirigere una nave: navem si poscat sibi peronalus arator (V, 102); il secondo, furfante, rac-l catta anche nel fango il denaro in quei fango confitto; in luto jixum (V, 111). E' forse padrone di se quell'ambizioso che corre a bocca ap e r t a appresso a ogni titolo e ad ogni vanitä? (V, 176). Quanto diverso, siffatto modo di rimproverare e di colpire, da quello che piü tardi adopererä, coi suo epigramma, Marziale! Infatti, a proposito di un beffeggiare — anzi, di uno scherno che e al tempo stesso di « s c a r i c a » per il beffeggiatore e di ferita mortale per il beffeggiato — chi potrebbe mai dimenticare gli epigrammi di Valerio Marziale che nessuna volgaritä trascurano p e r coprire di p u t r i d u m e il nemico o il vile dall'anima di servo? II poeta visse piutt06to di stenti e di miserie in mezzo al lusso di Roma e p i ü volte la Musa di lui fa cenno di quella p o v e r t ä ; saranno, anzi, di autoconsolazione quei continui motteggi e quei sarcasmo, a volte crudele e non rifuggente dalla trivialilä, di cui sono cosparsi gli epigrammi. Äveva detto, il poeta, a un amico; « Perche vuoi tu venire a Roma?... se tu sei uomo onesto non potrai vivere a Roma che per un capriccio della Sorte » (III, 38). I n quell'ambiente e in quello stato d'animo. Marziale compone l'acido corrosivo dei suoi versi dedicando ognuno di essi o piü di essi, a ben distinte figure di quei mondo: ecco l'epigramma per il faccendiere, p e r l'avaro, per l'avvocato, per il bavoso critico, per il declamatore, per l ' u o m o servile, per l'effeminato, per l'invertito, p e r l'invidioso, per il cattiva attore, per il cacciatore di ereditä, per gli sposi ridicoli, per il medico ladro, per il vizioso che incarna il vizio stesso ecc... senza dimenticare — t u t t ' a l t r o ! — l e femmine quali la corligiana, la smorfiosa, la mezzana, la ipocrita, prendendosela anche — il poeta — con le guercie e le sdentate, per non dire altro; Pepigramma 17 del l i b r o secondo, ad esempio, dice di una femmina, accanto alla Suburra. che essa fa la barbiera ...ma non 28. - L'Io.
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s e st a
r a d e : « N o n rade? E allora che fa? Scortica ». Anche Marziale nel rid e r e e nello schernire trova sfogo al suo disagio e al suo dispetto, scorticando. A guisa di postilla, tuttavia, potremmo aggiungere che l'origine segreta del mal dire, fatto dal poeta, contro tante persone e su tante cose, non dovette essere soltanto riposta nel disgusto che il Saggio prova allorche contempla umani esseri intenti alle loro egoistiche battaglie e umani avvenimenti, ma pur e da cercarsi in un bizzoso e iroso senso profondo di rancore, se non di invidia, intimamente legato al temperamento di clii cosi sentiva e ßoffriva. Negli epigrammi in questione, invero, non solo si batte e si colpisce ogni vizio dell'animo, ma si beffeggiano puranco, e con gioia — che e quasi una cattiveria — situazioni e tratti che ben poco hanno a vedere con l'immoralitä della condotta. A Lino che chiede al poeta perche mai se ne vada egli nel poderuccio nomentano, bizzosamente risponde; « P e r non vederti » (II, 38); di Zoilo dice che se costui volesse bene insudiciare l'acqua del suo catino, piuttosto che lavarvi le piü sporche parti del corpo, meglio farebbe se vi tuffasse semplicemente la testa... spurcius ut fiat, Zoile, merge caput (II, 42); e n a r r a n d o il Sabidio a banchetto, il poeta vi fa sapere che quando costui, per r a f f r e d d a r e un ardente pasticcio portato in giro, sopra vi soffia con la bocca, niuno volle poi goderne... sed nemo potuit lungere: era diventato Stereo (III, 17). Nello stesso modo, l'infermitä del fetido fiato e dal poeta rinfacciata a piü d'uno; « S a p e t e perche l'orecchio di Mario putisce? Perche Nestore gli parla all'orecchio» (III, 28); e cosi si fa per il cattivo odore che puö da taluno emanare; «Ogni puzzolente sentore e preferibile al tuo fetore o Bassa » ...quam quod oles olere, Bassa (IV, 4). D'altronde, a Gellia civettissima che si asperge di profumi fa osservare, sghignazzando, che anche un cane, come lei profumato, potrebbe far buon odore... Scis, puto, posse meum sie bene olere canem (III, 55). E ' ben lieto, il poeta, di far 6apere che se Taide ha i denti neri e Lecania bianchi, gli e che questa Ii h a comperati mentre quella Ii ha di suo ...Emptos haec habet, illa suos (V, 43), e par sia p u r lieto di eonsigliare a un tal Febo di mangiar laltughe e malve poiche ben dalla faccia di lui si vede la sua stitichezza (III, 89). Qui si ride e si vuol far ridere n o n certo per castigare i costumi, ma per istinto di dileggio connaturato con tale costituzione che in quei dileggio trova sfogo e diletto, proprio come accade allorche malignamente si dice giurare il vero Fabulla quando asserisce essere suoi i capelli... poiche Ii h a comprati e pagati; non e quindi spergiura ( W , 12). A un certo Hyla, non
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p a r faccia rimprovero quando gli dä dei cisposo e dei guercio (...lippus, luscus)? (VIII, 9). E non rimprovera forse F a b u l l a dell'etä matura di lei quando le dice che p e r sembrar gioyane si circonda sempre di vecchie e vecchiotte?... Sic formosa, Fabulla, sie puella es (VIII, 79). Quanto diverso (sia detto di passaggio) il sorriso — nella satira — oraziano che, p u r ammonendo, colpendo, ammaestrando e quasi filosofeggiando, mai trascende e mai, si puö dire, esce da una sua placida compostezza! Gli e che, probabilmente, assai diversa da quella degli altri grandi satirici e fustigatori delle umane b r u t t u r e era la costituzione morfologica e psichica dei pacifico Orazio il quäle — a p p u n t o in forza di tale suo modo di essere — con maggiore tranquillitä degli altri reagiva al disagio in lui procurato dalla contemplazione di tante s t o r t u r e ; anzi, rammenta talvolta che occorre essere indulgenti nei riguardi degli altrui difetti... pensando ai p r o p r i : nam vitiis nemo sine nascitur; optimus ille est / qui minimis urguetur ((Lib r o I, sat. III, 68) 5 negli Epoch, tuttavia, il pacifico Orazio diventa a volte acre e vendicativo, quasi a imitazione — niente di m e n o ! — di Archiloco, sfogando il risentimento suo contro piccoli uomini e feminine che, senza dubbio, gli reeavano noia e gli facevano dispetto... il tutto, in ogni modo, senza dimenticare di f a r ricordo della pace e della tranquillitä che puö godere chi sa sottrarsi alle diuturne occupazioni della vita: beatus ille, qui proeul negotiis / ut prisca gens mortalium / paterna rura bobus exercet suis / solutus omni fenore... (Epodi, II, 1 ^ ) . b) Continuando
la
rassegna.
