ISTITUZIONI DI DIRITTO PRIVATO I SEMINARIO XII – 24.4.2008 Inadempimento e mora del debitore Dott.ssa Francesca Parola
MATERIALI
1. Mora debitore (Cass., 6.7.2006, n. 15352)…………………………….……………………..p. 1;
2. Mora creditore (Cass., 17.3.1999, n. 2419)…………………………………………..………p. 5.
Mora debitore IL CASO Tizio concede in locazione un immobile di sua proprietà a Caio, Mevio e Sempronio. Poiché gli stessi risultano morosi nel pagamento dei canoni, Tizio decide di adire le vie giudiziarie per ottenerne lo sfratto e la condanna al pagamento del dovuto. Assunte le vesti, rispettivamente, dei legali del locatore e dei conduttori, si illustrino, sulla base delle indicazioni di cui alla sentenza allegata, le ragioni a favore e contro l’accoglimento della domanda.
Cass., sez. III, 06-07-2006, n. 15352. L’offerta non formale della prestazione è idonea ad escludere la mora del debitore soltanto se sia seria, tempestiva e completa, e consista nell’effettiva introduzione dell’oggetto integrale della prestazione dovuta nella disponibilità del creditore, nonché nella comunicazione di tale fatto al medesimo; il parametro valutativo della sussistenza dei caratteri della serietà e della completezza è costituito dalla esaustività della posizione assunta dal debitore con l’offerta stessa, nel senso che il creditore deve potervi aderire senza ulteriori accordi ed ottenere la prestazione limitandosi semplicemente a riceverla, ovvero a porre il debitore nelle condizioni di poterla materialmente effettuare (nella specie la suprema corte ha confermato la sentenza di merito, che aveva escluso l’idoneità dell’offerta non formale di pagamento di canoni di locazione effettuata mediante deposito di somma su un libretto non intestato al locatore, né formalmente posto nella piena disponibilità del medesimo). VOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Nel 1999 il sig. Giuseppe Madeo intimava sfratto per morosità nei confronti dei sigg.ri Palopoli Giuseppe, Antonio e Giulia nonchè Gennaro e Maria Scattarella con contestuale citazione per la convalida avanti al Pretore di Rossano per mancato pagamento di canoni a far data dal settembre 1997 relativi ad immobile sito in contrada Muzio Nigro di Rossano, concesso in locazione per uso parcheggio di automezzi pesanti nel 1992 al sig. Palopoli Vincenzo, all'esito del cui decesso i predetti erano in luogo del medesimo subentrati nel contratto, dell'immobile asseritamente facendo altresì uso improprio. Nella resistenza dei convenuti, che contestavano la domanda -deducendo di avere acceso libretto bancario ove depositavano regolarmente l'ammontare corrispondente ai canoni dovuti all'esito del rifiuto del Madeo di accettare il pagamento a mezzo vaglia postale - e spiegavano altresì domanda riconvenzionale di condanna per lite temeraria ex art. 96 c.p.c., l'adito giudice dichiarava il contratto di locazione risolto per inadempimento dei convenuti, ordinandone il rilascio in favore del locatore. 2. Interponevano gravame gli originari convenuti soccombenti, dolendosi che l'offerta non formale ex art. 1220 c.c. da essi formulata in favore del Madeo non fosse stata ritenuta nel caso idonea ad escludere la mora debendi. Con sentenza del 2 aprile 2002 la Corte d'Appello di Catanzaro rigettava l'impugnazione, condannando gli appellanti al pagamento delle spese di lite del grado. 3. Avverso la detta sentenza della corte di merito gli originari intimati Palopoli Giuseppe, Antonio e Giulia nonchè Gennaro e Maria Scattarella propongono ora ricorso per Cassazione, sulla base di due motivi. Resiste con controricorso il Madeo. 1
MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con il 1^ motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione di norme di diritto, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5. Si dolgono che la corte di merito abbia ritenuto “priva di pregio” la censura da essi in sede di gravame formulata in ordine all'omessa considerazione da parte del giudice di prime cure della circostanza che avevano dapprima inviato i canoni di locazione a mezzo vaglia postale, e quindi provveduto a depositarne l'ammontare in un libretto bancario appositamente acceso, dandone prontamente avviso al Madeo, con invito a riscuotere i canoni e ad apprendere il titolo bancario. Invito che “veniva reiterato in altri scritti pervenuti al locatore e ribadito nel corso del procedimento”. Deducono che “per come stabilito in modo oramai univoco della Suprema Regolatrice”, l'offerta della prestazione necessaria ad evitare la mora debendi può rinvenirsi invero anche in ogni manifestazione della volontà di adempiere che possa ritenersi seria nella misura in cui questa escluda ogni perplessità sul suo reale intento, che nella fattispecie de quo invero “sicuramente si ravvede (dapprima invio a mezzo vaglia postale, che anche se non vale a costituire in mora il creditore vale ad eliminare gli effetti della mora debendi; in secondo momento, successivamente al ripetuto rifiuto da parte del creditore di ricevere l'adempimento da parte dei debitori, versamento su libretto bancario della totalità della prestazione debitamente comunicando ciò a mezzo raccomandata, illegittimamente rifiutata da parte del creditore)”. Aggiungono che l'offerta irrituale ex art. 1220 c.c. “quando corrisponda al dovuto e manchi un legittimo motivo di rifiuto, può essere ritenuta idonea ad escludere l'inadempimento del debitore”. 