ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO I SEMINARIO IV – 7.4.2011 Condominio e servitù
MATERIALI
1. condominio minimo (Cass., S.U., 31.1.2006, n. 2046)……………………………………....p. 1;
2. condominio: uso promiscuo della cosa comune (Trib. Bari, 29.10.2009)………………….p. 7;
3. servitù (Cass., 4.11.2008, n. 26493)……………………………………………………….. p. 13;
4. esercizio………………………………………………………………………………...…….p. 17.
Condominio minimo IL CASO Un edificio è composto da due appartamenti, di proprietà, rispettivamente, di Tizio e Caio. Tizio esegue dei lavori d riparazione delle parti comuni a proprie spese e successivamente chiede a Caio il rimborso della metà. Caio rifiuta sostenendo che trattandosi di condominio, il rimborso è dovuto da chi non ha eseguito i lavori solo qualora si tratti di spese urgenti (art. 1134 c.c.). Assunte, rispettivamente, le vesti del legale di Tizio e di Caio, si illustrino le ragioni a favore e contro ciascuna parte. Cass., sez. un., 31-01-2006, n. 2046. La diversa disciplina dettata dagli art. 1110 e 1134 c.c. in materia di rimborso delle spese sostenute dal partecipante per la conservazione della cosa comune, rispettivamente, nella comunione e nel condominio di edifici, che condiziona il relativo diritto, in un caso, a mera trascuranza degli altri partecipanti e, nell’altro caso, al diverso e più stringente presupposto dell’urgenza, trova fondamento nella considerazione che, nella comunione, i beni comuni costituiscono l’utilità finale del diritto dei partecipanti, i quali, se non vogliono chiedere lo scioglimento, possono decidere di provvedere personalmente alla loro conservazione, mentre nel condominio i beni predetti rappresentano utilità strumentali al godimento dei beni individuali, sicché la legge regolamenta con maggior rigore la possibilità che il singolo possa interferire nella loro amministrazione; ne discende che, istaurandosi il condominio sul fondamento della relazione di accessorietà tra i beni comuni e le proprietà individuali, poiché tale situazione si riscontra anche nel caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, la spesa autonomamente sostenuta da uno di essi è rimborsabile solo nel caso in cui abbia i requisiti dell’urgenza, ai sensi dell’art. 1134 c.c. La disciplina dettata dal codice civile per il condominio di edifici trova applicazione anche in caso di condominio minimo, cioè di condominio composto da due soli partecipanti, tanto con riguardo alle disposizioni che regolamentano la sua organizzazione interna, non rappresentando un ostacolo l’impossibilità di applicare, in tema di funzionamento dell’assemblea, il principio maggioritario, atteso che nessuna norma vieta che le decisioni vengano assunte con un criterio diverso, nella specie all’unanimità, quanto, a fortiori, con riferimento alle norme che regolamentano le situazioni soggettive dei partecipanti, tra cui quella che disciplina il diritto al rimborso delle spese fatte per la conservazione delle cose comuni.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - Con citazione 16 novembre 1989, Nicola Cersosimo convenne, davanti al Tribunale di Lagonegro, i coniugi Alfredo Cozzetto e La Gamma Rosa. Espose di essere proprietario, in ragione della metà assieme ai convenuti, di un edificio sito in Rotonda via Garibaldi, e di aver effettuato delle riparazioni alle parti comuni (beneficiando del contributo previsto dalla L. n. 219 del 1981, per i danni subiti dal fabbricato a seguito del sisma del 1980 e del 1982). Domandò la condanna dei convenuti alla restituzione della quota da loro dovuta pari a L. 7.334.737. I convenuti chiesero l'assoluzione da ogni avversa pretesa e il Tribunale, con sentenza 5 dicembre 1995 - 5 gennaio 1996, rigettò la domanda.
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- Decidendo sull'impugnazione principale proposta dal Cersosimo e sull'appello incidentale proposto da coniugi Alfredo Cozzetto e Rosa La Gamma (limitatamente alle spese), la Corte d'Appello di Potenza, con sentenza 17 novembre - 28 dicembre 1999, respinse ambedue le impugnazioni. Premesso che la legislazione speciale non aveva introdotto nessuna deroga alla disciplina civilistica, concernente il rimborso delle spese per la conservazione delle cose comuni erogate da un proprietario, al condominio costituito da due soli partecipanti si applicava la norma di cui all'art. 1134 cod. civ., che al condomino riconosce il diritto al rimborso soltanto per le spese urgenti, ragion per cui non operava la disposizione dettata in tema di comunione in generale dell'art. 1110 cod. civ., secondo cui il rimborso delle spese per la conservazione era subordinato solamente alla trascuranza degli altri comproprietari. Nel condominio composto da due soli condomini non si applicavano soltanto le disposizioni stabilite dall'art. 1136 cod. civ. relativamente alla costituzione ed alle votazioni in assemblea. - Ha proposto ricorso per Cassazione Cersosimo; hanno resistito con controricorso Alfredo Cozzetto e Rosa La Gamma. - Con ordinanza interlocutoria 10 marzo 2004, la Seconda Sezione civile ha rimesso gli atti al Primo Presidente per l'eventuale assegnazione alle Sezioni Unite, avendo rilevato un contrasto di giurisprudenza in materia di rimborso delle spese per la conservazione delle cose comuni nel caso di condominio composto da due soli partecipanti (il cosiddetto "condominio minimo"), giacchè dalla Corte Suprema talora era stata affermata l'applicabilità dell'art. 1110 cod. civ. (Cass., Sez. 2^, 18 ottobre 1988, n. 5664), talaltro era stata ritenuta la applicabilità dell'art. 1134 cod. civ. (Cass., Sez. 2^, 26 maggio 1993, n. 5914 e Cass., Sez. 2^, 4 agosto 1997, n. 7181).ù MOTIVI DELLA DECISIONE 1.- Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1110 e 1134 cod. civ., poichè erroneamente la sentenza della Corte d'Appello aveva ritenuto applicabile al condominio costituito da due soli partecipanti la disposizione di cui all'art. 1134 cod. civ., anzichè quella prevista dall'art. 1110 c.c., ragion per cui al condomino, che aveva sostenuto le spese necessaire per la conservazione delle cose comuni, doveva riconoscersi il diritto al rimborso alla sola condizione della trascuranza dell'altro partecipante. - Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione della L. 14 maggio 1981, n. 219, artt. 9, 10, 12 e 14 e successive modificazioni, perchè erroneamente la sentenza impugnata non aveva considerato la deroga alle norme civilistiche apportate dalle norme speciali, con il diritto del condomino di procedere all'esecuzione delle opere, in sostituzione ed a spese del proprietario inadempiente. Con il terzo motivo, infine, il ricorrente censura ancora la violazione delle norme speciali ricordate sopra, che dalla sentenza impugnata non erano state ritenute applicabili a tutti gli immobili danneggiati dal sisma, in ragione dello stato di urgenza dei lavori per adeguare gli edifici alla normativa antisismica, a pena di decadenza dal beneficio del sussidio statale. 2.1.- La questione di diritto, che le Sezioni Unite sono chiamate a risolvere per decidere la controversia, è se, nel caso di edificio in condominio composto da due soli partecipanti (il cosiddetto "condominio minimo"), il rimborso delle spese per la conservazione delle parti comuni anticipate da un condomino sta regolato dalla norma di cui all'art. 1134 cod. civ., che riconosce il diritto al rimirano soltanto per le spese urgenti; ovvero se, in considerazione della peculiarità della situazione di fatto e di diritto configurata dalla presenza di due soli proprietari, e dalla susseguente inapplicabilità del principio di maggioranza, la fattispecie venga ad essere regolata dalla norma dettata dall'art. 1110 cod. civ. per la comunione in generale, secondo cui il rimborso è subordinato alla mera trascuranza degli altri condomini.