Analogamente, e sorvolando i secoli, assai efficace rassegna pot r e b b e mai farsi — venendo a tempi piü a noi vicini — dei grandi beffeggiatori e schernitori. Si oda il riso sonante, aperto e 6chietto, ma spietatamente assalitore, di Babelais con Pantagruel e Gargantua che passano tra le caricature de] mondo e dei suoi piccoli uomini facendosi beffa di costumanze ischeletrite e polverose, di smanie animalesche di guerra, di insulsi e grotteschi modi di edueazione, di goffe e supine Superstizioni... E p u r si oda il riso ancora schietto, ma accompagnato da un profondo senso dei ridicolo che e negli uomini e nelle donne da schernire, di Mbliere nel Malato immaginario, nel Falso gentiluomo, nelle Preziose ridicole e nelle Donne sapienti, in Tartufo, rte\VAvaTo e via dicendo: altrettanti personaggi che incarnano ciascuno una
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speciale 6tortura della mente e del cuore da prendersi in ridicolo. E* ancora riso, ma di sobria ironia — e cosi sobria che appena traspare — pur efficacissima, il riso di Le Sage nelle avventure di Gil Blas attraverso la movimentata vita di costui, tra le 6acrestie, le caverne dei ladri, le scene dei teatri, i pettegolezzi e le invidie dei letterati e degli pseudo letterati, gli ospedali, le prigioni, la Corte: altrettanti mondi da sottoporre al castigo di chi guarda, giudica e sorride. In» vero, avverte Le Sage (al principio stesso del suo narrare) che dietro lo scherzo della sua favola e nascosta la veritä dura e maestra: cosi, egli dice, il viaggiatore che non si accontentö — lungo il suo cammino — di leggere soltanto l'iscrizione incisa su una pietra, ma volle vedere che cosa sotto quella pietra giacesse, scopri un tesoro. Viaggiat o r e o lettore che tu sia, non accontentarti dell'esterno e giocondo narrare, ma guarda ciö che sotto quella masehera si trova. Quindi, traete ammaestramento dal fatto che il povero Gil Blas, per avere a tempo avvertito l'arcivescovo di G r a n a t a suo padrone, di cessare dalle p r e diche perche cominciavano esse a farsi misere e sciatte, f u da questi messo immediatamente alla porta; o ricordate quell'amministratore dei beni dei poveri che cosi amministrando era diventato ricco; o ricordate ancora quei celebre medico che tanto si ostinava in una sua bizzarra cura operante coi togliere sangue ai suoi malati, da trasformare il registro in cui segnava i nomi dei suoi clienti in un vero eimitero. Oppure, pensate alla condotta dello stesso Gil Blas che, per colp o di fortuna diventato dovizioso e potente, finge di non riconoscere un parente suo povero, venuto dal paese... E cosi di seguito 6i presentano cento altre avventure descrivendo le quali l'Autore, senza dubbio colpito e afflitto da tante male opere che intorno a lui — quasi per legge naturale — 6i andavano facendo. si difende dal suo 6offrire e offende per mezzo di un sorriso che soltanto in apparenza e bonario. Medesimo sorriso, p i ü tagliente questa volta, dovette vendicare lo 6tesso Le Sage dello sdegno risentito nel contemplare la sfacciata fortuna dei f u r b i mercanti o dei giovinastri 6enza scrupoli: cosi nella commedia che si intitola Turcaret sono tremendamente irrisi il goffo finanziere e lo sfacciato Frontin, corteggiatore l ' u n o e servo l'altro, di elegante donna leggera: « E c c o come va la vita — dice quest'ultimo — la mia bella ed io spennacchiamo una civetta; la civetta divora un finanziere; il finanziere ne divora altri... cela fait un ricochet de fourberies le plus plaisant du monde » (Atto I, scena XIII). Insomma, tanto nel romanzo quanto nella commedia e tutta la vita sociale in a l t a
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rilievo, esposta in breve lezione al pubblico in una scherzosa forma che doveva ben soddisfare l'ansia di sfogo, di corruccio... o di livore dell 'artista. P e r contro, ecco un riso che diventa sogghigno e scherno; il ri6o (ricordiamo anche questo) pifü che sarcastico di Diderot, quäle risuona nella tempesta di feroci paradossi con cui il vivace scrittore (per bocca dei diabolico nipote di Rameau) beffeggia, invettivando, il mondo intero. Autoconsolazione, senza dubbio, e al tempo stesso sublimazione di un profondo rancore — che potrebbe essere anche odio senza pietä — nelle colorite forme dell'arte. Ecco perche quel romanzesco personaggio — abilissimo parlatore e ricco di ogni fuoco di artificio nella conversazione, proprio come Diderot in persona — sparla di ogni nemico dei filosofo, mette alla gogna chi « fa il proprio dovere come peggio p u ö » e chi striscia ai piedi di colui che comanda, denuncia chi lascia — indifferente colpevole — che il mondo vada per il suo verso. Persino l'uomo di genio — o, meglio, qualche uomo di genio — appartiene a razza detestabile, tanto che se bimbo nascesse con siffatte stigmate, meglio varrebbe strangolarlo appena nato ( S J C ) . Da altra parte, come in Natura tutte le specie si divorano l'un l'altra, C06i (amara riflessione) nella Societä tutte le classi si saccheggiano reeiprocainente, sicche il mondo e una lotta in cui «soltanto l'imbecillc o l'ignaro sono messi a contribuzione senza diritto di rivalsa ». E altrov e : « Se avessi ricca casa, 6office letto. vini squisiti, sontuoso equipaggio, ecc., cento farabutti verrebbero ogni giorno ad incensarmi, mi direbbero che sono un grand'uomo e nelle storie e nelle enciclopedie c h e essi scrivono proclamerebbcro ancora che sono grandissimo... ». La beffa continua di questo passo, con senso di profonda veritä sotto l'iridescente velame dei paradosso. Checche ne sia e sotto quäle forma che sia, il ridere funziona come liberatore dello spirito e lo sbarazza dell'angoscia che lo angustia. Che cosa e mai, infatti, la continua ironia dei Giorno pariniano, descrivente le inutili ore dcl nobile ozioso e sciocco, tanto squisita e deliziosa nella sua esterna forma, quanto feroce nella sua intima essenza, se non il gesto che libera l'animo dei poeta, povero e quasi servo, dal senso continuo e pressante di umiliazione e di sottomissione in cui la malignitä della vita cercava costringerlo? Un gesto, si direbbe, che traduce, sublimandolo nel cadenzato verso, un vero senso di rancore e, piü che di rancore, persino di odio. II contravveleno di un interno veleno. Invero, se tra i numero6i glossatori e interpetri dei capolavoro
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pariniano se ne trova taluno asserente che gli endecasillabi dei Nostro, piü che fustigare una intera classe o una casta, come tale, avevano semplicemente l'altissimo fine di emendare coloro che in quella classe o casta davano male esempio e indegnamente si comportavano, o con 60verchia frivolitä, altri invece (i piü) vedono nell'ira pariniana, mascherata di miele e di sorrisi e tutta incipriata, l'espressione di uno sdegno diretto a investirc la classe tutta o casta quäle istituzione e potenza. Nel primo caso, opera ingenuamente pedagogica per correggere o migliorare quella nobiltä accanto a cui il poeta viveva, mentre la seconda interpetrazione vi porta su terreno assai diverso; anzi, potrebbe in proposito pensarsi che si diceva male della classe o della casta, e la si poneva in ridicolo con assai astio, sospinti dal medesimo stato d'animo di cui parlö piü tardi un amaro critico delle cose e degli uomini — Flaubert — quando notava, a proposito dell'Accademia di Francia « che tutti ne dicono male... ma tutti desiderano di f a r n e parte ». In ogni modo, ammesso che vi sia essenzialmente indignazione nei motivi che trassero il Poeta al satirico verso, e sempre da chiedersi se a quei motivi non sia p u r d'aggiungersi un qualche di meno chiaro dell'indignazione e di piü oscuro e profondo. Nei personaggi dei Giorno — come p i ü volte ha mostrato la critica — sono ritratti nelle piü atroei deformazioni e con dileggio Ironico, vere e proprie persone viventi dei mondo aristocratico e intellettuale in cui il precettore Parini viveva, tanto che ebbe piü volte a rammentarsi che il successo grandioso manifestatosi alla dimane stessa della pubblicazione, f u vero e proprio successo di scandalo poiche ciascuno ravvisava in questo o quel profilo tale o tale altra persona di notissimo nome... (Cosi afferma il Foscolo che era testimonio dei fatti). Vi e qualche cosa di piü, nell'ira dei Giorno, della semplice indignazione; forse, personale rancore e un traboccare di quel profondo senso di dispetto che prova chi, vedendosi condarmato a piü bassa situazione di quella in cui stanno coloro che gli vivono d'attorno, non sa rassegnarsi, ne astrarsi, p e r non vedere e per dimenticare, ne trovare altra consolazione diversa dal dileggio... e dalla calunnia. Non dimentichiamo avere il Parini scritto quel vivace e in assai punti simpaticissimo dialogo Della nobiltä, in cui con qualche ferocia si disputa sugli errori e gli orrori di siffatta « casta » facendo dialogare in un sepolcro, 6otterra, il cadavere di un nobile con quello di un plebeo che per avventura gli stava d'accanto: « Fatt'in lä, mascalzone » dice il nobile, e l'altro eccolo a rispondere:
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« E l l a ha torto, Eccellenza; teme ella forse che i suoi vermi non l'abbandonino per venire a me? ». c) Fogli e gazzette. Se le piü o meno degne gazzette settimanali che di proposito si danno alla caricatura degli uomini e delle cose e si atteggiano a casti-> gare i costumi del tempo, non portano tutte davvero il contrassegno dell'arte e in alcun modo possono f a r venire alla mente Giovenale e Rabelais, e pur da dirsi che tra esse se ne trovano alcune che per tratti e disegni potrebbero p u r figurare in un museo d'arte letteraria o figurativa che volesse render conto del come si r i d e per difesa o per offesa. Anche qui i metodi adoperati per far ridere o sorridere il pubblico a spese degli avvenimenti, delle cose e soprattutto dei personaggi grandi e piccoli che passano quotidianamente sul triste schermo ci-) nematografico della vita, sono p u r quelli di cui piü indietro abbiamo p a r l a t o ; nel disegno vengono esagerate le caratteristiche fisiche p i ü o meno anormali di questa o quella persona, mentre nelle idee e nei concetti si presenta la illogicitä delle situazioni, ne si rinunzia — tutt'altro! — ad acide frasi c parole d'insulto, il tutto adoperato, sia per far critica bonaria e quasi gioiosa o soltanto per svegliare il buon umore, sia per assalire e combattere, come nelle celebri Vignette e negli aneddoti del non meno celebre Simplicissimus, per non citare che quei notissimo foglio, ameno e battagliero... ormai perduto nel tempo. In quei foglio, caricature e invenzioni anedottiche, volta a volta amare o feroci, contro il kaiserismo, il militarismo e via dicendo, provocando spesso quei riso che sorge dal contrasto coi mostrare, ad esempio, la piccola e magra figura di un illustre vincitore del premio No^ bei sotto cui sta scritto: 10 mila dollari, mentre accanto si erge la colossale e bovina figura di un boxer 6otto cui si legge: 50 mila dollari! Da fare il paio con il disegno in cui si vede Ibsen, vecchio e canuto, che guardando un divo del cinematografo, dice malinconicament e : « E dire che una volta anche io ero celebre quanto lui! ». Vi sarebbero da raccogliere elementi non pochi per l'analisi di quanto stiamo esaminando, nei fogli umoristici e di assalto dei piü vari paesi, come nell'vlssiette au beurre spietatamente feroce nel suo riso e anzi nel suo sghignazzare contro tutti i « profittatori » (tutti coloro che non hanno i mdei stessi interessi e che non appartengono al.