2. Con il 2 motivo i ricorrenti denunziano violazione e falsa applicazione di norme di diritto, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Lamentano che “sbaglia...clamorosamente” la corte di merito “allorquando opina che il libretto non risulta messo nella sfera di disponibilità del locatore”, in quanto “dal contesto della missiva inviata al locatore da parte dei conduttori emerge in maniera chiara ed inequivocabilmente interpretabile dall'esterno la volontà dei conduttori affinchè il locatore entri in possesso del libretto sul quale sono versati i canoni di locazione”, libretto e che questi “illegittimamente” invero rifiutava di ricevere. Censurano in particolare l'avallo da parte della Corte di merito dell'assunto del giudice di prime cure secondo cui essi non avrebbero “mai depositato il libretto al fine di consentire al locatore di acquisirne il possesso necessario al ritiro del denaro ivi depositato” e che in ogni caso l'offerta idonea ad evitare la mora debendi deve essere comprensiva degli interessi e delle spese liquide”, sul punto lamentando che “non si capisce come si possa essere giunti ad una simile conclusione”. I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati in quanto logicamente connessi, sono in parte inammissibili ed in parte infondati. Va anzitutto osservato che nulla gli odierni ricorrenti invero deducono in merito al denunziato vizio ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4. Inammissibile, sotto plurimi profili, è poi la censura formulata in ordine al denunziato vizio di motivazione. Come questa corte ha avuto ripetutamente modo di affermare, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione conferisce invero al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo controllo bensì la sola facoltà di controllare, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, le argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, 2
dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Con la conseguenza che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza e contraddittorietà della medesima, può dirsi sussistente solo quando nel ragionamento del giudice di merito sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame dei punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico-giuridico posto a base della decisione (da ultimo v. Cass. n. 8718 del 2005). Non anche quando il giudice del merito abbia viceversa semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (v. da ultimo v. Cass., 20/10/2005, n. 20322; v. Cass. n. 8718 del 2005; Cass., 25/2/2004, n. 2803; Cass. 21 marzo 2001, n. 4025; Cass. 8 agosto 2000, n. 10417; Cass. 8 agosto 2000, n. 10414; Cass., Sez. Un., 11 giugno 1998, n. 5802; Cass. 22 dicembre 1997, n. 12960). Orbene, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, nel caso parte ricorrente si limita invero ad affermare, con particolare riferimento alla positiva valutazione da parte della corte di merito dell'assunto del giudice di prime cure secondo cui essi non avrebbero “mai depositato il libretto al fine di consentire al locatore di acquisirne il possesso necessario al ritiro del denaro ivi depositato” e che in ogni caso l'offerta idonea ad evitare la mora debendi deve essere comprensiva degli interessi e delle spese liquide”, di non comprendere come “si possa essere giunti ad una similare deduzione”. Nell'esprimersi in siffatti termini generici ed apodittici, d'altro canto limitandosi a fare generico rinvio a "raccomandate" e ad una "missiva" inviate a controparte senza peraltro puntualmente e specificamente richiamarle con esplicitazione del loro contenuto, i ricorrenti inammissibilmente deducono in violazione di quanto imposto dall'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, (v. Cass., 21 ottobre 2005, n. 20454), disattendendo il principio secondo cui allorquando con il ricorso per Cassazione viene dedotta l'incongruità o illogicità della motivazione della sentenza impugnata per mancata o insufficiente od erronea valutazione di risultanze processuali (un documento, deposizioni testimoniali, dichiarazioni