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Il diverso il regime del rimborso delle spese anticipate dal condomino e dal comproprietario, a seguito della inerzia degli altri partecipanti (o dell'amministratore) - è noto - si fonda sul diverso presupposto oggettivo dell'urgenza e della trascuranza. In materia di condominio negli edifici, il concetto di urgenza, impiegato nell'art. 1134 cod. civ., viene ricavato dal significato proprio della parola, che designa la stretta necessità: la necessità immediata ed impellente. Afferma la giurisprudenza che, ai fini dell'applicabilità dell'art. 1134 cod. civ. concernente il rimborso delle spese per le cose comuni fatte da un condomino, va considerata urgente la spesa, che deve essere eseguita senza ritardo (Cass., Sez. 2^, 26 marzo 2001, n. 4364); la spesa, la cui erogazione non può essere differita senza danno o pericolo, secondo il criterio del buon padre di famiglia (Cass., Sez. 2^, 12 settembre 1980, n. 5256). Trascuranza, invece, significa negligenza, trascuratezza, omessa cura come si dovrebbe. Relativamente alle spese necessarie per la conservazione delle cose comuni, l'art. 1110 cit. riconduce il diritto al rimborso alla semplice inattività (Cass., Sez. 2^, 3 agosto 2001, n. 10738). Il maggior rigore della disciplina in tema di condominio negli edifici rispetto alla comunione dipende dalla diversa utilità dei beni, che formano oggetto dei differenti diritti; l'utilità strumentale per i beni in condominio e l'utilità finale per i beni in comunione. La indivisibilità dei beni in condominio (art. 1119 cod. civ.) dipende dalla utilità strumentale, essendo strettamente legata al godimento delle unità immobiliari. Dalla virtuale perpetuità del condominio deriva l'opportunità che i condomini non interferiscono nella amministrazione delle parti comuni dell'edificio. Dalla normale divisibilità nella comunione, invece, segue che il comunista insoddisfatto dell'altrui inattività, se non vuole chiedere lo scioglimento (art. 1111 cod. civ.), può decidere di provvedere personalmente. 2.2 – [Il condominio in generale] L'espressione "condominio" designa il diritto soggettivo di natura reale (la proprietà comune) concernente le parti dell'edificio di uso comune e, ad un tempo, l'organizzazione del gruppo dei condomini, composta essenzialmente dalle figure dell'assemblea e dell'amministratore: organizzazione finalizzata alla gestione delle cose, degli impianti e dei servizi. La specifica fisionomia giuridica del condominio negli edifici - la tipicità, che distingue l'istituto dalla comunione di proprietà in generale e dalle altre formazioni sociali di tipo associativo - si fonda sulla relazione che, nel fabbricato, lega i beni propri e comuni, riflettendosi sui diritti, dei quali i beni formano oggetto (la proprietà esclusiva e il condominio). Le norme dettate dagli artt. 1117, 1139 cod. civ. si applicano all'edificio, nel quale più piani o porzioni di piano appartengono in proprietà solitaria a persone diverse e un certo numero di cose, impianti e servizi di uso comune sono legati alle unità abitative dalla relazione di accessorietà. L'art. 1117 cod. civ., elencati a titolo esemplificativo talune cose, impianti e servizi di uso comune, stabilisce che "sono oggetto di proprietà comune"... "in genere tutte le parti dell'edificio necessarie per l'uso comune" (n. 1); i locali destinati "per simili servizi in comune" (n. 2); le opere, le istallazioni, i manufatti "di qualunque genere che servono all'uso o al godimento comune". Secondo l'interpretazione consolidata, ai fini della attribuzione del diritto di condominio la norma conferisce rilevanza al collegamento tra le parti comuni e le unità immobiliari in proprietà solitaria: collegamento, che può essere materiale o funzionale. Il primo tipo di legame, consistente nella incorporazione tra entità inscindibili, ovvero nella congiunzione stabile tra entità separabili, si concreta nella necessità delle cose, dei servizi e degli impianti per l'esistenza o per l'uso dei piani o delle porzioni di piano; il secondo si esaurisce nella destinazione funzionale delle parti comuni all'uso o al servizio delle unità immobiliari (tra le tante: Cass., Sez. 2^, 9 giugno 2000, n. 7889). Il collegamento tra beni propri e comuni, consistente nella necessità per l'esistenza o per l'uso, ovvero nella destinazione all'uso o al servizio, si definisce come relazione di accessorietà, perchè l'espressione mette in evidenza, ad un tempo, il legame funzionale e la connessione materiale. Il termine accessorietà, sul piano funzionale, enuncia il difetto di utilità fine a se stessa e la subordinazione strumentale delle parti comuni; esprime, altresì, la connessione materiale, che determina la mancanza di autonomia fisica dei beni comuni rispetto ai beni in proprietà esclusiva e,
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nondimeno, non esclude la loro perdurante individualità giuridica nell'orbita della incorporazione o della relazione stabile. Il regime del condominio negli edifici - inteso come diritto e come organizzazione - si istaura per legge nel fabbricato, nel quale esistono più piani o porzioni di piano, che appartengono in proprietà esclusiva a persone diverse, ai quali dalla relazione di accessorietà è legato un certo numero di cose, impianti e servizi comuni. Il condominio si costituisce (ex lege) non appena, per qualsivoglia fatto traslativo, i piani o le porzioni di piano del fabbricato vengono ad appartenere a soggetti differenti. Segue che, in un edificio composto da più unità immobiliari appartenenti in proprietà esclusiva a persone diverse, la disciplina delle cose, degli impianti e dei servizi di uso comune, legati ai piani o alle porzioni di piano dalla relazione di accessorietà, sia per quanto riguarda la disposizione sia per ciò che concerne la gestione, è regolata dalle norme sul condominio. In definitiva, l'esistenza del condominio e l'applicabilità delle norme in materia non dipende dal numero delle persone, che ad esso partecipano. Prima di chiudere sul punto, conviene ribadire le ragioni, che determinano la disciplina differente del condominio e della comunione in generale. La ragione di fondo è la diversa utilità dei beni, che formano oggetto del condominio e della comunione: rispettivamente, l'utilità strumentale e l'utilità finale. Le parti comuni dal codice sono considerate beni strumentali al godimento dei piani o delle porzioni di piano in proprietà esclusiva; cose in comunione costituiscono beni autonomi, suscettibili di utilità fine a se stessa e come tali sono considerate. 2.3.