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la mia casta o al mio gruppo sono ...profittatori, che soltanto la mia casta o il mio gruppo non appartiene alla categoria dei « profittatori ») o come in ben noti tfltri fogli dei nostro o non nostro paese, ieri e oggi.
2. • II soccorso della finzione per poter ridere liberamente: viaggi fantastici; favole in cui parlano gli animali. E ' da rilevare che negli sfoghi di varie forme, al fine di autoconsolazione, di cui stiamo trattando, ogni sorta di finzione viene in soccorso all'ironia permettendo ad essa di manifcstarsi con una certa Iibertä quando (dati i tempi e i luoghi) tale manifestazione potrebbe suscitare incresciose reazioni contro il beffardo autore, imperando allora — o quasi — il nihil de principe, purum de Deo. Chi cerca, infatti, dar via al proprio profondo corruccio o al segreto istinto suo di aggressivitä trasformando l'uno o l'altro nella satira, nel sarcasmo e nello scherno, non sempre puö liberamente mettersi su tale cammino e ancor qui ha egli da frenarsi e da ricorrere ad artificio. Ciö accade quando — dicevamo — ci si trovi a parlare e a scrivere in uno di quei climi di cui Tacito al principio stesso dei suo Agricola: tarn saeva et infesta virtutibus tempora... Ma soccorre la finzione.
a) Viaggi
fantastici.
Soccorre, dunque, la finzione. E una certa finzione in alcuni suoi speciali aspetti. Trasferire, ad esempio, le tristizie dei proprio tempo e luogo in tempi e luoghi assai lontani e diversi viaggiando attraverso immaginari paesi, descrivendo immaginarie costumanze e facendo parlare gli altri di ciö di cui tu non vuoi prendere la responsabilitä. II viaggio romanzesco che il giä rammentato Rabelais fa compiere ai suoi sempre viventi personaggi, per terre, acque e cieli mai per lo innanzi in nostra cognizione, non e forse fatto per condannare le vuote ciance, le ridicolaggini e le malvagitä dei nostro stesso mondo? Viaggiano gli eroi di Rabelais di isola in isola o di terra in terra, passando dal paese dei Macreons a quello dei Tapinois, a quello, ancora, di Ruacli dove non si mangia che vento e le cui case sono fatte di ban-
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deruole, per venire poi alle terre dei Papefigues i quali, per avere offeso l'immagine del Papa, sono stati ridotti in dura servitü dai Papimani; e poi ecco i nostri viaggiatori giungiere alla terra su cui regna messer Gaster, sovrano duro e inflessibile, privo di orecchie ed esercitante il suo imperio con brevi e implacabili cenni. Nell'Isola sonante, d'altra parte, i nostri viandanti trovano uccelli-uomini dai piumaggi piü v a r i : Gliiericotti, Monacotti, Vescovotti, ecc... mentre p u r appaiono l'isola deserta della Comdamnation, l ' a n t r o della giustizia umana e il paese dei Chats fourres (giudici), con gli orrori della giustizia criminale del secolo. Se ne vedono di ogni colore in quei viaggio avventurosissimo in cui i nostri viaggiatori hanno persino la r a r a fortuna di comprare — belle e fatte — le idee di Piatone e — ben «onfezionati — gli atomi stessi di Epicuro, oltre che di visitare il regno della Quintessenza, fondato da Aristotele: la giovane regina del luogo conta mille e piü anni e guarisce ogni male facendo ascoltare dolci canzoni, appropriate a ciascuna sorta di malati. Riso bonario questo, ma efficace, per prendere alquanto a giuoco le varie filosofie; ed anche bonario e il riso di Rabelais — ma con qualche punta acida — con cui si denuncia lo spirito servile e cieco delle masse (esprit moutonnier), narrandosi dei montoni di Panurgio che si gettano tutti in mare quando uno solo di essi vi si getta. Oppure (altro sorriso o beffa che sia) quando si dice di quei giudice che decideva le cause coi giuoco dei dadi. Veritä di gener vario... veritä tra quelle che resistono ai secoli. Altro fantastico viaggio, ben ricco di beffe per i volgari terrestri, quello di Rlergerac. Non fu, forse, costretto l'irrequieto e non conformista Cirano de Bergerac a fare un viaggio nella Luna —• e anche nel Sole — per poter liberamente dar sfogo al proprio libero pensiero e alle sottili critiche che gli agitavano lo spirito? Pensiero e critiche che difficilmente egli avrebbe potuto esporre senza velo alcuno sulla misera Terra? In quei päesi tutto si svolge — contrariamente a ciö che accade sulla Terra — secondo ragione e onestä, da cui l'ironico contrasto tra ciö che lä si vede e ciö che il viaggiatore ricorda nei riguardi della sua terrestre abitazione. E ' vero che, per prima impressione, il viaggiatore terrestre che va nella Luna considera gli abitanti di questa come grossi animali... mentre per costoro, invece, un grosso animale e proprio l'uomo (veracissima osservazione che con la sua ironia ben mette in luce la relativitä dei nostri giudizi e spinge a sorriridere e a ridere, molte volte, di fronte a cotali giudizi), ma quegli in-
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digeni hanno saputo creare una Societä in cui i 6ofisti e gli oratori sono considerati come pazzi (mentre da noi...), una Societä in cui non s'incontra nemmeno un pedante, in cui gli uomini sono amanti della veritä e i filosofi non si lasciano persuadere se non dalla ragione. In quel paese lunare, dei resto, il fantastico viaggiatore incontra un altro fantastico personaggio che avendo vjssuto vita eterna aveva passato molti secoli sulla Terra, ma era stato costretto ad abbandonarla — per quanto vi avesse incontrato Socrate, Epaminonda, Catone, Bruto — perche il popolo terrestre era diventato cosi stupido e grossolano che p i ü non era possibile vivere in sua compagnia (che cosa avrebbe mai detto oggi quell'evaso dalla Terra?). D'altronde mai avendo potuto trovare sulla terra un paese in cui almeno l'immaginaizione fosse lasciata completamente libera, come avrebbe potuto egli rimanere in quel carcere? Anche il mordentissimo autore dei viaggi di Gulliver — Gionata Swift — obbedendo senza dubbio a un intimo senso che lo spingeva a consolare se stesso delle asprezze e ingiustizie dei mondo in cui viveva. con l'ironia e la beffa, finge attraversare ignoti mondi p e r potere criticare quello in cui egli vive; si tratta di mondi immaginari, la dove la vita si presenta sotto aspetti assai lontani da quelli che si notano nelle nostre umane Societä... ma dove al tempo stesso si raffigura, a ben guardare, la nostra vita medesima. I bimbi leggono avidamente, e per fortuna loro senza comprenderle, quelle avventure, fermandosi all'esterno e colorito aspetto di esse, ma i grandi le rileggono con assai diletto e soddisfacimento ancora maggiore, perche meglio ne comprendono il vero significato e ben ne vedono l ' i r o n i a ; ed ecco dirsi infatti — sempre sotto un ingenuo e bonario modo di parlare e di descrivere — dei paese in cui i piü elevati posti 6i danno a chi meglio h a dato prova di eseguire giochi di volteggio e di acrobazie nei circhi (come oggi?) (I, 3), o ecco narrarsi, con la piü grande serenitä, delle prodigio6e guerre suscitate tra quei popoli che pretendevano, gli uni, essere il miglior modo di sorbire le uova da bere spezzarle dal basso, mentre gli altri si ostinavano a volere imporre che si spezzassero e sorbissero dall'allo (I, 4,5). Del resto, di contese di tal genere o altre non vi e da f a r meraviglia quando si pensi che « ogni popolo vanta l'antichitä, la bellezza e la forza propria, disprezzando ciö che e di altri » (I, 5). Ogni popolo, cioe, crede 6ul serio che l e uova si debbano spezzare, per sorbirle, soltanto come es6o fa. Ne, e da f a r meraviglia di costumanze e credenze apertamente assurde, e p u r
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vivacissime, fiorenti in quei paesi « p e r quanto gli uomini di scienza tra loro ne parlino, appunto, come mistificazioni». Gli e che «siffatti usi hanno ben da sussistere, dal momento che sono antichi e fondati sulle popolari credenze » (I, 6) ...E cosi di seguito, attraverso paesi e mondi di pura fantasia. Doveva particolarmente sentirsi ferito dalle assurditä della Societä in cui viveva, dalle ingiustizie e dalle ipocrisie del suo mondo e del suo secolo, Montesquieu, se per dare sollievo a se medesimo faceva scrivere a Usbek le tanto sottilmente ironiche lettere del persiano che visita l'Europa e in ispecie Parigi « qui est le siegei de l ' e m p i r a de Europe ». Quanta meraviglia in quell'ingenuo viaggiatore, nell'accertare che gli imbecilli non sono disprezzati come tali, ma vengono ritenuti tali soltanto se appartengono a basse classi sociali, mentre sono riveriti e considerati se appartengono a classi di ricchezza e nobiltä (Lettera XLIV). E quanta meraviglia allora che nei salotti passano sotto i suoi occhi le piü risibili figurine, da quella del volgare, ignorante e presuntuoso arricchito, o dell'uomo in veste nera, troppo galante e « ce qui est pis, directeur 6pirituel », a quella del goffo vanesio che parla non perche ha spirito, ma che crede avere spirito perche parla, a quella ancora del millantatore che si crede necessario alla Storia, a quella infine deirimpertinente dai lunghi capelli e dall'ingegno corto (Lettera XLVIII). Ognuno di quei colpi di lancetta rappresenta certamente una « s c a r i c a » affettiva da parte dell'o6servatore che trasforma in tal modo, e cioe con l'ironia, la sofferenza e il senso -di nausea che su lui producono i tristi aspetti degli uomini e delle cose. Degli uomini, beninteso, del suo secolo... ma si potrebbe anche pensare agli uomini di oggi e, probabilmente, a quelli dei secoli venturi. Ben altro riso, ma pur sottilissimamente penetrante, quello d i Voltaire quando si narra del viaggio di Micromegas — abitante la Stella Sirio — nel pianeta Saturno, c di lä (attraverso il cielo stellare) sino 'alla ,Terra. Ecco, ad esempio — in uno di quei paesi immaginari — un vecchione e ignorante mufti trovare molte affermazioni sospette ed eretiche in un'opera sull'anatomia degli insetti, in ispecie riguardo al discutere «si la forme substantielle des puces etait de meme nature que Celle des colimagons » (Cap. I ) ; ed ecco, al tempo stesso, quei m u f t i trovare modo di far condannare l'opera in questione da un tri* bunale composto di giudici che quell'opera non avevano n e p p u r e letto (e Micromegas, notiamo, non era ancor giunto sulla Terra!). Oppure, ecco quell'accademico di Saturno « qui n'avait ä la verite rien in
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vente, mais qui rendait un fort bon compte des inventions des autres » (Cap. I). Meno male, diciamo noi, poiche se avesse visitato altri mondi, Micromegas avrebbe trovato altri aceademici che anche e6si, nulla avendo inventato, non sanno n e p p u r e (come quello di Saturno) reiirdere buon conto di ciö che hanno inventato gli altri. b) Favole:
parlano
gli
animali.