di parti, accertamenti del c.t.u., ecc.) è imprescindibile, al fine di consentire alla Corte di legittimità di effettuare il richiesto controllo (anche) in ordine alla relativa decisività, che il ricorrente precisi - pure mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso - la risultanza che egli asserisce decisiva o insufficientemente o erratamente valutata (cfr. Cass., 20/10/2005, n. 20323; Cass., 12/5/2005, n. 9954), dato che per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione il controllo deve essere consentito sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161). Nel totalmente prescindere dall'argomentare in merito ai profili della insufficienza, della contraddittorietà o della illogicità della motivazione, parte ricorrente viene per altro verso a meramente sollecitare in realtà una diversa lettura delle risultanze di causa, in contrasto proprio con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione tutti gli elementi di fatto già considerati dai giudici del merito a da costoro asseritamente in termini erronei valutati, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (v. Cass., 14/3/2006, n. 5443; Cass., 21 ottobre 2005, n. 20454). Quanto alla denunziata violazione dell'art. 1120 c.c, le doglianze mosse dai ricorrenti sono infondate. Risponde invero a consolidato orientamento di questa Corte l'affermazione secondo cui l'offerta non formale della prestazione è idonea ad escludere la mora del debitore soltanto se sia tempestiva e completa (v. Cass., 5/3/1991, n. 2283; Cass., n. 4449 del 1981 ), e venga a tradursi nell'effettiva introduzione dell'oggetto integrale della prestazione dovuta nella disponibilità del creditore, in 3
modo che da quest'ultimo dipenda il relativo conseguimento o meno (v. Cass., 21/6/2002, n. 9058; Cass., n. 2987 del 1983); nonchè nella comunicazione di tale fatto al medesimo (v. Cass., 29/10/2001, n. 13405). Non integra, pertanto, una valida offerta non formale il deposito su un libretto di risparmio bancario, per una somma inferiore o anche corrispondente a quella dovuta, laddove il libretto sia rimasto nel potere del debitore (v. Cass., 29/10/2001, n. 13405; Cass., 5/3/1991, n. 2283; Cass., 16/2/1982, n. 971; Cass., 2/4/1975, n. 1187). Orbene, il giudice del merito, cui la valutazione compete trattandosi di accertamento di fatto e come tale incensurabile in sede di legittimità ove congruamente e logicamente motivata (v. Cass., 29/10/2001, n. 13405), ha escluso costituire nel caso valida ed efficace offerta non formale della prestazione, idonea ad escludere la mora debendi, il deposito di somma su un libretto che non risulta essere stato intestato al locatore nè formalmente posto nella piena disponibilità del medesimo. In applicazione del principio affermato da questa Corte secondo cui, al di là del “modo” col quale si afferma essere stato "offerto" l'adempimento (nel senso che l'offerta non formale può essere eseguita “in qualsiasi modo”, “purchè idoneo a dimostrare l'effettiva e seria volontà del debitore di adempiere la sua obbligazione” v. Cass., n. 1551/82. V. anche Cass., 16/5/2005, n. 10184, secondo cui essa può consistere in “qualsiasi attività” del debitore “che costituisca manifestazione concreta di una seria volontà di pronto ed esatto adempimento”), decisivo rilievo assume invero al riguardo il parametro valutativo della completezza e della serietà dell'offerta non formale ai fini dell'esclusione della mora del debitore ai sensi dell'art. 1220 c.c. da ravvisarsi (tutte le volte che l'adempimento non richieda particolari forme di collaborazione del creditore) nella esaustività della posizione assunta dal debitore con l'offerta stessa, intesa nel senso che il creditore possa aderirvi senza ulteriori accordi ed ottenere la prestazione limitandosi a riceverla ovvero a porre il debitore nelle condizioni di potarla materialmente effettuare (v. Cass., 21/6/2002, n. 9058), la Corte di merito ha ritenuto essere rimasti nel caso invero insoddisfatti i suddetti requisiti. Con motivazione che, a fronte dei sopra rilevati aspetti deponenti per il difetto di autosufficienza del ricorso, risulta invero adeguata ed aliena dalla pretermissione di elementi in fatto decisivi. Nè d'altro canto è ammissibile, in ragione del vizio lamentato, un diretto riesame del materiale probatorio acquisito e valutato dai giudici di merito, attesi i già evidenziati limiti al riguardo sussistenti in questa sede di legittimità. All'infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso. Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento in solido delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in Euro 1.600,00 di cui Euro 1.500,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.