- [La questione specifica] D'altra parte, nessuna norma prevede che le disposizioni dettate per il condominio negli edifici non si applichino al "condominio minimo", composto da due soli proprietari. Per la verità, le due sole norme concernenti il numero dei partecipanti riguardano la nomina dell'amministratore ed il regolamento di condominio (L'art. 1129 cod. civ. fissa l'obbligatorietà della nomina dell'amministratore quando i condomini sono più di quattro; l'art. 1138 prevede che il regolamento di condominio debba essere approvato dall'assemblea quando il numero dei condomini è superiore a dieci). Nessuna norma dettata in materia di condominio contempla il numero minimo (due) dei condomini. Pertanto, se nell'edificio ameno due piani o porzioni di piano appartengono in proprietà solitaria a persone diverse, il condominio - considerato come situazione soggettiva o come organizzazione sussiste sulla base della relazione di accessorietà tra cose proprie e comuni e, per conseguenza, indipendentemente dal numero dei partecipanti trovano applicazione le norme specificamente previste per il condominio negli edifici. 2.4.- Si contesta l'applicabilità di talune delle norme di organizzazione (artt. 1120, 1121, 1129, 1130, 1131, 1132, 1133, 1135, 1136, 1137, 1138 cod. civ.), specialmente di quelle riguardanti il funzionamento del collegio sulla base del principio di maggioranza. Ciò sulla base dell'asserita inapplicabilità del metodo collegiale e del principio maggioritario in presenza di due soli condomini. Ma non è esatta l'affermazione che l'impossibilità di impiegare il principio maggioritario renda inapplicabili ai condomini minimi le norme procedimentali sul funzionamento dell'assemblea e determini automaticamente il ricorso alle norme sulla comunione in generale (tra le altre: Cass., Sez. n, 30 marzo 2001, n. 4721; Cass., Sez. 2^, 26 maggio 1993, n. 5914; Cass., Sez. U, 6 febbraio 1978, n. 535; Cass., Sez. n, 24 aprile 1975, n. 1604). Nessuna norma contempla l'impossibilità, logica e tecnica, che le decisioni vengano assunte con un criterio diverso da quello maggioritario. In altre parole, nessuna norma impedisce che l'assemblea, nel caso di condominio formato da due soli condomini, si costituisca validamente con la presenza di tutti e due i condomini e all'unanimità decida validamente. Dalla interpretazione logico-sistematica non si ricava la necessità di operare sempre e comunque con il metodo collegiale e con il principio maggioritario, quindi il divieto categorico di decidere con criteri diversi dal principio di maggioranza (per esempio, all'unanimità): si ricava la disciplina per il caso in cui non si possa
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decidere, a causa della impossibilità pratica di formare la maggioranza: il che vale non soltanto per il condominio minimo. La disposizione dell'art. 1136 cod. civ. è applicabile anche al condominio composto da due soli partecipanti: peraltro, se non si raggiunge l'unanimità e non si decide, poichè la maggioranza non può formarsi in concreto diventa necessario ricorrere all'autorità giudiziaria, siccome previsto ai sensi del collegato disposto degli artt. 1105 e 1139 cod. civ.. L'ipotesi del condominio minimo è del tutto simile ad altre, nelle quali la maggioranza in concreto non si forma. Si pensi al caso del condominio composto da più partecipanti, in cui gli schieramenti opposti si equivalgono e non si determinano maggioranza e minoranza; oppure al caso di un condominio, del pari composto da più partecipanti, in cui un impianto risulti destinato al servizio di due soli condomini, i quali da soli sono chiamati a deliberare sulla gestione. In entrambi i casi, se in concreto la maggioranza non si forma si ricorre all'autorità giudiziaria ex art. 1105 cod. civ. cit.. A fortiori non sussistono ostacoli all'applicazione anche al condominio minimo delle norme concernenti la situazione soggettiva (artt. 1117, 1118, 1119, 1122, 1123, 1124, 1135, 1136, 1137, 1138 cod. civ.) Quindi, nulla osta che nel caso delle spese anticipate da un condomino trovi applicazione l'art. 1134 cod. civ.. Per la verità, il contemperamento di interessi dettato da questa disposizione si fonda sulla relazione di accessorietà tra beni propri e comuni, essendo la disciplina del rimborso delle spese per le cose, gli impianti ed i servizi comuni dell'edificio stabilita in funzione del carattere strumentale di queste parti rispetto al godimento dei piani o delle porzioni di piano in proprietà solitaria, avuto riguardo alla necessità che i condomini sulla gestione interferiscano il meno possibile. 2.5.- In conclusione, il condominio si istaura, sul fondamento della relazione di accessorietà tra le cose, gli impianti ed i servizi rispetto ai piani o le porzioni di piano in proprietà solitaria, ogni qual volta nel fabbricato esistono più piani o porzioni di piano in proprietà esclusiva; la relazione di accessorio a principale conferisce all'istituto la fisionomia specifica, per cui si differenzia dalla comunione e dalle altre formazioni sociali di tipo associativo; d'altra parte, nessuna disposizione prevede l'inapplicabilità delle norme concernenti il condominio negli edifici al "condominio minimo", composto da due soli partecipanti, posto che le sole norme in materia concernenti il numero dei condomini riguardano la nomina dell'amministratore e la formazione del regolamento (gli artt. 1129 e 1138 c.c.). Tutto ciò considerato, nel caso di edificio in condominio composto da due soli condomini (il cosiddetto "condominio minimo"), il rimborso delle spese per la conservazione delle parti comuni anticipate da un condomino viene ad essere regolato dalla norma stabilita dall'art. 1134 cod. civ., da cui il diritto al rimborso è riconosciuto soltanto per le spese urgenti: ovverosia, soltanto per le spese impellenti, che devono essere eseguite senza ritardo e la cui erogazione non può essere differita senza danno. Il primo motivo di ricorso deve essere respinto. 3.- Deve essere rigettato, del pari, il secondo motivo, che al primo è strettamente connesso. La L. speciale 14 maggio 1981, n. 219 non deroga affatto alle disposizioni del codice civile in materia di condominio. Al contrario, la L. speciale, art. 12 cpv., ultimo conferma che le deliberazioni collegiali concernenti le opere di ricostruzione o di riparazione devono essere approvate con la maggioranza di cui all'art. 1136 cod. civ., comma 2: in piena conformità, quindi, con quanto dispone in generale lo stesso art. 1136 c.c., comma 4, per la ricostruzione dell'edificio o le riparazioni straordinarie di notevole entità. Allo stesso tempo, le norme concernenti i contributi per la riparazione degli immobili non irrimediabilmente danneggiati riguardano, di regola, i soggetti titolari del diritto di proprietà alla data del sisma (legge citata, art. 10). Peraltro, i contributi per la riparazione previsti in favore del proprietario, a norma della legge citata, art. 11, possono essere assegnati eccezionalmente anche al conduttore o ad altri detentori alla duplice condizione che: a) sia decorso il termine di 90 giorni dalla comunicazione, con lettera raccomandata, che i predetti soggetti sono tenuti a inviare al proprietario, di voler eseguire direttamente le opere necessaria senza che il proprietario abbia presentato al sindaco la prescritta domanda di autorizzazione; b) nel termine di 90 giorni dall'autorizzazione del sindaco, il proprietario non abbia dato inizio ai lavori. Nella specie, nessuna di tali modalità procedimentali si deduce essere stata osservata.