Altra brillante trovata p e r addossare ad altri la responsabilitä dei proprio pericoloso dire sta — nuova finzione — nel far parlare... gli animali. E nel farli agire come se fossero uomini, in ispecie come se fossero quei tali uomini goffi o malvagi di cui l'autore della finzione vuole giusta condanna. Dilettatevi nella sempre amena lettura delle raccolte di siffatte favole, alcune delle quali raccolte sono celebri come grandi poemi, e non occorrerä che 6cendiate assai oltre la superficie per sentire la punta dell'ironia, dei sarcasmo, della beffa, nei riguardi di tutte le storpiature morali e sociali che ieri, oggi, domani, afflissero, affliggono e affliggeranno l'umano consorzio. P a r l a n o e agiscono, e vero, i piü diversi animali dei cielo, della terra, delle acque, ma all'origine di quel parlare 6tanno in realtä le sofferenze, le mortificazioni, lo 6degno, di colui che favoleggia. II contraffatto schiavo greco Esopo — contraffatto, a quanto pare, nel corpo, ma non certo nello spirito — che sorride sarcasticamente di fronte alle imposture di Delfo e che sorriderebbe nello 6tesso modo di fronte a ogni altra analoga impostura, non ha mente capace di piegarsi alle stoltczze degli uomini e se ne vendica (non potendo fare altro) con quelle favole c h e i bambini non capiscono quali realmente sono, ma di cui gli adulti poi comprendono il senso. Che cosa e mai, per il nostro favoleggiatore di cose vere, l'insieme dei rapporti che passano, nella vita sociale, tra gli uomini, se non quel malefico inganno reciproco tanto sinteticamente ma efficacemente rappresentato dalla favola dei topo, della ranocchia e dei nibbio? II topo — per passare oltre l'acqua dei lago — cerca ingannare la ranocchia, e questa finge cader nell'inganno per poter invece ingannare il topo, ma etrambi finiscono nelle grinfie di chi sa colpire meglio di loro; il nibbio che, mentre i due si apprestano alla mutua opera di inganno, calossi dall'alto per portarli via ambedue e farne suo pasto. P e r certo, il poeta doveva avere dinanzi agli occhi esemplari umani da ritrarre. La cornacchia della sua favo-
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la, spogliatasi di tutte le 6ue penne, si riveste di quelle del pavone: quante cornacchie, ieri, e quante ancor oggi!, Ii giardino zoologico di Esopo e, in ultima analisi, il giardino della Societä umana. I dodici libri di La Fontaine — altre favole che sono in gran parte p i ü vere della veritä stessa — non insegnano forse, anche esse, a conoscere da presso, di lä dagli infingimenti delle apparenze, l'uomo e la Societä? Non puniscono e non feriscono, quasi senza mostrar di colpire, il presuntuoso, l'avaro, il maldicente, l'ozioso, il prepotente, il servo, il tiranno? Quando non parlano gli animali, parlano gli esseri del mondo vegetale e anche qui con altra finzione che colpisce ed ammaestra. Se nel narrare della lepre e delle ranocchie (l'una h a paura delle altre... e viceversa) il poeta beffeggia la tanto diffusa caratteristica — secondo lui — dell'umana viltä (e tutti ne sanno qualche cosa!) tanto che « il n'est, je le vois bien, si poltron sur la terre qui ne puisse trouver un plus poltron que soi » anche nel far dialogare tra loro l'alta quercia e il fragile rosaio, il poeta condanna a morte i 6Uperbi, i presuntuosi e i bravazzoni poiche all'infuriare della tormenta l'alberaccio che tanto si vantava, cade all'improvviso sradicandosi da t e r r a ; cade « celui de qui la tete au ciel etait voisine ». Le smargiassate degli uomini e dei gruppi per lo piü sempre finiscono cosi. Analogamente, la grazia e la «sensibilitä» (come allora si diceva) di cui sono dolcemente soffuse le favole di Florian, nelle quali ancora una volta ogni sorta di animali, dal solito lupo vorace al solito avvoltoio predatore (vere immagini dell'uomo) viene a dire la sua e a farne delle 6ue, non sono, in ultima analisi, se non una bella masehera che nasconde il corruccio e lo sdegno del narratore per tante imbecillitä e nequizie animali... e cioe umane. Non per nulla l'arguto critico della vita umana sotto le parvenze della vita degli animali, era il petit neveu di Voltaire. I pappagalli rossi, verdi e di altro colore, che nella favola di Florian contemplano l'uomo sotto l e forme di Arlecchino (un altro pappagallo?) sono in realtä, per Florian, gli uomini che ci circondano; anche — nella favola della scimmia e della lanterna magica — si ritrae la ridicola petulanza e la sapiente ignoranza di molti di allora... e di molti di oggi : lo seimmione saccente, pretendendo ripetere parole e gesti di quei suo padrone che per le fiere andava mostrando al pubblico le luminose figurine della sua lanterna magica, si mette egli stesso a operare dinanzi a inclito pubblico di animali dimenticando perö di accendere la lanterna, sicche nonostante le «>ue chiacchiere esplicative, « le6 6pectateur6 dans une nuit profon-
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Parte
se st a
de / Ecarquillaient leurs yeux et ne pouvaient rien v o i r » . Veritä sacrosanta: parlare senza accendere la propria lanterna e, cioe, a lumi interni completamente spenti, e regola di molti. Con questa differenza, tuttavia, t r a le avventure della favola e quelle della vita: mentre in quella gli astanti — il gatto, il cane, il tacchino — confessano ingenuamente di non vedere nulla di ciö che il ciarlatanesco lanternaio andava descrivendo, qui tra noi uomini il pubblico suoi vedere spesso, anche nel buio p i ü completo, ciö che l'insipiente ciarlatano descrive. La veritä sorpassa la favola! T r a i quali pittori di uomini in veste di animali, e anche — e primeggia — quel La Fontaine russo che tante favole e dialoghi di animali lasciö da rendere popolari la sua poesia e il suo nome; Ivan Andreievitch Krylof. II poeta aveva dovuto non poco avvertire i duri colpi della vita se ancora bimbo, o quasi, era costretto a p r o w e d e r e da se medesimo alla propria esistenza, ne in seguito le migliorate condizioni dovettero renderlo meno caustico nei riguardi delle inimiche cose e delle umane iniquitä, talche- le conversazioni e le gesta degli animali, da lui favoleggiate, se h a n n o piü volte il piü puro aspetto di precetto morale e di consigli per il saj>ere ben vivere, molte volte assumono p r o p r i o l'aspetto di una beffa che hatte e non perdona. I cani ringhiosi, in folla — nella favola sui viandanti — latrano rabbiosamente intorno ai pacifici passanti: questi non hanno che a sprezzare quei latrati e dirittamente proseguire il cammino; nello stesso modo hai da condurti tra le rabbiose invidie degli uomini. Anche l'asino (come abbiamo giä visto) trova da criticare il canto dell'usignolo... da non potersi confrontare, p e r bellezza e armonia, all'asinesco raglio. Quanti umani cervelli riproduce Krylof i n quel cervello di asino! Di un asino, notisi bene, che nello spirito dell'autore doveva certamente rappresentare questo o quel nobile personaggio c h e viveva e vestiva panni accanto a lui, ma a cui egli non poteva direttamente narrare ciö che vi e di uinano nella storia dell'asino e dell'usignolo se non sotto le spoglie della favola. Quanta vita vera — vita dell'individuo e vita delle umane Societä — nel favellare degli animali con cui anche i Nostri vollero, con grande signoria di Stile, esprimere il proprio biasimo e la propria in6offerenza! Dice, infatti, il nostro Firenzuola, dello sparviero e della quaglia, dell'uccello caparbio e della testuggine vanitosa oltreche di tantissimi altri animali dei suo serraglio, che sembrano animali e sono uomini; e medesimamente, Gaspare Gozzi con le sue bertucce, i
L'autoconsolazione per. mezzo
dei diversi
modi
ecc.