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Mora creditore IL CASO Tizio concede in locazione un immobile di sua proprietà al Comune perché sia adibito a scuola pubblica. Terminata la locazione, poiché il Comune non ha provveduto alla riconsegna delle chiavi ed inoltre l’immobile è stato gravemente danneggiato, Tizio decide di agire in giudizio per la tutela delle sue ragioni. Si illustrino le ragioni a favore e contro l’accoglimento della domanda di Tizio. Cass., sez. III, 17-03-1999, n. 2419. In tema di riconsegna dell’immobile locato mentre l’adozione della complessa procedura di cui agli art. 1216 e 1209, 2º comma, c.c., costituita dall’intimazione al creditore di ricevere tale consegna nelle forme stabilite per gli atti giudiziari, rappresenta l’unico mezzo per la costituzione in mora del creditore per provocarne i relativi effetti (art. 1207), l’adozione da parte del conduttore di altre modalità purché serie, concrete e tempestive (come ad esempio la convocazione per iscritto del locatore per consegnargli le chiavi dell’immobile e redigere il verbale di consegna) aventi valore di offerta reale non formale (art. 1220 c.c.), sempreché non sussista un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore, pur non essendo sufficiente a costituire in mora il locatore, è tuttavia idonea ad evitare la mora del conduttore, circa l’esecuzione della sua prestazione e a produrre ogni altro effetto, connesso alla dichiarazione di volontà da lui espressa sostanzialmente.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 1. Con citazione del 27/4/98 Igino De Monte conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Taranto il Comune di Sava (Taranto), in persona del sindaco protempore, per sentirlo condannare al risarcimento dei danni che assumeva causati ad un immobile di sua proprietà, sito in Sava, condotto in locazione dal suddetto Comune con contratto del 7/10/1970, nonché al pagamento dei canoni relativi al periodo successivo alla disdetta della locazione (14/10/1987) da parte del conduttore, che aveva trattenuto indebitamente le chiavi del fabbricato, tuttora non riconsegnate. Esponeva l’attore che lo stabile locato era stato destinato, d’accordo fra le parti, a sede di una scuola pubblica, ma che l’uso ed, anzi, l’abuso fattone era stato tale da provocare ingenti danni alle strutture e ai servizi dell’immobile, sicché, fallite le trattative per la bonaria composizione della controversia, era stato costretto ad adire il giudice, dapprima per l’espletamento di un accertamento tecnico preventivo e poi per conseguire in giudizio il riconoscimento delle sue ragioni creditorie. Costituitosi in giudizio il Comune chiedeva il rigetto della domanda, assumendo che i danni denunciati costituivano nient’altro che il normale degrado connesso con l’uso protratto del bene in conformità della pattuita e specifica destinazione; aggiungeva che l’immobile era stato tempestivamente riconsegnato al proprietario. Istruita la causa con l’acquisizione della relazione relativa all’accertamento tecnico preventivo e di ulteriore documentazione nonché con l’espletamento della prova testimoniale articolata dalle parti e di nuova indagine peritale per la quantificazione dei danni, con sentenza 16 novembre 1993 il Tribunale adito accoglieva la domanda per quanto di ragione e, per l’effetto, condannava il Comune di Sava al pagamento, in favore dell’attore, della somma di L. 32.470.000, a titolo di risarcimento dei danni causati all’immobile, oltre la svalutazione monetaria e gli interessi compensativi, nonché alla rifusione delle spese processuali, compresa la fase preventiva.