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4.- Appare del tutto nuovo e, come tale, inammissibile il terzo motivo di ricorso. È risaputo che i motivi del ricorso per Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel thema decidendum del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove e nuovi temi non trattati nella fase di merito. Orbene, non risulta prospettata in appello la doglianza concernente l'urgenza ex se delle opere occorrenti per adeguare l'edificio alla normativa antisismica, posto che in sede di gravame Nicola Cersosimo, con il primo motivo aveva lamentato la mancata ammissione della richiesta consulenza tecnica indispensabile per valutare l'applicabilità nella fattispecie della disposizione di cui all'art. 1110 cod. civ. e, con il secondo, aveva censurato l'affermazione circa l'insussistenza della prova relativa alla ultimazione dei lavori. 5.- Rigettato il ricorso, sussistono giusti motivi per compensare integralmente le spese processuali.
P.Q.M. La Corte, pronunziando a Sezioni Unite: rigetta il ricorso e compensa le spese.
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Uso promiscuo della cosa comune Tribunale Bari, sez. III, 29 ottobre 2009, n. 3237 In tema di condominio negli edifici, l'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi dell'art. 1102, c.c., al duplice divieto di alterarne la destinazione ed impedire agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto. Pertanto, deve ritenersi che la condotta del condomino, consistente nella stabile occupazione - mediante il parcheggio per lunghi periodi di tempo della propria autovettura o motorino - di una porzione del cortile comune, configuri un abuso, poiché impedisce agli altri condomini di partecipare all'utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento, in tal modo, alterando l'equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con atto di citazione del 30.3.2003 il Condomino di viale Kennedy n. 83/B - Bariconveniva in giudizio davanti al Giudice di pace di Bari il sig. M. N. per sentire "dichiarare la illegittimità dell'utilizzazione, da parte del convenuto, degli spazi condominiali a scopo di parcheggio di un motociclo; per l'effetto, ordinare al convenuto la cessazione dei comportamenti sopradetti... " Assumeva l'attore: - di essersi dotato di un regolamento condominale nel quale era stato espressamente previsto il divieto di occupare stabilmente con costruzioni provvisorie e con oggetti di qualsiasi tipo, le scale i ripiani, gli anditi e, in genere, i locali e gli spazi di proprietà ed uso comuni (art. 14); - che il M. consentiva alla propria figlia minore di parcheggiare abitualmente il motorino tipo Aprilia all'interno dello spazio condominiale "in corrispondenza del prospetto secondario"; - di essere stato indotto, a seguito delle proteste degli altri condomini, a diffidare il M. e di aver convocato alcune assemblee condominiali per la soluzione del problema in questione, tutte conclusesi con delibere contrarie alla utilizzazione delle aree comuni nel senso indicato. Con comparsa depositata il 9.7.2003 si costituiva in giudizio il M. chiedendo il rigetto della domanda e deducendo: - che la figlia non aveva mai occupato stabilmente l'area comune, ma aveva fatto solo saltuarie e momentanee soste all'interno del cortile e per un limitato spazio di tempo; - che quindi la figlia non aveva mai alterato la destinazione d'uso della cosa comune, né aveva mai impedito agli altri condomini di farne a loro volta uso; - che l'azione proposta doveva considerarsi infondata perché il regolamento condominiale, alla sezione dedicata all'uso dei giardini, impediva espressamente solo la circolazione dei motorini ma non anche la sosta temporanea degli stessi; - che nella assemblee condominiali in cui il problema era stato discusso non era stata adottata alcuna determinazione, ma erano state manifestati solo alcuni pareri da parte di singoli condomini, culminati nell'approvazione a maggioranza, durante la assemblea del 12.11.2002, di una proposta di "collocazione di cavalletti in ferro davanti ai cancelli di ingresso da via Niceforo".
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Istruita la causa, con sentenza del 27.6.2005 n. 3350/05 il Giudice di pace di Bari rigettava la domanda, non riscontrando alcuna contrarietà del comportamento del M. al regolamento condominiale, e condannava il Condominio al pagamento delle spese del procedimento. Avverso la sentenza indicata ha proposto appello il Condominio di viale Kennedy 82BBari, adducendo il difetto di motivazione della sentenza impugnata, non avendo, a dire dell'appellante, esplicitato il Giudice di prime cure la ricostruzione dello svolgimento del processo, le questioni dibattute nonchè, più in generale, il ragionamento probatorio osservato. Di qui la necessità di riproporre le stesse questioni già portate alla cognizione del primo giudice e, in particolare, - che il comportamento del M. si poneva in contrasto con l'art. 1102 c.c., attesa la sua incidenza sulla destinazione del cortile/giardino; - che l'istruttoria del giudizio di primo grado aveva accertato, contrariamente a quanto ritenuto in sentenza, che la figlia del M. aveva parcheggiato il motorino nelle zone in questione sia di notte che di giorno; - che di tali risultanze istruttorie il giudice non aveva tenuto alcun conto, essendosi limitato ad una interpretazione letterale dei termini utilizzati nell'art. 14 del regolamento condominiale, senza porre in connessione la disposizione in questione con gli altri atti a sua disposizione, e soprattutto, con quanto previsto nei preliminari di vendita degli immobili, in cui era statuito espressamene il divieto di parcheggio nelle aree comuni di qualsiasi veicolo di sorta; - la omessa considerazione da parte del giudice di primo grado di quanto previsto nello stesso Regolamento condominiale che. a) all'art. 14 farebbe divieto di occupazione di ogni spazio comune con oggetti mobili di qualsiasi genere; 2) all'art. 1 lett. F) vieterebbe esplicitamente la circolazione di motocicli; 3) il regolamento di portineria la sosta di motocicli e biciclette. Con comparsa del 10.1.2006 si è costituito in giudizio il M., sostenendo: - la sufficienza e logicità della motivazione della sentenza impugnata, - la correttezza del comportamento del M., attesa la sua conformità a quanto previsto dall'art. 14 del Regolamento condominiale, non avendo la di lui figlia occupato stabilmente gli spazi di uso comune; - l'inammissibilità dell'appello per difformità delle conclusioni rassegnate rispetto a quelle formulate nel giudizio di primo grado. Costituite le parti all'udienza del 10.1.2006, dopo un rinvio interlocutorio, all'udienza del 14.4.2009, dopo la precisazione delle conclusione delle parti, il Tribunale, nella persona di questo magistrato, disponeva lo scambio delle comparse conclusionali e delle repliche riservandosi per la decisione. MOTIVI DELLA DECISIONE L'appello è fondato e va pertanto accolto. In punto di fatto, non è in contestazione tra le parti il dato fattuale che il Condominio in questione sia costituito da una palazzina posta all'interno di un più esteso complesso abitativo, isolato dalla pubblica via da una recinzione che delimita una zona al cui interno vi sono cortili, giardini e viali, cioè zone strumentali a consentire il raggiungimento delle varie abitazioni. Ciò detto, è necessario ricostruire le risultanze istruttorie acquisite nel corso del giudizio di primo grado, rispetto alle quali non è dato comprendere quale sia stata la valutazione del Giudice di prime cure, essendosi questi limitato, in quattro righi, ad alcune affermazioni, 8