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suoi sorci, i suoi pesci, le sue lucciole, dirä — senza parere — degli uomini: « Non h o io — dice la lucciola — questo foco di dentro che risplende? Ora, che fo io qui in terra? P e r c h e non volo sulle 6fere a ruotare questi miei nobilissimi raggi dal levante al ponente e a formare una nuova Stella f r a le altre mie sorelle del cielo? ». Questo favoleggiare tra gli animali p e r dar sfogo al proprio corruccio contro gli uomini, e metodo che assai sedusse, oltre che poeti e narratori, anche moralisti (si rammentino i dialoghi, tanto pieni di insegnamento e di allusioni, tra Ulisse e gli animali, narrati da G. B. Gelli) e artisti filosofi. Spirito acido e penetrante in cavitä —t come si direbbe nel gergo di alcuni specialisti — anche quando tanto spietata operazione chirurgica non si mostrasse p r o p r i o necessaria, era l'autore del Laocoonte, riformatore (con Minna di Marnheim) del teatro dei suoi tempi; anche egli volle forse far parlare gli animali per dar sfogo al proprio scontento e far r i d e r e il pubblico? An« c h e le favole di Lessing, infatti, non son che l'espressione di uno stato d'animo esacerbato che per non gridare apertamente agli uomini il fatto loro se la rifä con le bestie, le quali — avrebbe notato lo stesso Lessing — sono la medesima cosa... degli uomini. Quelle favole vi dicono, poniamo, che il grillo si vanta di cantare come l'usignolo, e anche meglio (quanti uomini... cantano come il grillo!), o vi mostrano la scimmia vantarsi con la volpe delle p r o p r i e smorfie.
c) Postilla;
ottimismo
o
pessimismo?
Non si puö negare che in queste belle raccolte di finzioni ove gli animali parlano dagli alberi, dal cielo, dalle acque, dalle loro tane, vi siano pure — accanto ad un mostrare la vita cosi brutta come e — alcuni tratti, diremo cosi, di una filosofia ottimista, ammaestrante che il malvagio, alla fine dei conti, e sempre punito... Ma e da chiedersi se cosi facendo, la favola di ieri e quella di oggi intendano mostrare la vita come e (proprio come facevano quando beffeggiavano) o se intendano parlare di una vita non quäle e, ma quäle esse desidererebbero fosse. Nella categoria di favole che beffeggiano l'uomo, il dicitore copia e ricalca difetti e malvagitä; altre volte, invece, par voglia convincere il malvagio che, in forza di una giustizia sempre immanente, le malefatte di lui saranno punite: cadrä a terra, prima o dopo, spezzandosi il capo. Diciamo: p a r voglia convincere, perche il
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Parte
se st a
narratore — probabilmente — non e poi, in fondo, sicuro di quel c h e in questo caso dice. In altri termini, pur dicendo: « Badate, il vizio e sempre punito, mentre la virtü e ognor ricompensata! » il favoleggiatore pensa che purtroppo accade il contrario; essere ognora il vizio ricompensato e la virtü punita. I n breve riassumendo; il riso cosi come qui ne facciamo presentazionc e interpetrazione e un processo di cicatrizzazione da noi stessi provocato, sorvegliato e favorito, delle nostre ferite.
COMMIATO Giunti alla fine dei cammino — solo in parte inoltratosi in u n t e r r i t o r i o che assai piü a lungo avrernmo voluto, con trepida curiositä, percorrere — verrä fatto forse al viandante, volgendosi a pensare le cose viste e udite, di interrogare se stesso, come per un esame di coscienza che voglia scendere dalla superficie dei suo sentire un poco p i ü in profonditä. Verrä forse fatto, cioe, a chi infino ad ora ci e stato compagno nel viaggio... e a colui stesso che f u guida in tale andare, di prospettarsi alcune interrogazioni cui occorrerebbe assai buona volontä p e r rispondere sinceramente. Quali? Seguiremo a un dipresso, nel formulare le domande, l'ordine con cui lungo il nostro viaggio si sono succedute le varie stazioni — o capitoli — dei nostro andare.
I Sei tu sicuro di mai avere, quasi quotidianamente, creato a te medesimo sempre nuove autogiuslifieazioni per assolverti, anche a priori, da un qualche che meglio sarebbe stato mai tu avessi compiuto? E poi: quante volte, senza dubbio, ti sei guardato in uno specchio, reale o immaginario che fosse, e sei caduto nell'errore di una sopravalutazione di te stesso... che avrebbe fatto pietä a tutti, f u o r i che a te medesimo? — D'altra parte, l'esame di coscienza dovrebbe far ricercare a chi si mette nel buio di tali introspezioni, quali e quanti e di quäle forza i personaggi — egoistici e anticaritatevoli — abitanti l'oscura dimora dei 6uo Io p r o f o n d o e come essi abbiano pur sempre trovato modo di uscire da quell'abisso trasformandosi e mascherandosi. Sicche il b r i l l a r e dell'oro, nella tua condotta, non sarebbe in ultima analisi che oro falso... o semplice placcatura in oro di un vilissimo metallo. Caritä e altruismo, senza dubbio, in tanti tuoi gesti; senonche, che cosa vi fu realmente dietro e sotto ciascuno di essi? Inoltre, sei tu sicuro che — immerso che tu fossi in un m o n d o ove sia caduto ogni controllo o, trasformato tu stesso in uomo invisibile — quella « delinquenza latente » che sta in fondo a ogni u m a n o 29. - L'Io.
450
Commiato
essere e quindi in te medesimo, da te stesso ignorata, non si sveglierebbe dal suo sonno? P e r certo (e continuaudo l'esame di coscienza, ma in direzione di-. versa da quella di cui sopra), alle tue disillusioni e al non avverarsi dei tuoi 60gni — troppo spesso sorgenti da assurde e illegittime pretese — tu hai cercato questa o quella autoconsolazione, or con l'evadere dalle tristi cose di quaggiü... e dalle tue stesse che ti stanno nell'animo, or creandoti le piü fantasmagoriche forme di filosofia, da quella dell'ottimismo a tutti i costi all'altra — volutamente cieca — della rassegnazione e all'altra ancora del sorridere, del ridere e del dileggio... Ma sei tu sicuro di poter credere alla realtä di quelle autoconsolazioni e di non avere, invece, ingannato te stesso, p u r sapendo di tale inganno? Si puö benissimo vivere prende(ndo per veritä ciö che sappiamo essere menzogna, quando ciö sia necessario... per vivere. Oltre di ciö, puoi tu assicurare che nelle fantasticherie autoconsolatrici che tu creavi per vivere momentaneamente in esse, mai tu sia 6ccso nel piü basso mondo del rancore, o persino della Vendetta e di ciö che oggimai si chiama « d e l i n q u e n z a immaginaria »?
II Non dimentichi il lettore che esame di coscienza come sopra, avrebbe da farsi non solo da parte di colui che nel viaggio or compiuto ci e stato compagno, ma p u r anco dai gruppi sociali che assiduamente combattono — sul campo di guerra dell'umana Societä — le loro lotte (anche sotto superficiale vernice di quiete e di tranquillitä) p e r affermare i propri « diritti e le proprie sopraffazioni, anche esse p i ü o meno mascherate. 11 gruppo sociale, ricordiamo, e un « individuo » che ha il suo Io profondo, con i suoi personaggi oscuri, e il suo Io di superficie che di solito nasconde ciö che non e davvero da mostrarsi alla luce del sole. Sicche, anche a ogni gruppo sociale e da chiedersi se mai ebbe esso a creare autogiustificazioni per le sue male azioni, volutamente commesse e in precedenza assolte; se mai ebbe ad autocontemplarsi falsando i tratti della p r o p r i a fisonoinia e ingrandendosi oltre misura come ingrandita ombra di nano alla luce del tramonto. E infine e soprattutto, a ogni gruppo sociale e da chiedersi se non abbia esso a riconoscere che quasi a ogni svolta della Storia i p i ü tenebrosi personaggi del suo Io profondo e la forza bruta della
Co in mi a t o
451
sua « delinquenza latente » ebbero a i r r o m p e r e per conquistare, con cio che e vera ingiustizia, ciö che si maschera sotto il nome di giustizia!