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2. Proponevano gravame il De Monte ed in via incidentale il Comune di Sava e la Corte di Appello di Lecce, con sentenza 26 aprile 1996, li rigettava entrambi e compensava le spese del grado. affermando: - che nell’ammontare dei danni era stato incluso anche l’utile d’impresa; - che invece nulla era stato riconosciuto per compenso della direzione dei lavori, non necessaria data la natura degli stessi; - che non poteva essere riconosciuto l’indennizzo per l’abusiva e protratta detenzione dell’immobile, dal momento che il Comune aveva fatto offerta delle chiavi fin dal 14/10/87 e che la moglie del locatore le aveva rifiutate, cosicché la perdurante disponibilità di esse, senza un’ulteriore utilizzazione dell’edificio da parte del Comune, non giustificava la domanda risarcitoria del De Monte; - che i danni accertati nell’accertamento tecnico preventivo e nella C.T.U. espletata in corso di causa non potevano essere attribuiti ad un uso normale della res locata. Ha proposto ricorso per cassazione il De Monte affidandolo ad un solo motivo. Ha resistito il Comune di Sava con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE Con unico mezzo il ricorrente, denunciando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 1206, 1207, 1208, 1209, 1210 e 1216 c.c. nonché l’omesso esame del punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. Censura la statuizione con la quale il giudice di appello ha ritenuto che il Comune avesse fatto valida offerta di riconsegna dell’immobile locato, tale da escludere la mora del conduttore e la debenza dei canoni per il periodo successivo alla scadenza del contratto. La censura non coglie nel segno. Come già accennato, la Corte leccese, rilevato che con atto notificato il 14/10/87 a mezzo di ufficiale giudiziario il Comune aveva offerto la restituzione delle chiavi e che la notifica era avvenuta ai sensi dell’art. 140 c.p.c. per il rifiuto a ricevere della moglie del locatore, ne ha tratto la conclusione che le chiavi fossero state messe nella disponibilità del proprietario e che tale circostanza, unita alla non utilizzazione dell’immobile da parte del conduttore, escludeva che quest’ultimo potesse essere condannato al pagamento, a titolo risarcitorio, dei canoni successivamente naturali, ravvisando altresì nella condotta del De Monte una violazione del dovere di non aggravare, adottando l’ordinaria diligenza, il pregiudizio lamentato. L’esposta motivazione è sostanzialmente corretta. Va al riguardo premesso che il ricorrente non censura specificamente le modalità della notificazione e, pertanto, la sua doglianza tende a fare riconoscere la fondatezza del rifiuto opposto dalla moglie. Ed allora, soccorre il principio affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo il quale in tema di riconsegna dell’immobile locato, mentre l’adozione della complessa procedura di cui agli artt. 1216 e 1209, 2º Co., c.c., costituita dall’intimazione al creditore di ricevere tale consegna nelle forme stabilite per gli atti giudiziari, rappresenta l’unico mezzo per la costituzione in mora del creditore per provocarne i relativi effetti (art. 1207), l’adozione da parte del conduttore di altre modalità purché serie, concrete e tempestive (come ad esempio la convocazione per iscritto del locatore per consegnargli le chiavi dell’immobile e redigere il verbale di consegna) aventi valore di offerta reale non formale (art. 1220 c.c.), sempreché non sussista un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore, pur non essendo sufficiente a costituire in mora il locatore, è tuttavia idonea ad evitare la mora del conduttore, circa l’esecuzione della sua prestazione e a produrre ogni altro effetto, connesso alla dichiarazione di volontà da lui espressa sostanzialmente (Cass, 4 dicembre 1992 n. 12922), si tratta, pertanto, di accertare se, nella specie, ci fosse un legittimo motivo di rifiuto da parte del locatore. Al riguardo questa Corte non ignora l’altro risalente principio secondo il quale, non essendo tenuto il creditore ad accettare l’inesatto adempimento della prestazione. il locatore può legittimamente rifiutare la restituzione dell’immobile locato sino a quando il conduttore non l’abbia rimesso nel pristino stato ed il conduttore è conseguentemente tenuto, fino a tale momento, a versargli il corrispettivo (Cass. 6
10 novembre 1971 n. 3210). Ma, nella specie, il De Monte prospetta la necessità della restituzione delle chiavi (e dell’immobile) contemporaneamente alla contestazione, in contraddittorio, dei danni (ed al riguardo lamenta che l’esame di alcuni documenti rilevanti sia stato omesso), dimenticando peraltro che tale ricognizione, alla presenza dei periti di ambo le parti, era già stata compiuta. e che il contrasto permaneva solo in ordine alla natura ed alla quantificazione di tali danni. Questi essendo i fatti, non è seriamente contestabile che, in presenza di un’offerta reale non formale (art. 1220 c.c.) e nella mancanza di un valido motivo di rifiuto, ben ha fatto il giudice di appello ad escludere la mora del conduttore ed a rigettare la domanda risarcitoria per il pagamento dei canoni maturati dopo l’offerta. Il ricorso va, pertanto rigettato. Si ravvisano tuttavia giusti motivi per compensare le spese di questo grado. PER QUESTI MOTIVI La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione.
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