senza tuttavia chiarire in cosa consistesse il comportamento in concreto tenuto dalla sig.na M. e perché quel comportamento dovesse considerarsi, a suo dire, non violativo delle disposizioni regolamentari relative all'uso delle cose comuni. Nel corso dell'interrogatorio formale tenuto all'udienza del 19.5.2004, l'amministratore del Condominio dichiarò: - di ricoprire tale carica del febbraio del 2004 e di non aver mai notato nessun motorino circolare nei viali del condominio, pur non essendo presente sui posti tutti i giorni; - di aver sempre visto il motorino del M. parcheggiato, di mattina, di pomeriggio e in serata, negli spazi sottostanti la fila di balconi del complesso; - che il motorino accedeva all'interno del complesso dal cancello di Via Niceforo "a pochi metri dalla zona dove parcheggia". Il teste N. V., moglie del M., escussa in udienza, riferì: - di aver sempre visto, da circa trent'anni, parcheggiare all'interno del complesso biciclette e motorini di altri condomini; - che la figlia attraversava, conducendo a mani il motorino spento, il viale pedonale per giungere sul posto dove sostava il mezzo, in uno spazio condominiale; - che la sosta del motorino sarebbe stata saltuaria "qualche volta sì e qualche volta no"; - che da circa due mesi la figlia non parcheggiava più il motorino all'interno del complesso; - che il motorino, nelle volte in cui veniva parcheggiato all'interno, veniva legato con una catena alle ringhiere. All'udienza del 10.12.2004 fu assunta la deposizione del sig. V. M., fidanzato, all'epoca dei fatti, della figlia dell'appellato, il quale dichiarò: - di aver visto in occasione delle visite a casa M., altri motorini e biciclette parcheggiate nel cortile, che "loro" "appoggiavano" il motorino "in quel cortile" solo per il tempo necessario e che il mezzo veniva legato con una catena; - che il motore veniva spento al momento in cui entravano all'interno del complesso; - che da parecchio tempo il motorino non sostava più in quella zona; - che il motorino spesso veniva parcheggiato nel suo garage. A sua volta, il teste C. G., soggetto che si occupava della pulizia del viale, riferì: - di aver pulito i viali del condominio in diverse ore della giornata, sia della mattina che del pomeriggio, e di aver visto "in varie ore" il motorino del M.; - di aver visto la figlia "utilizzarlo e quindi parcheggiarlo vicino alla ringhiera'; - di aver visto "spesso" il motorino parcheggiato soprattutto le volte in cui si recava al lavoro la mattina "presto alle sei circa.. a quell'ora il motorino era sempre parcheggiato lì": di non vedere più da qualche mese il motorino parcheggiato; - di svolgere l'attività in questione per circa 3-.4 ore al giorno da circa otto anni. Il teste C. E. riferì: di aver- visto durante le ore della giornata, -`quando rientravo a casa e quando uscivo- il motorino parcheggiato con una catena a una ringhiera in una zona pedonale, Che gli altri condomini parcheggiavano fuori dallo stabile; - che fino a 4-5 anni prima "anche altri motorini" venivano parcheggiati all'interno "anche io parcheggio all'interno del Condominio in virtù di una semplice cortesia. Ma quando alcuni condomini si sono lamentati e poi si è discusso in assemblea , invocando il rispetto del Regolamento condominiale che vieta il transito e la sosta di veicoli ho rimosso il mio motorino come hanno fatto tutti gli altri, tranne il sig. M. che ha continuato a parcheggiare ed a transitare a motore acceso nel viale di accesso di via Niceforo".
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Dalle prove assunte emerge un quadro di riferimento generale sufficientemente chiaro, e cioè: - che almeno in un dato momento storico non era infrequente che i condomini entrassero e parcheggiassero i loro motorini all'interno del complesso; - che ciò suscitò le proteste di altri condomini e che il Condominio decise di porre fine a tale prassi"; - che il M. continuò anche successivamente a fare uso del motorino all'interno del complesso. È emerso dalle deposizioni assunte che il motorino faceva ingresso all'interno del complesso e veniva parcheggiato in una zona comune, dove era legato con una catena ad una ringhiera, nelle occasioni in cui ciò era ritenuto necessario dalla M., nel senso che il mezzo veniva parcheggiato all'interno quando non era nella disponibilità del fidanzato della M., ovvero quando i giovani avevano la necessità, durante il giorno, di salire in casa, ovvero quando, parcheggiato fino alle prime ore del giorno, veniva notato dall'addetto alle pulizie. Sulla base di tale quadro di riferimento, il punto di partenza della decisione non può che essere l'art. 1102 c.c., a mente del quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune "purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto". La giurisprudenza nomofilattica ha chiarito che le limitazioni poste dall'art. 1102 c.c. al diritto di ciascun partecipante alla comunione di servirsi della cosa comune, rappresentate dal divieto di alterare la destinazione della cosa stessa e di impedire agli altri partecipanti di fame parimenti uso secondo il loro diritto, vanno riguardate in concreto, cioè con riferimento alla effettiva utilizzazione che il condomino intende farne e alle modalità di tale utilizzazione, essendo, in ogni caso, vietato al singolo condomino di attrarre la cosa comune o una parte di essa nell'orbita della propria disponibilità esclusiva e di sottrarla in tal snodo alla possibilità di godimento degli altri condomini (cfr. Cass., 28.4.2004, n. 8119: Cass., 22.3.2001, n. 4135; Cass., 26.1. 