III (Ci potremmo anche chiedere se le tentate ricerche — da p a r t e di ogni individuo — di autogiustificarsi dinanzi agli occhi degli altri e di se medesimo, di vedersi nello specchio diverso, migliore e p i ü grande di ciö che e, di trovar le piü varie fogge di maschere e d i travestimenti per far liberamente circolare l'esplosione dei suoi bassi istinti e, infine, di attaccarsi disperatamente alla tavola di salvezza di questa o quella sua filosofia, possono davvero a lui procurare quello stato di felicitä c h e e al sommo di ogni umano desiderio e che par costituisca l'agognata meta da raggiungere a ogni costo. La domanda e da volgersi, si noti, cosi all'individuo come ad ogni gruppo sociale, anche questo alla rincorsa di una sempre sognata felicitä. E d e, forse, da rispondere negativamente inquantoche non solo gli uomini e i gruppi mai si accorgono di un migliore stato di vita quando eS6i siano giunti a conquistarlo e mai lo risentono come tale, ma anche avviene che la realizzazione d i un dato desiderio ne provochi immediatamente altri, la soddisfazione dei quali o non e raggiunta, permanendo in tal modo la pena o, se raggiunta, provoca immediatainente il p r o f i l a r s i all'orizzonte di nuovi desideri. D'altronde, la piü completa realizzazione di un dato desiderio mai procura — cosi agli individui come ai gruppi — il sognato soddisfacimento, poiche il quadro che il desiderio dipingeva era fatto essenzialmente di colori fantastici che la realizzazione dei desiderio stesso mai poteva o f f r i r e : avuta l a cosa desiderata, ben si vede che essa non e come l'immaginazione aveva sognato (1). Ne consegue non trovarsi mai, in ultima analisi in quel per-
(1) II tema non e stato preso in considerazione nelle precedenti pagine per non troppo estendere la trattazione, ma e stato diffusamente illustrato nella nostra Memoria: Progresso, feliciiä, incontentabilita e «fatti costanti » della vita tociale, nella Rivista « Scienza e Tecnica», Roma, gennaio-giugno 1948. Analogamente e per le stesse ragioni, nulla abbiamo qui detto delle varie rappresentazioni con cui, in base alle varie considerazioni fatte sui rapporti tra l'Io bioIogico e l'Io sociale, tra l'Io inferiore e l'Io superiore ecc., possono sintetica-
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Commiato
petuo dissidio t r a l'Io inferiore e l'Io superiore cui abbiamo assißtito lungo la strada insieme percorsa, quella tanto cercata felicitä — egoistica — il cui miraggio illumina tutto l'agire dei bassi personaggi abitanti il sottosuolo dell'Io.
IV Alla fine del nostro viaggio in profonditä sino alla criptopsiche, tuttavia, vi e da fare altra domanda — di non minore interesse e, anzi, di piü' alto tono ancora di quello p r o p r i o alle precedenti domande — e cioe: abbiamo tentato, come si e visto, di lasciare la superficie per giungere nel fondo... ma siamo realmente riusciti a toccare siffatto fondo? E cio domandiamo poiche — non occorre davvero ciö rammentare — e ben da ammettersi da ognuno che pensi e che ben sappia guardare intorno a se e dentro di se, che noi tutti viviamo prigionieri, per cosi dire, alla superficie di ciö che e e di ciö che fu (e anche di noi stessi), si da rendersi di forse insuperabile difficoltä l'abbandonare quella superficie. Viviamo alla superficie di ciö che e, e cioe del mondo visibile c h e ne circonda; ad esempio, non vediamo se non una parte degli a s t r r c h e popolano il cielo e non vediamo la loro luce che dopo secoli che questa f u emessa dall'astro; ne vediamo o sentiamo che una piccola parte delle vibrazioni di ogni genere che attraversano l'Universo intero, e di cui l'Universo e composto, talche se i nostri sensi potessero avvertire suoni e colori che sono fuori dalla scala della nostra attuale sensibilitä, ben diversamente vcdremmo e sentiremmo, allargando o approfondendo la superficie su cui siamo costretti. Viviamo alla superficie di ciö che e e di ciö che fu e cioe degli avvenimenti contemporanei e passati. Di quelli contemporanei perche e6si nascondono sempre le profonde radici che ne determinarono la causazione e si presentano, ad esempio, con volto amico e sorridente quando si tratta, invece, di figure che escono dall'antro dell'Orco o perche — guidati noi da preconcetti di scuole scentifiche, filosofiche,
mente disegnarsi la struttura dell'Io e la condotta, ma il tema e stato molto diffusamente trattato nella nostra Memoria: Schemi e simboli geometrici o numerici della personalitä e della condotta, nella « Scuola positiva », Milano, gennaio-giugno, 1948.
Commiato
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sociali o altre — ne vediamo la «spiegazione» in motivi unilaterali chiudendo volontariamente gli occhi alle altre categorie causali (ammesso che si possa adoperare tale espressione e dimenticando che i complessi avvenimenti sociali non possono avere origine che da complesso sviluppo di fattori determinanti) con il che volontariamente inganniamo noi stessi, oltre che gli altri, e rimaniamo... alla superficie. Ma viviamo pure in superficie quando ci volgiamo agli avvenimenti che furono, e cioe alla Storia, la quäle non solo presenta — per la sua interpetrazione in profonditä — le medesime difficoltä offerte dalla interpetrazione degli avvenimenti contemporanei, ma aggiunge pur quelle che son date dalla sua perpetua e continua falsificazione: la Storia e vera? fu piü volte chiesto, e la risposta non ci sembra possa essere dubbia. Veritä in alcuni suoi fatti patentemente innegabili, ma lavoro di restauro e di rifacimerito in tantissimi altri. E allora? Viviamo alla superficie, infine, di noi stessi; e di ciö ad ogni passo del nostro cammino abbiamo avuto prova e documentazione. Ma chi garantisce che ogni nostro sforzo, condotto come abbiamo tentato e potuto, sia riuscito a portare luce nella ignorata solitudine che sta sotto la superficie e che forse e perenne determinante della nostra vita psichica apparente e della nostra condotta, cosi come le radici dal fondo del terreno, generano il fiore e il frutto? Non facciamoci illusioni ; il poco che si e detto non e, certamente, che piccolissima parte di ciö che maggiore forza e potestä investigatrice avrebbero potuto in6e- gnare. Senonche... vale ferse la pena di o6tinarsi a volere dissipare le tenebre, o non e forse meglio rimanere nel mistero di esse?
I N D 1 C E
PARTE PRIMA
L'« I O » ALLO S P E C C H I O AUTOGIUSTIFICAZIONI E
AUTOCONTEMPLAZIONI
CAPITOLO PRIMO
I DIVERSI V O L T I DELL'« IO » 1. Alcuni modi di vedere la struttura interna dell'«Io» (p. 9). — 2. Dei vari modi di chiamare le diverse componenti dell'«Io», dalla componente inferiore alla superiore, e in ispecie dell'«Io» sociale (p. 10). — 3. L'«Io» profondo e l'«Io» di superficie; l'«Io» prelogico e l"«Io» logico (p. 13). — 4. L'«Io»-fo e l'«Io»-altro (p. 14). — 5. L'slo» fondamentale e l'«Io» superficiale o avventizio; l'«Io» paleozoico e l'«Io» neozoi'o; l'alo» ereditario e l'«Io» imiiativo; il Super"io (p. 15). — 6. L'«Io» idiotipico e l'«Io» laterale; l'lmperativo biologico e l'lmperativo morale (p. 17). — 7. Esiste anche un «Io» dei gruppi sociali? (p. 18).
CAPITOLO SECONDO
AUTOGIUSTIFICAZIONI . I DIALOGHI DELL'« IO » CON Sfi STESSO 1. I dialoghi fra i due «Io»; i rimproveri dello Straniero e dell'Intruso (p. 201. — 2. Le autogiustificazioni dell'«Io» (p. 21). — 3. Rubare non e uccidere!... e viceversa (p. 22). — 4. Anzi... rubare non e rubare (p. 23). — 5» Tanto, le cose sarebbero andate allo slesso modo! (p. 25). — 6. Non si tratta che di giusta condanna! (p. 26). — 7. Diritto di rappresaglia (p. 27). — 8. Liberarsi dalla riconoscenza (p. 28). — 9'. Tutti fanno cosi... (p. 29). — 10. La colpa e... di Voltaire (p. 29). 11. Fulili ma deci6ivi pretesti (p. 31). — 12. Un alibi che rende netta la coscienza (p. 35). — 13. Un alibi di altro genere (p. 36). — 14. In omaggio alla Scienza (p. 36). — 15. Non tutie le menzogne sono menzogne! (p. 39). — 16. Continuando. II silenzio e la reticenza (p. 40). — 17.
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INDICE
Teoria e pratiea della veriiä e della menzogna (p. 41). — 18. La dissimulazione onesta (p. 421. — 19. Non Io, ma il gruppo; non mihi sed alteri (p. 44). — 20. Uccidere... non e uccidere (p. 46). — 21. Ama il prossimo tuo come te stesso... et proximum tuum sicut te ipsum (p. 48). — 22. Insospettata ancora di salvczza: qualche proverb o (p. 50). — 23. ...Tanto, vi sarä amnistia! (p. 53). 24. Tartufo... (p. 54). — 25. I gruppi sociali dinanzi a l l o specchio (p. 55). — 26. Mea mihi coscientia pluris est quam omnium sermo (p. 57).
CAPITOLO TERZO A U T O CONTEMPLAZ1IONI DELL'« I O » 1. Nella luce del vero specchio. a) Preoccupazioni cstetiche (p. |60). — 2. Ancora nella luce del vero specchio. b) Le preoccupazioni morbose (p. 62). — 3. Guardarsi nella propria autobiografia e nel proprio diario (p. 63). — 4. Ancora uno specchio: lo specchio d'acqua di Narciso. Diversi significati di «narcisismo » (p. 67); a) Narcisismo materiale (p. 67); b) Narcisismo psichico (p. 68); c) Narcisismo quäle reazione «di (Oinj-enso» (p. 71); d) II narci'i'mo dei gruppi sociali (p. 72). — 5. « Bovarismo » o contemplazione « bovarista » di se medesimo e della vita (p. 74); a) Concetto e denominazione; bovarismo benefico e bovarismo malefico (p. 74); 6) I personaggi bovaristici di Flaubert (p. 76); c) Bovarismo e narcisismo (p. 78); — 6. Ic*entificar'i ion un modello reale: mimetismo psichico. Le varie sorta di « modelli » (individui e gruppi sociali) (p. 79). — 7. Lo specchio 'leformanie. Masochismo morale depressivo (p. 82). — 8. Niobismo... Piangere sulla propria carne (p. 84). — 9. L'«Io» (dell'individuo e dei gruppi) sul palcoscenico (p. 85). — 10. Istrionismo. Suo «ricettario» e la scuola del successo (p. 91). — 11. La vita oltre la morte (p. 94). — 12. Con. siderazioni varie (p. 98).