2000, n. 855). In tale contesto, l'art. 14 del Regolamento del condominio in questione, richiamato a lungo nel corso del processo, vieta alla lett. c) di occupare "stabilmente ..con oggetti mobili di qualsiasi specie gli spazi di proprietà ad uso comune Secondo l'appellato, l'uso che la M. avrebbe fatto dello spazio condominiale non sarebbe stato di stabile occupazione e, comunque, non avrebbe alterato la destinazione della cosa comune. L'assunto, valorizzato apoditticamente in sentenza dal Giudice di prime cure, non può essere condiviso. Considerato che non pare dubbio che un motorino sia "un oggetto mobile di qualsiasi tipo", il riferimento alla occupazione stabile attiene, sul piano semantico, alla occupazione duratura, destinata, cioè, a durare nel tempo, che, tuttavia, può essere non necessariamente continua, cioè senza interruzione, atteso che si può occupare stabilmente uno spazio, pur non occupandolo in maniera continua, ma ogni qual volta sia necessario. Nella fattispecie, è in atti la prova che la sig.na M. utilizzasse lo spazio comune, che non poteva essere destinato a parcheggio, per parcheggiare il proprio motorino durante la notte. Il teste C., della cui attendibilità non si ha motivo di dubitare, non essendo stato anche solo prospettato un qualche interesse inquinante, ha chiarito di aver visto spesso il motorino parcheggiato all'interno del cortile alle primo ore della giornata, cioè alle sei del mattino, circostanza, questa, da cui è possibile inferire che il motorino era rimasto parcheggiato in quel posto per tutta la notte. 10
Non è decisiva la circostanza che il motorino non fosse sempre, ogni notte, parcheggiato all'interno, perché ciò che rileva è che la sig.na M. piegasse alle proprie esigenze individuali, avendone una disponibilità funzionale, uno spazio comune che aveva una destinazione diversa. Sotto altro profilo, si è già detto, che il motorino faceva ingresso all'interno del complesso, durante il giorno, nelle occasioni più disparate e veniva ogni volta parcheggiato con una catena ad una ringhiera comune nel giardino interno. Anche in tal caso, non pare decisivo la circostanza che potessero esservi giornate in cui il motorino non fosse parcheggiato, perché ciò non impediva affatto alla M. di disporre stabilmente, cioè con continuità, dello spazio comune per parcheggiare il proprio mezzo meccanico. La sentenza impugnata non è quindi condivisibile nella parte in cui afferma che nel Regolamento condominiale non vi sarebbe stata norma che vietasse il parcheggio di ciclomotori nel cortile interno. L'assunto non solo è smentito da quanto detto, ma anche da quanto previsto dallo stesso regolamento condominiale in relazione al servizio di portierato, contemplando l'art 6, tra i compiti del portiere, quello di vietare che nel giardino di ingresso sostassero motociclette; si tratta di un dato indirettamente confermativo del divieto di sosta dei motorini nel giardino. La Corte di cassazione ha sul tema statuito in maniera condivisibile che in tema di condominio negli edifici, l'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino è soggetto, ai sensi dell'art. 1102 c.c., al duplice divieto di alterarne la destinazione e di impedire agli altri partecipanti di fare parimenti uso della cosa stessa secondo il loro diritto. Pertanto, deve ritenersi che la condotta del condomino, consistente nella stabile occupazione - mediante il parcheggio per lunghi periodi di tempo della propria autovettura - di una porzione del cortile comune, configuri un abuso, poiché impedisce agli altri condomini di partecipare all'utilizzo dello spazio comune, ostacolandone il libero e pacifico godimento ed alterando l'equilibrio tra le concorrenti ed analoghe facoltà. (Cassazione civile, sez. II, 24 febbraio 2004, n. 3640). Ne discende che sul punto l'appello è fondato e la sentenza deve essere riformata. Sulla inammissibilità dell'appello. L'appellato ha eccepito, come argomento finale, la inammissibilità dell'atto di appello perché le conclusioni ivi rassegnate sarebbero più ampie di quelle formulate nel corso del giudizio di primo grado. L'eccezione è infondata. Nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado il Condominio aveva chiesto la declaratoria di illegittimità della utilizzazione, da parte del convenuto, degli spazi condominiali a scopo di parcheggio di un motociclo e, per l'effetto, ordinare la cessazione dei comportamenti sopra descritti. Nell'atto di impugnazione, l'appellante ha chiesto la declaratoria che le modalità d'uso del cortile/giardino come parcheggio di motorini, perpetrata dal M., non "sarebbe consentita per tutti i motivi dedotti in narrativa, e quindi vietata, ponendosi in contrasto con la funzionale destinazione della predetta area comune (da ritenersi alterata ai sensi dell'art. 1102 c.c.) e con i vincoli (divieto di parcheggio/occupazione delle aree comuni) imposti sia dalle previsioni contenute nel vigente regolamento e elle assemblee condominiali". Il riscontro delle conclusioni formulate dalla parte nei due gradi di giudizio consente agevolmente di affermare che, pur nella diversità della formulazione letterale, le conclusioni rassegnate in grado di appello sono sovrapponibili, in funzione meramente esplicativa,
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rispetto a quelle formulate nel giudizio di primo grado, e non strumentali ad ottenere un diverso provvedimento. In definitiva, la sentenza impugnata deve essere riformata, atteso l'uso illegittimo degli spazi condominiali da parte del M., per avere questi destinato gli stessi a parcheggio del proprio motorino; all'appellato deve essere ordinata la cessazione del uso in questione. Le spese di entrambi i gradi di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sull'appello proposto dal Condominio di Viale Kennedy 83B - Bari-, in persona dell'Amministratore pro-tempore, avverso la sentenza emessa dal Giudice di pace di Bari n.3350/05 il 20-27/6/2005 nel processo n. 5447/03 R.G., accoglie l'appello, e, in riforma della sentenza impugnata, dichiara illegittimo e, quindi, vieta l'uso dello spazio condominiale da parte dell'appellato per destinarlo a parcheggio del proprio motorino; Condanna M. N. al pagamento delle spese processuali del doppio grado di giudizio in favore del Condominio di Viale Kennedy 83/B - Bari - che si liquidano in complessivi 3.464,5 euro, di cui 414,5 euro per spese, 1.050,00 euro per diritti, e 2.000,00 euro per onorari. Così deciso in Bari, il 16 settembre 2009. Giudice Pietro Silvestri
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Servitù IL CASO L’accesso alla soffitta del condominio Alfa è esercitato attraverso una botola aperta nel soffitto di un appartamento di proprietà esclusiva del condomino Tizio. Gli altri condomini ritengono che sussista a loro favore un diritto di servitù. A tale domanda si oppone Tizio. Assunte, rispettivamente, le vesti del legale di Tizio e del condominio Alfa, si illustrino le ragioni a favore e contro ciascuna parte.
Cass., sez. II, 04-11-2008, n. 26493. In tema di servitù, l’esistenza nell’appartamento di proprietà esclusiva sito all’ultimo piano dell’edificio condominiale di una botola sul soffitto per accedere al tetto comune, non conferisce a detto accesso, in mancanza dell’interclusione del fondo dominante, natura di servitù in favore dei condomini, qualora, come nella specie, sia da sempre esistita la possibilità di aprire verso il tetto condominiale identico accesso sul soffitto dell’ultimo piano del vano scala comune; peraltro la tutela della riservatezza e dell’inviolabilità del domicilio dei proprietari del preteso fondo servente esclude la possibilità di una fruizione autonoma da parte dei condomini e richiede una collaborazione incompatibile con il «pati» che caratterizza l’esercizio della servitù. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO - Con citazione 19/03/1996 C.A. e U.R. convennero innanzi al pretore di Pesaro M.I., quale amministratore del condominio dello stabile sito in detta città, via (OMISSIS), e i condomini S.B., va.gi., F.L., S.A. e D.L.L., esponendo quanto segue: che erano comproprietari di un appartamento, con sottotetto, sito all'ultimo piano dell'edificio in questione; che l'unica via di accesso al tetto condominiale era costituita dal passaggio attraverso una botola situata all'interno del proprio appartamento, dalla quale si accedeva al sottotetto e, attraverso un abbaino, al tetto; che non esisteva, a favore dei condomini, nessuna servitù di passaggio gravante sull'appartamento di loro proprietà, anche se in precedenza essi avevano consentito tale accesso in caso di necessità e a puro titolo di cortesia; che, al contrario, i convenuti ritenevano di essere titolari del diritto di servitù di passaggio acquistato per destinazione del padre di famiglia; che, con provvedimento ex art. 700 c.p.c., del 27/02/1996, il pretore di Pesaro, accogliendo il ricorso proposto da essi attori, aveva ordinato al condominio di provvedere entro il termine di tre mesi all'apertura di un'altra botola e alla realizzazione di un altro abbaino nel soffitto dell'ultimo piano della tromba delle scale condominiali, secondo le modalità e le strutture tecniche indicate dal C.T.U., autorizzando, in difetto, all'esecuzione dei lavori i ricorrenti a spese del condominio con diritto di rivalsa; che tuttavia la costruzione della nuova botola e del nuovo abbaino erano stati deliberati dall'assemblea dei condomini ma non erano stati mai realizzati. Tutto ciò premesso, chiesero la conferma del provvedimento di urgenza, la dichiarazione di inesistenza della servitù di passaggio e il risarcimento del danno. Si costituirono M.I., D.L.N., S.B., S.A. e va.gi., i quali sollevarono una serie di eccezioni in rito e, nel merito, sostennero la esistenza, in loro favore, del diritto di servitù per l'accesso al tetto condominiale costituita per destinazione del padre di famiglia fin dal 1953, anno di costruzione dell'immobile; eccepirono altresì che il sottotetto era di proprietà condominiale, come risultava dall'atto pubblico di assegnazione del 19/09/1996, e, in subordine,
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la carenza dei presupposti per lo spostamento della servitù, concludendo per il rigetto della domanda ed il risarcimento del danno. - Con successiva citazione del 3/07/1996, gli attori convennero in giudizio i fratelli F.C., P. e M., proprietari dell'appartamento abitato dalla loro madre F. L., e proposero anche nei loro confronti tutte le domande sopra illustrate. I nominati, costituendosi, dichiararono di dissentire dall'atteggiamento processuale degli altri condomini e chiesero che, in caso di accoglimento della domanda, nessuna conseguenza negativa, anche in ordine alle spese, dovesse ricadere su di loro. Il pretore di Pesaro con sentenza, n. 239 dell'8/6/1999, dopo aver negato l'esistenza, in favore del condominio, della servitù di passaggio per il tetto attraverso la botola situata nell'appartamento degli attori, condannò tutti i condomini e l'amministratore del condominio a realizzare nel termine di tre mesi l'apertura di un'altra botola e abbaino per l'accesso al tetto, sul soffitto dell'ultimo piano delle scale condominiali, confermando nel contenuto il precedente provvedimento d'urgenza che il tribunale aveva riformato in sede di reclamo. - Avverso tale decisione proposero appello M.I., S.B. e S.A.; si costituirono U.R. nonchè i fratelli F. e la loro madre F.L.. All'esito del giudizio, la corte d'appello di Ancona, rigettate alcune eccezioni preliminari della parte appellata circa la tardività del gravame, con sentenza 17.7.2003 accolse l'impugnazione e, in riforma della sentenza del pretore, respinse la domanda degli attori e condannò gli stessi alla rifusione delle spese del giudizio. Per quanto ancora rileva in questa sede osservò la corte territoriale che non era fondata l'eccezione di tardività dell'impugnazione di S.A., atteso che quest'ultimo era litisconsorte necessario degli altri condomini, sicchè sarebbe stato comunque necessario integrare il contraddittorio nei suoi confronti. Nel merito, ritenne fondato l'ultimo motivo di appello perchè era palese l'esistenza della servitù di passaggio per destinazione del padre di famiglia, negata dal giudice di primo grado, e ciò in quanto essa era nei fatti, essendo stata praticata sin dal 1953, ed era irrilevante che di detta servitù non vi fosse alcun accenno negli atti, nel regolamento condominiale o nelle planimetrie depositate presso il comune; osservò, inoltre, che era altresì irrilevante che detta servitù fosse fastidiosa per i proprietari dell'appartamento dell'ultimo piano, in relazione al fatto che essi risiedevano a Genova e non a Pesaro, e che tale fastidio non legittimava la richiesta di spostamento della servitù in altro luogo, perchè a tal fine era necessario il consenso unanime di tutti i condomini. U. R., anche in qualità di erede di - Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso C.A., unitamente agli altri eredi C.M., Ma. e m., affidato a cinque motivi; resistono con controricorso M.I. e S.B.; non hanno svolto difese gli altri intimati. MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano violazione e falsa applicazione degli artt. 324, 325, 326, 237,102 c.p.c., art. 2909 c.c., nonchè insufficiente motivazione nella parte in cui la corte di merito ha ritenuto non ricorresse la decadenza dall'impugnazione per S.A.; assumono che la sentenza era stata notificata in forma esecutiva personalmente allo S. dopo la morte del suo procuratore, sicchè la notifica era idonea anche a far decorrere il termine breve di impugnazione. Contestano, poi, che nella specie ricorresse una ipotesi di litisconsorzio necessario idoneo a rimettere comunque in termine la parte. Si dolgono inoltre che la corte abbia condannato essi ricorrenti alla rifusione delle spese del primo grado di giudizio anche in favore di D.L.N. e Ba.Gi., benchè costoro fossero rimasti contumaci nel giudizio di appello e non avessero proposto impugnazione. 2. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano omessa motivazione e violazione degli artt. 99, 104, 112, 163, 183, 189 e 342 c.p.c.; si dolgono che la corte non abbia correttamente inteso l'esatto tenore della domanda da essi proposta innanzi al pretore, concentrandola unicamente sulla negatoria servitutis, mentre quest'ultima era stata formulata, unitamente ad altre, solo in via subordinata; in via principale, assumono i ricorrenti, essi avevano invocato la tutela della loro proprietà e della riservatezza, e a tal fine avevano chiesto che fosse ordinata la realizzazione di una seconda botola di accesso al tetto esterna al loro appartamento. Rilevano che la stessa sentenza del pretore, che aveva rigettato tutte le altre domande delle parti, era stata impostata non già
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sulla questione se esistesse la servitù o se fosse possibile spostarla, ma sulla realizzabilità di un diverso accesso al tetto. La corte territoriale, decidendo esclusivamente sulla esistenza della servitù e concludendo in senso affermativo e sulla impossibilità di spostamento avrebbe omesso di statuire sugli altri capi della domanda incorrendo anche in vizio di motivazione.