PARTE SECONDA
L ' « I O » A PIU'
PIANI
CAPITOLO PRIMO LE ANTICIPAZIONI
DOVUTE
ALL'ANTROPOLOGIA
CRIMINALE E LORO SVILUPPI 1. Nette anticipazioni (p. 103). — - 2. Come nacque la teoria italiana. a) La legge di ricapitolazione (p. 104). — 3. Continuazione. b) L'evoluzione dal peggio al meglio (p- 105). — 4. Le diverse componenli dell'«Io» inferiore secondo l e anticipazioni delPantropologia criminale (p. 108); a) Psicologia preumana (p. 108); b) Psicologia primitiva (dei roj>oli di na'ura o «felvaggi») (p. 109); c) Psicologia ancestrale preistoriea (p. H D ; d) Psicologia del bimbo (p. 113). — 5. Prima conclusione (p. 117). — 6. Altra conclusione (p. 117). — 7. L'alo» inferiore delle Societä (p. 118). 8. Ancora vecchie pag ; ne sull'«Io» inferiore. I criminali danteschi (p. 122). — 9. L'an ica teoria della «criminalitä la'ente» (1902) (p. 124). — 10. Scomparirä un giorno il delitto? Le fonti perenni del
1ND1CE
457
male (p. 127). — II. Ancora delle ombre nascoste nell'cdo» inferiore e profon. do: le idee e i sentimenti «magici» (p. 128); a) I due fondamentali «teoremi» della magia (p. 129); 6) Qualche esempio (p. 130); c) Bimbi e nevrotici (p. 132); d) L'«Io» illogico, nascosto sotlo l'«Io» logico. (p. 132). — 12. Autorevoli conferme (p. 134); a) Anima priesiorica ecc. e sue reviviscenze (p. 134); 6) Delitti e delinquenti (p. 135). — 13. L'«angelica farfalla» (p. 13'8).
CAPITOLO SECONDO I L T E A T R O , I L C A S T E L L O E LE Q U I N T E
DELL'ANIM)A
1. L'anima sulla scena medioevale (p. 140). — 2. II castello dell'anima (p. 142). — 3. Tra le quinte dell'anima (p. 145).
CAPITOLO TERZO U N ' O S G U R A P A G I N A DI P S I C O L O G I A : F I O R I D E L M A L E I. Antiche sapienti pagine (p. 149). — 2. Piü recenli massime e pensieri (p. 152). 3. Continuando (p. 155). — 4. Le favole della veritä (p. 157). — 5. Altri racconti fantastici (p. 160). — 6. 11 primo impulso (p. 162). — 7. La delinquenza... dell'immaginazione (p. 164). — 8. E l'«Io» profondo dei gruppi? (p. 166). — 9. Pessimismo psicologico e pessimismo sociologico (p. 169).
CAPITOLO QUARTO H O M O IN
TENEBRIS
J. La quarta parete (p. 172). — 2. Lontano dagli uomini (p. 173). — 3. L'uomo invisibile (p. 174). — 4. Vedere attraverso i muri (p. 175). — 5. E i gruppi so. ciali? (p. 176). 6, Avvertenza (p. 177).
PARTE TERZA
I PERSONAGGI DELL'« IO » P R O F O N D O GLI A L T R U I S n C l ACCANTO AGLI EGOISTICI
CAPITOLO PRIMO L'« E G O »
EGOIST]! QO E
ALTRI
PERSONAGGI
(L'INCONSCIQ)
1. Fondamentali istinti egoistici e loro costanza (p. 181). — 2. L'inconscio (p. 185). — 3. Osservazione incidentale: gli uomini (e i gruppi sociali) di cristal. lo, e cioe visibili nell'interno (p. 185').
468
INDICE
CAPITOLO
SECONDO
DALL'« E G O » EGOISTICO ALL'« E G O » A L T R U I S T I C O I. E le «idealitä» sociali? (p. 192). — 2. Qualche cifra (p. 193). — 3. Tentativo di definizioni, per cominciare (p. 195). — 4. II problema delle origini (p. 198); a) Istinti congeniti? (p. 198); b) Trasformazione di egoismi congeniti? (p. 200). — 5. Postilla (p. 208). — ?5. In conclusione (p. 209). — 7. Riasramendo (p. 210).
P A R T E QUARTA TRASFORMAZIONI DEGLI
E
ISTINTI
CAPITOLO
M A S C H E R A T U R E P R O F O N D I
PRIMO
SUBLIMAZIONE N E L L E SUE V A R I E F O R M E a)
L'EROS
1. L'Eros nelle trasflgurazioni dell'arte (p. 2li5). — 2. Premessa (p. 217). — 3. Qualche documentazione (p. 218). — 4. Non inutile divagazione (la sensibilitä olfa'tlva di grandi artisti) (p. 221). — 5. Continuando: Abelardo ed Eloiea (p. 2231. — 6. Parentisi: ars liberatrix (p. 225). — L'Eros nelle trasflgurazioni celesti (p. 226). — a) Pagine mistiche (p. 227); b) Preghiera alla Vergine (p. 230). — 8. L'eros nelle trasfigurazioni contro la tentazione. E in quelle dell'amicizia e della dedizione (p. 231); a) Contro la tentazione (p. 231); 6) Amieizia, dedizione (p. 232). — 9. L'Eros in qualche sua pseudo sublimazione (concnpiscenza larvata, «pruderie») (p. 234).
CAPITOLO
CONTI NUAZIONE —
SECONDO
ANCORA D E L L E SUIBLIMAZIONI b) L'ODIO
—
1. L'odio n e l l e trasfigurazioni dell'arte (p. 236). — 2. Artistiche pagine di ingiurie; oggi e ieri (p. 239). — 3. Trasformazioni di impulsioni criminali? (p. 242).
CAPITOLO
TERZO
DEVXAZIONE DEI BASSI ISTINITI E SUE V A R I E F O R M E 1. Adattamenti a speciali attivitä professional! (p. 245). — 2. Simbiosi sociale (p. 249). — 3. Deviazioni predatorie (giuoco e giuocatori, p. 251); a) Premessa (p. 251); b) Una classificazione (p. 252); c) Istinti predatorii? (p. 254); d) II
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INDICIS
giuoco d'azzardo della vita (p. 255). — 4. Altre deviazioni: nudismo, sportismo (ancora l'Eros e l'aggressiviiä) (p. 256); a) Nudismo (p. 257); b) «Sportismos (p. 258); c) Continuando ferotismo, aggre c sivitä, crudeltä, (p. 260). 5. Estetismo narcisis'ico (p. 263). — Altro possibile travestimento: La parola parlata (p. 265); <0 Premessa (p. 266); bt La conversazione (p. 267); c) Basso linguaggio (scarira aggressive, p. 269); it) Basso linguaggio (scarica erotica, p. 272); •) Continuazione. Iscrizioni murali (p. 274). — 7. Basso linguaggio e classi colte (p. 275). — 8. Una spiegazione? (p. 278). — 9. La maldicenza (p. 279).
CAPITOLO ALTRE
SINGOLARI
QUARTO
TRASFORMAZIONI
E
DEVIAZIONI
1. Piccoli e apparentemente insignificanti gesti di equivalenza e di scarica (tic e r o t k i ? E altrj. Ce«ti maniaci libcra'ori. Tic verbali, lan'us, sin'omi) (p. 283). — 2. Pseudo soddisfazioni materiali, incomplete o parziali (p. 290). PARTE QUINTA COME
L'« I O »
INGANNA
SE
STESSO
AUTOCONSOLAZIONI CAPITOLO
PRIMO
IL GRANDE SOTTERFUGIO:
L'EVASIOINE
l. Premessa (p. 297). — 2. Una prima classificazione (p. 299). — 3. Avvertenza (p. 300). — 4. Evasione contemplativa. a) La lettura (p. 301). — 5. Evas'one con'emplativa. b) La fantasticheria e le varie sue tlnte psicologiche (p. 305); «) Fantasticherie fiabesche e di ingenua felicitä (p. 306); b) Dalle fantasticbece megalomani e dalle vendicative, alle erotiche (p. 307); c) Fantasticherie della estrema etä e meccanhmo dei ricordi consolatori (p. 309); d) L'«Io» diventa irresponsahile (p. 313). — 6. Continuazione. Evasione contempla'iva, fantasticherie, alienazione mentale, delinquenza latente (p. 313). — 7. Continuazione. La «costruttivitä» nella fantasticheria contemplativa. Tipo di fantasticheria e tipo di personalitä (p. 316). — 8. Perchi l'azione sognata non sempre e trasferita nelTa real'ä (p. 3171. 9. E anche Fe il sogno si trasformasfe in realtä... (p. 318). — 10. L'artificiale ausilio alle fantasticherie (p. 319). — 11. Evasione costruttiva. II lavoro (p. 321).