3. Con il terzo motivo si denuncia illogicità di motivazione laddove la corte di merito afferma essere irrilevante il fastidio derivante agli attori dall'esercizio della servitù, mentre tutta la causa era stata impostata proprio sul diritto a tutelare la loro "privacy" e a rappresentare la inconciliabilità dell'utilizzo dell'acceso sito nel loro appartamento con la drammatica situazione familiare e la lontananza del luogo di residenza degli attori. 4. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciando violazione di legge con riferimento agli artt. 843, 1027, 1028, 1030, 1031, 1032, 1061, e 1062 c.c.. Si dolgono che la corte d'appello, oltre a non aver fornito alcuna motivazione sulla domanda principale da essi svolta e accolta dal pretore, ha affermato la esistenza di una servitù di passaggio a loro carico, senza rilevare la inesistenza di qualsiasi riferimento alla servitù negli atti di provenienza, e alla impossibilità di concepire una servitù che imponesse ad essi attori un "facere", consistente nell'obbligo su di loro gravante di raggiungere l'immobile di Pesaro, aprire il proprio appartamento alla semplice richiesta di un condomino, e rimanere a sorvegliare i lavori. Osservano i ricorrenti che si sarebbe potuto al più ipotizzare una obbligazione propter rem ex art. 843 c.c., con la conseguenza ammessa dalla giurisprudenza di legittimità in caso assimilabile - che alla luce dei principi costituzionali di tutela della libertà di domicilio, non sarebbe esigibile l'accesso ove gli interventi necessari siano possibili in altro modo, ancorchè più costoso. Alla luce di detto principio la corte avrebbe dovuto escludere la esistenza di una servitù e rigettare la domanda della controparte di accertamento della stessa. 5. Con l'ultimo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell'art. 700 c.p.c., e art. 1102 c.c.; ribadiscono che la domanda di apertura della botola sulla tromba delle scale per l'accesso al tetto prescindeva dall'esistenza o meno della servitù, in quanto era diretta a porre fine alla limitazione del diritto di proprietà degli attori attraverso un'opera la cui fattibilità erra stata accertata dal c.t.u. e che non recava alcun danno ai condomini nè un'alterazione del bene comune, sicchè detta opera sulla tromba delle scale costituiva legittimo esercizio delle facoltà previste dall'art. 1102 c.c., perchè se detta norma consente la realizzazione di opere anche a vantaggio di un solo condomino, tanto più doveva ritenersi consentita se l'opera era finalizzata ad apportare un vantaggio all'intero condominio. Il primo motivo del ricorso, quanto alla questione della decadenza dall'impugnazione, è infondato perchè la corte territoriale ha correttamente rilevato la sussistenza del litisconsorzio tra le parti, sicchè lo S. (cui gli altri appellanti non avevano notificato l'impugnazione, essendo anche lui impugnante) avrebbe dovuto comunque essere citato e sarebbe potuto intervenire e aderire alla posizione degli altri appellanti, beneficiando in ogni caso delle eventuali statuizioni di riforma della decisione.
Per quanto concerne la condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese in favore dei contumaci, denunciata nella seconda parte del motivo, la doglianza - certamente fondata - è tuttavia assorbita dalla fondatezza del quarto motivo che risulta assorbente anche di tutti gli altri. La corte di merito, in modo sbrigativo e apodittico, ha affermato la esistenza di una servitù a carico dell'appartamento degli attori e la impossibilità dello spostamento della servitù stessa per la mancanza della unanimità dei consensi. Va premesso, per puntualizzazione, che detta ultima affermazione è palesemente erronea, non trovando alcun appiglio nelle norme specifiche e, in particolare, in quella dell'art. 1068 c.c., che all'ultimo comma espressamente esclude che il proprietario del fondo dominante - ove sussistano le condizioni richieste - possa rifiutare lo spostamento del luogo di esercizio della servitù. Nel caso di specie, tuttavia, non si verteva nell'ipotesi di spostamento della servitù perchè - se servitù fosse stata - l'apertura di una botola nel vano delle scale condominiali, e quindi sul fondo comune agli stessi beneficiari del preteso diritto, 15
avrebbe determinato l'estinzione della servitù stessa. Nel caso in esame appaiono fondate le deduzioni della parte ricorrente circa la insussistenza di una servitù per difetto dei presupposti intrinseci della stessa. Il fatto che in sede di costruzione fosse stata aperta una botola nell'appartamento dei ricorrenti per l'accesso ad un vano verosimilmente comune e, quindi, appartenente anche ai predetti, non può significare che fosse stata costituita una servitù a favore delle altre unità immobiliari; di tale diritto, infatti (come rilevato dal primo giudice) non vi è traccia negli atti traslativi delle proprietà, nè ha chiarito il giudice d'appello perchè ricorressero i presupposti per la costituzione "per destinazione del padre di famiglia" ovvero se ne ricorressero per un acquisto per "usucapione"; poichè la servitù di passaggio ha come suo presupposto la interclusione del fondo dominante (ovvero la maggiore utilità reale - e non mera comodità individuale - di un certo tipo di accesso), non si vede come la possibilità sempre esistita di aprire identica botola per l'accesso al sottotetto nel soffitto del vano scale, e quindi, la possibilità per i condomini di ottenere un passaggio avente le stesse caratteristiche e modalità di esercizio nella proprietà comune, potesse in qualche modo conferire al passaggio realizzato nell'appartamento dei ricorrenti la natura di servitù a beneficio della rimanente proprietà; senza poi sottacere che il diritto alla tutela della riservatezza e all'inviolabilità del domicilio dei ricorrenti, certamente non avrebbe consentito ai condomini di poter beneficiare del passaggio in maniera autonoma, rendendo necessaria una collaborazione dei proprietari del preteso fondo servente che esula dallo schema della servitù in forza del noto principio "servitus in faciendo consistere nequit". Alla stregua delle considerazioni che precedono era, quindi, fondata l'azione negatoria servitutis, che pure i ricorrenti avevano esperito nell'ambito del ventaglio di istanze proposte per raggiungere lo scopo di eliminare l'onere che incombeva sulla loro proprietà. Il riconoscimento di una servitù da parte del giudice d'appello - limitato, peraltro, ad una mera affermazione apodittica - è certamente da ascrivere ad una erronea interpretazione ed applicazione al caso concreto delle norme regolanti tale diritto, sicchè la sentenza va cassata senza rinvio, potendo questa corte decidere nel merito con rigetto dell'appello proposto dagli odierni intimati avverso la sentenza del pretore di Pesaro. La esistenza di difformi decisioni di merito e la particolarità della questione giuridica trattata, consentono la compensazione delle spese dell'intero giudizio. P.Q.M. La corte: Rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il quarto, assorbiti gli altri; cassa senza rinvio la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'appello proposto avverso la sentenza del pretore di Pesaro e compensa le spese dell'intero giudizio. Così deciso in Roma, il 30 settembre 2008. Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2008
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ESERCIZIO Leggere l’atto allegato ed individuare le inesattezze giuridiche in esso contenute, anche alla luce della seguente premessa.
Premessa. Il sig. R., residente a Roma, intenzionato a vendere il proprio camper, affiggeva sullo stesso un cartello con scritto “vendesi”. Nel mese di dicembre, mentre si trovava alla guida del mezzo in questione, veniva fermato da una donna (P), residenti in Milano, che si dicevano intenzionati ad acquistare il camper. A tal fine il sig. R provvedeva ad intestare il camper alla P e si recava a Milano per ricevere il corrispettivo della vendita, tramite assegni. Alcuni giorni dopo scopriva che gli assegni risultavano scoperti e che la donna si era resa irreperibile. Il sig. R quindi sporgeva denuncia per truffa, a seguito della quale iniziavano le ricerche della donna e del camper, che si scopriva essere stato, pochi giorni dopo averlo prelevato da R, intestato al sig. E. Il GIP provvedeva quindi al sequestro del camper al sig. E, sulla base delle seguenti considerazioni: a) si tratta di un mezzo oggetto di denuncia; b) il sig. E dice di averlo acquistato da P ma non è in grado di dimostrare né l’acquisto né il pagamento; c) la presunta vendita sarebbe avvenuta a pochi giorni di distanza dal fatto denunciato da R; d) il sig. E dice di aver deciso di acquistare il camper dalla P dopo averlo visto nel mese di ottobre a Milano.
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