CAPITOLO SECONDO ALTRI SOTTERFUGI:
L'ISOLAMENTO,
LA D E F O R M A Z I O N E D E L L E COSE E C C . , ECC... 1. L'isolamento in se medesimo (p. 324). — 2. Continuazione: l'autoammira»ione (negli individui e nei gruppi) (p. 325). — L'autoconsolazione prodo la col deformare le cose (p. 327). — 4. L'autodifesa contro la propria ignoranza o contro« il dolore dei non safere (p. 332); a) L'ironia degli orbi (p. 332); 6) Lo •cettici'nio di chi sa (p. 333) 5. La ricerca della <
460
INDICE
CAPITOLO TERZO I L SOCCORSO D E L L ' O T T I M I S M O 1. Ollimismo concreto (p. 338); a) La Cittä futura (p. 338); b) Una commedia che finisce sempre bene (p. 339); e) Credenza nella «legge di compenso» (p. 340); d) Una Provvidenza che agisce sulla terra (p. 341). — 2. Conlinuazione. Ancora dcH'ouimismo concreto: l'ingiusto sarä punito (p. 342). — 3. ...e il giusto ricompen r ato (p. 34«*>). — 4. Ma... e la mala morte del giusto? (p. 348). — 5. Ancora dcll'ottimismo concreto: veri e falsi epicurei (p. 349). — 6. Una speciale forma di ottimismo: «Poteva essere peggio» (p. 351). — 7. L'ottimismo concreto di una certa filosofia della Storia (p. 352). — 8. L'autoconsolazione trovata neH'otlimismo concreto dei proverbi, «sapienza dei popoli» (p. 354). — 3. L'ottimismo ultralerreno (p. 356).
CAPITOLO QUARTO N U O V E V I E DI SOCCORSO: L A LOGICA,
L'ESPIAZIONE,
L A R A S S E G N A Z I O N E , LA G I O I A IDEL D O L O R E 1. La «Logica» vuole cosi (p. 358); a) II «perche» dell'insuecesso (p. 359); b) A proposito di insuccesso, di fortuna e di sfortuna (p. 360); c) I motivi «logici» per non temere la morte (p. 361). — 2. Credenza nell'espiazione (p. 363); tt) Mea culpa, mea maxima culpa (p. 364); b) L'espiazione ...per altri (p. 367). — 3. La gioia della rassegnazione (p. 369). —- 4. Gioia del dolore e gioia del marlirio (p. 370).
CAPITOLO QUINTO ALTRI S O T T E R F U G I ANCORA E I GRANDI EVANGELI DELLA
CONSOLAZIONE
1. II piacere del scntirsi commiserato e dell'autocommiserazione (p. 372). — 2 Vi e chi piange come noi... e ancor piü (p. 373). — 3. II dolore e un lavacro purificatore c fönte di nobiltä (p- 375). — 4. I vari e complessi sistemi dei grandi evangeli (p. 375). — 5,. I suggerimenti della filosofia indü (p. 384). PARTE L'AUTOCONSOLAZIONE DI
P E R
S O R R I D E R E
SESTA MEZZO E
DI
DEI
DIVERSI
MODI
RIDERE
CAPITOLO PRIMO RISO CONTEMPLATIVO E RISO
ASSALITORE
1. Dtie aspetti (consolazione e «scarica») del ridere (p. 392). — 2. Avvertenza (p. 392). —- 3. Riso contemplativo: l'umorismo... forma 6orridente della rassegnazione? (p. 394). 4. Antora un riso contemplativo: la vita vista come una caricatura e una commedia che fa ridere (p. 396); «) Una parola sulla «ca-
INDICE
461
ricatura» (p. 3'97); 6) Ma il «ridicolo» e — in l a l caso — nel nostro occhio ( p . 398). — 5. Filosofia dell'ironia (p. 399). — 6. D a l riso contemplativo a l riso assalitore (p. 400).
CAPITOLO SECONDO R I C E T T A R I O , S C O P I E D E F F E T T J D E L RISO 1. Da Cicerone e dal Castiglione ai modern! (p. 402). — 2. Una speciale ricetta: formazione e deformazione d e l l e parole n e l tratto di spirito (p. 404). — 3. A l t r a sicura ricetta: «Vedi come inciampa e come si sbaglia». L'errore fa ridere (p. 407). — 4. II riso, Vendetta dei gruppo (p. 409). — 5. II riso, difesa contro il vanitoso e l'altrui reale superioritä (p. 410). — 6. Un'altra parentesi: riso e personalitä; i l fine d e i riso; gli e f f e t t i d e i ridere ( p . 412); a) riso, sorriso e personalitä (p. 412); b) II fine d e i riso. Ancora i l riso come difesa fisiopsicologica (p. 413); c) Gli e f f e t t i dei ridere (p. 414).
CAPITOLO TEHZO P E R C H E ' SI RIDE? I. II processo meccanico dei riso (p. 416). — 2. Qualche «spiegazione» (p. 417); — 3. Quattro principii per spiegare il «perche» dei ridere ( p . 418). — 4. Cont i n u a n d o : una nuova spiegazione? Importanza d e l l a illogicitä nella causazione dei ridere (p. 420); a) Qualche esempio (p. 421); b) M a la «illogicitä» per gli u n i . . . non e sempre «illogicitä» per g]i altri (p. 422); c) P o s t i l l a : l'errore di chi ride (p. 423); d) Varie forme di illogicitä suscitatrici d e i riso (p. 424).
CAPITOLO QUARTO ANCORA DELL'AUTOCONSOLAZIONE P E R MEZZO DEL R I D E R E : P A G I N E D I S C H E R N O E DI ASSALTO I. R i s o di aggressione e di Vendetta (p. 429); a) Qualche celebre pagina (p. 430); b) Continuando la rassegna (p. 435); c) Fogli e gazzette (p. 439). — 2. II soccorso d e l l a f i n z i o n e per poter ridere l i b e r a m e n t e : viaggi fantastici; favole in cui parlano gli animali (p. 440); a) viaggi fantastici (p. 440); 6) F a v o l e : parlano gli animali (p. 444); c) P o s t i l l a : Ottimismo o pessimismo? (p. 447).
COMjMlATO (p. 449)
Finito di Stampare il 30 - 6 - 1949 coi tipi della Scuola Tipogr. Artigianelli Monza - Via Magenta, 2 - Tel. 23 - 75
FRATELLI ROCCA, Editori - Via degli Arditi, 42 - MILANO
BIBLIOTECA DI SCIENZE MODERNE
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Delitto e pena nella storia dei pensiero umano, 1928. 102. P A G N I E L L O A . : . . . / grandi pilastri della guerra, 1930. 106. SEHGI G . : La piü. antica umanitä vivente, 1930. . . 108-109. L E O N E F . : La teoria della polilica. Due volumi, 1931. T - . 110. B E R K E L E Y G . : . . . Alcijrone, 1932. 1932. D E MATTEIS EL: . . Storia della Civiltii Argentina, 111. Magno, 1932. . . Alessandro 112. BERTOI.OTTI M . : a 114. N I E T Z S C H E F . : . . . La volonta di potenza, 3 ' edizione, 1946. 116. M . C . C A T A I . A N O : . . L'Era dei Pacifico. 2" edizione, 1940. Armulu, 117. M A N Z I N I - M O N T K R I S I M . : Economia Pubb'.ica e Nazione 1939. Suez (II suo passato, presenle . . II Canaldi 118. W I L S O N A . T . : e futuro), 1939. 120. D i L A U R O R . : . . . II Coverno 'deile genri di colore, 1940. 121-122. B O T T A R F L L I - M O N T E H I S I M. Sloria potilicu e militare dei Sovrano Ordine di Malta. 2 voluini, 1940. 123. S A V I N I P . : . . . . / Fondamenti della Geologia Integrale, 1941. Vecchie e nuove dotlrine. 124 (1) N I C E F O R O A . : . . . Criminologia. 2 1 edizione, 1949. L'uomo delinquenle. La "ja1 2 4 ( 2 ) NICEFORO A.: . . Criminologia. cies" esterna, 1949. Criminologia. L'uomo delinquente. La "fa1 2 4 ( 3 ) NICEFOUO A.: cies" interna, 1949. Criminologia. Delinquenza jemminile^e"delle varie etä, 1949. 1941. 125. L O M B A R D I F . : . . . La liberta dei volere e l'individuo, 128. H E N T I G H . : . . . - La Pena - Origine - Scopo - Psicologia, 1942. 129-130-31. AI-BF.RTINI 1 . . : . . Le origini della guerra dei 1914, con numerose riproduzioni in fac-siniili e cart i n e ; 3 volumi, 1943. Criminologia - Ambiente e delinquenza, 132. 1949. 133. B E N E D I C E N T I A . : . . La l ila come fenomeno fisico-cliimico, 1943. di Zara, 1944. . Storia 134. D E B E N V E N U T I A . : 135. F O R M I C H I C . : . . . India. Pensiero e azione, 1944. 136. C O N F U C I O E M E N C I O : 1 quattro libri: La Grande Scienza, II giusto mezzo, 11 libro dei dialoghi, II libro di Mencio, 1945. L'Io profondo e le sue maschere. Psicolo137. gia «scura degli individui e dei gruppi sociali, 1949. 1 classici dei taoismo, 1949. 138. 101.*
COSTA
F.:
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